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fare ricerca
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forum nazionale
dei dottorati di ricerca in design
seconda edizione

ilpoligrafo
biblioteca di architettura 15
fare ricerca
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in design
in design

forum nazionale
dei dottorati di ricerca in design
seconda edizione

a cura di Raimonda Riccini

ilpoligrafo
Università Iuav di Venezia
Scuola di dottorato di ricerca
Architettura, Città e Design
Curriculum Scienze del design

Forum nazionale dei dottorati


di ricerca in Design
seconda edizione
Università Iuav di Venezia
25-26 febbraio 2016

progetto grafico e redazione


Il Poligrafo casa editrice
grafica Laura Rigon
redazione Sara Pierobon

© Copyright dicembre 2016


Il Poligrafo casa editrice
35121 Padova
piazza Eremitani - via Cassan, 34
tel. 049 8360887 - fax 049 8360864
e-mail casaeditrice@poligrafo.it
ISBN 978-88-7115-976-8
Indice

12 Ricercare in Design
Alberto Ferlenga, Rettore Università Iuav di Venezia

14 Un’accademia del futuro


Benno Albrecht, Università Iuav di Venezia

15 Introduzione
Raimonda Riccini, Università Iuav di Venezia

Parte Prima
Forum “Fare ricerca in design”

1. dinamiche

1.1 Materiali

23 Report
Sonia Capece, Seconda Università degli Studi di Napoli
Luca Casarotto, Università Iuav di Venezia

25 Design della moda, tecnologie e materiali per il Made in Italy.


Uno strumento per il progetto
Valentina Nebiolini, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

30 Porositivity, il design della porosità. Investigare e sperimentare strumenti,


metodi e processi per il trasferimento del “progetto della porosità dei materiali”
al settore del design di prodotto
Enza Migliore, Seconda Università degli Studi di Napoli

37 Ultraskin. Comunicare, proteggere, performare.


Le nuove frontiere del textile design: da tessuto a pelle interattiva
Laura Arrighi, Università degli Studi di Genova

43 Approccio olistico alla selezione dei materiali nel settore industriale professionale
Agnese Piselli, Politecnico di Milano

50 Tra prefigurazione e configurazione. Modalità e strumenti per l’inizio del progetto


Maria Teresa Dal Bo, Università Iuav di Venezia
1.2 Processi

57 Report
Vincenzo Cristallo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Maddalena Mometti, Università Iuav di Venezia
Pietro Nunziante, Università degli Studi di Napoli Federico II

59 Processi di apertura nella progettazione e produzione


Silvia Gasparotto, Università Iuav di Venezia

65 L’evoluzione del design skill per artefatti digitalmente personalizzati


Viktor Malakuczi, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

72 Progettare la complessità
Silvia Pallotti, Università Iuav di Venezia

80 Dal digitale al postdigitale. Pratiche transmediali al confine con l’organico


Chiara Scarpitti, Seconda Università degli Studi di Napoli

86 Design roboetico applicato al settore dei musei:


come un approccio culturale può cambiare le interazioni fra uomo e robot
Luca Giuliano, Politecnico di Torino

1.3 Interazioni

93 Report
Francesco Bergamo, Università Iuav di Venezia
Dina Riccò, Politecnico di Milano

95 Progettazione di manufatti connessi per l’ambiente domestico:


riflessioni sui processi di progettazione e metodologie
Maliheh Ghajargar, Politecnico di Torino

104 Testi e contesti di relazione del design.


Dinamiche: percorsi, processi, innovazione, materiali, interazione
Jurji Filieri, Università degli Studi di Firenze

110 Affordances di intimità. Il sé esteso nell’interazione tra individuo e ambiente


Cecilia Luca, Università Iuav di Venezia

117 Design Research per HRI ludica.


Il ruolo del design per l’accettazione dei robot nella vita quotidiana
Maria Luce Lupetti, Politecnico di Torino

124 Ambient Assisted Living: dispositivo mobile intelligente


per una longevità attiva e indipendente delle persone
Davide Paciotti, Giuseppe Losco, Università degli Studi di Camerino
2. ETICHE

133 Report
Carla Langella, Seconda Università degli Studi di Napoli
Silvia Pericu, Università degli Studi di Genova
Lucia Pietroni, Università degli Studi di Camerino

