1915-1935
P E R C O R S I D E L L A S C U LT U R A I N I TA L I A DALLA SECESSIONE AL NOVECENTO
€ 12 ISBN 978-88-6557-240-5
A cura di
Carlo Fabrizio Carli
& Manuel Carrera
Roberto Falconi
Sindaco
4
Con questa mostra si inaugura una serie di rassegne espositive
che si propongono di valorizzare le collezioni del Civico Museo
d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado presentan-
done aspetti trasversali e poco noti.
Grazie all’integrazione di opere prestate da musei pubblici, fon-
dazioni, gallerie e collezioni private, queste mostre intendono fare
luce su alcuni dei grandi temi dell’arte italiana tra Ottocento e No-
vecento, anche attraverso uno sguardo più ampio che tenga conto
delle esperienze internazionali.
Già in occasione di questo primo focus sulla scultura, si sono potute
colmare lacune, rivedere e puntualizzare dati fino ad ora ambigui,
come provenienze, registri anagrafici, bibliografie e datazioni di
opere. Con il supporto di un qualificato comitato scientifico è stato
inoltre effettuato un completo riassetto delle collezioni che, tenendo
conto degli standard museali, garantisce ai visitatori un percorso di
visita coerente dal punto di vista storico-artistico e didattico.
Parallelamente è in corso un riordino del vasto materiale d’ar-
chivio che il Museo conserva insieme ad una ricca biblioteca, al fine
di renderlo fruibile agli studiosi. Senza dimenticare l’apertura alla
contemporaneità, intesa nelle sue manifestazioni più qualitativa-
mente degne di nota, attraverso il coinvolgimento di artisti viventi
di chiara fama, si è intrapreso un percorso ricco e impegnativo, con
l’augurio che il Museo torni ad essere punto di riferimento e d’in-
contro per il pubblico e gli addetti ai lavori.
Manuel Carrera
Direttore
5
Giuseppe Bottai inaugura il Museo il 15 settembre 1935
6
SCULTORI AD ANTICOLI
7
mana, a Fausto Pirandello e a Carlo Toppi) con una rassegna di
sculture, afferenti, appunto, al quarto di secolo 1915-1935, quasi
tutte appartenenti all’istituzione anticolana, con rare integrazioni
di opere significative concesse generosamente in prestito da colle-
zionisti privati per lo più legati al territorio, spesso eredi degli stessi
artisti: in tutto, una trentina di pezzi. Ne è conseguito, mi sembra
(se mi è lecito formulare simili apprezzamenti in questa sede), un
percorso coerente e significativo.
Dalla Secessione romana al repertorio Liberty, specie se assunto
in accezione sobria (analogamente, per intendersi, a quale avrebbe
potuto essere, nel contesto architettonico, il ruolo hoffmanniano),
quindi predisposto all’affermazione del nuovo linguaggio Déco. E
ancora dalla plastica novecentista alla statuaria monumentale, al fi-
nale ripiegamento intimistico, verificatosi con l’impietoso dissol-
versi, a seguito della disfatta bellica, dei miti magniloquenti e
bellicisti che il regime aveva fatti propri, privilegiando il nudo
eroico virile e la turgida fattività muliebre. Ripiegamento testimo-
niato eloquentemente già dalla terza ma vistosamente dalla quarta e
ultima Quadriennale della gestione Oppo, quella del 1943 (il piglio
insurrezionale di Corrente essendo qui, per varie motivazioni, pra-
ticamente assente).
Opere note e perfino assai note, alcune, per chi abbia familiarità
con il patrimonio artistico del nostro museo, e tuttavia non così
frequentate, al punto di appannare agli occhi di un pubblico più
esteso una riproposta capace di assumere anche il sapore della
(ri)scoperta.
