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AMEDEO QUONDAM

Note sulla tradizione


della poesia spirituale e religiosa
(parte prima)*

Un riconoscimento mi sembra necessario, anzi doveroso: i musicologi sono


molto più bravi di noi italianisti. Da molto tempo, infatti, i loro studi sulla mul-
tiforme esperienza della poesia in musica, sacra e profana, del Cinquecento e
del Seicento hanno prodotto ricognizioni analitiche e quadri d’insieme, anche
bibliografici, che sono certamente di assoluto rilievo, ma soprattutto hanno
assunto come territorio loro proprio, in senso persino “giurisdizionale”, i libri di
poesia (a stampa e manoscritti) dei poeti italiani del Cinquecento, essenziali per
qualsiasi approccio alla gloriosa storia del madrigale, e non solo: i nostri libri, i
nostri poeti, tanto per intenderci (di noi italianisti). Una vera e propria supplen-
za musicologica, dunque: mentre intanto persisteva la distratta debolezza, tal-
volta ancora infastidita, delle nostre ricerche sulla poesia lirica tra Bembo e
Marino, cioè sul Petrarchismo e dintorni1.

*
Ritengo utile pubblicare, nei dintorni delle celebrazioni petrarchesche del 2004 e dei
tanti seminari sul Petrarchismo promossi dal nostro Dipartimento, questa prima parte di un
saggio che riscrive e sviluppa il contributo portato al convegno di studi “Pietosi affetti. Il
madrigale spirituale nell’Italia del Cinque-Seicento”, che si svolse a Venezia presso la
Fondazione Giorgio Cini nell’ottobre 2000 (di cui non sono stati ancora pubblicati gli atti).
1
Questo giudizio limitativo sa bene di dover fare i conti con un profondo mutamento di
quadro interpretativo (nonché di edizioni agguerrite, filologicamente e nel commento), in
corso già da qualche anno, che si è proficuamente accentuato nel corso dell’anno petrarche-
sco: mi limito a rinviare a Petrarca in Barocco. Cantieri petrarchistici. Due seminari romani,
a cura di Amedeo Quondam, Bulzoni, Roma 2004; nonché all’innovativa antologia Lirici
europei del Cinquecento, a cura di Gian Mario Anselmi, Keir Elam, Giorgio Forni, Davide
Monda, BUR Rizzoli, Milano 2004. Per uno sguardo complessivo sugli studi dedicati negli
ultimi trenta anni alla lirica petrarchistica, soccorre ora Petrarkismus-Bibliographie 1972-

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Amedo Quondam

Questa asimmetria potrebbe sembrare solo curiosa, ma riguarda in realtà


qualcosa d’altro, tanto più significativo. Se è infatti ovvio pensare che consegua
dalle diverse storie delle due discipline, più appropriato è riconoscere che que-
sta asimmetria e questa diversità consistano soprattutto nel modo in cui gli ita-
lianisti e i musicologi hanno saputo (e voluto) costruire e praticare il rapporto
diretto con gli oggetti (e i soggetti) dei loro studi, mappandone e perimetrando-
ne i rispettivi territori propriamente in termini di canone e di forme-funzioni.
Rispetto a tutto ciò, ritengo che ci sia ben poco da fare o da dire: se noi addetti
ai lavori sul testo letterario fossimo in grado di percepire, e magari emulare, le
ragioni che da tempo animano (alla lettera) gli studi musicologici dedicati a
quanto è sulla frontiera con la poesia (dal madrigale, appunto, all’opera),
avremmo da tempo (forse) dismesso le nostre (e solo nostre) radicate consuetu-
dini svalutative di qualcosa che non può non imporsi, invece, per la sua straordi-
naria importanza e per il suo eccelso valore estetico: la poesia in/per musica
nelle pratiche culturali dell’Italia e dell’Europa nell’età moderna, in quanto
forma comunicativa biunivocamente integrata (testo e note).
Certo, il panorama degli studi sulla poesia tra Bembo e Marino, il suo stesso
clima, sono da tempo mutati, anche profondamente, e siamo ormai orgogliosi,
anche noi italianisti, di poter esibire i profili, non più rarissimi, di studiosi di testo
poetico competenti di musica o consapevoli del biunivoco intreccio tra musica e
poesia. Eppure c’è qualcosa che resiste passivamente e per inerzia, un osso duro
che non si pone domande, ma neppure si emoziona, di fronte al vistosissimo dato
che irrompe dal convergente, ora, sguardo degli studiosi di poesia e dei musicolo-
gi: e cioè, il fatto che nella cultura classicistica di Antico regime sia proprio l’insie-
me delle pratiche comunicative ordinarie, e delle competenze attive e passive che
regolano la loro economia di produzione e di scambio, a conferire senso a ogni
singolo atto ed evento comunicativo, sia di scrittura (in quanto creazione/composi-
zione: di testo e di musica), sia di esecuzione performativa (leggere poesia e fare
musica). E proprio su questo aspetto bisognerà indagare e ragionare più a fondo:
perché le funzioni e gli usi della poesia nelle colte società aristocratiche (ed eccle-
siastiche) di Antico regime non si limitano certo alla lettura privata in silenzio, ma
definiscono un sistema di pratiche che per più aspetti è omologo e contiguo al
saper fare musica e al saper cantare. Insieme: a più voci, concertando.
Di quanto sto dicendo è immediato riscontro la straordinaria storia del
madrigale italiano. Se è stata coltivata dai soli, per troppo tempo, musicologi
(ripeto: nel totale disinteresse di noi italianisti, talvolta, purtroppo, persuasi che
il madrigale sia stata solo una forma metrica, un bel giorno, chissà perché,
diventata di moda), ha sempre dimostrato la consapevole esigenza di conoscere

2000, herausgegeben von Klaus W. Hempfer, Gerhard Regn, Sunita Scheffel, Franz Steiner
Verlag, Stuttgart 2005.

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Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

e descrivere non solo le complessive proporzioni e le dinamiche del madrigale,


ma anche la trama delle sue correlazioni culturali e sociali.
Compresa la tipologia “spirituale”.

Ritengo opportuna ancora una riflessione preliminare: tanto breve, quanto


indispensabile per dare senso a questo mio contributo. Ed è questa: l’inerziale
resistenza (prima evocata) a ragionare in termini non frammentari sul senso
delle pratiche comunicative della poesia in/per musica nella tradizione classici-
stica di Antico regime, ha avuto un alleato davvero potente. È stato il pregiudi-
zio, tutto ideologico, che ha escluso (e continua a escludere, anche se in termini
sempre più opachi) dal campo della “letteratura” le tantissime e tanto diverse
esperienze di poesia religiosa (devota spirituale sacra eccetera), nelle svariate
forme primarie costitutive e proprie di questa imponente tipologia culturale
(liriche: canzoni sonetti madrigali; narrative: poemi in terza e in ottava rima),
oltre che nella lunga durata di forme archetipiche (la lauda)2.
Una rimozione (anzi, una progettata cancellazione: per produrre un deserto) di
qualcosa che è invece vistoso e certamente tutt’altro che nascosto negli annali tipo-
grafici e culturali tra Quattrocento e Cinquecento, se invade antiche bibliografie e
cronache editoriali. Su tutto ciò converrà un giorno ragionare finalmente senza
astratti furori, anche perché prospetta alcune caratteristiche davvero singolari, se
correlano la più generale invenzione di quel deserto a un chirurgico ritaglio di
qualcosa di eccezionale e raro che deve, invece, essere predicato come valore (con
funzioni contrastive): perché espressione di una religiosità “popolare” e pertanto
autentica, o perché esperienza di una religiosità che corre sul filo di rasoio dell’ere-
sia, quando non diventa consapevolmente eretica. Su tutto il resto solo l’oblio.

2
In positiva controtendenza segnalo il fondamentale saggio di Edoardo Barbieri, Fra tradi-
zione e cambiamento: note sul libro italiano del XVI secolo, in Libri, biblioteche e cultura
nell’Italia del Cinque e Seicento, a cura di Edoardo Barbieri e Danilo Zardin, Vita e Pensiero,
Milano 2002, pp. 3-61; i due volumi miscellanei di studi, a cura di Maria Luisa Doglio e Carlo
Delcorno, Scrittura religiosa. Forme letterarie dal Trecento al Cinquecento, Il Mulino, Bologna
2003; Rime sacre dal Petrarca al Tasso, Il Mulino, Bologna 2005; nonché i saggi di Salvatore
Ussia, Le Muse sacre. Poesia religiosa dei secoli XVI° e XVII°, con schede di Eleonora Bellini,
antiche riproduzioni dalla Biblioteca Molli, Borgomanero, Fondazione Achille Marazza, 1999;
L’aspro sentiero. Poesia quaresimale di Pietro Cresci e Giulio Cesare Croce, Edizioni
Mercurio, Vercelli 2003. Il quadro generale di riferimento di questi studi è profondamente con-
notato dalle fondative ricerche di Giovanni Pozzi raccolte, a esempio, in Sull’orlo del visibile
parlare, Adelphi, Milano 1993. Di particolare interesse è poi l’archivio del poema “sacro” in
costruzione, sotto la direzione di Mario Chiesa, nel sito www.sursum.unito.it/archivi. Da con-
sultare proficuamente è la recente bibliografia degli studi sul Petrarchismo, prima citata. Il qua-
dro di riferimento complessivo è tracciato da Ugo Rozzo, Linee per una storia dell’editoria
religiosa in Italia (1465-1600), Arti grafiche friulane, Udine 1993.

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Amedo Quondam

La prima funzione che la bibliografia qui allegata intende assolvere è, dun-


que, quella di restituire una mappa generale, per quanto ancora solo approssima-
ta: anche per la difficoltà di conservazione proprie della tipologia materiale di
queste stampe e di questi libri, geneticamente destinati al consumo e non a scaf-
fali di biblioteca e pertanto per lo più rari e rarissimi (cioè, in esemplare unico).
Pur nella consapevolezza di questi limiti (cioè, degli errori e delle omissioni),
ritengo che la mappa bibliografica sia l’accertamento preliminare e indispensa-
bile per poter giungere a una ricognizione analitica delle pratiche di scrittura e
di lettura che concorrono a definire, ciascuna per la sua parte, il campo generale
della poesia religiosa nel Cinquecento, nella sua articolazione, tipologica e dia-
cronica (attraverso un secolo tanto lungo), di forme-funzioni: una ricognizione
analitica che non si accontenti di pregiudiziali compromessi o di scontati para-
digmi. In particolare, la mappa generale è indispensabile per poter riconoscere,
nel contesto che è suo proprio, le dinamiche di quella poesia che si autoconnota
come “spirituale”.

Per concludere queste note preliminari, torno all’asimmetria di comporta-


menti tra il musicologo e l’italianista: è sostanziata da radicate consuetudini di
metodo e da strumenti di lavoro del tutto ordinari. Tanto per dare pudicamente
conto di quanto è ovvio, l’asimmetria risulta subito monumentale se consideria-
mo cosa abbia significato e continui a significare il fatto che, per l’accesso al
madrigale italiano, generazioni di musicologi abbiano potuto utilizzare la fonda-
tiva monografia di Alfred Einstein3, con quanto ne è poi derivato nella filologia
critica e nella storiografia, in termini fortemente innovativi4, e abbiano potuto
orientarsi nella selva madrigalistica grazie all’aiuto del repertorio di Emil
Vogel5. E se sono stati così bene allevati, si comprende perché i musicologi
siano incontentabili e continuino a progettare sempre nuovi strumenti d’infor-

3
Alfred Einstein, The Italian madrigal, Princeton University Press, Princeton 1971 (la
prima edizione risale al 1949): in tre volumi.
4
Nell’impossibilità di dare una bibliografia che possa avere senso, mi limito a citare:
Giulio Cattin, Il madrigale italiano del Cinquecento, Cleup, Bologna 1986; Iain Fenlon e
James Haar, L’invenzione del madrigale italiano, Einaudi, Torino 1992 (edizione originale:
Cambridge University Press 1988); Harry B. Lincoln, The Italian Madrigal and related
repertories. Indexes to printed collections (1500-1600), Yale University Press 1989; Anthony
M. Cummings, The Maecenas and the Madrigalist. Patrons, Patronage and the origins of the
italian madrigal, Amer Philosophical Society, 2004.
5
La sua Bibliothek der gedruckten weltlichen Vocalmusik Italiens aus den Jahren 1500-
1700 (in prima edizione nel 1892) è stata più volte ripubblicata, corretta e ampliata, fino al
suo nuovo assetto comunemente chiamato “nuovo Vogel” edito nel 1977 in Italia (Emil
Vogel, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, con le
integrazioni di Alfred Einstein, François Lesure e Claudio Sartori).

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Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

mazione bibliografica: a fare anche il lavoro di noi italianisti, lavorando sui testi
e sui libri dei nostri poeti che hanno avuto il destino ulteriore di essere in musi-
ca6. E si comprende perché siano spesso, se non sempre, in largo anticipo rispet-
to alle nostre esasperanti inerziali lentezze: anche quando studiano il madrigale
spirituale7.
L’asimmetria, infine, non può non risultare tanto più singolare, se si conside-
ra che il madrigale si alimenta (il più delle volte) metamorficamente di un testo
poetico autonomo oltre che preesistente, e che non è solo il madrigale a essere
titolare di questa metamorfosi, dal momento che riguarda le dinamiche permuta-
tive che il testo poetico subisce ogni volta che incontra la musica, fino a diven-
tare radicalmente altro, quando diventa canto polifonico od opera. Ebbene, se
negli ultimi anni si è sviluppata tra noi italianisti una crescente attenzione nei
confronti del libretto d’opera (sia antica che moderna: ma più per rivendicarne
l’autonomia letteraria originaria, che per analizzarne gli esiti del suo diventare
voce cantante simbiotica alla musica che è sua propria)8, non mi sembra che sia
emersa, invece, una qualche curiosità a ragionare sugli statuti e sulle dinamiche
delle trasformazioni che il testo poetico produce e subisce quando diventa
madrigale: neppure quando tra gli studiosi di testo è stata intensa la passione

6
Mi riferisco al Repertorio della poesia italiana in musica (1500-1700), in acronimo
RePIM che da alcuni decenni persegue l’obiettivo di rifare il “nuovo Vogel”: dopo essere
stato progettato da Lorenzo Bianconi e realizzato su supporto cartaceo da Angelo Pompilio e
Antonio Vassalli, ora è disponibile in rete, ancorché in fase sperimentale, per le cure di
Angelo Pompilio: http://repim.muspe.unibo.it/repim. Ricordare questi progetti, i loro curatori
e i loro sostenitori, mi riporta indietro negli anni, ai fervidi cantieri dell’Archivio del madri-
gale che animò negli anni Ottanta l’attività scientifica dell’Istituto di studi rinascimentali di
Ferrara, grazie al generoso e lungimirante lavoro di Thomas Walker. Il curioso italianista che
transitasse allora in quei paraggi poteva restare coinvolto (perplesso prima che ammirato) in
serrati confronti su tante edizioni di rime cinquecentesche e rendersi, quindi, conto come fos-
sero ben più note e amate altrove, nei percorsi della musicologia internazionale,
dall’Inghilterra alla California; e persino poteva, per invida emulazione, progettare, sognan-
do, repertori strumenti edizioni (già digitali) che potessero essere finalmente competitivi con i
Vogel vecchi e nuovi che costantemente erano esibiti.
7
Nel ribadire che queste note conseguono dalla citata esperienza del convegno venezia-
no sul madrigale spirituale promosso nel 2000 da un gruppo di musicologi, ricordo lo studio
di riferimento in questo specifico campo: Katherine Susan Powers, The Spiritual Madrigal in
Counter-Reformation Italy. Definition, use and style, UMI, Ann Arbor 1997.
8
D’obbligo il rinvio all’autorevole silloge dei Libretti d’opera italiani dal Seicento al
Novecento, a cura di Giovanna Gronda e Paolo Fabbri, Mondadori, Milano 1997; per un
significativo riscontro delle più innovative (anche perché pluridisciplinari) modalità d’ap-
proccio a questa esperienza, rinvio al volume miscellaneo a cura di Mariasilvia Tatti, con
introduzione di Giulio Ferroni, Dal libro al libretto. La letteratura per musica dal Settecento
al Novecento, Bulzoni, Roma 2005.

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Amedo Quondam

teorica intorno alla letteratura e alle sue migrazioni intertestuali, interdiscorsive,


intersemiotiche, eccetera.
Per cercare di comprendere le ragioni di questa inerziale disattenzione, credo
che sia necessario mettere in gioco, con la conveniente sobrietà, fondamentali
questioni generalissime: a esempio, l’antico fastidio (se non più orrore) per lo
sconfinato territorio della poesia lirica moderna chiamata Petrarchismo (in
quanto tipologia primaria, costitutiva e propria, della comunicazione poetica
classicistica). Un fastidio dinamicamente attivo, se continua a sostenere quel
paradigma che ha forgiato il disvalore della poesia lirica: una landa più o meno
desolata, anzi il deserto padre di tutti i deserti della letteratura classicistica (con
qualche rara oasi e molti miraggi: peraltro non propriamente letterari). Quel
paradigma che è stato per gli italianisti della mia generazione (non più tra i gio-
vani?) la causa primaria dell’asimmetria con i musicologi. Per non parlare poi
della conventio ad excludendum subito prodotta, nell’impianto e nel senso di
quel paradigma, da ogni eventuale riferimento alle esperienze di poesia religiosa
o spirituale.
Per restare nei confini del discorso proprio della critica e della storiografia
letteraria, e riconoscendo che non può certo essere questa la sede per aprire (o
riaprire) l’indispensabile analisi delle ragioni che hanno portato alla diffusione e
al radicamento di un paradigma tanto negativo e persino brutale (nel suo incro-
cio tra ragioni estetiche e ragioni etiche: contro una poesia di sole forme, vuote
e frivole), mi limito a rilevare che se il Petrarchismo resta nella nostra basic per-
cezione una “malattia” endemica, è solo perché tutta la cultura di cui è parte
continua a essere considerata una catastrofe ambientale, una pestilenza struttura-
le, una modificazione genetica, un handicap definitivo. Per non parlare poi di
ogni forma comunicativa propriamente religiosa: fatte salve – per le ragioni
prima indicate – quelle “popolari” o eretiche.
Il Petrarchismo come sindrome primaria del Classicismo: la connotazione
negativa di questa tipologia culturale che riguarda almeno tre secoli della storia
italiana ed europea (l’intera lunga durata dell’Antico regime) è stata fondata e
costruita – come a tutti è ben noto – dal paradigma storiografico elaborato in
Italia nel corso dell’Ottocento, e definitivamente fissata ne varietur dal capola-
voro di Francesco De Sanctis, la Storia della letteratura italiana, che ha predi-
cato, e continua a predicare, il disvalore in primo luogo etico, e quindi estetico,
di tutta quella lunga stagione della cultura italiana ed europea, ma per ragioni
strettamente ideologiche. La decadenza politica e morale degli stati italiani di
Antico regime, il loro asservimento alle potenze straniere, il predominio della
Spagna e della Chiesa della Inquisizione e della Controriforma (dei gesuiti,
insomma), eccetera, hanno il loro diretto correlato nella decadenza delle arti e
delle lettere, nel predominio di forme vuote, nei servi encomi e nelle servili imi-
tazioni, eccetera. Se tutti i generi della comunicazione letteraria del Rinasci-
mento (per non parlare del Barocco e del Settecento non “riformatore”) sono

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Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

così segnati dal radicale interdetto promulgato da questa favola triste e paranoi-
ca, tra tutti è proprio la poesia lirica a risultare particolarmente colpita, e quella
religiosa e “spirituale” a essere affondata (se non con le due speculari eccezioni
di cui ho parlato): il bersaglio grosso resta, insomma, il Petrarchismo, la prima
grande grammatica della letteratura europea, nelle pratiche comunicative attive
e passive del gentiluomo di Antico regime9.
Ma non vorrei divagare, non foss’altro perché questi problemi non riguarda-
no, e neppure sfiorano, la musicologia: forse proprio per il suo radicamento
internazionale, in paesi e culture privi dei nostri astratti furori ideologici, non ha
avuto siffatti scrupoli e ha potuto, a esempio, riconoscere da tempo il primato
del madrigale come forma archetipica della cultura letteraria e musicale del
Cinquecento e del Seicento in tutta l’Europa delle Corti (per non parlare della
straordinaria valutazione del Barocco in musica). A fronte di questa eccezionale
esperienza di studi, la marginalità delle sempre più stanche ripetizioni del glo-
rioso paradigma ottocentesco risalta immediatamente: tanto più quando si consi-
deri che la ricerca musicologica internazionale non si limita a restituirci il senso
della poesia in/per musica (e non solo del madrigale) nell’Antico regime, ma
concorre alla sua fruibilità (per quanto passiva), in particolare sostenendo il
recupero di quel repertorio nella prassi esecutiva delle nostre sale di concerto e
nei nostri studi di registrazione. I maestri del madrigale sono di nuovo famosi,
anche se in una nicchia dove però non si affollano solo devoti melomani o bel-
cantisti. Ma dove sono, invece, le edizioni di quei testi poetici che generazioni
di musicisti, a gara, hanno messo in musica?

Chiudo questi flash preliminari e i loro sincopati squilli di battaglia, non


senza, però, aver ribadito quanto sia ormai insopportabile l’asimmetria tra le arti
sorelle: non solo tra poesia e musica, ma più ancora tra pictura e poesis. Persino
clamorosa, l’asimmetria, in questo caso: le arti figurative del Classicismo sono,
oggi, un patrimonio condiviso dell’umanità, studiate e rivalutate dalla ricerca
internazionale senza troppi patemi (la decadenza?!? il formalismo artificioso e
vuoto?!? le stucchevoli pastorellerie?!?), e non soltanto quelle dell’età d’oro di

9
Ho svolto queste considerazioni in L’identità (rin)negata, l’identità vicaria. L’Italia e
gli Italiani nel paradigma culturale dell’età moderna, in L’identità nazionale nella cultura
letteraria italiana. Atti del 3° Congresso nazionale dell’ADI, a cura di Gino Rizzo, Congedo,
Lecce, pp. 127-149; Per un’archeologia del Canone e della Biblioteca del Classicismo di
Antico regime, in Il Canone e la Biblioteca, in Il Canone e la Biblioteca. Costruzioni e deco-
struzioni della tradizione letteraria italiana, a cura di Amedeo Quondam, Bulzoni, Roma
2002, pp. 39-63; Il Barocco e la Letteratura. Genealogie del mito della decadenza italiana, in
I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del Barocco. Atti del Convegno di Lecce 23-26
ottobre 2000, Salerno Editrice, Roma 2002, pp. 111-175.

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Amedo Quondam

Raffaello, Michelangelo, Tiziano, ma anche quelle del Barocco e persino quelle


del Settecento. E per di più senza discriminare tra arti sacre e arti profane: o
meglio, senza troppo discriminare, anche se talvolta il sacro finisce per essere
desacralizzato (per sciatta incompetenza dei suoi codici) e addirittura profanato.
Purtuttavia, la presenza delle immagini sacre (per non dire delle fabbriche) nella
discorsività intorno alle arti, come pure nei consumi culturali del turismo di
massa, è certamente altissima rispetto a quanto accade nella discorsività intorno
alle letterature e nei consumi letterari: qui la presenza del sacro è rarefatta, fan-
tasmatica.
Insomma, anche questa mi sembra una questione non irrilevante: perché non
abbiamo problemi a ragionare di pale d’altare e non degniamo neppure di uno
sguardo le scritture dedicate agli stessi santi?

1. La parte del libro “spirituale”.

Pubblicando nel 1991 un primo abbozzo di bibliografia della poesia “spiri-


tuale” dal 1485 al 1600, folta di oltre duecento unità, proponevo un grappolo di
rilievi generali che mi sembrano ancora oggi, se non immediatamente attuali,
certamente da riprendere e da riconsiderare: sulla base intanto delle informazio-
ni tanto più ricche e articolate (e non solo in termini quantitativi) che la nuova
bibliografia (pubblicata in appendice) rende disponibili10.
L’insieme prospettato da quella prima approssimazione bibliografica (peral-
tro finalizzata a cogliere le tracce visibili di una tradizione di poesia specifica-
mente “spirituale”) mi sembrava infatti di per sé cospicuo, e già nelle sue
dimensioni materiali: di testi, di libri, di autori. Distribuito poi nella sequenza
cronologica imponeva il rilievo di alcuni macrodati, da analizzare e interpretare
con ogni cura: in primo luogo una curva produttiva (di stampe: e quindi di prati-
che di scrittura e di lettura) in fortissima crescita nella seconda parte del
Cinquecento (precisamente quella che nel paradigma della nostra storiografia è
chiamata età della Controriforma), in singolare sincronia con la stagione distrut-
tiva degli interdetti e delle espurgazioni con gli indici (e con i falò) dei libri
proibiti. E quindi, complessivamente, segnalava l’emergere di un continente
inesplorato: la poesia “spirituale”, appunto; ma in proporzioni e in termini ben
diversi rispetto a quanto risultava tradizionalmente riconoscibile: le rarissime e
singolari emergenze da tempo note si disperdevano in terrae tanto vaste quanto
incognitae.

10
Il saggio di bibliografia era pubblicato in appendice alla parte quarta del libro: Il naso
di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classicismo, Panini, Modena 1991, pp.
283-289.

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Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Un continente e i suoi testi: vecchi e nuovi. Antichi e moderni? Nuovi testi


moderni per rimpiazzare definitivamente quelle sopravvivenze o seconde vite
(tipografiche) di testi che vengono da troppo lontano (a esempio, il Fiore di
virtù o i Miracoli della vergine Maria o le laudi)? E se questi gloriosi testi risul-
tano ormai obsoleti, e quindi illeggibili, persino grotteschi e indecenti all’occhio
e all’orecchio di lettori esperti e scaltriti, educati alla lingua e alle forme di
Petrarca e di Boccaccio, impresentabili in libreria e in biblioteca, tutt’al più
destinati a qualche residuale e marginale sopravvivenza, come si correlano, i
nuovi testi, alle strategie della nuova industria tipografica e all’esplosione della
sua rete commerciale? E perché scriverli? Per integrare la tradizione testuale
religiosa (per lungo tempo una tradizione separata: per statuto d’autore e per
funzione comunicativa) nel moderno sistema letterario e culturale del
Classicismo?
A suscitare la mia curiosità, allora, era l’impressione che queste prime risul-
tanze finissero per riguardare qualcosa che non era stato ancora messo a fuoco
dagli studi sulla letteratura “religiosa”, che pure da qualche tempo stavano cre-
scendo, anche in termini autonomi rispetto ai vincoli del tradizionale approccio
bipolare Riforma/Controriforma: cioè, che fosse stata anche la sperimentazione
di nuove forme della testualità religiosa (devozionale come apologetica, in
prosa come in poesia) a marcare profondamente il processo di costruzione della
nuova letteratura dei moderni, da parte, poi, di alcuni dei suoi più autorevoli
protagonisti. Con un sospetto allora vago: che concentrarsi solo sugli effetti
distruttivi prodotti o indotti dai tanti nuovi e occhiuti dispositivi di controllo del
libro finiva per mettere in ombra quanto di dinamicamente produttivo li accom-
pagnava, per consapevole progetto o per autonoma coincidenza.
Riconosco quanto allora i miei interessi fossero in netta prevalenza letterari:
nella più complessiva analisi del processo di costituzione della moderna lettera-
tura volgare (che già allora attirava le mie curiosità) avrei voluto ricostruire la
trama delle relazioni e degli intrecci che quel processo istituiva con la tradizione
della letteratura religiosa, più o meno da sempre, malgrado gli esemplari moniti
di Carlo Dionisotti11, considerata sostanzialmente e tendenzialmente autonoma,
separata, anzi irrelata, nelle sue forme testuali e nei suoi circuiti comunicativi (e
purtroppo praticata con modalità per lo più separate, quasi fosse enclave riser-
vata agli studiosi “cattolici”).
Soprattutto, allora, mi interessava ragionare sulla parte avuta dagli scrittori
“laici” (da Pietro Aretino a Giovan Battista Marino: attraverso l’essenzialissimo
snodo rappresentato da Torquato Tasso) nella sperimentazione di una scrittura

11
Mi riferisco ovviamente ai fondamentali capitoli del suo libro che sconvolse tanti tra
noi giovani alle prime armi, il famoso Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi,
Torino 1967: Chierici e laici, La letteratura italiana nell’età del Concilio di Trento.

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Amedo Quondam

religiosa moderna (cioè, disposta, per impronta genetica e per progetto, a con-
frontarsi con gli statuti classicistici). La modernità di questa nuova letteratura
religiosa mi sembrava consistere, fondamentalmente, nella sua annessione e
omologazione alla letteratura laica, anche per ibridazione e contaminazione,
comunque mediante interferenze di codici e di tradizioni. In particolare mi inte-
ressava, allora, comprendere come e perché questi scrittori laici (e tanti altri con
loro) fossero così attivamente impegnati nella inventio (in senso propriamente
retorico e classicistico) e nella scrittura (per conveniente dispositio ed elocutio)
non più di insiemi più o meno cospicui di testi sparsi dedicati a materie religiose
e spirituali (canoniche, a esempio, nella tradizione lirica, sul modello del Padre
Petrarca), bensì di autonome e organiche opere religiose e spirituali per statuto
proprio: questi scrittori “laici” perseguivano l’allineamento dello standard
comunicativo (per lingua forma funzioni) della letteratura religiosa a quello
della moderna letteratura laica? Miravano a soddisfare le nuove, e tanto più
distintive, esigenze di decoro di un lettore nuovo, non solo classicista, ma anche
(e forse: soprattutto) cristiano (e tutto questo, ben prima di Trento)?
Insomma, guardavo allora a queste esperienze di scrittura poetica religiosa
da un punto di vista che restava (e voleva restare) saldamente ancorato alla cen-
tralità dominante di una visione integralmente (e forse integralisticamente)
“laica” delle pratiche letterarie, in grado di percepire (se e quando si poneva il
problema di percepirle: con magnanimità anche un po’ snob) queste esperienze
religiose tutt’al più come periferiche e marginali, prima ancora che come curio-
se e suggestive, comunque privilegiando le esperienze poetiche dell’inquietudi-
ne e del tormento religioso (anzi, quelle border line), in termini del tutto omolo-
ghi – si badi bene – alle canoniche modalità di approccio alla poesia lirica
petrarchistica. Se era impensabile, allora, mettere in discussione quella centra-
lità, per tanti aspetti ontologica, il solo margine per districarsi dalla ragnatela
inerziale dei suoi paradigmi storiografici e critici consisteva, per i più irrequieti,
in qualche velleitario strappo o inconcludente azione di guerriglia, mentre i più
prudenti progettavano lunghe marce attraverso il deserto alla ricerca di chissà
quali civiltà sepolte.

Facendo tesoro, per quanto possibile, di quelle esperienze, ma soprattutto


delle tante altre che hanno profondamente modificato, nel tempo, le modalità di
approccio alla letteratura e alla cultura cinquecentesca, vorrei tornare a discutere
il problema della poesia religiosa del Cinquecento: in primo luogo nella cultura
letteraria che è stata sua propria. Dico subito che questa opzione consegue dalla
consapevolezza di quanto profonde, e insopportabili ormai, siano le distorsioni
inevitabilmente prodotte sulla testualità letteraria quando viene letta dal punto
di vista di una storia religiosa del Cinquecento ancora tanto segnata da antichi
paradigmi storiografici (l’invidia della Riforma, a esempio) da esigere ancora
oggi scelte di schieramento.

136
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Se non posso non scusarmi per quanto potrà risultare eccessivamente allusi-
vo in queste battute certo troppo scorciate (solo perché l’impianto e gli obiettivi
di queste mie note sono altri: assumo purtuttavia l’impegno a discuterne altrove
con l’attenzione e il riguardo dovuti a tanti studi eccellenti di ieri e di oggi), non
posso altresì non riconoscere che la scelta di un metodo “archeologico” per ria-
prire il dossier sulla poesia religiosa e spirituale del Cinquecento è motivata
anche dall’esigenza tattica di raffreddare quanto è caldo, troppo caldo, incande-
scente. Predisporre ed eseguire, intanto, i rilievi necessari per poter definire una
prima mappa generale di quella poesia, significa rendere prioritario e pregiudi-
ziale il riconoscimento delle sue proporzioni, prima ancora che avventurarsi
nella ripetizione di stanche formule interpretative (e ideologiche), comunque
geneticamente aprioristiche.
Una mappa in forma di bibliografia: non per evasive istanze di neutralità, ma
perché solo il grado zero costitutivo e proprio di una ricognizione documentaria
degli oggetti e dei soggetti, sul campo delle loro specifiche (e autonome) tipolo-
gie comunicative, può far diradare, forse, la fitta nebbia di furore o di zelo che
ancora grava sulla storia religiosa del Cinquecento italiano (delle sue istituzioni
e delle sue pratiche) e ne coinvolge le scritture di poesia. Con una prima conse-
guenza subito rilevantissima: la mappa bibliografica popola, infatti, immediata-
mente quello che per troppo tempo è stato un presunto deserto, con una fittissi-
ma trama di oggetti e di soggetti. E più ancora ne proietta il senso in una ancora
più fitta rete di relazioni con altri oggetti e con altri soggetti: fuori di metafora,
la poesia religiosa e “spirituale”, con tutti suoi autori e con tutti suoi testi, per-
tiene all’economia complessiva della poesia del Cinquecento, di tutti i suoi
autori e di tutti i suoi testi. Prima ancora di riscontrare e descrivere la gamma
infinita delle differenziazioni diacroniche e diatopiche, prima ancora di dare a
ciascun soggetto e a ciascun oggetto quanto è suo proprio (unicuique suum), la
mappa bibliografica profila un vastissimo insieme che pertiene, a pieno diritto,
in quanto insieme, alla storia generale della letteratura contemporanea.
Intendo dire che se la bibliografia è necessariamente settoriale, non lo è certo
per separare: al contrario, intende dinamicamente, e biunivocamente, correlare
la sua necessaria specificità a tutte le altre del comune sistema culturale. Non è,
insomma, l’anagrafe di una riserva indiana. Tutt’altro: e non solo perché questa
anagrafe prospetterebbe subito troppi casi di autori impegnati in utroque, ma
soprattutto perché nella tipologia culturale classicistica nessuna esperienza di
scrittura può costituirsi, per comunicare, come separata e altra, sia in sé che
rispetto alla fenomenologia complessiva12.

12
A questo punto, vorrei formulare un auspicio, con discrezione, in nota: che questa
separazione necessaria per mettere in evidenza quanto è stato svalutato e rimosso (desertifica-
to), non concorra a perimetrare autonome enclaves per affinità culturali o confessionali, come

137
Amedo Quondam

Anche perché la poesia religiosa non è la sola terra incognita dell’esperienza


testuale del Classicismo trasformata in deserto dai paradigmi che sono ancora
nostri: e non solo perché resta poco nitido – come ho detto – il quadro della
stessa poesia lirica petrarchistica, ma soprattutto perché permane la difficoltà a
recuperare il senso di un sistema comunicativo che continua, tra l’altro, per
secoli a usare il latino per scrivere poesia.
La poesia latina come la poesia religiosa come la poesia petrarchistica: a
prima vista potrebbe sembrare un confronto (ben poco agonistico) tra derelitti,
seppure in diversa misura, eppure è qui il banco di prova per entrare nel sistema
letterario classicistico. Assumendo la consapevolezza di quanto sia genetica-
mente profondo il mutuo intrecciarsi di queste diverse esperienze comunicative
(già negli stessi curricula di tanti scrittori); e soprattutto assumendo la consape-
volezza che si compiono tutte, comunicando (ovviamente, allora) senso e valori,
in un ambiente che fa sistema, secondo quanto è inscritto nel proprio progetto.
Certo, con storie profondamente differenziate: a esempio, la poesia latina, dopo
la sua gloriosa rifondazione umanistica emula degli Antichi e delle loro forme,
si trasforma in una pratica di scrittura prevalentemente religiosa affidata, per lo
più, a sacerdoti, anzi a gesuiti13. Ma anche con storie dalle rilevanti affinità: di
fenomenologia e di destino.
Per la poesia latina può valere infatti quanto ho prima suggerito per la poesia
religiosa (e in prospettiva per tutta la lirica petrarchistica): la ragione principale
della sua scomparsa dai nostri orizzonti storiografici e critici è pressoché tutta
qui, nel suo diventare pratica di sacerdoti, anzi di gesuiti, per quanto occorra
mettere in conto che il suo declino è inevitabile nell’età di nascita (o invenzio-
ne) delle identità nazionali, tali anche (se non soprattutto) sulla base della discri-
minante linguistica. Nell’Europa delle nazioni, questa poesia scritta in latino
non appartiene più a nessuno, non può entrare nel canone di nessuna tradizione
nazionale: quando la poesia religiosa è confinata in un cono d’ombra, quando la
lirica petrarchistica è trasformata in malattia endemica.

se la letteratura religiosa fosse solo un affare riservato dei cattolici di oggi. Sarebbe infatti
paradossale che per riparare gli effetti delle pregiudiziali ottocentesche, nelle loro innervature
anche anticlericali e massoniche, qualcuno preferisca rinchiudersi in gratificanti orticelli con-
clusi, appagato di aver trasformato i cumuli di macerie o di sabbia in riservati giardini odoro-
si: solo suoi.
13
D’obbligo è il rinvio alla fondamentale antologia curata da Pierre Laurens e Claudie
Balavoine, Musae reduces. Anthologie de la poésie latine de la Renaissance, Brill, Leiden
1975; ora rifatta dal solo Pierre Laurens, con il titolo Anthologie de la poésie lyrique latine de
la Renaissance, Gallimard, Paris 2004.