134 SUNWAY. Soluzioni design-driven per la rigenerazione energetica lineare


Ivo Caruso, Seconda Università degli Studi di Napoli

141 Dynamic products: progettare nuovi dialoghi e nuove esperienze


per favorire il risparmio di risorse
Sara Bergamaschi, Politecnico di Milano

149 Design sistemico in campo medico sanitario: un caso studio sull’emodialisi


Amina Pereno, Politecnico di Torino

157 Materiali biomimetici e processi di stampa 3D


per lo sviluppo di prodotti innovativi a ridotto impatto ambientale
Jacopo Mascitti, Università degli Studi di Camerino

163 Con-temporaneo. Design per il riuso di spazi abbandonati


Chiara Olivastri, Università degli Studi di Genova

3. IDENTITÀ

171 Report
Elena Caratti, Politecnico di Milano
Eleonora Lupo, Politecnico di Milano
Massimiliano Ciammaichella, Università Iuav di Venezia

172 Identità diffuse. Il ruolo di visual design e storytelling


nella creazione del senso di appartenenza
Nicoletta Raffo, Università degli Studi di Genova

178 Le poetiche dell’immersione. Identità transmediali del corpo e del pensiero


Lucilla Calogero, Università Iuav di Venezia

185 Oltre la narrazione. Forme di racconto nella progettazione


della comunicazione contemporanea
Ilaria Mariani, Simona Venditti, Mariana Ciancia, Politecnico di Milano

192 Una lettura della dimensione di genere negli artefatti comunicativi


per la formazione di una conoscenza critica
Maria Isabella Reina, Politecnico di Milano

199 Fashion in Motion: (ri)scoprire la passerella nel museo


Alessandro Bucci, Edinburgh College of Art

206 Design for Care. Prodotti percettivi per il benessere terapeutico


Angela Giambattista, Seconda Università degli Studi di Napoli
4. MEMORIE

215 Report
Gianpiero Alfarano, Università degli Studi di Firenze
Maddalena Dalla Mura, Università Iuav di Venezia

217 Conservazione e valorizzazione degli alberghi d’autore


Niroscia Pagano, Seconda Università degli Studi di Napoli

223 L’evoluzione del design nautico attraverso la storia del diporto italiano
Michele Schiesaro, Università degli Studi di Genova

229 Gli archivi del design come patrimonio culturale: il caso di Annibale Oste
Anna Gallo, Seconda Università degli Studi di Napoli

236 Il disegno di moda italiano prima della moda italiana


Manuela Soldi, Università degli Studi di Parma

242 I depositi: nuove frontiere museali


Gabriele Toneguzzi, Seconda Università degli Studi di Napoli

248 La vita digitale dei manifesti pubblicitari: piste di ricerca e questioni metodologiche
Fabiola Leone, Université Lille 3 - Università Iuav di Venezia

5. POETICHE

257 Report
Luca Guerrini, Politecnico di Milano
Angela Mengoni, Università Iuav di Venezia
Gabriele Monti, Università Iuav di Venezia

259 Dall’errore all’errare: una soluzione estetica


Vincenzo Maselli, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

265 Figure di parola. Retoriche del tipogramma semantico


Giorgio Cedolin, Università Iuav di Venezia

271 Editoria sperimentale futurista e il museo portatile di Fortunato Depero


Gianluca Camillini, University of Reading - Libera Università di Bolzano

278 La rivista come dispositivo dell’immaginario: introduzione alla ricerca


e il caso studio «A Magazine Curated By»
Saul Marcadent, Università Iuav di Venezia

284 Il suono conta. Prospettive del suono nel design e nell’architettura


Doriana Dal Palù, Politecnico di Torino

292 Quando l’immaginario diventa progetto


Francesca Toso, Università Iuav di Venezia
6. POLITICHE

6.1 Territori

301 Report
Emanuela Bonini Lessing, Università Iuav di Venezia
Daniela Calabi, Politecnico di Milano

303 Pane al pane. L’Art Directors Club Milano e la pubblicità italiana


tra gli anni Sessanta e Settanta
Michele Galluzzo, Università Iuav di Venezia

310 I poster di Massimo Dolcini per il Comune di Pesaro.


Introduzione alla grafica di pubblica utilità in Italia e note sul contesto pesarese
Jonathan Pierini, University of Reading - Libera Università di Bolzano

