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a cura di
Amedeo Alessandro Raschieri
Stefano Casarino
Aracne editrice
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Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
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Ricercatore presso l’Universidad Carlos III de Madrid. La presente ricerca rientra
nell’ambito del progetto CONEX, finanziato dalla Universidad Carlos III de Madrid,
dallo European Union’s Seventh Framework Programme per la ricerca e lo sviluppo
tecnologico (n. 600371), dal Ministerio de Economía y Competitividad del Governo di
Spagna (COFUND2013-40258) e dal Banco Santander. Ringrazio sentitamente Franci-
sco Lisi che ha letto il dattiloscritto, suggerendo correttivi e migliorie con la consueta
disponibilità e generosità; grazie anche all’anonimo revisore della collana “Mnemata”
per le opportune osservazioni e integrazioni.
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50 Michele Curnis
1
Per una considerazione complessiva della presenza del proverbio in Aristotele – sia
come ritrovato argomentativo sia come oggetto tipologico dell’indagine retorica – ri-
mando a CURNIS 2009, in cui peraltro il proverbio della rondine non è trattato, ma sol-
tanto menzionato (164 n. 1). I passi provenienti dalle tre opere di etica attribuite ad Ari-
stotele sono riportati nella traduzione di FERMANI 2008, cui si rimanda anche per una il-
lustrazione molto equilibrata del problema dell’autenticità e delle relazioni interne. Sul
proverbio in generale nella cultura linguistica e letteraria della Grecia antica e del mon-
do romano è ora imprescindibile la raccolta di studi curata da LELLI 2009-2011; punto
di partenza sempre utile per l’indagine sul proverbio presente nei testi di Aristotele resta
la voce παροιμίαι in BONITZ 1870, 569 s. Le tre opere di Aristotele maggiormente citate
nel testo originale fanno riferimento alle seguenti edizioni critiche: per Etica Nicoma-
chea BYWATER 1894, per Poetica KASSEL 1965, per Retorica KASSEL 1976. Dove non
specificato diversamente le traduzioni dal greco sono di chi scrive.
La rondine di Aristotele 51
2
In relazione a EN 1.7 i fini di cui parla Aristotele sono in realtà di tre tipi: «los que
se eligen por otra cosa, los que se eligen por sí mismos y por otra cosa y el fin último»
(Lisi 2004b, 107).
3
Non sempre il detto proverbiale o sentenzioso serve a confermare un ragionamento
filosofico; al contrario, un’espressione vulgata può essere richiamata quale antitesi della
conclusione cui è appena giunto il procedimento logico-razionale: è il caso del secondo
snodo importante all’interno del I libro di EN (1.8.1098b 31-1099a 29), allorché Aristo-
tele afferma che la felicità consiste nell’attività e nell’uso. Nell’argomentazione che se-
gue all’affermazione di 1098b 31-33 il filosofo rimarca il carattere unitario della felici-
tà, distinguendo la propria conclusione dallo spirito del distico dell’iscrizione di Delo
riportato in 1099a 27 s. («La felicità, quindi, è ciò che c’è di migliore, di più bello e di
più piacevole, e tutte queste caratteristiche non sono separate, come invece risulta
dall’iscrizione di Delo: “la cosa più bella è quella più giusta, la cosa migliore è lo stare
in salute; / mentre la cosa più piacevole di tutte è l’ottenere ciò che si ama”. Infatti le at-
tività migliori hanno tutte queste caratteristiche»; cf. FERMANI 2008, 461). Com’è noto,
la stessa epigrafe che Aristotele riferisce al vestibolo del tempio di Latona a Delo offre
anche il polemico spunto di apertura dell’Etica Eudemia (1.1.1214a 1-8, per cui valgono
le osservazioni di LISI 2004b, 108: «El dístico que abre la EE [...] es un indicio de la di-
rección en que Aristóteles va a dirigir su indagación. [...] Aristóteles pretende
diferenciar su concepción de la felicidad de la del común de la gente, no es justicia,
dinero, ni éxito, sino algo diferente»). Si veda anche il paragrafo dedicato a possesso e
uso della virtù in Grande etica 1.19.1190a 28-b 2 (cf. FERMANI 2008, 1049).
52 Michele Curnis
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Il testo greco è riprodotto secondo l’edizione di BYWATER 1894, 11. L’editore ritie-
ne che all’interno del paragrafo si sia inserita una glossa che ricapitola l’intero ragiona-
mento (probabilmente a causa dell’iterazione del connettivo quasi identico εἰ δ᾿ οὕτως
... εἰ δ᾿ οὕτω), e dunque la espunge («repetitio esse videtur eorum quae praecedunt»); cf.
n. successiva per la traduzione.
5
Traduzione di FERMANI 2008, 455. Poiché la studiosa segue il testo edito da Bywa-
ter, coerentemente non traduce la parte espunta (cf. n. precedente), che potrebbe essere
così resa: “ma se le cose stanno così, [abbiamo posto come funzione specifica
dell’uomo un certo tipo di vita, da intendersi come attività dell’anima e azioni secondo
ragione, e che un uomo di valore sappia realizzare tutto questo in un modo buono e bel-
lo, portandolo a buon compimento ciascuno secondo la propria virtù; ebbene, se le cose
stanno davvero così]”. Né RAMSAUER 1878, 36 né SUSEMIHL 1880, 11 s. avevano sug-
gerito tale espunzione nelle loro edizioni.
La rondine di Aristotele 53
6
Cf. Jul. Ep. 82.138; Lib. Ep. 754; Greg. Nazianz. In sancta lumina (or. 39) 36.352
(cui si riferisce anche Joann. Damasc. Orationes de imaginibus 1.25.33); Procop. Gaz.
