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SCIENZA
DELLE FINANZE
ovvero il volto giuridico delleconomia,
tra aziende e istituzioni pubbliche
Raffaello Lupi
IN QUESTA COLLANA:
Compendio di Diritto Penale Parte Generale
Compendio di Diritto Penale Parte Speciale
Compendio di Diritto Costituzionale
Compendio di Ordinamento e Deontologia Forense
Compendio di Diritto dellUnione Europea
Compendio di Diritto del Lavoro
Compendio di Diritto Civile
Compendio di Procedura Civile
Compendio di Diritto Tributario
Compendio di Contabilit di Stato e degli Enti Pubblici
Compendio di Diritto Amministrativo
Compendio di Procedura Penale
Compendio di Diritto Ecclesiastico
Copertina
Chiara Damiani
Realizzazione editoriale
Studio Editoriale Cafagna, Barletta
Capitolo Primo
UN PUNTO DI INCONTRO TRA ECONOMIA, POLITICA E
DIRITTO..................................................................................................1
1.1. Scienza delle finanze come punto di incontro tra le scienze so-
ciali...................................................................................................1
1.2. I gruppi sociali tra istituzioni (pubblici poteri) e operatori econo-
mici (scambi bilaterali).......................................................................2
1.3. Fondamento politico delle istituzioni (consenso multilaterale) e con-
senso economico di scambio (bilaterale).............................................4
1.4. Linterdipendenza tra istituzioni, espressive di politica e diritto, ed
economia..........................................................................................5
Capitolo Secondo
ERE ECONOMICHE E BAGAGLIO CULTURALE ECONOMI-
CO-GIURIDICO ....................................................................................7
2.1. Ere economiche di base (raccolta, agricoltura-artigianato, indu-
stria) e istituzioni politiche. ...............................................................7
2.2. Il radicamento del bagaglio culturale moderno nellera economi-
ca agricolo-artigianale....................................................................9
2.3. Istituzioni gerarchico-militari dellera agricolo artigianale.............11
2.4. Segue: Leconomia agricolo-artigianale tra autoconsumo e scambio. ...12
2.5. Importanza economica del territorio e militarismo delle societ
agricolo-artigianali..........................................................................14
2.6. Cooptazione politica per censo economico nellera agricolo arti-
gianale.............................................................................................17
IV INDICE
Capitolo Terzo
LE AZIENDE TECNOLOGICHE, COME GRUPPO SOCIALE
A VOCAZIONE ECONOMICA............................................................27
3.1. Sviluppo scientifico-tecnologico e spirito di ricerca europeo
occidentale (interrelazioni tra struttura economica e sovrastrut-
tura culturale). ................................................................................27
3.2. Applicazione tecnologica delle scienze fisiche, era aziendale e
sua complessit................................................................................29
3.3. Aziendalizzazione di agricoltura e servizi: restringimento della
base direttamente produttiva............................................................30
3.4. Lazienda tecnologica come corpo sociale (equivoci oggetti-
vistico-antropomorfici)..................................................................31
3.5. Lazienda come istituzione privata?...............................................34
3.6. Laggregazione attorno al prodotto come limite culturale del-
lazienda..........................................................................................36
3.7. Le rigidit aziendali ed il loro fraintendimento moralistico-an-
tropomorfico...................................................................................38
3.8. I veri lati oscuri dellazienda: rinvio al prossimo capitolo su
pubblica opinione e istituzioni.........................................................40
3.9. Inadeguatezza del precedente bagaglio culturale per spiegare le
aziende tecnologiche. .....................................................................41
3.10. Lequilibrio aziendale: economie di scala, costo medio, costo
marginale e break even point come espressione di equilibrio. .............43
3.11. Efficienza ed efficacia nellazienda tecnologica.................................45
3.12. Lazienda tecnologica e il profitto attraverso lequilibrio e la
creazione di valore (il valore aggiunto)..........................................48
3.13. Lequivoco del capitalismo e la subalternit culturale delle aziende..........50
3.14. La governance aziendale e il passaggio generazionale.................52
3.15. Epilogo: lintegrazione tra aziende e opinione pubblica come
alternativa alla disintegrazione aziendale e sociale.............................54
INDICE V
Capitolo Quarto
LE ISTITUZIONI NELLERA AZIENDALE: FALLIMENTI
DEL MERCATO E LECONOMIA PUBBLICA...............................59
4.1. I riflessi dellera aziendale sul resto dellorganizzazione socia-
le: la crisi delle altre forme di aggregazione (famiglie, comuni-
t territoriali, religiose, etc.).............................................................59
4.2. Laccresciuta responsabilit della politica e la diminuzione del
suo potere rispetto alla societ agricolo artigianale...........................62
4.3. Lera aziendale e la politica come riflesso della pubblica opinione.........63
4.4. Le esternalit , positive e negative dellera aziendaltecnologi-
ca sullambiente sociale. ..................................................................65
4.5. Lalienazione del lavoro come esternalit negativa. .......................66
4.6. Linsufficienza delle spiegazioni socio matematiche della scien-
za economica..................................................................................68
4.7. Le illusioni sulla capacit del mercato di trovare un equilibrio
(fallimento del mercato)...................................................................70
4.8. Beni pubblici e beni privati, come sinonimo di attivit,
prestazioni dirette al soddisfacimento dei bisogni. ........................72
4.9. Beni economici e istituzioni pubbliche: chiarimenti metodo-
logici ed equivoci da evitare.............................................................72
4.10. Conferme da altre classificazioni dei beni indivisibili (non
escludibili) e divisibili (escludibili o rivali).....................................75
