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Cfr. Letters and Papers of the Reign of Henry VIII: “[…] 12 nobyll personages imparylled with blew
damaske and yellow damaske long gowns and hoods with hats after the manner of maskelyng in Etaly”.
2
Il mumming era in origine uno spettacolo itinerante che si svolgeva nel
periodo natalizio ed era suddiviso in più parti. Un gruppo di uomini con
maschere che coprivano i loro volti si recavano presso la casa di un nobile
signore e svolgevano un’azione mimica, dalla trama esile e lineare, per poi
giocare una partita a dadi con il padrone (che veniva sempre fatto vincere).
Infine si procedeva alla cerimonia dell’offerta dei doni per terminare con il
disvelamento dei volti degli uomini mascherati.
Le prime azioni parlate erano presenti nei character monologues e nei
character dialogues o character speech, usati come discorsi introduttivi
agli spettacoli, ai tornei, e ad altri intrattenimenti. Essi portarono i primi
esempi di azione drammatica che anticipò quella del disguising; erano
comunque ancora drammaticamente modesti, anche perché mancava a loro
supporto l’indispensabile elemento spettacolare della scenografia.
Nel disguising avevano molta importanza i travestimenti per la
comprensione dell’intera azione che era quasi sempre di tipo allegorico.
Questo genere di intrattenimento differisce dal mumming poiché ai recitanti
era concesso di parlare anche con le dame. Questo genere diventò molto
popolare presso la corte.
Il disguising, molto in voga presso la corte di Enrico VIII, era costituito
da una danza eseguita da un gruppo di uomini e uno di donne che si
univano in coppie in modo casuale per poi svelare nel finale la loro identità
al pubblico presente in sala. Questo genere di intrattenimento, dalla
struttura più complessa di quella del mumming, prevedeva la presenza di
carri allegorici, e anche per questo può ritenersi l’antenato più diretto del
masque.
Numerosi sono i punti di contatto tra il disguise e il masque:
innanzitutto per il tipo di scenografie utilizzate, l’impiego di rudimentali
macchinari scenici, costumi sfarzosi, la musica, la danza e la semplice
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struttura drammaturgia. Altri elementi presenti nel disguising che si
avvieranno in seguito a far parte del masque sono i portatori di fiaccole che
precedono i recitanti, danze particolari di diversa natura (ricordiamo che le
donne erano invitate alle danze solo dopo il termine dell’azione vera e
propria).
Preziosi ed elaborati erano i costumi e le scenografie (lo saranno
maggiormente quelli dei masque). Ne abbiamo un esempio che si riferisce
a un disguising dato a corte nel 1520, descritto da Holinshed nelle sue
Chronicles2. Di questa descrizione è interessante notare l’atteggiamento
della corte nei confronti degli spettacoli. Era stato addirittura istituito un
funzionario preposto per il loro allestimento (Master of the disguising and
revels). E’ chiaro come, fin da subito, lo spettacolo di corte acquisisce una
rilevante importanza nella vita della famiglia reale e dei nobili, soprattutto
dal punto di vista politico.
Tratto fondamentale degli intrattenimenti di corte è quindi la ricchezza
delle scenografie e il fasto dei costumi. Il Revels Office registra
stanziamenti notevoli per questo tipo di intrattenimenti come anche per altri
divertimenti cortigiani (tilting, tornei cavallereschi, barriers, dialoghi
drammatici culminanti in una finta tenzone seguita da una
riappacificazione, King-game, che consisteva nello scegliere un Re fittizio
per il periodo del Carnevale che presiedesse a tutti i festeggiamenti, sword–
dance, ossia la simulazione di un combattimento con spade).
Fra le fonti del masque non possiamo certo dimenticare l’influenza che
ebbe lo spettacolo di corte italiano. Già a partire dalla seconda metà del
1400 presso le corti italiane si davano spettacoli legati alle festività
religiose, o in occasione del carnevale.
2
R. Holinshed, Chronicles of England, Scotland and Wales, London, 1807-8.
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Ricordiamo fra gli altri una festa data da Papa Sisto IV in onore di
Eleonora d’Aragona, figlia del re Ferdinando di Napoli in visita a Roma.
Tutti gli elementi di questa festa erano quelli peculiari dl masque: la danza,
il travestimento, i portatori di torce, ecc.
