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26 BM 1/2017
Quando aspettare è valore: una riflessione etica sul tempo di attesa
3. Un esempio: la chemioterapia
Tale discorso vale anche nei percorsi assistenziali complessi, come la somministrazione am-
bulatoriale della chemioterapia endovenosa. In generale, il percorso si snoda su tre fasi prin-
cipali: l’esecuzione di esami ematochimici; la visita con lo specialista oncologo (che in base al
risultato degli esami, conferma o rinvia la terapia); la somministrazione della chemioterapia
stessa.
In un percorso che si conclude nell’arco della giornata, l’assistito sa a quale orario presen-
tarsi nella struttura per il prelievo, e quando gli sono state prenotate la visita e la postazione
per la somministrazione. Sa anche che le tre fasi vanno collocate in sequenza, e distanziate tra
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Massimiliano Colucci, Chiara Bertoncello
loro. Ad esempio, se la visita è prenotata alle 9.00, all’assistito potrà essere chiesto di presen-
tarsi alle 8.15 per il prelievo. I 45 minuti servono per effettuare accettazione, preparazione
di etichette e provette, ingresso e riconoscimento nell’ambulatorio, esecuzione del prelievo,
trasporto e processazione del campione. L’assistito è consapevole che, a fronte dei 5 minuti
scarsi in cui il sangue finisce nella provetta (tempo di prestazione), i restanti 40 minuti di
“attesa”, in cui rimarrà seduto su una poltrona davanti alla porta chiusa dell’ambulatorio,
sono tempo necessario all’organizzazione per produrre una diagnosi, e attivare la fase succes-
siva della visita. Il “tempo tecnico” del processo è quindi finalizzato: l’attesa è significativa,
il paziente “sa” che serve al suo percorso. Invece, l’attesa ignota e imprevista, costituita dai
ritardi, rappresenta un tempo sprecato, perché afinalistico: il paziente riesce a dare senso,
ovvero valore, fino a quei 40 minuti; se accede all’ambulatorio dopo 50 minuti, i 10 minuti
in più non hanno giustificazione, e come tali verranno percepiti come assurdi e “rubati”.
Sul piano etico, il sistema è quindi innanzitutto tenuto a mantenere costante l’attesa, ov-
vero a non aumentarla accumulando ritardi. La riduzione è pure auspicabile, ma è ammessa
finché segue una logica di efficienza, in cui siano garantite al tempo stesso la qualità e la
sicurezza della prestazione. In altre parole, non sempre la riduzione dell’attesa è eticamente
(e organizzativamente) sostenibile.
L’organizzazione potrebbe infatti essere tentata di ridurre l’attesa, convinta di fare il bene
del paziente, puntando sul semplice riposizionamento delle prenotazioni. Per riprendere
l’esempio della chemioterapia, se prenoto il prelievo 15 minuti (invece di 45) prima della
visita, e la postazione per la somministrazione 15 minuti (invece di 45) dopo la fine della
visita, in apparenza ho fatto guadagnare un’ora al paziente (immagine utile a fini di marke-
ting…). In realtà, ho “tagliato” dei tempi necessari (e quindi “di valore”) al processo, legati
alla diagnosi di laboratorio e alla preparazione del farmaco.
Quali saranno le conseguenze? Se l’assistito accede alla visita prima che il referto di labo-
ratorio sia pronto, lo specialista non potrà prendere la decisione: lo farà uscire, e lo richia-
merà quando i risultati sono pronti. Nel frattempo visiterà un altro assistito, frammentando
il processo e producendo ulteriori inefficienze e rischi di errore. Il ritardi si ripercuoteranno
a valle sul percorso individuale, ma condizioneranno anche il percorso degli altri assistiti di
quella giornata. Se l’assistito accede alla postazione prima che la sua terapia sia pronta, la
occuperà inutilmente, sottraendo il posto a qualcuno che potrebbe già iniziare la sommi-
nistrazione; se per rimediare si operasse uno scambio, costringeremmo l’assistito a un’attesa
non programmata, ma provocata dalla disorganizzazione.
Oltre a quella del “taglio” dei tempi di prenotazione, un’altra logica inaccettabile di ridu-
zione del tempo d’attesa è quella che mira ad ampliare l’offerta aumentando i “posti” dispo-
nibili per la prenotazione, ad esempio mediante l’overbooking (si prenotano più assistiti di
quelli previsti nell’agenda) o riducendo il tempo dedicato alla prestazione (a parità di orario
di agenda, più è breve la prestazione, più se ne posso prenotare). È evidente come queste
soluzioni, non perseguendo un strategia di efficienza, siano patologiche sul piano temporale:
anche se in apparenza si garantisce a un maggior numero di pazienti un minore tempo di
attesa nell’accesso alla prestazione, di fatto li si sottopone agli inevitabili ritardi che si produr-
ranno nel percorso disfunzionale. Il sistema, quindi, passa dal garantire un’attesa valorizzabile
all’imporre un’attesa svalutata.
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Quando aspettare è valore: una riflessione etica sul tempo di attesa
4. Conclusioni
Concludendo, un criterio etico per il governo dei tempi di attesa potrebbe essere quello di
massimizzare la significazione del fattore tempo per il paziente – la sua esperienza di per-
manenza in un percorso assistenziale come esperienza di tempo finalizzato alla salute. Se
l’organizzazione sanitaria crea tale opportunità, l’esperienza di malattia diventa un’occasione
di produzione di valore. In quest’ottica, la riduzione dei ritardi, ovvero delle inefficienze, è il
primo e più evidente obiettivo da perseguire.
Tuttavia, appare eticamente sostenibile anche il tempo d’attesa di per sé, e perfino un
allungamento dello stesso, con conseguente protrarsi della permanenza dell’assistito nel si-
stema, fintantoché tale attesa è giustificata dal processo, dalla sua qualità e dalla sua sicurezza,
ovvero finché è funzionale al percorso, in quel dato contesto organizzativo. Un qualsiasi
cambiamento dei tempi d’attesa, che non sia accompagnato da un consensuale e sostenibile
cambiamento del modello organizzativo, produce infatti solo perdite di valore.
Infine, è bene ricordare un altro, ben più noto elemento che giustifica l’attesa, cioè l’ap-
propriatezza dell’offerta di salute. Appropriatezza che deve però essere sempre “relazionata”:
non solo, cioè, posta in relazione al bisogno del singolo assistito; ma correlata all’attesa degli
altri assistiti, per cui una maggiore attesa trova giustificazione in una minore priorità del
bisogno. E anche questo è un valore.
Bibliografia
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