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Le origini

In questo capitolo vedremo prima quale è stato lo sviluppo del simbolismo degli scacchi dalle
origini fino alla loro forma attuale in rapporto all’evoluzione del pensiero umano, per poi passare
alle principali tappe storiche di questa evoluzione e concludere con un discorso sugli scacchi odierni
e la loro presenza nelle scuole.

I giochi da tavoliere, come gli scacchi, accompagnano l’uomo sin dall’antichità. Le prime
attestazioni di tali giochi, in Mesopotamia e nelle civiltà dell’Indo, risalgono al IV millennio a.C. In
tempi relativamente più vicini è il faraone Ramsete III (1200 a.C.) ad essere raffigurato intento a
giocare con uno di essi. Le tavole raffigurate in pitture delle Americhe precolombiane, quelle
rinvenute in siti preistorici della Palestina, nonché la loro menzione nelle antiche letterature nordica,
celtica, cinese e indiana non sono che altrettanti esempi del lungo cammino che i giochi da
tavoliere, e il loro simbolismo, hanno percorso insieme all’uomo.
Nel quadrato, immagine del mondo oltre che forma dei tavolieri, l’uomo ha espresso l’esigenza di
un ordine spaziale e di dare un orientamento al proprio agire. Organizzato lo spazio terrestre,
inoltre, contrappose a questo lo spazio celeste, che imperscrutabile come il fato, concetto
condensato nell’uso dei dadi, sembra dominare l’uomo dall’alto.
L’organizzazione dello spazio terrestre e di quello celeste aveva un ruolo fondamentale nella scelta
dei luoghi di fondazione delle città. Come spiega Carretta nel suo Lo scenario conquistato1, non
erano infatti solo considerazioni pratiche a dettare la scelta del luogo. Era necessario che l’augure,
dal centro della città, potesse leggere i “segni” del cielo, come ad esempio le precipitazioni e il volo
degli uccelli. E per dare loro una collocazione spaziale, ripartiva il cielo in quattro templa, divisi a
loro volta in sedici riquadri. Finiva così con il “disegnare” una sorta di scacchiera celeste, a cui si
ispirava la pianta della città. Ne è un esempio la suddivisione delle città dell’antica Roma in quattro
zone, dall’incrocio delle due vie principali, a loro volta divise secondo lo stesso schema. La
trasposizione della “scacchiera celeste” nella pianta della città fondava quindi la comunità in
rapporto la dimensione soprannaturale.
Nel quadro di questo simbolismo, e del bisogno d’ordine che esprime, si colloca anche il racconto
dell’Edda Poetica nordica Völuspà. In esso si narra di come, dopo la fine del mondo, la terra riprese
a dare nuovi frutti dopo il ritrovamento di una tavola da gioco. Il tavoliere appare quindi come lo
strumento che permette il ritorno all’ordine, e il cui smarrimento presumibilmente “fu causa della
distruzione che ne seguì2”.
Se da un lato il tavoliere è, come si è visto, lo scenario degli dèi, posto dall’uomo alla base del
proprio agire; dall’altro, i pezzi del gioco rappresentano figure umane. Un esempio tra molti è
offerto di nuovo dall’Edda, in cui si legge questo indovinello:

«Chi sono le donne che combattono disarmate intorno al proprio re? I neri proteggono, i
bianchi aggrediscono, giorno per giorno. Re Heidrick, sei in grado di indovinare?»

1
Roberto Carretta, Lo scenario conquistato, Il leone verde, Torino, 2001.
2
Ibidem pag. 17.
«È buono il tuo indovinello, Gestumblindi, è subito risolto. È il gioco da tavola: le pedine
si combattono senza armi intorno al re e i neri stanno dalla sua parte».