Ep. 16.8; Scholia vetera in Ar. Av. 1417. La maggior parte delle occorrenze, comunque,
si deve alla letteratura tecnica di paroemiografi e lessicografi, che a volte suggeriscono
un’esegesi della sentenza o menzionano Aristotele quale suo utilizzatore. Si vedano
LEUTSCH-SCHNEIDEWIN 1839-1851, I, 120 (Zenobio, Βούλεται δὲ εἰπεῖν, ὅτι μία ἑμήρα
οὐκ ἐᾷ εἰς γνῶσιν ἐμβαλεῖν ἢ εἰς ἀμαθίαν); II, 79 (Gregorio di Cipro), 531 (Michele
Apostolio, βούλεται δὲ εἰπεῖν, μία ἡμέρα οὐ ποιεῖ τὸν σοφὸν εἰς τελείωσιν ἐμβαλεῖν),
oltre che Suid. μ 1030; Macar. 6.1; Arsen. 17.20b (Ἀριστοτέλης Ἠθικῆς); Paus.Gr. μ 18;
Simp. in Epict. 134.32; Hsch. μ 1318. Sulle attestazioni di Zenobio e Diogeniano si ve-
da comunque la recente edizione di LELLI 2006b, 191 (dove il proverbio della rondine
compare al n. 12) e la relativa n. 461.
7
Μία χελιδών: παροιμιῶδες τοῦτο, ὅτι μία χελιδὼν ἔαρ οὐ ποιεῖ· βούλεται δέ τι
εἰπεῖν· μία ἡμέρα καὶ εἰ τὸν σοφὸν εἰς τελείωσιν ἐμβάλλειν· καὶ δυσημερία μία τὸν
σοφὸν εἰς ἀμαθίαν· μέμνηται δὲ αὐτῆς Ἀριστοτέλης ὁ φιλόσοφος ἐν Ἠθικοῖς (Phot. μ
269); per Michele Apostolio cf. la n. precedente.
8
In realtà, nella storia della fortuna del proverbio, la riduzione non si è neppure arre-
stata al nesso fondamentale di rondine e primavera; anzi, è proseguita con
l’eliminazione del termine temporale, conservando l’emblematicità animale del solo vo-
latile. Era sufficiente dire “Una rondine ...” (cf. n. precedente) per evocare il senso pro-
verbiale, esattamente come nell’italiano corrente è sufficiente dire “A buon intenditor
...” (sottointendendo “... poche parole”) o più minacciosamente “Uomo avvisato ...” (tra-
lasciando la conclusione, tutt’altro che rassicurante, “mezzo salvato”). La compendiosi-
tà del proverbio si spiega con il semplice fatto che tutti lo conoscono alla perfezione, e
dunque non è necessario ripeterlo interamente: basta l’attacco, come fanno intendere i
lemmi del grammatico Pausania e di Fozio. Basarsi sulla decurtazione testuale di certe
fonti, però, può inficiare la considerazione del testo originale: forse in seguito
all’attestazione del proverbio in forma ristretta SUSEMIHL 1880, 12 propose
nell’apparato critico della sua edizione di EN di espungere οὐδὲ μία ἡμέρα; superfluo
precisare che nessuna ragione fondata autorizzi un’espunzione del genere. Al contrario,
come si cercherà di dimostrare nei paragrafi che seguono, la clausola diventa il comple-
tamento indispensabile del proverbio ai fini del ragionamento filosofico di Aristotele.
54 Michele Curnis
9
Cf. Paus. 1.41.8 s., 10.4.8 s.; Apollod. 3.14.8 per il mito di Procne, Filomela e Tereo,
rispettivamente tramutati in usignolo, rondine, upupa. Nella poesia latina i nomi delle
due sorelle sono invertiti, così che la trasformazione in rondine interessa Procne: cf. Ca-
tull. 65.13 s.; Verg. Georg. 4.511; e soprattutto Ov. Met. 6.571-674 (sulle ragioni di tale
inversione si veda BÖMER 1976, 177 s.).
10
Sulla presenza della rondine nella letteratura greca, sulla pluralità di aspetti positivi
o negativi connessi alla sua presenza e sulla simbologia derivante dal mito di Procne, si
vedano la voce di GOSSEN 1921 e l’ampia ricerca di DI PILLA 2002, esaustiva anche nei
riferimenti bibliografici.
11
Aristotele, oltre a dedicare molte pagine alla rondine nei trattati di zoologia, è per-
fettamente consapevole del fenomeno che sta alle spalle dell’invenzione del proverbio
(quale che sia la sua origine), ossia l’irregolarità dei cicli stagionali; assume
un’importanza di primo piano ai fini della nostra analisi l’avvertenza di come la prima-
vera possa ritardare rispetto ai tempi previsti in Arist. HA 5.22.553b 20. Ovviamente
Aristotele sa bene che la rondine emigra d’inverno (HA 7[8].12.597b 3 s., 16.600a 11-
14) per far ritorno con la stagione mite; in HA 8[9].7.612b 21-31 si diffonde
sull’intelligenza di questo volatile, che costruisce il proprio nido con tecnica affine a
quella con cui l’uomo costruisce la propria casa; a questo proposito, nella Fisica, speci-
fica come la nidificazione costituisca un’espressione della natura stessa della rondine (ἡ
χελιδὼν φύσει ποιεῖ τὴν νεοττίαν, Phys. 2.8.199a 26).
La rondine di Aristotele 55
12
Cf. per esempio Arist. Metaph. 1.993a 30-b 5, Rh. 1.6.1363a 3-8, 1.11.1371b 12-17,
1.12.1372b 31-1373a 4, 1.15.1375b 19-1376a 17, 2.6.1384a 34-36, Pol. 7.15.1334a 16-
22, etc. Rassegna e disamina sistematica in CURNIS 2009, 179-192. Sul termine
παροιμία resta sempre indispensabile l’articolo di RUPPRECHT 1949.
