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Prima di illustrare i criteri base per calcolare il massimale, occorre fare chiarezza su tre termini che spesso
vengono usati impropriamente: volume, intensità e lo stesso concetto di carico massimale.
È stato usato il termine "capacità motorie": di cosa si tratta? Stiamo parlando di "capacità" di
"muoversi", cioè di effettuare dei movimenti, di spostare il proprio corpo o parti di esso o, al
contrario, di resistere a forze che vorrebbero spostarlo.Il quadro seguente sintetizza le diverse
capacità motorie:
CAPACITÀ MOTORIE
CONDIZIONALI
(Riferite al metabolismo) COORDINATIVE
Forza Velocità di
Resistenza breve (da 45 sec. a 2 min.)
massimale reazione Flessibilità
Vari tipi di
Forza Velocità capacità
Resistenza media (da 2 ad 8 min.) coordinative
resistente massimale
Forza Resistenza
Resistenza lunga (oltre gli 8 min.)
rapida alla vel.
Le capacità motorie, dunque, sono costituite da quelle condizionali, che dipendono dalle funzioni
metaboliche e da quelle coordinative. In estrema sintesi possiamo dire che le prime sono appunto la
forza oltre alla velocità ed alla resistenza, mentre le seconde riguardano l'abilità di rapportarsi con il
proprio corpo e con l'ambiente esterno, anche da un punto di vista spazio-temporale. La flessibilità,
invece, si trova a metà strada tra le capacità condizionali e quelle coordinative. Tutte queste
capacità possono essere sviluppate ed allenate in una sala pesi, ma il nostro obiettivo in questo
momento è di concentrarci su una sola di esse: la forza.
FORZA
Per prima cosa è necessario darne una definizione. Si può affermare che si tratti della capacità
motoria che permette di vincere una resistenza o di opporsi ad essa con un impegno tensivo, cioè
contrattile, della muscolatura. È quindi la capacità di sviluppare energia contraendo i muscoli. La
scienza dello sport, però, non è l'unico ambito in cui si parli di forza: questo è prima di tutto un
concetto della fisica, scienza nella quale questo concetto viene così definito:
È però una definizione non sempre applicabile in fisiologia. Abbiamo infatti, ad esempio, il caso
dell'applicazione di una forza isometrica quando spingiamo contro un muro. In tal caso il muro non
si muove e non c'è quindi accelerazione, ma è innegabile che ci sia pur sempre l'applicazione di una
forza.
Questo esempio ci permette di capire che il corpo umano è talmente complesso e le situazioni in cui
può venire fatto lavorare sono talmente ricche di diverse eventualità, che è difficile disegnare
schemi rigidi.
Ovviamente una tale suddivisione è assai grossolana: può capitare, infatti che si richieda di vincere
resistenze basse con elevata velocità e quindi capacità di contrazione elevata, ma per una durata
temporale considerevole. Qui si incontrano e si fondono le caratteristiche della forza veloce e della
forza resistente ed addirittura quelle di altre capacità condizionali: la velocità e la resistenza, sotto
forma di resistenza alla velocità. Tutto ciò per dire che in questo campo non esistono definizioni
rigide ed assolute, ma tutto è sfumato ed interrelato. Oltretutto, anche se nello sport spesso si sente
parlare di "macchina umana", bisogna rammentare che l'uomo, al contrario della macchina, ha un
cervello ed un cuore, intendendo questo organo dal punto di vista emotivo, che gli permettono di
fare cose impensate. Gli eventi di cronaca che talvolta descrivono madri che con sforzi sovrumani
salvano i figli da pericoli enormi, spostando massi o divellendo lamiere, descrivono un esempio di
forza che viene studiato a livello scientifico: la cosiddetta "forza estrema", che è diversa dalla forza
massimale, essendo infatti addirittura maggiore a questa. La differenza tra forza estrema e forza
massimale si chiama "ricchezza residuale" ed è tanto maggiore quanto meno la persona è allenata.
Con un'espressione assai poco scientifica, ma che trovo appropriata, direi che è l'unico tipo di forza
che si trova nel "cuore" e non nei muscoli!