138
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

1.1. La poesia “spirituale”, dunque.


Per poterne cogliere in modo dinamico la trama di referenze e di pertinenze
con la cultura contemporanea, credo opportuno partire dalla ricognizione del-
l’insieme dei libri che si autoconnotano come “spirituali” nella posizione semio-
ticamente forte del titolo (preciso: solo di quelli pubblicati in Italia nel corso del
Cinquecento). Anche perché si tratta di un’impresa non particolarmente onero-
sa: rispetto agli strumenti disponibili solo quindici anni fa, infatti, l’informazio-
ne bibliografica si presenta oggi nettamente migliorata e di tanto più facile
accesso. Mi riferisco in primo luogo al benemerito catalogo delle edizioni italia-
ne (o stampate all’estero in lingua italiana) del Cinquecento attualmente conser-
vate in biblioteche italiane, reso disponibile on line per opera dell’Istituto cen-
trale per il catalogo unico (http://edit16.iccu.sbn.it: d’ora in poi siglato come
Edit16).
Per avviare questa ricognizione preliminare, ho dunque effettuato la ricerca
nella banca di dati bibliografici di Edit16, utilizzando come filtro la sola stringa
di caratteri “spiritual*” nel campo del titolo14. La risposta è stata di per sé note-
vole, anche perché imprevista in tali dimensioni quantitative: sono infatti 910 le
unità bibliografiche di quel repertorio che comunque presentino nel loro sistema
di intitolazione la parola “spiritual*” (da riferire, pur sempre, al totale di 55620
unità presenti nel censimento)15.
Per quanto questo risultato, come tutti i risultati di analoghe inchieste, sia
“sporco” e richieda, quindi, accurati filtraggi16, e per quanto sia, al tempo stesso,
parziale (non tutti i libri di argomento o funzione “spirituale” assumono, ovvia-
mente, questo termine connotativo nel proprio titolo), propone purtuttavia una
significativa approssimazione dell’insieme dei libri che nel corso del
Cinquecento sono stati (presentandosi, a vario titolo, come “spirituali”) a dispo-
sizione del lettore devoto, sia chierico che laico, per le sue pratiche ordinarie.

14
Sempre che ce ne fosse bisogno, preciso che l’uso dell’asterisco come carattere di
troncamento jolly consente di avere la gamma intera delle forme connesse o derivate.
15
La richiesta è stata riproposta on line in data 14 giugno 2005 (analoga richiesta in data
13 settembre 2001 aveva prodotto l’indicazione di 711 unità bibliografiche, mentre in data 20
dicembre 2005 sono diventate 945: un segno di come l’informazione bibliografica in rete sia
dinamicamente in crescita, per quantità e qualità di dati). Ricordo che la bibliografia di riferi-
mento, anche se copre una diversa porzione cronologica, resta quella di Anne Jacobson
Schutte, Printed italian vernacular religious-books (1465-1550). A finding list, Droz, Ginevra
1983.
16
Nell’insieme sono comprese, a esempio, alcune edizioni di atti istituzionali della
Chiesa, ma anche documenti di confraternite e ordini religiosi, e libri che usano “spirituale”
nel loro titolo in termini molto ellittici o in situazioni di bassa intensità connotativa. Ho rile-
vato anche qualche incongruenza nelle intestazioni di autore e nelle date, che non posso né
discutere né eventualmente correggere nei limiti di questo intervento.

139
Amedo Quondam

Comprese ovviamente le “rime spirituali”, con alcune delle altre forme letterarie
canoniche a metà Cinquecento: con una quota già ragguardevole, pari al 18%
delle 910 unità bibliografiche con “spiritual*” nel titolo.
Questo grezzo dato conferma soprattutto, e subito, quanto questa connota-
zione sia propriamente peculiare dell’esperienza culturale, in senso ampio,
nell’Italia cinquecentesca, in termini che vanno ben oltre l’intensità connotativa
che pure assume quando diventa il vessillo identitario dei protagonisti di quel-
l’esperienza di autoriforma della Chiesa che la fuga di Bernardino Ochino, nel-
l’estate del 1542, mette definitivamente in crisi17. Questo evento capitale nella
storia religiosa cinquecentesca non sembra avere, insomma, ripercussioni sugli
impieghi di “spirituale” nel sistema dei titoli di tantissimi libri pubblicati nella
seconda metà del Cinquecento: anzi, sembrerebbe profilarsi una sorta di sua
risemantizzazione denotativa, funzionale non solo a marcare per lo più generi-
camente, ora, le pratiche devozionali, ma anche a perimetrare quanto è proprio
della Chiesa e dei suoi sacerdoti. In questo modo, “spirituale” recupera una
delle sue antiche e originarie funzioni semantiche: tendenzialmente sinonimica
di “religioso”, negli usi sia dell’aggettivo che del sostantivo (come soggetto e
come istituzione). Pertanto, in diversi casi, assume le proporzioni, progettuali e
consapevoli, di connotazione “cattolica”: cioè, di bandiera tridentina.

Prima di procedere oltre, però, è indispensabile produrre una precisazione


certamente obbligata per tutte le tipologie librarie antiche, ma che vale in parti-
colare per questa, per le ragioni che subito dirò: l’insieme delle 910 unità biblio-
grafiche, di per sé già cospicuo in dati assoluti, riguarda infatti i soli libri che
sono attualmente conservati nelle biblioteche italiane, antiche e moderne, cioè
quelli che sono sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini.
Il rilievo vorrebbe essere tutt’altro che lapalissiano: non tanto, e non solo,
perché è consapevole che uno sguardo allargato alle biblioteche di tutto il
mondo consentirebbe di incrementare notevolmente le proporzioni quantitative
dell’insieme, come ben sa chi ha esperienza nel campo della ricerca bibliografi-
ca sul libro antico, quanto, e soprattutto, perché consegue dall’immediata perce-
zione di come il dato più importante prodotto dalla lista delle 910 unità biblio-
grafiche sia in realtà un altro. Lo descrivo così: questa particolarissima tipologia
libraria è geneticamente debole rispetto ad altre tipologie proprio per quanto
concerne l’indice di sopravvivenza inscritto nel proprio corpo fisico. Sia i libri
di devozione, sia i libri di lettura nelle ore del tempo libero, sia i libri per fare

17
D’obbligo il rinvio al saggio di Gigliola Fragnito, Gli “spirituali” e la fuga di
Bernardino Ochino, in «Rivista storica italiana», 84 (1972), pp. 778-811, nonché al già citato
Barbieri, Fra tradizione e cambiamento, per le dinamiche complessive (entro le polarità,
appunto, della tradizione e del cambiamento) della tipologia discorsiva spirituale.

140
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

musica (gli spartiti, insomma) scontano tutti un doppio effetto negativo (ai fini
della loro conservazione): se, da una parte, sono destinati all’uso pratico quoti-
diano personale (per pregare, anche cantando, e meditare; per leggere da solo o
con altri ad alta voce), e quindi al logoramento e al consumo fisico, dall’altra,
però, sono estranei, sempre geneticamente, al progetto ormai (nel corso del
Cinquecento) paradigmatico e standardizzato della biblioteca classicistica. Sono
destinati, cioè, a non entrare in biblioteca, almeno per lungo tempo: e infatti,
basta un rapido riscontro sui dati relativi alle copie localizzate dalle bibliografie
per prendere atto di quanto estrema sia la rarità degli esemplari conservati.
Anche se meno grave rispetto a quella dei libri per fare musica, questa rarità
coinvolge anche lo statuto materiale di questi libri, anzi libretti, anzi stampine:
il loro essere prevalentemente di piccolo formato e di poche carte, senza dorso e
senza legatura alcuna. Almeno fin tanto che non soccorra la pietas del bibliofilo:
uno strano bibliofilo.
Con un dato in più, propriamente distintivo: questi libri/stampe sono coin-
volti nei processi attivati dal Concilio di Trento e dell’Inquisizione, cioè sono
sottoposti a severe procedure di filtraggio e di censura, dirette e capillari, che
coinvolgono (almeno per un certo periodo: quaranta-cinquanta anni?) l’intero
circuito della loro produzione, dalla scrittura alla stampa, dalla distribuzione
alla conservazione nelle biblioteche di privati e di istituzioni religiose. Da que-
sto punto di vista, che definirei di storia dinamica delle biblioteche e della loro
conservazione/distruzione, e che in quanto tale si proietta fino ai dati odierni del
Censimento delle edizioni italiane del Cinquecento, è stata certamente decisiva
la puntigliosa ricognizione nelle biblioteche religiose e monastiche avviata in
applicazione dell’Indice clementino del 1596 (quello che interviene anche sulle
tipologie poetiche dei volgarizzamenti biblici e della tradizione spirituale): gli
effetti prodotti dai sequestri e distruzioni di copie dei libri proibiti sono, per noi,
oggi, incalcolabili, anche se occorre pur sempre tenere conto del fatto che le
biblioteche religiose e monastiche non esauriscono certo, né allora né in seguito,
la tanto più articolata e ricca, nella diatopia e nella diacronia, fenomenologia
della biblioteca classicistica di Antico regime18.

18
La redazione e l’impatto degli Indici dei libri proibiti sono stati descritti e analizzati da
Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura
(1471-1605), Il Mulino, Bologna 1997. La consultazione dei documenti dell’inchiesta nelle
biblioteche degli ordini religiosi e delle loro biblioteche, conservati ora nella Biblioteca
Vaticana, fornirebbe certamente utili riscontri ai dati della bibliografia. Per questa inchiesta sulle
biblioteche degli ordini religiosi, rinvio a Roberto Rusconi, Le biblioteche degli ordini religiosi
in Italia intorno all’anno 1660 attraverso l’inchiesta della Congregazione dell’Indice, nel citato
Libri, biblioteche e cultura, pp. 63-84. Per un primo approccio alla complessità della biblioteca
moderna, rinvio ai saggi raccolti in La Biblioteca Ambrosiana tra Roma, Milano e l’Europa, a
cura di Franco Buzzi e Roberta Ferro, in «Studia Borromaica», 19, Bulzoni, Roma 2005.

141
Amedo Quondam

Tutto ciò premesso, l’insieme bibliografico mi sembra tutt’altro che disprez-


zabile, già in termini assoluti, oltre che di informazioni: già una sua consultazio-
ne randomizzata può fornire indicazioni utili per confermare l’ampiezza degli
impieghi di “spirituale” negli usi linguistici cinquecenteschi. Come ho già detto,
risulta essere un attributo molto flessibile e dalle applicazioni pressoché univer-
sali: connota infatti quasi tutti i generi della discorsività classicistica, compresi
quelli propriamente letterari, e ipercodificati. E questo soprattutto nella seconda
metà del secolo, quando diventa davvero una sorta di etichetta automatica, un
jolly connotativo.
Un pur rapido spoglio dei soli titoli dell’insieme bibliografico che presenta-
no il termine “spiritual*” consente, infatti, e agevolmente, di riconoscere la
generica pertinenza semantica di questa connotazione, che qui riguarda: rime
(anche nelle loro diverse forme metriche: sonetti, canzoni, capitoli, ottave; e
quindi: laudi e salmi, di autonoma provenienza religiosa), dialoghi, epigrammi,
commedie e tragedie (e la variabile classicistica della tragicommedia), lettere,
ricordi (nel senso di “consigli” e “ammonizioni”: da Francesco Guicciardini a
Saba da Castiglione), pronostici, nonché discorsi, orazioni e sermoni; e quindi
connota la gamma delle tipologie discorsive e testuali specificamente destinate
alla pratica religiosa: esercizio, meditazione, alfabeto, eccetera; cioè, quanto
occorre per la vita spirituale del buon cristiano: non solo laico, ma anche, e in
modo specifico, chierico, in quanto primo destinatario dei dispositivi messi in
atto dalle riforme tridentine del clero (dunque, con l’equivalenza semantica che
da sempre è nella storia di questa parola nella storia della Chiesa e della cristia-
nità, seppure variamente e metamorficamente risemantizzata nel corso dei seco-
li).
Rispetto a questo decisivo scenario che assume come centrale la figura del
lettore, nei suoi usi ordinari del libro (e non solo di quello spirituale), vorrei
segnalare un primo dato che emerge, e in termini certamente singolari rispetto
alle pigre consuetudini del nostro occhio che spesso cerca solo tranquillizzanti
conferme: nell’insieme dei 910 libri si riconosce subito la presenza di diversi
libri per musica, anch’essi autoconnotati come spirituali nel sistema dei loro
titoli. Libri particolarissimi: a esempio, quello del maestro di cappella siciliano
Pietro Vinci, che mette in musica Quattordici sonetti spirituali della illustrissi-
ma ed eccellentissima divina Vittoria Colonna d’Avalos de Aquino marchesa di
Pescara. Nel 1580: quando da tempo si è rarefatta (ci dicono le cronache del
libro) la presenza editoriale del testo che ha, se non fondato, certamente iper-
connotato quanto nell’esperienza di primo Cinquecento è “spirituale”, nei suoi
termini fortemente distintivi rispetto alle posizioni in drammatico travaglio e
confronto in quegli anni; un testo non più alla moda (tanto per usare perifrasi
neutre), quando il Concilio chiude i propri lavori decretando. Cosicché se l’e-
sploratore di forme letterarie si sorprende, ingenuo, nel riconoscere quanto com-
plesse possano essere nell’altra metà del cielo librario (quello religioso e “spiri-

142
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

tuale”) le storie di testi a lui ben noti, al tempo stesso non può che prendere atto
di quanto permeabili siano i confini giurisdizionali nelle pratiche culturali cin-
quecentesche: sempre che questi confini esistano e non siano indebite proiezioni
delle nostre istanze di certezza e di sicurezza, delle nostre identità territoriali,
dei nostri domini.

Tanto più forte è poi la sorpresa, se si tiene nel debito conto il fatto che la
parte di questi libri per fare musica insieme (altrimenti già da tempo attestata,
ovviamente, nei repertori internazionali della musicologia) è non solo quantita-
tivamente cospicua (con circa settanta unità: da correlare all’estrema rarità dei
libri musicali che sono stati conservati, a causa del loro essere “spartiti” per la
prassi esecutiva, non certo per la biblioteca19), ma soprattutto in grado di confer-
mare, con la sola sequenza dei suoi titoli, quanto ampia sia la gamma della
polifonia religiosa cinquecentesca, funzionale a ben diversificate occasioni
performative: canzoni spirituali a tre quattro cinque sei voci, canzonette spiri-
tuali a tre quattro voci, laudi spirituali a tre quattro voci, laudi e canzoni spiri-
tuali, stanze spirituali a sei voci, madrigali spirituali a tre quattro cinque sei sette
voci, mottetti spirituali a cinque voci, napoletane spirituali a tre voci, villanelle
spirituali; nonché, genericamente: musica spirituale a cinque voci, melodie spi-
rituali a tre voci.
Già da questo nudo elenco di indicatori nell’area del titolo risulta l’immedia-
ta correlazione, anzi la piena simmetria, di queste esperienze con la polifonia
laica o profana: cioè, con la straordinaria storia del madrigale, e quindi con l’al-
trettanto straordinaria storia della lirica petrarchistica. Se queste storie ribadi-
scono, già così, quanto siano profondamente e biunivocamente intrecciate le
proprie economie comunicative (con il vessillo dei tanti autori in utroque, sia
per i testi che per le musiche), la storia della polifonia profana e sacra impone
un dato di rilievo eccezionale per l’analisi delle pratiche culturali nelle società
classicistiche di Antico regime, che non sempre noi operatori sul testo letterario
consideriamo in modo adeguato: l’assoluta normalità del fare musica insieme.
Anzi, queste storie biunivocamente intrecciate (poesia e musica: sacre e profa-
ne) dovrebbero sollecitare le nostre curiosità a ragionare sulla forma produttiva
di queste società della conversazione, che si distende nel governo di una gamma
integrata di competenze che non sono mai spendibili singolarmente, in solitaria
performance: saper fare musica, saper cantare, saper danzare (come già attesta il

19
Come criterio di classificazione tra questi libri musicali, oltre ovviamente ai dati che
nel titolo esplicitamente rinviano alle forme della polifonia cinquecentesca, ho utilizzato
anche quello, per quanto troppo generico e da sottoporre a dirette ricognizioni, che richiama
destinazioni di canto collettivo in pratiche devozionali, in particolare nelle scuole della dottri-
na cristiana.

143
Amedo Quondam

Libro del Cortegiano) sono tutte competenze che concorrono a dare forma com-
piuta, polita e perfetta, al moderno gentiluomo e alla moderna gentildonna, cia-
scuno per la sua parte. E che i contenuti di queste pratiche polifoniche siano
sacri o profani è una variabile che riguarda solo il rispetto della regola unica e
condivisa della convenienza: secondo le diverse circostanze dello stare insieme,
per ricreazione e per preghiera.
Ma non solo per questa ragione è rilevante l’insieme dei libri per musica
connotati nei loro titoli come spirituali: una più ravvicinata, per quanto sobria,
loro analisi consente di prospettarne la funzione rappresentativa delle più gene-
rali dinamiche della bibliografia spirituale cinquecentesca20. A esempio, con il
rilievo delle opere prodotte da musicisti di professione, a cominciare dai massi-
mi esponenti della polifonia del tempo (da Luca Marenzio a Giovanni Pierluigi
da Palestrina, a Claudio Monteverdi)21 e da diversi altri insigni musicisti22: com-

20
Per un quadro complessivo, rinvio al già citato studio di Katherine Powers, The
Spiritual Madrigal; in particolare alla ricostruzione delle fasi di avvio di questa tradizione
ben presto esplosa, ibidem, pp. 1-55: con Le Vergini a quattro voci con la gionta di alcuni
madrigali di Alessandro Romano (nel 1554; poi: 1562, 1587, 1589) e con la Musica spiritua-
le. Libro primo di canzoni e madrigali a cinque voci composte da diversi, raccolta da
Giovanni Del Bene (nel 1563; un titolo analogo: Musica spirituale composta da diversi eccel-
lentissimi musici a cinque voci con due dialoghi a dieci, nel 1586), un nobile chierico verone-
se formato alla scuola del grande vescovo Gian Matteo Giberti.
21
Luca Marenzio (1553-1599): Madrigali spirituali a cinque voci (1584, 1588); Claudio
Monteverdi (1567-1643): Madrigali spirituali a quattro voci (1583); Giovanni Pierluigi da
Palestrina (1525-1594), Delli madrigali spirituali a cinque voci libro secondo, Roma,
Francesco Coattino 1594. Ma cfr. inoltre: Cyprien de Rore, Musica sopra le stanze del
Petrarca in laude della Madonna, Venezia, Antonimo Gardane 1548; Adrian Willaert, I sacri
e santi salmi che si cantano a vespro e compieta con li suoi himni, responsorii e Benedicamus
a uno coro e quattro voci con la gionta di dui Magnificat a quattro voci, Venezia, Francesco
Rampazetto, 1565.
22
Come Giovanni Animuccia (1500-1571), maestro di cappella della Basilica Vaticana e
amico di Filippo Neri (per il suo Oratorio compose Il primo libro delle laudi, composte per
consolazione e a requisizione di molte persone spirituali e devote, tanto religiosi quanto
secolari, nel 1563, e Il secondo libro delle laudi, dove si contengono mottetti, salmi e altre
diverse cose spirituali vulgari e latine, nel 1570; è autore anche di un Primo libro di madri-
gali a tre voci con alcuni mottetti e madrigali spirituali, nel 1565); Alessandro Marino, cano-
nico lateranense e animatore a Roma della Confraternita di Santa Cecilia: Il primo libro de’
madrigali spirituali a sei voci con una canzone a dodici nel fine (1597); il siciliano Pietro
Vinci (1535-1584), maestro di cappella a Bergamo e a Nicosia, autore della musica dei citati
Quattordici sonetti spirituali di Vittoria Colonna (1580); il bresciano Giulio Zenaro (1550
circa-1590 circa): Madrigali spirituali a tre voci (1590).
La schiera dei fiamminghi: Filippo De Monte (1521-1603), «maestro di cappella della
sacra cesarea maestà dell’imperatore Rodolfo II»: Il primo libro de’ madrigali spirituali a
cinque voci (1581), Il primo libro de’ madrigali spirituali a sei voci (1583), Il secondo libro
de’ madrigali spirituali a sei e sette voci (1589); Il terzo libro de’ madrigali spirituali a sei

144
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

presi alcuni maestri di cappella23 e altri professionisti in servizio presso istitu-


zioni ecclesiastiche o altrimenti impegnati. Ma sono presenti anche musicisti
appartenenti a ordini religiosi, seppure in proporzioni che sembrerebbero quan-
titativamente, e non solo, minori: a testimoniare il diverso grado di professiona-
lità che la musica richiede, certamente ben più alto rispetto alla competenza atti-
va richiesta per l’accesso alla scrittura letteraria24. Né mancano le raccolte
miscellanee di polifonia spirituale, dove peraltro è piuttosto rara l’indicazione
del curatore25.
In particolare, da questo segmento della bibliografia spirituale, emerge la
progressiva centralità di Roma, a fine secolo: e non tanto per l’attività di alcuni
tra i musicisti fin qui citati, ma soprattutto per le iniziative radicalmente innova-
tive, nelle pratiche devote in musica, perseguite dalle Congregazione dell’Ora-

voci (1590); Jakob Peetrin (1553-1591): Il primo libro delle melodie spirituali a tre voci:
1586; Il primo libro del iubilo di san Bernardo con alcune canzonette spirituali (1588, 1589);
Giovanni Pellio, attivo a Venezia: Il primo libro delle canzoni spirituali a cinque voci (1578),
Il primo libro de canzoni spirituali a sei voci (1584), Il secondo libro delle canzoni spirituali
a sei voci (1597). Il francese Alexandre de Milleville (1521-1589) attivo a Ferrara: Le vergini,
con dieci altre stanze spirituali, a quattro voci (1584).
23
Madrigali spirituali di Felice Anerio maestro di cappella del Collegio degli Inglesi in
Roma a cinque voci, libro primo (1585), Canzoni spirituali di Georgio Borgia maestro di
cappella del Duomo di Turino, il primo libro delle canzoni spirituali a tre quattro e cinque
voci (1580), Penitenza. Primo libro de’ madrigali spirituali a cinque voci di Leon Leoni mae-
stro di cappella nel Duomo di Vicenza (1596). Si distingue in modo particolare l’edizione dei
Ricercari a quattro voci cantabili per liuti cimbali e viole d’arco, quattro o sei opere con
parole spirituali in canoni ad eco, ad otto e dodici voci (1596), dello spagnolo Sebastian
Raval (1550-1604), maestro di cappella alla corte del Duca di Urbino (e poi a Roma e a
Palermo).
24
Tra i religiosi: il domenicano Alessandro Aglione (Canzonette spirituali a tre voci:
1599); il già citato oratoriano Giovanni Giovenale Ancina (Tempio armonico della beatissima
Vergine a tre voci: 1599); l’agostiniano Giovanni Maria Benassai (Il primo libro delle napoli-
tane spirituali a tre voci: 1577); il francescano Arcangelo Borsaro (Pietosi affetti. Il primo
libro delle canzonette spirituali a quattro voci: 1597).
25
Come la già ricordata raccolta di Musica spirituale. Libro primo di canzon e madrigali
a cinque voci composte da diversi, composta da diversi, a cura di Giovanni Dal Bene, nobile
veronese (1563); e poi: Nuove laudi spirituali raccolte da diversi autori moderni e più eccel-
lenti musici del nostro secolo a tre, a quattro e cinque voci, a cura di Iacopo Belletti
(Francesco Antonio detto l’Abbate romano), nel 1594; il Diletto spirituale. Canzonette a tre e
a quattro voci, raccolte dal fiammingo, musicista incisore editore, Simone Verovio (tre edi-
zioni tra 1586 e 1592); Canzonette spirituali de diversi a tre voci libro primo (Roma,
Alessandro Gardane 1585 e 1588); Musica spirituale composta da diversi eccellentissimi
musici a cinque voci con due dialoghi a dieci, Venezia, Angelo Gardane 1586; Canzonette
spirituali a tre voci composte da diversi eccellenti musici (Roma, Simone Verovio 1591 e
1599).

145
Amedo Quondam

torio (e dai gesuiti) e più in generale dalle scuole della dottrina cristiana, con la
riformulazione funzionale dell’antico, e mai tramontato, genere della lauda, e
del suo canone moderno, sulla scia dell’innovativa raccolta di Laudi spirituali
da diversi eccellenti e divoti autori antichi e moderni composte, curata dal
domenicano del convento di San Marco, Serafino Razzi (1531-1611), e pubbli-
cata nel 156326. Nello stesso anno, Giovanni Animuccia (1514-1571), musicista
fiorentino attivissimo nell’Oratorio filippino, pubblica a Roma Il primo libro
delle laudi composte per consolazione e a requisizione di molte persone spiri-
tuali e devote, tanto religiosi quanto secolari.
La successiva straordinaria storia di questo antico genere poetico-musicale
che trova nuova vita nell’Italia tridentina è stata non solo narrata con ogni cura,
ma anche descritta nei dettagli della sua bibliografia di riferimento27. In questa
sede, e consapevole dei limiti delle mie competenze, posso solo evidenziare il
dato costante nel sistema dei titoli di questi libri di servizio, funzionali, cioè,
alle nuove pratiche devote del cristiano senza distinzione di stato (religioso e

26
Il frontespizio così continua: «Le quali si usano di cantare in Firenze nelle chiese
doppo il Vespro o la compieta a consolazione e trattenimento de’ divoti servi di Dio. Con la
propria musica e modo di cantare ciascuna laude come si è usato dagli antichi e si usa in
Firenze […] a contemplazione delle monache e altre devote persone».
27
Rinvio ai fondamentali studi di Giancarlo Rostirolla, Danilo Zardin e Oscar Mischiati,
La lauda spirituale tra Cinque e Seicento. Poesie e canti devozionali nell’Italia della
Controriforma, Ibimus, Roma 2001: è il testo di riferimento obbligato per tutti i libri che cito
in questa sezione, a cominciare dalla raccolta di Serafino Razzi e dalle opere di Giovanni
Animuccia.
28
«A istanza delli reverendi padri della Congregazione dello Oratorio» e delle loro scuo-
le di dottrina cristiana sono pubblicate a Roma diverse edizioni antologiche: Il primo libro
delle laude spirituali a tre voci (1583 e 1585); Il secondo libro delle laude spirituali a tre e
quattro voci (1583 e 1585); Il terzo libro delle laude spirituali a tre e quattro voci (1577 e
1588); Il quarto libro delle laudi spirituali a tre e quattro voci (1591); il Libro delle laudi spi-
rituali dove in uno sono compresi i tre libri già stampati (1589).
Il nuovo modello di canto devoto si espande ben presto nelle scuole della dottrina cristia-
na, cioè di prima alfabetizzazione e di catechismo (cfr. Paul F. Grendler, La scuola nel
Rinascimento italiano, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 357-387; edizione originale: 1989): rin-
vio alla Bibliografia della lauda post-tridentina di Oscar Mischiati, nel citato La lauda spiri-
tuale tra Cinque e Seicento, pp. 741-782 (arriva al 1794).
Mi limito a dare ragguaglio dei soli titoli con “spirituale” in Edit16: Lodi spirituali e
devotissime per la dottrina cristiana (Modena 1572); Lodi e canzoni spirituali per cantar
insieme con la dottrina cristiana (Milano 1576); Il primo/secondo/terzo libro delle laudi spi-
rituali stampate ad instanzia delli reverendi padri della Congregazione dell’Oratorio (Roma
1577, 1583, 1588), Dottrina cristiana e sua dichiarazione da insegnarsi alli putti e putte
della città e diocese di Bologna divisa in tre parti. Nuovamente stampata colla gionta d’alcu-
ne laudi spirituali (Bologna 1576 e 1577; Vicenza 1579; Loreto 1580; Parma 1596); Li canti

146
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

secolare): consiste, pur sempre, nella connotazione di “spirituale”28. Dinami-


camente, peraltro, da correlare ad altre scelte che emergono nell’inventio dei
titoli, e proprio quando rinunciano al suo diretto impiego: testimone esemplare
di questa economia generale della nuova spiritualità è il titolo dell’imponente
raccolta (un bilancio di diversi decenni di questa antica forma poetico-musicale
risemantizzata modernamente) curata da un altro oratoriano Giovanni
Giovenale Ancina (1545-1604)29: Tempio armonico della beatissima Vergine
nostra signora fabbricatoli per opra del reverendo padre Giovenale Ancina
della Congregazione dell’Oratorio. Prima parte a tre voci (1599). Un tempio:
omologo nel nome a quelli fabbricati dalla lirica petrarchistica, ma profonda-
mente diverso per strategie comunicative30.

o arie conforme alle lodi spirituali stampate per cantar insieme con la dottrina cristiana
(Milano 1578; Torino 1579 e 1580); Lodi spirituali nuovamente composte e date in luce ad
instanzia della venerabile Congregazione dell’Umiltà per comune utilità delle scole della
dottrina cristiana (Venezia 1580); Lodi spirituali poste in musica da diversi eccellenti com-
positori cantate nel Duomo di Brescia per tramezo nella disputa generale della dottrina cri-
stiana fatta l’anno 1583 (Brescia 1583); Laudi spirituali che si cantano in Roma nella Chiesa
Nuova a Pozzo bianco dalli fanciulli che recitano la dottrina cristiana (Perugia 1584); Lode e
canzoni spirituali accomodate a tutte le feste e domeniche de l’anno per cantare insieme con
la dottrina cristiana (Torino 1580, Verona 1585, Roma 1590); Libro delle laudi spirituali
dove in uno sono compresi i tre libri già stampati (Roma 1589); Laudi spirituali a tre e quat-
tro voci stampate a instanzia delli reverendi padri della Congregazione dell’Oratorio (Roma
1591); Il quarto libro delle laudi a tre e quattro voci stampate a instanzia delli reverendi
padri della Congregazione dell’Oratorio (Roma 1591); Lodi spirituali da cantarsi nelle com-
pagnie della dottrina cristiana (Mondovì 1593 e 1595); Lodi e canzoni spirituali da cantarsi
per eccitare il cristiano a lodar Dio e li suoi santi, stampate per ordine dell’illustrissimo e
reverendissimo monsignor Carlo Conti vescovo di Ancona (Macerata 1585 e 1596; «per ordi-
ne di monsignor reverendissimo Vescovo di Camerino»: Macerata 1589); Federico Abirelli,
Delle laudi spirituali che si sogliono cantare dopo i ragionamenti delli reverendi padri della
Congregazione dell’Oratorio (Fermo 1595). A fine secolo è pubblicata la nuova, e fortunatis-
sima, sistemazione della dottrina cristiana del gesuita Diego de Ledesma: in diverse edizioni
«vi sono aggiunte molt’altre lodi spirituali che nell’altre non erano, divise in tre parti, con l’a-
ria che si cantano» (Napoli 1585, 1596, 1598). Ma per tutti questi titoli, è d’obbligo il rinvio
al citato volume di studi sulla Lauda spirituale tra Cinque e Seicento, dove sono in gran parte
minutamente descritti e analizzati.
29
Cfr. Rostirolla, La lauda spirituale tra Cinque e Seicento cit., pp. 67-74, e passim.
30
A proposito di titoli, rilevo che in questo insieme di polifonia spirituale mi sembra
molto modesta la parte delle titolazioni metaforiche: oltre al già citato Diletto spirituale, can-
zonette a tre e a quattro voci composte da diversi eccellentissimi musici, a cura di Simone
Verovio (1586-1592), ci sono solo i Pietosi affetti, il primo libro delle canzonette spirituali a
quattro voci del francescano Arcangelo Borsaro (pubblicati nel 1597: diretta derivazione
dalla raccolta di rime, con lo stesso titolo, di Angelo Grillo).

147
Amedo Quondam

L’evocazione di questa convergenza introduce a una delle questioni da sem-


pre centrali nelle ricerche musicologiche sulla tradizione del madrigale (e prima
ancora sui rapporti tra parola e musica nella tradizione occidentale): da dove
prelevano i musicisti i testi che mettono in musica, a quale trattamento li sotto-
pongono?31
Anche il più sprovveduto tra i cultori della testualità letteraria dovrebbe
immediatamente rendersi conto che qui si profila qualcosa di ben più comples-
so che una modalità, per quanto importante, della ricezione: qualcosa che ha a
che fare con le dinamiche degli scambi interdiscorsivi e intersemiotici e coin-
volge le pratiche ordinarie degli usi della poesia da parte di una cultura che si
dimostra, anche per questo, particolarmente disposta ai consumi culturali con
alto valore estetico, performativamente attivi. Se lo straordinario dispiegarsi di
questa competenza, il suo diffuso saper fare musica insieme (profana e spiri-
tuale: ma come e quanto distinta?), cantando a più voci, ribadisce la centralità
della parola poetica, nel suo stesso valore fonico e ritmico, dimostra anche
quanto la parola poetica sia sottoposta a processi metamorfici profondissimi
nel suo diventare madrigale: centellinata in ogni sua sillaba e in ogni fonema,
amplificata, valorizzata, ma anche manipolata e stravolta fino a diventare altro,
in termini di piena autonomia comunicativa. Come sempre, quando la poesia è
cantata32.

1.2. Qualche spigolatura, ora, in questo vasto campo di dati. Cominciando


dalla sua distribuzione cronologica.
Opportunamente sottoposto a una prima filtratura33, l’insieme delle 910 unità
bibliografiche prodotte interrogando il censimento delle edizioni italiane del
Cinquecento con la stringa “spiritual*”, definisce in termini più appropriati il

31
Per un primo orientamento, rinvio ai saggi raccolti nella sezione Parole e musica del
sesto volume della Letteratura italiana: Teatro, musica, tradizione dei classici, Einaudi,
Torino 1986, pp. 225-437 (con saggi di Pierluigi Petrobelli, F. Alberto Gallo, Giulio Cattin,
Lorenzo Bianconi, Renato Di Benedetto, Sergio Sablich). Per un’aggiornata discussione di
questi problemi (anche in riferimento all’editoria musicale), rinvio ai saggi raccolti nel volu-
me miscellaneo Venezia 1501: Petrucci e la stampa musicale, a cura di Giulio Cattin e
Patrizia Dalla Vecchia, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 2005.
32
Per quanto riguarda la poesia spirituale, rinvio a Powers, The Spiritual Madrigal cit.,
pp. 214-262; cfr. anche la sezione in appendice («Listing of Spiritual Madrigals, ca. 1526-
1599»), pp. 520-558.
33
Eliminando in primo luogo le edizioni in latino e quelle che riguardano istituzioni
ecclesiastiche (confraternite, ordini religiosi, diocesi, Chiesa, eccetera), ma anche i confessio-
nali e altre tipologie non devozionali.

148
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

campo complessivo (in prosa e in poesia) del libro che si autoconnota come
“spirituale” nel sistema del titolo. Sono 768 unità34:

1501-1510 11 551-1560 38
1511-1520 21 1561-1570 106
1521-1530 20 1571-1580 147
1531-1540 29 1581-1590 197
1541-1550 32 1591-1600 167

La distribuzione cronologica di questo insieme conferma subito il macrodato


della bibliografia dei libri di rime spirituali pubblicata nel 1991, anzi vistosa-
mente lo rafforza, proprio perché tanto più esteso e rappresentativo è il suo
campo di riferimento. A esempio, ribadisce la ben diversa parte del libro “spiri-
tuale” nella prima e nella seconda metà del Cinquecento: pari, rispettivamente,
al 15% e all’85% del totale (esattamente la stessa distribuzione delle sole rime
“spirituali” già rilevata nel 1991)35.
Nelle sue macrodinamiche, insomma, il quadro cronologico mi sembra solleci-
tare una appropriata riflessione sul senso di questa esplosione del libro comunque
“spirituale” nella seconda metà del secolo (cioè, nell’età del rinnovamento cattoli-
co, e proprio a partire dal decennio che vede chiudersi il Concilio di Trento: 1561-
1570), ben oltre quella fase che da sempre è al centro delle attenzioni degli studi e
in termini che complicano la classica polarizzazione tra “spirituali” e “zelanti”.

34
Undici edizioni sono prive di data; dopo la ricerca con la stringa “spiritual*”, ho ese-
guito quella con altre forme omologhe: “spiritoal*” (due sole occorrenze) e “spirital*” (sette
occorrenze).
35
Il pacchetto dei poeti “spirituali” definito dalla prima ricognizione su Edit16 compren-
de, oltre a Vittoria Colonna e a Girolamo Malipiero, questi autori: Giulio Agresta, Caio
Baldassarre Olimpo Alessandri, Gaspare Ancarano, Angelo Michele da Bologna, Girolamo
Araolla, Lauro Badoer, Giulio Bonnunzio, Giovanni Agostino Caccia, Ferrante Carafa,
Giovanni Paolo Castaldini, Cristoforo Castelletti, Cherubino Veneto, Paolo Cresci, Cristoforo
Cieco da Milano, Agostino De Cupiti, Francesco Del Pozzo, Giuseppe Fedeli, Gabriele
Fiamma, Pietro Franchino, Giovanni Domenico Gamberini, Giovanni Battista da Pesaro,
Giovanni Giustiniani, Adriano Grandi, Alessandro Lami, Orazio Lupi, Celio Magno,
Gregorio Morello, Antonio Pagani, Girolamo Pensa, Mariano Perrone, Fulvio Rorario,
Giovambattista Scarlino. Anche testi anonimi: La pazzia del cristiano e altre rime spirituali
in lode della Vergine; e le raccolte: il Collettanio de cose nove spirituale, le Rime spirituali di
diversi autori, i tre libri delle Rime spirituali, Rime spirituali e funerali, Rime spirituali di
diversi eccellenti poeti toscani; spiritualizzazioni in versi: Goro da Coccellalto, Primo canto
del Furioso traslatato in spirituale. Edit16 fornisce inoltre le indicazioni sulla presenza (nelle
intestazioni secondarie) di “sonetti spirituali” (o canzoni o madrigali) in alcune edizioni con
diverso titolo di questi autori: Silvio Cagnani, Marco Filippi, Michele Garzoni, Annibale
Guasco, Notturno Napoletano, Attilio Opizinga, Vincenzo da Sant’Angelo.

149
Amedo Quondam

1.2.1. Ancor più interessante sarebbe, ovviamente, una ricognizione del qua-
dro degli autori di questo insieme, anche per potervi convenientemente conte-
stualizzare, poi, la parte della poesia. Posso solo limitarmi a qualche sommario
rilievo, che conferma immediatamente la condizione complessiva di queste pra-
tiche di scrittura (e di lettura) fra tradizione e cambiamento36.
Uno dei best seller, anzi dei long seller, è certamente san Girolamo: il volga-
rizzamento delle Vite dei santi padri con il Prato spirituale, già dal 1474 in
tipografia con la stessa coppia di testi (le Vite di Girolamo nel volgarizzamento
di Domenico Cavalca; il Prato spirituale di Giovanni Mosco nel volgarizza-
mento di Feo Belcari), è presente ben 26 volte nel censimento delle cinquecenti-
ne, tra il 1529 e il 1599, anche in nuove traduzioni (ma era già stato stampato 21
volte nell’età degli incunaboli37). Un altro testo che viene da lontano e che resta
presente lungo tutto il Cinquecento, precisamente tra il 1503 e il 1583, è
l’Opera devotissima della vita spirituale del francescano Cherubino da Spoleto
(1414-1484), con 17 edizioni; allo stesso modo perdurano le opere del domeni-
cano Domenico Cavalca (1270-1342): Disciplina degli spirituali e Battaglie
spirituali, con 9 edizioni tra il 1503 e il 1569; e non solo38.