317 Alle radici del design for social change. Il caso “Volterra ’73”
Alice Devecchi, Politecnico di Milano

323 L’ecologia non esisteva. Ipotesi pre-ecologiche nel movimento radical


Silvia Franceschini, Politecnico di Milano

6.2 Strumenti

331 Report
Dario Scodeller, Università degli Studi di Ferrara
Ali Filippini, Università Iuav di Venezia

332 Rappresentare informazioni, articolare conflitti.


Il design dell’informazione come strumento critico e politico
Andrea Facchetti, Università Iuav di Venezia

339 Design per la città multietnica


Veronica De Salvo, Seconda Università degli Studi di Napoli

344 Co-design per l’impatto sociale


Pablo Marcel de Arruda Torres, Seconda Università degli Studi di Napoli

Parte Seconda
Continuità / Discontinuità / Trasformazione
Contributi alla teoria del design

353 Continuità / Discontinuità / Trasformazione


Riportare al centro del design il pensiero critico e la teoria
Raimonda Riccini, Università Iuav di Venezia

362 Teoria scientifica per una scienza poietica


Michele Sinico, Università Iuav di Venezia

369 Design as Idea as Idea


Luca Guerrini, Politecnico di Milano
377 Teorie (Poetiche) “critiche”
Giuseppe Lotti, Università degli Studi di Firenze

382 Ri-fondamenti del design: interpretare saperi


Silvia Pizzocaro, Politecnico di Milano

394 Il design e l’estetica della sperimentazione.


Dal valore del dubbio alla precarietà del risultato
Vincenzo Cristallo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

399 Coltivare una visione. La crisi dei confini


e il fare dinamico e inquieto della ricerca in design
Raffaella Fagnoni, Università degli Studi di Genova

408 Verso un nuovo paradigma culturale per il design?


Viviana Trapani, Università degli Studi di Palermo

413 Fare ricerca nella disciplina del disegno industriale


Mario Buono, Seconda Università degli Studi di Napoli

421 Idee di ricerca


fare ricerca in design
Dall’errore all’errare: una soluzione estetica
Vincenzo Maselli Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Imperfezione, difetto, asimmetria, anomalia, difformità sono solo alcune del-


le accezioni che l’errore assume nei diversi ambiti di riferimento e nelle espressioni
degli autori. L’arte, l’architettura, il design, la letteratura hanno accolto il fenomeno
facendone una soluzione estetica, frutto di un’azione programmata o, talvolta, con-
naturata alla materia stessa, estendendo il concetto di errore a quelli di casualità e
variazione.
Qualunque siano le “etichette lessicali” con cui i vari autori hanno definito
i loro testi risulta evidente che l’oggetto di analisi, l’errore per l’appunto, non è un
concetto scontato o auto evidente, né riconducibile ad alcuna esperienza artistico-
progettuale storicamente inquadrabile.
Neo-razionalismo e neo-organicismo, e prima ancora le due matrici di razio-
nalismo e organicismo, sono poetiche che sottendono linguaggi diversi basati su una
grammatica comune, quella delle matrici geometriche ben identificabili e attentamen-
te predisposte per emulare l’artificialità del mondo delle macchine, piuttosto che la
sinuosità del mondo naturale.
L’errore, come poetica, non si pone in continuità né in antitesi con nessuna
delle esperienze progettuali a essa precedenti o contemporanee, perché non aspira
a seguire i dettami di una grammatica progettuale, né a sviluppare un linguaggio
nuovo: l’errore è connaturato al mondo stesso, è sotteso alle componenti generatrici
dell’oggetto (processi e materiali), non è una scelta, ma una condizione “reale”, che
attraversa in filigrana qualsiasi espressione umana. Il filosofo e sociologo francese
Micheal Foucault, nell’introduzione al testo di Georges Canguilhem Le normal et le
pathologique, scrive «life is what is capable of error» e «error is at the root of what
makes human thought and its history»1, definendo inumana qualsiasi pedissequa
aderenza alle norme e alle regole.
Una constatazione, dunque, è innegabile: l’errore sussiste in virtù di uno
scarto, rispetto a un codice comportamentale, un orizzonte normativo, o, nell’arte,
rispetto a morfologie riconoscibili, archetipi classici, a un ideale estetico o, più sem-
plicemente, ai dettami del gusto vigente.
Il dizionario, non a caso, fornisce due differenti definizioni del termine errore,
sottolineando nella prima il concetto di scarto, allontanamento e deviazione da una
via “corretta”, variazione rispetto a un background di archetipi culturalmente traman-
dati; nella seconda risale al termine errare, ed errare è girovagare, peregrinare, vaga-
bondare. Errare è divagare, non avere paura di cercare soluzioni altre, nuove, speri-
mentali, di affidarsi alla casualità e alla serendipità, come driver di evoluzione prima
ancora che di innovazione. L’attribuzione di un significato positivo all’errore è anche
il Core Project del progetto ERRANS in time, lanciato nel 2014 dall’Institute for Cultural