13
La tradizione latina e volgare, per esempio, recepisce senza fallo questi elementi di
coesione interna, e li riproduce esattamente, segno della perfetta proprietà comparativa e
al tempo stesso argomentativa del proverbio in relazione all’analisi etico-
comportamentale. Una recente nota di Sonia Gentili documenta in poche righe questa
secolare fedeltà al modello argomentativo, anche quando i termini del ragionamento eti-
co sono semplificati o modificati dal traduttore/commentatore medioevale: «Ev I 7, f.
18va: “una sola virtude non può l’uomo fare beato né perfetto, sì come una rondine
quando apare sola e uno die temperato non danno certa dimostranza che sia venuta la
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primavera. Onde perciò né in piccola vita de l’uomo, ill’è in picciol tempo che l’uomo
faccia buona operatione, non potemo dicere che sia beato”; sottolineo le locuzioni corri-
spondenti in Tommaso d’Aquino, Sententia libri Ethicorum, ed. R. A. Gauthier in
Eiusd. Opera omnia iussu Leonis XIII edita, vol. XLVII, Roma, Commissio Leonina,
1969, lib. I, lect. 10, p. 37, 170-174: “Sicut enim una hirundo veniens non demonstrat
ver nec una dies temperata, ita etiam nec una operatio semel facta facit hominem feli-
cem, sed quando homo per totam vitam continuat bonam operationem”, che sono para-
frasi di En 98a 11: “Si autem plures virtutes, secundum perfectissimam et optimam.
Amplius autem in vita perfecta. Una enim irundo non facit ver, neque una dies. Ita uti-
que neque beatum et felicem una dies neque paucum tempus”. Diverso il dettato di Sa1,
p. 43 e Sa2, p. 199: “Una nempe hyrundo non pronosticatur ver neque dies unica tempe-
rati aeris [sicut una hyrundo non prenuntiat ver futurum, nec una dies serena aerem
temperatum Sa2], sic nec vita pauca et tempus modicum signum certum sunt beatitudi-
nis [beatitudinis hominum Sa2]”» (GENTILI 2014, 40 n. 5, in cui le abbreviazioni vanno
così sciolte: Ev è l’Etica Nicomachea volgarizzata da Taddeo Alderotti, En è l’Etica Ni-
comachea nella traduzione latina di Roberto Grossatesta, Sa1 e Sa2 indicano due mano-
scritti contenenti una specifica redazione della Summa Alexandrinorum, «epitome della
Nicomachea tradotta in arabo e poi in latino da Ermanno il Tedesco»; cf. ancora GENTI-
LI 2014, 39-40 e n. 3). Si può ancora aggiungere la versione della celebre traduzione
quattrocentesca di Leonardo Bruni: «Nam una quidem yrundo non facit ver nec una
dies». Il discorso sulla virtù può anche essere soggetto a reinterpretazioni marcate, ma la
carismatica chiarezza del paragone proverbiale di Aristotele resta intatta. Un momento
importante della ricezione moderna del proverbio è naturalmente segnato dagli Adagia
di Erasmo da Rotterdam (1.7.94): «Una hirundo non facit ver» (il n. 638 ne-
gli Adagiorum collectanea del 1500 è provvisto di un breve interpretamen-
tum: «non una hirundo ver efficit: id est non unum quiddam est satis, in quo multa re-
quiruntur. Veluti si ex una coniectura quis iudicet»). Sul riuso dei proverbi antichi in
Erasmo e nella tradizione umanistica si vedano TOSI 1991 e 2005.
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14
Testo critico in HEYLBUT 1892, 71. Con riferimento al lemma ἔτι δὲ ἐν βίῳ τελείῳ
Aspasio si limita a parafrasare il testo (ma non il proverbio), spiegando le fasi del ragio-
namento senza comparazioni o cenni metaforici. Cf. HEYLBUT 1889b, 19 rr. 1-11.
58 Michele Curnis
15
Un tempo identificato come Eliodoro di Prusa; sull’intricata questione, e più in ge-
nerale sulla parafrasi pseudo-eliodorea e le sue fonti cf. ora TRIZIO 2013.
16
Testo critico di HEYLBUT 1889a, 14.
La rondine di Aristotele 59
Il termine ultimo delle azioni umane è stato così indicato nella felicità.
E così la felicità è stata individuata, proprio come era necessario fare.
Per di più, è conveniente che la funzione specifica dell’uomo si svolga
in una vita completa, se si intende esercitarla in una modalità del tutto
completa; una rondine infatti non fa primavera e neppure un sol gior-
no. Allo stesso modo non rendono beato o felice l’uomo né un sol
giorno né poco tempo. È dunque la felicità a definire il bene umano in
questo modo: attività dell’anima secondo virtù nel corso di una vita
completa. Prima di tutto, infatti, è necessario fornire in qualche modo
un quadro generale, e poi descrivere compiutamente, come se fosse
un’immagine particolare, il ragionamento riguardo al bene.
17
Persino opere fondamentali e molto analitiche nel commento alla pagina di EN non
si preoccupano di registrare la presenza di un proverbio quale strumento argomentativo,
e tanto meno di comprenderne il vero significato (cf. GAUTHIER, JOLIF 1959, 59 s.; PU-
RINTON 1998; DIRLMEIER 1999, 280; BROADIE, ROWE 2002, 278; RICHARDSON LEAR
2004, 44, 123, 182; DAHL 2011. Non c’è traccia del proverbio neppure nella raccolta
miscellanea edita da KRAUT 2006).
