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1. Cogenerazione
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Il Decreto Legislativo n. 79/99 ha indicato la priorità di utilizzazione dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante impianti di cogenerazione. L’Autorità per l’Energia Elettrica e il
Gas, responsabile insieme al GRTN dell’applicazione di tale indicazione, ha emanato il 19 marzo 2002 una delibera che
stabilisce che un impianto può essere chiamato di cogenerazione se il suo indice di risparmio energetico IRE è superiore
al 5%. Tale indice esprime il risparmio percentuale di combustibile primario realizzato in un anno solare da un impianto
cogenerativo rispetto a due ipotetici impianti, uno dei quali produce esclusivamente energia elettrica e l’altro soltanto
energia termica. Il consumo di combustibile di questi due impianti è confrontato, a parità di energia elettrica e energia
termica prodotte, con il consumo effettivo dell’impianto di cogenerazione. La delibera stabilisce anche un valore
minimo (15%) dell’incidenza percentuale della produzione termica rispetto all’energia totale prodotta dall’impianto,
rispetto cioè alla somma dell’energia elettrica e di quella termica.
La legislazione attuale riconosce alla cogenerazione alcuni benefici. I principali sono:
• esenzione dall’obbligo di acquisto di Certificati Verdi relativi alla quota di energia elettrica prodotta da fonti
non rinnovabili;
• diritto all’utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta da impianti di cogenerazione, dopo quella
prodotta da fonti rinnovabili;
• qualifica di Cliente Idoneo per il mercato libero del gas naturale;
• possibile ottenimento di titoli di effficienza energetica commerciabili.
Gli impianti di cogenerazione italiani nel 2003 erano 337, con una potenza efficiente lorda di circa 8.889 MW.
Questi impianti hanno prodotto nel corso del 2003 circa 72 TWh elettrici e calore utile per 4,98 milioni di tep,
consumando combustibile per complessivi 17,75 milioni di tep.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
Pertanto, in tale sistema cogenerativo esistono quattro flussi energetici rilevanti che attraversano la
frontiera tra il sistema e l’ambiente:
• la potenza termica Qin sviluppata dalla combustione completa del combustibile immesso
nell’impianto (di norma con riferimento al suo potere calorifico inferiore),
• la potenza elettrica netta W, primo effetto utile,
• la potenza termica utile netta Qu, secondo effetto utile,
• la potenza termica dispersa ΣQdiss, che chiude il bilancio di primo principio del sistema,
somma di varie dispersioni che possono essere allocate in diversi processi presenti nel
sistema.
Vale la relazione:
Qin = W + Qu + ΣQdiss
Per tener conto di entrambi gli effetti utili è naturale definire un rendimento di primo principio:
W + Qu
ηI =
Qin
Questo rendimento, sicuramente utile in termini quantitativi, ha però il difetto di attribuire lo stesso
valore ad elettricità e calore, approccio lacunoso sia dal punto di vista energetico che da quello
economico.
E’ allora possibile riferirsi ad un rendimento di secondo principio, definito come:
T
W + Qu 1 − 0
ηII = Tx
Qin
in cui il calore è pesato con il suo equivalente meccanico, intendendo come Tx la temperatura media
a cui è reso disponibile il calore e T0 la temperatura dell’ambiente di riferimento.
Tuttavia anche questo rendimento ηII, seppure ineccepibile dal punto di vista termodinamico, ha in
genere il difetto opposto a ηI, cioè quello di attribuire un valore in genere troppo basso al calore
utile (soprattutto per valori di Tx medio-bassi) e di dare conseguentemente una valutazione riduttiva
all’opportunità di effettuare la cogenerazione.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
che attribuisce alla produzione elettrica solo la quota di combustibile in più rispetto alla produzione
termica con una caldaia.
Tale rendimento ηpe è facilmente confrontabile con ηelC, stabilendo come la cogenerazione consenta
di produrre elettricità con un rendimento superiore alle centrali puramente elettriche.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
2. Centrali a recupero
Nelle industrie chimiche, cartarie, tessili, alimentari si ha sovente la necessità di avere disponibile,
oltre all’energia elettrica, una notevole quantità di vapore, a pressione relativamente bassa, per le
lavorazioni.
