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CONDOMINIO: ripartizione delle spese per la manutenzione dei canali di scarico

delle acque
(Cassazione civile, Sezione 2, sentenza n. 19045 del 3.9.2010)

L’art. 1117 n. 3 c.c. pone una presunzione di comproprietà delle parti comuni del
condominio da esso indicate, tra cui figura anche l’impianto di scarico delle acque.

In particolare, deve considerarsi in comune la parte dell’impianto che raccoglie le acque


provenienti dagli appartamenti e, quindi, che presenta l’attitudine all’uso ed al godimento
collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che,
diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà
esclusiva (Cass. civ. n. 583/01 e n. 9940/98 in tema di impianto di riscaldamento).

Tale impostazione trova ulteriore confermata dalla sentenza in commento.

Secondo la Suprema Corte, infatti,i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune
solo fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva, e poiché
la braga di innesto – cioè l’elemento di raccordo tra la colonna di scarico condominiale e
l’utenza esclusiva del singolo condomino – è strutturalmente posta nella diramazione che va
ai singoli appartamenti, essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale: la
braga, qualunque sia il punto di rottura della stessa, serve soltanto a convogliare gli scarichi
di pertinenza del singolo appartamento, a differenza della colonna verticale che,
raccogliendo gli scarichi, di tutti gli appartamenti, serve all’uso di tutti i condomini.

Ne consegue che la spesa per la riparazione dei canali di scarico dell’edificio in


condominio sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna
verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle
tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti.

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Testo della sentenza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Bu.Re. e Da.Gi. convenivano in giudizio Fr.Na. esponendo: che l'appartamento di loro proprieta' era
stato interessato da infiltrazioni di acqua provenienti dalle tubature dell'impianto dell'appartamento
soprastante di proprieta' della Fr. la quale si era opposta a far accedere alla propria abitazione un
idraulico per l'esecuzione delle necessarie riparazioni; che cio' aveva reso necessario il ricorso ad un
procedimento ex articolo 700 c.p.c., conclusosi con pronuncia con la quale era stato ordinato alla Fr.
di provvedere all'immediata esecuzione dei lavori atti ad eliminare le infiltrazioni; che i lavori erano
stati eseguiti; che era stato possibile stabilire che la perdita aveva avuto origine "nella braga di
innesto dello scarico del lavandino della Fr. alla colonna condominiale". Gli attori chiedevano
quindi la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti a causa delle infiltrazioni.

La Fr. , costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda - sostenendone l'infondatezza - e, in via


riconvenzionale, la condanna degli attori al risarcimento dei danni patiti determinati dalla loro
illecita condotta.

Con sentenza 21/1/2003 l'adito tribunale di Cremona accoglieva la domanda principale -


condannando la convenuta a pagare agli attori euro 971,31 a titolo di risarcimento danni - e
rigettava quella incidentale.

Avverso la detta sentenza la Fr. proponeva appello al quale resistevano il Bu. e la Da. .

Con sentenza 19/4/2005 la corte di appello di Brescia rigettava il gravame osservando: che la
perdita d'acqua infiltratasi nel soffitto dell'appartamento sottostante era stata determinata dalla
rottura della tubazione di scarico nel tratto obliquo creato per convogliare le acque del lavandino
della Fr. alla colonna condominiale; che la distinzione, operata dalla appellante, tra tratto di
proprieta' esclusiva e tratto costituito da un elemento speciale formante corpo unico con la colonna
verticale di proprieta' condominiale, non trovava alcun riscontro sul piano tecnico e contrastava con
la definizione comunemente data alla "braga" in questione; che quindi correttamente il tribunale
aveva affermato l'appartenenza del tratto di tubazione in questione in proprieta' esclusiva alla Fr. ed
aveva ravvisato la sussistenza in capo alla stessa della responsabilita' per cose in custodia ex
articolo 2051 c.c; che la prova della sussistenza del danno subito dagli appellati risultava dagli
accertamenti eseguiti dal geometra Pa. - trasfusi nella relazione del 21/10/1999 - e dalla acquisita
documentazione fotografica, oltre che dalla prova testimoniale; che, come emergeva da tali
risultanze probatorie, i soffitti e le pareti del servizio igienico e relativo disimpegno
dell'appartamento dei coniugi Bu. - Da. erano interessati da evidenti tracce di infiltrazioni d'acqua;
che, al contrario di quanto asserito dalla appellante, il condominio non si era accollato l'onere della
spesa necessaria per il ripristino dell'appartamento degli appellati; che la quantificazione del danno
in euro 800,00, in linea capitale, pur essendo piu' ampia rispetto a quella indicata dal geometra Pa.
in lire 1.350,000, era giustificata da vari elementi (nel dettaglio indicati); che giustamente era stata
rigettata la domanda riconvenzionale proposta dalla Fr. tenuto conto della riscontrata legittimita'
dell'iniziativa giudiziaria intrapresa dai citati coniugi.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Brescia e' stata chiesta da Fr. Na. con ricorso
affidato a quattro motivi. Re. Bu. e Da.Gi. hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE


>
Con il primo motivo di ricorso la Fr. denuncia violazione dell'articolo 1117 c.c., n. 3, sostenendo
che - come affermato nella stessa sentenza impugnata - il punto di rottura della tubazione di scarico
e' stato individuato nel tratto obliquo che convoglia le acque del lavandino di proprieta' di essa
ricorrente alla colonna condominiale. La perdita d'acqua e' quindi da ascriversi alla rottura di un
elemento comune dell'edificio. Infatti la "braga di innesto" tra la colonna di scarico condominiale e
l'utenza esclusiva di un singolo condomino costituisce un corpo unico con la colonna condominiale
ed e' un elemento di esclusiva proprieta' del condominio. La corte di appello ha quindi errato
nell'interpretare l'articolo 1117 c.c., n. 3.
<br><br>
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2051 c.c., deducendo che la
presunzione di colpa per i danni cagionati dalla cosa in custodia trae giustificazione all'esistenza di
un effettivo potere fisico del soggetto sul bene stesso. Nella specie essa Fr. non ha mai avuto un
potere di intervento sulla parte della tubatura in questione trattandosi di un pezzo da considerarsi un
tutt'uno con la braga condominiale. Infatti per poter intervenire e' stata necessaria una delibera
condominiale. La responsabilita' ex articolo 2051 c.c., va quindi imputata solo al condominio.
<br><br>
Con il terzo motivo la Fr. denuncia vizi di motivazione per aver la corte di appello omesso di
esaminare un fatto decisivo, ossia che la parte della tubatura che ha causato il danno appartiene ad
un unico blocco costituente la colonna verticale di proprieta' condominiale cosi' come provato dalla
documentazione prodotta. Il giudice di appello ha omesso di esaminare alcuni elementi probatori
quali: le perizie del geometra B. e del geometra Pa. e i verbali di assemblea condominiale del
23/11/1999 e del 25/1/2000.
<br><br>
La Corte rileva l'infondatezza delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per
economia di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione
ed interdipendenza riguardando tutte - quale piu' quale meno e sia pur sotto aspetti e profili diversi -
la stessa questione relativa alla condominialita' o meno della "braga" della colonna di scarico dalla
quale sono derivate le infiltrazioni d'acqua nell'appartamento dei coniugi Bu. - Da. .
<br><br>
Al riguardo va osservato che la soluzione data dalla corte di appello a tale quesito e' ineccepibile e
conforme ai principi che questa Corte ha avuto modo di affermare - e che il Collegio condivide e fa
propri - secondo cui:
<br><br>
<b>- ai sensi del l'articolo 1117 c.c., n. 3, i canali di scarico sono oggetto di proprieta' comune solo
fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprieta' esclusiva, e poiche' la braga, quale
elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura
verticale, di pertinenza condominiale, e' strutturalmente posta nella diramazione, essa non puo'
rientrare nella proprieta' comune condominiale, che e' tale perche' serve all'uso (ed al godimento) di
tutti i condomini; e, nella specie, la braga qualunque sia il punto di rottura della stessa, serve
soltanto a convogliare gli scarichi di pertinenza de singolo appartamento, a differenza della colonna
verticale che, raccogliendo gli scarichi, di tutti gli appartamenti, serve all'uso di tutti i condomini
(sentenza 17 marzo 2005 n. 5792);
<br><br>
- in un condominio la presunzione di comproprieta', prevista dall'articolo 1117 c.c., n. 3, anche per
l'impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell'impianto che raccoglie le
acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l'attitudine all'uso ed al godimento
collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che,
diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprieta'
esclusiva (sentenze 1/1/2001 n. 583; 8.10.1998,n. 9940, in tema di impianto di riscaldamento).
<br><br>
- la spesa per la riparazione dei canali di scarico dell'edificio in condominio, che, ai sensi
dell'articolo 1117 c.c., n. 3, sono oggetto di proprieta' comune fino al punto di diramazione degli
impianti ai locali di proprieta' esclusiva dei singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte
relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle
tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti (sentenza 18/12/1995 n. 12894).</b>
<br><br>
Avuto riguardo ai principi esposti la sentenza impugnata non e' incorsa in alcuna violazione di legge
e si sottrae alle critiche di cui e' stata oggetto con le censure in esame posto che - come ammesso
dalla stessa ricorrente - il punto di rottura della tubazione di scarico e' stato individuato nel tratto
obliquo che convoglia le acque del lavandino di proprieta' della Fr. alla colonna condominiale.
<br><br>
Va solo aggiunto - con riferimento all'asserita violazione dell'articolo 2051 c.c., denunciata con il
secondo motivo di ricorso - che la citata norma prevede una forma di responsabilita' che ha
fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una
relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica
implicante l'effettiva disponibilita' della stessa, da cui discende il potere - dovere di custodirla e di
vigilare, affinche' non arrechi danni a terzi. La fattispecie di cui all'articolo 2051 c.c., individua
un'ipotesi di responsabilita' oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per
l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha
dato luogo all'evento lesivo indipendentemente dalla pericolosita' attuale o potenziale della cosa
stessa, e, percio', trova applicazione anche nell'ipotesi (ricorrente nella specie) di cose inerti.
Pertanto, perche' possa configurarsi in concreto la responsabilita' per i danni cagionati da cose in
custodia e' sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza
che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in
quanto la nozione di custodia non presuppone ne' implica uno specifico obbligo di custodire
analogo a quello previsto per il depositario. Ne consegue che il custode convenuto e' onerato di
offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilita' mediante la
dimostrazione positiva (nel caso in esame non offerta) del caso fortuito, cioe' del fatto estraneo alla
sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilita' e di assoluta
eccezionalita'. Nell'eventualita' della persistenza dell'incertezza sull'individuazione della concreta
causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il
dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento.
<br><br>
La corte di merito, che cosi' ha interpretato la norma in questione, non e' incorsa in alcuna
violazione di legge.
<br><br>
Va infine rilevata l'inammissibilita' delle critiche mosse in questa sede (con il terzo motivo di
ricorso) avente ad oggetto l'asserito omesso (o errato) esame delle prove documentali acquisite (le
perizie del geometra B. e del geometra Pa. , nonche' i verbali di assemblea condominiale del
23/11/1999 e del 25/1/2000).
<br><br>
Dette critiche non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per la loro evidente incidenza in
ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericita'.
<br><br>
Sotto quest'ultimo aspetto bisogna segnalare che il ricorrente denuncia l'errata interpretazione e
valutazione delle indicate prove documentali senza riportarne il contenuto specifico e completo il
che non consente di ricostruirne - alla luce esclusivamente di alcune isolate parti - il senso
complessivo ed i punti salienti ed importanti. Cio' impedisce a questa Corte di valutare - sulla base
delle sole deduzioni contenute in ricorso - l'incidenza causale del denunciato difetto di motivazione
e la decisivita' dei rilievi al riguardo mossi dalla ricorrente.
<br><br>
Nel giudizio di legittimita', il ricorrente che deduce l'omessa o l'erronea valutazione delle risultanze
istruttorie ha l'onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il
contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell'asserito vizio
di valutazione: tale onere non e' stato nella specie rispettato.
<br><br>
La ricorrente, inoltre, con la tesi concernente gli errori che sarebbero stati commessi dal Giudice di
appello nel ricostruire i fatti di causa in relazione alle risultanze probatorie, ha sostanzialmente
inteso sostenere che l'impugnata sentenza sarebbe basata su elementi di fatto inesistenti o