36
Mi riferisco al già citato studio di Barbieri, Fra tradizione e cambiamento.
37
Desumo il dato dal cd-rom dell’ISTC. La secolare presenza di questi testi richiede
ovviamente, profondi interventi di revisione linguistica, a metà Cinquecento: come informa-
no subito i frontespizi, che segnalano le nuove edizioni come «del tutto riformate, corrette ed
emendate», come, a esempio, nell’edizione del 1595 a cura di Giovanni Mario Verdizzotti.
38
Per completare le indicazioni relative ad autori del passato, segnalo anche le due edi-
zioni in volgare (1589, 1592) degli Spirituali di Hero Alexandrinus (nel 1575 e 1579 in tradu-
zione latina); quella, nel 1556, del Vero e santo rimedio spirituale contro la peste di san
Cipriano; nonché la traduzione del Libro devoto e spirituale della riparazione del peccatore
di san Giovanni Crisostomo, nel 1523; le tre edizioni in latino del De perfectione spirituali di
san Diadoco (vissuto nel quinto secolo), tra 1570 e 1573; il Paradiso dell’anima, opera spiri-
tuale, volgarizzata, attribuita a sant’Alberto Magno (1193-1280), nel 1556 e 1586; quella del
Breve compendio della perfezione della vita spirituale di san Bonaventura (1221-1274), nel
1573; quella dell’Opera nova spirituale di Egidio Romano (1243-1316), nel 1520; quella
degli Esercizi spirituali di santa Gertrude (1256-1302), nel 1564; le due edizioni del Libellus
spiritualis di Angela da Foligno (1248-1301): volgarizzato con il titolo di Libro (Opera) utile
e devoto, con due edizioni nel 1536 e 1542; l’edizione volgarizzata dell’Opera spirituale di
Thomas a Kempis (1380-1471), nel 1568; quella degli Esercizi devotissimi del domenicano
tedesco Johannes Tauler (1300-1361), nel 1574: è un volume della giolitina “ghirlanda spiri-
tuale”); quella delle Rose odorifere spirituali di Denis le Chartreux (1401-1471), tradotte dal
latino nel 1568 e 1592. E poi: l’edizione dell’Adiutorio opera spirituale, dell’agostiniano
Girolamo da Siena (1335-1420), nel 1532; e quella, nel 1535, dell’Opera spirituale del fran-
cescano Ugo Panziera (morto nel 1330); le due edizioni del De iudicio universali ac de bello
spirituali di san Giovanni da Capistrano (1386-1456), nel 1573 e 1578; le due edizioni del
gesuato Giovanni da Tossignano, vescovo di Ferrara (1386-1446; Della perfezione della vita
spirituale nel 1580, Scala dei religiosi nel 1591); l’Expositione sopra la cantica di Salomone,

150
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

A fronte di queste persistenze di testi e di libri che vengono da lontano e


dimostrano di essere autentici long seller nell’arco di oltre un secolo (per quan-
to subiscano modificazioni rilevanti nel proprio corpo materiale di libro, perlo-
più estremamente povero: indizio evidente della loro marginalità residuale),
spiccano, e dominano ampiamente, gli autori moderni, anzi contemporanei, e in
primo luogo i “chierici” che producono, da professionisti, le opere (in prosa) per
la moderna devozione. Lo evidenzia subito un altro macrodato: la letteratura
“spirituale” che si fa libro nel corso del Cinquecento, nei suoi diversi generi
forme funzioni, è per circa l’88% opera di scrittori contemporanei, per lo più
con status ecclesiastico.

Su tutti prevale il domenicano spagnolo Luís de Granada (1504-1588), con il dato com-
plessivo di 79 edizioni di opere tradotte che, tra il 1564 e il 1591, nel titolo in frontespizio
propongono la connotazione di “spirituale” (anche perché sono i titoli più rappresentativi
della collana editoriale che i Giolito inventano: “Ghirlanda spirituale”39): cioè, il Manuale di
orazione e spirituali esercizi, i Fiori preziosi raccolti dalle opere spirituali, la Vita spirituale
e passione del Nostro Signore, eccetera (ma con le altre sue opere è complessivamente pre-
sente in libreria con 264 edizioni nel corso del Cinquecento). E poi, il benedettino francese
Louis de Blois (Lodovico Blosio: 1506-1566) con 15 edizioni di opere connotate come “spi-
rituali” tradotte dal latino tra il 1562 e il 1597: Breve regola di un novizio spirituale e
Instituzione spirituale; il certosino tedesco Johann Landsperger (Giovanni Lanspergio: 1489-
1539) con 14 stampe “spirituali” in traduzione dal latino tra il 1548 e il 1598: Trattato spiri-
tuale, Libro spirituale, Esercizi spirituali, eccetera; senza ovviamente dimenticare le 6 edizio-
ni (di cui solo una volgarizzata) degli Exercitia spiritualia di Ignazio di Loyola (1491-1556)
tra il 1548 e il 1599: fondamentali anche perché danno vita al nuovo, floridissimo, sottogene-
re dei libri, o delle scritture, di “esercizi spirituali”40.
Dopo tanti autori contemporanei in traduzione, si profila nitidamente la presenza di scrit-
tori italiani impegnati nella realizzazione di opere originali di devozione o di argomento
variamente religioso (ma sempre in prosa) con un discreto successo editoriale: il gesuita mar-
chigiano-ferrarese Fulvio Androzzi (1523-1575) con le 13 edizioni delle sue Opere spirituali,

nel 1504, del canonico regolare lateranense Isaia d’Este (attivo nel secolo XV); l’ Operetta
nova spirituale, nel 1515, del «cattolico dottore maestro» Girolamo da Bologna (vissuto tra
XV e XVI secolo).
E poi le raccolte di devozione con le Devote meditazioni di san Bernardo, con le
Meditazioni di sant’Anselmo e un trattato di san Vincenzo della vita spirituale (sette edizioni
tra 1549 e 1588); quella con le traduzioni di scritti di san Basilio e sant’Agostino, nonché con
Alcuni spiritoalissimi essercizi di santa Gertrude (1566); e quindi le Meditazioni di diversi
dottori della Chiesa, di nuovo tradotte dal carmelitano senese Niccolò Buonfigli (1582 e
1583).
39
Sulle collane giolitine rinvio ad Angela Nuovo e Christian Coppens, I Giolito e la
stampa nell’Italia del XVI secolo, Droz, Genève 2005.
40
Da registrare anche le cinque edizioni, tra il 1582 e il 1589, dell’Arte di servire a Dio e
specchio delle persone illustri del francescano spagnolo Alonso de Madrid (1480-1542).

151
Amedo Quondam

tra il 1579 e il 1600; il senese Bonsignore Cacciaguerra (1495-1566) con 12 edizioni di opere
“spirituali” tra il 1563 e il 1584: Lettere spirituali e Dialogo spirituale; il canonico regolare
Pietro da Lucca (morto nel 1522), con 12 edizioni di titoli spirituali tra il 1507 e il 1592; il
teatino Lorenzo Scupoli (1529-1610) con 10 edizioni del Combattimento spirituale tra il
1589 e il 159941; il barnabita milanese Giovanni Pietro Besozzi (1503-1584) con 13 edizioni
tra il 1576 e il 1598: Pratica spirituale di una serva di Dio e Lettere spirituali; il francescano
Antonio da Atri (1440-1522) con 7 edizioni dell’Esercizio spirituale tra il 1514 e il 1568; il
barnabita, presto ex, Lorenzo Davidico (1513-1574) con 9 edizioni: Steccato spirituale,
Giostra spirituale; il gesuita milanese Paolo Morigia (1525-1604) con 9 edizioni tra il 1559 e
il 1600: Stato religioso e vita spirituale, Prato spirituale, Orto spirituale; il canonico regolare
lateranense Gabriele Fiamma (1531-1585), vescovo di Chioggia, con otto edizioni, tra 1566 e
1590, delle Prediche […] nelle quali si contengono molti ricordi utili e necessari per far pro-
fitto nella vita spirituale.

Già da questo primo scorciatissimo insieme di dati, che non può soffermarsi
sulle profonde differenze tra autore e autore e tra testo e testo, risultano comun-
que evidenti le omologie e le diversità di questo canone spirituale prodotto in
grandissima parte da chierici rispetto al canone della coeva letteratura dei laici
nell’età del Classicismo: omologie e diversità in termini dionisottiani.
L’omologia più nitida è riconoscibile nel fatto che entrambi i canoni registrano un
notevole incremento del numero degli autori che varcano l’accesso alla scrittura e
soprattutto alla tipografia; e soprattutto nel fatto che le dinamiche costitutive e
proprie di questo processo che comporta l’esplosione dello statuto dell’“autore”,
la sua stessa competenza comunicativa, in termini di lingua e di forme, sono tutte
interne al sistema classicistico in formazione. Le differenze, ovviamente, non
riguardano soltanto la materia e le modalità della ricezione di questi testi (dal
momento che il loro target è molto articolato: dal cristiano devoto al religioso di
professione), ma soprattutto il rapporto con la tradizione: se il canone spirituale
non prospetta filtri selettivi (di carattere formale, ovviamente42), risulta anche

41
Il Combattimento spirituale è il best seller di fine Cinquecento destinato a una lunghis-
sima presenza editoriale: oltre alle edizioni registrate nel repertorio dell’ICCU, fino al 1775
furono complessivamente 257.
42
Ovviamente queste prime, superficiali, rilevazioni dovrebbero essere riscontrate con le
vicende di ogni singolo testo nella tormentata e contraddittoria storia degli indici dei libri
proibiti: nuovi ingressi, lunghe durate e scomparse sono anche il risultato dei divieti e delle
condanne. Per il quadro complessivo dell’impatto degli indici dei libri proibiti sulla tradizio-
ne dei volgarizzamenti biblici (anche in versi) rinvio al già citato libro di Gigliola Fragnito.
Ne riassumo i dati essenziali: tra il 1471 e il 1567 la Bibbia è tradotta più volte e ha un note-
vole successo librario (11 edizioni tra 1471 e 1500; 5 edizioni tra 1501 e 1530; 31 edizioni
complessive tra 1531 e 1558), stroncato dal divieto di ogni tipo di volgarizzamento promul-
gato nel 1558, e ribadito dall’Indice paolino del 1559; l’Indice tridentino del 1564 sembra ria-
prire le possibilità dei volgarizzamenti, ma la questione, dopo venticinque anni di polemiche
e contraddittorie soluzioni, è definitivamente chiusa nel 1596 dall’Indice clementino.

152
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

privo di qualsiasi istanza a marcare la discontinuità con il suo passato prossimo e


remoto e non ha esitazioni a convalidare, nel tempo (per quanto in posizioni pre-
sto marginali) autori e testi che vengono anche da molto lontano (in questo com-
portamento non si può non riconoscere, ancora una volta, la funzione autonoma
del tempo della Chiesa). La letteratura classicistica dei laici, invece, è connotata
dall’istanza a definire un canone cortissimo e iperselettivo del proprio passato:
anche intollerante, questo canone, se provvede con cura a eliminare quanto viene
sia da troppo lontano che da troppo vicino, per restringersi ai soli padri fondatori
(cioè, a Petrarca e a Boccaccio) e ai nuovi “classici” moderni che li imitano
(Ariosto, Bembo, Sannazzaro; e poi Tasso) .
La scrittura spirituale che entra in tipografia profila, dunque, una pratica
comunicativa universalmente diffusa, che spesso è la sola mediazione possibile
tra il fedele analfabeta o semianalfabeta e i testi sacri (presto interdetti a ogni
accesso diretto), ma anche tra il nuovo clero e le sue gerarchie: in questo senso
sembra condensare un nucleo diffuso e stabile della religiosità contemporanea,
prima e dopo il Concilio di Trento43. Per le proporzioni stesse dell’insieme
bibliografico, pertanto, l’analisi non può risolversi nella sola citazione di alcuni
grandi autori o di alcuni grandi testi: è proprio l’insieme a prospettare la struttu-
rale pervasività dinamica di queste tipologie di scrittura e di libro.

Il dato che subito emerge, nettissimo, nello scorrere la sequenza di questo


insieme bibliografico folto di 768 unità è infatti il profilo del protagonista asso-
luto, almeno per le scritture in prosa: sono gli ordini religiosi (antichi e moder-
ni) del rinnovamento cattolico cinquecentesco ad assumersi il compito di
costruire e diffondere la nuova devozione moderna (in prosa, intanto). E lo
fanno accettando la sfida del mercato del libro tipografico e della comunicazio-
ne letteraria moderna, producendo oggetti e merci (libri e stampe, appunto)
destinati alla sua economia globale, ma con target differenziati.
Per avere un riscontro subito impressionante della pervasiva diffusione di
questo impegno militante alla scrittura e stampa di libri spirituali da parte di
membri degli ordini religiosi, basterà scorrere questo elenco in ordine alfabetico
degli autori di testi spirituali in prosa, folto di un’ottantina di nomi. Se purtroppo
la sequenza alfabetica schiaccia la prospettiva del loro distribuirsi nell’arco del
secolo, pur sempre segnala, nel ravvicinato rincorrersi dei loro titoli, quanto sia

43
Rinvio ancora alle osservazioni di Gigliola Fragnito, p. 49: «Questa predominanza dei
testi di devozione dai contenuti biblici rispetto alle traduzioni della Scrittura può trovare una
spiegazione sia nella circostanza che, in un’area tra le più alfabetizzate della penisola e
dell’Europa d’allora [cioè Firenze: ma il rilievo è generalizzabile], accostarsi ai libri sacri era
ancora alla portata intellettuale di pochi, sia nel fatto che i costi di un esemplare manoscritto
o a stampa erano accessibili a pochi».

153
Amedo Quondam

estesa la gamma degli impieghi di “spirituale” in queste tipologie discorsive, e in


particolare ne evidenzia le funzioni comunicative, orientate a soddisfare (e gover-
nare) la domanda di un folto pubblico di lettori, popolato di chierici e laici:

il marchigiano canonico regolare lateranense Serafino Aceti de’ Porti (1496-1540) con sei
edizioni di diverse opere tra il 1538 e il 1596; il ferrarese protonotario apostolico Ludovico
Agostini (1534-1590; Sermoni spirituali: due edizioni nel 1589); l’olivetano milanese Giulio
Cesare Albicante (1545-1619; Esercizi spirituali: 1580); il servita Ambrogio da Brescia
(Pronostico spirituale: sei edizioni tra 1580 e 1588); il teologo piceno Antonio da Rocca
Contrada (Libro de pace e armonia cristiana: 1536); il bolognese minore dell’osservanza
Giovanni Luigi Barbieri (Dialoghi spirituali: 1589, 1593); il parroco bolognese Leone
Bartolini (morto nel 1577; Esercizio spirituale: tre edizioni tra 1564 e 1578); il francescano
umbro Bartolomeo da Castello (1471-1535; Dialogo dell’unione spirituale di Dio con l’ani-
ma: tre edizioni tra 1539 e 1593); il prete di Cortona Giovanni Battista Basili (Esercizio spiri-
tuale: 1581); il domenicano Antonio Beccari, vescovo di Scutari (morto nel 1543; Scala di
profitto spirituale: 1514); il francescano veronese Cornelio Bellanda (Viaggio spirituale: tre
edizioni tra 1578 e 1592); il barnabita bresciano Giovanni Bellarino (1552-1630; Istruzione
spirituale: 1591); il francescano veneziano Andrea Berna (Meditazione spirituale: 1600); l’o-
blato milanese Ottaviano Besozzi (Esercizi spirituali: 1595); il francescano siciliano
Leonardo Bonaventura (Rifugio spirituale: 1583); il carmelitano senese Niccolò Bonfigli
(1529-1601; Ricordi spirituali: 1581, Specchio monacale: 1591); il francescano romano
Girolamo Bordoni (Il vero spiritual cristiano: 1556); il girolamino bresciano Ottaviano Buoni
(Breve ritratto per acquistare la perfezione della vita spirituale: 1590); il canonico veneziano
Angelico Buonriccio (Le pie e cristiane parafrasi sopra l’Evangelio: quattro edizioni tra
1565 e 1570; fa parte della giolitina “Ghirlanda spirituale”); il vescovo mantovano Ippolito
Capilupi (1511-1580; Devote meditazioni: 1598); l’agostiniano ligure Agostino Cassinotto
(Rappresentazioni spirituali tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento: 1567); il sacerdote sici-
liano Giovanni Pietro Castelli (1556-1639; Guida spirituale degli afflitti condannati a morte:
1595); il francescano maceratese Orazio Civalli (morto nel 1617; Discorso spirituale: 1589);
il sacerdote imolese Tiberio Codronchi (Viaggi spirituali: 1589); il sacerdote veneziano
Giacomo Conti (Giardino spirituale: 1594); il canonico reatino Tullio Crispolti (1510-1573;
Considerazioni e avertimenti spirituali: 1559; Discorsi spirituali: 1568; Avvertimenti spiri-
tuali: 1570); il cappuccino imolese Cristoforo da Verrucchio (1555-1630; Esercizio
spirituale: 1591, 1597; Compendio di cento meditazioni sacre: 1591); il canonico milanese
Girolamo d’Arabia (Esercizi spirituali: 1588, 1590); l’agostiniano reatino Brunetto De Iudici
(Sollazzo de’ combattenti ne la vita spirituale: 1548); l’ecclesiastico di Fano, Francesco
Dionigi (Il Decamerone spirituale: 1594); il lateranense siciliano Ascanio Donguidi (morto
nel 1601; Pratica spirituale d’una serra di Dio: 1599; Guida dei pellegrini: 1600); il france-
scano milanese Angelo Elli (1557-1617; Specchio spirituale: 1598, 1599); il vescovo di
Perugia, Vincenzo Ercolani (1517-1586; Dieci ricordi spirituali: 1588); il canonico regolare
veneziano Gaudenzio Fagienci (Una nuova e breve sfera, parte spirituale e parte universale:
1576); il domenicano fiorentino, penitenziere della basilica di Santa Maria Maggiore, Teofilo
Fedini (morto nel 1581; Discorsi spirituali: 1567); l’ecclesiastico calabrese Giulio Folco
(Effetti mirabili de la limosina: compendio dal Prato spirituale di san Girolamo, senza data);
il cappuccino ravennate Francesco da Fognano (Discorsi e orazioni dell’anima spirituali,
utili e necessari al vivere cristiano: 1568); il canonico di Macerata, Angelo Gaucci (Discorsi
spirituali: 1598); l’eremitano bolognese Cherubino Ghirardacci (1524-1598; Nuovo e spiri-

154
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

tuale nascimento dell’uomo cristiano: 1572); il cappuccino Giovanni da Fano (1469-1539;


Operetta devotissima: 1536, 1548); il predicatore francescano Giovanni da L’Aquila (Lettere
spirituali: 1590); il francescano Francesco Gonzaga, vescovo di Mantova (morto nel 1620;
Considerazioni spirituali: 1599); l’agostiniano senese Giovanni Battista Gori (morto nel
1612; Memoriale degli esercizi spirituali: 1592); il frate Guido da Castiglione (Trionfo della
vita spirituale e contemplativa: 1571); il benedettino cassinese Ilarione da Genova (Prediche
di vari soggetti spirituali: 1565; Trattato di spirituale agricoltura: 1591; altro titolo spirituale
nel 1582); il canonico della cattedrale di Lodi, Francesco Isella (Istruzzione per consolar i
poveri afflitti condannati a morte: 1586); il domenicano senese Gregorio Lombardelli (morto
nel 1613; Della perseveranza cristiana: 1578); il canonico regolare lateranense, originario di
Piacenza ma attivo a Napoli, Niccolò Malnipote (Le ricchezze spirituali del cristiano: 1580,
1589); il francescano Trebazio Mareotti (morto nel 1599; Oratorio spirituale: 1585; Discorsi
spirituali: 1590); il napoletano Giuseppe Mazzagrugno, canonico regolare del Salvatore
(Predica del trionfo spirituale: 1592); il francescano mantovano Girolamo Menghi (1529-
1610; Giardino delizioso dei frati minori: 1592); l’agostiniano di Offida, Agostino Merli (La
stupenda e meravigliosa istoria […] con alcuni discorsi spirituali: 1583); il servita fiorentino
Angelo Maria Montorsoli (morto nel 1600; Lettera spirituale: 1597); il francescano Antonio
Pagani, veneziano (1526-1589; Il tesoro dell’umana salute e perfezione: 1579; Pratica degli
uomini spirituali: 1585, 1587; Tromba della milizia cristiana: 1585); il cardinale di Bologna,
Alfonso Paleotti (1531-1610; l’Esplicatione del sacro lenzuolo ove fu involto il Signore è
pubblicata ad utilità spirituale del suo popolo: 1599); il benedettino Francesco Patricelli
(Cronica della misteriosa e devota chiesa e badia di santo Stefano in Bologna […] con tutto
il spirituale tesoro quale in essa si riserva: 1584); il francescano bolognese Federico
Pellegrini (Discorso spirituale: 1579; Conversione del peccatore: 1591); il domenicano
comasco Felice Piaci (morto dopo il 1579; Rosario […] con altri segnalatissimi doni spiri-
tuali: 1578); il gesuita, originario di Melfi, Luca Pinelli (1542-1607; Libretto di immagini e di
brevi meditazioni […] per aiuto di quei che si vogliono dare alla vita spirituale: 1594); il
domenicano umbro Antonino Polti (Opere spirituali e morali: 1575, 1590); il piovano di San
Giovanni in Petroio, Giovanni Ponzalli (Le contemplazioni spirituali dei sette dì della setti-
mana: 1593); il sacerdote Francesco Rappi (1480-1546; Lima spirituale: quattro edizioni tra
1514 e 1543); il camaldolese fiorentino Silvano Razzi (1527-1613; Trattato dell’opere di
misericordia, e corporali e spirituali: 1576); il sacerdote romagnolo Bonaventura Reggedori
(Introduzione alla vita spirituale: 1597); il napoletano Paolo Regio, vescovo di Vico Equense
(1545-1607; Opere spirituali: 1592; Sermoni […] ove si discorre di quel che appartiene
all’uomo catolico […] per lo suo spirituale esercizio: 1595); il domenicano bresciano Paolo
Rovato (Convito dell’anima nel quale si trovano celesti vivande di spirituali e devotissime
orazioni: 1576 e 1584; l’edizione in latino è del 1575); il teologo ternano Annibale Samanio
(Esercizio delle cinque virtù e del divino amore per ben meditare […] con una pratica spiri-
tuale per ben udire messa: 1596); il canonico regolare lateranense Serafino da Bologna
(Giardino spirituale: 1555; Nuovo paradiso di delizie spirituale: 1562, 1563); il carmelitano
veronese Cristoforo Silvestrani Brenzone (morto nel 1608; Ritratto spirituale: 1584); il cap-
puccino Silvestro da Rossano (1538-1596; Modo come la persona spirituale si abbia a
disporre nella orazione: 1574); il sacerdote Francesco Sirena (Giardinetto spirituale: 1584);
il domenicano pisano Bartolomeo Spina (1474-1546; Breve regola della vita spirituale delle
persone religiose: 1553); il sacerdote siciliano Pietro Vincenzo Tedeschi (Meditazioni sopra
alcuni misteri: 1594); il francescano marchigiano Paolo Tranquillo (Rimedi spirituali contro i
peccati mortali: 1584); l’inquisitore generale di Vercelli e Ivrea, Cipriano Uberti (morto nel
1607; Brevi discorsi […] con i spirituali e veri rimedii curativi e preservativi: 1598); il gesui-

155
Amedo Quondam

ta Giovanni Battista Velati (1528-1602; Introduzione alla vita spirituale: 1593, 1596); il ser-
vita bresciano Cipriano Verardi (morto nel 1591; Testamento spirituale: 1587; Specchio delle
vergini spose di Cristo: 1597); il francescano ferrarese Francesco Visdomini (1516-1573;
Nascimento spirituale di nostro signor Giesù: 1553).
Due sole sono, in questo agguerrito esercito militante, le religiose: la milanese Paola
Antonia de’ Negri (1508-1555), delle Angeliche di San Paolo, con le sue Lettere spirituali
edite due volte (1563, 1576); la monaca dell’ordine dei canonici regolari Battista Vernazza
(1497-1587), con le sue Opere spirituali (1588).
A fronte di questo agguerrito squadrone di libri d’autore, tutti appartenenti agli ordini
religiosi della nuova Chiesa tridentina (che da solo prospetta un completo panopticon degli
impieghi di “spirituale” nelle forme della prosa, ma non solo, del Cinquecento), occorre rico-
noscere la persistenza dell’antica tipologia del libretto di devozione anonimo, esemplato cioè
sul modello (esplicitamente rinnovato) del Prato spirituale e del Fiore di virtù, di cui conser-
va il codice metaforico nella titolazione: Alfabeto spirituale (1586); Catena d’oro del modo
di far bene orazione mentale (1592); Catena spirituale nella quale si contiene tutto il vivere
cristiano (1575); Fiori del giardinetto detto il sole (1577); Giardinetto di cose spirituali
(1557, 1567, 1585); Giardino spirituale florido e fruttuoso per ogni persona che brama di
saper ben vivere al mondo, con un nuovo Fior di virtù raccolto da diversi autori (1585),
Giardino spirituale utile a ogni fedel cristiano (1579), Giardino spirituale per li elevati e
nobili spiriti (senza data), Giardino spirituale (1597); pur sempre ricordando il successo dei
Fiori preziosi raccolti da tutte le opere spirituali di Luigi di Granata (1588)44.

Rispetto all’imponente schiera di autori appartenenti agli ordini religiosi


antichi e moderni diventa difficile riconoscere la parte dei “laici” nella produ-

44
Sono peraltro presenti opere anonime con titolo non metaforico: Conferenze spirituali
sopra la povertà evangelica (1510); Discorsi spirituali raccolti da diversi autori utilissimi al
viver cristiano (1595 e 1597); Discorso spirituale dove si tratta della carità e dello innamo-
rarsi in Cristo Giesù (1568); Discorso spirituale nella gloriosa Assonzione di Maria Vergine
(1586 e 1588); Esercizio de la vita spirituale (1557); Essercizi spirituali per chi desidera per-
venire alla vera perfezione (sd); In questa opera se contengano dui libri devotissimi e neces-
sari a ciascuno vero converso spirituale (1510, 1521); Incomenza el libro de contemplazione
(1517); Letanie del nome di Giesù, di Maria Vergine e degli angeli, e alquante cosette spiri-
tuali (1575); eccetera.
Ma l’offerta editoriale di libri e libretti devozionali, sempre anonimi, non si esaurisce qui.
Si possono aggiungere ancora questi titoli (li elenco in ordine cronologico): Proficto spiritua-
le e via del paradiso (1510 e 1521), Opera nova de laude sancte composte da più persone
spirituali (1512), Dottrina da vivere spirituale e temporale lezite apuntadamente che l’è de
utilità (1540), Catena spirituale nella quale si contiene tutto il vivere cristiano (1575),
Pratica spirituale d’una serva di Dio (1586), Discorso spirituale (1586 e 1588); eccetera.
Un’altra tipologia libraria è quella della raccolta, come i Discorsi spirituali raccolti da diver-
si autori utilissimi al vivere cristiano, a cura del napoletano Angelo di Rinaldo (con tre edi-
zioni tra il 1595 e il 1597). Nell’età di Ignazio di Loyola è forte anche l’offerta di strumenti
per gli esercizi spirituali: Esercizio (spirituale) della vita cristiana (1562), Esercizi spirituali
per la mattina e sera all’orazione (1595), Esercizi spirituali per chi desidera pervenire alla
vera perfezione (senza data).

156
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

zione del libro “spirituale” in prosa, non solo perché risulterebbe appena profi-
lata da una manciata di titoli, ma anche per la difficoltà di avere informazioni
sicure sullo stato civile di molti di questi autori sconosciuti o quasi, oppure dal
travagliato curriculum di servizio, oscillante tra chiesa e corte, come nell’em-
blematico caso del mantovano Lodovico Arrivabene (1530-1597; Dialogo spiri-
tuale: 1588), o tra impegno religioso e insegnamento, come nel caso altrettanto
emblematico del fiorentino Castellano Castellani (1461-1519; Opera nuova
devotissima spirituale: 1515 e 1525); anche i fortunati Dialoghi piacevoli di
Stefano Guazzo (1530-1593) sono proposti come testi per «raccogliere diversi
frutti morali e spirituali» (nelle edizioni del 1586 e 1587). Comunque, questa
lista dei laici è presto fatta:

Iacopo Ansaldi, «dottor di legge» (Discorsi spirituali e civili secondo il catechismo:


1583, due edizioni); il cremonese Romano Borgo (Alcune spirituali meditazioni: 1581, 1592);
il bresciano Bernardino Bornato (Dialogo della povertà e ricchezza: 1592, 1596); il trevigia-
no Domenico Capigliara (Il santissimo specchio spirituale: 1592); il toscano-pavese Luca
Contile (1505-1574; Dialoghi spirituali divisi in banchetti: 1543); il recanatese cavalier
Bernardino Percivalli (1530-1590; Discorsi spirituali: 1564); il marchigiano Gregorio Picca
(Orologio spirituale: 1588); Alfonso Ruspaggiari (1521-1576), traduttore giolitino di Luís de
Granada (compila l’Essercizio e ammaestramento del buon cristiano per la collana della
“ghirlanda spirituale”: 1568, 1569); il poeta aversano Pietro Vincenzo Sagliano (Esposizione
spirituale sopra il Petrarca: 1591); il giurista amerino Labieno Vulpio (Ragionamenti spiri-
tuali: 1577); l’imolese Giovanni Battista Zappi (Prato della filosofia spirituale, dove si con-
tiene la somma del viver cristiano: 1577 e 1585)45.
Limitata a un solo nome la parte delle donne: la gentildonna lucchese Chiara Matraini
(1514-1595), Meditazioni spirituali (1581).

Da questi elenchi, purtroppo – ripeto – solo alfabetici, dovrebbero risultare


con evidenza i margini di approssimazione al quadro generale della produzione
cinquecentesca di scritture (sia in prosa che in versi) di argomento e di uso reli-
gioso e devozionale. Certo, potrà essere ulteriormente implementato e descritto
nelle sue scansioni tipologiche e diacroniche (prima e dopo Trento, prima e

45
Non presentano informazioni utili sullo status degli autori i frontespizi di poche altre
edizioni con “spiritual*”: Federico Abirelli, marchigiano (Esempi di castità, avvisi o ricordi
per le persone spirituali: 1597); Benedetto Bucella, veneto (L’esperienza cristiana, dialogo
spirituale: 1599); Giovanni Magagni (Compendio de la sanità corporale e spirituale: 1527);
Damiano Marcaffi (Specchio spirituale delle monache: 1528); Giovanni Battista Marini
(Dialogo della limosina: 1595); Camillo Massari (Dialogo spirituale nel quale si scopre la
condizione dell’uomo: 1597); Stefano Moresino (Visione spirituale utilissima e dilettevole:
1559); Angelo Muttoni (Pronostico e discorsi spirituali sopra l’anno 1586: 1586);
Bartolomeo Navarretti (Avvertimenti spirituali intorno all’udire della messa: 1589).

157
Amedo Quondam

durante l’Indice: tanto per usare uno spartiacque canonico)46, eppure questo
primo sondaggio tramite la stringa “spiritual*” dimostra di essere tanto più rap-
presentativo quanto più forte diffusa stabile è la funzione connotativa di “spiri-
tuale”, nelle sue metamorfosi. A esempio: se nell’arco lunghissimo dei suoi
impieghi risulta di essere uno dei descrittori primari della religiosità, nelle dina-
miche costitutive e proprie della storia religiosa del Cinquecento, sembrerebbe
riguardare in termini pressoché assoluti l’ufficio del sacerdote, la sua nuova o
rinnovata deontologia pastorale di mediatore esclusivo tra l’uomo e la parola di
Dio.
Ma non solo per queste ragioni i primi risultati del sondaggio sono significa-
tivi, anche se – come ho già accennato – non basta certo la connotazione “spiri-
tuale” (o eventualmente di quelle affini47) per esaurire la gamma delle scritture
che il Cinquecento produce in materia di devozione. Sono significativi anche
perché evidenziano l’arbitrarietà di ogni segmentazione di un territorio discorsi-
vo che è, invece, nei modelli e nelle pratiche comunicative di allora struttural-
mente permeabile se non immediatamente continuo. Le nostre esigenze tattiche,
nell’approccio a questa vastissima fenomenologia testuale e libraria, devono
dunque fare i conti con un generale dubbio metodico: monitorio della necessità
di tenere sempre conto del fatto che non sempre il titolo esibisce l’identità
discorsiva (o l’appartenenza di genere), come dimostra il solo riscontro con gli
Avertimenti nella vita monacale, utili e necessari a ciascheduna vergine di
Cristo, del francescano emiliano Bonaventura Gonzaga (morto nel 1586; sono
editi da Giolito a Venezia nel 1568), che fanno parte di una diffusissima tipolo-
gia discorsiva dedicata all’institutio delle monache (e della donna in generale),
in gran parte estranea al filtro utilizzato per la ricerca nella banca-dati di
Edit1648.

46
Come sempre in ogni esperienza di bibliografia del libro antico, l’informazione dispo-
nibile tramite Edit16 è destinata a ulteriori rilevanti acquisizioni: non solo quando il censi-
mento delle cinquecentine (ancora in corso) del patrimonio librario antico sarà completato e
raffinato, ma più ancora quando si espandesse la ricerca alle biblioteche internazionali, indi-
spensabile per tipologie librarie così rare. Lo dimostra proprio il forte incremento dei titoli di
“rime spirituali”, nel passaggio dalla fonte di Edit16 ad altre fonti bibliografiche, di cui darò
tra poco conto.
47
Sarebbe, infatti, necessario, più che opportuno, estendere la ricognizione bibliografica
alle occorrenze, sempre nel sistema dei titoli del Censimento delle cinquecentine, di altre
connotazioni (come “devoto”: con circa 70 attestazioni; o come “religioso”: con oltre 250
attestazioni; o come “cristiano”: con più di 1600 attestazioni), oppure ricostruire la trama di
scritti agiografici, o delle edizioni di prediche confessionali catechismi.
48
Rinvio a Donna, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo. Studi e testi a stam-
pa, a cura di Gabriella Zarri, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1996; anche per l’ampio

158
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Sono, insomma, consapevole che solo una bibliografia generale del libro reli-
gioso nella produzione editoriale cinquecentesca (stimabile a circa la metà del
totale) potrà dare la corretta prospettiva di riferimento per ogni specifica sua seg-
mentazione, consentendo di definire e quindi misurare con parametri omogenei e
non arbitrari le diverse sue tipologie discorsive e propriamente librarie. Ma è un
compito che esula certamente dagli obiettivi di queste note. Comunque, già a
prima vista, dalla ricognizione sull’insieme dei dati di Edit16 risultano con ogni
evidenza, e in proporzioni assolute quantitativamente notevolissime, la frequenza
e l’intensità connotative di “spirituale” nel sistema dei titoli: sembra essere proprio
questa la forma nuova che si impone nella zona semioticamente forte del libro
tipografico (il frontespizio, appunto), e in termini molto fluidi e dinamici, in grado,
cioè, di caratterizzare la moderna scrittura religiosa cinquecentesca nelle sue più
diverse tipologie (anche di genere) e funzioni, oltre che nei suoi diversi destinatari.

1.2.2. Alcune considerazioni, ora, per cercare di dare un senso alle tante, e
tanto protratte, elencazioni di autori e di titoli.
La prima considerazione riguarda un radicale mutamento nei rapporti tra i
chierici e il libro: nel perseguimento delle nuove strategie de propaganda fide il
libro diventa un alleato prezioso; pur sempre da controllare attentamente (perse-
guendo ogni deviazione: con modi che si differenziano nel tempo), ma non è più

Repertorio bibliografico delle opere riconducibili a questa specifica tradizione discorsiva, ma


non solo: per il suo impianto a larghissimo raggio si sovrappone anche all’area “spirituale”.
Per avere un quadro più completo, basterebbe, in realtà, estendere sull’intera durata del
secolo la bibliografia, prima citata, che Anne Jacobson Schutte ha allestito per il periodo
1465-1550 (limitatamente ai libri in volgare); oppure analizzare con cura il repertorio dei
catechismi in Miriam Turrini, “Riformare il mondo a vera vita christiana”: le scuole di cate-
chismo nell’Italia del Cinquecento, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico», 8
(1982), pp. 407-489; o per i confessionali: Miriam Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e
diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Il Mulino, Bologna 1991. Senza
trascurare il grande rilievo della tradizione “meditazioni”, con una tradizione antica e autore-
volissima, come attesta (oltre ai numerosi titoli già prodotti) la raccolta, in tre volumi, di
Meditazioni di diversi dottori di santa Chiesa, a cura del carmelitano Nicolò Aurifico de’
Bonfigli (1582: raccoglie testi di sant’Agostino, san Bernardo, Ugo di San Vittore, san
Bonaventura, Beda il Venerabile, san Vincenzo, Pier Damiani); senza peraltro trascurare il
fatto che sono numerose, nel corso del secolo, le edizioni latine di singoli testi (san Bernardo
in particolare, anche con numerose edizioni in volgare) e la silloge delle Devotissime medita-
zioni (con 6 edizioni tra il 1549 e il 1588: con testi di san Bernardo, sant’Anselmo, san
Vincenzo). Nell’allestimento della bibliografia ho utilizzato il repertorio della Poesia religio-
sa. I cantori agiografici e le rime di argomento sacro, a cura di Alfredo Cioni, Sansoni
Antiquariato, Firenze 1963.

159
Amedo Quondam

pregiudizialmente soltanto un nemico, da guardare con sospetto. Può essere o


diventare un alleato pratico flessibile docile. Come ai tempi di Savonarola.

La seconda considerazione riguarda la strategia referenziale di questo cospi-


cuo insieme di testi: comunque finalizzati a dare forma perfetta (secondo
Classicismo) alle pratiche devote del moderno cristiano e del moderno sacerdo-
te (con la variante di genere, ovviamente: la moderna monaca), tutti moderni
perché tridentini. Con un inconsapevole gioco di squadra, l’insieme tende infatti
a coprire l’intera gamma delle differenze di stato di questa società strutturata in
ordini, ceti e stati, appunto: talvolta assumendo consapevolmente queste diffe-
renze, come bene indica il titolo del libro del gesuita Giovanni Battista Velati,
Introduzione alla vita spirituale e perfezione cristiana per ciascun stato in par-
ticolare, cioè de’ maritati, continenti, vedove, vergini e religiosi, con la pratica
spirituale comune a tutti (1593, 1596).

