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Cultura e Crescita Economica Trento 26 Novembre 2011
Cultura e Crescita Economica Trento 26 Novembre 2011
Chi guarda il Brasile odierno non può non constatare con soddisfazione le rilevanti
conquiste sociali ed economiche raggiunte negli ultimi dieci anni. Sono risultati significativi che
interessano ampie fasce della popolazione brasiliana e che hanno avuto un effetto benefico non
solo all’interno dei confini del più grande paese latino-americano ma anche nelle relazioni tra le
nazioni sudamericane, stimolando un’integrazione politica mai vista nel continente.
La lettura che spesso viene fatta di questo fenomeno propende a privilegiare i suoi aspetti
economici. Si parte sempre dall’analisi del PIL in crescita, del protagonismo dell’imprese brasiliane
all’estero - in particolare nell’area del Mercosud -, dell’abbattimento del debito estero, dell’aumento
delle riserve monetarie, del superavit della bilancia commerciale, del controllo inflazionario,
dell’alto tasso degli interessi. Il sociologo Jessé Souza ci ricorda però che tra il 1930 e il 1980 il
Brasile è stato il paese che ha presentato la maggior crescita del prodotto interno lordo e, allo
stesso tempo, ha conservato per anni il palmares di nazione più disuguale del mondo.
La grande protagonista di questa scena economicista è la cosiddetta “Classe C” e la sua
conseguenza più immediata, il vigoroso ampliamento del mercato di consumo interno. E’ vero.
L’uscita di più di quaranta milioni di esseri umani da una vita di miseria è un fatto straordinario e
motivo di contentezza che va sottolineato in tutte le sue dimensioni individuali, culturali,
sociologiche, politiche: è certamente il più grande sforzo collettivo realizzato nella storia della
repubblica brasiliana verso l’ottenimento di una giustizia sociale. Ed è per ciò che questo fatto
notevole ha bisogno di essere studiato e compreso andando oltre i filtri unilaterali delle analisi
quantitative. Dietro i numeri, che sono rilevanti e impressionano, dobbiamo escogitare una lettura
critica degli aspetti culturali connessi alla realtà e alle relazioni tra gli agenti sociali, cercando di
comprendere a chi serve invece propagare e perpetuare una visione della società brasiliana in
movimento ancora legata alle classe dominanti interne ed esterne al Brasile.
Prima di proseguire vorrei chiarire ai presenti che grande parte delle riflessioni che mi
accingo a condividere prendono spunto delle ricerche e degli studi del sociologo Jessé Souza,
professore della Università di Juiz de Fora, in particolare dai suoi libri “A ralé brasileira” e “Os
batalhadores brasileiros” che raccomando a chi ha l’opportunità di accesso alla produzione
accademica brasiliana contemporanea. Anche le riflessioni del compianto geografo e professore
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Milton Santos sui processi e le conseguenze della globalizzazione ci accompagneranno come
sottofondo ideale. Allora vediamo.
Esiste una Classe C?
La prima questione che vorrei sollevare è la constatazione che le analisi economiciste sono
basate su una lettura descrittiva del livello di consumo e di reddito. Queste descrizioni tendono a
mettere sullo stesso parametro statistico individui con appartenenza sociale diverse. Può essere
vero e anche un buon punto di partenza sapere che più della metà dei cittadini brasiliani hanno un
reddito che va dai 2 ai 10 stipendi minimi mensili, ma è completamente diverso interpretare, anche
a livello di consumo, come si comporta un professore della scuola media con genitori che hanno
avuto un diploma universitario, un operario metalmeccanico con un diploma in una scuola tecnica
e genitori con istruzione primaria incompleta, e un proprietario di una negozietto di verdure in
mercato rionale con istruzione primaria e con uno dei genitori analfabeta. Esistono differenze
sostanziali in ciascuno di questi esempi anche se tutti hanno un reddito nella fascia sopracitata e
possiedono una TV con schermo al plasma nel salotto di casa.