1
M. Foucault, Introduzione a G. Canguilhem, On the Normal and the Pathological, Dordrecht,
D. Reidel Publishing Company, 1978, p. XIX.

259
parte prima. forum “fare ricerca in design”

Inquiry di Berlino, con l’obiettivo di riqualificare il verbo inglese to err e riportare in


auge le accezioni di erramento, vagabondaggio e ricerca, a partire dal gettonato pro-
verbio errare humanum est e dalla volontà di peregrinazione processuale e concet-
tuale che parte dall’errore come stimolo per sperimentare, in cerca di una soluzione.
La connessione tra la variazione e l’errore nasce da speculazioni epistemo-
logico-filosofiche che sembrano giustificarla inequivocabilmente. Il filosofo francese
Merleau-Ponty riconosce, con una semplicità disarmante, che l’esistente è natural-
mente e intrinsecamente propenso allo scarto rispetto a un modello e ribalta il punto
di vista. Se l’errore è frutto di un giudizio conseguente alla percezione epistemica e fe-
nomenologica del mondo, e dunque rientra nella sfera della soggettiva rielaborazione
di uno scenario, questo stesso errore è nell’oggetto o in chi lo guarda? Riallacciandosi
ai concetti di soggettivismo, relativismo e umanità, l’errore perde i connotati di scarto
che declassa e diventa il risultato di un’azione che scalza gli oggetti dal loro piedistal-
lo non perché diventano privi di valore, ma perché si avvicinano a una dimensione
di mutevolezza, di vissuto e umanità, sullo stesso piano del soggetto fruitore, che in
quest’ottica può relazionarsi a loro e instaurare un rapporto dialettico di lacerazione
di un immaginario precostituito, o di rassicurante riconoscimento di irrimediabile e
sublime difformità. «[...] Il difetto non è qualcosa di sbagliato, [...] allontanandosi dal
concetto di perfezione teorica, si avvicina alla sfera umana e naturale»2.
L’esaltazione della difformità, la tensione verso l’incompiutezza hanno un’ori-
gine antichissima e se ne trova riscontro nel pensiero filosofico, in letteratura, nell’ar-
te fino, ad arrivare al progetto. La cultura giapponese, con il Wabi-Sabi, è la più antica
testimonianza di questa estetica.
Quando si chiede ai giapponesi di definire il Wabi-Sabi, la maggior parte di loro scuote
la testa, esita, pronuncia qualche parola di scusa per la difficoltà che incontra nel defini-
re il concetto. Quasi tutti i giapponesi affermano di capire la sensazione Wabi-Sabi [...],
ma pochissimi riescono a spiegarla con chiarezza.3

Non esiste, infatti, una traduzione letteraria di questa locuzione che acco-
sti due termini in origine considerati singolarmente. Wabi indica una bellezza umile,
asimmetrica e imperfetta «fatta di disgregazione, di terra, di foglie autunnali, erba
nella siccità, piume di corvo»4. Sabi fa invece riferimento alla desolazione, la transi-
torietà, la caducità e la solitudine. Non mancano nella letteratura dedicata tentativi di
definire questo binomio terminologico. Leonard Koren, architetto americano autore
di numerosi testi riguardanti l’estetica del progetto, definisce il Wabi-Sabi «la bel-
lezza delle cose imperfette, temporanee e incompiute. La bellezza delle cose umili e
modeste. La bellezza delle cose insolite»5. Una definizione sintetica, densa di signifi-
cato e dotata della tassonomia che individua i caratteri fondamentali di questo stile
di vita, prima ancora che approccio progettuale: rustico, semplice, non sofisticato,
immediato, senza pretese, dalle superfici ruvide e irregolari, transitorio, mutevole,

2
M. Levi, F. Ostuzzi, V. Romagnoli, G. Salvia, Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi
al design, Milano, FrancoAngeli, 2011, p. 65.
3
L. Koren, Wabi-Sabi per artisti, designer, poeti e filosofi, Firenze, Ponte alle Grazie, 2014, p. 15.
4
C. Sartwell, I sei nomi della bellezza. Esperienza estetica del mondo, Torino, Einaudi, 2006.
5
L. Koren, Wabi-Sabi per artisti, designer, poeti e filosofi, cit., p. 7.