Abbiamo quindi visto che esistono vari modi di manifestazione della forza: massima, veloce,
resistente, estrema, ma ciascuna di esse può esprimersi, cioè "lavorare" in modo diverso. I tipi di
lavoro della forza possono essere schematizzati nel modo seguente:
Lavoro superante: la forza umana applicata supera e vince quella della resistenza. Si ha, ad
esempio, quando prendo un libro e lo sollevo per riporlo in uno scaffale sopra la mia testa: in
questo caso la forza espressa dal mio braccio ha superato la resistenza opposta dal peso del libro.
Tecnicamente si dice che si tratta di un lavoro di tipo concentrico.
Lavoro cedente: detto anche eccentrico, negativo, passivo. Rappresenta un freno alla discesa: una
ballerina spicca un salto e il porteur l'afferra a mezz'aria e delicatamente l'accompagna
appoggiandola a terra. Il lavoro del ballerino, in questo caso è cedente: la forza da lui applicata è
inferiore a quella rappresentata dal peso del corpo della ballerina, e viene quindi vinta da quella di
gravità, che però è contrastata e rallentata, quindi il lavoro è costituito appunto da un'azione di
"freno", di rallentamento.
Lavoro statico: si tratta di una situazione puramente teorica, perché in realtà si verifica sempre una
seppur minima oscillazione con contrazione e distensione delle fibre muscolari. Si ha lavoro statico
quando sviluppo forza senza però muovermi, ad esempio spingendo contro un muro o
appoggiando i palmi delle mani uno contro l'altro e spingendo nelle due direzioni opposte.
Lavoro combinato: mette insieme, combinandoli, due o tre dei lavori precedenti: per tornare
all'esempio dei ballerini è il caso del porteur che dopo avere sollevato lui la compagna, senza che
questa abbia spiccato un salto (lavoro superante), la sostiene alcuni momenti ferma in alto (lavoro
statico) e poi la riaccompagna dolcemente a terra (lavoro cedente). In questo caso abbiamo un
esempio di come la forza può esprimersi in modo combinato pur con un unico gesto.
Un altro modo di classificare i gesti che comportano impiego di forza è quello che prende in
considerazione il tipo di tensione muscolare generata. Secondo questo criterio, possiamo avere
tensione:
Già da quello che abbiamo visto fino ad ora risulta evidente che il concetto di forza, senza ulteriori
specificazioni risulta insufficiente per descrivere la capacità di un individuo. Può essere sufficiente
nel linguaggio comune o nell'immaginario popolare, così come nei luoghi comuni secondo i quali "i
facchini sono forti" o "chi lavora la terra è più forte di chi vive in città e lavora in ufficio". Queste
affermazioni, pur condivisibili nella loro genericità, sono prive di una specifica tecnica che descriva
quale tipo esatto di capacità avrebbe in linea di massima un facchino, per restare all'esempio,
rispetto a chi pratichi un lavoro d’ufficio. Per capire meglio questo concetto, vediamo un elenco di
caratteri che può avere la tensione muscolare, che a loro volta esprimono ciascuna capacità del tutto
specifiche.
Tonica: è la forza massimale, la capacità di esprimere il 100% in un unico gesto, come il rugbista
che spinge in una mischia.
Fasica: è una tensione di grosso impegno che continua nel tempo assumendo caratteri di
resistenza. È quella che si esprime, ad esempio, nei primi 1.500 m. del canottaggio, in cui da fermi,
si deve acquisire la giusta "velocità" di crociera in un tempo breve, superando l'inerzia proprio
grazie all'uso della forza.
Fasica-tonica: è caratterizzata da un grosso impegno di forza, ancora più intenso del precedente,
ma più breve.
Esplosivo-tonica: elevato carico in breve tempo: è la situazione in cui, oltre a dovere esprimere
una forza massimale, dobbiamo farlo nel più breve tempo possibile. Ad esempio nel sollevamento
pesi si raggiunge il risultato solo se il bilanciere è proiettato verso l'alto ad altissima velocità, in
modo da dare il tempo all'atleta di collocarsi sotto lo stesso per sostenerlo.