Oltre agli elementi strutturali dello spettacolo l’eredità italiana del
masque inglese consiste anche nell’allestimento delle scenografie. Inigo
Jones, grande designer presso la corte di Giacomo I, nonché collaboratore
di Ben Jonson, aveva viaggiato molto in Italia, specie a Firenze, dove ebbe
modo di conoscere varie tecniche scenografiche tra cui l’uso della
prospettiva per i fondali, nuovi effetti di luce e l’uso di macchinari scenici
sempre più elaborati3.
Un altro componimento che è degno di essere ricordato proprio per il
contributo che portò al masque inglese fu lo spettacolo organizzato a
Firenze nel 1515 in occasione del matrimonio di Francesco de’ Medici con
Giovanna d’Austria. La struttura dello spettacolo poggiava sostanzialmente
sull’allegoria, strumento utilizzato per esaltare le virtù degli sposi, e lo
stesso accadrà in The Haddington Masque di Ben Jonson. La messinscena,
curata dal Brunelleschi, prevedeva l’utilizzo dei primi e rudimentali
macchinari scenici, oltre a un abile uso delle luci fisse e mobili, che
permettevano le apparizioni improvvise in scena (elemento tipico del
masque inglese)4.
Presso la corte di Enrico VIII il masque acquisì una forma più precisa e
se ne scoprirono soprattutto le potenzialità propagandistiche.
3
Steven Orgel and Roy Strong: Inigo Jones, the Theatre of the Stuart Court. Sotheby Parke Bernet
Publications, London, 1973. In questo volume sono presenti numerose informazioni sugli elementi
scenografici utilizzati da Inigo Jones per la preparazione dei masque.
4
Per le fonti del masque inglese vedere il volume a cura di Antonio Amato: Ben Jonson Masques, Mario
Bulzoni Editore, Roma, 1966.
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Il masque era diventato un appuntamento fisso che si svolgeva con
regolarità qualora ci fosse la necessità di celebrare un evento religioso, un
fatto di corte di grande importanza come per esempio compleanni,
matrimoni, visite di ambasciatori stranieri a corte. Questo fu possibile
grazie alla politica di rinnovamento culturale di Enrico VIII svolta presso la
corte inglese nel Cinquecento, ma anche grazie al fatto che il Sovrano era
un appassionato di divertimenti, banchetti e spettacoli e di certo non badava
a spese per la loro realizzazione; tutte le uscite che riguardavano
l’allestimento degli spettacoli venivano debitamente rese pubbliche, quasi a
voler ostentare l’importanza del masque come momento fondamentale
della vita di corte. Enrico VIII fu il primo sovrano a cui piaceva partecipare
allo spettacolo interpretando il ruolo di protagonista, e credeva che le
stravaganze del masque, considerate dalla schiera puritana come effimere e
scandalose, fossero in realtà delle virtù.5
Nonostante la figlia Elisabetta non stanziò mai troppo denaro per lo
spettacolo di corte, fu proprio durante il suo regno che il masque cominciò
a svilupparsi come vero e proprio genere teatrale, ma soprattutto ne
vennero intuite le funzioni celebrative e di propaganda politica. Non solo, il
masque aveva anche la funzione di elogio di determinati valori morali
correnti, oppure nascondeva una critica alla società, o alla corte stessa.
La nuova regina, a differenza del padre, non partecipò mai attivamente
a nessuno degli spettacoli organizzati a corte, e soprattutto era molto restia
nell’elargire grosse somme di denaro per la realizzazione degli spettacoli.
Tutto questo ovviamente influì sulla struttura del masque che perse
soprattutto nella profondità del testo poetico; i libretti degli spettacoli erano
in effetti molto scarni.
5
I puritani criticavano qualsiasi forma di arte, di svago o divertimento, Cromwell fece chiudere i teatri,
vendette la collezione reale di quadri e ordinò di togliere il viso a tutte le statue.
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Durante il regno di Elisabetta gli autori non inserirono mai nel masque
elementi vistosamente drammatici o profondamente poetici, e per questo
motivo si accentuò maggiormente la spettacolarità. Il masque doveva
innanzitutto soddisfare gli occhi con i suoi costumi sfarzosi (pagati dagli
stessi attori), le magnifiche e sempre più elaborate scenografie e le danze.