Quando i reportage o i politici sventolano discorsi trionfalisti soprannominando come
“nuova classe media” le ampie fasce degli emergenti al mercato di consumo, ciò che
implicitamente vogliono affermare è che la classe media e non i poveri sono la maggioranza del
paese. La verità è un’altra: questi batalhadores, come gli chiama Jessé Sousa, “se assomigliano
più a una classe lavoratrice in condizione di precariato, tipica del pos-fordismo, una classe senza
diritti e garanzie sociali, che lavora dieci, dodici ore al giorno, studia di sera e trova ancora
qualcosa da fare il fine settimana”, magari in nero. Questo precariato, ad.es, è diverso del
precariato del giovane europeo universitario che non riesce, come prima succedeva senza
problemi con i suoi genitori, a entrare nel mercato di lavoro. Il batalhador entra in questo mercato
in forma precaria ma costante. E ha altre attese.
Dobbiamo allora cercare di definire in una forma più chiara cosa sia la classe media in
generale, ma in particolare in Brasile. La classe media è una delle classi dominanti poiché ha
avuto l’accesso a una risorsa di vitale importanza: il capitale culturale. Sia il capitale culturale
tecnico (economisti, avvocati, ingegneri, amministratori) quanto il capitale culturale intellettuale-
letterario (professori, giornalisti, pubblicitari). Sono ceti che hanno avuto un privilegio prezioso per
accumulare sapere tecnico, scientifico, filosofico: il tempo libero. È un privilegio di nascita non solo
legato al reddito. È il privilegio di poter leggere tutti i giorni un giornale, di avere una piccola
biblioteca in casa, di aver contatto con un parente che viaggia e parla un’altra lingua, di praticare
un sport regolarmente e di modo strutturato, di viaggiare per le vacanze, frequentare un museo,
saper organizzare il proprio tempo. Chi ha questo privilegio lo pensa come un fatto naturale
quando per la maggioranza degli essere umani non lo è!
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Non è questa la condizione di chi oltrepassa la linea dell’insicurezza sociale e che studia
in scuole pubbliche precarie e quando inizia ancora adolescente a lavorare deve affrontare lo
studio serale dopo una giornata di lavoro estenuante e sottopagato. Per tirare avanti devi avere
una capacità di superamento che richiede un straordinario sforzo personale ed è quest’esperienza
di superamento che costituisce il suo principale capitale sociale. Queste persone hanno molti più
punti di contatto nelle proprie origini con quelle di milioni di esclusi che Jessé Souza chiama in
modo provocatorio per denunciare il loro abbandono di “ralé brasileira”, anche se esistono tra
questi ceti differenze sociali marcate e profonde.
La maggioranza dei batalhadores ha una struttura familiare più solida, con il ruolo di
genitori e figli ben definiti, e che riesce ad acquisire questa capacità di superazione attraverso una
triade di valori identificati da Jessé de Souza: disciplina, autocontrollo e pensiero prospettico che si
trovano sempre alla base dei processi di apprendistato e formazione. Questa è una virtù - oserei
dire un capitale - che, lontano di essere naturale, è stata duramente conquistata. In questo modo,
se a questi lavoratori può mancare quel privilegio del tempo libero e un accesso facilitato al
capitale culturale, non gli mancano forza di volontà, perseveranza e fiducia verso un cambiamento
futuro.
In un contesto favorevole come quello che viviamo adesso in Brasile, questo contingente
umano ha trovato le possibilità, alcune date dalle politiche governative, per operare un
miglioramento delle loro condizioni di vita e per accedere all’acquisto di bene durevoli che prima
non erano immaginabili. Questa condizione ha potenziato il loro impegno e aiutato in modo
decisivo la possibilità di fare un salto in termini sociali. Ma questo non ha fatto di loro “una nuova
classe media”, almeno fino ad ora. La loro configurazione è più adeguata come una nuova classe
lavoratrice e che ancora non ha di sé una percezione come una classe omogenea, organizzata per
la difesa dei suoi interessi.
Merito e Consumo