Stanno parlando del gioco Hnefatafl, le cui pedine hanno una forma simile a una gonna, una forma
quindi antropomorfa. Non sempre però i pezzi dei giochi da tavoliere possono essere così
classificati. Sin dall’antichità sulle tavole da gioco compaiono infatti sia figure antropomorfe sia
oggetti amorfi, che rappresentavano schiavi o servi. Un aspetto, questo, che gli scacchi hanno
conservato fino ai giorni nostri nel carattere amorfo dei pedoni.
I pezzi hanno dunque, in ogni caso, una funzione sostitutiva di figure umane, in cui è da scorgere
una traccia del passaggio dal sacrificio di persone in carne ed ossa al sacrificio di immagini
sostitutive nei rituali sacrificali dell’antichità. Un esempio di uso rituale di immagini sostitutive fu,
fra gli altri, quello delle festività dei lares compitales, divinità dell’antica Roma, in occasione delle
quali si esponevano alle porte delle abitazioni tante bambole quanti erano i liberti e tanti rotoli
quanti erano invece gli schiavi.
Il tavoliere dell’antichità era dunque lo scenario in cui gli uomini, rappresentati da pezzi in parte
antropomorfi, si rivolgevano alle divinità.
Nel lungo cammino che ha portato sino agli scacchi odierni, di fondamentale importanza fu quel
cambiamento radicale di mentalità per effetto del quale i giochi da tavoliere cessarono di essere lo
scenario del volere degli dèi. Sempre più il tavoliere divenne infatti il teatro di un agire umano non
più in balìa del fato, ma frutto di qualità del tutto umane. Numerose le leggende che lo
testimoniano, come ad esempio quella – probabilmente la più antica – della regina profetessa
Hūsīya. Ignara della sorte toccata al figlio durante una rivolta, si recò dal filosofo Qaflān per avere
informazioni al riguardo. Il filosofo, allora, chiese per prima cosa tre giorni di tempo, che passò in
meditazione e nei quali partorì il gioco degli scacchi. Fece quindi costruire pezzi e scacchiera e,
dopo un ulteriore periodo di riflessione, mostrò la sua invenzione, presentandola come uno
strumento per fare guerre senza spargere sangue. La notizia dell’invenzione giunse alle orecchie
della regina, la quale, incuriosita, volle conoscere il gioco e tornò da Qaflān. Fu così che, quando il
filosofo, che stava giocando a scacchi, esclamò vittorioso “shāh māt” – il re è morto –, la regina
capì che suo figlio, da lei nominato suo successore, aveva perso la vita.
In un’altra versione della leggenda, i figli sono due, e si combattono ciascuno con il proprio
esercito. Pur avendo concordato di non arrivare a uccidersi, uno dei due, il più giovane, viene
ritrovato morto in riva al mare. Per discolparsi di fronte alla madre addolorata, il fratello maggiore
decise allora, su suggerimento del proprio tutore, di chiamare a consiglio i saggi del reame.
Nacquero così gli scacchi, che diedero al fratello sopravvissuto la possibilità di dimostrare come un
re, pur circondato dalle forze nemiche, possa soccombere senza perdere la vita.
In entrambe le leggende è evidente come il tavoliere non sia più ormai lo scenario del volere degli
dèi, del fato, di forze incontrollabili di cui l’uomo è una semplice pedina. L’invenzione del gioco è
attribuita in entrambi i casi a persone sagge, e secondo la nuova mentalità proprio la saggezza,
insieme all’avvedutezza, è una delle virtù più importanti insegnate dagli scacchi. Il principe affina
con essi le sue capacità militari e impara a evitare decisioni avventate osservando sul tavoliere a
quale sorte sia destinato chi manda il proprio esercito allo sbaraglio.
Emblematico a questo riguardo è un racconto di Al-Adli (800-870) che ben illustra l’avvenuto
cambio di mentalità. In esso si narra che il re Hashrān chiese a un filosofo di inventare un gioco che
simboleggiasse la dipendenza dell’uomo dal fato. Il saggio uomo inventò il nardo3, con 24 case
come le ore del giorno, divise in due metà di 12 case come i mesi dell’anno e i segni dello zodiaco;
30 pedine, come i giorni del mese; 2 dadi, come il giorno e la notte, con la somma delle facce
opposte sempre uguale a 7, come i giorni della settimana. Entusiasta del gioco, il re ne favorì la
diffusione in tutta l’India, dove divenne molto popolare. Tempo dopo un bramino espresse a
Balhait, successore di Hashrān, la propria contrarietà al nardo, gioco che considerava contrario agli
insegnamenti della religione. Inventò allora gli scacchi, prendendo a modello la guerra, ritenendola
lo scenario più adatto per insegnare qualità come il coraggio, l’avvedutezza, la saggezza. Anche in
questo caso il gioco fu gradito al re ed ebbe grande diffusione.
È evidente quindi come nelle leggende gli scacchi si collochino oltre la linea di demarcazione che li
separa dagli altri giochi, quei giochi che dovevano insegnare l’imprescindibilità del destino e la
necessità di sottomettersi al volere del fato o degli dèi. Parallelo a questo sviluppo fu, inoltre,
l’abbandono dei dadi, giacché ora sul tavoliere si vinceva o perdeva unicamente per merito delle
proprie capacità, non più grazie a un imperscrutabile volere superiore.