260
5. poetiche

in potenza e in divenire, unico e irripetibile, umile e asimmetrico, ma soprattutto dif-


ficile da definire e da riassumere. Non è un caso, spiega lo stesso Koren, che a ini-
zio secolo Kakuzo Okakuka accennò, per primo forse in forma scritta, agli aspetti del
Wabi-Sabi nel testo The book of tea, evitando però accuratamente di usare questa
espressione. Il saggio giapponese capì la difficoltà di fornire una definizione sintetica
e standardizzata di un termine che esprime visceralmente il rifiuto di quell’ideale di
bellezza «così fasulla, stucchevole e istituzionale»6, che anestetizza la società. Non ha
senso definire uno stile di vita, con una sua grammatica irriducibile, quanto più, come
hanno fatto semiologi e progettisti, i caratteri degli oggetti che si fanno portatori di
questa filosofia progettuale. Andrew Juniper definisce il Wabi-Sabi semplicemente
una forma di bellezza diversa, che va al di là della dicotomia bellezza/bruttezza, che
«risiede in ciò che è modesto, rustico, imperfetto o addirittura decadente»7. Crispin
Sartwell lo ritiene rintracciabile nelle «cose appassite, erose, ossidate, graffiate, inti-
me, ruvide, terrose, evanescenti, incerte, effimere»8.
Quando è nato il bisogno di interrogarsi sui significati di un universo che
fugge la speculazione e la necessità di definizione e d’inquadramento in una sovra-
struttura “artificiale”? Quando, non a caso, la cultura orientale del Wabi-Sabi ha in-
contrato quella occidentale. Dalle ceramiche all’arte dei giardini, dalla letteratura ai
rituali quotidiani (la cerimonia del tè), da che se ne ha testimonianza il Wabi Sabi è
stato visto come una condizione naturale e necessaria della vita e dell’uomo, una
semplice espressione della sua imperfezione, rispetto alla perfezione della divinità, a
cui egli tende pur non arrivandoci mai.
L’occidente è venuto a conoscenza della sua esistenza nell’ultimo secolo, ma
questo evento ha soltanto fornito una giustificazione legittimata a trasformare in po-
etica progettuale un bisogno insito nell’uomo, quello di riflettere e di esprimere at-
traverso la sua opera il rapporto dicotomico di insofferenza e accettazione provocato
dalla constatazione della caducità della vita e della transitorietà delle cose terrene,
dalla malinconia e dalla percezione della propria imperfezione, dalla martellante e
rassicurante consapevolezza dell’errore e variazione cui le proprie azioni quotidiane
sono soggette: un errore, questo, carico di possibilità.
Il riferimento al Wabi-Sabi avvalla, in questo contesto, la difficoltà di definire
una parola, l’errore, quando indagato nella sfera dell’aspettualità.
Nel settimo numero della rivista «Documents» il filosofo francese George
Bataille, indagando la nozione di “informe”, ha posto il problema del concetto di de-
finizione critica e della pretesa di attribuire un senso alle parole indipendentemente
dall’attuazione del loro “nucleo pulsionale”. «Un dizionario dovrebbe cominciare nel
momento in cui non offrisse più il senso, ma il lavoro (les besognes) delle parole»9.

6
Ivi, p. 8.
7
A. Juniper, Wabi sabi, the Japanese art of impermanence, in M. Levi, F. Ostuzzi, V. Romagnoli,
G. Salvia, Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, cit., p. 25.
8
C. Sartwell, I sei nomi della bellezza. Esperienza estetica del mondo, cit.
9
G. Bataille, Informe, «Documents», 7, trad. it. in A. D’Ammando, M. Spadoni, Letture dell’infor-
me. Rosalind Krauss e Georges Didi-Huberman, Roma, Lithos, 2014, p. 9.

