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Siamo nel distretto di Sialkot, in Pakistan.

E' la zona industriale del paese, si produce di tutto, in


aziende di medie dimensioni e in migliaia di piccoli laboratori artigianali. Si fabbricano
strumenti ottici, attrezzi chirurgici, scarpe e tappeti, tutti destinati all'esportazione. Ma
soprattutto si producono e rifiniscono palloni di cuoio, del tipo professionale, cuciti a
mano. Soprattutto palloni da calcio. Ci lavorano oltre 5.000 bambini. In tutto il paese
sono 8 milioni i piccoli lavoratori, tra i 10 e i 14 anni; costituiscono il 20% della
popolazione attiva, e la maggioranza è impiegata nell'edilizia, per la fabbricazione di
mattoni d'argilla, o nelle piccole fabbriche.

Al loro lavoro si deve gran parte del recente


"miracolo economico" pakistano; o
meglio, alla loro schiavitù, perché alla
modernità di molti prodotti fa da
contrastare una condizione di lavoro
servile che spesso assomiglia alla
schiavitù. L'economia pakistana è in
rapida e tumultuosa crescita, il reddito
annuo pro capite si aggira sui 460
dollari, con un tasso medio di aumento
del 3% l'anno. Però la gente comune
ha tratto sinora scarsi benefici da
questo "boom" economico: il 32% della
popolazione urbana e il 29% di quella
rurale vive sotto la soglia di povertà.
La mortalità infantile sotto i 5 anni è di 136 su mille. Con un tasso di analfabetismo del
62%, il paese è agli ultimi posti tra quelli dell'Asia meridionale; la metà circa dei bambini
abbandona la scuola sin dalle prime classi elementari, mentre il 21% dei ragazzini e la
metà circa delle bambine non vengono neppure iscritti. Ma nella complessa realtà del
Pakistan l'aspetto forse più drammatico è proprio quello del lavoro minorile, venuto alla
ribalta tre anni fa, il 16 aprile del 1995, in seguito all'assassinio del piccolo Iqbal Masiq,
che aveva osato ribellarsi alla sua condizione di semi-schiavitù come tessitore di tappeti
e denunciare chi lo sfruttava.

Una vicenda che ha richiamato l'attenzione


dell'opinione pubblica mondiale sui
temi del lavoro minorile, non solo
in Pakistan. Per combattere questo
sfruttamento l'UNICEF, insieme a
varie organizzazioni non
governative pakistane, si muove su
un duplice terreno: da una parte
strumenti di controllo e di
pressione sulle ditte produttrici, per
contrastare l'impiego di minori,
dall'altra programmi scolastici e di
formazione professionale. Si cerca
di creare una "alleanza dei
produttori" contro lo sfruttamento,
che mobiliti sindacati e associazioni
imprenditoriali, per offrire ai bambini e alle loro famiglie alternative concrete. Tra i
progetti in corso alcuni fra i più importanti vengono attuati nelle zone industriali ad alta
intensità di lavoro minorile - soprattutto l'area di Sialkot - dove vengono prodotti i palloni
di cuoio, cuciti a mano per lo più da bambini, per conto delle principali ditte di articoli
sportivi del mondo. Si punta a garantire ai ragazzi possibilità di istruzione e formazione
professionale, compensando con incentivi, o con posti di lavoro per altri membri adulti
della famiglia, la perdita economica conseguente al mancato guadagno dei ragazzi.

In altre zone del Pakistan vengono realizzati progetti integrati rivolti ai bambini e alle bambine
sfruttati nell'economia sommersa e nei settori non industriali. Un esempio è il
programma di "educazione informale" che viene attuato nella periferia di Karachi sin dal
1991, riuscendo a garantire un minimo di istruzione anche e soprattutto alle bambine
lavoratrici, relegate ai margini del processo di sviluppo. Ma rimane fondamentale la
promozione di uno sviluppo economico e sociale più equilibrato, che non costringa le
famiglie povere a vendere la loro unica risorsa, il lavoro dei propri figli.

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