Il percorso della mostra può iniziare, in pieno clima secessioni-
sta, con lo straordinario ritratto di Felice Carena, opera dello scul-
tore serbo Ivan Meštrovic, un gesso databile all'intorno del 1918, di
tutta evocazione anticolana (sia lo scultore che il pittore da lui effi-
giato appartennero infatti alla colonia di artisti residenti nel centro
laziale). È singolare (del resto già sottolineata da Mario Quesada)1
l’affinità formale di quest’opera, con il ritratto di Leonardo Bi-
stolfi, sempre modellato dell’artista serbo, che l’altro precedeva di
qualche anno ed era stato esposto alla prima Mostra della Secessione
nel 1913, dove Meštrovic, che era anche membro della giuria, giun-
geva sull’onda del successo riscosso nell’Esposizione romana del
8
Ivan Meštrovic
Ritratto di Felice Carena
1913
Muzeji Ivana Meštrovica,
Spalato
9
lentino. Per quanto riguarda la datazione, esso è sensibilmente po-
steriore al fregio romano (il monumento di Tolentino fu commis-
sionato nel 1927 e terminato un decennio più tardi), eppure dal
punto di vista compositivo - com'è stato giustamente osservato - al
fregio romano esso si rifà «per la costruzione per gruppi contrap-
posti, secondo una trama geometrica di ortogonali e diagonali, pro-
pria della definizione spaziale dell’Altare della Patria»4.
Fondamentale figura di collegamento tra la vicenda secessionista e
gli esiti novecentisti è quella del triestino (ma fin da giovanissimo na-
turalizzato romano) Attilio Selva, che espose alla terza e quarta Mostra
della Secessione e la cui fortuna riesce cospicua nell’intero corso degli
anni Trenta, come testimoniano la vasta produzione in ambito mo-
numentale e la nomina ad Accademico d’Italia nel 1932, in rappre-
sentanza della classe delle arti. La presenza di Selva in mostra è di
altissimo livello, mediante l’esposizione di quattro opere, una delle
quali concesse in prestito per l’occasione da un collezionista privato.
Il Ritratto della Principessa Brancaccio costituisce una delle più impor-
tanti acquisizioni del museo anticolano in epoca recente: elegan-
tissimo, grazie al rivestimento del modellato in gesso mediante cera
nera (i capelli sono invece dorati). Il contrasto avvalora la colloca-
zione dell’opera, non datata, alla stagione Déco e, nella fattispecie,
al crinale cronologico tra anni Venti e Trenta. Più o meno coeva
all’opera anticolana è un’altra prova ritrattistica di Selva, di ecce-
zionale qualità: il Ritratto della Signora Carena (1929).
Più complessa è la datazione del modelletto raffigurante Niobe e la
strage dei Niobidi: del piccolo gesso, testimonianza di un’ammirevole
capacità di modellato, non si conosce alcuna opera realizzata cui
esso si possa riferire, né tantomeno una data di esecuzione. È stata
pertanto formulata l’ipotesi che possa trattarsi di uno studio giova-
nile, di una di quelle prove accademiche, tipicamente ottocente-
sche, che erano però ancora in vigore all’inizio del secolo scorso5.
Enigma, un severo nudo femminile seduto e accosciato, è la fusione
in bronzo di una fortunatissima ideazione di Selva, la cui prima
versione, in gesso, può essere individuata nell’opera esposta nella
mostra della Promotrice di Belle Arti di Torino del 19196. Opera
di grande solidità, davvero misteriosa (circostanza su cui punta il
titolo), quasi un idolo, dagli occhi chiusi e dall’acconciatura egizia,
10
fortemente rinvia ad un gusto egittizzante che impronta tutta una
fase dell'opera di Selva. Del resto, questi si recò effettivamente in
Egitto nel triennio 1919-1921, per eseguirvi il ritratto e le medaglie
con l’effigie di re Fuad. Di sicuro, l’immagine della Sfinge presie-
dette all’ideazione della Fontana delle Cariatidi di piazza dei Quiriti
a Roma (1928), di cui, per prestito di una collezione privata, si
espone una versione di Cariatide.
Era opportuno che in una rassegna di scultura novecentesca fi-
gurasse almeno una presenza di artista animalier, ruolo qui assolto
dal romano Guido Calori, di cui è presente Armonie (1920), bronzo
concesso in prestito dall’omonima fondazione/museo di Sange-
mini. Favoriti anche dal tema idillico, emergono qui i pregi ma, se
si vuole, pure i limiti dell’opera di Calori: una misura classica, ele-
gante, raffinata, ma anche priva del piglio di una personalità di-
rompente e fortemente caratterizzante.
Ma è con Arturo Martini, con «il suo ricominciare daccapo il
discorso sulla scultura», per usare le parole di Fortunato Bellonzi,
che si tocca il momento centrale non soltanto del Museo anticolano,
ma altresì del percorso della mostra e dello stesso svolgimento della
scultura italiana della prima metà del Novecento.