contrastanti con le risultanze istruttorie. Trattasi all'evidenza della denuncia di travisamento dei fatti
contro cui e' esperibile solo il rimedio della revocazione. Secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale di questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene (come
nella specie) al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce
motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione importando essa un accertamento di merito
non consentito in sede di legittimita'.
<br><br>
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 2697, 2056 e 1223 c.c., nonche'
vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello non ha applicato correttamente le norme
relative al risarcimento del danno extracontrattuale ed all'onere probatorio a carico della parte lesa.
La corte di merito ha infatti ritenuto sufficienti le prove relative al danno considerando "verosimile"
l'estensione del risarcimento anche ad ulteriori e non provate spese di tinteggiatura dell'immobile
dei coniugi Bu. . I danni risarcibili sono solo quelli direttamente ed immediatamente conseguenti
all'inadempimento. Il danneggiale, inoltre, deve rispondere solo delle conseguenze probabili della
sua condotta e non di quelle remote, improbabili o indirette che possano dipendere dal suo operato.
Nella specie il presunto danno relativo alla tinteggiatura del soffitto non e' stato suffragato da alcun
elemento probatorio. Al riguardo il giudice di appello ha ritenuto risarcibili detti danni meramente
verosimili ed ipotetici. Inoltre la motivazione della sentenza impugnata e' contraddittoria nella parte
in cui ha preso atto della Delib. condominiale 15 gennaio 2002, con la quale erano state ripartite tra
i condomini le spese relative alla ricerca ed alla riparazione del guasto idraulico.
<br><br>
Anche questo motivo, al pari degli altri, non e' fondato posto che, al contrario di quanto sostenuto
dalla ricorrente e come piu' volte affermato nella giurisprudenza di legittimita', in ordine all'entita'
del risarcimento dei danni derivati da fatto illecito, il requisito della prevedibilita' del danno,
correlato all'elemento psicologico di esso (articolo 1225 c.c.), e' inapplicabile alla responsabilita'
extracontrattuale, in quanto non richiamato dall'articolo 2056 c.c, avendo scelto il legislatore di non
commisurare il risarcimento al grado della colpa (sentenza 30/3/2005 n. 6725). Pertanto, anche in
relazione alla causalita' nell'omissione in ordine all'illecito aquiliano, resta applicabile il principio
per cui, non avendo l'articolo 2056 c.c., richiamato l'articolo 1225 c.c., sono risarcibili sia i danni
prevedibili che imprevedibili, atteso che le dette particolarita' rilevano sul piano della causalita'
giuridica di cui all'articolo 1223 c.c., e non su quello della causalita' materiale di cui agli articoli 40
e 41 c.p. (sentenza 31/5/2005 n. 11609).
<br><br>
Correttamente, quindi la corte di appello ha ritenuto - confermando la decisione del primo giudice -
di dover aggiungere, all'importo indicato dal geometra Pa. per la quantificazione dei danni subiti dai
coniugi Bu. , una somma (peraltro molto contenuta) per il "verosimile" ulteriore danno al soffitto
del locale soggiorno. In proposito la corte di merito ha ampiamente giustificato tale decisione
facendo espresso riferimento: alla limitala valutazione operata dal professionista relativa solo alle
spese di ripritino e tinteggiatura del soffitto del bagno; all'estensione del fenomeno dannoso anche
al soffitto locale soggiorno; al perdurare della causa dell'inconveniente anche dopo il sopralluogo
del professionista.
<br><br>
Si tratta, come appare palese, di una motivazione adeguata e congrua, frutto di un insindacabile
valutazione delle risultanze probatorie e sorretta da coerenti argomenti immuni da vizi logici e
giuridici.
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Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.
<br><br>
P.Q.M.
<br><br>
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione che liquida in complessivi euro 200,00, oltre euro 600,00 a titolo di onorario ed oltre
accessori come per legge.

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