Viene allora prodotto vapore con temperatura e pressione superiori a quelle di utilizzazione e si
sfrutta in un turbogruppo, per la produzione dell’energia elettrica necessaria per lo stabilimento, il
maggior salto entalpico disponibile.
Dette:
Gv la portata del vapore inviato alla turbina,
p2 la pressione del vapore allo scarico della turbina (che è pari a quella del
vapore alle utilizzazioni, maggiorata delle perdite di carico nelle tubazioni),
t2 la temperatura del vapore allo scarico della turbina (che sarà di 20÷30°C
maggiore di quella di saturazione per evitare che il vapore arrivi umido alle
utilizzazioni),
h2 l’entalpia del vapore allo scarico della turbina,
Pu la potenza elettrica netta utile,
Pa la potenza assorbita dagli ausiliari,
ηmt il rendimento meccanico della turbina,
ηa il rendimento dell’alternatore,
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Per ricavare la temperatura e la pressione del vapore si determinerà dapprima sul diagramma di
Mollier il punto 2’ corrispondente all’espansione teorica isoentropica che avverrebbe fra 1 e 2’,
utilizzando in turbina il salto adiabatico ∆had che è maggiore di ∆h.
∆h
h2 + ∆h − ∆had = h2 + ∆h −
ηi
∆h
essendo η i = il rendimento termodinamico della turbina.
∆had
Il punto corrispondente alle caratteristiche del vapore all’ingresso in turbina sarà l’intersezione della
isoentropica passante per 2’ e della isoentalpica h1.
Se le caratteristiche del vapore sono ammissibili per un impianto razionale, si costruirà un impianto
a recupero totale; se pressione e temperatura sono un po’ troppo basse, si potrà ancora costruire un
impianto a recupero totale partendo da vapore a temperatura e pressione più elevate ed immettendo
nella rete di distribuzione esterna la maggior potenza elettrica prodotta.
Se al contrario temperatura e pressione sono troppo elevate, per la convenienza economica si dovrà
aumentare la portata vapore praticando il recupero parziale, che consiste nel far espandere una
parte di vapore fino alla pressione p2 ed una parte fino alla pressione di un condensatore
tradizionale.
Una interessante applicazione è quella del riscaldamento centralizzato di vaste aree urbane mediante
centrali termoelettriche a recupero, con funzione di integrazione invernale per quanto riguarda la
produzione di energia elettrica.
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Per un impianto a recupero totale può essere impiegato il sistema con turbina a contropressione, nel
quale il vapore allo scarico dalla turbina va direttamente alle utilizzazioni, o quello con turbina a
condensatore caldo, nel quale il vapore condensa in uno scambiatore per generare acqua calda.
Nel primo caso, se il vapore viene consumato nelle lavorazioni, si ha un ciclo aperto e l’acqua deve
essere sempre integrata.
Nel secondo caso il ciclo è chiuso e si può usare acqua con alto grado di demineralizzazione.
In entrambi i casi la produzione di energia elettrica è rigidamente asservita alla produzione di
vapore per usi tecnologici.
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Per rendere indipendenti le due produzioni (energia elettrica e vapore per le lavorazioni) e nei cicli a
recupero parziale viene impiegato il sistema con turbina a spillamento regolato che consiste in una
turbina a due corpi (AP e BP); all’uscita del corpo AP si spilla il vapore per le utilizzazioni, mentre
la restante quantità di vapore va nel corpo di BP e quindi al condensatore.
I casi finora esaminati prevedono l’utilizzazione del vapore ad una sola pressione.
Talvolta è invece necessaria una certa quantità di vapore ad una pressione intermedia fra quella di
ammissione e quella di scarico: ciò si ottiene praticando uno spillamento in posizione opportuna.
Rispetto agli schemi di principio riportati nelle figure precedenti, quelli adottati negli impianti
industriali prevedono l’installazione del degasatore con funzione anche di preriscaldamento
dell’acqua di alimento, nonché, per gli impianti a ciclo aperto, di un impianto di trattamento
dell’acqua di integrazione.
Nella figura seguente è riportato lo schema di un impianto per la produzione di energia elettrica e di
vapore a due diverse pressioni, il cui ciclo prevede anche un riscaldatore di alta pressione.
E’ evidente che nel ciclo a contropressione i riscaldatori a spillamento, che possono essere richiesti
dalle caratteristiche della caldaia, non hanno alcun effetto nel migliorare il rendimento, mentre lo
hanno nel ciclo a condensazione.