Attentamente e ripetutamente studiato, il soggiorno martiniano
ad Anticoli nel biennio 1925-1926, con lo scultore costretto ad ac-
cettare, per il perdurare delle difficoltà economiche, la frustrante
collaborazione con lo scultore statunitense Maurice Sterne, che, in
sostanza, firma il monumento ai Pionieri americani a Worcester,
eseguito invece da Martini, è difficile riservi ulteriori sorprese7.
Analogamente può dirsi dell’altorilievo in gesso La Volante; tanto at-
tentamente e ripetutamente esplorato da lasciare ben poco margine
a novità. Come rileva giustamente Emanuela Settimi, l’altorilievo
è databile al biennio 1934-1935; anno in cui, con ogni evidenza,
l’artista dovette donare l’opera al museo anticolano in via di costi-
tuzione. La Volante può essere cronologicamente collocata tra il ri-
lievo del Sacro Cuore per la chiesa romana di Cristo Re a viale
Mazzini (prima presenza in quella che si andrà poi definendo quale
una sorta di asse della scultura all’aperto di Roma contemporanea,
assieme allo Stallone morente di Francesco Messina davanti al Palazzo
Rai e ad opere più recenti di Igor Mitorai e Bruno Liberatore) e il
11
Arturo Martini
Cavallino
1945
Collezione
Horn, Trieste
12
Orazio Amato
La prima ora
1930
GNAM, Roma
ricorda pure come Martini avesse già fatto ricorso, nel 1927, a que-
sto tema iconografico nella Via Crucis (Gesù portato al sepolcro); e come
nel Museo del Paesaggio di Pallanza sia conservato un bozzetto in
gesso, Studio per il ferito, attestante come la composizione fosse stata
ideata inizialmente a tutto tondo.
Se il Frammento di cavallo, ritrovato nello studio già occupato da Mar-
tini ad Anticoli, e quindi ragionevolmente attribuito al Maestro, può
costituire una preziosa traccia della sua operatività successiva (si pensi
al Cavallino del 1945, in Collezione Horn, a Trieste)10, La schiava del
mostro (1927), una piccola ceramica smaltata, tra le più coinvolgenti
della produzione martiniana, è tutta affidata ad un registro onirico.
Tali presenze plastiche sono accompagnate in mostra da due prove
grafiche, un importante disegno preparatorio per La Volante e l’ac-
quaforte correlata a una celebre ideazione plastica martiniana, La
Scoccombrina, databile all'incirca al 1928 e di cui è stata avanzata una
possibile riconnessione al contesto anticolano11.
A ben vedere, non è un caso che in contiguità cronologica con il
gran nome di Arturo Martini figuri quello di Carlo Toppi, scultore
13
anticolano (era figlio di Bernardino, modello ricercatissimo dagli
artisti di via Margutta), cognato di Attilio Selva, che aveva sposato
la sorella Natalina. Poco più che ragazzo (era nato nel 1909), Toppi
aveva dimostrato una nativa disposizione alla scultura, così da me-
ritarsi gli incoraggiamenti di Selva. Senza poter contare su una re-
golare formazione scolastica, il giovane era un autodidatta che
guardava avidamente a quanto gli accadeva intorno, a cominciare
da Martini, attivo in quel periodo ad Anticoli. Per Martini è questa
la stagione, oltreché dei primi importanti riconoscimenti, di un
linguaggio arcaicista, che sicuramente influenzò Toppi e le sue for-
melle di terracotta o di gesso, ottenute come impronte di una ma-
trice anch’essa in terracotta. Calate in una dimensione trasognata,
tra l’arcaico e il fiabesco (si espongono in questa occasione Il reduce
e Le Marie al sepolcro, entrambe databili all’inizio degli anni Trenta,
ed entrambe concesse in prestito dagli eredi), le formelle di Carlo
Toppi ottennero un immediato successo, tanto da valergli la pre-
senza alla prima e seconda Quadriennale, alla XX Biennale di Ve-
nezia (1936), e perfino l’accesso al circuito artistico e commerciale
svizzero e specificatamente asconese, grazie all’introduzione della
sorella Margherita, pittrice essa stessa e moglie dello scultore Paul
Osswald.