La diffusione

Sul piano prettamente storico la tesi più accreditata è che gli scacchi, in linea con quanto raccontano
le leggende, abbiano avuto origine in India, dove il gioco si chiamava chaturanga e prevedeva
quattro giocatori. La prima attestazione del termine si trova nel romanzo Vasavadatta dello scrittore
Subandhu, vissuto in India nella seconda metà del VII secolo d.C.4 La parola ‘chaturanga’, scrive
Carretta5, indica, insieme alla parola ‘bala’ (= esercito) con la quale è associato nei testi più tardi,
un esercito composto a quattro parti. Quattro erano infatti le parti di cui era costituito l’esercito
indiano: carri, elefanti, cavalleria e fanteria.
Inizialmente il chaturanga era giocato sull’ashṭāpada, un tavoliere di 8 x 8 case, con i dadi. Il primo
elemento – l’ashṭāpada – altro non era che l’antico scenario degli dèi, usato sia come tavoliere per
giochi sia per l’edificazione di città.6 Il secondo elemento – l’uso dei dadi – è invece, come si è
visto, espressione dell’imperscrutabile volere degli dèi, da cui i pezzi, e simbolicamente gli uomini,
sono mossi.
Se si considera che attualmente in India esistono vari giochi su tavolieri di 8 x 8 e 10 x 10 case e
che sono tutti giochi di percorso – ovvero con i dadi –, e si ipotizza che così fosse anche
anticamente, allora tutto questo corrobora la tesi sostenuta da Averbakh nel suo A History of Chess.
L’autore russo sostiene che gli scacchi si siano evoluti a partire dai giochi di percorso, e cita al
riguardo questo passo del Mahabharata (libro V, capitolo 76): “Perché come può un uomo, kṣatriya
di nascita e abile con l’arco, sfidato [a un gioco di dadi] voltare le spalle, dovesse pur perdervi la
vita?7” (traduzione mia). In altre parole il rifiuto di una sfida a un gioco di dadi da parte di uno
kṣatriya, ovvero di un membro dell’élite militare, era considerato inconcepibile come il rifiuto di

3
Gioco simile al backgammon.
4
Giampaolo Dossena, Giochi da tavolo, pag. 46, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984.
5
Roberto Carretta, op. cit., p. 35.
6
Ibidem, p. 19.
7
Yuri Averbakh, op. cit., p. 18.
una battaglia militare. Su questa linea, sostiene Averbakh, i pezzi passarono a raffigurare
componenti dell’esercito. Per quanto riguarda l’abbandono dei dadi, non ritiene invece probabile
che fosse un modo per evitare le sanzioni della legge, che proibiva il gioco con i dadi, in quanto:

L’abbandono dei dadi fu un passo radicale, si potrebbe dire rivoluzionario, che cambiò
non solo il gioco e la sua filosofia. Infatti, in assenza dei dadi, l’esito della partita
dipendeva non dal loro rotolamento, ma dalle menti dei giocatori, dalla loro logica e dal
dalla loro intelligenza. Il giocatore diventò padrone del suo destino. 8

Le convinzioni religiose e filosofiche indiane dell’epoca non contemplavano il libero arbitrio,


concetto necessario per l’evoluzione del gioco. E analogo discorso vale per la civiltà persiana,
seconda tappa della diffusione degli scacchi; il ruolo che attribuiva alla predestinazione non era
infatti meno importante che nella civiltà indiana.
Il ‘passo radicale’ dell’abbandono dei dadi fu invece il risultato, sostiene Averbakh9, del contatto
con la cultura greca. Per la precisione, fu un gioco militare senza dadi per due persone, il petteia
(latrunculi per gli antichi romani), a “contaminare” l’ashṭāpada portando prima al chaturanga a
quattro giocatori (III sec. d.C. – inizio IV sec. d.C.) e poi al chaturanga a due persone e
all’abbandono dei dadi (VI sec. d.C.).