La terza considerazione riguarda il sistema dei titoli. Da tutte le informazioni


che ho sin qui prodotto dovrebbe risultare la netta prevalenza di una titolazione
connotativa (con “spirituale” che accompagna e orienta tante diverse specifiche
forme comunicative tradizionali, cosicché diventa – come ho detto – l’attributo
jolly di discorsi dialoghi orazioni rime eccetera). Ma esiste anche una modalità
d’invenzione del titolo intensamente metaforica: se è ancora presente – come ho
detto – l’antica metafora botanica (giardino, prato, orto, eccetera), affiora anche
una metafora guerriera che esorta alla necessaria milizia del cristiano nell’età
della riscossa cattolica.
Da questo punto di vista non c’è dubbio che siano le diverse ristampe della
famosa opera di Domenico Cavalca (Battaglie spirituali) a inaugurare e ad auto-
rizzare questa specifica tipologia, seguita e sviluppata, nel corso del secolo, da
diversi altri libri, tutti caratterizzati, nel sistema dei loro titoli, dal gioco dell’in-
venzione metaforica intorno al macrosegno della “battaglia”. Una tipologia che
sembra costituirsi in una sorta di territorio parallelo alla grande tradizione dei
“libri di battaglie” (cioè, di argomento cavalleresco: da sempre fortemente avver-
sate da religiosi di ogni tipo), dove si esaltano, però, le virtù eroiche del moderno
miles Christi. Quanto poi questo miles sia diverso dal miles christianus che
Erasmo da Rotterdam aveva profilato nel “manuale” (enchiridion) del 1503, è
questione che se da una parte documenta le dinamiche alternative e conflittuali
proprie della res publica christiana prima dei definitivi assetti delle nuove
Chiese separate, dall’altra richiederebbe, ovviamente, analisi più ravvicinate.
Intanto si potrebbe riconoscere come e quanto questo territorio del miles
christianus durante e dopo Trento sia geneticamente segnato dal pervasivo
imprinting che consegue dal magistero di Ignazio di Lodola e dalla straordinaria
diffusione della sua Compagnia di Gesù. Per cogliere queste nuove dinamiche,
può bastare il riferimento al fortunatissimo Combattimento spirituale del teatino

160
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Lorenzo Scupoli (1529-1610)49; o alle opere dell’ipercreativo, almeno nei titoli,


Lorenzo Davidico (Steccato spirituale, Giostra spirituale, Rocca franca, Fatto
d’arme interiore)50; e poi ancora: la Tromba della milizia cristiana del france-
scano Antonio Pagani (1585), la Milizia spirituale di Domenico Baravalle
(1596), l’Armeria religiosa. Dialogo spirituale per armare i servi di Dio del
frate spagnolo Jeronimo Lemos (1597).

L’ultima considerazione è certamente quella più rilevante, ma posso qui solo


accennarla: riguarda la necessità di riconoscere la parte degli editori nelle dina-
miche di un mercato editoriale in grande espansione e che sollecita la valorizza-
zione delle competenze e la messa a punto di efficaci strategie imprenditoriali
per l’operatore che voglia, e sappia, differenziarsi e imporsi.
Comunque è certamente significativo rilevare subito come e quanto siano
protagonisti del libro “spirituale”, o in vario modo coinvolti nella costruzione di
questo nuovo mercato, tutti i maggiori editori del Cinquecento, da Nicolò
d’Aristotele detto lo Zoppino a Francesco Marcolini, dai Giolito ai Giunti, ecce-
tera. Con dinamiche però fortemente differenziate nella diacronia di un secolo:
nella prima metà del secolo sono all’opera gli editori più attenti alle novità cul-
turali e più impegnati a fiancheggiare la fondazione di una moderna letteratura
(anche religiosa) e della sua nuova lingua volgare.
Tra i più attivi si distingue subito lo Zoppino, ferrarese di origine e venezia-
no di attività: con il fortunato Colletanio de cose nove spirituale zoè sonetti
laude capitoli e stantie, già nel 1509; e poi con la novità di Castellano
Castellani, di nuovo nel titolo connotata come Opera nova devotissima nel
1515; e soprattutto con Vittoria Colonna: nel 1539 fonda la tipologia moderna
delle rime spirituali. E quindi spicca il forlivese di origine e veneziano di atti-
vità, Francesco Marcolini, che rende possibile una delle svolte fondamentali:
con la prima edizione del Petrarca spirituale di Girolamo Malipiero (nel 1536;
e poi nel 1538 e 1545), da correlare alle coeve opere religiose di Pietro Aretino.
Tutti insieme, questi editori concorrono a definire, ciascuno per la sua parte, un
progetto editoriale di modernizzazione della scrittura religiosa, che sarà presto
interrotto da quanto irrompe nella seconda metà del secolo (quando il settore
spirituale sarà dominato, nei termini prima indicati, dai chierici, con libri desti-
nati in gran parte all’edificazione dei loro fratelli e delle loro sorelle), ma che

49
Cfr. Barbieri, Fra tradizione e cambiamento cit., p. 17.
50
Cfr. Massimo Firpo e Dario Marcato, Lorenzo Davidico (1513-1574) e il suo processo
editoriale, I: Massimo Firpo, Nel labirinto del mondo. Lorenzo Davidico tra santi, eretici,
inquisitori, II: Dario Mercato, Il processo inquisitoriale di Lorenzo Davidico (1555-1560),
Olschki, Firenze 1992.

161
Amedo Quondam

intanto segnala quanto fluida sia l’esperienza letteraria religiosa (non di soli
chierici) fino agli anni trenta del secolo51. Ma tra gli editori non sono da dimen-
ticare i “compagni” veneziani Francesco Bindoni e Matteo Pasini (peraltro
grandi protagonisti del mercato del libro di cavalleria), con 17 edizioni fino al
1542; la famiglia dei Sabbio (15 edizioni tra 1521 e 1587), la dinastia dei Sessa
(13 edizioni tra 1503 e 1592); eccetera52.
L’esplosione del nuovo libro spirituale nell’età del rinnovamento cattolico
può essere, però, emblematicamente (e produttivamente) rappresentata dall’im-
presa editoriale dei Giolito, sempre a Venezia: per iniziativa del grande
Gabriele, a partire dal 1556, l’azienda pubblica da sola, nel corso della seconda
metà del secolo, un centinaio di edizioni che recano la connotazione di “spiri-
tuale” nel frontespizio. Sono i famosissimi suoi «libriti spirituali»53.
Quello che più conta, però, al di là di ogni pur necessario riscontro quantitati-
vo, è che questi libriti dimostrano una del tutto nuova capacità di essere parte di
un organico progetto di collana editoriale: la “Ghirlanda spirituale” (articolata in
diversi “fiori”), appunto. Inaugurata nel 1568 dalla Guida del peccatore del
domenicano spagnolo Luís de Granada, si prospetta subito come dedicata preva-

51
Rinvio ad alcuni miei studi: «Mercanzia d’onore»/»Mercanzia d’utile». Produzione
libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico
nell’Europa moderna, a cura di Armando Petrucci, Laterza, Bari 1977, pp. 51-104; Nel giar-
dino del Marcolini. Un editore veneziano tra Aretino e Doni, in «Giornale storico della lette-
ratura italiana», 1980, pp. 75-116; La letteratura in tipografia, in Letteratura italiana, volu-
me II Produzione e consumo, Einaudi, Torino, pp. 555-696; Riscrittura/citazione/parodia del
codice. Il «Petrarca spirituale» di Girolamo Malipiero, in «Studi e problemi di critica testua-
le», n. 17 (1978), pp. 77-125 (poi in Il naso di Laura cit.).
52
Per fornire qualche ulteriore, ma sempre rapidissimo, ragguaglio sul ruolo degli edito-
ri, mi limito a segnalare: Girolamo Bartoli, attivo tra Pavia e Genova (8 edizioni tra 1567 e
1598), i Blado a Roma (12 edizioni tra 1535 e 1584), Guglielmo Facciotti sempre a Roma (4
edizioni tra 1592 e 1596), Luca Bonetti a Siena (6 edizioni tra 1571 e 1599), i Da Ponte a
Milano (16 edizioni tra 1573 e 1600), i Giunta a Firenze e Venezia (25 edizioni tra 1562 e
1599), Giorgio Marescotti a Firenze (15 edizioni tra 1576 e 1599), i Sermartelli sempre a
Firenze (9 edizioni tra 1569 e 1599), Francesco Osanna a Mantova (3 edizioni tra 1579 e
1599), Giacomo Ruffinelli sempre a Mantova (3 edizioni tra 1595 e 1590), Orazio Salviani a
Napoli (18 edizioni tra 1558 e 1596), Alessandro Benacci a Bologna (12 edizioni tra 1564 e
1591). Per quel che riguarda Venezia, infine, sono da ricordare: Comin da Trino (6 edizioni
tra 1540 e 1556), Domenico Farri (10 edizioni tra 1575 e 1597), i De’ Franceschi (21 edizioni
tra 1557 e 1596), gli Scoto (12 edizioni tra 1542 e 1563), Francesco Ziletti (9 edizioni tra
1579 e 1588), nonché gli eredi del grande Aldo Manuzio (2 edizioni tra 1578 e 1592).
Già da queste sommarie indicazioni emerge, insomma, la diffusione di questa letteratura
spirituale sul territorio nazionale: per quanto resti molto forte la centralità veneziana, questa
tipologia libraria si dissemina ovunque, anche in piccoli centri, in particolare negli ultimi
decenni del Cinquecento, cioè nella fase di esplosione del libro spirituale.
53
Cfr. Angela Nuovo e Christian Coppens, I Giolito cit., p. 106.

162
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

lentemente a raccogliere le opere di questo solo autore: rimpiazzando così, e non


solo nel catalogo giolitino, l’invecchiato, ma fortunatissimo per tanti anni,
Antonio de Guevara (1481-1545), francescano vescovo di Mondoñedo, predica-
tore e storico imperiale. Il progetto si presenta subito molto ampio, editorialmen-
te forte: nello stesso anno Giolito presenta in libreria altri cinque volumi della
stessa collana, con una numerazione che presto arriva al dodicesimo “fiore”54.

1.2.3. Un riscontro, ora, o meglio un primo accenno di riscontro, perché ne


tratterò più ampiamente in conclusione.
Nel 1592 Orazio Lombardelli pubblica una «parte prima» (ma rimasta unica)
del Ragguaglio degli scrittori spirituali: è il bilancio, quasi a fine secolo, di una
lunga stagione editoriale, subito percepita come rilevantissima sia per le sue pro-
porzioni quantitative (di autori e di testi), sia per l’intensità delle sue motivazioni e
funzioni. Libri dal cuore della tempesta religiosa che ha connotato tutto il secolo:
prima durante dopo la Riforma, prima durante dopo il Concilio. Il Ragguaglio
rivendica, di fatto, la riconoscibilità di una tipologia, sia discorsiva che editoriale,
nel suo proprio corpo e statuto testuale/librario e nel suo proprio canone di autori.
Sono questi gli “scrittori spirituali”: tali, ancora una volta, perché trattano delle più
varie materie riconducibili alla pertinenza semantica (molto ampia e diversificata)
di quanto “spirituale” (come ho detto: una connotazione jolly) nel corso del
Cinquecento ha significato, ma anche perché sono in gran parte scrittori apparte-
nenti a ordini religiosi. Il Ragguaglio descrive una “libraria”: certamente microset-
toriale, ma orgogliosa di raccogliere una famiglia discorsiva ormai tanto larga da
rendere indispensabile un’anagrafe; progettando così il suo costituirsi in tradizione.

1.3. Per quanto troppo rapide, le considerazioni prima proposte, sulla parte
degli editori nella storia cinquecentesca del libro “spirituale”, lasciano però emer-
gere una nitida scansione della sua lunga durata secolare in tre momenti: nel primo
(che dura fino alla metà del secolo) si rileva la compresenza dei testi di autori che
vengono da lontano e si affiancano alle soluzioni sperimentali che vedono impe-
gnati scrittori laici alla ricerca di un nuovo assetto formale della scrittura devota;
nel secondo momento (che riguarda il ventennio successivo) è evidente la massic-
cia esplosione delle scritture spirituali di autori degli ordini religiosi nuovi o rinno-
vati; il terzo momento (nella fase finale del secolo) è dominato dagli spagnoli55.

54
Questa strategia sarà poi confermata dalla creazione di nuove collane per aggiornare
l’ormai stanca “ghirlanda”, ma senza successo: l’Albero spirituale (diviso in “frutti”: ma un
solo titolo nel 1574); la Scala spirituale (divisa in “gradi”: un solo titolo nel 1583).
55
A questo proposito sarà opportuno dare qualche ulteriore ragguaglio, anche se potrebbe
bastare, di nuovo, la citazione del domenicano Luís de Granata, che da solo è presente in libre-

163
Amedo Quondam

Parlare di editori prospetta immediatamente anche la distribuzione territoriale


di questa tipologia libraria (come di ogni altra). Una altrettanto veloce ricogni-
zione dell’insieme dei libri connotati come “spirituali” nel loro titolo fornisce
risultati coerenti con il quadro complessivo dell’editoria cinquecentesca nelle sue
grandi capitali, come documenta questa tabella con i dati relativi alle città in cui
sono pubblicate più di 15 edizioni di libri spirituali, scanditi per decennio:

1501 1511 1521 1531 1541 1551 1561 1571 1581 1591 totale
1510 1520 1530 1540 1550 1560 1570 1580 1590 600
Venezia 6 10 13 22 23 21 71 80 88 55 389
Roma - - - - 3 6 3 4 21 22 59
Firenze - 1 2 1 1 1 6 11 15 16 54
Milano 1 2 2 2 - 2 4 10 7 2 32
Bologna 1 6 1 - - 1 7 5 5 3 29
Brescia 1 - - 1 1 - 4 2 7 7 23
Napoli - - - - - - 4 6 2 8 20
Perugia - 1 2 - - 2 - 4 7 - 16
Altre 2 1 - 3 4 5 7 25 45 54 146
Totale 11 21 20 29 32 38 106 147 197 167 768

La tabella conferma, in primo luogo, l’assoluta predominanza di Venezia


(sede dell’impresa giolitina), che da sola pubblica complessivamente il 50% dei

ria ben 264 volte nel corso della seconda metà del secolo con l’insieme delle sue opere. Ma non
è il solo spagnolo a dominare il campo delle prose spirituali nell’età di Carlo V e Filippo II;
ecco il catalogo degli autori iberici prodotto dal repertorio delle cinquecentine italiane: il gesuita
Francisco Arias (Profitto spirituale: tre edizioni tra 1596 e 1600); il predicatore Juan de Avila
(Trattato spirituale, Lettere spirituali: quattro edizioni tra 1581 e 1593); il domenicano, Juan
Bru de la Magdalena (Obras spirituales de diversos: 1591); il gesuita Andrés Capilla (Manuale
d’esercizi spirituali: quattro edizioni tra 1587 e 1599); il frate Garcia de Cisneros (Esercitatorio
de la vita spirituale: 1595); il cistercense Luís de Estrada (L’ordine e modo di dire il rosario:
1584); il gesuita, e santo, Francisco de Borja (Tutte le opere spirituali: 1561); il francescano
Francisco de Osuña (Abecedario spirituale: 1583); il carmelitano scalzo Jerónimo Gracián de la
Madre de Dios (Assedio e predicazione spirituale: 1598; anche in lingua originale: Cerco spiri-
tual, 1596); il gesuita Diego de Ledesma (Dottrina cristiana, alla quale vi sono aggiunte
molt’altre lodi spirituali: 1596, 1598); il frate Jeronimo Lemos (Armeria religiosa: 1597); il
gesuita Gaspar de Loarte (quattro edizioni di sue opere tra 1557 e 1577); il frate ospedaliero
Gabriel Molina (Discorsi overo ragionamenti spirituali nei quali si insegna a uscire facilmente
dai peccati: 1590); l’agostiniano Alonso de Orozco (Opere spirituali: 1581, 1591, 1596;
Essercitatorio spirituale: 1586); il padre Diego Perez de Valdivia (Avvertimenti spirituali: 1590,
1592); il domenicano Tomas de Valencia (Fiori di consolazione a ogni fedel cristiano
necessari: 1562). Nell’Italia spagnola non mancano le edizioni in castigliano: oltre a quelle già
indicate (anche di opere anonime), si può aggiungere che a Napoli è stampato il Consuelo y
oratorio y exercicio spiritual de obras devotas y contemplativas, provechosas a todo christiano
(1588); a Cagliari la Practica y esercitio spiritual de una serva de Dios (1579).

164
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

libri “spirituali”, distanziando notevolmente le altre capitali del libro cinquecen-


tesco. Se questo dato è più o meno in linea con quello relativo alla quota del
libro veneziano cinquecentesco sul totale del libro italiano56, lo è ancora di più
se consideriamo la sua scansione nel corso del secolo: anche per il libro “spiri-
tuale”, infatti, Venezia è assediata, a fine secolo, dall’irrompere della concorren-
za di un’editoria ormai disseminata sul territorio degli stati regionali italiani
(anche se in termini tutt’altro che omogenei), tanto che la sua quota precipita
nell’ultimo decennio a un terzo del totale. La scansione decennale consente,
inoltre, di riconoscere agevolmente nel picco del 1561-1570 (Venezia supera da
sola i due terzi del totale) il suo protagonista: l’azienda dei Giolito.

Un’analisi più ravvicinata dei dati in tabella relativi alle altre città consente di riconoscere
la parte delle altre città con più di 15 edizioni, in diretta correlazione con i dati veneziani. In
queste città, infatti, il libro “spirituale” esplode nella seconda metà del secolo: il 72% dei libri
romani si condensa nei soli ultimi due decenni, mentre quelli fiorentini dell’ultimo trentennio
sono il 77% del totale stampato in questa città.
Ma come ho detto, il fattore più rilevante dell’economia del libro “spirituale” è da ricono-
scere nella sua capillare disseminazione geografica: se fino al 1570 la partecipazione delle
altre città italiane alla produzione di questa tipologia libraria è molto limitata (solo 22 edizio-
ni sul totale delle 257 pubblicate a Venezia, Roma, Firenze, Milano, Bologna, Brescia,
Napoli, Perugia: cioè, una quota dell’8,5%), nei trent’anni successivi la loro parte aumenta
improvvisamente e progressivamente, con ben 124 edizioni (pari al 25%: è il 17% nel tratto
1571-1580, il 22% nel 1581-1590, il 32% nel 1591-1600).
Le città protagoniste di questa disseminazione del libro “spirituale” sono molto diverse
tra loro, in senso sia politico istituzionale (ci sono capitali di stati regionali e piccoli centri
rurali) che propriamente tipografico (ci sono sedi ordinarie, anche gloriose, di torchi tipogra-
fici, ma anche occasionali luoghi di stampa effimera): Genova, Verona con 11 edizioni; Siena
10; Macerata 9; Bergamo, Torino 8; Ferrara 7; Palermo 6; Cremona, Fermo, Padova 5;
Mantova, Mondovì 4; Carmagnola, Lucca, Messina, Modena, Parma, Treviso 3; Cagliari,
Como, Pavia, Pesaro, Piacenza, Urbino, Vercelli 2; Alessandria, Ancona, Asti, Copertino,
Foligno, Ivrea, Loreto, Novara, Orvieto, Ravenna, Teramo, Vicenza, Vico Equense 1. Una
sola edizione risulta stampata fuori d’Italia: a Parigi57.

Con queste dinamiche che sono sue proprie, il libro “spirituale” cerca di
approssimarsi allo spazio in cui vive il moderno cristiano: a ulteriore riscontro
di quanto la missione tridentina sia proiettata alla nuova evangelizzazione (le
nostre Indie di quaggiù), e di come sia in grado di progettare e realizzare stru-
menti opportuni, e sempre nuovi, per le pratiche devote del cristiano contempo-
raneo, e in particolare questi libri “spirituali”, che per lo più presentano peculia-
ri caratteristiche materiali. Sono infatti piccole stampe di basso costo, che non

56
Cfr. Quondam, La letteratura in tipografia cit.
57
Sono sette le edizioni non localizzate.

165
Amedo Quondam

richiedono cospicui investimenti per la loro produzione tipografica (di macchine


e uomini, oltre che di carta) e che possono essere smerciate direttamente nel ter-
ritorio circostante al luogo di produzione, anche perché talvolta sono scritte da
religiosi attivi e ben noti nel territorio circostante.

2. La poesia “spirituale”.

È stato troppo ampio questo preliminare inquadramento della poesia “spiri-


tuale” nell’insieme delle tipologie discorsive e librarie che attraversano il
Cinquecento adottando nel loro titolo la stessa connotazione di “spirituale”. Ma
credo che sia stato davvero necessario per poter tenere ben presenti tutte le sfu-
mature degli impieghi di allora, sia semantiche che tipologiche: indispensabile,
quando si vuole ragionare su una connotazione tanto impegnativa nella storia
religiosa e culturale italiana ed europea, per di più in quella lunghissima con-
giuntura che prima lacera la cristianità (anche sul senso da dare a questa catego-
ria, nonché sulle sue pratiche performative ordinarie, in quanto devozione) e poi
la riorganizza in chiese separate, forti e orgogliose, ciascuna, della sua autono-
ma (e simmetrica) riforma, della sua dottrina, dei suoi inquisitori, dei suoi libri
proibiti. Della sua letteratura (e poesia) religiosa devota spirituale.
È tempo, ormai, di passare a descrivere le dinamiche editoriali delle forme e
dei generi di queste pratiche comunicative in versi, a partire da quelle che si
autoattribuiscono nel campo forte del frontespizio la connotazione di “spiritua-
le”. Per cogliere le dinamiche che sono proprie di questa specifica tipologia,
ritengo che sia necessario misurare e descrivere, però, le proporzioni complessi-
ve della poesia “religiosa” in senso ampio: per poter adeguatamente contestua-
lizzare quanto invece decide di autoconnotarsi come “spirituale”; per distinzio-
ne rispetto agli altri (diversi) e per fedeltà rispetto ai suoi (conformi).
Prospetto subito un esempio: non c’è dubbio, e ne descriverò le proporzioni,
che la nascita e la diffusione del titolo di “rime spirituali” (a partire da Vittoria
Colonna) documenti la radicale mutazione di forme e di lingua (cioè, di assetto e
sistema comunicativo) della poesia religiosa, la sua annessione (ma per sviluppo
di fattori costitutivi endogeni) alla più generale economia del Petrarchismo clas-
sicistico. Ma, per cogliere quanto innovativo sia questo processo, è essenziale
riferirne i testi fondativi (e gli altri che seguono) ai testi che erano, prima del loro
apparire, di maggiore successo nello stesso mercato della comunicazione devota:
per distinzione rispetto agli altri (i testi diversi: per forme e tradizioni) e per
fedeltà rispetto ai suoi (i testi conformi: propriamente le “rime spirituali”).

Ne cito rapidamente due.


Il primo è un testo d’autore: il Libro novo di cose spirituali chiamato
Partenia del celebratissimo, negli anni Venti-Quaranta, Caio Baldassarre Olim-

166
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

po Alessandri da Sassoferrato (Biblia repertoria circa 150 edizioni di questo


autore), con almeno undici edizioni tra 1525 e 1555. Un Libro che smette di
sembrare novo, quando l’ordine nuovo (classicistico) delle “rime spirituali” più
non consente questo caos polimetrico (e linguistico): «stanze devotissime alla
Vergene; sonetti di molti subiteti; sonetti della Vergene; confessione spirituale;
serenata; madrigali a Cristo; frottole a Dio; frottole alla Vergine; Credo dispo-
sto; Pater noster disposto; Ave Maria disposta; Confiteor disposto» (è questo
l’indice della princeps). Un libro che non può più essere «utile e notabile a chi
brama de saper vivere al mondo»: perché è ormai richiesta una nuova forma del
vivere e del comunicare: anche scrivendo “rime spirituali”.
Il secondo è un testo anonimo: le Devotissime composizioni rytmice e parla-
menti a Iesù Cristo nostro redemptore de una religiosa de l’ordine de sancta
Clara de observanzia (o Tesauro de la sapienzia). Un testo «nato all’ombra del
chiostro» (nel monastero bolognese del Corpus Domini: di clarisse osservanti) e
che si rivolge, in primo luogo, «alle religiose che condividevano l’esistenza del-
l’anonima autrice» (e pertanto ha «un indirizzo calorosamente esortativo»), ma
che va ben oltre il monastero e il chiostro, se sono almeno undici le edizioni
sopravvissute (e faticosamente reperibili nei loro sparuti testimoni)58. Un testo
che attraversa l’intero Cinquecento, con una significativa storia di riprese e di
rilanci tra Bologna Venezia Milano Napoli, che consegue proprio dal suo
impianto formale e funzionale: è infatti una raccolta di canzonette inni laudi che
se è ben presto incompatibile con gli statuti della lirica petrarchistica (e delle
sue stese “rime spirituali”), trova invece nuova vita nella seconda metà del
Cinquecento, quando la tradizione delle laudi torna a occupare le pratiche ordi-
narie del canto devoto, ridefinite e promosse dalle riforme tridentine.
Ebbene, è rispetto al Libro novo di cose spirituali chiamato Partenia, da una
parte, e alle Devotissime composizioni rytmice, dall’altra, che si compie l’espe-
rienza delle “rime spirituali”; o ancora: è solo rispetto alla straordinaria fenome-
nologia dei poemetti anonimi in ottava rima dedicati a narrare improbabili storie
di santi (come se fossero cavalieri) che trova senso la strenua ricerca del poema
eroico e l’esperienza della nuova agiografia in versi.

58
Rinvio al fondamentale saggio di Danilo Zardin, L’arte dell’apprendere “soave”. Poesie e
canti religiosi nell’Italia del Cinque-Seicento, nel citato volume La lauda spirituale tra Cinque e
Seicento, pp. 695-739 (la citazione è a pp. 699-700), per tutte le informazioni sulla complessa sto-
ria delle sue edizioni che migrano da Bologna a Venezia a Milano a Napoli; nonché per la biblio-
grafia di riferimento su questo testo ormai famoso tra gli studiosi. Dalle ricognizioni sugli elenchi
dei libri in possesso di monasteri alla fine del Cinquecento, Zardin ricava i dati di almeno altre
sette edizioni, tra 1558 e 1583, di cui non sono sopravvissuti esemplari: ancora un monito sul mo-
do di usare i dati della nostra bibliografia, per la eccezionale fragilità della sua tipologia libraria.

167
Amedo Quondam

È tempo, ormai, di passare a descrivere le dinamiche delle tipologie editoria-


li che riguardano la poesia spirituale: a partire di quelle che si autoattribuiscono
nel campo forte del frontespizio, la connotazione di “rime spirituali”, contestua-
lizzandole – come ho detto – alla descrizione e misurazione della poesia “reli-
giosa” in senso complessivo e ampio. Anche sulla base di questa considerazione
generale: la tradizione delle “rime spirituali”, nel suo stesso prospettarsi come
l’esperienza più caratterizzata e subito innovativa della tradizione complessiva
della poesia religiosa, non può risolversi tutta nella risemantizzazione, fortissi-
ma e orientata (il gruppo dell’evangelismo spirituale), di Vittoria Colonna, né
tanto meno nell’oltranza del gesto di fra Malipiero. Perché ritengo che, in quan-
to tale, il libro di “rime spirituali” sia geneticamente integrato alle forme-fun-
zioni della moderna poesia lirica inaugurata dai modelli petrarchistici elaborati
da Pietro Bembo: si sviluppa infatti come autonoma specializzazione di quanto
già nei Rerum vulgarium fragmenta era esemplarmente presente come poesia
del conflitto interiore, sua confessione e introspezione (nel monologo lirico:
soliloquio, meditazione, esame di coscienza), e come storia poetica di una con-
versione. Di questo imprinting genetico la poesia “spirituale” non smarrisce mai
del tutto la traccia.
Ancora un rilievo preliminare: in questo stesso arco di tempo la poesia non è il
solo genere letterario che assuma forme e funzioni spirituali. A questa esperienza
complessiva concorrono, infatti, anche la gloriosa e diffusissima tradizione rap-
presentativa e drammaturgica delle sacre rappresentazioni, e, cronologicamente
più avanti, i nuovi generi del teatro: entrambi esclusi dalle mie ricognizioni.

Mi limito a segnalare l’emergere, in termini quantitativamente peraltro esigui (sono una


ventina le unità bibliografiche proposte da Edit16) delle connotazioni di “spirituale” in opere
che mescidano le antiche tipologie della “sacra rappresentazione” con l’assetto classicistico
della nuova drammaturgia: la Commedia spirituale dell’anima (1571, 1575, 1592), la
Commedia spirituale di Cleofas e Luca (sette edizioni tra 1525 e 1581), Il Malatesta, rappre-
sentazione spirituale del miracolo della sacra vergine santa Caterina da Siena, nuovamente
ridotta in ottava rima (1569, 1575, 1584, 1590), tutte anonime; nonché Il mortorio di Cristo,
tragedia spirituale del francescano Bonaventura Morone (1557-1621), edita nel 1600; e la
Taide convertita, rappresentazione spirituale del medico napoletano Ambrogio Leone «crocife-
ro» (1549-1525), edita nel 1599 e 1600; la raccolta di Feste e rappresentazioni e comedie spiri-
tuali di diversi santi e sante del Testamento vecchio e nuovo, composte da diversi autori (1578).
Sembrano tutte rilanciare le antiche tipologie della tradizione drammaturgica medievale: ma
quando il francescano osservante Pier Giovanni Brunetti pubblica David sconsolato, tragedia
spirituale (1586) e Alessandro Donzellini da Bolsena pubblica Tiria, tragedia spirituale (1583),
entrambi fanno i conti con gli standard del sistema dei generi classicistico, anche nelle sue più
recenti contaminazioni sperimentali, come sembrerebbe documentare la Conversione del pecca-
tore a Dio, tragicommedia spirituale del veneziano Giovanni Battista Leoni (1591, 1592).

Il resto è solo poesia: “spirituale”, ma nell’articolatissima trama di quanto


concorre a definire e connotare il territorio costitutivo e proprio della poesia, di

168
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

tutta la poesia, del Cinquecento. E dunque non solo di quella religiosa, peraltro
difficilmente riconoscibile, nella lunga durata della tradizione letteraria dal
Medioevo latino e volgare all’età moderna classicistica, in quanto tipologia
comunicativa autonoma o addirittura separata, per forme e per funzioni, per
autore e per lettore. A meno che non si voglia continuare a proiettare sulle dina-
miche di una storia e cultura tanto diversa e tanto remota dalla nostra le distin-
zioni (anche conflittuali, specularmente: laici vs chierici) che appartengono in
modo esclusivo e distintivo alla storia e cultura dell’Ottocento e del Novecento,
e che sembrano oggi riemergere con sussulti integralistici.

2.1. Come ho accennato, i dati prodotti dalla ricognizione su Edit16 profila-


no in termini già rilevanti la parte del libro intitolato “rime spirituali”. È questa
la tipologia più rappresentativa di tutto l’insieme ed è quella di più immediato
riconoscimento, perché è subito percepita come contigua, se non omologa, alla
tipologia primaria del “libro di rime” petrarchistico, cioè al sistema della sua più
comune titolazione (rime, appunto: con quanto poi consegue nelle scelte metri-
che, dominate da sonetti e canzoni)59.
La percezione, per quanto metta in gioco uno sguardo allenato soprattutto
(per non dire: solo) agli oggetti letterari, è certamente corretta, perché consente
di cogliere una delle esperienze più dinamiche della poesia cinquecentesca, cioè
della lirica geneticamente e funzionalmente petrarchistica: nel suo riorganizzare
e risemantizzare, fino a renderle autonome, le componenti “spirituali” che strut-
turano l’archetipo dei Rerum vulgarium fragmenta (ripeto: come colloquio inte-
riore, autoanalisi del segreto conflitto dei propri affanni, racconto di una conver-
sione, preghiera: compatibile con la nuova tipologia degli “esercizi spirituali”).
E non solo facendo classicisticamente lavorare la memoria della poesia, ma
anche provvedendo a diretti prelievi citazionali: come, a esempio, nell’opusco-
letto di centoni intitolato Pianto al crocefisso da i versi del Petrarca del marchi-
giano Panfilo Ganimede, edito nel 1543 (in 4°: 6 carte)60; o nel più cospicuo
tomo di Giovanni Giacomo Salvatorino: Tesoro di sacra scrittura sopra le rime
del Petrarca, edito nel 1540 (in 8°: 128 carte).

Purché il nostro sguardo sia in grado di vedere quanto allora stava insieme con
le “rime spirituali”: quanto le circondava assediava contaminava, nell’esercizio

59
Rinvio ai saggi raccolti nel volume Il libro di poesia dal copista al tipografo, a cura di
Amedeo Quondam e Marco Santagata, Panini, Modena 1989.
60
È autore anche di una versificazione biblica (ancora tollerata nel 1543): Trascorsi e
descrizione breve sopra le cose del Testamento Nuovo in terza rima, colligatici a tutti i terzet-
ti versi di Virgilio (in 8°: 18 carte); nonché di un altro volume di centoni: Gli centonici e isto-
rici capitoli e alcuni pieni di sdruccioli e bisticci e altri versi di varie sorti, nel 1579.

169
Amedo Quondam

ordinario della memoria della poesia, e soprattutto nel respiro del suo verso pri-
mario, l’endecasillabo variamente correlato in strofa. Mi riferisco alle diverse tra-
dizioni poetiche, antiche e moderne, d’autore e di cantastorie, comunque pertinen-
ti alla discorsività volgare, a tutta la discorsività più o meno letterariamente for-
malizzata (nelle dinamiche di costituzione del sistema della moderna letteratura e
della sua conveniente lingua). A tutta la discorsività, non solo a quella che a noi
sembra essere, o dover essere, “sacra” (o “profana”): perché solo così, solo rispet-
to all’insieme, potranno essere riconosciute le diverse traiettorie (nelle loro diver-
se dinamiche) di ciascuna tipologia discorsiva, piccola o grande che sia, profilata
o meno come tradizione o come genere; e quindi potranno essere analizzati i loro
intrecci interdiscorsivi e intertestuali, a partire dal condiviso impiego delle stesse
forme metriche primarie, sia liriche che narrative.
Con questa metodologia di approccio ho provveduto ad allestire il saggio di
bibliografia: le sue finalità non sono però propriamente bibliografiche (per ragioni di
competenza oltre che per l’instabilità documentaria delle informazioni), bensì stori-
che e interpretative. Riconoscere e descrivere l’insieme mi sembra infatti preliminare
e pregiudiziale per ogni ricognizione ravvicinata su singoli segmenti di tradizioni, per
poterne cogliere le relazioni con le altre e al tempo stesso le specificità proprie. A
esempio, se le tradizioni dei salmi penitenziali e delle laudi certamente prospettano
un forte indice di autonomia formale e funzionale, la tradizione delle “rime spirituali”
e più ancora quella (in fittissima selva) dei poemetti in ottava e terza rima (anonimi e
d’autore: dai romanzetti dei cantastorie al poema eroico) che narrano storie di santi o
quant’altro di sacro, nei termini fluidi propri di queste pratiche comunicative prima
del Classicismo e prima del Concilio di Trento, hanno senso soltanto in rapporto con
le altre rime (d’amore e d’encomio, o di quant’altro) e con gli altri romanzi, prima, e
poemi, poi. E non solo: perché non dare conto del nitido profilarsi (soprattutto a fine
Cinquecento) di pratiche di scrittura poetica d’occasione, persino effimera? Come
segno cospicuo dei tempi: di quanto diventi ordinariamente pervasiva la co-
municazione socializzando testo poetico (e per di più mediante forme liriche regolari:
il sonetto d’ordinanza) anche in ambito ecclesiastico, tra «persone spirituali».
Il saggio di bibliografia della poesia religiosa (d’ora in poi siglata come BPR)
prodotto in appendice è stato dunque allestito con questi criteri di ampliamento e
di integrazione della pertinenza propriamente “lirica” delle “rime spirituali”
(facendo opportunamente ricorso ad altri strumenti specializzati d’informazione
bibliografica). Ho pertanto provveduto a riscontrare e arricchire le risultanze di
Edit16 in primo luogo con il repertorio dedicato ai libri della tradizione lirica:
cioè, con la fondamentale bibliografia dei Libri di poesia allestita da Italo
Pantani (nell’arco cronologico 1470-1600 raccoglie e descrive 5270 unità)61.

61
Italo Pantani, Libri di poesia, Editrice Bibliografica, Milano 1996 (d’ora in poi siglata
con Biblia). Gli incunaboli sono stati riscontrati con ISTC (sigla del cd-rom: Incunable short

170
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Il metodo mi sembra produttivo, se anche nel tanto più ampio contesto delle
diverse tradizioni di poesia religiosa raccolto in BPR (complessivamente 1393
record), la connotazione “spirituale” si conferma nel suo nitido rilievo: ricorre
infatti 239 volte nel sistema “largo” dei titoli di BPR (cioè, corrisponde al suo
17%)62. Il dato, di per sé significativo, assume proporzioni cospicue se è disag-
gregato e rapportato alle sezioni di BPR che esibiscono questa modalità di tito-
lazione63, cioè Ia e Ic: nella prima sezione producono la connotazione di “spiri-
tuale” il 32% delle unità bibliografiche (cioè, 63 su 195); nella seconda il 25%
(cioè, 167 su 670)64.

2.1.1. Il catalogo degli autori di libri intitolati precisamente rime spirituali (il
sintagma ricorre 80 volte in BPR), come è ovvio, è inaugurato da Vittoria
Colonna (1490-1547), nel 1546 (un volume in 4°: 50 carte; ma la prima edizio-
ne delle sue rime che nel titolo evoca la presenza dei “sonetti spirituali” risale al
1539): a conferma, dunque, di un primato subito consolidato dalla fitta serie
delle ristampe (complessivamente quindici)65.
Dopo la Colonna sono 34 gli autori di un libro che esibisce in frontespizio il
preciso cartiglio di: rime spirituali 66 (rispetto ai 250 autori della sezione 1c di

title catalogue, Primary Source Media, in association with the British Library, 19982: un
metacatalogo dei tanti cataloghi specializzati).
62
Il dato richiede, come sempre, opportuni filtraggi: in primo luogo segnalando gli
impieghi del sintagma «persone spirituali» (cioè, chierici: in quanto autori di laudi; ma anche
come loro lettori) in Ia 680, 7264, 7365, 7466, 7668, 780, 791.
63
D’obbligo è l’esclusione dal computo della sezione Ib, relativa ai poemetti anonimi in
ottava e terza rima: con autonoma formazione di titolo (e infatti la connotazione “spirituale”
non vi è mai attestata).
64
Nelle sezioni di rime d’occasione ricorre solo altre 9 volte (ma qui il sistema dei titoli
si riferisce in termini obbligati alla circostanza comunicativa): IIa 11, IIb 57, 62, 145, 149,
153, 154, 170, 171.
65
Tra gli autori di “rime spirituali” attestati da Edit16 ho rinunciato al solo Giovanni
Giustiniano: per la precarietà delle informazioni che la scheda produce; e soprattutto perché
l’indicazione del titolo (Libro primo delle rime spirituali, Venezia, 1550) autorizza il sospetto
che si tratti di un esemplare della raccolta pubblicata sempre a Venezia e in quello stesso
anno, schedato sotto il nome d’autore di Giovanni Giustiniano. Tra l’altro l’attribuzione di
Edit16 non trova riscontro in Biblia.
66
Ovviamente diversi sarebbero i dati, se potessi in questa sede dare riscontro della pre-
senza delle “rime spirituali” tra i libri manoscritti di rime (nel loro complesso), che sono l’al-
tra faccia dell’esplosione della lirica nel Cinquecento: basti, come simbolico emblema, il rin-
vio alle Rime cristiane di Luca Contile, cui dedicai uno studio (con edizione) negli «Atti e
memorie dell’Accademia dell’Arcadia», 1974, pp. 169-316 (il solo studio è riedito nel citato
Il naso di Laura, pp. 263-282).