Fra i masque più importanti dell’epoca di Elisabetta ricordiamo The
masque of Conquerors del 1559, messo in scena per celebrare
l’anniversario dell’incoronazione di Elisabetta.
Fu comunque con il regno di Giacomo I che il masque raggiunse il suo
culmine. Grazie al rilancio degli spettacoli di corte e delle altre attività di
rappresentanza da parte del re il masque subì un successivo sviluppo, mutò
in un genere nuovo, dalla fisionomia inconfondibile e dalla notevolissima
importanza tanto dal punto di vista spettacolare che da quello ufficiale e
politico.
Spesso i sovrani, come Enrico VIII o la Regina Anna (moglie di
Giacomo I), amavano partecipare attivamente al masque. Ricordiamo
comunque che i cosiddetti Masquers non erano attori veri e propri; una
lady o un gentleman che partecipava al masque doveva sempre e comunque
attenersi agli obblighi delle complesse regole di comportamento di corte. Il
re e la regina danzano nel masque perché la danza è il requisito di qualsiasi
nobiluomo o nobildonna, ma il recitare una parte non era compito loro. Per
i ruoli parlanti venivano reclutati attori professionisti6.
Questa considerazione pratica diventò per Ben Jonson e Inigo Jones un
concetto metafisico e la struttura del masque si divise in due parti distinte
(questa fu la forma del masque ideata dai due artisti su richiesta del re
Giacomo I e della moglie).
6
Orgel Steven, The Illusion of Power, Political Theatre in English Renaissance, University of California
Press, Berkeley, 1975.
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La prima parte, definita con il nome di anti-masque, era rappresentata
da attori professionisti e presentava un mondo di disordine o di vizi,
qualsiasi cosa che il mondo ideale rappresentato nella seconda parte, il
main masque, doveva combattere e superare.
Giacomo I, al contrario di Elisabetta, stanziava somme esorbitanti (a
volte con troppa lascivia) per l’allestimento degli spettacoli a corte. Come
già detto è proprio durante il primo periodo Stuart che il masque prende
una forma nuova, acquisisce una maggiore importanza dal punto di vista
letterario, e questo fu dovuto, tra le altre cose, alla qualificazione e alla
professionalità degli autori. Durante il regno di Giacomo I si registra la
presenza di numerosi libretti (settanta circa, di cui ventiquattro portano la
firma di Ben Jonson), segno di una cospicua produzione che non ebbe mai
pari.
Fra gli autori che contribuirono a fare del masque un genere dalle
caratteristiche peculiari ricordiamo Samuel Daniel e George Chapman, che
possono essere accostati a Jonson per l’originalità dei testi.
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1.1 Le componenti del masque.
La struttura del masque è caratterizzata da numerosi elementi, e di
diversa natura. Prima di tutto è necessario rispettare esigenze di tipo
pratico, quali le caratteristiche della sala (grandezza, disponibilità acustica,
ecc.). Fondamentale è il fattore economico: il masque, costosissimo,
comportava l’acquisto di abiti elegantissimi, gioielli preziosi, progettazione
e realizzazione di elaborate scenografie, l’uso dell’orchestra.
E’ più che chiaro che il punto focale del masque è il sovrano: basti
pensare che durante la rappresentazione il re sedeva su un trono posto al
centro della sala7.
La più diffusa concezione della monarchia rinascimentale è quella che
il sovrano doveva essere una figura esemplare, era necessario che avesse
tutte le virtù, o almeno che così sembrasse; il re era un esempio di grande
forza di spirito, sia che la cosa coincidesse con la realtà oppure no, e la
metafora teatrale era un espressione naturale di tale attitudine. Giacomo I
fece di questa teoria un precetto per il suo erede nel suo manuale Basilikon
Doron:
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Steven Orgel descrive l’importanza della figura del sovrano negli spettacoli di corte in The Illusion of
Power, Political Theatre in English Renaissance.
8
C. H. Mc Ilwain, Political Works of James I (Cambridge, Massachussets, 1918).
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Egli fu simbolo di saggezza, di giustizia e di misericordia, era
considerato l’epicentro del regno e intorno a lui, come satelliti, ruotavano i
cortigiani. Egli faceva parte del cast anche quando non si muoveva
fisicamente sul palcoscenico, era l’unico e vero protagonista.