Dall’India il chaturanga partì per il suo viaggio intorno al mondo assumendo di volta in volta nomi
diversi, come ad esempio ‘chatrang’ per i Persiani, ‘shatranj’ per gli Arabi, ‘chatrak’ in Armenia,
‘buddachal’ in Nepal.
Nel mondo arabo il gioco giunse intorno alla metà del IX secolo d.C. attraverso i Persiani e conobbe
un’indubbia diffusione, e circa due secoli dopo fu oggetto di un trattato. L’autore, Abul-Qasim ar-
Raghib al-Isfahani (? – 1108), così scrisse del precursore arabo degli scacchi: “Nello shatranj, tutto
dipende dal giocatore e da lui soltanto; deve avere la passione del vendicatore, l’energia
dell’esploratore, la determinazione del saltatore, la prontezza di chi brama.”10 (traduzione mia). Un
autore persiano ignoto successivo ad ar-Raghib, tessendo le lodi del nardo e degli scacchi, ribadì
nuovamente lo spartiacque tra il sopra citato nardo e gli scacchi: “Questi giochi sono come due
percorsi religiosi: predestinazione e fato, oppure libero arbitrio e necessità”11 (traduzione mia).

In Europa lo shatranj giunse per due vie: attraverso il mondo arabo e attraverso quello scandinavo.
Il primo portò il gioco nella penisola iberica nel IX secolo, precisamente nel 821, quando il cantante
e musicista persiano Zyriab si recò da Baghdad ad Algeciras. Il mondo scandinavo, che
commerciava nell’impero bizantino12, lo portò invece nel Nord Europa all’inizio dell’XI secolo fin
nelle Ebridi.13
Nella sua diffusione in Europa un ostacolo fu rappresentato dalla Chiesa, ostile agli scacchi per il
fatto di essere praticato con i dadi e di essere quindi un gioco d’azzardo. Quando poi i dadi furono

8
Ibidem, pag. 26.
9
Ibidem, pagg. 26-36.
10
Citato in Yuri Averbakh, A History of Chess – From Chaturanga to the Present Day, pag. 38, Russell Enterprises, Inc.,
Milford (CT, USA), 2012.
11
Citato in Yuri Averbakh, op. cit., pag. 38.
12
Michel Pastoureau, Medioevo simbolico, pag. 247, Edizioni Laterza, Bari, 2004.
13
Giampaolo Dossena, op. cit., pag. 47.
abbandonati “gli scacchi acquistano a poco a poco uno statuto onorevole e in seguito
particolarmente apprezzato. La riflessione sostituisce ormai l’azzardo.14”.
Superato l’ostacolo dei dadi, il successo degli scacchi fu tale che “verso il 1200, essi erano giocati
dall’Indo all’Atlantico e dal Sahara all’Islanda.15”. Fra le ragioni del diffondersi del gioco, la quasi
totale assenza di rivali, in quanto:

I giochi da tavola dell’antichità erano stati dimenticati fin dalla caduta dell’Impero
d’Occidente e sopravvivevano solo alcune forme così elementari da costituire uno scarso
richiamo e venir confinate tra i passatempi per bambini.16

Altra ragione fu la particolarità di riflettere la società feudale, per quanto non prima di importanti
rielaborazioni. Se infatti da un lato il re, il pedone e il cavallo erano pezzi familiari anche ai
giocatori occidentali; dall’altro il vizir, l’elefante e il carro dovettero essere ripensati. Fu così che,
dopo un lungo processo che arriva fino al XV secolo, diventarono rispettivamente, la donna,
l’alfiere e la torre.
Con il divorzio dai dadi, inoltre, la Chiesa iniziò a usare il gioco per la sua moralistica. Un esempio
al riguardo è quello del Quaedam moralitas de scaccario, attribuito al papa Innocenzo III, ma più
probabilmente di un autore inglese del XIII secolo. Qui “è istituita un’analogia tra il mondo e la
scacchiera, i cui colori, bianco e nero, mostrano le condizioni della vita e della morte, della lode e
del biasimo conseguenti alla preghiera e al peccato.17”. La divisione del tavoliere in case bianche è
infatti invenzione del Medioevo; prima di allora lo shatranj e i suoi antenati erano giocati su case di
un unico colore. Altra opera che si colloca in questo filone fu il Ludus scacchorum o Liber de
moribus hominum et officiis nobilium ac popularium super ludo scacchorum, composto intorno al
1300 Jacopo da Cessole. Il frate domenicano autore del trattato presenta il gioco degli scacchi come
un modello di Stato ideale, in cui “ogni pezzo ha i propri diritti, m anche i propri doveri. 18”.