171
Amedo Quondam

BPR). Dico subito che questo dato è del tutto parziale, se solo si considera l’as-
setto del libro di rime propriamente petrarchistico: il suo proporre, più o meno
sempre, un gruppo di testi di rime che sono di fatto anche “spirituali”: perché
sanno trattare, oltre ai canonici temi d’amore o di relazione, anche gli altrettanto
canonici temi di introspezione religiosa, di esame di coscienza dei propri errori
o peccati, di ansia di conversione, con relativa preghiera a Dio, Cristo, Vergine,
santi, eccetera. Ancorché questi temi di rado risultano profilati, nel corpo del
libro di rime (o canzoniere?), come sezione autonoma, con specifica intestazio-
ne.
Dopo il fondativo libro della Colonna e dopo il grande, e ambiguo per molti
anni, successo del Petrarca spirituale di Girolamo Malipiero (ricordo: in prima
edizione nel 1536, e poi ristampato altre sei volte fino al 1587; in 4°: 158 carte),
conquista insomma autonomia editoriale quanto c’è sempre stato nella tradizio-
ne della lirica petrarchesca e petrarchistica, già nei suoi padri fondatori, Pietro
Bembo e Giovanni Della Casa. E se per questi due autorevolissimi chierici, car-
dinali per status acquisito o solo per desiderio inappagato, la riflessione devota
e religiosa, e la preghiera, fanno parte dell’esperienza introspettiva costitutiva e
propria della comunicazione, e non solo di quella lirica, il distintivo architesto
petrarchesco, opportunamente aggiornato e risemantizzato (tramite i tanti com-
menti e il lavoro della memoria del lettore, prima ancora che mediante le spiri-
tualizzazioni), funziona come ipermodello dinamico per tutte le pratiche di
scrittura, in tutti i temi possibili, realizzate da tantissimi laici, di diversa condi-
zione sociale e culturale. Sono loro le new entries nello spazio letterario moder-
no: come soggetti attivi di scrittura.

È il caso del veronese Giulio Bonnunzio (attivo a metà Cinquecento), che pubblica nel
1551 e nel 1558 il volume (in 8°: 48 carte) delle sue Rime spirituali: la sua stretta osservanza
bembiana è altresì testimoniata dal Lamento sopra la morte del reverendissimo cardinale
Bembo instauratore e lima de la lingua volgare, edito nel 1547 (risulta autore anche di un
Modus orandi secundus Paulum apostolum, nel 1547). È il caso del gentiluomo novarese, e
guerriero imperiale, Giovanni Agostino Caccia (morto dopo il 1564), che pubblica nel 1552 il
volume delle sue Rime spirituali (in 8°: 116 carte), e nell’anno successivo il volume dei
Capitoli spirituali (in 8°: 56 carte), dopo aver militato nelle schiere sia dei petrarchisti d’ordi-
nanza (con il volume delle Rime, nel 1546), sia dei poeti satirici (con il volume delle Satire e

Che questo insieme di autori di “rime spirituali” risulti titolare di edizioni di libri veri e
propri (in senso propriamente materiale), e non di gracili stampine, è segnalato dalla media
delle loro dimensioni per numero di carte (pari a 60), sensibilmente più ragguardevole rispet-
to a quella delle altre sezioni di BPR (come documenterò tra poco). Per quanto riguarda i for-
mati, è perfettamente bipartita tra i formati in 8° e quelli in 4° (con la stessa, all’incirca,
media di carte: di poco superiore per i formati in 4°): in modo del tutto omologo, insomma,
con il coevo libro di rime.

172
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

capitoli piacevoli, nel 1549)67. È il caso di Ferrante Carafa (1509-1587), marchese di San
Lucido e generale di Carlo V, che pubblica nel 1559 Le rime spirituali della vera gloria
umana (in 4°: 156 carte; ristampate nel 1575): un protagonista della scena culturale nell’Italia
spagnola, dedicatario della raccolta giolitina delle Rime di diversi illustri signori napoletani e
d’altri nobilissimi intelletti (edita nel 1552)68, e ipertrofico autore di singolari libri di poesia69.

Poi il libro di “rime spirituali” diventa affare di chierici. Dopo Trento.


Consapevoli, motivati, competenti: del senso e dell’impatto di una tradizione
lirica che è stata poesia delle passioni dell’anima e soprattutto dell’amore del
poeta lirico che in quanto tale è archetipicamente poeta innamorato, impegnato
a comunicare tramite la sua poesia la forza dell’eros e del desiderio infinito di
bellezza (dei corpi e delle anime). Una tradizione da riformare e rifunzionalizza-
re, come progettano e predicano insigni letterati monsignori (per tutti: Antonio
Minturno): perché questo poeta sia finalmente e compiutamente cristiano, poeta
dell’anima e non del senso. Ma con la stessa lingua e con le stesse forme.

È il caso, soprattutto, del canonico regolare lateranense Gabriele Fiamma (1533-1585),


vescovo di Chioggia, che nel 1570 pubblica la prima edizione delle Rime spirituali con l’e-
sposizione di lui medesimo (in 8°: 290 carte; ristampate nel 1573 e 1575): famoso predicatore
(con quindici edizioni di discorsi e prediche) e curatore della Raccolta di varii poemi latini,
greci e volgari fatti da diversi bellissimi ingegni nella felice vittoria riportata da’ cristiani
contra turchi alli 7 d’ottobre del 1571 (cioè, per Lepanto: edita nel 1572)70. È il caso del fran-
cescano veneziano Antonio Pagani (1526-1589), fondatore della Compagnia della santissima
Croce e delle Dimesse della Madonna figlie di Maria immacolata, che nel 1570 pubblica Le
rime spirituali nelle quali si contengono quattro trionfi che tutti i profondi misteri di Cristo e
le degne lodi de’ beati narrano (in 4°: 190 carte)71. È il caso del crocifero veneziano Lauro

67
Rinvio a Luisella Giachino, Le “Rime spirituali” di Giovanni Agostino Caccia, in
Rime sacre dal Petrarca al Tasso cit., pp. 125-156.
68
Come è noto, si tratta del terzo volume della serie editoriale veneziana di Giolito, ma è
il quinto, se si tiene conto delle raccolte pubblicate dagli editori concorrenti.
69
L’Austria, nel 1573; I sei libri della Carafé, nel 1580; Il nono e decimo libro
dell’Odissea d’Omero dato in parafrasi alle toscane Muse, nel 1578.
70
Per l’importanza della sua proposta modellizzante, rinvio a Francesco Ferretti,
Fuggendo Saturno. Note sulla canzone “Alma inferma e dolente” di Torquato Tasso, nel cita-
to Rime sacre dal Petrarca al Tasso, pp. 157-204.
71
È inoltre autore di diverse altre opere di moderna institutio tridentina, per la riforma
del cristiano e per la sua perfezione di combattente in milizia spirituale: Specchio di fideli, nel
qual si rappresentano tutte quelle cose che ad ogni condizione d’uomini sono necessarie di
saper per la salute e perfezione loro, nel 1579; Il tesoro dell’umana salute e perfezione, nel
quale si contiene la somma dell’essercizii spirituali tolti da santi autori per la riformazione e
santificazione del peccatore, nel 1579; La pratica degli uomini spirituali, nella quale di con-
tiene la somma de’ più profittevoli essercizio esperimentati per tosto arrivare alla perfetta
vita cristiana, nel 1585; La tromba della milizia cristiana e la somma delle osservazioni per
conseguir le più onorate corone del combattimento spirituale, da’ santi dottori ecclesiastici

173
Amedo Quondam

Badoer (1546-1593), teologo del Duca di Mantova e vescovo di Alba, che nel 1571 pubblica
un mannello di Rime spirituali (in 4°: 16 carte): autore anche di una riduzione in «rime italia-
ne» dei Sette salmi penitenziali, nel 159472.

Intanto, tra gli anni Sessanta/Ottanta, il drappello dei poeti spirituali laici si
spopola. Restano solo i cantastorie, con le loro esili stampine.
È il caso dell’artigiano poeta marchigiano Baldantonio Solingo (1530-1600), che pubbli-
ca non prima del 1564 un opuscolo di Rime spirituali (in 8°: 8 carte; ristampate nel 1568 e
nel 1581) e nel 1572 un altro opuscolo contenente Alcune rime spirituali. Ai generosi e cato-
lici cristiani (in 8°: 8 carte); non solo: se ben più consistente è La natività di nostro signore
Giesù Cristo descritta in ottava rima, pubblicata nel 1591 (in 8°: 203 carte), particolarmente
ricca è la sua produzione di testi d’occasione, che nel titolo trovano modo di impiegare anco-
ra la connotazione di “spirituale”, come i Sonetti spirituali in morte del Duca di Urbino, nel
1575, come le Stanze spirituali ad esaltazione dell’anno santo, nel 1600, e come la Canzone
nella venuta di sua santità a Pesaro. Al beatissimo padre Clemente VIII (in 8°: 8 carte)73. È il
caso del cantastorie forlivese Cristoforo Scanello (morto dopo il 1593), detto il Cieco di
Forlì, che nel 1577 pubblica un opuscolo di Rime spirituali (in ottava rima), nelle quali si
contiene le pietose lagrime che fece san Pietro doppo l’aver negato il suo Signore (in 8°: 8
carte; ristampato nel 1579 e nel 1595), seguito da un’ancor più esigua stampina di Nuove
rime spirituali, nel 1580 (in 8°: 4 carte)74.

A fine secolo, nella complessiva esplosione di libri e stampe (anche effime-


re) di pertinenza ecclesiastica, per status degli autori e per materie trattate, la
presenza di libri/stampe di “rime spirituali” scritti da chierici si stabilizza in ter-
mini davvero cospicui. Non solo per quantità, ma soprattutto per l’ormai defini-
tiva metamorfosi semantica della connotazione di “spirituale”: dall’ambito del-
l’introspezione (petrarchesca e ignaziana) in interiore homine a quello della
descrizione e celebrazione di materie religiose e liturgiche.
Di questa dinamica, tutt’altro che rettilinea, però, è esempio il libro del servita trevigiano
Giuseppe Policreti (morto nel 1623), accademico cospirante e musicista, che rende ancora

raccolta, nel 1585; La breve somma dei trionfi de’ combattenti per la perfetta riforma del-
l’uomo interiore, nel 1587.
72
Nonché di una canzone in onore di papa Sisto V e di una dissertazione De operibus
septem dierum Moysis theoremata pubblico disputando congressu in comitiis generalibus
fratrum crucigerorum, nel 1574.
73
Un poeta facondo, titolare di diverse altre stampine: Rime, nel 1558, Stanze in narra-
zione delli gran fatti della guerra di Malta, nel 1565; Stanze sopra le pazzie de l’uomo. E
altre rime, nel 1566; Stanze sopra le miserie e infelicità de’ tempi nostri, nel 1569; Sonetti
diversi, nel 1582; eccetera.
74
È autore anche di alcune cronache e di una spiritualizzazione del Furioso (Il primo
canto dell’Ariosto tradotto in rime spirituali, nel 1593), nonché di una raccoltina, più volte
stampata, di Rime amorose e piacevoli.

174
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

riconoscibile, nel sistema del suo titolo (originalmente, tra l’altro, metaforico75), l’impiego di
“spirituale” in riferimento all’interiorità: nel 1587 pubblica, infatti, I vivi interni affetti del
cuore. Rime spirituali (in 8°: 56 carte)76; è inoltre autore di un Capitolo a Giesu Cristo (in 4°:
4 carte) e di stanze intitolate Sette allegrezze del pio e divoto cristiano e sette miserie dell’in-
felice peccatore (in 4° 8 carte), entrambi nel 1590. In modo analogo sembrerebbe collocarsi il
volume delle Rime spirituali (in 4°: 178 carte) edito nel 1590 dal nobile messinese Francesco
Del Pozzo (morto nel 1593), vescovo di Girgenti. E sempre in periferia è pubblicato nel 1597
il cospicuo volume di Rimas diversas spirituales (in 8°: 61 carte) del canonico di Bosa (in
Sardegna) Girolamo Araolla: in spagnolo, nell’età e nei domini di Filippo II.
Il caso del sacerdote bassanese Gaspare Ancarano (attivo a fine Cinquecento) sembra,
invece, ben diverso: nel 1588 stampa un opuscoletto di Rime spirituali alla signora Camilla
Peretti (in 4°: 9 carte), ma sempre nello stesso anno pubblica il Novo rosario della gloriosis-
sima vergine Maria; e se nel 1588 pubblica anche i Sette salmi penitenziali latini e volgari in
ottava rima (in 8°: 32 carte), nell’anno precedente aveva prodotto un libro di Capitoli e can-
zoni spirituali sopra il Pater noster (in 4°: 60 carte)77.
E ancora, sempre con questa oscillazione della pertinenza di “spirituale”: se Maurizio
Moro (vissuto tra Cinquecento e Seicento), canonico secolare trevigiano e accademico cospi-
rante (con il nome di Costante), della veneziana Congregazione di San Giorgio d’Alega, nel
1590 pubblica un opuscolo di Rime spirituali e funerali (in 4°: 16 carte)78, il sacerdote teolo-
go messinese Mariano Perrone pubblica, nel 1590, Le rime spirituali della vita e gesti di
Cristo, d’alcuni santi, feste principali e domeniche dell’anno (in 8°: 90 carte)79. E quindi: il
francescano Giovanni Battista da Pesaro (vissuto nella seconda metà del Cinquecento) pub-
blica, nel 1591, un volumetto di Rime spirituali divise in due parti. La prima sopra l’Ave
Maria e ‘l Pater noster. La seconda sopra la vita e morte di nostro signore Gesù Cristo (in

75
L’emergere degli “affetti” nei titoli di fine Cinquecento è di per sé significativo delle
tensioni che attraversano l’esperienza comunicativa, tra poesia e musica, nella ricerca agoni-
stica del primato dei moderni: emblematica, in questo senso, la funzione dei Pietosi affetti di
Angelo Grillo (1581), presto posti in musica. E poi: Dolci affetti. Madrigali a cinque voci di
diversi eccellenti musici di Roma (1582), Affetti amorosi. Favola boschereccia di Tranquillo
Ambrosiani (1591), Pietosi affetti. Il primo libro delle canzonette spirituali a quattro voci di
Arcangelo Corsaro (1597). Nella seconda metà del Cinquecento sono pubblicate anche diver-
se opere in prosa dedicate all’analisi degli affetti, cioè delle umane passioni.
76
Questo scrittore è presente nei repertori bibliografici con una ventina di edizioni in
generi diversi (sonetti e canzoni, anche boscherecce, dialoghi, discorsi, orazioni, eccetera).
77
È altresì autore di composizioni e canzoni dedicate a laici, e di una Corona de sonetti e
altre composizioni latine e volgari.
78
È altresì autore di una Rappresentazione del figliuolo prodigo in ottava rima (in 4°: 36
carte) e di alcune poesie occasionali di materia ecclesiastica: Corona in lode del molto reve-
rendo padre don Isidoro Ermi (in 4°: 4 carte); Applauso de’ fideli nella benedizione fatta da
nostro signore Clemente VIII (in 4°: 4 carte). Risulta autore anche una piccola stampa di
Fiori amorosi in lode di alcune bellissime giovani e di diverse altre raccoltine poetiche.
79
È autore anche di un’Orazion funebre recitata nell’oratorio di san Basilio in Messina
per la morte del re cattolico Filippo II in presenza dell’eccellenza del signor duca di
Macheda vicerè di Sicilia, edita nel 1598.

175
Amedo Quondam

8°: 64 carte); l’agostiniano milanese Paolo Emilio Barbarossa (morto nel 1614), pubblica nel
1592 un libretto di Rime spirituali e morali (4°: 24 carte) e due anni dopo un opuscolo di
Canzoni spirituali (in 4°: 24 carte), mentre il sacerdote ferrarese Filippo Nicoletti (1555-
1620), maestro di cappella a Roma in San Lorenzo in Damaso, pubblica nel 1592 un opusco-
letto di Rime spirituali sovra la sollennità del Natale di nostro Signore (in 4°: 5 carte)80, e il
canonico lateranense Angelo Michele da Bologna pubblica nel 1596 un altro opuscoletto di
Rime spirituali sopra la passione e morte del nostro signor Giesu Cristo (in 4°: 6 carte).

Se rispetto a questo quadro di poeti chierici spicca nitidamente il profilo del regnicolo
Agostino De Cupiti (1550-1618), francescano dei minori osservanti, non soltanto per il suo
volume di Rime spirituali, del 1592 (in 4°: 90 carte), ma soprattutto per i suoi poemi sacri
(Caterina martirizzata, nel 1593, con due ristampe: in 8° 304 carte; Il poeta illuminato, nel
1598: in 12°: 156 carte), la parte dei poeti laici non si dissolve, nel tratto finale del secolo.
Tutt’altro, anche se le modalità della loro scrittura risultano funzionalmente omologhe, in
diversi casi, a quelle dei chierici: sempre che si dia credito alla rappresentatività del calabrese
Marco Filippi (1520-1579), vissuto a lungo a Palermo, dove fu membro dell’Accademia dei
Solitari con il nome de “il Funesto”, che non solo pubblica nel 1578 un volumetto di Rime
spirituali e alcune stanze della Maddalena a Cristo (in 8°: 40 carte), poi raccolto nelle edi-
zioni della fortunata Vita di santa Caterina vergine e martire composta in ottava rima e
appresso un’operetta di sonetti e canzoni spirituali, con alcune stanze della Maddalena a
Cristo (in prima edizione nel 1570 e quindi ristampata altre undici volte: in 8°, 206 carte)81. E
sempre che si dia credito alla rappresentatività del romano Cristoforo Castelletti (morto nel
1596), più noto come scrittore di commedie, che nel 1582 pubblica un volumetto di Rime spi-
rituali (in 8°: 32 carte).
Sulla base delle informazioni collocate nella zona semioticamente forte del titolo, in
realtà, sembrerebbe persistere, tra i laici, l’intestazione secca: “rime spirituali”. È il caso di
alcuni volumi, cospicui per mole: come quello (in 8°: 160 carte) edito nel 1589 dal giurecon-
sulto marchigiano, lettore di diritto canonico a Ferrara, Bernardino Percivalli (1530-1590)82;
come quello (in 4°: 80 carte) edito nel 1596 dal piemontese cavaliere di Malta, commendato-
re e signore di Morello, Girolamo Pensa (attivo nella seconda metà del Cinquecento). Ma è
anche il caso di alcuni più sobri libretti: come quello (in 4°: 40 carte) edito nel 1581 dal vene-
to Fulvio Rorario; o quello (in 4°: 24 carte), edito nello stesso anno, dal medico romagnolo
Girolamo Sorboli83; o quello edito nel 1584 (in 4°: 40 carte) dal cortonese Marcantonio
Laparelli; o quello (in 4° 44: carte) edito nel 1598 dal gentiluomo cremonese Alessandro

80
È autore anche di rime d’occasione d’argomento ecclesiastico: per papa Gregorio XIV
e per il Vescovo di Trento; nonché de I finti amori. Musica a cinque voci, 1585; Madrigali a
due voci, 1588.
81
Le Lagrime di santa Maria Maddalena di nuovo corrette e ampliate da messer
Giovanni Verdizzotti sono poi ristampate nel 1589: quando il genere delle “lagrime” sarà la
novità poetica, sulla scia di Luigi Tansillo. Filippi è altresì autore di Lettere sopra il Furioso
dell’Ariosto in ottava rima, edite nel 1584.
82
È autore anche di Discorsi spirituali, del 1564; di una favola boschereccia (L’Orsilia,
del 1589); di un volume di Rime e imprese, del 1588; di un’orazione funebre in latino per il
cardinale Ercole Gonzaga, del 1563.
83
È autore anche di quattro canzoni pubblicate per specifiche occasioni ecclesiastiche tra
il 1585 e il 1586.

176
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Lami; o quello edito da Andrea Tristani nel 1592 (in 8°: 16 carte); o quello edito nel 1598 da
Teodoro Corpi (in 4°).
Diverso si presenta, però, l’assetto del titolo nel non effimero opuscoletto di Rime spiri-
tuali sopra il santissimo rosario della gloriosa Vergine (in 8°: 8 carte) del fiorentino
Giovanni Domenico Gamberini, detto “il Poetino” o “il poetino Pastore”, in prima edizione
nel 1581 (con tre ristampe: a sua istanza era stata pubblicata nel 1572 la microraccolta di
Rime spirituali di diversi autori, in 8° di sole 6 carte). E ancora di più nelle tante opere del
drammaturgo marchigiano Pietro Cresci, «infiammato accademico veneziano»: autore nel
1588 di un librettino di Sonetti quadragesimali (in 4°: 25 carte), nel 1589 di una raccoltina di
cinquanta sonetti intitolata Le vergini e sante descritte in forma d’elogii. Alla santità di
nostro signore Sisto V (in 16°: 16 carte; ristampata nel 1599), nel 1593 di un opuscoletto di
Sonetti sopra tutti gli Evangelii che si leggono la Quaresima, secondo la disposizione de’
sacri dottori di santa Chiesa (in 12°: 12 carte), nel 1596 di una Divota canzone sopra il san-
tissimo sepolcro di Cristo nostro signore (in 4°: 6 carte), nel 1597 di un’altra raccoltina intito-
lata Delle rime spirituali overo elogio di santi parte prima (in 4°: 22 carte); nonché di diverse
rime d’occasione84 e di altre opere, tra cui un volumetto di Rime. Parte prima, edito nel 1593
(in 4°: 36 carte)85. Analogamente funziona il titolo nel libretto di Ortensio Tartaglia, edito nel
1598 (Rime spirituali sopra il rosario della gloriosa Vergine; in 8°: 24 carte) e nel più rileva-
to volume della sola donna che si affacci sulla scena della poesia religiosa, a fine secolo,
quando ormai la fondatrice della tipologia del libro di “rime spirituali”, Vittoria Colonna, è
dimenticata: Francesca Turini Bufalini (1554-1641), con le sue Rime spirituali sopra i misteri
del santissimo rosario, del 1595 (in 4°: 90 carte).

Il dominatore della scena poetica di fine Cinquecento, anche di quella reli-


giosa, è però Torquato Tasso: emblema straordinario e drammatico di quanto
intrecciata, e geneticamente, sia la correlazione tra profano e sacro nella ricerca
letteraria, nel suo stesso assetto testuale, in groviglio che non sembra trovare
soluzione86. Poema eroico e o poema sacro, Liberata e o Conquistata e o Mondo
creato. Non solo rime.

84
Di argomento ecclesiastico: Canzone nella venuta di nostro signore Clemente VIII a
Ferrara, nel 1598 (in 4°: 6 carte); e profano: Canzone funebre nella morte della serenissima
madama Eleonora arciduchessa d’Austria e due canzoni sopra i felici eventi della famosa guer-
ra d’Ungaria (in 4°: 6 e 8 carte) nel 1594 e 1595. Per le notizie su questo autore e la riedizione
dei Sonetti quadragesimali, rinvio al già citato libro di Salvatore Ussia, L’aspro sentiero.
85
Di un certo rilievo i suoi interventi su Petrarca, che prospettano la ridefinizione della
sua funzione modellizzante a fine Cinquecento: Il Petrarca nuovamente ridotto alla vera
lezione, con un discorso sopra la qualità del suo amore, nel 1588 (in 12° 205 carte; ristampa-
to nel 1592) e Il discorso overo lezione sopra un sonetto in lode del celenbre luogo di
Valchiusa, nel 1599. È autore anche di una favola pastorale (La Tirrenia: 1584; poi ristampata
tre volte) e di una tragedia (Tullia, 1591).
86
Per un quadro d’insieme dei problemi relativi all’interpretazione dell’esperienza tas-
siana, nonché per un aggiornamento bibliografico, rinvio al già citato saggio di Ferretti,
Fuggendo Saturno.

177
Amedo Quondam

Quanto sia dinamica la congiuntura di fine Cinquecento lo attesta il fatto


che, solo pochi anni dopo la morte di Tasso, le Rime di Giovan Battista Marino
(che poi confluiranno nella Lira) sembrano avere risolto tutti i problemi, se le
varie tipologie poetiche praticate nella comunicazione letteraria dei Moderni
sono qui ordinate e retoricamente disposte in sequenza, con ingegnosa architet-
tura: amorose, marittime, boscherecce, eroiche, lugubri, morali e sacre, varie,
nella prima parte; madrigali e canzoni, nella seconda: amori, lodi, lagrime,
devozioni, capricci, nella terza. E poi, nel 1623, l’Adone risolverà anche la terri-
bile crux tassiana del poema eroico (e o sacro): aggirandola con beffarda legge-
rezza. Eppure sempre e comunque attraversando fino in fondo e facendo rigoro-
samente i conti con l’esperienza di Tasso, lirica e narrativa.
Nella selva delle edizioni tassiane che fanno ressa contendendosi il suo presti-
gioso nome d’autore spicca il volumetto delle Rime spirituali (in 8°: 48 carte), in
prima edizione nel 1597 (poi ristampato per tre volte), tra tante altre pubblicazio-
ni che propongono al lettore lacerti della intensa esperienza spirituale tassiana
(che culmina con la stampa postuma dei Due primi giorni del mondo creato.
Poesia sacra, nel 1600): Canzoni spirituali in laude della vergine di Loretto e
della passione di Nostro Signore, nel 1581 (in 8°: 4 carte); i Concetti spirituali
divisi in quattro considerazioni, nel 1590 (in 12°: 8 carte); i Dialoghi e sonetti
spirituali di Torquato Tasso e d’altri nobilissimi auttori. Con un sermone di mon-
signor Panigarola vescovo d’Asti, nel 1594 (in 12°: 12 carte); la Canzone in
meditazzione della passione del nostro signore Giesu Cristo, fatta il venerdì
santo al Monte Oliveto di Firenze, nel 1597 (in 4°: 4 carte); e soprattutto le fortu-
natissime Stanze per le lagrime di Maria Vergine santissima e di Giesu Cristo
nostro signore (in 8°: 38 carte), con sei edizioni nel 1593 e altre due negli anni
successivi. E Tasso si impegna anche nella poesia d’occasione d’argomento
ecclesiastico: partecipa, infatti, con due sonetti all’universale cordoglio per la
morte del cardinale Farnese, nel 1589 (in folio: una carta) e celebra, nel 1591,
con una canzone la Creazione del santissimo papa Gregorio XIV (in 4°: 8 carte).

Per avere il quadro completo delle occorrenze del sintagma “rime spirituali”
in BPR occorre fare, infine, riferimento alla sua presenza in diversi casi di siste-
ma esteso del titolo (in Ic ricorre altre otto volte; in IIb, una: gli autori di “rime
spirituali”, sono dunque complessivamente 44). Come in questi due esempi del
tutto omologhi, relativi a due libri del 1568: quello del medico letterato brescia-
no Bartolomeo Arnigio (1523-1577), I sette salmi della penitenzia del gran pro-
feta David spiegati in canzoni secondo i sensi, e appresso la prima parte delle
sue spirituali e sacre rime (in 8°: 56 carte)87; e quello del canonico regolare

87
È autore fecondo: un impegnativo volume di Rime, nel 1555; di diverse prose, anche di
medicina, tra cui: il Dialogo della medicina d’Amore, nel 1566; Le diece veglie de gli

178
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

bolognese Cornelio Cattaneo (morto nel 1573), I sette salmi penitenziali tradotti
insieme con alcune sue rime spirituali (in 8°: 60 carte)88. E ancora un esempio,
quello del messinese attivo a Ginevra (dove si era rifugiato per ragioni religio-
se) Giulio Cesare Pascali (1527-1601), traduttore nel 1557 dell’Instituzione
della religione cristiana di Giovanni Calvino: De’ sacri salmi di Davidde, dal-
l’ebreo tradotti, poetica e religiosissima parafrase. Rime spirituali (in 16°: 242
carte). E ancora, a conferma di questa sorta di automatismo nella titolazione di
testi, comunque di argomento o funzione religiosa, che accompagnano o arric-
chiscono il testo principale pubblicato, soccorrono i libri, di varie dimensioni,
del sacerdote poi arcivescovo di Ragusa, Raffaele Bonello; del nobile palermita-
no Attilio Opizinga; del letterato bergamasco Orazio Lupi; del fiorentino vesco-
vo di Nîmes Bernardo Del Bene; del gentiluomo lucchese Michele Garzoni, e in
particolare Le lagrime di san Pietro di Luigi Tansillo, che in diverse loro edizio-
ni funzionano come contenitore ricettivo di altri testi89.
Per completare il quadro dei libri di “rime spirituali” resta da riferire sugli
impieghi di altri connotatori: come sacro90. A esempio, oltre alle «spirituali e

ammendati costumi dell’umana vita, nel 1586; oltre che di singole canzoni (d’occasione ed
encomiastiche) a stampa; eccetera.
88
Nel 1565 aveva pubblicato le Rime di diversi nobilissimi ed eccellentissimi autori in
lode dell’illustrissima signora Lucrezia Gonzaga marchesana: un cospicuo volume in 4° di
148 carte.
89
Nell’ordine: Raffaele Bonello, I quindici misteri del santissimo rosario in tre canzoni
con altre rime spirituali, del 1583 (in 4°: 26 carte; è autore di diversi sermoni, discorsi, medi-
tazioni); Attilio Opizinga, Della vita di san Giosafat convertito da san Barlaam eremita, canti
cinque. Con alcune rime spirituali in fine de l’opera, Palermo, Giovan Francesco Carrara, del
1584 e 1588 (in 8°: 100 carte); Orazio Lupi, Delle rime parte prima, fra le quali vi ne sono
alcune funebri e spirituali, del 1587 (in 4°: 77 carte; nel 1592 pubblica una Nuova scielta di
rime); Bernardo Del Bene, Alcuni salmi di David tradotti in versi e altre rime spirituali, del
1588 (in 4°: 24 carte); Michele Garzoni, Successo dell’immagine de la beatissima Madonna
dei miracoli di Lucca. E altre rime spirituali, del 1594 (in 8°: 44 carte). Luigi Tansillo, Le
lagrime di san Pietro. Di nuovo ristampate, con una nuova gionta delle Lagrime della
Maddalena del signor Erasmo Valvasone, e altre rime spirituali del molto reverendo Angelo
Grillo non più vedute e ora novamente date in luce, del 1587 e 1588 (in 8°: 194 carte).
Purtroppo, i repertori bibliografici disponibili non danno sempre il titolo completo delle
edizioni descritte: quando sarà possibile avere un’informazione organica e coerente, certa-
mente queste rilevazioni saranno ben più ricche.
90
Anche morale ricorre nel sistema dei titoli: «sonetti morali» (Ia 49, 87; Ic 177), Opera
moralissima de diversi auctori (Ia 82-85), «confessione moralissima» (Ic 130), «ternali con-
templativi e morali» (Ia 159); Rime spirituali e morali di Paolo Emilio Barbarossa; Le cose
vulgare morale e spirituale di Colantonio Carmignano; Cento sonetti spirituali e morali di
Giovanni Paolo Castaldini; Scherzi e canzonette morali di Gabriello Chiabrera; Rime morali
di Angelo Grillo e di Giovan Battista Rossi; Stanze morali di Orazio Guarguanti; Rime morali
e Sonetti morali di Pietro Massolo; Odi sacre e morali di Marco Petruccini.

179
Amedo Quondam

sacre rime» di Arnigio e i «sacri salmi» di Pascali, di cui ho già detto: l’Inno
sacro a la beatissima Vergine (in 4°: 5 carte), nel 1591, del poeta di Udine,
Giacomo Bratteolo, accademico sventato91; le Odi sacri e morali di Marco
Petruccini; le Sacre rime del teologo urbinate Cesare Rocca, edite nel 1590, e
quelle del poeta di Monopoli, Muzio Sforza (1541-1597), edite nel 1590: peral-
tro con due «egloghe sacre»92. E se la pubblicazione postuma dei Due primi
giorni del Mondo creato di Torquato Tasso, nel 1600, lo propone come «poesia
sacra», è perché da tempo, e per opera dello stesso Tasso, la questione del
poema sacro è di assoluta attualità nella ricerca letteraria di fine Cinquecento.

2.1.2. Particolarmente emblematico delle dinamiche proprie della poesia


religiosa e spirituale nell’intera lunga durata del tratto cronologico 1470-1600 è
il segmento delle raccolte di rime: ancora una diretta corrispondenza di tipolo-
gie librarie con la coeva fondazione (tipologica e funzionale) dei volumi di
“rime di diversi”, peraltro anch’essi saturi di poesie (soprattutto sonetti) spiri-
tuali, sia perché imitative, queste rime, del modello petrarchesco, sia perché
ricettive delle tante e tanto diverse esperienze religiose contemporanee (quando
gli “spirituali” erano e volevano essere qualcosa di distintivo nel panorama della
cristianità impegnata a confrontarsi con le ragioni profonde della Riforma).
Si tratta di uno dei settori del libro di rime cinquecentesche più studiato negli
ultimi tempi93: ne conosciamo pertanto i protagonisti e i loro libri. È Gabriele
Giolito a inaugurare nel 1545 una serie presto impetuosa (in un solo decennio
raggiungerà la quota di nove volumi: per non dire delle tante altre raccolte che
fanno contorno, in petrarchistica competizione, ma non solo): con le Rime
diverse di molti eccellentissimi auttori nuovamente raccolte, a cura di Ludovico
Domenichi94. Le intitola Libro primo, perché evidentemente ha già progettato
una “collana”, a disposizione dei tantissimi petrarchisti, per professione e per
diletto: nel 1547 pubblica il Libro secondo, a cura di Ludovico Dolce, e nel
1552 il Libro terzo, per quanto i concorrenti avessero già edito nel 1550 un
“libro terzo” (a Venezia: Al segno del Pozzo) e nel 1551 addirittura un “libro

91
Cura anche l’edizione delle Rime di diversi elevati ingegni de la città di Udine, nel
1597.
92
Un poeta che ha al suo attivo 24 record in Edit16, comprese le Rime in tre parti.
93
Mi limito a rinviare a “I più vaghi e i più soavi fiori”. Studi sulle antologie di lirica
del Cinquecento, a cura di Monica Bianco ed Elena Strada, Edizioni dell’Orso, Alessandria
2001; nonché al sito web curato da Simone Albonico: http://rasta.unipv.it/ (“Antologie della
Lirica Italiana. Raccolte a stampa”).
94
Cfr. la preziosa edizione curata Franco Tomasi e Paolo Zaja, Edizioni RES, Torino
2001.

180
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

quarto” (a Bologna: Anselmo Giaccarello). In questo frenetico contesto, nel


1550, a Venezia, sono pubblicati il Libro primo e il Libro secondo di una raccol-
ta di Rime spirituali; e nel 1552 è pubblicato il Libro terzo (tutti e tre in 8°:
rispettivamente, di carte 213, 239, 193)95.
Si tratta di un evento editoriale molto importante, proprio per il diverso
assetto dei tre volumi, segnalato già nei frontespizi dei tre tomi, così variamente
modulati: «parte nuovamente raccolte da più auttori, parte non più date in luce»
(il primo: solo sonetti), «parte non più stampate, parte novamente da diversi
autori raccolte» (il secondo: solo canzoni); «parte non più stampate, parte nuo-
vamente da diversi autori raccolti» (il terzo: laudi e altri metri non classicisti). A
metà secolo, nella fase più espansiva della lirica petrarchistica, i tre volumi pro-
pongono, nel loro organico insieme, un bilancio complessivo della tradizione
spirituale: a ritroso, dai contemporanei agli antichi fondatori96.

Nel primo volume, infatti sono raccolti i sonetti di 49 autori, tutti contemporanei (oltre
alle solite rime adespote: di «incerto autore»): attorno al nucleo forte costituito da Vittoria
Colonna e da Girolamo Malipiero spiccano i nomi dei padri fondatori della lirica moderna
(Sannazaro e Bembo), in un gruppo di famiglia che rappresenta adeguatamente la situazione
della poesia a metà Cinquecento. Che ci siano più o meno tutti (e che siano, in nettissima
maggioranza, scrittori laici) è un riscontro immediato di quanto più volte ho rilevato, e cioè
che la pratica di scritture spirituali coinvolge tutti i più autorevoli poeti (e i loro libri di rime a
stampa) di osservanza petrarchistica, per diretto effetto del modello: Luigi Alamanni, Pietro
Aretino, Giovanni Agostino Caccia, Lelio Capilupi, Colantonio Carmignano, Tommaso
Castellani, Anton Giacomo Corso, Bernardino Daniello, Ludovico Dolce, Ludovico
Domenichi, Veronica Gambara, Giovanni Battista Giraldi Cinzio, Giovanni Giustiniano,
Giovanni Guidiccioni, Vincenzo Martelli, Antonio Mezzabarba, Francesco Maria Molza,
Remigio Nannini, Girolamo Parabosco, Lodovico Pascale, Alessandro Piccolomini, Antonio
Francesco Rinieri, Bernardo Tasso, Laura Terracina, Claudio Tolomei, Bernardino Tomitano,
Tullia d’Aragona, Luca Valenziano, Benedetto Varchi, oltre all’autore coperto dallo pseudoni-
mo di Amomo. Che poi solo sette di questi scrittori (Aretino, Caccia, Carmignano, Dolce,
Nannini, Bernardo Tasso, Varchi) risultino titolari in BPR di un autonomo libro di “rime spi-
rituali” (edito prima o dopo il 1550) è un dato che segnala come l’esplosione di questa tipolo-
gia libraria, per effetto di una mutazione o ridefinizione degli assetti comunicativi del genere
lirico, avvenga nella seconda metà del Cinquecento.
È comunque rilevante osservare la presenza, nel primo volume, di diversi altri poeti non
sempre riconoscibili come professionisti delle lettere, non foss’altro perché non risultano tito-
lari di schede bibliografiche nei repertori di riferimento: il volume delle Rime spirituali ne
acquisisce per lo più i testi dalle precedenti raccolte di rime di diversi autori97. Ma se Nicolò

95
Cfr. Ginetta Auzzas, Notizie su una miscellanea veneta di rime spirituali, in Rime
sacre dal Petrarca al Tasso cit., pp. 205-220; opportunamente osserva (a p. 207) come l’as-
senza di ogni paratesto renda impossibile (al momento) l’identificazione del curatore.
96
In questo senso le acute osservazioni del saggio di Auzzas, Notizie cit., pp. 215-216.
97
In particolare dalla giolitina del 1547, come segnala Auzzas, Notizie cit., p. 211.