Il masque era quindi un mezzo per lodare il sovrano, ma non solo, era
anche un modo per incoraggiarlo a svolgere al meglio i propri doveri nei
confronti del popolo inglese.
Il masque era in genere preceduto da una cena alla quale partecipavano
invitati di nobile rango. L’accesso alla sala era regolato dal Lord
Chamberlain fino all’esaurimento dei posti disponibili; possiamo quindi
immaginare il caos che si poteva creare tenendo conto dell’assenza di un
sistema di prenotazione. La precedenza veniva data comunque alle dame
che spesso dovevano indossare abiti poco ingombranti per cercare di
guadagnare il maggior spazio possibile per i posti a sedere9.
Del pubblico facevano parte anche ambasciatori stranieri che erano
venuti in visita di piacere o (come più spesso accadeva) erano in visita
ufficiale. Infatti oltre che fatto mondano ed esaltazione del sovrano il
masque era anche un occasione per discutere con diplomatici stranieri
questioni politiche di grande importanza. Questo fattore influenzò non poco
i testi degli spettacoli, che spesso dovettero essere riveduti e corretti
affinché non recassero offesa alcuna al diplomatico in visita e di
conseguenza a tutta la nazione che era venuto a rappresentare.
Aspetto fondamentale della realizzazione del masque era il fattore
economico. Il masque era uno spettacolo decisamente sontuoso e ricco, e
questo era dovuto al fatto che le spese per l’allestimento erano pagate
9
Antonio Amato descrive tutte le tappe della cerimonia che precede e segue il masque nell’introduzione a
Ben Jonson Masques.
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interamente dalla corte che assumeva artigiani, tecnici e autori appaltando i
settori di loro competenza.
Tutte le spese erano registrate nelle scritture contabili dell’Office of the
Revels, che si occupava della realizzazione dei costumi e delle decorazioni.
La spesa media di un masque durante il regno di Giacomo I era di circa
trecento sterline, ed i più costosi erano quelli dedicati alla Regina Anna
(cinquecento sterline circa).
Le grandi somme investite negli spettacoli servivano in gran parte per i
costumi indossati dagli attori. Nulla era lasciato al caso nell’allestimento
del masque e per quanto riguarda i costumi non solo si teneva conto delle
esigenze sceniche e drammaturgiche, ma anche del rango sociale di chi li
indossava. Ogni abito (così come ogni colore) rimandava a una simbologia
ben precisa.
Compito di disegnare i costumi femminili (solo le donne indossavano
abiti antichi perché gli uomini indossavano abiti alla moda) era affidato al
designer di corte Inigo Jones.
Molto importanti erano anche gli abiti dei portatori di torce (che
solitamente precedono l’entrata in scena degli attori del masque vero e
prorprio), i cui colori venivano ravvivati dalla luce prodotta dalle torce, che
servivano per illuminare la scena. Con il perfezionamento del sistema di
illuminazione la funzione dei portatori di torce divenne sempre meno
importante fino a che scomparirono dalla scena. Altri elementi
importantissimi, nonché tratti caratteristici del masque, sono la musica, la
danza e il canto che armoniosamente vanno ad unirsi a tutte le altre
componenti. La funzione della musica era quella di creare o intensificare
una certa atmosfera emotiva che trapelava dallo spettacolo.
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La composizione e l’esecuzione delle musiche erano affidate ai
professionisti di corte che al tempo di Jonson ammontavano a cinquantotto,
compresi i cantanti, gli orchestrali e i compositori. Il più famoso tra questi
ultimi fu Alfonso Ferrabosco10.
I momenti musicali dello spettacolo, oltre che ad accompagnare le
danze, servivano anche a concedere ai recitanti un attimo di riposo, o al
pubblico, che con la musica veniva distratto durante i cambi di scena.
Le coreografie erano elaborate e molto complesse, erano eseguite nella
maggior parte dei casi da professionisti ma anche dai cortigiani stessi. Le
danze del masque si susseguivano rispettando rigidissime convenzioni: il
ballo iniziale, denominato entry, veniva eseguito subito dopo l’ingresso dei
recitanti (grand entry o procession o ancora triumph); il secondo, il main
dance, aveva luogo a seguito dello svolgimento dell’azione principale; il
terzo ed ultimo, il last dance, concludeva lo spettacolo, dopodiché i
recitanti tornavano ad occupare il loro posto al banchetto.