261
parte prima. forum “fare ricerca in design”

Una definizione fenomenologica, perciò, sembrerebbe la più valida per ri-


attribuire concretezza a una parola di cui, di fatto, nella quotidianità percepiamo le
conseguenze materiali.
Non a caso, prendendo spunto dall’arte e dalla letteratura, anche la cultura
progettuale occidentale ha iniziato a sentire la necessità di indagare, riconsiderare e
rivalutare l’errore, operando un’inversione di tendenza rispetto al desiderio di elimi-
narlo o quantomeno di nasconderlo.
Il design, nella sua accezione di progetto di relazioni «che si istituiscono tra
[...] cose materialmente e fisicamente date, e il senso che socialmente hanno o pos-
sono avere»10, ha accolto questi bisogni dell’uomo contemporaneo di rivedere “se
stesso” negli oggetti, senza dimenticare la dimensione progettuale. E dunque, alla
continua ricerca di poetiche e soluzioni progettuali sempre nuove, ha trovato nell’er-
rore uno spunto morfologico e tecnologico da affrontare con vigore e originalità, so-
prattutto nella sua accezione di erramento e variazione:
L’incontro dell’artificiale e del naturale, dell’ordine e del disordine, del fatto a macchina
e del corretto a mano: questo è l’insegnamento di un’estetica dell’asimmetrico che oggi
ci viene soprattutto dall’Est ma che ormai sta penetrando profondamente anche nella
nostra sensibilità occidentale.11

La storia e le origini di questa grammatica progettuale si sposano con la tec-


nologia e la semiotica. Gli oggetti si caricano di un significato che va al di là dell’im-
mediatezza della forma e coinvolge da una parte la percezione dell’esperienza, dello
scenario e, dall’altra, quella del processo produttivo, del materiale impiegato e della
soluzione tecnologica.
Numerosi progettisti hanno abbracciato i concetti di “diversità” e “imprevi-
sto” nella loro ricerca formale, arrivando, talvolta, a farne delle caratteristiche identi-
ficabili e una firma inequivocabile della propria opera.
Gaetano Pesce è forse uno dei casi più rilevanti. La sua riflessione ha genera-
to i temi del “mal fatto” e della “serie diversificata”, caposaldo della storia del design.
Contraddicendo le teorie orientali che basavano gran parte della loro riflessione sull’i-
dea che la manualità sola, con l’universo d’istinti, soggettività e casualità che com-
porta, poteva generare oggetti che riuscissero a comunicare questo ideale di bellezza,
Pesce lavora nella realtà produttiva occidentale, animata dall’industria, e trasforma
«la poetica del difetto da fatto accidentale a fattore programmato [...] strategia per la
produzione in serie di pezzi unici»12. Questa differenza è introdotta durante il proces-
so di produzione attraverso l’utilizzo di variabili casuali, che rendono i prodotti finali
simili ma non identici. E i materiali garantiscono possibilità espressive sempre nuove
e diverse attraverso interventi che vanno dal macroscopico (giustapposizione casuale
e scoordinata di moduli e volumi, come nelle poltrone Cannaregio) al microscopico,
mettendo in atto un approccio di sperimentazione tecnologica che trova nelle ma-
terie plastiche gli strumenti più interessanti. Nascono progetti come Broadway 543,
prodotto dalla Bernini, sedie nelle quali una struttura in tondino d’acciaio regge se-

10
G. Marrone, Introduzione alla semiotica del testo, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 11.
11
G. Dorfles, Elogio della disarmonia. Arte e vita tra logico e mitico, Milano, Skira,1986, p. 71.
12
C. Martino, La poetica del difetto, «Arte e Critica», XV, 57, febbraio 2009, p. 94.

262
5. poetiche

duta e schienale in resina epossidica di colori diversi liberamente additivati grazie