Esplosivo-reattivo-balistica: qui il carico è basso, il gesto è velocissimo e la fase contrattile è
preceduta da un prestiramento muscolare, come nel caso del salto in alto, dove gli ultimi appoggi
della rincorsa hanno anche lo scopo di prestirare il muscolo sfruttandone l'elasticità (pliometria).
Gesto di velocità aciclica: è un'espressione singola di forza veloce e di impegno rapido in cui la
resistenza è così leggera da essere pressoché trascurabile, come la battuta del tennista o l'affondo
dello schermidore.
Gesto di velocità ciclica: l'attributo "ciclica" si riferisce al fatto che non abbiamo un gesto unico
isolato, bensì un solo tipo di gesto, ripetuto più volte in modo identico, come la pedalata del
ciclista, appunto, o la falcata del corridore. In questo caso l'esempio può essere quello del
calciatore, che, superata la fase di accelerazione ed essendo quindi in una fase di corsa lanciata, ad
esempio nella parte centrale di un contropiede, compie alcune falcate al massimo della velocità
senza dovere imprimere una forza consistente perché ha già superato l'inerzia della partenza e
dell'accelerazione.
La complessità dei gesti e dei modi di sviluppo e di espressione della forza è legata ai processi
biochimici dell'organismo. Se si vuole impostare un allenamento per lo sviluppo della forza, infatti,
si deve quindi in primo luogo chiedersi quale "tipo" di forza si vuole sviluppare, quali sono i propri
obiettivi, quali tipi di gesto interessa compiere. In tal modo si è in grado di sapere verso quali
direzioni far muovere la biochimica del corpo, tenendo presente che, ovviamente, alcuni caratteri
sono legati tra di loro: lo sviluppo della forza massimale avrà così effetti sia su quella veloce che su
quella resistente e così via.
In ogni caso, qualunque sia il tipo di forza che si prende in considerazione, il suo livello dipenderà
da tre elementi:
Dimensione della sezione trasversa del muscolo: un muscolo con un maggior numero di sarcomeri
svilupperà più forza di uno più piccolo. Tranne il caso dei culturisti, che applicano sistematicamente
solo tecniche di ipertrofia muscolare, più un muscolo è grosso, più è forte.
Coordinazione intramuscolare: il singolo muscolo è composto da tantissime fibre muscolari. Nella
persona non allenata esse tendono a eccitarsi ed a contrarsi in modo meno coordinato che nel
soggetto allenato, il quale è in grado di eccitare le varie fibre nei tempi ideali.
Coordinazione intermuscolare: i gesti del corpo umano non sono mai effettuati da un singolo
muscolo: ne interviene sempre più di uno contemporaneamente. La capacità dell'atleta allenato,
rispetto al soggetto non allenato o al principiante, di coordinare più muscoli che compiono il gesto
si traduce nella capacità di esprimere un più elevato livello di forza. Uno degli obiettivi
dell'allenamento, infatti, visto che una catena è forte quanto il suo anello più debole, è di trovare
sempre il punto debole della catena e rinforzarlo con un lavoro mirato. Una delle principali logiche
con cui si deve impostare un allenamento di forza, quindi, consiste nello studiare quali muscoli
intervengano nell'esecuzione di un gesto e lavorare su quelli più deboli.