Precoce aderente al circolo baccariniano di Faenza, poi presente
alla seconda e terza mostra della Secessione romana; vincitore, non
ancora trentenne del Pensionato Artistico Nazionale, Ercole Drei
può essere annoverato tra gli scultori più apertamente impegnati
nelle grandi imprese decorative pubbliche del regime, a cominciare
dall’attuale Foro italico, per spingersi fino nell’Africa settentrionale
(i metafisici rilievi bronzei dell’Arco dei Fileni). Ma la fase di mag-
giore significato è probabilmente quella in cui Drei si apre alle ele-
ganze di un classicismo in chiave Déco, testimoniato in mostra, ben
più che dalla piccola statua dell’Arcangelo Michele (1935), dalla Commedia
(1928)12, un raffinato gesso patinato in oro. Nel secondo dopo-
guerra, Drei è ancora attivissimo, ma in un contesto di compostezza
classicheggiante (Vanità, 1955), ormai lontano dal nostro contesto
espositivo.
Domenico Ponzi ravennate, lungamente operante ad Anticoli
(anche lui aveva sposato una delle sorelle Toppi, Angelina, contri-
14
buendo ad attivare una fitta trama parentale) costituisce, per un
certo verso, il contraltare al classicismo eroico e aulico promosso
dal regime. Toppi era infatti molto sensibile al registro di un rea-
lismo sociale, altro polo di interesse del fascismo, volto ad esaltare
l’Italia agricola e contadina, la Battaglia del grano, le bonifiche e la
costruzione delle città nuove: Rurale di Littoria (1934; noto anche come
Contadino anticolano) s’intitola significativamente il gesso che qui si
espone, la cui versione in bronzo venne proposta alla seconda Qua-
driennale. L’opera - scrive Emanuela Settimi - «mostra una note-
vole forza plastica, priva di intenti estetizzanti». Testimonianza
eloquente di un registro che il regime assunse e coltivò in vista della
rilevanza sociale e della facile lettura per l’opinione pubblica, fina-
lizzata all’acquisizione del consenso. Tematica che era però anche
coltivata all’estero, specie in paesi autoritari, facendo ricorso a temi
non dissimili, dove avevano spazio interessi di propaganda di marca
populistica. Ad Anticoli, Ponzi aveva potuto mettere a fuoco il me-
stiere di scultore che, per varie circostanze, riuscì molto più faticato
e sofferto dei colleghi. Deliberatamente estraneo a concessioni di
tipo estetizzante, lo scultore restò fedele alla sua poetica della realtà,
come testimoniano le sue prove più felici, ad esempio: Al di là del-
l’aratro (1937), che fu esposto con rilievo alla terza Quadriennale.
La breve esistenza di Silvio Canevari è legata innanzitutto alla si-
stemazione dell’attuale Foro Italico e soprattutto di quell’autentico
museo all’aperto della scultura italiana del ’900 che è lo Stadio dei
Marmi: qui Canevari scolpì le figure di apertura della sequenza di
candidi colossi, l’Ercole offerto dalla Provincia di Roma, e l’antistante
Ercole approntato da quella di Brindisi. Nel museo di Anticoli, per
donazione della vedova dell’artista, fin dal tempo dell’istituzione
della raccolta, è conservata una piccola scultura in gesso dorato, raf-
figurante Naiade e Tritone. Secondo una tradizione familiare dovrebbe
trattarsi del bozzetto di una scultura destinata a decorare la singolare
abitazione romana dell’architetto Armando Brasini, sulla via Fla-
minia13, manifesto di un’architettura eclettica e antimoderna.
Ad una koiné plastica degli anni Trenta appartiene poi un gruppo
di opere conservate nel museo, che è parso giusto documentare in
mostra: Riccardo Assanti è presente con lo spigliato Ritratto della mo-
glie, la pittrice irlandese Lylah O'Brien; Lidia Franchetti, con il Ri-
15
tratto della Principessa Pierina Brancaccio; il Ritratto muliebre propone la figura
del napoletano Francesco Parisi, già allievo di Achille D’Orsi, ri-
tratto che sarà sì «modellato secondo i canoni di un naturalismo
accademico»14, come sostiene giustamente Barbara Drudi, ma che
riserva un margine di non scontata spigliatezza. Di Gerolamo Pic-
coli sono l’assorto e insolito Ritratto di mia moglie e Donna sdraiata, que-
st’ultimo efficace sintesi dell’assunzione in clima novecentista di
spunti formali già ampiamente praticati in area Déco.
