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Giorgio Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 100.

Uno dei temi più discussi nella rinascita con- sorprendenti. Così dopo l’inizio da archivi-
temporanea dell’antropologia filosofica è quello sta/archeologo foucaultiano – «Nella Biblioteca
della differenza tra uomo e animale. D’altro canto, Ambrosiana di Milano si conserva una Bibbia
esso era al centro anche della riflessione dei capo- ebraica del XIII secolo che contiene delle preziose
stipiti dell’antropologia filosofica novecentesca miniature…» – il libro procede con un indiscutibi-
(Scheler, Plessner, Gehlen), la cui opera rappre- le senso del ritmo attraverso brevi capitoli dai tito-
sentò, tra l’altro, una reazione intellettuale ai rapi- li al contempo oscuri ed evocativi: Teromorfo,
di e per molti aspetti sconvolgenti sviluppi della Acefalo, Snob, Mysterium disiunctionis, Fisiolo-
biologia del tempo. Che ne è infatti della humani- gia dei beati, Cognitio experimentalis, Tassono-
tas una volta che la comprensione scientifica della mie, Senza rango, Macchina antropologica, Um-
hominitas esclude qualsiasi soluzione di continui- welt, Zecca, Povertà di mondo, L’aperto, Noia
tà rispetto all’animalitas? Quali sono le conse- profonda, Mondo e terra, Animalizzazione, An-
guenze per l’identità stessa degli uomini, per la tropogenesi, Tra, Desoeuvrement, Fuori
loro Gattungsidentität, tradizionalmente impernia- dall’essere. Anche gli autori passati in rassegna
ta sulla differenza di grado tra uomo e animale? sono numerosi e variegati: Bataille, Kojève, Ari-
Simili domande, che non hanno e probabilmente stotele, Tommaso d’Aquino, Linneo, Pico della
non troveranno mai una risposta definitiva, diven- Mirandola, Haeckel, von Uexküll, Heidegger (di
tano ancora più pressanti ai nostri giorni in quanto gran lunga il più citato), Benjamin, Basilide. La
si mescolano con una crescita costante di sensibi- scrittura è spesso limpida, se non cristallina, il te-
lità per i risvolti morali delle nostre relazioni con sto è per lo più molto informativo, ma, cionono-
la restante parte del mondo animale, se non con la stante, nel complesso il filo dell’argomentazione
natura nel suo complesso. non è facile da seguire. A un lettore interessato al
Di sovente nel riflettere su questi temi ci si im- tema ma meno incline verso questo genere di stile
batte in dilemmi che hanno tutta l’apparenza di filosofico verrà perciò spontaneo chiedersi se non
paradossi insolubili che, più che a vani tentativi di sia possibile, e con quali esiti, trasformare un si-
soluzione, incitano a consolanti strategie di aggi- mile mosaico di riflessioni quasi aforistiche in una
ramento e di rimozione, per altro non infrequenti progressione argomentativa rispetto alla quale sia
nella nostra civiltà. Probabilmente non è un caso possibile prendere posizione, assentire o dissentire
che per trovare una tematizzazione davvero radi- in maniera determinata.
cale di questi dilemmi ci si debba rivolgere il più Nel prosieguo vorrei provare, quindi, a spinge-
delle volte all’opera di letterati piuttosto che di fi- re il testo in questa direzione nel tentativo di por-
losofi (basti pensare a La vita degli animali – tare alla luce, per quanto mi è dato di capirle, le
Adelphi, Milano 2000 – del recente premio nobel principali tesi dell’autore. L’assunto da cui prende
per la letteratura Joseph Coetzee, in cui viene as- le mosse la sua disamina mi pare riassumibile in
sestato un poderoso pugno nello stomaco dei let- questi termini: la distinzione tra uomo e animale è
tori che mette a dura prova le coordinate usuali in toto, ossia senza resti, un prodotto storico e cul-
della loro comprensione). turale. Non esistono cioè uomini e animali, tanto
È indubbio, dunque, che per affrontare simili meno esiste una contrapposizione tra uomini e
problematiche sia indispensabile una buona dose animali: essa è piuttosto il prodotto di una mac-
di radicalità filosofica, una dote che certo non china antropogenica o antropologica. La tesi è di
manca al libro di Giorgio Agamben. Al bel libro per sé tutt’altro che astrusa. Ci sono infatti buoni
di Giorgio Agamben, si dovrebbe forse dire. Un motivi per ritenere che la differenza tra uomo e
testo al contempo affascinante e irritante. Scritto animale non sia qualcosa di scontato, un’evidenza
con eleganza, scandito con perizia, abile nel cattu- indipendente da specifici processi storico-
rare l’attenzione del lettore senza fare mai conces- culturali. Ma perché parlare di «macchina»? Ap-
sioni alle sue debolezze e pigrizie, ma anche elu- parentemente, perché in gioco è un meccanismo di
sivo nei passaggi decisivi, oscuro nella formula- cui preme sottolineare il carattere anonimo, non
zione delle tesi positive, mimetico nell’adesione imputabile, sovraordinato. Ovviamente a qualcuno
agli autori interpretati. potrebbe sempre venire in mente di domandare
Come non di rado capita in autori che predili- chi l’abbia mai costruita questa macchina (e que-
gono uno stile argomentativo allusivo, il risultato sta possibilità non è certamente estranea alla la-
è a prima vista un elegante gioco erudito che si tente atmosfera critica verso la nostra civiltà che
traduce nella giustapposizione di tasselli, spesso pure si respira tra le pagine del libro) e, benché i