60 Michele Curnis
18
Non sempre l’assenza di interesse per il proverbio è spiegabile con l’attenzione ri-
servata al precedente nesso, che nell’esegesi complessiva del trattato rappresenta senza
dubbio un locus conclamatus; questo si nota per esempio dallo stringato commento che
ne offre la pur importante edizione commentata di RAMSAUER 1878, 37: «Quod enim
ἁπλῶς τέλειον est, ut de beatitate cap. 5 audivimus, debet etiam κατὰ χρόνον esse
τέλειον; tempus vero τέλειον in rebus humanis totum aevum». Come prevedibile, del
proverbio non è detto assolutamente nulla. Cf. infra per una discussione e una definizio-
ne meno assertive del τέλειος βίος.
19
FARWELL 1995. Il suo attacco tradisce una percezione anomala nei confronti di un
riferimento ritenuto pittoresco, stravagante, poetico, non filosofico: «In an almost poetic
mood Aristotle tells us in the Nicomachean Ethics that happiness requires a complete li-
fe, a bios teleios, because “one swallow does not make a spring, nor does one day, and in
the same way, one day or a brief period does not make someone blessed or happy”» (247).
20
«If the passage about swallows and spring days were nothing more than a claim that
a complete life is one that has attained ethical maturity, Aristotle has added nothing new
or meaningful to what preceded it» (FARWELL 1995, 249). Anche quando riprende la
metafora della rondine a fini costruttivi o esemplificativi, lo studioso ritiene necessario
affiancargli altri argomenti, evidentemente perché non la reputa sufficientemente effica-
ce a esprimere la complessità del ragionamento: «there is no exact number of virtuous
La rondine di Aristotele 61
actions that count someone as a virtuous person, just as there is no precise number of
swallows that make a spring nor a number of soldiers making a stand that turn a battle
into a rout, it is nevertheless possible to make some rough, empirical judgment, and
most likely within the span of a few years» (251). Il riferimento ai soldati di un esercito
deriva sempre da EN 1.10.1101a 3-5. Cf. anche FARWELL 1995, 256.
21
«The fact that Aristotle associates well-being, eudaimonia, with a complete span of
time brings to mind Solon’s advice that we should wait until the end of a life to call some-
one happy» (FARWELL 1995, 252). Si veda anche BURGER 2008, 190-216 (il capitolo
Happiness; 238 n. 57 per il τέλειος βίος e i problemi lasciati aperti dalla sua definizione).
22
Anche quando non compare il riferimento esplicito a Solone l’allusione risulta in-
dubbia, come in Grande Etica 1.5.1185a 6-9: «molti dicono giustamente che è necessa-
rio giudicare la felicità di un individuo nell’arco di tempo più esteso della sua vita, poi-
ché ciò che è compiuto deve esserlo sia in un tempo compiuto sia in un essere umano
adulto» (traduzione di FERMANI 2008, 1015).
23
Traduzione di FERMANI 2008, 467.
62 Michele Curnis
24
Arist. EN 1.10.1101a 9-16; traduzione di FERMANI 2008, 471. È pur vero che anco-
ra in EN 10.8.1179a 9-12 la sentenza soloniana è nuovamente citata in termini elogiativi
(Σόλων δὲ τοὺς εὐδαίμονας ἴσως ἀπεφαίνετο), ma in questa pagina non si accenna più
alla durata o al termine della vita, come se la questione fosse stata effettivamente risolta
nella discussione del libro I. Per quanto riguarda le modalità aristoteliche della citazione
soloniana, non esistono elementi in grado di sancirne l’esattezza, al di là del filtro ero-
doteo (che probabilmente era la fonte principale anche per Aristotele); le menzioni di
Solone si moltiplicano invece nella Politica (2.7.1266b 17, 2.12.1273b 34, 35, 41,
1274a 11, 15, 3.11.1281b 32, 4.11.1296a 19), soprattutto in merito alla sua riforma co-
stituzionale. In un solo caso, all’inizio dell’opera e a proposito del limite dell’arte acqui-
sitiva, il filosofo cita testualmente un verso di Solone (Pol. 1.8.1256b 33 s. = Sol. f. 13,
71 = Stob. 3.9.23), ma per contrasto, per confutarne lo spirito. La scelta va sottolineata,
perché «come in molti altri casi nel libro I, il verso è estrapolato dal contesto e caricato
di un significato gnomico. [...] Il detto di Solone viene presentato in quanto contraddice
la consapevolezza, che è invece aristotelica, che i mezzi capaci di procurare una vita
buona non sono infiniti» (BESSO, CURNIS 2011, 285 s.). L’utilizzo di un verso dal sapo-
re gnomico a scopo contrastivo rientra nella ben nota tecnica argomentativa aristotelica
di impiego degli ἔνδοξα (cf. n. 3 per il caso emblematico dell’apertura di EE).
25
«Aristóteles tiende a utilizar el adjetivo τέλειος en sentido fuerte para designar la
mejor realización de la virtud que es única, en otras palabras para designar la perfección
de la virtud, no tanto su carácter de completo o incompleto, aunque esta idea esté
presente» (LISI 2004b, 99); dirimente la conclusione dello stesso saggio: «El bios teleios
no es, por tanto, una vida que ha concluido, sino una vida que ha llegado al culmen de
su desarrollo, ha alcanzado su finalidad, e. d. su inteligencia teórica se encuentra en
acto. Éste es el significado primero de la expresión teleia eudaimonia (EN X 7
1177a15)» (LISI 2004b, 120). Sul τέλος in EN si veda anche SAUVÉ MEYER 2011. Non
propone nuove prospettive esegetiche la pur ampia ricerca di DUDLEY 2012, 217 s. Sulla
felicità come τέλος si veda invece l’analisi, più sistematica e più utile, di FERMANI 2012,
328-331.