Il museo di Anticoli possiede un nutrito fondo di una trentina
di opere, tra gessi e disegni (donati dalla famiglia in anni recenti;
in mostra si espongono due gessi e un disegno), di Andrea Spadini15
figlio del più celebre Armando e legatissimo al centro laziale per
avere sposato una ragazza anticolana, Letizia Placidi. Allievo dap-
prima, a Firenze, di Libero Andreotti e poi (1925-1929) di Arturo
Martini a Monza, con particolare attenzione per Donatello e per lo
stesso Martini, Andrea Spadini fu inizialmente attivo nella ritratti-
stica e poi nella plastica autonoma, guadagnandosi la partecipazione
a rassegne prestigiose come la seconda Quadriennale e giudizi lu-
singhieri («scultore vigoroso», F. Mulè; «bella promessa», M.
Bernardi; «nuova speranza», U. Nebbia)16. In anni più tardi,
Mario Quesada, con formula felice, riferendosi retrospettivamente
all'attività degli anni Trenta, parlerà di un’«aspirazione alla purezza
dell'apparizione scultorea». Nel dopoguerra, Spadini fu attivo so-
prattutto nel campo della ceramica, un contesto che è però estraneo
al nostro ambito espositivo.
Se analogo a quello di Mimmo (Andrea) Spadini fu il legame con
Anticoli Corrado di Attilio Torresini, ovvero il matrimonio con
Angelina Colasanti; simile fu pure la loro concezione della scultura,
ispirata ad un sostanziale classicismo e per una particolare predile-
zione per il nudo muliebre, che si fa più vibrante di modellato in
Spadini. È appunto Angelina Colasanti, prima modella, poi mo-
glie, nel 1927, dello scultore veneziano, ad essere effigiata nel gesso
patinato (Ritratto della moglie) conservato nel museo. Testimonianza
della prima attività dell’artista, tesa all'idealizzazione della bellezza
femminile17, mentre poi Torresini avrebbe fatto proprio un lin-
guaggio più arcaicizzante, l’opera può essere datata all’arco tempo-
16
rale dal 1926 al 1930. Fu notata e apprezzata dai contemporanei:
ad esempio Alberto Neppi la descrisse come una «soave testa fem-
minile in terracotta»18. Torresini fu ampiamente attivo anche nel
dopoguerra. Se Elena Pontiggia19 lo annoverò sotto la sigla dell’idea
della bellezza, interessante è il giudizio che di lui dette in tempi re-
centi Vittorio Sgarbi, collocandolo idealmente vicino a Francesco
Messina: «[...] Torresini è il punto d’equilibrio, il contrappeso
classicistico di una situazione romana tutta orientata verso l'espres-
sionismo, il colore, l'emozione[...]»20.
A questo punto, la mostra esce idealmente dal Museo, coinvol-
gendo la celebre fontana ideata da Arturo Martini per piazza delle
Ville, la scultura lignea di Domenico Ponzi nella chiesa di San
Rocco, e, in primo luogo, quelli che furono gli studi e le abitazioni
degli artisti. Questi, talvolta, non si limitano ad offrire le sole, sep-
pure fortemente evocatrici, strutture edilizie, ma contengono tut-
tora testimonianze, amorevolmente conservate dai discendenti,
dell’operatività dei loro antichi abitatori: Carlo Toppi, Attilio Selva,
Domenico Ponzi.
Note
17
8 - Emanuela Settimi, in Aa.Vv. (a cura di Laura Indrio), Civico Museo d’Arte
Moderna Anticoli Corrado, cit., p. 115.
9 - Giorgio Pellegrini, Il braccio della morte. Migrazioni iconografiche, Cagliari
1993.
10 - Aa.Vv., Orazio Amato. Un pittore tra le due guerre, (catalogo della mostra,
Roma, Palazzo Venezia), Roma 2003, p. 187.
11 - Elena Pontiggia, La Scoccombrina, in Claudia Gian Ferrari, Elena Pon-
tiggia, Livia Velani, Arturo Martini, (catalogo mostra, Milano e Roma), Mi-
lano 2006, p. 134.
12 - Francesca Antonacci, Giovanna Caterina de Feo, Ercole Drei dalla Seces-
sione al Classicismo del Novecento, Roma 2005.
13 - Amarilli Marcovecchio, in Aa.Vv. (a cura di Laura Indrio), Civico Museo
d’Arte Moderna Anticoli Corrado, cit., p. 72.
14 - Emanuela Settimi, in Aa.Vv. (a cura di Laura Indrio), Civico Museo
d’Arte Moderna Anticoli Corrado, cit., p. 128.