181
Amedo Quondam

Amanio ha comunque un profilo riconoscibile di poeta, ancorché senza libro di rime tipogra-
fico, per gli altri la competenza attiva della scrittura poetica corrisponde al più ordinario saper
fare classicistico: Petronio Barbati, Camillo Besalio, Astemio Bevilacqua, Alessandro
Campesano, Paolo Crivelli, Giovanni Giacomo Del Pero, Bartolomeo Ferrini, Antonio
Girardi (pubblicherà nel 1558 l’Orazione alla pace del cardinal Reginald Pole), Francesco
Maria Guglia, Fortunio Spira, Baldassarre Stampa (solo Antonio Agostino Torti non è attesta-
to nelle raccolte di rime di diversi).
Si prospettano come differenti, invece, i casi di due autori raccolti nel primo volume del
1550: quello del senese Felice Figliucci (1518-1595), non ancora domenicano di San Marco a
Firenze: alla data del 1550 è però noto solo come traduttore di Platone, Aristotele, Demostene
e Marsilio Ficino (è presente come poeta nella giolitina del 1547); e quello del veronese
Giovanni Del Bene, che è il solo autore di questo gruppo di non professionisti presente in
BPR: perché aveva pubblicato, nel 1544, La resurrezione e ascensione del nostro signor Iesu
Cristo. Trattata piamente in sei canti. Con altre rime devote de diverse sorti e di tutte le
solennità de l’anno (in 8°: 152c). Rime devote in un volume di rime spirituali: ancora un
segno delle dinamiche in corso a metà Cinquecento, nel processo di ristrutturazione della
comunicazione religiosa (in rime e in prosa).
Se il secondo volume, progettato e pubblicato insieme al primo, poco aggiunge a questo
ricco quadro d’insieme, se non la necessaria articolazione delle forme metriche primarie del
sistema petrarchistico (dopo i sonetti, le canzoni: a cominciare da Malipiero; ma affiora
anche l’ottava narrativa)98, è il terzo volume, edito due anni dopo, a compiere una scelta
importante, riconoscendo autorevolezza ed esemplarità all’antica tradizione della lauda (a
cominciare da Leonardo Giustinian; ma non solo la lauda: sono ripubblicate quasi per intero
le ormai famose canzonette spirituali comprese nelle Devotissime composizioni uscite dal
monastero bolognese delle clarisse osservanti del Corpus Domini). Lo sguardo retrospettivo
che guida la selezione del terzo volume risulta tanto più necessario, se solo si considera il
prepotente ritorno delle pratiche poetico-musicali della lauda (per molti aspetti, in parallelo
all’esplosione del madrigale) e quindi il profilarsi di quella che sarà una caratteristica propria
di questa nicchia editoriale: la lunga durata, evergreen, di molti suoi testi, anche con il sup-
porto di funzionali raccolte di laudi.
I tre tomi veneziani, anche se non con la competitiva tempestività incontrata dalle gioliti-
ne di rime di diversi, sono poi più volte imitati, ma non a Venezia (e anche questo è un micro-
dato significativo della pervasività di questa tipologia libraria): dal volumetto delle Rime spi-
rituali di sette poeti illustri, edito nel 1569 a Napoli (in 12°: 54 carte); dalla già ricordata
microsilloge pubblicata a istanza di Giovanni Domenico Gamberini (Rime spirituali di diver-
si autori, nel 1572: in 8°, 6 carte); dalla tanto più ragguardevole raccolta di Rime spirituali di
diversi eccellenti poeti toscani curata dal poeta foggiano Giovambattista Vitale, edita ancora
a Napoli nel 1574 (in 8°: 91 carte); dalle Rime spirituali di diversi autori raccolte dal cavalier
Ippolito Colocci da Iesi, edite a Perugia nel 1576 (in 4°: 68 carte); e infine: dalle Rime spiri-
tuali e funerali edite a Treviso nel 1590 e dalle Rime spirituali di diversi, nuovamente date in

98
Utilizzando ancora le notizie di Auzzas, pp. 208-209, la novità è costituita dalla forte
presenza del Cariteo, tra gli autori di un passato prossimo, mentre tra i contemporanei è anco-
ra Antonio Agostino Torti a primeggiare; sono presenti con traduzioni e adattamenti dai
salmi: Girolamo Benivieni (anche con altri testi in ottave) e Luigi Alamanni; con poesie in
versi: Tullio Crispoldi.

182
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

luce per Angelo da Contiliano, a Roma e Orvieto nel 1600. Certamente diversa si prospetta la
condizione dell’opuscoletto di Rime spirituali raccolte dalla Sacra Scrittura, edito due volte
tra Bologna Siena Firenze nel 1575 (in 4°: 2 carte; in 8°: 8 carte): non foss’altro perché pub-
blica testi in ottava rima.

In realtà, il quadro di riferimento di queste raccolte di diversi autori è molto più ampio in
BPR. E rinvia in primo luogo a pratiche ordinarie di allestimento di prodotti tipografici per
assemblaggio di testi di più auctoritates variamente manipolate, oltre che di raccolte in senso
proprio, particolarmente frequenti nei primi anni della tipografia e dei suoi libretti devoti,
spesso adespoti e senza note tipografiche: come nel caso dell’opuscoletto Armonia con soavi
accenti del novo fior di virtù. Racolto da diversi autori con molti amaestramenti (in 12°: 11
carte, senza data) o come i Sonetti spirituali da diversi autori composti (in 12°: 11 carte,
senza data); ma è presente anche in casi editorialmente più ragguardevoli, se vi provvede
Nicolò Zoppino: come la fortunata Opera moralissima de diversi auctori (in 8°: 40 carte; con
quattro edizioni tra 1516 e 1525); come i Triomphi sonetti canzone stanzie e laude de Dio e
de la gloriosa Vergine Maria composta da diversi autori (in 8°: 40 carte; due edizioni: 1517,
1524); come il Tesauro spirituale vulgare in rima e istoriato (in 8°: 40 carte; stampato quattro
volte tra 1517 e 1525)99.
Il quadro di riferimento delle raccolte di diversi autori riguarda anche altri generi archetipici
della tradizione poetica spirituale. La lauda, in primo luogo: già nel 1485 con le Laude facte e
composte da più persone spirituali a onore dello omnipotente Idio (in 4°: 146 carte; ristampate
nel 1495 e 1500); e poi con i Fioreti de laudi da diversi doctori compilati ad consolazion e
refrigerio de ogni persona spirituale (in 8°: 64 carte; stampati nel 1506) e con l’Opera nova de
laude sancte composte da diverse persone spirituali (in 4°: 126 carte; ancora da Zoppino nel
1512). E quindi, nell’età del rilancio laudistico: Cento laudi spirituali di diversi stampate d’or-
dine dell’illustrissimo cardinal Tarugi arcivescovo di Siena (in 12°: 60 carte; nel 1599).
E in termini del tutto omologhi con le raccolte di rime di diversi autori (nonché di “rime
spirituali”) anche per la tradizione laudistica sono prodotte appropriate antologie: Il primo
libro delle laudi spirituali da diversi eccellenti e divoti autori antichi e moderni composte,
raccolte dal domenicano Serafino Razzi (in 4°: 158 carte; nel 1563); e poi altre senza il nome
di curatore: Scelta di devotissime laudi al Signore, alla Vergine e ai santi (nel 1572); Scelta di
laudi spirituali di diversi eccellentissimi e divoti autori antichi e moderni nuovamente ricor-
rette e messe insieme (in 4°: 42 carte; nel 1578); Scelta di laudi devote e spirituali divote de’
diversi autori (nel 1585).
Con le “rime spirituali” e le laudi, nella ricca e variegata fenomenologia della poesia reli-
giosa del Cinquecento ha grande rilievo la tradizione dei salmi penitenziali. Sarà opportuno
analizzarla poi con attenzione, ma intanto è d’obbligo ricordare che ha anch’essa la sua rac-
colta/antologia di «diversi eccellenti autori»: è la giolitina curata nel 1568 dal carmelitano
Francesco Turchi, che pubblica anche «alcune rime spirituali di diversi cardinali, vescovi e
altre persone ecclesiastiche» (in 12°: 114 carte; ristampata nel 1569 e nel 1572). Un canone di
questa tradizione settoriale a uso dei moderni (ma in quanto «persone ecclesiastiche»: almeno
come autori): integrato alle “rime spirituali”, per omologia di funzioni, se non di forme.

99
D’altro tipo il caso della della Descrizione della santa e antica città di Gierusalem
«raccolta dalla Sacra Scrittura e da diversi autori», con «alcune ottave spirituali» (in 16°: 16
carte; del 1591)

183
Amedo Quondam

Il riferimento alle diverse raccolte miscellanee pone con evidenza, sempre


nel sistema dei titoli, un segno di riscontro del processo di annessione delle pra-
tiche della comunicazione devota e spirituale al codice formale e linguistico del
classicismo petrarchistico. Se la scelta del titolo secco (“rime spirituali”, anche
nei libri in forma di raccolta) spazza via, infatti, la selva dei titoli metaforici
(come quelli prima citati)100, sostituisce anche tutti gli altri titoli denotativi: con
cose (come il fortunatissimo Colletanio de cose nove spirituale zoe sonetti
laude capituli e stanzie composte da diversi e preclarissimi poeti, con dieci edi-
zioni tra 1509 e 1557, Ia 12-21; la prima è in 8°: 48 carte; ancora una zoppinia-
na), e le tante stampe intitolate opera: enfatizzata come nova o novamente com-
posta; pur sempre moralissima e devotissima101.

2.1.3. Nella ricognizione attraverso le raccolte di diversi sono emersi molti


impieghi diversi di “spirituale” nel sistema esteso del titolo, ben oltre il sintag-
ma forte “rime spirituali”. Per completare il quadro dell’economia connotativa
prodotta da questo primario aggettivo, resta da analizzarne le altre occorrenze in
BPR come fattore multifunzionale, jolly.
A parte le presenze di persona/e spirituale/i riferite – come ho già osservato –
a soggetti di vario status ecclesiastico, il repertorio dei testi anonimi (è la prima
sezione di BPR: Ia) comprende ancora una volta la connotazione di forme metri-
che: cantici spirituali, canzonette spirituali, laudi spirituali, laudi devote e spiri-
tuali, lodi e canzoni spirituali, ottave spirituali, sonetti spirituali, alcune stanze
spirituali, stanze spirituali; e connota ancora una volta alcune metafore topiche:
catena spirituale, giardino spirituale (ma anche giardino fruttuoso), tesauro spiri-
tuale. Di particolare rilievo è l’uso, circoscritto – come ho detto – alla primissima
fase del Cinquecento, dei sintagmi cosa/opera spirituale, ulteriormente connotata
da nova: le zoppiniane cose nove spirituali, cose spirituali, opera nova spirituale.
Nella sezione dei libri d’autore, senza ovviamente tenere conto di quelli di
cui ho già dato notizia, il quadro degli altri impieghi di spirituale nel sistema dei

100
Che peraltro sembrano riaffiorare a fine secolo, nella nuova economia metaforica dei
moderni; cfr. le titolazioni con “ghirlanda”, “giardino”, “gioiello”: ovviamente, si tratta di un
giardino spirituale (o di cose spirituali), di ghirlanda e gioiello di canzonette spirituali, cose
spirituali. Ma anche una catena spirituale, nonché una sorprendente pazzia del cristiano (ma
con “rime spirituali”).
101
Nei titoli delle edizioni anonime è molto spesso presente l’indicazione della forma
metrica del testo pubblicato, per lo più seguito dalla connotazione di “spirituale”: ballata,
canzone, canzonetta, capitolo, inno, lauda, sonetto, stanze/ottava rima, terza rima; o generica-
mente “rime” o «composizioni ritmiche»; o polimetri. È spesso indicato, con o senza l’indica-
zione del metro, anche il genere devozionale di riferimento: confessione, contemplazione,
lamento, orazione, preghiera, salmi, supplicazione; ma anche profezia.

184
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

titoli si prospetta come molto ampio, ma pur sempre sostanzialmente articolato


nelle modalità prima descritte. E cioè, di nuovo, e soprattutto, come fattore di
connotazione delle forme metriche: sia nel caso di stampe monometriche o poli-
metriche, per lo più opuscoletti di poche carte102, ma anche cospicui volumi,
come nel rilevante caso dei Sonetti spirituali di Benedetto Varchi (1503-1565),
editi del 1573 (in 4°: 68 carte103); sia nel caso di testi aggiunti ad altre opere (per

102
Come la Canzone spirituale dell’ecclesiastico udinese Giulio Agresta (nato nel 1550),
del 1592 (in 4°: 5 carte), o la Canzone spirituale Scudo d’ogni travaglio composta sopra il
salmo In te Domine speravi del veneziano Giorgio Colonna (1530-1579), del 1577 (in 4°: 4
carte; è autore di un’altra canzone d’occasione, nel 1577); o i Sonetti e madrigali a diversi
principi, con due sonetti spirituali e una canzone in lode della santissima casa della beata
Vergine di Loreto del toscano Pietro Bertini, senza data (in 4°: 8 carte; titolare anche di un
volume di Rime, nel 1583, di Quattro sorelle, canzoni, nel 1586, e di una Lezione accademi-
ca, nel 1588); o il Dialogo tra la beatissima Vergine e il peccatore. Con due bellissimi sonetti
spirituali del “cieco” Silvio Cagnani, del 1600 (in 8°: 4 carte; è autore di una Cronica di tutta
la guerra fra cristiani e ‘l turco, nel 1571), o l’opuscoletto purtuttavia polimetrico che racco-
glie le Stanze in laude della croce. Salutazione della croce. Capitolo in laude del crocifisso; o
i Sonetti spirituali del fiorentino (1461-1519) Castellano Castellani, del 1520 (in 4°: 4 carte);
e ancora: il musicista veneziano Giovanni Gabrielli (1554-1612), Villanelle spirituali, senza
data (in 8°: 4 carte); l’ebreo convertito veneziano Giuseppe da Gerusalemme, Ottave spiri-
tuali de’ mesi de l’anno, con sei stampe tra 1551 e 1597 (in 8°: 4 carte); il veronese Adriano
Grandi, Canzone spirituale, del 1598 (in 4°: 4 carte; autore di diverse poesie d’occasione:
elegie canzoni epitalami imenei satire, oltre a rime sonetti satire stanze); il poeta pittore
Giovanni Battista Maganza (detto Magagnò: 1509-1589), Sonetti spirituali nel giorno di
natale di nostro signore Gesù Cristo, del 1573 (in 4°: 8 carte; autore, tra le tante altre cose, di
rime in «lingua rustica padovana»); l’eminente veneziano Celio Magno (1536-1602),
Canzone spirituale intitolata Deus, del 1576 e del 1597 (in 4° 8 carte; autore di diverse can-
zoni d’occasione e di una raccolta di rime con Orsatto Giustinian, nel 1600); Bartolomeo
Milvio, Sonnetti e capituli divoti e spirituali e cantilene del dispregio del mondo e del sancto
Monte de la Pietà, ed elegia de la coronazione del presente Sommo Pontefice, del 1504 (in
8°); il giureconsulto aretino Girolamo Rasi, La tristezza di Metanio. Egloga spirituale, del
1584 (in 4°: 12 carte); Notturno Napoletano, Una Ave Maria e alcuni epigrammi spirituali,
senza data (in 8°: 4 carte); Rinaldo Rinaldi, Capitoli e sonetti spirituali, del 1585 e 1586 (in
8°: 8 carte); Giacomo Sella, Capitolo spirituale e sentenzioso parlare, del 1582 (in 4°: 2
carte).
103
E ancora: il benedettino palermitano Gregorio Morello, Inni spirituali per diversi
santi confessori, con due edizioni nel 1600 (in 4°: 55 carte); l’imolese Illuminato Perazzoli,
Madrigali spirituali, del (in 4°: 48 carte); Giovambattista Scarlino, Sonetti spirituali a Iesu
Cristo, alla Madonna e a diversi santi, del 1558 (in 8°: 32 carte); il bolognese Giovanni
Paolo Castaldini, Cento sonetti spirituali e morali, del 1585 (in 8°: 68 carte; autore del Breve
poema sopra il senso, nel 1585, e delle Pietose lagrime di penitenza in ottava rima, nel
1595); il francescano Cherubino Veneto, Sonetti spirituali in laude e onore del nostro signore
Iesu Cristo e della sua gloriosa Madre, del 1537 (in 8°: 28 carte).

185
Amedo Quondam

lo più sonetti spirituali)104. Oltre a essere spesso – come ho detto – correlato a


rime (ma anche a componimenti) emergenti nel titolo esteso (a esempio, nel già
ricordato caso delle Lagrime di san Pietro di Luigi Tansillo105), spirituale fun-
ziona pur sempre come connotazione di topiche metafore (le stesse già descrit-
te106) o di cose o di opera107; oppure riguarda i prodotti di un trattamento di spi-
ritualizzazione di testi canonici (Malipiero e non solo)108. Rari sono gli impieghi

104
Come quelli contenuti nelle edizioni del Libello de proemii vulgari limatissimi predi-
cabili a qualunque materia e sonetti spirituali de la sustanzia de la predica, Perugia di Caio
Baldassarre Olimpo Alessandri, del 1522 1527 1536 (in 8°: 24 e 32 carte); e ancora: l’urbina-
te e poi fiorentina Laura Battiferri Ammannati (1523-1589; titolare di un Primo libro delle
opere toscane, nel 1560), Sette salmi penitenziali del santissimo profeta Davit tradotti in lin-
gua toscana con alcuni sonetti spirituali, del 1564 1566 1570 (in 4°: 26 carte); il salernitano
Giulio Cesare Grillo, Misteri del santissimo rosario in ottava rima con alcuni sonetti e capi-
toli spirituali, del 1588 (in 4°: 28 carte; autore di versi d’occasione per la morte del cardinale
Farnese e di una raccoltina di Varii sonetti e ottave, nel 1589).
105
L’altrimenti noto scrittore alessandrino Annibale Guasco (1540-1619) pubblica
l’Opera in ottava rima per la natività del Signore; con altri componimenti spirituali; con
cento madrigali a due sue figliuole, nel 1599 e 1600 (in 8°: 188 carte); è fecondo autore di
poemetti in ottava rima (La Ghismonda, nel 1583), di rime d’occasione e d’encomio, orazioni
e ragionamenti; nel 1575 pubblica un volume di Rime (ristampato poi nel 1581).
106
È il caso, nel 1494, del cospicuo volume con il Tesauro spirituale integro con la Corona
de la beatissima Vergene Maria (in 8°: 284 carte) del predicatore francescano Bernardino Busti
(1450-1513), che ripubblica la fortunata Corona edita cinque volte tra il 1489 e il 1492); ed è il
caso del pugliese Giovambattista Di Fideli, Specchio di divina contemplazione in ottava rima.
Gaudio spirituale e letizia dell’anima per inalzarsi a Dio e in esso rallegrarsi e riposarsi.
Dove si spiegano assaissimi divini misteri del 1598 (in 8°: 68 carte); o ancora del Giardino spi-
rituale di Caio Baldassarre Olimpo Alessandri, del 1551 (in 8°: 8 carte).
107
Sempre nei primi decenni del Cinquecento: è il caso, nel 1516, delle Cose vulgare
morale e spirituale (in 8°: 71 carte) del cavaliere napoletano Colantonio Carmignano (morto
nel 1544); e della zoppiniana Opera nova divotissima spirituale di Castellano Castellani e
Alessandro Brunetto, del 1515 (in 4°: 48 carte; o più dettagliatamente, nel 1521: Opera spiri-
tuale. Sonetti, stanzie, capituli, laude e la traslazione de santa Maria da Loreto in octava
rima; ancora edita nel 1525); e ancora: il lucchese Giuseppe Fedeli, Opera spirituale in versi
intitolata Fonte del Messia, del 1531 (in 8°: 152 carte; autore anche del Giardino di pietà rit-
mico, nel 1533); del poeta di Piove di Sacco, Marco Bandarini, Opera nova spirituale, edita
tre volte tra il 1547 e il 1552 (in 8°: 32 carte; autore di romanzi di cavalleria, stanze e sonet-
ti); Gaspare Pessina, Opera nova spirituale, del 1509 (in 4: 16 carte); ma soprattutto:
Notturno Napoletano, Iudicio universale. Opera spirituale e nova, con quattro edizioni tra
1518 e 1520 (in 8°: 12 carte); e Caio Baldassarre Olimpo Alessandri, Opera nuova di cose
spirituali chiamato Partenia, nel 152 (in 8°: 72 carte), ristampato almeno otto volte, e raccol-
to in volumi miscellanei di opere di questo autore, nel 1555.
108
Oltre al Petrarca spirituale, con sette edizioni tra 1536 e 1587 (in 8°: 180 carte): Goro
da Colcellalto, Primo canto del Furioso traslatato in spirituale, del 1589 (in 8°: 12 carte);
Cristoforo Scanello, Il primo canto dell’Ariosto tradotto in rime spirituali, del 1593 (in 12°).

186
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

diversi da questi: a esempio quelli correlati a concetti o ad alfabeto 109.


Eccezionali risultano, infine, i titoli di due letterati di Urbino: Marco Montano
(1520-1586) pubblica nel 1575 un opuscolo che raccoglie, in mescidanza ormai
impropria, le sue Rime amorose e spirituali (in 4°: 16c)110; Federico Ricciuoli è
il solo, in tutta la bibliografia, a utilizzare nel titolo il termine poesia: Poesie
spirituali, del 1598 (in 4°: 97 carte)111.
Un ultimo, rapidissimo, riscontro sugli impieghi di spirituale nel sistema dei
titoli. Se, come ho già osservato, nella sezione di BPR dedicata ai «poemetti
narrativi anonimi» (Ib) non è mai utilizzato, nelle sezioni dedicate alla «poesia
d’occasione d’argomento religioso o ecclesiastico» (IIa e IIb) ricorre raramente
(come ho detto: una sola volta nella sezione delle edizioni anonime; otto volte
in quella delle edizioni d’autore), e se ne comprende con facilità il perché: il
sistema dei titoli di questa rimeria occasionale ed encomiastica è, infatti, gover-
nato da una sua propria autonomia di senso, funzionale a mettere subito in evi-
denza l’evento occasionale o la persona celebrata112.
Per concludere la ricognizione sugli impieghi di “spirituale” nel sistema dei
titoli di BPR, propongo nella sua integrale estensione il titolo di un’opera del
già ricordato sacerdote bassanese Gasparo Ancarano, come esemplare della
nuova devozione tridentina: Novo rosario della gloriosissima Vergine Maria,

109
Il benedettino Agostino Cesari, Li sette salmi penitenziali di David in verso eroico,
con spirituali concetti ridotti, del 1590 (in 4°: 34 carte); il cantastorie Cristoforo Cieco da
Milano, Alfabeto spirituale, del 1586 (in 8°: 4 carte; con due ristampe nel 1590 e 1598).
110
È autore anche di un volume di Ragionamenti religiosi fatti nella divota compagnia di
san Gioseffo di Urbino, nel 1588; e di un dialogo De veri corporis et sanguinis domini nostri
Iesu Christi sacrificio, nel 1588.
111
Nel 1594 pubblica un volumetto di Egloghe e rime. Colgo l’occasione per segnalare
che nei titoli delle schede di Edit16 poesie ricorre solo 30 volte: di contro alle 866 di rime. Di
per sé un segno significativo delle opzioni costitutive e proprie della lirica cinquecentesca.
112
Alcuni di questi titoli li ho già ricordati. Per completezza li ripropongo tutti insieme:
Madrigali spirituali nel tempo della peste nella città di Vicenza, del 1578 (in 4°: 8 carte);
Pietro Franchino, domenicano di Treviso, Lettera spirituale in verso sdrucciolo scritta a gli
illustri signori suoi Trivigiani discordi, del 1599 (in 4°: 16 carte); Michele Garzoni, lucchese,
Successo dell’immagine de la beatissima Madonna dei miracoli di Lucca. E altre rime spiri-
tuali, del 1594 (in 4°: 44 carte); Vincenzo da Santangelo, francescano siciliano, Visione trion-
fale nella morte dell’illustrissimo e reverendissimo cardinal Scipione Gonzaga, con molti
sonetti spirituali e stanze intorno al Veni creator Spiritus, con altri sonetti a diversi perso-
naggi, del 1599 (in 8°); Pietro Serena, nobile friulano, medico e filosofo, Nuovo capitolo spi-
rituale molto utile ad ognuno che desidera essere liberato da questo contagioso male, del
1576 (in 8°); Baldantonio Solingo, Sonetti spirituali in morte del Duca d’Urbino, del 1574, e
Stanze spirituali ad esaltazione dell’anno santo, del 1600; Maffeo Venier, sacerdote venezia-
no poi arcivescovo di Corfù, Canzone spirituale sopra il monte dell’Avernia ove san
Francesco ebbe le stimmate, con questo titolo nel 1585 e 1596 (in 4°: 4 carte).

187
Amedo Quondam

con quindici sonetti in esposizion delli quindici Pater nostri e 150 ottave rime
per le 150 Ave Marie, per le pie contemplazioni delli quindici misterii, e un orti-
cello spirituale ripieno di fiori e frutti celesti in lode del Signore e della beata
Vergine con le devote meditazioni per tutti li giorni della settimana (in 4°: 100
carte; del 1588).

2.2. Dopo avere descritto analiticamente la parte del libro di “rime spirituali”
nelle diverse dinamiche che ne connotano la fenomenologia comunicativa, tra
imitazione del modello petrarchesco (il soggetto lirico come soggetto spirituale)
e suoi adattamenti funzionali (spirituale è ciò che riguarda le “persone spiritua-
li”: riti, pratiche, eventi, oggetti), e dopo averne riconosciuto la sostanziale
fedeltà all’assetto formale (metrico e linguistico) e materiale del moderno libro
di rime di osservanza petrarchistica, è opportuno provvedere a contestualizzare
questa parte, per tanti aspetti la più consapevole di sé, nell’insieme testuale rac-
colto in BPR.
Un insieme florido e fruttuoso, tanto per usare il lessico di alcuni suoi
record: segnato da una pluralità di esperienze comunicative (per forme e per tra-
dizioni discorsive) che sembra persino più articolata e riconoscibile di quella
che topicamente riguarda la coeva poesia profana (nel suo secco spartiacque:
prima/dopo Bembo, prima/dopo il Petrarchismo). A esempio, nella più volte
evocata ripresa imponente della tradizione laudistica (l’altra faccia dei rapporti
tra poesia e musica, oltre al madrigale), con i suoi autori antichi che trovano
nuova vita (da Iacopone a Giustinian113) e con una centralità sostanzialmente
fiorentina fino a metà Cinquecento114, per poi trasformarsi radicalmente con l’e-
splodere dei moderni e con la loro scelta strategica delle raccolte: in quella
variegata gamma di libri e libretti di lodi che a fine Cinquecento diverranno
strumento di base nelle scuole della dottrina cristiana115. E più ancora nella tra-

113
In BPR sono sei le edizioni di Iacopone da Todi, tra il 1490 (in 4°: 142 carte) e il
1558; cinque le edizioni delle Laude di Leonardo Giustinian, tra il 1474 (in 4°: 106 carte) e il
1517 (nel 1505 è pubblicato anche il Pianto devotissimo de la Madonna). Il rilancio di
Iacopone a metà Cinquecento suscita imitazioni: Giovanni Giovenale Ancina, Cantico ad
imitazione di quelli del beato Iacopone da Todi composto nell’anno 1598 (in 4°: 4 carte).
114
Cfr.: Feo Belcari, Laude, nel 1490 (in 4°: 68 carte); Antonio di Guido, Laude devote
del dispregio del mondo (in 4°: 4 carte), nel 1520; Castellano Castellani e Alessandro
Brunetto, Opera spirituale. Sonetti, stanzie, capituli, laude e la traslazione de santa Maria da
Loreto in octava rima (in 8°: 48c), nel 1521; Cristoforo Cieco da Milano, Alfabeto spirituale,
qual narra la vita che ha da tenere ogni fidel cristiano. Aggiuntovi alcune laude della
Madonna (in 8°: 4 carte), nel 1598.
115
Rinviando alle notizie bibliografiche date nella nota 28 di 1.1 sulla diffusione della
tipologia del libretto di lodi da cantarsi nelle scuole della dottrina cristiana, fornisco il quadro

188
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

dizione dei salmi penitenziali, particolarmente sensibile, per quanto non sia la
sola, alle tempestose variabili prodotte e indotte dal lavoro della Congregazione
dell’Indice, con una grande cura nel controllo/divieto dei volgarizzamenti e
degli adattamenti biblici, anche in versi116.

Una tradizione ragguardevole nell’intero arco cronologico di BPR, da riferi-


re ovviamente alla tanto più rilevata presenza in tipografia dei salmi latini (ma
non di quelli di Francesco Petrarca, peraltro con vasta diffusione manoscritta: la
sua devotiuncula), almeno in edizioni autonome117: dagli anonimi incunaboli
(anche con testi attribuiti a Dante Alighieri) in terza e ottava rima118 e dall’ano-
nima «parafrasi poetica» cinquecentesca, fino alla raccolta ginevrina dei
Sessanta salmi con quattro edizioni tra 1560 e 1585, e quindi alla raccolta d’ob-
bligo, già ricordata: ancora una giolitina, curata dal carmelitano Francesco
Turchi da Treviso, in prima edizione nel 1568 e ristampata nel 1572119.

complessivo degli impieghi di lauda (nelle sue varie forme, ma non in quelle del tipo “a/in/per
laude”) in BPR: Ia 10, 12-21, 28-32, 34, 60-84, 86, 100, 192-193; Ib 303; Ic 47, 80, 96, 129,
141, 145-146, 180, 259, 367-368, 384-389, 425-429, 551-552. Complessivamente una settanti-
na di record, dunque: pari al 5% di BPR, ma all’8% delle più appropriate sue sezioni (Ia e Ic).
I dati raccolti in BPR non esauriscono certo la presenza della tradizione laudistica nel
corso del Cinquecento, e non solo per l’impetuosa sua ripresa nelle pratiche devozionali e
liturgiche di cui ho già detto: ma anche perché laudi sono contenute in tante altre edizioni di
testi devoti e religiosi (anche di confraternite), in modo particolare in quelli stampati a
Firenze. A esempio: con la Istoria di san Zanobi di Bernardo Giambullari (1576 e 1595), con
la Meditazione della morte e con i Versi di Santa Maria di Castellano Castellani, eccetera; e
ancora: con il Trattato dell’amore di Gesù di Girolamo Savonarola del 1505, o nel volume
delle sue Opere del 1510 e 1512; in coda a sacre rappresentazioni: La rappresentazione di
santa Eufrosina vergine, del 1554, e più volte ristampata; La rappresentazione d’uno miraco-
lo di tre pellegrini, del 1555; Il terzo libro di feste e rappresentazioni e comedie spirituali di
diversi santi e sante del Testamento vecchio e nuovo composte da diversi autori. Nuovamente
poste insieme e non più stampate. Aggiuntovi nel fine una scelta di laude spirituali, del 1578;
in stampine devote: Utilissimi ricordi e avvertimenti per ogni pellegrino che devotamente
desidera visitar la Madonna santissima del Pilone del Mondovì, del 1595; Proverbi del
Schiavo de Bari, senza data.
116
Rinvio ancora al citato libro di Fragnito, La Bibbia al rogo, pp. 302-308.
117
Le occorrenze in Edit16 di “psalm*” risultano 335: edizioni, esposizioni, commenti,
riscritture, eccetera; comprese le versioni in musica. Per la singolare assenza di Petrarca, cfr.
intanto la presenza dei Psalmi penitentiales et confessionales elegantes et devoti dominio
Francisci Petrarche poete laureati, nel volume in folio del mistico domenicano trecentesco
Ludolph von Sachsen, Super psalmos, Venezia, Eredi di Ottaviano Scoto, 1521; e Francesco
Petrarca, Salmi penitenziali, a cura di Roberto Gigliucci, Salerno Editrice, Roma 1997.
118
Cfr., in ottava rima: Era David profeta in gran dolore, Io chiamo e prego el mio eter-
no Dio; in terza rima: Signor non mi reprender con furore.
119
La raccolta (in 12°: 114 carte; Edit16 dà riscontro anche di un’emissione con la data
del 1569) presenta una ricca articolazione editoriale: sei traduzioni di contemporanei (di cui

189
Amedo Quondam

Una tradizione folta di libri d’autore (BPR ne prospetta ventotto)120. Inizia ben presto, in
rapporto con la selva delle stampe di salmi nell’età degli incunaboli: con i Psalmi penitenziali
di David tradocti in lingua fiorentina e commentati (in 8°: 72 carte; in terza rima) del fioren-
tino Girolamo Benivieni (1453-1542), nel 1505; ma fino all’edizione di Minturno risultano
pubblicati soltanto la Parafrasi nel quinquagesimo psalmo (in 4°: 32 carte) del napoletano
Giovanni Bernardino Fuscano, nel 1532; e Il psaltero di Davide in ottava rima tradotto del
bolognese Innocenzio Ringhieri, nel 1555 (in 8°: 240 carte). La svolta si ha, però, solo nel
1560: con i Salmi di Bernardo Tasso (1493-1569), una sezione delle Rime che ha anche auto-
noma circolazione (in 12°: 36 carte); e con il volume delle Canzoni sopra i salmi (in 4°: 56
carte) del napoletano Antonio Sebastiano Minturno (1500-1574), vescovo di Ugento, prima, e
di Crotone, poi, che nello stesso anno pubblica anche i Sonetti tolti dalla Scrittura e da’ detti
de’ santi (in 4°: 32 carte). Come potrebbe attestare anche il singolare e voluminoso libro
metatestuale (in 8°: 170 carte) di uno sconosciuto Vitale di Giacomo Vitali, che espone in
ottava rima Il vero sugetto delle prediche del reverendo padre fra Franceschino Visdomini da
Ferrara sopra li sette salmi penetenziali di David e di alcune altre divote esposizioni udite
dalla sua viva voce, nello stesso 1561.
Immediatamente a ridosso della chiusura del Concilio di Trento la pratica di volgarizzare
o sottoporre a riscrittura i salmi si fa cospicua tradizione: con i famosi Sette salmi penitenziali
del santissimo profeta Davit tradotti in lingua toscana con alcuni sonetti spirituali (in 4°: 26
carte) della gentildonna, urbinate di nascita e fiorentina per matrimonio, Laura Battiferri
Ammannati (1523-1589), editi nel 1564 e ristampati nel 1566 e 1570; con i Ragionamenti
sopra i sette peccati mortali e di sopra i sette salmi penitenziali del re David ridotti in sette
canzoni e parafrasticati dal medesimo (in 4°: 79 carte) del francescano di Reggio Emilia
Bonaventura Gonzaga (morto nel 1586), nel 1566, e con i Salmi di David ridotti in varie can-
zoni con l’argomento per ciascun salmo (in 16°: 62 carte), editi nell’anno successivo121. E poi
salmi con altre rime spirituali: come nei casi di Bartolomeo Arnigio, I sette salmi della peni-
tenzia del gran profeta David spiegati in canzoni secondo i sensi, e appresso la prima parte
delle sue spirituali e sacre rime, nel 1568 (in 8°: 56 carte); e di Cornelio Cattaneo, I sette

tre tratte da autonome edizioni precedenti: in canzoni: Battiferri Ammannati, Gonzaga,


Minturno; per quella in terzine di Orsilago è però attestata solo una tarda edizione del 1595; e
poi: la traduzione di Luigi Alamanni, autore anche di Elegie sacre, e quella dello stesso cura-
tore, in versi sciolti); preghiere in volgare e un altro salmo volgarizzato da Turchi; il testo
latino dei salmi; la sezione di rime spirituali, con testi di prelati contemporanei (nei termini,
cioè, enfatizzati dal frontespizio del volume) che fanno corteo alla Vergine bella di Francesco
Petrarca: dal cardinale Pietro Bembo al monaco cassinese Benedetto Guidi, dal vescovo
Claudio Tolomei al cardinale Egidio da Viterbo, dal cardinale Federico Fregoso al vescovo
Giovanni Guidiccioni, dal vescovo Antonio Minturno al vescovo Giovanni Della Casa, dal
cardinale De’ Pucci allo stesso curatore; anche Annibal Caro è proposto come «reverendo
monsignore». Uno specimen della poesia spirituale nelle sue forme e funzioni prima di
Trento: attorno a Petrarca, come introspezione e preghiera.
120
D’obbligo il rinvio alle osservazioni di Gigliola Fragnito: «Minori problemi crearono
agli esecutori delle prescrizioni censorie le traduzioni parziali o integrali dei salmi, in prosa o
in versi, accompagnate o meno da commenti», per quanto non fossero, queste traduzioni,
«prive di insidie» (La Bibbia al rogo cit., p. 302).
121
Nel 1572 lo stesso autore pubblica una raccolta di Lagrime di diversi.

