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Fabio Larcher

LA FEMMINA
DEL SATIRO

Poesie anti-politiche e di cattivo gusto,


almeno secondo il gusto corrente
LA FEMMINA DEL SATIRO
Fabio Larcher © 2018

L’autore
Fabio Larcher (Brescia, 1974) è stato editore (dal 2002
al 2014) e libraio, nonché collaboratore esterno per
Mondadori e Salani. Con A.Car edizioni ha pubblicato
i romanzi Un delitto al rosmarino e Il Mostro della mo-
stra. Come autore indipendente ha, invece, pubblicato
i romanzi: Rock elfico (2011); Calasperio – Attraverso il
Syvyys (2015); La donna elettrica (2018); Automata ho-
menaria (2018). Inoltre segnaliamo l’antologia erotico-
fiabesca L’antimago (2017); la saga mitologica Gli skàlter
(2018); il romanzo in versi Storielle di re Artù (2018);
la silloge per bambini Papà fa brutti sogni; e la raccolta
poetica Atlante onirico – poesie 1998-2018 (2018)
i
Invocazione

Ti supplico, Sarcasmo,
dio dal sorriso macabro e violento,
infondi nei miei versi il tuo veleno
salace, la tua crudeltà sprezzante.
Rendi il mio cuore simile al diamante.
Fammi capace, con fulmini e peti,
di ridicolizzare i sacramenti
di questo tempo liquido, incoerente,
sempre in balia di lupi travestiti
da santi e pacatissimi profeti.

E tu, Satira amara, lussuriosa,


offrimi le tue tiepide mammelle;
mostrami il tuo clitoride peloso.
E facciamo l’amore.
ii
Canzonetta dei neo-buoni

I buoni d’oggi ringhiano,


sbavano imprecazioni,
sputano insulti osceni
contro allucinazioni
di vetero-fascismi,
di neo-razzismi, di -ismi.
Amano tutto il mondo,
tranne se stessi e me,
che non ho un soldo in tasca
e son servo del re.

Amano gli animali,


gli alberi, i fiumi, i mari,
gli orsi polari e i rettili,
l’ornitorinco, il tonno.
Amano tutto il mondo
ma non amano me,
che non ho un soldo in tasca
e son servo del re.

«Ti ammazzo! Sei una merda!»


mi gridano. «Fascista!
xenofobo del cazzo!
Ti ammazzo, sai? Ti ammazzo!»
Sembrano un giradischi
su cui giri la stessa
canzonetta di fischi
di «bu!», di «gnè!» e «gnè gnè!».

Amano tutto il mondo,


tranne se stessi e me,
che non ho più le tasche
e forse neanche un re.

Quanta dottrina, quanti


distinguo sanno i buoni.
A rompere i coglioni
sono i migliori. Infatti
hanno sempre ragione
del tipo di ragione
che non si nega ai matti.

I buoni d’oggi sono proprio strani:


mi parlano di pace, d’amore e di rispetto
scagliandomi nel petto,
pietre, bastoni, pugni
(ma sempre con buonissime,
sante mani omicide).
Dirò una cavolata:
la bontà, oggi, mi sembra
sopravvalutata.
iii
Le maghe amelie

Le maghe amelie sono tutte brutte


anche se sono belle.
Le maghe amelie sono tutte vecchie
anche se sono giovani.
Perché? Perché tutte disprezzano
i doni di Afrodite.
Le maghe amelie sono tutte vittime
o tali si dichiarano. Può darsi.
Non ho mai conosciuto donne deboli,
solo creature fiere, consapevoli,
capaci di piegare dio e Maciste.
Ma le maghe amelie non sono donne.
«La mia matrice, origine di vita,
è mia e la gestisco io, con cinque dita!»
le streghe in erba strillano.
Datemi retta è molto meglio eleggere
un amministratore delegato,
non ci siete tagliate,
farete solo danni.
Magari poi ci tocca nominare
pure un curatore fallimentare.
iv
Canzone dei manichini

