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Quando accadono eventi atmosferici come quello di mercoledì 21

marzo 2018 bisogna osservare l’accaduto, prendere atto delle


conseguenze e fare una profonda riflessione. Il problema da porsi
in queste occasioni non dev’essere quello di dover capire ciò che
deve farsi per evitare che alcuni eventi si ripetano, perché con il
“mare” che è elemento di natura e con le “mareggiate” che sono
eventi naturali non può farsi nulla, né inibire loro di ripetersi nella
forza distruttiva attraverso la quale, ahinoi, talvolta si mostrano.
Piuttosto l’angolo visuale della questione su cui indirizzare la
riflessione deve spostarsi su un aspetto decisivo per la soluzione
del problema: le modalità di utilizzo del territorio.
Ogniqualvolta si verifica un evento naturale/atmosferico dannoso
in Italia non facciamo altro che contare e collezionare una casistica
ormai copiosa di disastri ambientali: diga del Vajont nel Trentino,
l’alluvione in Toscana di qualche trentennio addietro, il fiume
Tanaro in Piemonte negli anni ‘90, il caso della slavina di Sarno in
Campania sempre negli anni ‘90, l’alluvione di Soverato in
Calabria, l’alluvione in Liguria; degni di nota sono anche, quelle
perpetuanti situazioni di pericolo per l’incolumità umana, generate
da un sopruso nei confronti del territorio: il Vesuvio in Campania
con l’edificazione selvaggia alle sue pendici, l’Etna in Sicilia con le
pressochè cicliche eruzioni che minacciano le abitazioni a poche
decine di metri dalle aree interessate dal fenomeno lavico.
A tal uopo vi è da porsi una serie di interrogativi: qual’è e quale è
stato l’indirizzo che si è dato in Italia alla tematica geologico,
ambientale e paesaggistica? come hanno operato nel tempo le
istituzioni nell’esercizio del potere concessorio delle aree
demaniali e quali controlli hanno attivato per verificare se i limiti
dei diritti concessi venissero ottemperati? Qual’è stata la ratio legis
utilizzata dal legislatore nel settore paesaggistico, ambientale,
nonchè demaniale? Quali sono e quali sono state le prassi
burocratico-amministrative adottate per attagliare una disciplina
alle imprescindibili caratteristiche del territorio, e sempre nel
rispetto della salute del cittadino prima, e nel rispetto
dell’ambiente poi? Si è tenuto sempre conto, da parte di chi
esercita il potere legislativo e delle istituzioni preposte ad
effettuare un controllo paesaggistico, ambientale e geologico del
territorio? Si è considerato altresì che l’ambiente e la salute del
cittadino sono due valori imprescindibili l’uno dall’altro? Ci si è mai
chiesti se tutto è stato fatto in funzione delle molteplici questioni
appena poste, ovvero si è operato anche in direzioni diverse e
fuorvianti rispetto al preminente bene oggetto di tutela
originariamente preso in considerazione? Ogniqualvolta si è
verificato disastro ambientale di qualsiasi entità, si è pensato di
modificare lo stato dei luoghi al fine di migliorare l’utilizzo del
territorio al fine di prevenire eventi dello stesso tipo?
Le suddette questioni sono indotte dal fatto che nessuno vuole e
nessuno si augura eventi catastrofici come quelli abbattutosi sulla
costa dell’alto Tirreno cosentino nei giorni scorsi, perché nessuno
vuole veder finire sommersi sotto la sabbia e l’acqua anni di
sacrifici materiali ed economici di un esercito di persone che trae
sopravvivenza dalla c.d. “industria del mare” e che per vivere di
questa industria affronta, oltre che gli oneri conseguenti, anche
una buona dose di burocrazia.
Il mio pormi delle riflessioni sembrerebbe quasi demente, perché
sia i funzionari degli enti preposti, sia i diretti interessati dei danni
causati dagli eventi atmosferici mi potrebbero rispondere con un
telegrafico: “ma la legge lo permette, ma la legge lo prevede, è
tutto in regola, ecc….. Il punto nevralgico della questione però,
oltrepassa ogni considerazione di ordine puramente e
semplicemente formale, ma porta fare altre più pregnanti
considerazioni che portano ad auspicare un’inversione di tendenza,
visto che il modus agendi e modus operandi adottati fino ad oggi
hanno portato come risultato quello di cui oggi discutiamo.
L’inversione di tendenza starebbe proprio in una sorta di
procedimento revisorio in primis a livello legislativo e poi a livello
di controllo del territorio. Quindi non è peregrina la speranza di
una tendenza normativa evolutiva che preveda limiti più pregnanti
alla potestà concessoria e controlli più rigorosi del territorio, oltre
chè un approccio interdisciplinare che consideri le molteplici
interconnessioni che presenta la tematica dello sfruttamento del
territorio, il tutto orientato ad evitare danni ai singoli interessati e
alla comunità, consentendo, al contempo, una più intelligente e
meno dispendiosa attività fruitiva del territorio. Oggi, pertanto, è
giusto che si faccia, come già si è fatto, attivare tutti gli strumenti
per far sì che chi è stato colpito economicamente possa, laddove è
previsto normativamente, essere ristorato. Ma nel dopo
“mareggiata” il pensiero della collettività i tutti gli operatori
balneari, dovrà essere quello di auspicare un’intervento ma è
anche lecito pensare e augurarsi che ci sia un intervento statuale
di tipo normativo-strutturale che porti a compimento un processo
revisorio dell’insieme, che contemperi ogni interesse in gioco, ma
che sia finalizzato alla essenziale razionalizzazione dell’utilizzo del
territorio. Solo quest’ultima via potrà garantire i diritti di tutti,
oltre l’emergenza.
© Francesco Casella

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