Alcune volte tra il secondo e il terzo ballo venivano inserite danze
supplementari, le base dances di tono aulico e i revels o sound dances più
vivaci.
Come tutte le altre componenti anche la messinscena si adegua al
continuo svilupparsi del masque dalle sue origini fino all’epoca di Giacomo
I. Agli inizi la realizzazione scenica degli spettacoli si basava su strutture di
materiali alquanto scarsi e decisamente poco costosi. Con la costruzione
della long house (sala appositamente adibita alle rappresentazioni) nel 1527
la situazione mutò.
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Nato a Greenwich studiò a Bologna la tecnica della monodia, che a differenza della polifonia,
esprimeva al meglio le situazioni drammatiche. Entrò alla corte di Giacomo I il 22 marzo del 1605
quando fu nominato istruttore musicale del principe Enrico con uno stipendio di cinquanta sterline annue.
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Le scenografie si fecero col tempo sempre più complesse e furono
introdotte macchine sceniche mai usate prima. E’ ovvio che tutto ciò portò
ad un notevole aumento delle spese, specialmente durante il regno di
Giacomo I11.
Fra i cambiamenti più importanti vi è il passaggio dal dispersed setting,
che consisteva nella estensione dello scenario per l’intera sala, al
concentrated setting, che sfruttava praticamente la sola parte inferiore di
essa (lower end), che era quella parte occupata dal palcoscenico, posto di
fronte all’upper end, dove era collocato il trono. La parte centrale della sala
(ground) era riservata alle danze.
Il dispersed setting era tipico dei primi masque, nei quali tutto l’effetto
scenico era affidato ai recitanti, ai costumi, e ovviamente alla musica. I
mutamenti di scena erano assenti e l’azione scenica occupava tutta la sala.
Fu l’introduzione dei pageants (elementi scenici mobili) a cambiare
l’impostazione dello spettacolo; ci si rese conto che concentrando in un
unico punto tutta l’azione scenica (scenografie comprese) l’attenzione del
pubblico sarebbe aumentata.
Così nacque il concentrated setting che portò anche a un uso più pratico
e funzionale dell’illuminazione scenica.
Il sistema di illuminazione era collocato dietro le quinte, le candele
erano poste su dei ripiani legati l’uno all’altro con delle catene scorrevoli
poste verticalmente. La luce emanata era riflessa e amplificata da specchi di
colore giallo. A volte le candele si trovavano anche dietro il fondale, spesso
a rappresentare le stelle della volta celeste. Un esempio di concentrated
setting di una certa complessità si ebbe in Hymenaei .
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John Summerson, Inigo Jones, Penguin Books L.t.d., Harmondsworth, Middelsex, England, 1966.
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In uno dei due tempi dello spettacolo l’azione era rivelata dall’apertura
di un globo, oppure nel Masque of Queens (1609), grazie alla machina
versatilis, l’inferno scompare per lasciare il posto alla House of Fame. La
machina versatilis, per mezzo di un movimento circolare, mostrava le
diverse facce della stessa struttura, permettendo rapidi cambi di scena.
Durante i cambi di scena si ricorreva inoltre ad artifici particolari per
distrarre il pubblico, fra i quali il più frequente era una finta lite inscenata
in fondo alla sala che richiamava l’attenzione del pubblico costretto a
voltarsi.
Il masque presenta quindi il trionfo di una comunità aristocratica, è
creato per la corte e celebra la corte, dal momento che il suo fulcro è la fede
nella gerarchia e nel potere dell’idealizzazione. In termini filosofici è da
una parte platonico e dall’altra machiavellico: platonico perché presenta
immagini del bene al quale i partecipanti aspirano, machiavellico perché le
sue idealizzazioni sono progettate per giustificare il potere che celebra. Il
masque è in un certo senso l’opposto della satira; esso ha lo scopo di
educare creando ruoli eroici per i leader della società; il pubblico
rinascimentale credeva nel potere dell’arte di persuadere, trasformare e
preservare, e il masque poteva essere più persuasivo e impressionante di un
quadro o di una scultura.
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