Gli scacchi moderni

La seconda metà del XV secolo fu il periodo in cui gli scacchi assunsero sostanzialmente la forma
odierna. Furono introdotti l’arrocco e la possibilità di avanzare i pedoni di due case dalla posizione
iniziale. L’alfiere e, soprattutto, la donna acquistarono la mobilità che hanno ancora oggi; una
mobilità molto maggiore che contribuì a rendere il gioco molto più dinamico, più ricco di possibilità
tattiche e più interessante. .
Parallelamente a questi sviluppi, aumentò il prestigio del gioco, come sottolinea il titolo dell’opera
di Luis Ramirez de Lucena del 1497: Repetición de amores y arte de ajedrez, con CL juegos de
partido. La parola ‘arte’ sottolineava l’aspetto estetico del gioco, suscitando l’interesse di nuovi
giocatori, in particolare in Italia, dove lo spirito del Rinascimento fece la sua prima tappa e dove
nacquero i primi scacchisti professionisti.

14
Michel Pastoureau, op. cit., pag. 253.
15
Roberto Carretta, op. cit., pag. 45.
16
Ibidem, pag. 45.
17
Ibidem, pag. 49.
18
Citato in Yuri Averbakh, op. cit., pag. 64.
Gli scacchi al giorno d’oggi, aspetti sportivi, agonistici ed educativi

Oggigiorno gli scacchi non sono più appannaggio delle sole classi alte e sono giocati un po’ in tutto
il mondo con le regole unitarie della FIDE19. Se nei tempi antichi, come ricorda un testo arabo del
950 d.C., era usanza indiana “porre accanto al giocatore un recipiente contenente uno speciale
unguento per cauterizzare le ferite[, perché] perso ogni altro bene [si usavano] parti del proprio
corpo come posta in gioco20”; oggi per fortunata i giocatori si limitano a una stretta di mano
all’inizio e alla fine della partita, quale segno di rispetto reciproco e sportività. Un gesto, questo, che
si ripete a ogni partita di ognuno degli innumerevoli tornei del mondo. Sono infatti numerosi oggi i
tornei di scacchi, grazie anche all’adozione di orologi specifici per il gioco, che permettono, rispetto Commented [G1]: Qui inserirei l’immagine di un orologio, o di
due (uno meccanico e uno digitale). Il testo del box potrebbe
al passato, di fissare un limite alla durata di una partita. A seconda del limite fissato, si parla di essere: L’immagine mostra un tipico orologio scacchi digitale
cadenza: [oppure a sinistra un orologio scacchi meccanico/digitale e a destra
uno digitale/meccanico], in cui il tempo scorre all’indietro a partire
dalla cadenza impostata. Ogni volta che un giocatore schiaccia il
proprio tasto sull’orologio ferma il proprio tempo e fa partire quello
lampo (blitz) Una ‘partita lampo’ è una partita nella quale tutte le mosse devono dell’avversario. Se un giocatore non effettuerà il numero di mosse
essere completate in un tempo prefissato minore o uguale a 10 minuti previsto per la cadenza impostata, avrà partita persa.

per ciascun giocatore21


rapida (rapid) Una ‘partita di gioco rapido’ è una partita nella quale tutte le mosse
devono essere completate in un tempo prefissato maggiore di 10 minuti
ma minore di 60 minuti per ciascun giocatore22