La rondine di Aristotele 63
26
L’evocazione della primavera, nel proverbio così come nell’opera di Aristotele, non
significa soltanto stagione di rinascita e fioritura, ma in generale tempo della giovinez-
za, ossia momento indispensabile in funzione della stagione successiva, l’estate della
pienezza. Questo valore “qualitativo” e funzionale si intende bene dal doppio riferimen-
to della Retorica (1.17.1365a 31-33, 3.10.1411a 2-4) al «paragone che per Aristotele si
trova nell’Epitafio di Pericle, secondo cui la morte di tanti giovani in guerra era equipa-
rata alla sottrazione della stagione primaverile all’anno. Questa espressione non è presen-
te nella versione che ci è tramandata da Tucidide nel libro II» (GASTALDI 2014, 403).
27
Per una rapida rassegna di ipotesi su entità e finalità degli ἐξωτερικοὶ λόγοι si veda
l’Introduzione di ZANATTA 2008, in particolare 26-35.
28
La ‘dinamicità’ degli scritti del filosofo è stata da tempo valorizzata: già Jaeger
«comprese che lo stato del testo aristotelico, da lui magistralmente descritto nelle Stu-
dien da un punto di vista puramente filologico, era il prodotto di un lungo e ripetuto la-
voro sui problemi e delle esigenze dell’esposizione orale, come mostravano, oltre alla
Metafisica, anche le Etiche e la Politica, e concepì dunque l’idea dell’evoluzione del
pensiero di Aristotele» (BERTI 2008, 27).
29
Numerosi luoghi potrebbero essere citati in proposito; ci si limiterà a due, cicero-
niani e icastici: Veniet flumen orationis aureum fundens Aristoteles (Academ. Pr.
2.38.119); Scripsi igitur Aristotelio more, quem ad modum quidem volui, tris libros in
La rondine di Aristotele 65
disputatione ac dialogo ‘De oratore’ (Fam. 1.9.23; il modus stilistico del De oratore
sarebbe quindi commisurato sull’esempio aristotelico). Cf. i testimonia ai Dialogi in
ROSS 1955, 1-7.
30
A titolo di esempio si può menzionare un proverbio che Aristotele cita in una pagi-
na del Protrettico (f. 3 Ross = B 2-5 Düring = 76.1.3 Gigon), attestata sia da Stob.
3.3.25 sia da POxy IV, 666; nel corso della discussione, che potrebbe essere sintetizzata
come confronto di apparire / essere, corroborato da frequenti esemplificazioni, Aristo-
tele introduce un proverbio sullo stato moralmente infelice di soggetti “degni di nessun
pregio”: τίκτει γάρ, ὥς φησιν ἡ παροιμία, κόρος μὲν ὕβριν, ἀπαιδευσία δὲ μετ᾿ ἐξουσίαν
ἄνοιαν (sul «tema della superiorità dell’anima ben educata rispetto ai beni esteriori» si
veda la n. di commento di Zanatta 2008, 234; cf. anche BERTI 1997, 406 s.). Per quanto
riguarda la tradizione testuale, il proverbio conosce discreta fortuna nella letteratura
gnomologica, poiché, introdotto dal lemma Ἀριστοτήλους, si legge autonomamente o
nel contesto complessivo in una serie di raccolte medioevali (Mantissa Proverbiorum
2.98 = LEUTSCH, SCHNEIDEWIN 1839-1851, II, 774, PGMax 824A-B, VatMax 17, 39,
etc.; cf. SEARBY 1998, 116 n. 85, 132, 231). Ai fini di un’indagine complessiva su uti-
lizzo e funzionalità del proverbio nelle argomentazioni aristoteliche, va osservato che il
procedimento del Protrettico è lo stesso che si presenta così di frequente nelle opere in-
terne alla scuola: esso compare sempre come argomento sintetico che conclude il ragio-
namento con un giudizio di dominio pubblico (l’analogia che contiene), e allo stesso
tempo provoca la continuazione del discorso con altri argomenti (prosecuzione
dell’analogia); è sufficiente osservare come esso sia introdotto (con un γάρ che richiama
le precedenti asserzioni), e come il testo prosegua subito appresso: τοῖς γὰρ διακειμένοις
τὰ περὶ τὴν ψυχὴν κακῶς οὔτε πλοῦτος οὔτ᾿ ἰσχὺς οὔτε κάλλος τῶν ἀγαθῶν ἐστίν· ἀλλ᾿
ὅσῳ περ ἂν αὗται μᾶλλον αἱ διαθέσεις καθ᾿ ὑπερβολὴν ὑπάρξωσι, τοσούτῳ μείζω καὶ
πλείω τὸν κεκτημένον βλάπτουσιν ἄνευ φρονήσεως παραγενόμεναι. Come si è già os-
servato, anche il proverbio della rondine è ben coeso con quanto precede grazie a un
γάρ in funzione di connettivo.
66 Michele Curnis
31
Si veda l’utile indice in WARTELLE 1982, 325 (παροιμία) e 498 s. (Proverbes, dic-
tons et sentences).
32
Aristotele teorizza la posizione dell’esempio in coda (ἐπιλόγῳ) al ragionamento in
Rh. 2.20.1394a 10-14 («occorre servirsi degli esempi, come testimonianze, utilizzandoli
come conclusione per gli entimemi: se infatti li si fa precedere, assomigliano a
un’induzione, ma nei discorsi retorici l’induzione non è adatta se non in pochi casi,
mentre se li si mette nella conclusione si utilizzano come testimonianze, e la testimo-
nianza è persuasiva in tutti i casi». Traduzione di GASTALDI 2014, 227). È presumibile che
la stessa teorizzazione dell’efficacia dell’epilogo valga anche per massime e proverbi.