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3. Generazione distribuita
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• tecnologie innovative:
Microturbine
Le microturbine realizzano un ciclo Brayton semplice, con compressore centrifugo
monostadio, turbina radiale centripeta ad uno o due stadi e palette non raffreddate,
rigenerazione molto spinta. Altre caratteristiche sono il rapporto di compressione alto per il
singolo stadio ma relativamente basso in assoluto, velocità di rotazione elevate e variabili,
presenza di un inverter che trasforma la corrente alternata ad elevata frequenza in corrente
continua e successivamente in alternata alla frequenza nominale di 50 Hz.
La velocità di rotazione è intorno al centinaio di migliaia di giri al minuto; le potenze sono
tra le decine e poche centinaia di kW; il rendimento elettrico si aggira intorno al 30%.
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La taglia delle microturbine è particolarmente adatta per impieghi nel settore terziario
(alberghi, ospedali, ristoranti, centri commerciali, serre, essicatoi, ecc.) o in piccole
industrie. Le maggiori barriere all’affermazione delle microturbine risiedono nei costi
d’impianto ancora elevati (900÷1300 €/kW).
Motori Stirling
I motori Stirling prendono il nome dal ciclo termodinamico cui fanno teoricamente
riferimento (due isoterme e due isocore).
La realizzazione pratica è un motore a doppio pistone e circuito chiuso, con un rigeneratore
e una fonte di calore esterna (camera di combustione esterna o collettore solare).
Un pistone libero (displacer) e un pistone di potenza (power piston) si muovono
alternativamente in un cilindro riempito con gas, in genere elio.
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Celle a combustibile
Le celle a combustibile sono dispositivi elettrochimici che convertono direttamente l’energia
chimica di una reazione in energia elettrica.
Schematicamente sono costituite da uno strato di elettrolita che separa un catodo e un anodo
porosi. Le reazioni elettrochimiche che generano energia elettrica avvengono agli elettrodi e
continuano fino a che anodo e catodo sono alimentati dall’esterno, rispettivamente da un
combustibile (idrogeno o gas arricchito di idrogeno tramite processi di reforming) e da un
ossidante (ossigeno contenuto nell’aria).
La scelta dell’elettrolita definisce la temperatura di esercizio ottimale di una cella a
combustibile, da cui discendono modalità operative, caratteristiche costruttive e
problematiche ben distinte per ciascun tipo di cella.
Il calore prodotto nella reazione elettrochimica può essere poi recuperato sotto forma di
acqua calda o vapore per riscaldamento e/o usi industriali, portando il rendimento
complessivo termico ed elettrico a valori superiori all’80%.
I prezzi sono ancora molto elevati e non competitivi; tuttavia i costruttori ritengono di
raggiungere nell’arco di alcuni anni l’obiettivo posto tra 1000 e 1500 €/kW.
Per aumentare l’efficienza delle unità destinate alla generazione distribuita sono realizzati anche
sistemi ibridi che accoppiano celle a combustibile, operanti a temperature superiori a 600°C, con
microturbine.
Tali sistemi offrono modularità, rendimenti elevati, basse emissioni.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
Nel modo bottoming lo scarico della turbina fornisce aria alla cella a combustibile.
Le celle SOFC sono adatte per essere impiegate nel modo topping per le alte temperature raggiunte
(intorno ai 1000°C), mentre le celle MCFC, che operano a 650°C, sono più adatte per il modo
bottoming.
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Tale impianto utilizza gas naturale e presenta un rendimento elettrico lordo del 71,2%.
All’avviamento la turbina a gas deve portare in temperatura le celle a combustibile e il reformer prima della loro messa
in servizio.
Le 15.616 celle a combustibile impiegate sono del tipo SOFC e hanno una tensione di lavoro pari a 0,76 V/cella.
Lo stesso tipo d’impianto è studiato per una taglia di 180 kW.
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4. Centrali geotermoelettriche
Gli impianti geotermoelettrici sono quelli che utilizzano il vapore naturale del sottosuolo (ad
esempio il vapore dei soffioni boraciferi) per generare energia elettrica.