all’utilizzo di stampi aperti.
Ma la variazione, come accennato, non è solo conseguenza del processo, può
derivare anche da una casuale “mutazione genetica” del materiale utilizzato.
Il progetto Efeito-D nasce con questo intento, coinvolgere giovani designer
che sviluppino varianti dei loro prodotti che si differenzino dalle matrici in conseguen-
za all’introduzione nel loro codice genetico di un piccolo errore o, meglio, un elemen-
to di distinzione rispetto all’originale. L’idea nasce con un intento sociale, a partire da
riflessioni sulla sindrome di Down e sulle cause genetiche che la provocano. «Da qui
l’idea della mutazione come valorizzazione delle persone diversamene abili e, più in
generale, delle qualità insite in ogni persona»13.
Tra i progetti più noti le due sedute di Richard Hutter, Zzzidt-object e Rhino
Chair. Nella prima, una seduta in plastica per esterni dedicata ai bambini, la superficie
liscia continua e omogenea della sedia è interrotta da una bolla che emerge e carat-
terizza l’oggetto; nella seconda, invece, allo zoomorfismo perseguito nel progetto di
partenza viene affiancata l’idea di sorpresa e modificabilità, rivestendo la seduta con
un materiale gonfiabile.
Le possibilità tecnologiche ed espressive dei materiali sono diventate un re-
quisito di questa grammatica progettuale e si affiancano a esempi in cui la variazione
incontrollabile è veicolata sia dal materiale, sia dalle “abilità” manuali del progettista.
Rientrano in quest’ottica quei progetti legati a un artigianato che valorizza la gestuali-
tà del processo di “messa in forma” del materiale.
Il designer tedesco Maarten Baas mette in discussione i parametri del design
classico, inteso come purezza, nitidezza e simmetria delle linee, servendosi di un ma-
teriale, l’argilla, che impedisce per natura la ricerca di queste suggestioni.
Per la collezione Clay Forniture del 2006 questi ha realizzato tavoli, sedie,
sgabelli costituiti da un’anima in metallo con funzione strutturale e un rivestimen-
to in argilla realizzato interamente a mano, senza nessun processo industriale. Con
questa collezione si è catapultati in una dimensione onirica fatta di oggetti dotati di
una bellezza anticonvenzionale, che esalta la manualità, l’artigianalità del processo di
realizzazione, l’unicità e la modificabilità.
L’errare rivela, dunque, una doppia anima, poetico-progettuale da un lato,
conseguenza dei processi produttivi o delle caratteristiche fisico-chimiche dei ma-
teriali coinvolti dall’altro. E spesso queste due condizioni coesistono e sono causa
l’una dell’altra. L’unicità di molti prodotti industriali deriva dal materiale di cui sono
composti, altre volte dal bisogno d’imperfezione morfologica nel campo del sensibile
e del percepito come espressione di umanità.
Ammettere la variazione è un approccio progettuale che prescinde l’intenzio-
nalità e accoglie lo choc e la rottura come portatori di «inatteso, sorpresa, meraviglia
che sono una parte essenziale e la caratteristica della bellezza»14. L’errare diventa scel-
ta estetica, dunque, in quanto produce attesa dell’inatteso, che viene valorizzata rico-

13
M. Levi, F. Ostuzzi, V. Romagnoli, G. Salvia, Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi
al design, cit., p. 63.
14
C. Baudelaire, Fusées, in Id., Ouvres complètes I, Paris, Gallimard, 1975, p. 656 (“Pléiade”).

263
parte prima. forum “fare ricerca in design”

noscendole un carattere di autenticità, innocenza e naturalezza diverso dal recupero


degli stilemi biomorfi del Liberty, del Neo-Liberty e dell’Organicismo, o dall’esaltazio-
ne della sostenibilità dei processi naturali nell’approccio biomimetico.
Anche in questo caso, dunque, definire un’estetica dell’errare risulta arduo
ed efficace solo se definita per relazioni di contrarietà e in riferimento a un tratto di
“correttezza” di cui andrebbero esplicitati di volta in volta principi, caratteri, campi
semantici di applicazione e definiti i confini, linee guida che lasciano aperta la strada
alla deviazione inattesa, riconoscendogli il potere immaginifico di proiettarci «dall’in-
significanza verso il senso»15. «Nelle sacche dell’errore (che è un erramento) può an-
cora trovarsi un cammino»16.

Bibliografia
C. Baudelaire, Fusées, in Id., Ouvres complètes I, Paris, Gallimard, 1975 (“Pléiade”).
A. Branzi, Design italiano 1964-2000, Milano, Electa, 2008.
G. Canguilhem, Le Normal et le Pathologique, Paris, Presses Universitaires De France, 1966, trad.
inglese On the Normal and the Pathological, Dordrecht, D. Reidel Publishing Company,
1978.
A. D’Ammando, M. Spadoni, Letture dell’informe. Rosalind Krauss e Georges Didi-Huberman,
Roma, Lithos, 2014.
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