A partire da un tempo limite per giocatore di 60 minuti si parla invece di cadenza lunga, in cui la
riflessione prevale sul colpo d’occhio, utile per le cadenze più brevi. All’interno di ogni cadenza
esistono poi altre denominazioni per cadenze specifiche, come ‘bullet’ (letteralmente proiettile) per
le partite con 1 minuto di tempo per ciascun giocatore, oppure ancora ‘active’ per le partite con 30
minuti a testa. A seconda del risultato delle partite, i giocatori guadagnano o perdono i cosiddetti
punti Elo, che indicano la forza del giocatore e permettono di accedere alle varie categorie nazionali
e ai titoli di maestro (M), maestro FIDE (MF), maestro internazionale (MI) e grande maestro (GM).
L’Elo teorico assegnato a un giocatore al suo primo torneo è 1.400, mentre il massimo Elo di
sempre è quello dell’attuale campione del mondo Magnus Carlsen: 2.889!
I tornei sono anch’essi di vario tipo. Secondo l’ambito geografico si dividono in provinciali,
regionali, nazionali e internazionali. Secondo la durata dell’evento si distinguono in festival, nei
quali si gioca una partita a cadenza lunga al giorno; e week-end, in cui le partite del torneo si
giocano in uno o più fine settimana e in cui possono essere previste due partite a cadenza lunga in
un solo giorno. Secondo l’età si dividono in under 8, under 10, under 12, under 14, under 16 e tornei
19
Fédération Internationale des Échecs (it. Federazione Internazionale degli Scacchi).
20
Roberto Carretta, op. cit., pag. 33.
21
Regole degli scacchi della FIDE, pag. 21, http://www.federscacchi.it/doc/reg/d20140623055252_fide.pdf.
22
Ibidem, pag. 20.
senza limiti di età. Secondo l’Elo si dividono in open integrali, a cui possono partecipare giocatori
con qualunque Elo; e open di fascia, a cui possono iscriversi solo i giocatori con un Elo compreso
nella fascia del torneo. Esistono inoltre i campionati a squadre (nazionali, europei, mondiali) con le
loro serie (in Italia: promozione, C, B, A2, A1, Master), in cui si affrontano squadre di 4 giocatori, e
i tornei a inviti, solitamente riservati a giocatori di alto livello. Tutti i tornei, nelle pause tra un turno
e l’altro o anche in sala analisi, offrono a ognuno l’opportunità del confronto razionale con gli altri
sulle partite e i loro molteplici aspetti.
Rispetto al passato, l’attuale diffusione degli scacchi è favorita anche dall’informatica. I software di
gioco, oggi ben più forti del campione del mondo, offrono numerose funzioni di studio; mentre
Internet permette di giocare partite online con chiunque nel mondo e con qualunque cadenza,
nonché di condividere più informazioni in meno tempo.
Le tecnologie informatiche, tuttavia, presentano anche un problema, potendo essere usate anche per
barare. Un comportamento, questo, che può essere sanzionato anche con l’esclusione a vita dai
tornei.

Gli scacchi come materia di insegnamento nelle scuole

Il 30/11/2011 con la dichiarazione scritta 50/2011 il Parlamento Europeo ha dato il suo contributo
alla diffusione del gioco degli scacchi invitando la Commissione Europea a incoraggiare gli Stati
membri a introdurre il programma “Scacchi a scuola” nelle rispettive scuole, a garantire un
adeguato finanziamento a tale progetto e a monitorarne gli effetti sullo sviluppo degli alunni. 23
In Italia la Federazione Scacchistica Italiana (FSI) collabora nell’attuazione del progetto con il
M.I.U.R, fornisce kit per le scuole ed è impegnata, insieme al CONI, nella realizzazione di corsi di
formazione per istruttori di scacchi specializzati.24
Grazie all’opera di questi ultimi, gli scacchi si stanno diffondendo anche nelle scuole italiane, pur
non essendo ancora materia curricolare come invece nella maggior parte dei paesi europei.25 È con
il loro impegno che sempre più alunni oggi apprendono il gioco e si cimentano nei loro primi tornei.
Possono partecipare a tornei provinciali e regionali per fasce d’età (under 8, 10, 12, 14 o 16), con la
possibilità di essere selezionati per le finali nazionali, da cui, a seconda dei risultati, potranno
accedere ai campionati europei o mondiali. Possono inoltre partecipare a competizioni a squadre,
della cui selezione e iscrizione si occupano la FSI e il M.I.U.R. Chissà che grazie ai loro sforzi e a
quelli degli istruttori, ai loro risultati, agonistici e soprattutto educativi, gli scacchi non diventino un
giorno materia curricolare anche in Italia.

23
http://www.excelsior-scacchi.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/10/Dichiarazione-Parlamento-Europeo-50-
2011.pdf.
24
http://www.federscacchi.it/scacchiscuola/.
25
Cfr. http://bimbiingioco.com/?p=972.

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