190
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

salmi penitenziali tradotti insieme con alcune sue rime spirituali, nel 1568 (in 8°); il frate
Domenico da Rimini, Alcuni salmi e canzoni di Davide profeta tradotti dall’ebreo in lingua
volgare e parafresati con l’argomento e somma che contengono, nel 1569 (in 8°: 55 carte).
I salmi sembrano diventare un luogo particolarmente consueto nelle pratiche di fine
Cinquecento, e disponibile a esperienze comunicative di vario tipo, malgrado i divieti della
Congregazione dell’Indice122: volgarizzamenti e riscritture singole, come quelle del notaio
veneziano Rocco Benedetti, Al serenissimo signor don Giovanni d’Austria salmo tradotto in
rime sciolte, nel 1571 (in 4°: 4 carte)123, e di Giorgio Colonna, Canzone spirituale Scudo d’o-
gni travaglio composta sopra il salmo In te Domine speravi, del 1577 (in 4°: 4 carte); adatta-
menti per imitazione: nel caso del benedettino friulano Germano Vecchi, Lagrime penitenzia-
li composte in sette canzoni a imitazione de’ sette salmi penitenziali di David profeta, nel
1574 (in 4°: 20 carte); metascritture bibliche: Giovanni Antonio Rojani, Rime sopra alcuni
Evangeli e salmi, nel 1582.
Negli ultimi anni del secolo le edizioni diventano particolarmente fitte, per opera soprat-
tutto di chierici: il sacerdote Gaspare Ancarano, Sette salmi penitenziali latini e volgari in
ottava rima, nel 1588 (in 8°: 32 carte); il benedettino Agostino Cesari, Li sette salmi peniten-
ziali di David in verso eroico, con spirituali concetti ridotti, nel 1590 (in 4°: 34 carte); il
vescovo Lauro Badoer, I sette salmi penitenziali ridotti in rime italiane, nel 1594 (in 8°: 14
carte); il carmelitano Zaccaria Bergomelli, Lagrime del peccatore nei sette salmi della peni-
tenza di Davidde, nel 1597 (in 8°: 70 carte); e in termini di assoluto rilievo per esemplarità, il
benedettino Angelo Grillo, Lagrime del penitente ad imitazione de’ sette salmi penitenziali di
Davide, nel 1593 e 1594 (in 8°: 40 carte). La parte dei laici si riduce ad Agostino Agostini, I
sette salmi penitenziali imitati in rime, con tre edizioni nel 1595 (in 16°: 200 carte), e alla tar-
diva stampa del pisano Pietro Orsilago, I sette salmi penitenziali tradotti in volgare, nel 1595
(in 16°: 6 carte). Ma non solo chierici: il friulano Scipione di Manzano (1560-1596) pubblica
Le lagrime della penitenza di David (in 4°: 26 carte), nel 1592, e Le sette lacrime della peni-
tenza (in 12°: 18 carte), nel 1593124; il bolognese Giovanni Paolo Castaldini pubblica Le pie-
tose lagrime di penitenza, nel 1595 (in 8°: 36 carte); il patrizio veneziano Francesco Bembo
pubblica I sette sonetti penitenziali, nel 1596 (in 4°: 4 carte).
In questo stesso scorcio conclusivo del Cinquecento si registrano alcune edizioni all’este-
ro: se quella parigina, nel 1588, del volumetto di Alcuni salmi di David tradotti in versi e
altre rime spirituali di Bernardo Del Bene è provocata dal fatto che l’autore è vescovo di
Nîmes, le due edizioni ginevrine conseguono, invece, dalla situazione religiosa di fine
Cinquecento: i Settantacinque salmi di David tradotti in lingua volgare italiana e accommo-
dati al canto dei francesi (in 8°: 95c), nel 1581, di François Pierrot (Francesco Perrotti), sono
opera di un autore bilingue per avere a lungo soggiornato a Padova e Venezia, ma di un calvi-

122
Fondamentali sono le informazioni raccolte nel citato libro di Gigliola Fragnito, pp.
131-132 (il 22 maggio 1574 il Maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili emana un avviso
per i librai in cui vieta la vendita di «opere in versi, così latine, come volgare di sacra scrittu-
ra»), 204-205 (per le articolate posizioni che la Congregazione dell’Indice esprime a proposi-
to delle traduzioni parziali della Scrittura: ma il divieto di versioni poetiche dei salmi è defi-
nitivo).
123
È autore di diverse opere: in Edit16 sono 24 le schede che lo riguardano come autore.
124
Raccoglie Le lagrime nelle esequie fatte in Cividale del Friuli per la mote del patriar-
ca Giovanni Grimani d’Aquileia, nel 1594; e pubblica un poema eroico, nel 1594: Il
Dandolo; e una favola marina: l’Aci, nel 1600.

191
Amedo Quondam

nista che ovviamente si rifugia a Ginevra125; per analoghe ragioni, prima indicate, il volume
De’ sacri salmi di Davidde, dall’ebreo tradotti, poetica e religiosissima parafrase (in 16°:
242 carte; contiene, come ho detto, anche le Rime spirituali) di Giulio Cesare Pascali è pub-
blicato, nel 1592, nella città di Calvino.

Per avere il quadro completo della fortissima presenza della tradizione dei
«salmi penitenziali» nella cultura letteraria e religiosa del Cinquecento, sarebbe
però necessario tenere conto anche delle loro parafrasi in prosa. Mi limito a ci-
tarne soltanto una, intensamente rappresentativa della ricerca, negli anni Trenta,
di una nuova forma per la comunicazione religiosa compatibile, anzi omogenea,
con l’assetto del moderno classicismo volgare: I sette salmi della penitenza di
David (in 4°: 48 carte) di Pietro Aretino, in prima edizione nel 1534 (e poi
ristampati almeno altre nove volte, tra il 1536 e il 1551).

2.2.1. La tradizione dei salmi penitenziali in versi è molto espansiva e tende


a costituirsi in un piccolo ma dinamico sottosistema nella poesia religiosa del
Cinquecento (in particolare a fine secolo), con effetti vistosi e di lunga meta-
morfica durata. Il punto di svolta strutturale è certamente da riconoscere nella
profonda riorganizzazione, da parte della nuova Chiesa tridentina, delle pratiche
da sempre costitutive dell’esperienza religiosa del devoto cristiano (la medita-
zione e la preghiera, il peccato e la colpa, il pentimento e la conversione), in
particolare con la centralità della confessione auricolare126, ma nelle dinamiche
che fanno dell’antica tradizione dei salmi penitenziali un diffuso paradigma
comunicativo, una moda letteraria, occorre tenere conto anche delle autonome
topiche universalmente distribuite come grammatica elementare (di lingua e di
forme) dal Petrarchismo classicistico.
Non foss’altro perché nella memoria della poesia del Cinquecento l’archite-
sto di Petrarca funziona come fattore genetico di gran parte (se non di tutte) le
esperienze comunicative del conflitto interiore: il poeta, in quanto soggetto del-
l’enunciazione ma anche dell’enunciato (colui che scrive/dice io: è la poesia
lirica a fondare la consapevolezza del soggetto che parla di sé), è non solo, e
non soltanto, innamorato, ma è soprattutto dolente e in lagrime. In tutti i casi –
ed è questo il fattore fondamentale – il lessico resta invariato: innamorato o pec-
catore che sia, il poeta piange e versa lagrime (mi limito a ricordare che l’area
semantica delle lagrime ricorre nel testo dei Rerum vulgarium fragmenta per più

125
Cfr. Jean Balsamo, Dante, l’Aviso piacevole et Henri de Navarre, in «Italique», I
(1998), pp. 79-91.
126
D’obbligo è il rinvio al fondamentale libro di Adriano Prosperi, Tribunali della
coscienza: inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1996.

192
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

di 70 volte, mentre quella del pianto ha più di 150 occorrenze), e spesso, consa-
pevole delle sue colpe e dei suoi peccati, racconta la storia della sua conversio-
ne. Seguendo pur sempre Petrarca.
Pianto e lagrime, dunque: anzi, un’alluvione di lagrime.

Il cortocircuito tra la tradizione lirica e quella dei salmi penitenziali è, dunque, necessa-
rio, quasi obbligato, e prospetta una fluidità interdiscorsiva che riguarda anche le forme (nar-
rative e liriche). A esempio: le sette lunghe preghiere in ottava rima del “fisico” toscano
Niccolò Lorenzini, Il peccator contrito (in 12°: 152 carte), con due edizioni nel 1591; la
Prima parte del rimario doloroso (in 8°: 24 carte) del gesuato ferrarese Desiderio Piacentini;
la canzone di Ludovico Puinthner, Conversione del peccatore, nel 1599.
La connessione tematica della poesia delle lagrime con la tradizione dei salmi penitenzia-
li è, del resto, immediatamente dichiarata, già in alcuni titoli prima citati: come quello del
benedettino Germano Vecchi, Lagrime penitenziali composte in sette canzoni a imitazione
de’ sette salmi penitenziali di David profeta; come quello del carmelitano Zaccaria
Bergomelli: Lagrime del peccatore nei sette salmi della penitenza di Davidde; come quello
del tanto più famoso Angelo Grillo: Lagrime del penitente ad imitazione de’ sette salmi peni-
tenziali di Davide. Ma anche, in forma tanto più generica ma significativa della pervasiva dif-
fusione di questo tema, nella stampina (in 4°: 4 carte) che propone El lamento del peccatore,
nel 1515.
La tradizione penitenziale dei salmi e quella delle lagrime del poeta peccatore si innesta-
no anche su altre tradizioni, tanto più antiche: su altri pianti e su altre lagrime, certamente
non solo di poeti innamorati e peccatori. Soprattutto sulla tradizione del lamento e pianto di
Maria ai piedi della croce, e quindi sul racconto della passione di Cristo: in una serie di stam-
pine con testi anonimi in ottava rima dedicati al Lamento della vergine Maria (editi ripetuta-
mente nell’età degli incunaboli e significativamente ripresi nel 1567); e quindi nel testo di
riferimento, Il devotissimo pianto de la gloriosa Vergine Maria dell’eremitano Enselmino da
Treviso (morto verso il 1440), in terza rima: con almeno quindici edizioni tra il 1477 e il
1540 (la princeps: in 4°: 26 carte). Ma non solo: Leonardo Giustinian evidenzia la correlazio-
ne, di causa ed effetto, tra la passione di Cristo e il pianto di Maria, con il Pianto devotissimo
de la Madonna istoriado in terza rima, nel qual tracta la passione del nostro signor Iesu
Cristo (nel 1505: in 4°: 32 carte).
È pur sempre a questa tradizione, riconnotata nel suo senso “spirituale” (ora distintivo di
un gruppo impegnato nel travaglio di una Chiesa che cerca la propria riforma), che si connet-
te il Pianto sopra la passione di Cristo di Vittoria Colonna (edito autonomamente nel 1556, e
più volte in seguito): un testo fondamentale nella storia dell’evangelismo italiano, per la cen-
tralità del Crocefisso, solo tramite di salvezza127. Ma se la posizione degli evangelici entra in
rotta di collisione con altri poteri della Chiesa di Roma, risultando sconfitta e dispersa, non

127
Rinvio alla scheda di Antonio Corsaro nel volume Vittoria Colonna e Michelangelo,
Mandragora, Firenze 2005, p. 140, nonché ai saggi, raccolti in questo stesso volume, di
Gigliola Fragnito, Monica Bianco e Vittoria Romani (quest’ultimo analizza i disegni di
Michelangelo, tra cui il famoso Crocefisso con due angeli dolenti). A questo proposito, ricor-
do che qualche anno prima, nel 1543, Panfilo Ganimede aveva composto il Pianto al croce-
fisso da i versi del Petrarca.

193
Amedo Quondam

per questo si esaurisce l’esperienza di una poesia che versa lagrime di penitenza sulla passio-
ne e sulla sua croce: e non solo perché da tempo è vulgata dal facile racconto in ottava rima
del senese Niccolò Cicerchia (1335-1376), La passione di Cristo (in 4°: 48 carte), appunto,
con almeno sedici edizioni tra il 1483 e il 1600128.
La croce e la passione di Cristo restano la scena primaria: e se non possono più esserci
testi che scandiscano in versi il lamento di Cristo (veicolato da alcune stampine di testi in
ottave, ma solo a fine Quattrocento), quel momento topico riguarda i suoi protagonisti, Maria
e suo figlio, e la Maddalena. Come nelle Stanze per le lagrime di Maria Vergine santissima e
di Giesu Cristo nostro signore di Torquato Tasso, che esplodono nel 1593 (con sei ristampe,
più una l’anno successivo), dopo che il francescano Giacomo da Porto, aveva pubblicato nel
1588 un opuscoletto con le Lacrime della Madonna (in 8°: 4 carte: in quartine di settenari)129.

I grandi protagonisti della poesia delle lagrime sono due: la Maddalena e Pie-
tro. La prima è una delle figure più famigliari alla sensibilità moderna (e tanto
più in pittura), anche per la sua ambigua fascinazione di peccatrice convertita.

È protagonista di storie molto popolari, in cantari anonimi e in rappresentazioni, nonché


in testi d’autore: un rapido spoglio dei dati di Edit16 consente di rilevare la presenza del
nome della Maddalena in oltre 100 titoli. Per stare ai dati di BPR, tra i testi di autore, spicca
la storia narrata in ottava rima dal “maestro” folignate Marco Rosiglia, La conversione di
santa Maria Maddalena, e la vita di Lazzaro e di Marta (8° 44 carte), con almeno otto edi-
zioni tra 1513 e 1518130. La funzione della sua figura (anche propriamente iconica) sembra
mutare profondamente nel secondo Cinquecento, quando diventa immagine simbolica del
pentimento (in quanto approdo della conversione) colto nel momento in cui si scioglie in
lagrime: se infatti la Maddalena è soggetto titolare del suo proprio pianto già con il fiorentino
Bernardo Pulci (1438-1488: Il pianto della Maddalena è pubblicato però, e significativamen-
te, solo in alcune tarde stampe della Passione di Niccolò Cicerchia, cioè nel 1551 1591 1600;
una trouvaille d’antiquariato ora funzionale), a fine secolo, nell’alluvione di lagrime che con-
nota la poesia profana e sacra, la Maddalena che piange trova la sua consacrazione in testi
d’autori eccellenti. Nei poemetti in ottava rima intitolati Le lagrime di santa Maria
Maddalena, di Camillo Camilli (in 4°: 6 carte; con tre edizioni tra il 1582 e il 1597)131 e di
Marco Filippi (in 8°: 8 carte; in edizione autonoma nel 1589, ma dal 1562 con la Vita di santa
Caterina vergine e martire, stampata altre sei volte fino al 1585; e nel 1578 con le già ricor-
date Rime spirituali); e in quelli intitolati Lagrime della Maddalena, del cremonese

128
Ma è significativo che dopo l’addensarsi di 13 ristampe fino al 1515, questo testo sia
ripubblicato ancora nel 1551, 1591, 1600: e non come un residuo archeologico di remote
preistorie.
129
È autore dei poemetti in terzine Filomena di san Bonaventura (nel 1585 e 1586; in 4°:
10 carte) e Il serafico san Francesco, nel 1595 (in 8°: 242 carte).
130
È autore anche di una Miscellanea nova, con rime anche di «altri auctori», contenente
«sonetti, capituli, egloghe e strambotti», edita nel 1543 da Zoppino.
131
Nato forse a Siena lavorò a lungo a Ragusa, dove morì nel 1615: apprezzato traduttore
dallo spagnolo (la gran parte delle 62 schede di Edit16), poeta (continuatore di Tasso: Cinque
canti aggiunti alla Liberata), studioso di imprese.

194
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Bartolomeo Malombra (in 4°: 4 carte; nel 1582) e del friulano Erasmo da Valvasone (1523-
1593), con due edizioni nel 1586 (in 12°: 12 carte) e poi ristampato almeno altre sette volte,
tra il 1587 e il 1599, con Le lagrime di san Pietro di Luigi Tansillo132. Anche La conversione
di Maddalena (in 4°: 10 carte), un poemetto in ottava rima del già ricordato servita trevigiano
Giuseppe Policreti, correla esplicitamente l’equivalenza tra conversione e lagrime.

Anche Pietro piange: «pietose lagrime», le sue, «doppo l’aver negato il suo
Signore», come recita il titolo esteso delle già citate Rime spirituali di Cristo-
foro Scanello, un opuscoletto del 1579. E se il testo del cremonese Giovanni
Maria Paroli, Pianto di san Pietro, ha una presenza marginale (è pubblicato con
le Stanze sopra i quindici misteri del santissimo rosario di un altro cremonese,
Cesare Della Porta, nel 1595), l’opera destinata a segnare la breve stazione delle
«pietose lagrime» è quella di Luigi Tansillo: con una complessa storia testuale
postuma, che vede al lavoro, in successione, ben tre diversi curatori (Giovanni
Mario Verdizzotti, Giovanni Battista Attendolo e Tomaso Costo)133. Solo restan-
do ai dati dei repertori impiegati per costituire BPR, Le lagrime di san Pietro, in
autonoma edizione, dopo la princeps del testo completo curata da Giovan
Battista Attendolo nel 1586 (in 4°: 146 carte), hanno un successo straordinario:
con almeno dieci edizioni fino al 1599 (e altre sei fino al 1618).
Per completare la ricognizione tra i dati di BPR, restano da segnalare: il
francescano Bonaventura Gonzaga, Lagrime di diversi, nel 1572; l’aretino Luca
Guadagnoli, Le lagrime di se stesso (in 4°: 12 carte), nel 1587; l’aquilano
Bartolomeo Giovannini, Il pianto e le lacrime di se stesso, nel 1589 (in 8°: 8
carte); il canonico ferrarese Giovanni Paolo Braccini, Pianto e lagrimose rime a
diversi signori (in 8°: 54 carte), nel 1595; e il cassinese Felice Passero,
Lacrimose rime nella passione e morte del signore Gesù Cristo (in 8: 96 carte),
nel 1597.
E infine, anche questo segmento tematico della tradizione poetica cinque-
centesca (un microgenere tra narrazione e introspezione, che si brucia effimero
in un breve arco di tempo), trova la sua raccolta, tipologicamente diversa, per la
forma dei testi: nel momento culminante della sua esplosione, nel 1593, con la
Raccolta di lagrime (con i testi di Angelo Grillo e di Erasmo da Valvasone),

132
Segnalo anche le Lagrime di santa Maria Maddalena, del francescano Antonio da
Castell’Arquato, stampate nel 1599; e l’Indegno pianto e mala morte di Giuda, del siciliano
Ottaviano Sardo, nel 1581; non sono comprese in Biblia. La fortuna della Maddalena, in poe-
sia e in pittura si espande per tutto il Seicento: La Maddalena penitente di Paolo Silvio nel
1602; La Maddalena. Poema di Giovan Battista Andreini nel 1610; La Maddalena penitente.
Poemetto eroico di Felice da Maida nel 1616. Per non dire della diffusiva sua presenza tra i
lirici barocchi o marinisti.
133
Cfr. Gian Piero Maragoni, La devozione e la letteratura. Sulla poesia sacra di Luigi
Tansillo, Unitor, Roma 1991, pp. 7-8.

195
Amedo Quondam

subito dopo, nello stesso anno, replicata dallo stesso editore con l’integrazione
del testo di Torquato Tasso (le Stanze per le lagrime di Maria vergine santissi-
ma e di Giesu Cristo nostro signore), che proprio nel 1593 tutti vogliono legge-
re.

Ma non di queste sole lagrime è bagnata l’editoria cinquecentesca: un rapido spoglio dei
dati di Edit16 consente di riconoscere la pervasività di questo tema, che riguarda le congiun-
ture politico-militari delle guerre d’Italia (con il pianto di Genova e Roma, e soprattutto
dell’Italia stessa «sopra le città saccheggiate») o delle guerre con i Turchi (il «lagrimoso
lamento» del gran Maestro di Rodi conquistata, e, di converso, il pianto di Solimano dopo
Lepanto) o quelle legate alle devastanti pestilenze degli anni Settanta («il pianto della sconso-
lata città di Vicenza», e di Milano e di Palermo); ma si ritrova anche il «pianto estatico» del
duca di Savoia, Carlo Emanuele.
Le lagrime affiorano nel sistema dei titoli soprattutto in quella particolare tipologia della
“raccolta di rime di diversi autori” che si afferma nel secondo Cinquecento, in una società
ormai tanto classicisticamente petrarchizzata da scandire nelle forme canoniche delle rime
ogni suo evento, anche di cordoglio e di lutto per la morte di personaggi più o meno illustri,
spesso di piccoli ambienti di provincia (amici, fratelli, mogli). Rime funebri, in lagrime e
pianti, dunque: per Antonio d’Aragona (1543), Giovanni Paolo Baglione (1547), Andalò
Bentivogli (1590), Giovan Battista Burchelati Amiconi (1599), Marcantonio Colonna, Maria
Colonna d’Aragona (1553), Eliseo Del Bene (1586), Eleonora d’Este (1585), Giovanni
Grimani patriarca d’Aquileia (1594), Margherita Paleologa duchessa di Mantova (1567),
Fabio Pepoli (1580), Elena Ravignani (1594), Lucina Savorgnan Marchesi (1599),
Bartolomeo Tomasi (1552).
Lagrime e pianto, dalla storia e dalle cronache locali e famigliari, ai personaggi della cul-
tura e della poesia: se è topico il pianto di Eraclito di contro al riso di Democrito, versa lagri-
me Angelica, piange Ruggero, e si scioglie in «amoroso lamento» Olimpia abbandonata da
Bireno «nell’isola del Pianto».

2.3. L’analisi del sistema dei titoli nei dati di BPR consente di riconoscere la
presenza di riferimenti diretti alla Sacra Scrittura. Una questione cruciale nel-
l’età della riforma tridentina: che l’obiettivo strategico perseguito dagli inter-
venti ecclesiastici, dopo il Concilio, fosse rivolto ad assicurarsi il controllo (tra-
mite divieti e condanne: e sequestri di libri) di ogni pratica di volgarizzamento
(anche in versi) della Bibbia, è stato molto bene illustrato da Gigliola
Fragnito134, che ha peraltro anche descritto analiticamente le profonde contrad-

134
In particolare rinvio a questa sua precisazione: «le traduzioni metriche della Bibbia,
sia in latino che in volgare, erano state […] vietate fin dagli anni settanta in alcune liste
aggiuntive inviate da Roma, ma non erano state oggetto di un’esplicita condanna nell’indice
del 1596. Questa lacuna normativa costrinse […] la Congregazione dell’Indice ad un chiari-
mento: nell’agosto del 1596 decretò che le versificazioni integrali o parziali della Bibbia
apparse dopo il 1515 erano proibite» (Fragnito, La Bibbia al rogo cit., p. 302).

196
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

dizioni e le insormontabili difficoltà esecutive di questa strategia. Per quanto


riguarda, in particolare, i rapporti dei poeti (o aspiranti tali) con la Scrittura, il
quadro normativo si definì solo nel 1605, quando – ricorda ancora la Fragnito –
il divieto fu limitato «alle versificazioni del nudo testo della Scrittura» e non
alle sue parafrasi135: cioè, oltre la soglia cronologica di BPR.
Quale possa essere stato l’impatto delle lunghe e tutt’altro che univoche ela-
borazioni censorie degli apparati romani sulle pratiche di scrittura (o riscrittura:
secondo Classicismo) di testi in vario modo ispirati dalla Bibbia è, in una certa
misura (che non può tenere conto delle dispersioni e degli oltraggi sul materiale
librario di volta in volta condannato), documentato dalla sequenza dei record di
BPR. Ne risulta un quadro sicuramente rappresentativo, seppure nei limiti di
sempre dell’informazione bibliografica sui materiali antichi, rafforzati dal fatto
che si tratta pur sempre di edizioni particolarmente sensibili ai fattori esterni
(Indice, inquisitori, e quant’altro), e proprio nella turbolenta caldissima con-
giuntura post-tridentina.
Tutto ciò necessariamente premesso, l’analisi dei dati di BPR consente di
riconoscere che, per quanto il fattore strutturale del riuso della Scrittura sia
immediatamente riconoscibile nella rilevantissima centralità del tema cristologi-
co e, più ancora, del culto mariano, non per questo l’Antico Testamento risulta
marginalizzato, anche se, pur sempre, finisce per collocarsi in secondo piano
nelle opzioni dei poeti, professionisti o dilettanti che siano, ma non solo per
effetto delle deliberazioni romane.

Certamente esile è la trama di riferimenti biblici che sostiene alcune tipologie di scrittura
(e di stampa) di alcuni opuscoletti che trattano materie sia del Vecchio che del Nuovo
Testamento: come gli Evangelii della quadragesima composti in versi (in 4°: 26 carte) di
Castellano Castellani (editi più volte tra il 1514 e il 1534) e, a fine secolo, nel 1593, i Sonetti
sopra tutti gli Evangelii che si leggono la Quaresima, secondo la disposizione de’ sacri dotto-
ri di santa Chiesa (in 12: 12 carte) di Pietro Cresci; o come le Rime sopra alcuni evangeli e
salmi di Giovanni Antonio Rojani; o come l’anonima Canzone sopra il monte Carmelo nel
quale abitarono già Elia ed Eliseo profeti, nel 1585 (in 4°: 8 carte). E poi: il poemetto in otta-
va rima, Istoria nova cavata della Bibbia, la quale tratta in che modo nacque Sansone e li
gran fatti e mirabil prove che lui fece contra li Filistei e in che modo moritte (in 8°: 8 carte)
del veronese Francesco degli Allegri, nel 1525136; i Trascorsi e descrizione breve sopra le
cose del Testamento Nuovo in terza rima, colligatici a tutti i terzetti versi di Virgilio (in 8°: 18
carte), nel 1543, del centonatore marchigiano Ganimede Panfilo, sempre in terzine137; le Rime

135
Ibidem, p. 303.
136
È autore anche della Fede de misser Iesu Cristo, la qual invoca soccorso da tutti i
gran re della Cristianità (in 4°: 6 carte), nel 1501: una invocazione alla crociata contro i
Turchi, in terza rima; e di alcune altre opere.
137
È autore anche del già ricordato centone Pianto al crocefisso dai versi del Petrarca,
nel 1543 (in 4°: 6 carte).

197
Amedo Quondam

spirituali raccolte dalla Sacra Scrittura (in 4°: 2 carte; in 8°: 8 carte; in ottava rima), stampa-
to due volte nel 1575138.
Hanno un corpo più consistente i Sonetti tolti dalla Scrittura e da’ detti de’ santi (in 4°:
32 carte) dell’autorevole Antonio Sebastiano Minturno, pubblicati nel 1561139; e soprattutto
Le sacre istorie de l’Antico Testamento dal principio di Giosuè insin al fin del quarto libro
de’ Re; con discorsi molto utili a instruzzion d’ogni fedele, in ottava rima (in 4°: 200 carte)
del domenicano Sisto Poncelli, edite nel 1568140; o La servitù di Giuseppe tolta dal Genesi e
tradotta in ottava rima (in 8° 122 carte) dell’abate aquilano Amico Agnifilo.
Se questi due ultimi titoli mettono in gioco l’esperienza contemporanea del poema sacro,
del tutto diversa risulta, proprio rispetto ai titoli sin qui citati, la situazione delle diffuse
Figure del Vecchio/Nuovo Testamento illustrate da versi vulgari italiani del letterato fiorenti-
no Gabriele Simeoni (1509-1576), ristampate non meno di dieci volte tra il 1554 e il 1577 (a
Lione e a Venezia): due libri di figure, appunto, cioè raccolte di immagini (incisioni di qualità
ben diversa dalle tradizionali immaginette silografiche di tantissime stampine) di significativi
episodi scritturali accompagnate da stanze esplicative141. Pittura e poesia, pur sempre correla-
te: arti sorelle.
Il rapporto con la Bibbia è fatto soprattutto di narrazioni in ottava rima: nella selva dei
poemetti agiografici che tra Quattrocento e Cinquecento divulgano, con pratiche di scrittura
mediobasse e per lo più anonime, le avventure eroiche di santi e di sante (in termini struttu-
ralmente omologhi a quelle dei cavalieri e delle loro dame), si evidenzia la continuità di que-
sta tradizione di racconto in versi.
Per stare ai dati della sezione Ib di BPR, la più esposta a irreparabili perdite di documen-
tazione bibliografiche, per la natura stessa delle sue esili stampe destinate al consumo dei let-
tori, la presenza dell’Antico Testamento è attestata soltanto dall’anonima Storia di Susanna e
Daniello (in 4°: 4 carte), con almeno sei edizioni tra 1495 e 1521, e con due riprese nel 1543
e nel 1600. Mentre nella sezione dei testi d’autore (Ic di BPR) risulta ben più profilata: con la
Istoria di santo Iob profeta (in 4°: 6 carte) del fiorentino, poi membro della romana
Confraternita del Gonfalone, Giuliano Dati (1445-1523), con almeno tre edizioni tra 1495 e
1505; e soprattutto con due impegnative riscritture della storia, ancora, di Giuseppe: quella
del marchese di Savona, Galeotto Del Carretto (1455-1530; L’istoria di Gioseppe da’ fratelli
venduto, da la Bibia di parola in parola e in ottava rima tradotta, nel 1542; in 4: 22 carte) e
quella dell’infaticabile letterato veneziano Lodovico Dolce (1508-1568; La vita di Giuseppe
discritta in ottava rima, nel 1561; in 4°: 44 carte).

138
Non risultano disponibili notizie sul libro di Giovanni Antonio Rojani, Rime sopra
alcuni Evangeli e salmi, L’Aquila, snt, 1582 (Biblia 4065). La Descrizione della santa e anti-
ca citta di Gierusalem nel modo che ella era inanzi la distruzzione e nel tempo di Giesu
Cristo salvatore nostro raccolta dalla Sacra Scrittura e da diversi auttori, del 1591, è in BPR
per «alcune ottave spirituali sopra li mesi dell’anno con le feste loro».
139
Ricordo le già citate sue Canzoni sopra i Salmi, dello stesso anno.
140
È autore anche di Canti devotissimi nella sacra istoria della passione, sepoltura,
resurrezione e ascensione del salvator nostro Giesu Cristo. E dell’eccellenza della beatitudi-
ne, nel 1566 (in 8°: 140 carte).
141
Simeoni è autore di diverse altre opere d’iconografia delle imprese e di antiquaria,
nonché di traduzioni dal latino (le Metamorfosi di Ovidio) e di satire. Per la condanna delle
Figure, cfr. Fragnito, La Bibbia al rogo cit., p. 308.

198
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

A fine secolo la materia biblica risulta affare di chierici: nel 1589 il teologo pescarese
Francesco Piccolomini Fedeli, compila un Compendio di quanto sia successo dopo il peccare
del nostro primo padre Adamo per la salute dell’umana generazione fino alla fine de’ secoli e
dell’eterna gloria in versi sciolti (in 4°: 98 carte); nel 1590 e 1591 il mantovano canonico
regolare lateranense Gregorio Comanini pubblica un’opera significativa già nel suo stesso
titolo di queste modalità di riuso del testo biblico: De gli affetti della mistica teologia tratti
dalla cantica di Salomone e sparsi di varie guise di poesie, ne’ quali favellandosi continua-
mente con Dio e ispiegandosi i desiderii d’un’anima innamorata della divina bellezza, s’ecci-
ta meravigliosamente lo spirito alla devozione (in 4°: 132 carte).

Anche se la tipologia delle riscritture bibliche continuerà a incrociarsi con le forme metri-
che della tradizione lirica (e quindi con le “rime spirituali”142), il segmento più significativo
delle versificazioni bibliche che emerge da questi primi dati è certamente quello narrativo (in
ottava e terza rima): geneticamente omologo – come ho già detto e ripeto: ma è davvero
essenziale questa contestualizzazione – alla ricchissima fenomenologia dei coevi romanzi di
cavalleria (e d’altro). Il rapporto di questa poesia religiosa (tale non solo perché fa i conti con
la “materia” della Bibbia) con l’esperienza della poesia che a noi sembra autonomamente
profana diventa tanto complesso (e biunivoco) quando entrambe incrociano il problema dello
statuto classicistico del poema eroico: quando, cioè, iniziano a pensare e a progettare se stes-
se, ma solidalmente insieme, come “poema sacro”. È insomma, quanto esemplarmente
Torquato Tasso rappresenta al più alto livello di consapevolezza letteraria (e religiosa), nel
tormentatissimo suo labirintico (e malinconico) percorso sperimentale dalla Liberata alla
Conquistata, fino al Mondo creato (ricordo che i due primi libri di questa opera, avviata nel
1592, sono editi postumi nel 1600: come «poesia sacra»).
Il poema sacro, dunque, e in primo luogo la tradizione esameronica (cioè il libro della
Genesi): nei suoi fondamenti patristici: da san Basilio di Cesarea a san Gregorio di Nissa, a
santo Ambrogio; e nei suoi sviluppi medievali, fino a Egidio Romano143. Il punto di svolta per
la sua ripresa in età moderna è nel volgarizzamento dell’Essamerone di sant’Ambrogio pub-
blicato da Francesco Cattani da Diacceto (1531-1595), vescovo di Fiesole, raddoppiato, tre
anni dopo, con un suo Essamerone. Quando poi, nel 1592, Ferrante Guisone (1530-1597),
ambasciatore a Parigi del duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, pubblica la sua traduzione
in versi della Sepmaine ou création du monde dell’ugonotto Guillaume Du Bartas (1544-
1590)144, la tradizione del poema esameronico diventa una moda letteraria universale, indi-
pendente anche dall’appartenenza degli autori alle ormai radicate, differenti e in reciproco

142
A esempio, con rime spicciolate: nel caso del francescano Faustino Tasso, che stampa
un suo Sonetto nella morte del Figliuol di Dio (senza data: in 4°: 1 carta); o in quello del
senese Nicolò Acquisti, che stampa nel 1591 una canzone La stella alla sacra capanna (in 4°:
4 carte).
143
Nel 1515 era stata pubblicata la traduzione latina di Giovanni Argiropulo
dell’Hexameron di Basilio Magno; nel 1553 appare il Doctissimus in Hexameron [di san
Basilio] commentarius di Gregorio di Nissa.
144
L’opera di Guillaume Du Bartas era stata edita a Parigi nel 1578: subito un evento edi-
toriale europeo: in pochi anni più di trenta edizioni e traduzioni in latino italiano inglese tede-
sco. Dopo la prima edizione del 1592, la traduzione di Guisone ha un immediato successo,
con quattro ristampe tra il 1593 e il 1603.

199
Amedo Quondam

conflitto, confessioni cristiane: in Italia, attraverso Tasso, giunge al benedettino Felice


Passero (L’essamerone, overo l’opra de’ sei giorni: 1608) e a Gasparo Murtola (Della crea-
zione del mondo, poema sacro, giorni sette, canti sedici: 1608); e quindi, nel corso del
Seicento, al sacerdote Benedetto Menzini (Del terrestre paradiso libri tre: nel secondo volu-
me delle sue Opere toscane, più volte stampate) e al somasco Giuseppe Girolamo Semenzi (Il
mondo creato diviso nelle sette giornate, poesie mistiche: 1686).

Se queste sono, a grandi linee, le tendenze del riuso poetico di materiali del Vecchio
Testamento, per il Nuovo il loro quadro si prospetta, ovviamente, molto più articolato e ricco,
in grado di accogliere il rifacimento anche di testi apocrifi come l’anonimo Libro chiamato
Infantia Salvatoris nel quale si contiene la vita, miracoli e passione di Giesù Cristo e la crea-
zione di Adamo e molte cose come legendo intenderai (nel 1513 e 1515 con Il pianto de la
Virgine Maria di Enselmino da Treviso, nel 1541 in autonoma edizione: in 8°: 120 carte):
l’assetto del titolo è di per sé significativo, nel suo essere omologo ai tanti libri di cavalleria
intestati agli eroi che ne sono protagonisti (Libro chiamato Aspramonte, Libro chiamato
Persiano figliolo de Altobello, Libro chiamato Buovo de Antona, eccetera).
Per quanto riguarda le rielaborazioni narrative di personaggi e situazioni del Nuovo
Testamento, BPR fornisce questi dati tra i poemetti anonimi: La istoria e orazione di santo
Stefano protomartire quale fu eletto diacono dalli apostoli e come fu lapidato da’ giudei (in
4°: 2 carte) di cui sembra sopravvivere solo la ristampa (dichiarata in frontespizio) del 1576;
La devotissima istoria de li beatissimi sancto Pietro e sancto Paulo apostoli de Cristo con el
loro martirio e morte e come furno miracolosamente trovati li loro corpi in un pozzo (in 4°: 4
carte), con cinque edizioni tra 1530 e 1580; la Istoria di sancta Elena quando ritrovò la croce
di Iesu Cristo (in 4°: 2 carte), con almeno tre edizioni tra 1497 e 1515, e con due riprese nel
1550 e 1590; La vita e morte di santo Ioanne Baptista (in 4°: 4 carte), con tre edizioni tra il
1491 e il 1501, e una ripresa nel 1560. Il poemetto anonimo più diffuso è però la Storia di
santa Maria Maddalena, Lazzaro e Marta (in 4°: 4 carte), con almeno dodici edizioni quasi
regolarmente distribuite tra il 1490 e il 1588; che raddoppia il successo della Conversione di
santa Maria Maddalena (in 8°: 8 carte), con almeno quattro edizioni tra 1475 e 1516 e con
due riprese nel 1570 e nel 1600; e si affianca alla già citata Conversione di santa Maria
Maddalena, e la vita di Lazzaro e di Marta (8° 44 carte) di Marco Rosiglia, con almeno otto
edizioni tra 1513 e 1518.
Tra i testi d’autore due sole schede: La vita dil sanctissimo Ioanni Baptista (in 4°: 1494)
dell’umanista marchigiano Francesco Filelfo (1398-1481); e soprattutto Gli atti degli
Apostoli secondo san Luca tradotti in lingua volgare in rima volgare (in 4°: 75 carte) del
nobile fiorentino, fattosi cappuccino, Lodovico Filicaia, editi nel 1548 e 1549.

Come ho già osservato a proposito della tradizione dei salmi penitenziali,


anche per la presenza di personaggi e situazioni dell’Antico Testamento sarebbe
necessario il riscontro con le coeve opere in prosa, impegnate nella ricerca di
una forma per la scrittura religiosa. Anche in questo caso mi limito a un solo
esempio: Il Genesi con la visione di Noè (in 8°: 120 carte) di Pietro Aretino, in
prima edizione nel 1538 (e con altre sette ristampe tra il 1539 e il 1551).

2.4. Il rapporto con il Nuovo Testamento è dominato dalla centralità di


Cristo. Soprattutto dalla sua passione, narrata da alcuni dei best sellers di primo

200
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Cinquecento: testi d’autore che vengono da lontano, come La passione di Gesù


Cristo del senese Niccolò Cicerchia (1335-1376), in ottava rima, con almeno
tredici edizioni tra il 1483 e il 1515, e altre tre ristampe sparse tra il 1551 e il
1600; come La vita et passione de Cristo, in terza rima, del piacentino Antonio
Cornazzano (1429-1484), con almeno sei edizioni tra il 1472 e il 1519, e una
ripresa nel 1531; come La passione del nostro signor Gesù Cristo, in terza rima,
del fiorentino Bernardo Pulci (1438-1488), con almeno tre edizioni tra il 1489 e
il 1490, e una ripresa nel 1600.