La rondine di Aristotele 67
33
Καρπάθιος τὸν λαγών. Διὰ γὰρ τὸ μὴ εἶναι λαγὼς ἐν τῇ χώρᾳ, ἐπηγάγοντο αὐτοί·
καὶ τοσοῦτοι ἐγένοντο, ὥστε τὸν σῖτον καὶ τὰς ἀμπέλους αὐτῶν ὑπ᾿ αὐτῶν βλαβῆναι. Ὁ
γοῦν Ἀρχίλοχος ταύτην τὴν παροιμίαν ἔφη (Zen. vulg. 4.48 = LEUTSCH, SCHNEIDEWIN
1839-1851, I, 98; cf. Epich. f. 95; Zen. 1.80; Suid. 3.513). ‘Carpatese la lepre’, per tra-
durre in modo incomprensibile al lettore; in età medioevale l’ellissi necessitava certa-
mente di explanatio, se Aristobulo Apostolio e Macario Crisocefalo chiosavano: ἐπὶ τῶν
ἐφ᾿ ἑαυτοῖς ἐφελκομένων τὰ κακά (LEUTSCH, SCHNEIDEWIN 1839-1851, I, 98 n. 48).
Per renderne più intelligibile la forma in una lingua moderna, si potrebbe tradurre il
proverbio ricorrendo ad altro esempio: come ‘il vaso di Pandora’ così ‘la lepre del Car-
68 Michele Curnis
patese’, quali emblemi di una situazione in cui il male è stato provocato involontaria-
mente o da un comportamento impulsivo. Si noti l’incrocio di fonti e di auctoritates a
supporto del proverbio: Zenobio, che non menziona la citazione aristotelica, rimanda
però ad Archiloco (f. 191 Tarditi = 248 West), riprendendo la stessa frase del lessico di
Esichio (alla voce, che è variante del proverbio, Καρπάθιος τὸν μάρτυρα). Ma, con
l’espressione ταύτην τὴν παροιμίαν ἔφη, Esichio e Zenobio intendono forse dire che
Archiloco abbia formulato e pronunciato per primo il proverbio? Oppure, semplicemen-
te, che egli ne facesse uso nei suoi componimenti poetici? Il f. citato è stampato dagli
editori o con incertezza metrica (« ̮ _ _ Καρπάθιος / τὸν μάρτυρα», Tarditi), o sempli-
cemente su un rigo (West).
34
In parte già rilevati dagli studiosi del trattato; di recente: «Auch einige Sprichwörter
sind in bestimmter Weise Metaphern und passen daher zur Aufzählung von Stilmitteln,
die dadurch, dass sie nicht wörtlich das sagen, was sie meinen, einen geistreichen Ein-
druck hinterlassen. (1.) Warum stellen Sprichwörter Metaphern ‚von der Art auf die Art’
dar? Für das vorgelegte Beispiel lässt sich das wie folgt erklären. Wenn man auf je-
manden das Sprichwort „wie der Karpathier den Hasen“ anwendet, dann stellt das Ver-
halten dieser Person und das Verhalten des sprichwörtlichen Karpathiers [...] Arten der
Gattung ‚etwas wählen, weil man es für ein Gut hält, und später Schaden daraus erlei-
den’ dar. (2.) Wie passen die Sprichwörter in dieses Kapitel? [...] Inwiefern sind sie Me-
taphern? Wer das angeführte Sprichwort verwendet, tut dies nicht, um von jemandem
im literalen Sinn zu behaupten, er sei ein Karpathier» (RAPP 2002, 919).
La rondine di Aristotele 69
35
Testo e traduzione in GARZYA 1989, 654 s. Per un’analisi di questa complessa pa-
gina di tradizione indiretta e i suoi possibili rapporti con le opere perdute di Aristotele si
veda ancora CURNIS 2009, 164-171.
36
Traduzione di DONINI 2008, 153. Nella n. 255 (ibidem) Donini rileva come “saper
vedere la somiglianza” sia una «dote altamente filosofica, alla base dell’unificazione e
70 Michele Curnis
della gerarchizzazione delle esperienze, poi dei concetti secondo specie e genere; cfr.
Rhet., III, XI, 1412a10 e Top., I, XVIII, 108b7-12».
37
«Innazitutto, la massima è una semplice “affermazione” (apophansis) e non ancora
un’argomentazione, in secondo luogo, essa è formulata in termini generali e, infine, si
riferisce esclusivamente all’ambito delle azioni umane. Ciascuno di questi tre aspetti
rende la massima particolarmente adatta a diventare una delle tre premesse
dell’entimema. Esso, infatti, è un sillogismo intorno a questi stessi argomenti e pertanto
“si può dire che le conclusioni e le premesse degli entimemi, considerati indipendente-
mente dal sylloghismós, sono massime” (Rhet. 1394a 26-28)» (PIAZZA 2008, 119).
38
Un corrispettivo παροιμιάζειν è attestato più volte in Aristotele, ma nel significato
di ‘utilizzare proverbi, citarli’ (e.g. EN 5.1.1129b 29), oppure, alla diatesi passiva, ‘esse-
re detto dal proverbio, diventare proverbiale’ (Arist. GA 2.7.746b 7 s.), mai in quello di
‘creare proverbi, trasformare in proverbio’ (presente invece in Pl. Lg. 7.818b, etc.).
La rondine di Aristotele 71
39
DI CAPUA 1947, 55 s., con esplicito riferimento al passaggio riportato della Retorica.