Buongiorno, manichini,
mi inchino a voi che siete i miei modelli.
Nel prossimo futuro
non dovrò più per forza fare il duro.
Non ci sarà bisogno
di membri e conni, natiche e mammelle.
Lo dice il dio Mercato.
Per far piacere a lui sarà emendato
ogni individuo con un sesso certo.
C’è da capirlo, in fondo, è una fatica
produrre merce in base a certe fisime
della natura. È meglio l’uni-sesso.
Lo standard anzitutto!
Mai più, mai più litigi
né ambiguità sociali.
Saremo tutti uguali
di fronte all’uni-legge. Finalmente!
In fondo siamo in debito con lui:
ha fatto così tanto, il dio Mercato
per farci stare bene ed in salute!
Ci ha dato tanto cibo a basso costo,
ci ha dato tanti farmaci assortiti,
ci ha offerto tanti giochi divertenti,
ci ha reso dei perdenti, dei falliti
felici, degli erbivori (civili
anche se un poco vili, un po’ spregevoli).
Il nostro allevamento è all’avanguardia.
Qui siamo tutti grassi e ragionevoli.
Saremmo proprio ingrati
se adesso cavillassimo su un vizio
di forma, protestassimo
che il sesso è imprescindibile agli umani.
Risulteremmo strani.

Sono finiti i giorni in cui il Mercato


era soltanto un mezzo:
adesso è il nostro dio, la nostra mamma.
Se dice che per il nostro benessere
dobbiamo rinunciare al nostro sesso
noi gli dobbiamo credere.

Perciò ben venga, amici manichini


(che siete miei cugini miti e muti),
il vostro avvento privo di attributi.
v
Poesia della burocrazia

Grazie alla burocrazia


la vita è diventata un rito zen;
la vita non è più un fatto confuso,
fortuito, caotico;
il cielo non è azzurro ma cianotico.
Sotto il suo pugno di ferro invisibile
tutto è perfetto e vuoto,
quasi un’opera d’arte fatta carne.
Grazie alla burocrazia
le cose molto semplici si complicano
in modo esponenziale,
diventano scarabocchi barocchi
davanti al nostro naso.
Essa è lo scudo morbido, il cuscino
che garantisce il sonno dei potenti;
labirinto ingannevole
senza arrivati ma eterni partenti;
arci-nemica della dea Speranza.
Chiedere a lei, seguendo le sue regole,
è un affidarsi al lotto e al gratta-e-vinci.
Lei è l’ennesima maschera
della fortuna cieca,
della necessità, per cui si impreca
e la vita è metà della metà.
vi
Canzonetta dello stato e della patria

Lo stato è un meccanismo
di stampo illuminista,
freddo feroce asettico.

Come tutte le macchine


è cieco e irragionevole,

non è amico del popolo


che vive in sua funzione.

(Del resto parlereste a un orologio?


chiedereste pietà a un tostapane?
verreste a patti con la lavatrice?)

Patria invece è qualcosa


di caldo, radicato
su un comune sentire;
però non si può dire:

questa parola offende


le menti che riposano
succhiando la mammella
d’acciaio di mamma-stato,

di quanti hanno abdicato


al regno di se stessi,
i rancorosi servi
che sognano sui sogni di Rousseau.
vii
Canzoncina della povertà

La povertà
non mi spaventa.
Io sono povero
da che son nato.
Sono rimasto
povero in mezzo
al lusso estremo
dei giorni grassi.
Posso restare
povero in canna
nei giorni magri
senza scompormi.

La povertà
non è un delitto
non è un’infamia
non è che un sogno.
Esiste solo
nell’occhio strabico
di pregiudizio
di chi la osserva
dal precipizio
vertiginoso
dei suoi terrori.
È un’invenzione
sociale, un modo
per far tremare
la gente e renderla
debole in faccia
al suo nemico,
l’Uomo Diavolo,
che vuole tutto,
tutto divora,
tutto consuma
tutto distrugge
nella sua lunga
fame insaziabile.
«Io voglio tutto.
Io sono tutto»
dice. «Avrò tutto
a tutti i costi.»
L’Uomo Diavolo
si crede Dio.
Io ho sempre riso
di dèi e di diavoli:
quando avrai tutto
non avrai niente
esattamente
come il più povero.
viii
Canzonetta dell’asilo

Viviamo in un libro
che non ci riguarda;
racconta una storia
malvagia e bugiarda.
E noi siamo solo
lettori forzati
costretti a sorbirla
dacché siamo nati.
Il libro racconta
che siamo felici,
perché papà Soldo,
perché mamma Stato
ci comprano tutto,
ci danno il gelato,
soddisfano sempre
mattane e capricci…
purché non si tratti
di avere potere
sul nostro destino,
purché non si dica:
«Non sono un bambino».
«Bambino cattivo!»
rispondono allora.
«Sei proprio un monello.
Ricordi la Suora
che negli ospedali
per turbe mentali
cammina severa?
Se tu ti ribelli
la chiamo stasera.
Verrà a imprigionarti
nei grigi reparti
tra i matti e i birbanti
che piangono forte
a tutti gli istanti
chiedendo la morte».
Così dice il libro
da cui siamo esclusi
ma in cui mamma Stato
ci ha tutti reclusi.
ix
Danza macabra brussellense

Che tetro balletto,


che oscena quadriglia
si balla a Bruxelles.