15 - Barbara Drudi, in Aa.Vv. (a cura di Laura Indrio), Civico Museo d’Arte
Moderna Anticoli Corrado, cit., pp. 124-125.
16 - Su Andrea Spadini si vedano Patrizia Miracola, Andrea Spadini: uno scultore
romano degli anni Trenta, in «Bollettino d’Arte», Istituto Poligrafico dello
Stato, Roma 2001 e Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Vincenzo Mazzarella,
Roma 1992.
17 - Mario Quesada, Andrea Spadini, in Aa.Vv., Roma 1934, (catalogo mostra,
Modena), Modena s.i.a., pp. 237-238.
18 - Giovanna Caterina de Feo (a cura di), Attilio Torresini, Roma 2000.
19 - Elena Pontiggia, Mario Quesada, L’idea del Classico 1916 - 1932. Temi classici
dell'arte italiana degli anni Venti, Milano 1992.
20 - Vittorio Sgarbi, Scultura italiana del Novecento, Bologna 1992, pp. 18-21;
214-215.
18
TAVOLE
1 - Nicola D’Antino, Danzatrice, 1914
20
2 - Ivan Meštrovic, Ritratto di Felice Carena, 1918 ca.
21
3 - Attilio Selva, Enigma, 1919
22
4 - Attilio Selva, Ritratto della Principessa Brancaccio, 1920
23
5 - Guido Calori, Armonie, 1920
24
6 - Attilio Selva, Niobe e la strage dei Niobidi, 1925 ca.
25
7 - Silvio Canevari, Najade e Tritone, 1925
26
8 - Angelo Zanelli, Bozzetto per il monumento ai caduti di Tolentino, 1927 ca.
27
9 - Arturo Martini, La schiava del mostro, 1927
28
10 - Attilio Selva, Cariatide, 1928 ca.
29
11 - Ercole Drei, La Commedia, 1928
30
12 - Lidia Franchetti, Ritratto della Marchesa Pierina Navarra Viggiani, 1930
31
13 - Francesco Parisi, Ritratto, 1932
32
14 - Arturo Martini, La Volante, 1934
33
16 - Domenico Ponzi, Rurale di Littoria, 1934
34
17 - Riccardo Assanti, Ritratto della moglie, 1935 ca.
35
18 - Domenico Ponzi, Uomo che corre nel vento, 1935 ca.
36
19 - Attilio Torresini, Ritratto della moglie (Angela Colasanti), 1935 ca.
37
20 - Carlo Toppi, Il reduce, 1935 ca.
38
21 - Carlo Toppi, Le Marie al Sepolcro, 1935 ca.
39
22 - Ercole Drei, San Michele Arcangelo, 1935 ca.
40
23 - Girolamo Piccoli, Donna sdraiata, 1935
41
24 - Andrea Spadini, Tre cantori, 1935 ca.
42
26 - Andrea Spadini, Nudo seduto, 1935 ca.
43
30 - Domenico Ponzi, Al di là dell’aratro, 1937
44
SCHEDE
45
esposizione nazionale di belle arti nel cinquantenario della capitale, Roma 1921
Bibliografia: Società promotrice delle Belle Arti, Esposizione Nazionale di belle arti, cata-
logo della mostra, Torino 1919, p. 26, n. 119; I Biennale Romana, catalogo
della mostra, Roma 1921, p. 75; F. Antonacci, G. C. de Feo, Attilio Selva
(1888-1970): sculture, Roma 2008, pp. 30-32 (con bibliografia prece-
dente); G. C. de Feo, Attilio Selva (Trieste 1888 – Roma 1970): scultore a Villa Strohl-
Fern, Roma 2010, p. 21
46
7 - SILVIO CANEVARI (Viterbo 1893 - Roma 1951)
Najade e Tritone
1925
gesso dorato
cm 23 x 14 x 24
N. inv. 039
Bibliografia: L. Indrio (a cura di), Civico museo d’arte moderna, Anticoli Corrado,
Roma 1995, pp. 71-72
47
stra, Roma 1929, p. 42; G. C. de Feo, Attilio Selva (Trieste 1888 - Roma 1970):
scultore a Villa Strohl-Fern, Roma 2010, p. 29, 35-37
48
ragionato delle sculture, Vicenza 1998, n. 404 (con bibl. prec.)