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candidati naturali a questo ruolo siano senza dub- universo di indifferenza: vanità, inoperosità, as-
bio dei pensatori, e dei pensatori di rango (cfr. p. senza di mistero, inapparenza, inconoscenza, fuo-
81: «L’ontologia, o filosofia prima, non è una in- riuscita dall’essere (ovvero dalla dicotomia tra es-
nocua disciplina accademica, ma l’operazione in sere ed ente). Si tratta quindi di un sogno escato-
ogni senso fondamentale in cui si attua logico, a metà strada tra nichilismo e gnosticismo,
l’antropogenesi, il diventar umano del vivente»), di difficile formulazione, in cui la fine della cesu-
l’immagine della macchina suggerisce piuttosto ra tra uomo e animale appare come il prodromo al
l’idea della produzione di effetti inevitabili, e ma- superamento di ogni differenza e dunque come
gari inattesi, da parte di un dispositivo dotato di una possibilità ineffabile, indicibile, sottratta alla
una certa autonomia funzionale. sfera linguistica della determinazione e della ne-
Ma qual è, nella sostanza, l’effetto di questa gazione.
macchina antropologica? Essa genera anzitutto Che dire di una simile antropologia apofatica?
cesure, distinzioni, dicotomie, contrapposizioni. Quali indicazioni si possono trarre da frasi come
Stabilisce i confini tra un dentro e un fuori, un in- queste: «Nella nostra cultura l’uomo […] è stato
terno e un esterno, la cui definizione è possibile sempre il risultato di una divisione, e, insieme di
solo in un rimpallo continuo e che in questa circo- una articolazione dell’animale e dell’umano, in
larità perdono di chiarezza e stabilità. Le categorie cui uno dei due termini dell’operazione era anche
dell’umano e dell’animale sono ricondotte dunque la posta in gioco. Rendere inoperosa la macchina
in ultima istanza a strategie di decisione e di deli- che governa la nostra concezione dell’uomo signi-
berazione teoriche con ricadute pratico-politiche ficherà pertanto non già cercare nuove – più effi-
che agiscono all’interno degli uomini stessi. Deci- caci o più autentiche – articolazioni, quanto esibi-
sioni che sono lacerazioni nel corpo vivo re il vuoto centrale, lo iato che separa – nell’uomo
dell’uomo e si riflettono sulla scienza (medica in- – l’uomo e l’animale, rischiarsi in questo vuoto:
nanzitutto), sulla politica, più in generale sulla sospensione della sospensione, shabbat tanto
storia. Il mistero da risolvere, o meglio – se si se- dell’animale che dell’uomo» (p. 95)?
gue l’indicazione di Walter Benjamin (si veda in Il sogno della «grande ignoranza», della insal-
proposito la citazione da Strada a senso unico a p. vabilità che salva, del rifiuto di ogni compito sto-
86) – da «recidere», è dunque il «mysterium di- rico-politico (in cui, per altro, un’interpretazione
siunctionis» (pp. 24 e 43): l’enigma, cioè, della poco convincente della storia recente serve da an-
produzione storica di quella frattura tra uomo e ticamera per un’idea ancor meno convincente di
animale, che ha luogo anzitutto all’interno post-histoire, totalmente succube delle illusioni
dell’individuo stesso e da cui è emerso quel golem delle filosofie della storia moderne), della fuoriu-
antropologico che è l’uomo occidentale. scita tout court dall’essere, possono forse suggeri-
Ma tutto ciò significa forse che prima che si at- re ad altri associazioni più nitide e feconde. Agli
tivasse la macchina antropologica esisteva occhi di chi scrive, tuttavia, simili formule ap-
un’unità o, meglio, una non divisione originaria e paiono come ulteriori esemplificazioni di quella
che essa rappresenta ancora oggi una meta a cui strategia di aggiramento e rimozione degli enormi
aspirare? È concepibile, cioè, una sorta di luddi- dilemmi cui ci troviamo di fronte che, in altri con-
smo escatologico da scatenare contro la macchina testi, spinge così tanti nostri contemporanei a cer-
antropologica per frenarne una volta per tutte il care rifugio nel fondamentalismo o
funzionamento? La cosa non viene affermata nell’indifferenza nei quali, per altro, trova espres-
esplicitamente, ma le pagine dedicate a Heidegger sione il medesimo bisogno di evadere dalle distin-
e i rapidi cenni al Benjamin che più piaceva a Ge- zioni significative.
rhard Scholem, il Benjamin «teologo» inconsape- Pensare di risolvere la densa e opaca solidità
vole, fanno pensare che, sì, una fuoriuscita dal di- della distinzione tra uomo e animale negandone la
spositivo antropogenico sia non solo possibile, ma sussistenza, considerandola solo come il prodotto
persino auspicabile. Ma una fuoriuscita verso do- di una anonima e deformante macchina antropo-
ve? logica, non significa tanto fuoriuscire da un incu-
Si direbbe verso il nulla. Si respira infatti bo, quanto creare le premesse per uno persino
un’atmosfera immobile e impalpabile nelle pagine peggiore. A meno che, in maniera a tutti gli effetti
conclusive dedicate all’idea di una salvezza che gnostica, non si reputi la vita stessa come la peg-
sfugge alla logica stessa della redenzione, giore delle trappole e l’incubo da cui fuoriuscire a
nell’immagine benjaminiana di una natura che ogni costo. Ma a una simile disperazione – ahimè
salva proprio perché non si attende alcuna salvez- – non esiste alcuna risposta filosoficamente plau-
za, che, anzi, non attende alcunché. I termini uti- sibile.
lizzati suscitano nell’insieme l’immagine di un

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Paolo Costa

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