Alcuni fantocci
già zeppi di vino
sorridono atroci
sul nostro destino.

E ballano e cantano,
dicendo sì e no,
avallano gli ordini
del politburò.

Chi muove quei fili?


Chi sceglie i copioni?
Chi lucra milioni
da questo teatrino?

Nessuno lo sa.
Soltanto bla bla.
L’oscuro potere
che è dietro la scena
si può intravedere,
però a malapena.

Somiglia a Mefisto
nemico di Cristo
(che fosse il Nemico,
l’Oscuro, l’Antico

un po’ si capiva
dal sacro terrore
che ne hanno i fantocci,
che ne hanno le suore).

La danza prosegue
su morti suicidi,
su aziende fallite,
su vite inceppate,
su idee calcinate

sul nascere. Vige


l’omologazione
di tutto e di tutti
negli orti distrutti
della libertà.
La danza continua,
la vita è un’eterna,
mortale emergenza
tra bombe e terrori.

E i neo-imprenditori
producono noia,
producono crisi,
bugie e povertà.

La danza travolge
radici e culture,
con armi inventate,
puerili paure.

Cadaveri a destra,
cadaveri a manca
e zombie asessuati
dalla mente bianca

camminano incerti
nei bui formicai,
coi nervi scoperti,
chiedendo pietà.

«Pietà, sicurezza»
balbettano stanchi,
stremati, impotenti.
«La vostra salvezza»

risponde il Vampiro
prendendoli in giro,
«dipende dall’anima;
dipende dal sangue.»

Ed essi, sconvolti,
sconnessi, incapaci
di vero pensiero
si svenano pronti.

Purché torni il sole,


purché ci sia pace
rinunciano a tutto.
Bruxelles ride e tace.

Intanto i pagliacci
tracannano e ballano
un ballo necrofilo
e parlano e parlano

e parlano e parlano.
Che dicon? Bla bla.
x
L’UOMO EPILETTRICO

L’Uomo Epilettrico sembra normale,


eppure a comando diventa animale.
Un dio invisibile schiaccia il bottone:
l’Uomo Epilettrico va in convulsione.
Sembrava mite, ma strepita e rugge.
Ora è un mannaro che non ha più legge.
L’innesco a tale pazzia omicidiaria
sono parole, magie fatte d’aria:
“Salvini”, “Lega”, “fascismo”, “razzismo”,
“Renzi”, “Boldrini”… se tu le pronunci
l’Uomo Epilettrico esplode, vaneggia;
non pensa più, ma sputacchia e scoreggia.
Fuggi, allontanati! È pazzo, malato.
Non è più umano: ha il cervello lavato.
Chi lo lavò? La domanda è indiscreta:
gli dèi del mondo, la razza segreta.
xi
Ballata della guerra dei sessi

Se parlo di sesso
gridate allo scandalo;
mi date del vandalo,
del figlio d’un cesso.

Però se ne parla
la prima cretina,
purch’essa sia femmina,
giù tutti a lodarla.

La guerra trai i sessi


adesso è un massacro
di maschi depressi,
repressi, sconfessi.

Si sa: il maschio è il diavolo.


Il maschio è un avanzo
di cena o di pranzo
lasciato sul tavolo;

perciò va punito
di esistere al mondo.
Significa “immondo”,
“virile”. Col dito
bisogna additarlo,
castrarlo, umiliarlo,
sgridandolo forte,
sputandogli in fronte.
Andate a quel paese,
villane ideologiche!
Sono patologiche
le vostre pretese.

Non c’è alcuno scandalo


nel fatto che il maschio
sia maschio, la femmina
sia femmina. Il bandolo
di questa matassa
mentale non sta
nel corpo sociale,
nell’umanità
devirilizzata;
ma nella psicosi
mediatica indotta,
nei bui, livorosi
percorsi di lotta
politica usata
da forze ancestrali,
per spingervi a vili
(o inconsci utensili!)
traguardi sociali.

Attenta, attraverso
di te parla un’ombra,
l’orribile tromba
di un nume perverso.

Tu fai solo il gioco


del dio Capitale,
per cui ognuno vale
o niente o ben poco.

Non sei tu che chiedi


la morte del maschio:
stai solo tirandoti
la zappa sui piedi.
xii
Con chi sto, io

«Ma tu con chi stai?»