49
19 - ATTILIO TORRESINI (Venezia 1884 - Roma 1961)
Ritratto della moglie (Angela Colasanti)
1935 ca.
gesso patinato
cm 38,5 x 20 x 28
N. inv. 176
Bibliografia: L. Indrio (a cura di), Civico museo d’arte moderna, Anticoli Corrado,
Roma 1995, p. 155
50
N. inv. 128
Bibliografia: L. Indrio (a cura di), Civico museo d’arte moderna, Anticoli Corrado,
Roma, 1995, p. 125
51
29 - ANDREA SPADINI (Roma 1912 - 1983)
Studio per Letizia dormiente
1935
inchiostro di seppia su carta
mm 317 x 188
N. inv. 339
52
LIVIO SCARPELLA E PAOLO LA MOTTA AD ANTICOLI CORRADO
Manuel Carrera
53
mosaicata della testa di moro, per la quale lo scultore si è servito
della collaborazione di importanti laboratori ravennati, porta alla
mente la produzione degli anni Trenta/Quaranta di artisti quali
Lucio Fontana e Mirko Basaldella, mentre l’estrosa esplosione di
colori è direttamente riconducibile ad una cifra personale che ca-
ratterizza quella sua produzione definita in più occasioni «pop».
Il dialogo con gli artisti in collezione prosegue con Paolo La
Motta e le sue sculture più silenziose, legate ad una dimensione in-
timista. Si veda, ad esempio, la terracotta policroma intitolata Vasca,
che sembra richiamare la Letizia dormiente di Andrea Spadini in mo-
stra: lo scultore romano, nell’immortalare sua moglie, l’anticolana
Letizia Placidi, realizza un ritratto arcaizzante velato da quella de-
licata sensualità che si ritrova nei nudi di La Motta. L’atmosfera so-
spesa, tipica di molta arte italiana degli anni tra le due guerre, è
ancora il tratto distintivo di un’altra scultura in esposizione, Tuffatori:
nel sapiente gioco di rapporti tra figure ed elementi geometrici, lo
scultore napoletano sembra citare il Capogrossi figurativo delle
scene balneari. Tale omaggio trova al Museo di Anticoli Corrado
una sede particolarmente appropriata, considerato il rapporto del
pittore romano con il borgo, presso il quale soggiornò a lungo af-
fittando uno studio ancora oggi esistente.
Oltre alla citazione e all’omaggio - che passa anche per la scultura
barocca (Scarpella, Ghost) e la tradizione ottocentesca (La Motta nel
gemitiano Giocoliere) - si è inteso dare spazio anche alle espressioni
più personali dei due artisti, slegate dalla lezione dei maestri ed
ugualmente oneste nelle intenzioni. Nella Figura di La Motta gli echi
martiniani sono appunto echi, lontanissimi, e altrettanto lontana
è la reminiscenza Liberty della stilizzazione à la D’Antino: prevale
una plasticità solida, non priva di una sensibilità cromatica che
rende l’opera una perfetta sintesi delle eccezionali abilità scultoree
e pittoriche dell’artista napoletano. Autentica, quasi messa a nudo,
l’arte di Scarpella si rivela in tutta la sua sincerità nella terracotta
Homme de terre, classica nella migliore delle accezioni; qui l’artista
lombardo non è più figlio di Adolfo Wildt o Attilio Selva: è scultore
puro e senza tempo, incantato da una bellezza ideale che dalla Gre-
cia giunge a noi inalterata.
54
Livio Scarpella
Nuba Mosaic
2013
mosaico di marmi policromi,
paste di vetro, oro e argento
cm 65 x 47 x 45
55
Livio Scarpella
Ghost
2011
ceramica e quarzo
h cm 60
56
Livio Scarpella
Autoritratto bifronte
2013
ceramica
cm 61 x 45 x 25
57
Livio Scarpella
L’homme de terre
2014
terracotta
cm 86 x 49x 50
58
Paolo La Motta
Figura
2005
terracotta policroma
cm 48 x 26 x 26
59
Paolo La Motta
Giocoliere
2005
terracotta policroma
cm 55 x 38 x 35
60
Paolo La Motta
Vasca
2005
terracotta policroma
cm 20 x 63 x 28
61
Paolo La Motta
Tuffatori
2013
terracotta patinata e legno
cm 81 x 97 x 37
62
Questo catalogo è stato composto con carattere Mrs Eaves
stampato e numerato in cinquecento copie nel mese di marzo
dell’anno duemilaquindici, avvicinandosi
l’equinozio di primavera.
Copia numero