Logiche dell'allenamento
Abbiamo già visto che per meglio interpretare un allenamento della forza occorre innanzi tutto
decidere quale "tipo" di forza o meglio quale sua "modalità di manifestazione ed espressione"
vogliamo migliorare.In secondo luogo occorrerà analizzare la catena di muscoli che concorre
all'esecuzione del gesto che ci interessa e rinforzarne i punti deboli.Scendendo ancora più nel
dettaglio occorre ora chiedersi cosa vada fatto per rinforzare il singolo muscolo.Ogni muscolo ha
una o più funzioni principali ed altre secondarie. Ad esempio quella principale del pettorale è di
addurre l'omero. Per allenare un muscolo bisogna quindi prima capire quali siano le sue funzioni e
poi effettuare esercizi in cui si effettui, in questo caso, una adduzione dell'omero contrastando una
resistenza. Lo studio dell'anatomia ci permette anche di fare altre considerazioni. Prendiamo ad
esempio il caso delle braccia. Le leve dei loro muscoli sono svantaggiose, perché questi arti non
sono fatti per sopportare grossi carichi, ma per muoversi velocemente, cosa che la leva svantaggiosa
garantisce. Le braccia, dunque, in natura devono effettuare gesti veloci, come lanciare una pietra,
colpire con un bastone, afferrare un oggetto al volo, non per esprimere grandi quantità di forza. I
lavori tesi a produrre forza o ipertrofia in questi arti sono quindi, in un certo senso, innaturali e
l'allenamento va fatto con cautela e gradualità. Gli addominali, invece, sono molto ricchi di fibre
rosse. Si allenano quindi bene con alti numeri di ripetizioni e possono lavorare anche quasi tutti i
giorni. Tradizionalmente li si allena infatti con basse intensità e moltissime ripetizioni. Non ha
molto senso, dunque sottoporli ad un allenamento basato su gesti esplosivi, tranne il caso in cui un
atleta non pratichi a livello agonistico uno sport, come quelli da combattimento, in cui sia
necessario sviluppare questa caratteristica.
Quando si parla di sviluppo della forza ci vengono immediatamente in mente degli omoni dalla
struttura massiccia ed inquietante. In realtà tutti o quasi possono avere un giovamento
dall'allenamento teso a sviluppare questa capacità. Vediamo perché:
Prima dei 12-13 anni, la forza non è allenabile. In realtà occorre comunque distinguere tra età
anagrafica ed età biologica, tuttavia prima di quest'età nell'organismo manca il testosterone che fissi
il lavoro, rendendo utile l'allenamento di forza, inoltre il rachide e le cartilagini sono in
accrescimento e quindi delicati. Proprio la presenza del testosterone permette all'allenamento della
forza di "fissarsi" nell'organismo procurando un miglioramento. Fino alla pubertà, come sappiamo,
le femmine hanno un livello di forza simile e a volte superiore a quello dei maschi. La diversa
produzione ormonale che si ingenera in questo periodo, invece, che porta alla presenza di
testosterone nel maschio e di estrogeni nella femmina, fa sì che la muscolatura dell'uomo diventi
più forte di quella della donna, con prestazioni di forza, resistenza e velocità maggiori.
L’allenamento fino a questa fascia di età va finalizzato dunque a migliorare la coordinazione e la
tecnica e va insegnato all'allievo il corretto svolgimento dei gesti e il lavoro a corpo libero. Gli
esercizi di forza possono comunque essere utilizzati nell'ambito di un programma completo teso a
correggere e migliorare i paramorfismi. Il carico va modulato sulle esigenze e l'età biologica del
ragazzo, personalizzando le tecniche di lavoro. Dalla pubertà in avanti, invece, il lavoro con i pesi,
finalizzato anche allo sviluppo della forza può essere consigliato per molti motivi.
2. Aumenta la mobilità articolare, se il lavoro è effettuato con esercizi che tengano conto di questo
obiettivo e si evita il lavoro fatto in concentrazione con ridotta escursione articolare.
3. Migliora la velocità, come sottoprodotto dell'aumento della forza assoluta e relativa, cioè in rapporto al
peso corporeo.
4. Aumenta la forza.
5. Aumenta la resistenza.
6. Migliora le capacità coordinative, se vengono utilizzati pesi liberi come manubri e bilancieri e non
macchine.