Con chi? Sto con tutti;
non sto con nessuno:
con il rosso-bruno,
col rosso e col verde,
con l’etero e l’omo,
col toro e la vacca,
col gel e la lacca,
con Dio e Belzebù.
Io sto con chi lascia
Linneo agli scienziati,
Giansenio ai cataloghi
di colpe e peccati;
e non mi misura
con metri ideologici,
con slogan illogici;
non dice sei questo,
sei quello. Che ha cura
di non carcerarmi,
di non travisarmi;
con chi non mi scambia
coi propri fantasmi.
Io sto con me stesso,
con chi sta con me.
Se per voi è lo stesso,
se non vi offendete,
di me stesso il re
voglio essere e il prete.
xiii
Uccelli migratori

Dove sta l’uccello assiro?


che domande? sarà in giro.

Dove sta l’uccello slavo?


sta cercando un tronco cavo.

Dove sta l’uccello egizio?


starà in qualche buio interstizio.

Dove sta l’uccel cinese?


di paese va in paese.

Dove sta l’uccello etiope?


frulla in tondo come un miope.

E la passera dov’è?
Qui la passera non c’è:
sarà a casa sua e il caffè

farà a uccelli più stanziali,


che non fanno piani astrali
per migrare a nord-nord-est.
xiv
I maschi eroi del popolo

I maschi eroi del popolo


sciamano in tumultuose
orde nel fiume barbaro
dei festosi cortei.

La furia sanguinaria
li consuma da dentro,
spingendoli a vociare,
a calpestare il suolo con le scarpe.

I maschi eroi del popolo


sono solo violente
bestie buzzurre come
degli uomini presistorici,

eppure hanno la Storia


sul palmo della mano.
Per noi sono un mistero
che vuol punire sempre il mondo intero.

I maschi eroi del popolo,


tolto l’alone mistico
del Sol dell’Avvenire,
sono solo rapaci
figli della violenza;
avidi di rapina,
eccitati dal sangue,
pronti a ogni atrocità, pur di saziarsi.
I maschi eroi del popolo
non sono degli eroi,
la gente li detesta,
li ama solo a distanza.

è bello ricordarli
nei libri, nelle sagre
rituali del Partito,
ma non averli accanto, per le strade.
xv
La Terza guerra mondiale

La Terza guerra mondiale è invisibile,


eppure c’è, è palpabile; è evidente
nella mia angoscia isterica, nel tuo/
suo terrorismo. Non si manifesta
con rutilanti armate, con macelli
di missili, proiettili, coltelli.
Tutti hanno fame e sete, anche se sazi.
Tutti sembrano sani e sono pazzi.
Viviamo sotto assedio, ma i gendarmi
siamo noi stessi: vinti, sottomessi
a una realtà che di reale non ha
più nemmeno una sillaba o un accento.
La fantasia è al potere, finalmente!
peccato sia la fantasia infernale
di sadici oligarchi finanziari,
(per cui ogni cosa è merce ed è mercè,
eccetto, è ovvio, se stessi).

La Terza guerra mondiale non dà incubi:


l’incubo è tracimato nella veglia,
è un pane quotidiano. Ormai la celia,
il riso, la poesia sono banditi.
La Storia è diventata
un campo di sterminio virtuale:
culture intere evaporano
senza alcun genocidio materiale,
soppresse a suon di slogan, di cattiva
pubblicità; epurate dalla cronaca.
La Terza guerra mondiale, ammettiamolo,
è una guerra stranissima, giocata
sul senso delle frasi.
è una guerra fatta a forza
di tassi, spread, bugie. Nessuno vince.
Tanti si ammazzano da sé,
altri muoiono a caso.
è una guerra di cui si percepiscono
gli effetti, non le cause; le cause
restano ignote: l’uomo cade morto
ma nessuno ha sparato.
Nessun nemico si è mai dichiarato;
i morti sono colpa di nessuno.
Non chiamatela guerra,
non ci sono le prove;
le vittime sono solo statistiche,
numeri, percentuali;
non sono mai reali.
Del resto in società è ormai inammissibile
chiamare col suo nome checchessia:
la guerra non è guerra; solo crisi.
La dittatura non è dittatura;
solo democrazia.

La Terza guerra mondiale è mondialista:


aspira al mondo intero, salvo svista.
Finito di stampare nel giorno
di santa Felìcita e sette fratelli martiri
presso le Officine Tipografiche delle Fate
via Incantamento 13, Cuorcontento

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