40
BIGNONE 1973, 130, a commento della testimonianza di Sinesio (che, seguendo
Rose, attribuiva al perduto De philosophia). Parrebbe proseguire sulla scorta dello stes-
so Bignone anche Jaeger, allorché osserva entusiasticamente, a proposito del titolo
Παροιμίαι nel catalogo laerziano: «Perciò egli [scil. Aristotele] inizia una raccolta di
proverbi greci sentendo nelle loro brevi e taglienti verità d’esperienza i resti di una ori-
ginaria e non ancora letteraria filosofia conservatisi per via orale, in grazia della loro la-
conica ricchezza di contenuto, attraverso tutte le vicende spirituali del popolo. Con acu-
ta intuizione egli riconosce il valore dei proverbi e della poesia gnomica per l’indagine
dei primordi della riflessione morale» (JAEGER 1968, 170).
41
(Avere) un Attico per vicino è un esempio di proverbio molto interessante tra quelli
che Aristotele riporta, per almeno due motivazioni: 1) al di là della glossa che gli dedica
Zenobio (2.28= LEUTSCH, SCHNEIDEWIN 1839-1851, I, 40), è possibile ritrovare forse la
fonte principale da cui è scaturita la sintesi proverbiale in Th. 1.69.3-70, ossia il discor-
so di rimprovero dei Corinzi ai Lacedemoni, colpevoli di non essersi accorti delle ambi-
zioni espansionistiche e della politica aggressiva degli Ateniesi in vista della guerra del
Peloponneso («Così se uno riassumendo dicesse che essi [scil. gli Ateniesi] per natura
sono fatti per non avere tranquillità loro stessi e per non permetterla agli altri uomini, di-
rebbe una cosa giusta» [traduzione di DONINI 1982, 181]. Il dire ‘una cosa giusta’ da
parte di un soggetto generico [τις ... ὀρθῶς ἂν εἰποι] è la trasposizione in forma ipotetica
di un proverbio probabilmente già circolante, e forse proprio di origine corinzia). 2)
Non si tratta di una delle solite παροιμίαι, richiamate da Aristotele nel fluire delle sue
argomentazioni, quali resti di antica filosofia divenuti asserzioni note e condivise: que-
sto è invece un proverbio di origine recente, nato dalla storia dei rapporti tra Atene e le
πόλεις vicine. Inoltre, ed è quel che più importa, “avere un vicino Attico” significa tro-
varsi in una situazione difficile, a causa di un interlocutore pretenzioso, aggressivo, au-
dace (secondo l’aggettivazione tucididea): si tratta insomma di un giudizio di valore,
che secondo Aristotele è tipico della γνώμη, ma non della παροιμία (eccettuati quei casi,
come questo, in cui massima e proverbio coincidono). Commentando il passaggio in cui
si parla del vicino Attico, già Pier Vettori rimarcava la differenza tipologica rispetto alla
sentenza, insistendo però sul carattere retorico di testimonium del proverbio stesso: «non
72 Michele Curnis
nulla praeterea proverbia vim sententiarum habere, atque utiliter posse usurpari, cum
aliquid alicui praecipere ac suadere volumus: cuius generis est proverbium illud [quello
del vicino Attico]. [...] Non omnia igitur proverbia eam naturam habere vult, ut loco
sententiarum poni possint: alia enim vis est sententiarum, alia proverbiorum, diversa-
que; haec inter se sunt: non ita tamen discrepantia, ut quaedam etiam proverbia non in-
veniantur, quae usum sententiarum expleant, atque admoneant, quomodo se in vita
homines aliqua in re gerere oporteat. [...] nam proverbia genus esse testimoniorum cer-
tum est, et ipse in extremo primo libro tradidit, ubi probationis artificii expertes, expli-
cavit» (VETTORI 1579, 453).
42
Distinzione ben acquisita dalla trattatistica retorica moderna: «Eine in besonders
weitem Sinne infinite Sentenz wird (propositio) maxima genannt (fr. maxime, engl. ma-
xim). – Eine in einer Sprachgemeinschaft als Volksweisheit verbreitete Sentenz wird
‚Sprichwort‘ (proverbium, adagium, παροιμία) genannt» (LAUSBERG 1963, 132 n. 3).
Perelman, affidandosi a quanto pare a strumenti lessicografici, opera invece una classi-
ficazione semplificata, e considera i proverbi un sottoinsieme delle massime: «I prover-
bi, dicono i nostri dizionari, sono brevi massime divenute popolari; Schopenhauer li av-
vicina ai luoghi; sono, egli dice, luoghi a tendenza pratica» (PERELMAN, OLBRECHTS-
TYTECA 1966, 175).
43
Il problema non riguarda soltanto Aristotele e la sua tradizione, ed è stato rilevato
anche per la poesia arcaica. In particolare per Alceo è emersa la difficoltà di definire il
rapporto tra metafora e proverbio (lo stesso problema, nella pratica di oratore e poeta,
promana irrisolto dai trattati aristotelici): «Alceo è, a buon diritto, il poeta delle metafo-
re. Ma μεταφορά, per i Greci, non era solo la nostra metafora, bensì una gamma di figu-
re e trópoi assai più ampia: tra questi, anche i proverbi [...]. Alcune immagini impiegate
da Alceo, in effetti, si rivelano all’analisi paremiografica come vere e proprie incursioni
nel patrimonio dei proverbi greci, più che come espressive e metaforiche creazioni
d’autore. Uno dei problemi più spinosi da affrontare, infatti, è proprio questo: distingue-
re le immagini ‘artisticamente’ metaforiche dai veri e propri proverbi, attestati per altre
vie o per comparazione con altre culture. Ciò è vero, in particolare, nella definizione di
alcune espressioni alcaiche problematiche, ove il confine tra metafora ‘d’autore’ e im-
maginario proverbiale è assai sottile» (LELLI 2006a, 24).
La rondine di Aristotele 73
44
Traduzione di GASTALDI 2014, 221.