10. Contribuisce a creare una mentalità volta a sopportare la fatica fisica e a stimolare l'agonismo.
Essendo il lavoro con i pesi uno strumento estremamente modulabile, variando l'intensità dei
carichi, la lunghezza dei recuperi, la velocità di esecuzione dei gesti, eccetera, permette di
intervenire in modo assai preciso sulle esigenze di ogni singolo ragazzo, producendo così gli effetti
adattivi desiderati. Gli effetti del lavoro con i sovraccarichi, infatti, dipendono da:
2. Sesso
4. Tipo di esercizio
Tuttavia, anche se l'allenamento alla forza per i giovani offre molti vantaggi, la struttura di questi
soggetti è talmente delicata che non mi sento di consigliare loro un allenamento di questo tipo senza
essere seguiti da un preparatore esperto che segua una serie di principi di lavoro basilari validi per i
giovani e per tutti i principianti in genere, che possono essere così sintetizzati:
1. Orientamento del lavoro volto alla riduzione degli scompensi: il preparatore deve capire chi ha
davanti, che problemi ha: dismorfismi, asimmetrie, vizi del portamento, …. Uno degli obiettivi di
medio-lungo periodo deve essere quello di risolvere o attenuare questi problemi.
2. Allenamento centrifugo: l'allenamento deve avere inizio allenando prima e meglio i muscoli della
zona più centrale del corpo, cominciando dunque dal centro ed arrivando solo in seguito alla
"periferia". Prima allenerò addominali, obliqui e lombari e poi via via gli altri lasciando quelli degli
arti per ultimi.
3. Progressività nella quantità di lavoro, favorendo le doti di resistenza prima di quelle di forza.
4. Gradualità nella qualità del lavoro, che attiene l'intensità e la difficoltà del gesto.
5. Continuità e frequenza: i periodi di riposo non devono essere eccessivi, anche se sulla frequenza
non c'è una regola fissa su cui si trovino tutti d'accordo.
6. Apprendimento: è necessario un periodo di tirocinio per gli esercizi più difficili che si effettua con
carichi bassi e molte serie e ripetizioni. Alla fine l'allievo non dovrà pensare consciamente
all'esecuzione tecnica che dovrà essere automatica e spontanea. In primo luogo si dovrà sviluppare
velocità e capacità coordinative e solo in seguito forza e resistenza.
7. Alternanza: modificare gli strumenti di lavoro per evitare la trappola della noia.
9. Analisi: scomporre il movimento in gesti semplici per poterli insegnare con maggiore facilità.
10. Sintesi: ricomporre i movimenti complessi mettendo insieme quelli semplici già analizzati ed
appresi eseguendo il movimento nella sua totalità.
14. Temperatura ambientale sbagliata sia in eccesso che in difetto, tenendo anche conto dell'umidità
ambientale.
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Anche gli anziani hanno una super compensazione, cioè un miglioramento biologico derivante
dall'allenamento. L’esercizio fisico e l'alimentazione possono allungare il periodo di vita entro i
limiti imposti dal patrimonio genetico. A questo scopo l'anziano deve pesare relativamente poco e
mangiare alimenti semplici e non elaborati. L’allenamento con i pesi deve prediligere lo sviluppo
della forza e della resistenza allo scopo di irrobustire muscoli, ossa e cuore, non certo della velocità.
I movimenti devono dunque essere lenti e controllati. Gli allenamenti a circuito sono molto efficaci,
perché permettono di sviluppare un lavoro utile all'organismo anche con carichi bassi che non siano
pericolosi per tendini ed articolazioni. L’anziano si deve allenare tutti i giorni ma in modo variato.
L'allenamento con i pesi, in particolare, va effettuato almeno due volte alla settimana, effettuando di
massima 12-20 ripetizioni per 4-5 serie per ciascun esercizio. L’esercizio fisico nell'anziano è
ottimo perché migliora anche l'aspetto mentale. In inverno, poi, la palestra è il luogo ideale, per la
sua temperatura costante e perché rappresenta un momento di ritrovo e di svago.
Quando si è parlato della forza massima, veloce e resistente, sono state descritte le tecniche
tradizionali fatte di serie, ripetizioni e recuperi per allenarle. Ora ne vedremo altre, alternative a
queste, consigliabili però solo a chi abbia alle spalle già un buon allenamento e non soffra di
problemi articolari. Cambiare la metodologia di allenamento consiste nel miscelare in modo diverso
i fattori dell'allenamento allo scopo di ottenere dal soggetto una risposta migliore al lavoro. Ogni
persona, infatti, è caratterizzata da una propria specificità ed ha una risposta diversa, più o meno
efficace, ai diversi metodi di allenamento e quindi di sviluppo della forza.