Il soffione è un getto, naturale o ottenuto artificialmente per trivellazione, di vapore mescolato ad
altre sostanze (acido borico, anidride carbonica, ecc.); esso si sprigiona da grandi profondità del
sottosuolo (oltre 1000 metri).
La produzione di energia elettrica utilizzando vapore endogeno fu sperimentata, per la prima volta
al mondo, nel 1904 a Larderello in Toscana; nel 1913 fu installato, sempre a Larderello, il primo
gruppo di generazione geotermoelettrico da 250 kW, segnando l’inizio di questa nuova attività
industriale.
La produzione elettrica si mantenne a livelli modesti fino al 1938, ma successivamente ebbe un
rapido e costante incremento.
L’esperienza italiana ha rappresentato l’unico esempio nel mondo fino al 1958, quando fu installato
un gruppo di generazione in Nuova Zelanda; in quello stesso anno la produzione a Larderello aveva
raggiunto i 2 miliardi di kWh, con una potenza installata di circa 300 MW.
A partire dagli anni ’50 furono sviluppati i campi geotermici di Bagnore e Piancastagnaio,
localizzati sul Monte Amiata, e quindi il campo di Travale-Radicondoli, che si trova a circa 20 km a
est di Larderello.
Successivamente l’esplorazione geotermica fu estesa anche nel Lazio, in Campania e nelle Isole
Eolie. Tutte queste aree sono caratterizzate da elevate temperature nel sottosuolo, ma i modesti
valori di permeabilità riscontrati, le caratteristiche dei fluidi reperiti e le problematiche ambientali
ed autorizzative hanno reso possibile lo sviluppo per la produzione elettrica del solo campo di
Latera, ubicato nel Lazio settentrionale in prossimità del lago di Bolsena.
Per mantenere e addirittura incrementare la produzione di fluido endogeno sono state da tempo
avviate due differenti strategie:
• l’esplorazione profonda (3000÷4000 metri) per verificare la presenza di nuovi orizzonti
produttivi all’interno del basamento metamorfico sottostante il serbatoio carbonatico,
• la reiniezione di vapore condensato ed acqua all’interno del serbatoio, per incrementare la
produzione di vapore dai pozzi già in esercizio.
Ambedue le strategie hanno avuto successo e hanno permesso di incrementare significativamente la
produzione di fluido e quindi di energia elettrica.
La perforazione di pozzi profondi ha permesso di reperire fluido a maggiori temperature e pressioni
e di estendere le aree produttive.
La reiniezione nel campo di Larderello, avviata verso la fine degli anni ’70, ha permesso di
verificare che le acque immesse in alcuni pozzi vengono vaporizzate all’interno del serbatoio a
spese dell’enorme quantità di energia termica immagazzinata nelle rocce e il vapore così generato
incrementa la produzione dei pozzi circostanti.
Nel 2003 la produzione lorda di energia elettrica con impianti geotermici in Italia è stata di 5.340,5
GWh, con una potenza efficiente lorda di 707,0 MW.
Il fluido erogato dai pozzi è costituito da una miscela di vapor d’acqua e di gas, la cui percentuale in
peso è mediamente del 5%. Fra i gas è prevalente l’anidride carbonica (CO2) che ne rappresenta il
95% circa in peso; altri componenti sono l’idrogeno solforato (H2S), l’idrogeno, il metano (CH4) e
l’azoto. Sono inoltre presenti l’acido borico (H3BO3) e l’ammoniaca (NH3).
La temperatura del fluido erogato è variabile da un minimo di 150°C ad un massimo di 260°C; in
ogni caso il vapore risulta surriscaldato. La pressione alla bocca del pozzo varia con la portata
utilizzata, diminuendo dalla portata minima alla massima. La portata massima di un singolo pozzo
può superare le 300 t/h, ma è normalmente compresa tra 50 e 100 t/h.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
Prefissata una certa pressione di esercizio alla bocca del pozzo, la portata diminuisce sensibilmente
nel primo periodo di erogazione, tendendo a raggiungere un valore asintotico sul quale si stabilizza.
La tecnica di perforazione dei pozzi è analoga a quella petrolifera; alla bocca dei pozzi vengono
raccordati i vapordotti che trasportano il vapore alla centrale termica. Si tratta di tubazioni di
diametro notevole, rivestite di uno strato di materiale isolante, alle quali si assegna un andamento a
zig-zag per assorbire le dilatazioni termiche.