Se questi testi che vengono da lontano e continuano a sopravvivere tipograficamente ancora


a fine Cinquecento sono opera di scrittori laici, i nuovi testi che narrano la passione di Cristo
sono opera soprattutto di chierici: il francescano mantovano Pietro Arrivabene (Opera devotissi-
ma continente le piissime meditazione de la passion de Cristo, cum alquanti capituli in verso
vulgare de la dita passion e alcuni altri capituli devotissimi novamente composti, nel 1511; in
4°: 118 carte); l’agostiniano Valerio da Bologna (Prologo della amarissima e lagrimevole pas-
sione del nostro redentore Gesu Cristo ad imitazione del primo capitolo del Triompho d’Amore
di Francesco Petrarca servando le medesime rime, in terza rima, con tre edizioni tra 1529 e una
ripresa nel 1562; in 8: 60 carte); il domenicano Sisto Poncelli (Canti devotissimi nella sacra
istoria della passione, sepoltura, resurrezione e ascensione del salvator nostro Giesu Cristo. E
dell’eccellenza della beatitudine, in ottava rima, nel 1566; in 8°: 140 carte); il lateranense
Angelo Michele da Bologna (Rime spirituali sopra la passione e morte del nostro signor Giesu
Cristo, nel 1596; in 4°: 6 carte); e ancora il cassinese Felice Passero (Lacrimose rime nella pas-
sione e morte del signore Gesù Cristo, nel 1597; in 8°: 96 carte).
Non per questo, però, si assottiglia il drappello dei poeti laici. Tutt’altro: meditare e scri-
vere sulla vita e sulla passione di Cristo è un esercizio (in senso proprio: letterario e spiritua-
le) che coinvolge molti. Con testi impegnativi: il veneziano Antonio Maria Contarini pubbli-
ca nel 1551 Il trattato della vita, passione e resurrezione di Cristo, in ottava rima (in 8°: 63
carte); l’aquilano Giovanni Battista Filauro pubblica nel 1578 (e 1580) Della passione, morte
e resurrezione di Gesù Cristo (in 12°: 118 carte); e dopo tanto tempo, rispetto agli anni di
Vittoria Colonna, in una poesia (e in una letteratura) dominata dagli uomini (chierici e laici),
di nuovo una scrittrice, la veneziana Modesta Dal Pozzo Zorzi (1555-1592; si firma Moderata
Fonte) con due poemetti in ottava rima: La passione di Cristo descritta, nel 1582 (in 12°: 27
carte); e La resurrezione di Giesu Cristo nostro signore che segue alla santissima passione,
nel 1592 (in 4°: 30 carte). Ma il tema della passione di Cristo è comunque pervasivo, anche
in stampine di singoli componimenti: l’altrimenti famoso bolognese Giulio Cesare Croce
pubblica nel 1576 un opuscoletto di Rime compassionevoli, pietose e divote sopra la passio-
ne, morte e resurrezione del nostro signore Giesu Cristo. Composte con bell’artifizio ad imi-
tazione del primo canto dell’Ariosto (in 4°: 4 carte); e ancora: nel 1597 è autonomamente
pubblicata (in opuscoletto in 4°: 4 carte) la Canzone in meditazzione della passione del
nostro signore Giesu Cristo, fatta il venerdì santo al Monte Oliveto di Firenze di Torquato
Tasso145.

145
IN BPR sono registrati anche alcuni testi anonimi: Primo trionfo di messer Francesco
Petrarca trasmutato nella passione del salvator nostro Giesù Cristo. Con un sonetto alla
beata Vergine (in 8°: 4 carte; senza data); Passione del nostro signore Gesù Cristo, con alcu-

201
Amedo Quondam

Per contestualizzare queste scritture d’autore (e le altre di cui darò poi ragguaglio) è
comunque indispensabile tenere conto della fittissima trama costituita dai tanti racconti ano-
nimi in ottava rima della storia di Cristo: tutti insieme, nel continuo loro essere replicati a
mezzo stampa, ne costituiscono infatti la basic narrazione, il suo vulgatissimo paradigma pri-
mario. Ed è rispetto a questa grammatica narrativa che si definiranno, lungo il Cinquecento,
gli esperimenti di un poema eroico (e sacro) che abbia come protagonista Cristo.
Nella tradizione dei poemetti anonimi in ottava rima (in BPR la sezione Ib) sembra
avviarsi tardi il racconto autonomo della natività: Opera nova sopra la natività di Iesu Cristo
con un bellissimo capitolo (in 4°: 4 carte), nel 1550; Come i pastori andorono a offerire e de
la crudeltà del re Erode (in 4°: 4 carte), nel 1553; La legenda della natività del nostro signor
Iesu Cristo, secondo che gli pastori lo andorno adorare (4°: 4 carte), nel 1580; Opera nova
sopra la natività di Giesu Cristo con un bellissimo capitolo, aggiuntovi di nuovo gli misterii
della Messa (in 8°: 8 carte), nel 1586. Su questo tema BPR registra anche, a fine secolo, alcu-
ni poemetti d’autore: Il viaggio dei pastori al santissimo presepio di Cristo (in 4°: 12 carte)
dell’aretino Luca Guadagnoli, nel 1587; il già citato Baldantonio Solingo con La natività di
nostro signore Giesu Cristo descritta in ottava rima (in 8°: 20 carte), nel 1591; l’Opera in
ottava rima per la natività del Signore dell’alessandrino Annibale Guasco, nel 1599 e 1600
(in 8°: 188 carte: «con altri componimenti spirituali; con cento madrigali a due sue figliuo-
le»); e una canzone d’autore: il Panegirico nel gran natal di Cristo (in 4°: 8 carte) del carme-
litano Pietro Tommaso Saraceni, nel 1594.
Ma subito, sempre tra i poemetti anonimi in ottava rima, domina il tema della resurrezio-
ne di Cristo: la Resurrezione del Nostro Signore (in 4°: 32 carte), con almeno cinque edizioni
tra 1483 e 1503. Questo tema attiva altri testi correlati, come la Leggenda della santa croce di
Lucca (in 4°: 6 carte), con almeno tre edizioni tra 1495 e 1515 e con una ripresa nel 1548; e
soprattutto la Vendetta di Cristo, che nelle sue tre redazioni (O dagli eterni lumi o chiara
lampa in 4°: 24 carte; O eterno Dio ch’el mondo sostiene in 4°: 4 carte; O glorioso in ciel
padre e signore in 4°: 6 carte) ha, rispettivamente, sei edizioni tra 1483 e 1491; sette edizioni
tra 1481 e 1525, con una ripresa nel 1550; una edizione nel 1494 e tre riprese tra il 1550 e il
1569.
La rilevanza del tema della croce e del crocefisso, di cui ho già detto a proposito di
Vittoria Colonna e dell’esperienza degli “spirituali”, si profila anche, tra i testi d’autore, con
l’Orazione di santo Ieronimo al Crocifisso (in 8°: 4 carte) del domenicano Nicola da
Bracciano, con almeno due edizioni tra il 1491 e il 1497, e con due riprese nel 1544 e 1561; e
quindi con i Ritmi vulgares, seu vernaculo sermone, in laudem Crucis (in 8°) del benedettino
messinese Francesco Maurolico, nel 1561; e con il Sonetto della croce (in 8°: 4 carte) di un
non meglio noto Anastasio Turriona da Samarino, senza data. Tra i testi d’autore prevale,
però, il racconto della vita di Cristo: dal poemetto in ottava rima del bidello nello Studio di
Pisa, Pacino da Pistoia (Vita del nostro signore Gesù Cristo: O grande Iddio della città super-
na; in 4°: 12 carte, del 1495), alla canzone di Girolamo Casio de’ Medici (1464-1533; Vita e
morte de miser Iesu Cristo; in 8°: 16 carte; con due edizioni nel 1525).

ne rime in lode della croce (in 4°; nel 1515); Capitoli composti novamente per la passione
del nostro Signore Iesu Cristo (in 8°: 4 carte; nel 1529); e una Canzone nella passione di
Giesù Cristo signore nostro che si sviluppa come «lamento di tutte le creature contra gli
archibugi a ruota» (in 8°: 8 carte; nel 1578).

202
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

È proprio questa radicata e pervasiva centralità di Cristo (e di Maria) a impegnare ben


presto la ricerca classicistica: per dare al racconto in versi della sua vita e passione (e al rac-
conto della vita di Maria) una forma finalmente compatibile con lo statuto del poema. I risul-
tati di questa ricerca sono rilevantissimi, nelle opere e negli autori: in primo luogo nei poemi
in latino di alcuni umanisti. Nel volgere di pochi anni sono infatti pubblicati: nel 1524
Parthenias, liber in divae Mariae historia (in 8°: 122 carte), del sulmonese e accademico
romano Marco Probo de Marianis (1455-1494); nel 1526 i tre libri del De partu Virginis (in
folio: 52 carte), del grande Iacopo Sannazzaro (1458-1530); nel 1535 i Christiados libri sex
(in 4°: 156 carte) di Marco Girolamo Vida (1470-1566), vescovo di Alba. Opere, queste ulti-
me due, subito famose e più volte ristampate, in particolare il De partu Virginis, che sarà
anche tradotto in volgare: da Francesco Monosini nel 1552 (in 12°: 62 carte; con «il lamento
a gli uomini de la morte di Cristo nostro signore»); da Cesare Della Porta nel 1578 (in 8°: 20
carte; solo il primo libro); da Giovanni Giolito nel 1588 (in 4°: 74c). Entrambe con riprese da
parte di altri autori: Vida, dal napoletano Francesco Sovaro, La Cristiade, cinquantatre canti
in terza rima (in folio: 126 carte), nel 1539; Sannazzaro, dal bolognese Girolamo Zoppio, nel
1555, con i tre libri Del nascimento di Cristo (in 4°: 56 carte).
Il poema di Cristo eroe, dunque: dai Christiados libri di Vida alla Cristiade del cortonese
Marco Antonio Laparelli (morto nel 1591), intitolata esplicitamente come «poema eroico»,
edita postuma nel 1618 (in 4°: 148 carte).
In campo volgare, la ricerca di un nuovo assetto narrativo (e formale) porta a opere rile-
vanti: anche e soprattutto con il poema in ottava rima del benedettino mantovano Teofilo
Folengo, La umanità del Figliuolo di Dio (in 4°: 200 carte), in prima edizione nel 1533 e
ristampato nel 1567 e 1578. E poi: con l’opera in terza rima del ferrarese Cherubino Tolomei
degli Assassini, Opera intitolata il Fascicolo della mirrata, redentrice e salutifera, umanità
di Cristo (in 4°: 168 carte), nel 1538; con quella dell’arciprete veronese Giovanni Del Bene,
La resurrezione e ascensione del nostro signor Iesu Cristo. Trattata piamente in sei canti.
Con altre rime devote de diverse sorti e di tutte le solennità de l’anno (in 8°: 152 carte), nel
1544; con quella del nobile fiorentino, poi frate cappuccino, Lodovico Filicaia, La vita del
nostro salvatore Iesu Cristo, overo sacra storia evangelica tradotta non solo di latino in vol-
gare, ma etiam in verso per dare materia al lettore di più suavemente corre el frutto necessa-
rio alla vita di ciascun fedel cristiano (in 4°: 76 carte), nel 1548.
Come sempre, le opere più impegnative sono accompagnate da un ampio corteo di opu-
scoletti di poche carte: come quello del milanese Giovanni Ambrogio Lampugnani, Nella
partenza che fece Giesu dalla matre per andare alla morte. Con dieceotto sonetti sopra ciò
ch’egli di giorno in giorno operò negli ultimi suoi dì santi e più meravigliosi (in 4°: 20 carte),
nel 1546; e ancora: il cremonese Bartolomeo Malombra, Utili e divote meditazioni sopra la
vita e morte di Nostro Signore (in 4°: 8 carte), nel 1574; il servita trevigiano Giuseppe
Policreti, Capitolo a Giesu Cristo (in 4°: 4 carte), nel 1590; il sacerdote ferrarese, Filippo
Nicoletti, Rime spirituali sovra la sollennità del Natale di nostro Signore (in 4°: 5 carte), nel
1593. Anche opere più strutturate come poemetti in ottava rima: l’empolese Enea Galletti,
Narrazione della vita di nostro signore Giesu Cristo (in 8°: 40 carte), nel 1596.

Anche per le scritture dedicate a Cristo sarebbe necessario il riscontro con le


coeve edizioni di testi in prosa impegnati nella sperimentazioni di una nuova
forma della scrittura religiosa. Come per i salmi penitenziali e per il riuso di
materiali veterotestamentari, mi limito a un solo riscontro: con La passione di
Giesù (in 4°: 41 carte) di Pietro Aretino, in prima edizione nel 1534 (e poi con

203
Amedo Quondam

almeno altre cinque ristampe, tra il 1535 e il 1545); confluita nei tre/quattro libri
dell’Umanità di Cristo (in 4°: 120 carte), sempre di Pietro Aretino, in prima edi-
zione nel 1535 (e poi con almeno altre nove ristampe, tra il 1536 e il 1551).

2.5. Con la passione di Cristo, il culto di Maria: tradizioni discorsive (e figu-


rative) antiche, costitutive e proprie della tradizione cristiana occidentale, alme-
no fino alla Riforma, che pervadono stabilmente e diffusivamente le tipografie
sin dall’età degli incunaboli. Con profonde trasformazioni, nella diacronia: dove
ancora una volta sono da cogliere non solo le pertinenze ecclesiastiche (le scel-
te, con divieti e proposte, della Chiesa di Roma: anche rispetto alle scelte delle
chiese riformate), ma soprattutto il senso di una ricerca di forme/funzioni che
riguarda geneticamente l’economia della nuova letteratura classicistica, per dare
al racconto in versi della vita e passione di Cristo e al racconto in versi della
vita di Maria una forma finalmente compatibile con gli statuti della poesia
moderna, e in particolare del poema.
Come ho avuto occasione di rilevare a proposito della testualità che assume
Cristo come materia della poesia, anche per quella che riguarda Maria i risultati
di questa ricerca formale sono rilevantissimi, nelle opere e negli autori: in primo
luogo nelle già ricordate opere in latino di umanisti, tanto più che il tema della
Madre e quello del Figlio sono geneticamente intrecciati sia nella tradizione
antica che nella moderna 146 (ricordo: nel 1524, Parthenias, liber in divae
Mariae istoria di Marco Probo de Marianis, nel 1526, De partu Virginis di
Iacopo Sannazzaro, nel 1535 Christiados libri sex di Marco Girolamo Vida)147.

146
A esempio, nel diffuso testo in prosa convenzionalmente intitolato, nei repertori
bibliografici, Vita di Gesù Cristo e della vergine Maria, con almeno tredici edizioni tra gli
incunaboli; o ancora, per i testi in versi: Leonardo Giustinian, Pianto devotissimo de la
Madonna istoriado in terza rima, nel qual tracta la passione del nostro signor Iesu Cristo
cosa nova (in 4°: 32 carte), nel 1505. O per i moderni testi in versi: La pazzia del cristiano. E
altre rime spirituali in lode della beata Vergine. Con alcune stanze sopra la passione di
Nostro Signore, nel 1585. Per la tradizione del culto mariano (iconografico e discorsivo) sono
fondamentali gli studi di Giovanni Pozzi, nel citato Sull’orlo del visibile parlare.
147
Solo il padre (putativo) Giuseppe resta ai margini: affiora soltanto nell’opuscoletto del
giurista pistoiese Niccolò Pilli, che volgarizza la Vita e miracoli del glorioso san Ioseph sposo
de la vergine Maria madre de Iesu la qual orazion fu composta dal frate Colombano dell’ordi-
ne di santo Francesco di osservanzia nel mille cinquecento e nove (in 8°: 4 carte), nel 1553.
Ricordo che una Legenda del glorioso patriarca e confessore sancto Joseph, in prosa, è pub-
blicata in diverse edizioni della Bibbia volgarizzata da Nicolò Malerbi, a partire da quella del
1481: cfr. Edoardo Barbieri, Le Bibbie italiane del Quattrocento e del Cinquecento, Editrice
Bibliografica, Milano 1992, I: Storia e bibliografia ragionata delle edizioni in lingua italiana
dal 1471 al 1600, p. 213. Risulta edita anche autonomamente a Venezia, tra il 1500 e il 1502:
come Vita del virginissimo e sanctissimo Joseph (in 4°: 8 carte; cfr. ISTC).

204
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Prima di questa svolta, il culto mariano dilaga in una folta selva di poemetti
anonimi in ottava rima, che scandiscono i momenti topici della vita di Maria,
dall’Annunciazione (e nascita di Cristo)148 al Transito149 e Assunzione150, a cor-
relate storie di suoi miracoli151. Ma è con le almeno ventiquattro edizioni (di cui
ventitré tra il 1471 e il 1531, e con una tardiva ripresa nel 1591) della Vita della
gloriosissima Vergine Maria (in 4°: 42 carte; in terza rima) del poeta cortigiano,
nato a Piacenza e morto a Ferrara, Antonio Cornazzano (1429-1484), che questa
tradizione mariana trova il suo nuovo testo di riferimento narrativo in versi. Un
best seller, ma solo prima delle scritture dei moderni, come quella del benedetti-
no bresciano Lucillo Martinengo, che si autodefinisce “poema sacro”, confer-
mando le dinamiche di queste tipologie narrative (profane e sacre) a fine
Cinquecento: Della vita di nostra santissima Signora, la vergine Maria (in 4°:
138 carte), nel 1595; e come quella del terziario francescano siciliano Giovanni
Antonio Brandi: ancora un “poema sacro”, dedicato al Rosario di Maria Vergine
santissima (in 8°: 240 carte), nel 1595; mentre “poema eroico” si autodefinisce
Il rosario della Madonna (in 4°: 196 carte) di Capoleone Ghelfucci, edito postu-
mo nel 1600.

Altri poemetti in ottava rima trattano sia temi particolari, come la devozione verso alcune
reliquie mariane: a esempio, il testo che viene dal lontano Trecento, del frate minorita
Gherardo da Prato, Istoria della preziosa cintola della gloriosissima vergine Maria la quale
oggi si trova in Prato (in 4°: 8 carte), con almeno quattro edizioni distribuite lungo il secolo
(1510 1550 1580); un tema rilanciato, sempre in ottava rima, dal marchigiano Menicuzio
Rubeo, con La nova e bellissima istoria della preziosa cintula della gloriosa Vergine quale
ora è a Prato in ottava rima composta (in 4°: 4 carte), nel 1552 (ma già altrimenti presente
nelle laudi di Lorenzo Oppizi, Miracoli della Vergine delle Carcere di Prato; in 4°: 22 carte;
nel 1476). Oppure il poemetto del sacerdote messinese Nicola Giacomo Alibrando, Il spasi-
mo di Maria Vergine (in 4°: 19 carte), nel 1534; o quello, tanto più fortunato in libreria, del
medico cremonese Orazio Guarguanti (1554-1611), Eccellenze di Maria Vergine (in 4°: 14
carte), con complessive nove edizioni, tra autonome o con altri testi (Le lagrime di san Pietro
di Luigi Tansillo), dal 1586 al 1599.
Particolarmente diffuse sono le rime spicciolate o in raccoltine (o in “corona”: forma specifi-
ca del culto mariano in rime), a ulteriore riscontro di quanto progressivamente diffusa sia la com-

148
Un testo tardivo: Opera nova sopra la nunziazione de la Madonna e natività di Cristo
(in 4°: 4 carte), con cinque edizioni complessive tra 1545 e 1600.
149
El transito de la gloriosa vergine Maria (in 4°: 4 carte), con sei edizioni tra 1520 e
1580.
150
Assumptio beate Marie virginis (in 4°: 4 carte), nel 1515.
151
Miracolo della vergine Maria che liberò un suo devoto (in 4°: 4 carte), nel 1510; pres-
soché nulla rispetto alla diffusione del testo in prosa, convenzionalmente intitolato Miracoli
della vergine Maria: un vero e proprio best seller, con almeno trentatré edizioni tra gli incu-
naboli.

205
Amedo Quondam

petenza attiva della scrittura poetica nel corso del Cinquecento. L’espansione di queste pratiche è
subito evidente, tanto più perché riguarda poeti professionisti e dilettanti di poesia, in grado di
impiegare un ampio repertorio di forme metriche (capitoli, stanze/ottave, laudi, odi, versi sciolti,
ma soprattutto canzoni e sonetti, cioè quanto concorre a definire lo statuto classicistico delle
rime). Dopo le terze rime di Brizio Trombetto, Terzina nobilissima della Ave Maria. Con due
altre bellissime terzine di altri auctori a laude della Vergine Maria (in 8°: 8 carte), nel 1511; e di
Bernardo Accolti, Ternale in laude della gloriosa Vergine Maria (in 4°: 2 carte), nel 1520; le pra-
tiche comunicative, attraverso la poesia, del culto mariano si infittiscono: con il già più volte
ricordato carmelitano Francesco Turchi, Ore della gloriosa Vergine Maria tradotte in versi sciolti
(in 12°: 255 carte), nel 1570; con le Stanze alla gloriosa Vergine (in 4°: 12 carte) di Girolamo
Troiano, nel 1574; con il domenicano fiorentino Remigio Nannini (1521-1581, Canzone alla
gloriosissima Vergine (in 4°: 6 carte), con quattro edizioni tra 1576 e 1577; con il domenicano
padovano Valerio Moschetta, Canzoni alla beatissima Vergine (in 4°), nel 1582; con Gabriele
Perotti d’Offida, Salutazione all’alma Reina del cielo (in 4°: 13 carte), nel 1584; con il più volte
ricordato Giulio Cesare Croce, Laude alla regina del cielo madre di grazia e di devozione (in 8°:
4 carte), nel 1585; con l’eremitano catanese Eusebio Faraonio, L’Ave Maria e la sequenza de’
morti con una devota dichiarazione volgare in ottava rima, già da incerto autore composta e ora
di nuovo riformata, con una pia essortazione al ben vivere cristiano (in 8°: 8 carte), nel 1589;
con l’accademico cospirante Bonifacio Zanetti, Capitolo alla beata Vergine, nel 1590; con il
sacerdote sarnese Vincenzo Albarella, Corona della Madonna nuovamente composta in rime (in
8°: 15 carte), nel 1592; con il giurista e letterato lucchese Nicola Tucci, Alcune ottave in onore
della beatissima Vergine, edite con Alcune ottave in lode del santissimo sagramento di Bruto
Guarini, nel 1592; con il canonico ascolano Antonio Migliori, Priego alla beata Vergine Maria
in ottava rima (in 8°: 7 carte), nel 1593; con l’accademico marchigiano Nicola Angeli, Canto
alla santissima Vergine di Loreto (in 4°: 8 carte), nel 1594; con il mantovano Fortunato Cardi,
Canzone in lode della beata Vergine (in 4°: 6 carte), nel 1596; con il famoso poeta Guido Casoni
(1561-1642), Ode alla beatissima Vergine (in 4°: 4 carte), nel 1598; con l’aretino Giulio Nuti,
sonetti Nella assonzione di Nostra Signora (in 4°: 4 carte), nel 1598; con il prete pugliese
Giovanni Battista Fedeli, Corona de la beata Vergine alma madre di Dio con otto cantici miste-
riosi in ottava rima (in 8°), nel 1599; con Silvio Cagnani, ancora un cieco poeta: Dialogo tra la
beatissima Vergine e il peccatore. Con due bellissimi sonetti spirituali (in 8°: 4 carte), nel 1600.
In questa tipologia libraria è presente anche una poetessa: la monaca bolognese Eugenia
Calcina, che risulta autrice soltanto di un Priego alla Vergine beatissima (in 4°: 4 carte), in
terza rima, nel 1576.
Ben più rilevate, tipograficamente, sono le seguenti opere (tutte di chierici): del france-
scano milanese Bernardino Busti (1450-1513), La corona de la beatissima Vergene Maria: e
questa devozione se distingue in sexanta trei capituli, secondo li anni che vivete essa imma-
colata matre de Dio in questo mondo (in 8°: 42 carte), con almeno sette edizioni tra il 1488 e
il 1494; del frate servita veneziano Gasparino Borro, Triumphi sonetti canzon e laude de la
gloriosa madre de Dio Vergine Maria (in 4°: 102 carte), nel 1498; del cistercense bolognese,
priore di Santa Maria Maddalena della Cava a Cremona, Gabriello Benedetti, Opera devotis-
sima e leggiadra decta via del Paradiso composta in laude della gloriosa Vergine Maria (in
4°: 56 carte), nel 1515 e 1517; del francescano minorita romano Girolamo Bordoni, Il devoto
libro chiamato Recitoria Virginis (in 4°: 150 carte), nel 1529 1554 1558; dell’agostiniano, e
accademico intento, Aurelio Corbellini (1562-1648), Ghirlanda in lode della santissima
Vergine madre di Dio per esposizione dell’Ave Maria (in 8°: 176 carte) nel 1598 (peraltro
autore nello stesso anno di opuscolo di Componimenti poetici in lode della gloriosa Vergine
Maria: in 8°: 12 carte).

206
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

Emblematica della nuova temperie religiosa di secondo Cinquecento, della nuova consa-
pevolezza nelle pratiche devote del miles cristiano raccolto in essercito (mentre si reca in pel-
legrinaggio alla Vergine del Pilone di Vico presso Mondovì) contrapposto a quello eretico, mi
sembra la già ricordata opera di Domenico Baravalle, in ottava rima: Milizia spirituale, nella
quale narrando le cose occorse alla Madonna santissima di Mondovì a Vico nell’anno 1595
si spiega la differenza che è tra l’essercito eretico e quello di essa Vergine, con altre cose utili
e dilettevoli (in 8°: 55 carte), nel 1596. Un ampio poema che però si autodefinisce «breve
trattato»; anzi, «opera spirituale»152.

2.5.1. Uno sviluppo particolare nel corso del Cinquecento ha la devozione


mariana del rosario: basti considerare come Edit16 produca oltre 130 unità
bibliografiche che hanno nel sistema dei loro titoli questa parola. Una pubblici-
stica notevole: trattatelli e trattati di chierici italiani e stranieri (soprattutto
domenicani), che forniscono «istruzioni e avvertimenti» per il buon uso di que-
sta devozione, indicandone «l’ordine e il modo di dire»; libri e libretti con fun-
zionali figure devote, oppure con la registrazione delle indulgenze acquisibili, o
dei miracoli conseguiti. Il tutto per edificare un «mistico tempio», che dichiari
la «monarchia della Vergine» nell’Italia cattolica post-tridentina153. Tra questi
libri e libretti primeggia visibilmente, come best seller (anzi, ever green), il
Rosario de la gloriosa vergine Maria del domenicano, del convento veneziano
dei Santi Giovanni e Paolo, Alberto da Castello (1460-1522), con 29 edizioni
regolarmente distribuite tra il 1522 e il 1599.
Tanta, e tanto diversa, letteratura è il segno di quanto profondo e diffuso sia
il radicamento di questa pratica devota nella res publica christiana (pur sempre
prima della Riforma): da sempre legata all’attività dell’ordine domenicano
(anzi, introdotta da san Domenico) e sostenuta dalle “confraternite del rosario”
distribuite in tutta Europa, trova la sua svolta decisiva con la battaglia di
Lepanto. Per celebrare questa vittoria, sostenuta anche dall’impegno di quelle
confraternite, papa Gregorio XIII decreta, nel 1573, su richiesta ovviamente dei
domenicani, che la giornata del 7 ottobre diventi la festa di santa Maria della
Vittoria, cioè di santa Maria del Rosario.

152
Rinvio alla scheda nel citato archivio del “poema sacro” disponibile in rete nel sito
www.sursum.unito.it.
153
Cfr. La monarchia della Vergine e della sua corona di dodici stelle, per via delle quali
si contemplano tutti i misteri del santissimo e divinissimo rosario del sacerdote fiorentino
Giovanni Maria Tarsia, edito nel 1582. Il titolo riprende, adattandolo, il titolo di un libro tanto
più famoso: Monarchia del nostro signor Iesu Cristo del canonico parentino Giovanni
Antonio Pantera, in prima edizione nel 1545 (dedicata al cristianissimo re di Francia
Francesco I) e poi ristampato almeno altre undici volte. Ancora una storia di Cristo come sto-
ria dell’umanità: fino al giudizio universale.

207
Amedo Quondam

Se l’impatto di questi eventi sulle dinamiche della poesia religiosa è imme-


diatamente riconoscibile in BPR (con una dozzina di testi: tutti successivi al
1573), conta soprattutto, ancora una volta, rilevare l’immediata (e dichiarata)
pertinenza di queste scritture alle forme regolari del sistema poetico classicisti-
co di secondo Cinquecento, sia lirico (canzoni, sonetti, stanze, capitoli: anche in
quanto, propriamente, “rime spirituali”), sia narrativo (l’ottava rima del poemet-
to e soprattutto del poema progettualmente eroico).

Questo microsegmento tematico comprende, come tutti gli altri, opuscoli di poche carte:
il fiorentino Giovanni Domenico Gamberini, Rime spirituali sopra il santissimo rosario della
gloriosa Vergine (in 8: 8 carte), con quattro edizioni tra il 1581 e il 1590; l’arcivescovo di
Ragusa Raffaele Bonello, I quindici misteri del santissimo rosario in tre canzoni con altre
rime spirituali (in 4°: 26 carte), nel 1583; il già ricordato cremonese Cesare Della Porta,
Stanze sopra i quindici misteri del santissimo rosario (in 8°: 8 carte), nel 1584 e 1595; il
messinese Giovanni Leonardo Amodio, La nova istoria de la gloriosa Vergine Maria del
rosario sopra li quindici misteri (in 4°: 4 carte), nel 1587 e 1596; Ortensio Tartaglia, Rime
spirituali sopra il rosario della gloriosa Vergine, con altre appresso (in 8°: 24 carte), nel
1598.
Ma comprende anche opere più complesse e strutturale: le ottave (con commenti in
prosa) del domenicano, del fiorentino convento di San Marco, Serafino Razzi, Rosario della
gloriosissima vergine Maria madre di Dio, avvocata di tutti i peccatori penitenti. Composto
nuovamente in ottava rima, con alcune annotazioni in prosa (in 8°: 100 carte), nel 1583; i
sonetti (con commenti in prosa) del camaldolese Sebastiano da Fabriano, Rosario della glo-
riosa Vergine Maria (in 8°: 55 carte), nel 1584. E ho già citato il “poema sacro” del terziario
francescano messinese Giovanni Antonio Brandi, Rosario di Maria Vergine santissima (in 8°:
240 carte), nel 1595; e il “poema eroico” di Capoleone Ghelfucci, Il rosario della Madonna
(in 4°: 196 carte), nel 1600.
La funzione devozionale e l’assetto comunicativo di questi libri sono chiaramente indicati
dal titolo, già citato, dell’opera del sacerdote bassanese, Gaspare Ancarano: Novo rosario della
gloriosissima Vergine Maria, con quindici sonetti in esposizion delli quindici Pater nostri e
150 ottave rime per le 150 Ave Marie, per le pie contemplazioni delli quindici misterii, e un
orticello spirituale ripieno di fiori e frutti celesti in lode del Signore e della beata Vergine con
le devote meditazioni per tutti li giorni della settimana (in 4°: 100 carte), nel 1588.
Se questa particolare tipologia poetica risulta prevalentemente riservata a poeti chierici,
non esclude la presenza di laici: non solo il già ricordato Capoleone Ghelfucci, ma anche il
gentiluomo salernitano Giulio Cesare Grillo, autore dei Misteri del santissimo rosario in otta-
va rima con alcuni sonetti e capitoli spirituali (in 4°: 28 carte), nel 1588; il napoletano
Giovan Domenico Montefuscoli, Grandezze del verbo ristrette nei misteri del rosario (in 4°:
142 carte), nel 1593.
E ancora una presenza femminile: Francesca Turini Bufalini, di Città di Castello, Rime
spirituali sopra i misteri del santissimo rosario (in 4°: 90 carte), nel 1595.

2.6. Poche battute, per concludere (provvisoriamente) questa prima parte.


La domanda che affiora immediata dopo questa sin troppo minuziosa e arida
ricognizione attraverso i quasi 1400 record di BPR può essere così condensata:

208
Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima)

perché tutti questi libri libretti, perché tutte queste stampe stampine? Cioè, per
quale necessità comunicativa, per quale ragione poetica? E poi: per quale letto-
re, per quali sue pratiche di lettura?
Se debbo necessariamente rinviare le risposte a questa serie di problemi,
posso intanto limitarmi a riconoscere che un fatto è certo, confermato scheda
dopo scheda, nel groviglio che si fa sempre più fitto. nella diacronia, verso la
parte finale del Cinquecento: saper scrivere corrisponde progressivamente sem-
pre di più a una competenza del tutto ordinaria, indipendente dagli status che a
noi sembrano divaricati se non in contrapposizioni (chierici e laici, pur sempre);
una competenza che soprattutto dimostra di sapersi esercitare pubblicamente
nella gamma completa delle forme e dei generi della poesia contemporanea:
anche perché il medium tipografico trova solidarietà e alleanze nella fitta trama
di istituzioni della socialità cinquecentesca (dalle accademie alle confraternite)
aperte e funzionali proprio allo scambio (e censura reciproca) di testo formaliz-
zato in scrittura, per occasioni ordinarie e straordinarie. I dati di BPR conferma-
no, insomma, quanto e come questa competenza ordinaria sia una condizione
universale, a partire dalla metà del Cinquecento: e come e quanto riguardi tutti,
chierici e laici. Perché è ormai parte costitutiva e propria, necessariamente
distintiva, dell’habitus virtuoso della forma del vivere secondo grammatica e
secondo convenienza: dominando gli strumenti dell’arte, e non solo quelli della
poesia.
Per di più senza alcuna distinzione di materie: perché i testi spirituali (o
sacri) sono prodotti e comunicano secondo la stessa economia (linguistica, in
primo luogo, e poi retorica e poetica) di tutti gli altri testi profani, almeno a par-
tire da quando l’intero sistema della comunicazione letteraria è stato colonizzato
e reso stabile e omogeneo (conforme) dalla cultura classicistica, dall’ordine
della sua lingua, delle sue forme e dei suoi generi: anche conquistando e annet-
tendo i territori prima ampiamente autonomi della poesia religiosa. Cioè, nor-
malizzandoli, naturalizzandoli: letterarizzandoli, per dirlo con una parola nuova.
Lo dimostra immediatamente e vistosamente il fatto che sono proprio gli
editori protagonisti della nascita della moderna letteratura volgare ad assumere
il ruolo di promotori anche della moderna poesia religiosa e spirituale: da
Zoppino a Marcolini a Giolito; con gli scrittori profani e sacri delle rispettive
loro scuderie, tutti più o meno impegnati a confrontarsi con il problema del
nuovo statuto della scritture devozionali; per stare ai profani: da Aretino a
Tansillo a Tasso. E i loro lettori: almeno fino a quando (ma per quanto tempo?)
l’Indice non cercherà di conquistarsi credibilità e operatività, non distinguono
certo, schematicamente, tra libri di lettura amena e libri di lettura devota, né
tanto meno si può congetturare che i lettori delle 1393 schede di BPR siano stati
soltanto «persone spirituali», cioè chierici. Utilizzando un qualsiasi moltiplica-
tore convenzionale per il numero di copie (a esempio, 100) si possono approssi-

209
Amedo Quondam

mare le proporzioni di un pubblico della poesia fatto, nel corso del secolo, da
molte decine di migliaia di lettori onnivori e curiosi soprattutto di testi scritti
bene, classicisticamente impostati e originali; lettori competenti e in grado di
giudicare, anche perché spesso sono loro stessi autori per diletto.
Gli autori, gli editori e il pubblico della poesia, di tutta la poesia.

Due rapidi riscontri, infine, a proposito della parte degli autori nella ricerca
delle nuove forme della scrittura religiosa, in prosa e in poesia.
Il primo l’ho già più volte evocato. È Pietro Aretino, che nel 1551 raccoglie
in due poderosi volumi tutte le sue opere religiose, che hanno avuto un grandis-
simo successo nei due decenni precedenti, e li dedica a papa Giulio III: Il
Genesi, L’umanità di Cristo, I salmi; La vita di Maria vergine, La vita di
Caterina santa, La vita di Tomaso Aquinate beato. Un intervento a tutto campo,
su tutte le più antiche tradizioni della discorsività religiosa: la Scrittura, la cen-
tralità di Cristo e del culto mariano, i salmi penitenziali, l’agiografia. Per ren-
derle modernamente antiche e anticamente moderne.
Il secondo: a fine secolo, nel 1598 (con immediata ristampa nell’anno
seguente) Gabriello Chiabrera pubblica il volume dei suoi Poemetti: La disfida
di Golia, La liberazione di san Pietro, Il leone di David, Il diluvio, La conver-
sione di santa Maddalena. L’operazione è del tutto analoga a quella che Aretino
ha realizzato sessanta anni prima, solo che ora i Moderni hanno una consapevo-
lezza molto più agguerrita delle proprie risorse, dopo tante riflessioni teorico-
critiche e dopo tante contese.
E su questa stessa scia, Giovan Battista Marino potrà agonisticamente impe-
gnarsi nella riscrittura delle Dicerie sacre (nel 1614) e della Strage degli inno-
centi (edito postumo nel 1638): per oltranza militante.

Produco infine una tabella complessiva dei dati di BPR distribuiti cronologi-
camente per decennio, distinguendo le singole sue sezioni (all’interno di ciascu-
na di esse, distinguo anche tra prime edizioni e ristampe: rispettivamente prima
e seconda colonnina), mentre sull’ultima colonna ritengo utile disporre, per
orientativo riscontro, i dati di Biblia.

210
decennio totale Ia Ib Ic IIa IIb Biblia

1471-1480 30 16 14 6 4 2 7 5 2 17 7 10 - - - - - - 92
1481-1490 61 23 38 5 4 1 22 11 11 34 8 26 - - - - - - 107
1491-1500 104 43 61 23 8 15 38 20 18 42 14 28 - - - 1 1 - 207
1501-1510 50 22 28 7 5 2 21 5 16 19 10 9 3 2 1 - - - 240
1511-1520 107 44 63 20 12 8 29 8 21 51 17 34 2 2 - 5 5 - 457
1521-1530 62 26 36 17 6 11 21 4 17 19 11 8 - - - 5 5 - 340
1531-1540 41 19 22 3 - 3 5 1 4 31 16 15 - - - 2 2 - 338
1541-1550 72 24 48 6 4 2 36 5 31 28 13 15 1 1 - 1 1 - 391
1551-1560 80 37 43 9 5 4 22 3 19 47 27 20 - - - 2 2 - 406
1561-1570 78 46 32 7 4 3 18 2 16 37 24 13 3 3 - 13 13 - 349
1571-1580 114 57 57 27 17 10 22 1 21 50 24 26 3 3 - 12 12 - 550
1581-1590 242 166 76 20 9 11 25 2 23 115 80 35 13 13 - 69 62 7 799
1591-1600 249 163 86 6 5 1 16 - 16 157 93 64 8 8 - 62 57 5 680
senza data 103 41 62 39 28 11 35 1 34 23 6 17 2 2 - 4 4 - 314
totale 1393 727 666 195 111 84 317 68 249 670 350 320 35 34 1 176 164 12 5270
211

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