La rondine di Aristotele 75
45
Traduzione di GASTALDI 2014, 231. Corsivo nostro.
46
«D’altra parte l’autorizzazione a ricondurre il nesso tutto-parti al rapporto tra gene-
re e specie ci viene accordata dallo stesso Aristotele quando, sempre in Metafisica V,
passando in rassegna i vari significati della nozione di “parte”, afferma che “si dicono
parti anche quelle in cui la forma può essere divisa... Perciò si dice che le specie sono
parti del genere (τὰ εἴδη τοῦ γένος φασὶν εἶναι μόρια)”» (FERMANI 2012, 41).
La rondine di Aristotele 77
Ed è per questo che spesso la giustizia è ritenuta essere la virtù più ec-
cellente, e che neppure la stella della sera né la stella del mattino sono
altrettanto degne di ammirazione. E col proverbio (παροιμιαζόμενοι)
diciamo che “nella giustizia è compresa ogni virtù.”. Ed è una virtù
massimamente perfetta perché consiste nell’esercizio della virtù per-
fetta, ed è perfetta poiché colui che la possiede è capace di esercitare
la virtù anche verso il prossimo e non solo verso se stesso.47
47
EN 5.1.1129b 27-33 (traduzione di Fermani 2008, 631). Il proverbio evocato costi-
tuisce una precisa citazione poetica: Thgn. 147; poche righe più avanti Aristotele cita un
detto attribuito a Biante, uno dei Sette Sapienti (ἀρχὴ ἄνδρα δείξει, “il potere rivelerà
l’uomo”, 1130a 1 s.).
78 Michele Curnis
48
Stob. 4.41.48 = TGF E. 661 (cf. E. Med. 1228) = Men. Mon. 596 (Jaekel 1964, 67,
che peraltro non registra la citazione di Arist. Rh.).
La rondine di Aristotele 79
49
Il tempo, come appare sempre più evidente, è l’elemento discriminante per il rag-
giungimento della felicità, ma in termini di sviluppo e di graduale accrescimento
dell’azione. Svolge la stessa funzione di progressivo avvicinamento alla verità anche
nell’indagine filosofica, come Aristotele scrive in EN 1.7.1098a 23 s., subito dopo il
proverbio della rondine: καὶ ὁ χρόνος τῶν τοιούτων εὑρετὴς ἢ συνεργὸς ἀγαθὸς εἶναι
(«sembrerebbe anche che il tempo si riveli utile come scopritore o come collaboratore»;
cf. FERMANI 2008, 455).
50
Sull’attività della felicità nel X libro di EN si veda in particolare GURTLER 2003.
80 Michele Curnis
51
DONINI 1999, XI s. Origine della dicotomia critica in HARDIE 1968, 6. Cf. Fermani
2012, 312-3125, anche per altra bibliografia. Va registrata la posizione di PAKALUK
2011, 25 s., il quale considera il I libro di EN non tanto come un trattato sulla felicità, da
integrarsi con il libro X, ma più semplicemente uno spazio definitorio della medesima
felicità; più in generale, EN I secondo Pakaluk sarebbe «a search or investigation – of-
ten tentative and halting, and frequently revisiting an already stated point – which looks
to uncover and identify something» (26).
52
Per una puntuale ricostruzione della controversia si veda soprattutto LISI 2004a; LI-
SI 2004b costituisce invece un superamento della divergenza esegetica tra felicità inclu-
siva e dominante, riferito soprattutto a ROWE 1990 e seguito da ROWE 2004.
La rondine di Aristotele 81
rio il detto della rondine quando si trova a un passo dalla soluzione esegetica: «There
are reasons why Aristotle seeks to link happiness and the length of a life, which are in
all likehood different from Solon’s. The problem is that Aristotle, aside from the me-
taphor of swallows and spring days, never explicitly spells out what these reasons are»
(FARWELL 1995, 260). L’ultima notazione non dovrebbe far riflettere che, forse, la
chiave della soluzione risieda proprio all’interno di quel proverbio?
57
Forse anche in funzione del proverbio si possono spiegare le frequenti allusioni alla
sapienza degli antichi che si leggono nel paragrafo successivo di EN 1.8,: 1098b 16-18
registra la «dottrina dei tre tipi di beni, che è antica (κατά γε ταύτην τὴν δόξαν παλαιὰν
οὖσαν) e riconosciuta unanimemente dai filosofi»; 1098b 27 è un accenno alle opinioni
di molti personaggi del passato sulla felicità (πολλοὶ καὶ παλαιοί); 1099a 24-28 è la tra-
scrizione dell’antica iscrizione di Delo, già riportata supra. Con l’avvio di 1.10, infine,
Aristotele recupera un’auctoritas recente nel tempo ma molto carismatica come quella
soloniana (1100a 10 ss.). Dal proverbio della rondine fino a Solone, il filosofo dunque
sembra organizzare la sua abituale rassegna di ἔνδοξα in ordine cronologico, selezio-
nando soltanto le conclusioni e i principi più utili al suo ragionamento.
84 Michele Curnis
Riferimenti bibliografici
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kasmós”, 2, 227-247.
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cione, Perkams 2005, 435-443.
TRIZIO M. (2013), Eliodoro di Prusa e i commentatori greco-
bizantini di Aristotele, in Rigo, Babuin, Trizio 2013, 805-832.
VETTORI P. (1579), Petri Victorii Commentarii in tres libros Ar-
istotelis de arte dicendi, Ex officina Iunctarum, Floren-tiae.
WARTELLE A. (1982), Lexique de la «Rhétorique» d’Aristote,
Les Belles Lettres, Paris.
ZANATTA M. (a cura di) (2008), Aristotele, I Dialoghi, BUR,
Milano.