Le prime centrali costruite nella zona di Larderello hanno utilizzato direttamente il vapore
endogeno in turbine a contropressione, con vapore in entrata a circa 200°C e 5 kg/cm2 e in uscita a
105°C e poco più di 1 kg/cm2.
Questo sistema può richiedere la preventiva depurazione chimica del vapore per evitare un troppo
rapido logorio delle palette delle turbine (oppure le palette devono essere costruite con materiali
resistenti all’azione dei sali disciolti). Ha il vantaggio di un basso costo d’impianto, ma presenta un
consumo di vapore (a 4,8 kg/cm2 e 185°C) piuttosto elevato (20 kg/kWh). E’ particolarmente
indicato per l’utilizzazione di un fluido endogeno ad alto contenuto di gas incondensabili.
Si sono anche costruiti impianti nei quali il vapore endogeno cede il suo calore all’acqua, in appositi
scambiatori detti trasformatori di vapore, per ottenere vapor d’acqua puro da inviare in turbina.
Il vapore entra in turbina alla pressione di circa un’atmosfera e alla temperatura di 120°C; la turbina
è a condensazione, con condensatore a superficie raffreddato con acqua di circolazione fornita da
una torre di raffreddamento.
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Questo sistema ha il vantaggio di una minore usura delle turbine e di un consumo di vapore
abbastanza contenuto (14 kg/kWh), ma è più complesso e costoso sia come installazione che come
esercizio.
Con questo impianto si ha il problema dell’estrazione dei gas incondensabili dal condensatore: dati i
volumi presenti, l’estrazione deve essere effettuata con compressori a più stadi che assorbono il
10÷20% dell’energia prodotta; nonostante ciò si può ridurre il consumo di vapore a meno di 10
kg/kWh.
I compressori estrattori del gas possono essere azionati da un motore elettrico o essere coassiali al
gruppo turbina-alternatore.
Questo tipo di impianto è quello attualmente più adottato in Italia.
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Rispetto al ciclo Diesel teorico, quello effettivo presenta una minor potenza resa per effetto della
perdita triangolare, dovuta al fatto che per limitare la corsa del pistone lo scarico avviene secondo la
isocora 4’-1.
Il rapporto di compressione del motore è di 1:15 ÷ 1:20; si raggiungono pressioni di 20÷30 kg/cm2 e
la pressione media della fase di espansione è di 5÷6 kg/cm2.
La temperatura dopo la combustione raggiunge i 1500°C.
Il rendimento effettivo è inferiore a quello del ciclo teorico di Carnot-Ericsson (composto da due
isoterme e due isobare) evolvente fra le stesse temperature.
Se L è il lavoro per ciclo riferito all’unità di peso dei gas prodotti dalla combustione, m è il peso del
combustibile, Q2-3 il calore della trasformazione 2-3, sarà:
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Sarà allora:
L = R(T3-T2)+cv(T3-T4’)-cv(T2-T1)
Si può interpretare il secondo membro dell’uguaglianza come differenza tra la quantità di calore
trasmessa lungo la 2-3 e una quantità di calore supposta tolta nella trasformazione a volume
costante 4’-1.
Il rendimento del ciclo risulta:
L c (T − T )
η= = 1− v 4 1
Q c p (T3 − T2 )
T
T1 4 − 1
1 T
η = 1− ⋅ 1 (essendo k = cp/cv)
k T
T2 3 − 1
T2
k −1
T1 v 2 1
La 1-2 è una adiabatica e quindi: = = (essendo ρ = v1/v2)
T2 v1 ρ k −1
v3 T3
La 2-3 è a pressione costante e quindi: = =τ
v 2 T2
k
T4 p3 k −1
La 3-4 è una adiabatica e quindi: =
T3 p 4
τ k −1
η = 1−
kρ k −1 (τ − 1)
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Come noto, i motori Diesel possono essere a 2 o a 4 tempi, a seconda che il ciclo venga completato
con 2 o 4 corse di stantuffo, ovvero uno o due giri dell’albero.
Il tipo a due tempi a pari potenza ha minor peso e ingombro e maggiore uniformità della coppia
motrice. Nel primo tempo si ha l’espansione ed il lavaggio con aria; nel secondo tempo
compressione, iniezione del combustibile ed accensione.
Per grandi potenze (>800 CV per cilindro) i motori Diesel vengono costruiti a doppio effetto, cioè
con camere di combustione da entrambe le parti del pistone.
La velocità di rotazione varia fra i 150 e i 750 giri/min; il numero dei cilindri è compreso fra 6 e 18
e la potenza massima di una unità può raggiungere 10 MW.
I servizi ausiliari del motore possono essere azionati direttamente dall’albero oppure da motori
elettrici. I compressori e le pompe dell’acqua, dell’olio lubrificante e della nafta assorbono
complessivamente circa il 2% della potenza del motore.
Il raffreddamento dei cilindri è effettuato in circuito chiuso con acqua servizi refrigerata da acqua di
mare o di fiume; le necessità di acqua di raffreddamento sono notevolmente inferiori a quelle delle
centrali a vapore. L’acqua può anche essere raffreddata in ciclo chiuso con apposite torri di
raffreddamento.
Il deposito combustibile consta di appositi serbatoi sistemati all’esterno dell’edificio della centrale.
Per l’avviamento è necessario un impianto ad aria compressa, che deve avere una riserva d’aria in
serbatoio sufficiente per garantire l’avviamento anche dopo un lungo periodo di fermata.
L’accoppiamento col generatore è sempre rigido.
Per ridurre le irregolarità di tensione dovute alla coppia variabile del Diesel, se in servizio separato,
e per ridurre le oscillazioni della potenza erogata in parallelo con la rete, si deve richiedere per il
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gruppo elettrodiesel un piccolo grado di irregolarità (rapporto fra la differenza della velocità
massima e minima in un giro e la velocità minima).
Se il momento d’inerzia delle masse rotanti (compresa quella del generatore elettrico) non è
sufficiente a ridurre il grado di irregolarità al valore desiderato, occorre aumentarlo artificialmente
dotando il gruppo di volano.
I generatori diesel sono in genere utilizzati per alimentare servizi elettrici privilegiati, intervenendo
in presenza di black-out.
Sono altresì molto impiegati per l’elettrificazione di aree rurali lontane dalla rete principale,
soprattutto nei paesi del terzo mondo e in quelli in via di sviluppo.
Negli ultimi anni il progressivo calo dei costi degli impianti a fonti rinnovabili ha portato ad un
ricorso sempre più frequente a queste tecnologie per alimentare gruppi d’utenze o piccole reti locali
situate in aree remote. Data l’aleatorietà delle fonti rinnovabili, è poi opportuno associare ad esse
impianti in grado di garantire la continuità del servizio, quali i generatori diesel, realizzando in tal
modo sistemi ibridi.
La più generale configurazione di un sistema ibrido comprende una o più unità di generazione a
fonte rinnovabile (generatore fotovoltaico, eolico, idroelettrico), una o più unità di generazione
convenzionale (diesel), un sistema di accumulo (meccanico, elettrochimico, idraulico), sistemi di
condizionamento della potenza (inverter, raddrizzatori, regolatori di carica), un sistema di
regolazione e controllo.
Rispetto ai sistemi isolati che impiegano solo fonti rinnovabili, i sistemi ibridi consentono di
realizzare impianti di taglia maggiore, riducendo le dimensioni del sistema di accumulo e il rischio
di fuori servizio.
Fino ad ora il modo più comune per esercire gli impianti ibridi è stato quello di considerarli come
un accrescimento della potenzialità dell’impianto diesel.
Recentemente si sta diffondendo anche la tendenza a progettare sistemi ibridi nei quali le fonti
rinnovabili e l’accumulo forniscono fino all’80-90% dei fabbisogni energetici, lasciando al diesel la
funzione di soccorso. Naturalmente un impianto con queste caratteristiche richiede maggiori costi di
investimento e può essere conveniente laddove l’approvvigionamento dei combustibili è oneroso o
inaffidabile.
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Capitolo 5 – Gli altri impianti termoelettrici
Ad esempio, Mitsubishi propone varie configurazioni che impiegano motori da 12, 14, 16, 18
cilindri e potenze rispettivamente di 3800, 4450, 5100, 5750 kW.
Si può ottenere vapore, recuperando il calore posseduto dai gas di scarico, e acqua calda tramite il
raffreddamento dei cilindri del motore.
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