4.11. Levidenza empirica del ruolo economico dello stato sotto qual-
siasi regime politico dellera aziendale..............................................77
4.12. Il comunismo come esperimento estremo di assorbimento del-
leconomia nella politica..................................................................78
4.13. Sussidiariet dellintervento pubblico e sua coesistenza con leco-
nomia privata..................................................................................80
4.14. Lintervento pubblico regolatorio, contro le asimmetrie infor-
mative di una societ complessa. ....................................................83
4.15. Lintervento diretto nella produzione e i suoi rischi di ineffi-
cienza (rinvio). ...............................................................................84
4.16. Unione europea tra economia privata e istituzioni (la diversi-
t di macchine pubbliche come ostacolo allunione politica). ..........85
4.17. Segue: divieti comunitari verso restrizioni alla circolazione e
alla concorrenza..............................................................................87
Capitolo Quinto
IL CORTO CIRCUITO TRA ECONOMIA PUBBLICA, POLI-
TICA E PUBBLICA OPINIONE ..........................................................89
5.1. Intervento pubblico: dal modello militare allimitazione del
modello aziendale. ..........................................................................89
VI INDICE
Capitolo Sesto
UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO PER
FUNZIONI E CONTENUTI.............................................................. 107
6.1. Spesa pubblica per natura e funzione (spese correnti e in conto
capitale)......................................................................................... 107
6.2. I livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato apparato
(ministeri), enti autonomi e territoriali........................................... 108
6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (federali-
smo fiscale).................................................................................... 109
6.4. Spese istituzionali ed economia pubblica: un ordine di gran-
dezza dei costi............................................................................... 111
6.5. I costi diretti della politica (un simbolo pi che altro)..................... 112
6.6. Affari esteri e partecipazione a enti sovranazionali (finanzia-
mento unione europea e fondi comunitari)................................ 113
6.7. Segue. Difesa.................................................................................. 114
6.8. Segue. Sicurezza e giustizia............................................................. 114
6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile............................. 115
6.10. Sanit............................................................................................ 116
6.11. Istruzione...................................................................................... 117
6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica mo-
netaria........................................................................................... 118
6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle entrate e
Guardia di Finanza (5 miliardi circa).............................................. 118
6.14. La previdenza tra corrispettivit e fiscalit...................................... 119
6.15. Spese per integrazioni salariali e sussidi (differenziali di assi-
stenza non coperta da contributi)................................................... 122
INDICE VII
Capitolo Settimo
MISURAZIONE DEGLI SCAMBI (IL PIL),VALORI E DENA-
RO NEI RIFLESSI FINANZIARI DELLINTERVENTO PUB-
BLICO................................................................................................... 125
7.1. La misurazione delleconomia e il PIL come indicatore degli
scambi di mercato.......................................................................... 125
7.2. Il PIL nei confronti internazionali: pregi e difetti informativi......... 129
7.3. La valutazione nel PIL delleconomia pubblica non di scambio. ....... 131
7.4. Valori economici come valori umani e loro relativismo.............. 133
7.5. I valori economici nella prospettiva dellacquirente: valore
duso e di scambio......................................................................... 134
7.6. Segue: i valori economici dal punto di vista del venditore: va-
lore e remunerazione del lavoro................................................... 135
7.7. Valori e moneta come simbolo di crediti: spontaneismo
privato e limiti dellintervento pubblico. ....................................... 137
7.8. Banca, finanza ed economia pubblica............................................. 140
7.9. La finanza e i rischi di sua degenerazione....................................... 142
7.10. Intervento pubblico e tassi di cambio: svalutazione e inflazione...... 143
7.11. Istituzioni e globalizzazione: pro e contro. ..................................... 145
7.12. LEuro come esempio di moneta sovranazionale......................... 148
Capitolo Ottavo
IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO: TAS-
SAZIONE ATTRAVERSO LE AZIENDE E AUTOTASSAZIONE
(RINVII AL COMPENDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO) ............... 151
8.1. La tassazione come settore della fiscalit......................................... 151
8.2. Entrate da sfruttamento del patrimonio pubblico........................... 152
8.3. Finanziamento a debito della spesa pubblica e suoi limiti................ 153
8.4. Pubbliche entrate tra beneficio (tariffe), remunerazione di
funzioni pubbliche (tasse in senso stretto) e imposte (prin-
cipio del sacrificio patrimoniale).................................................... 159
8.5. Imposte dirette e indirette: riconducibilit economica di tutte
le imposte ai redditi....................................................................... 160
8.6. Limportanza della determinazione della ricchezza: le epoche
della sua valutazione attraverso pubblici uffici................................. 161
8.7. La tassazione attraverso le aziende.................................................. 162
8.8. Differenza tra tassazione attraverso le aziende e autotassazione........ 164
8.9. Lo scoordinamento tra tassazione ragionieristica attraverso le
aziende e valutativa attraverso gli uffici tributari............................. 165
8.10. Il disorientamento e le divagazioni sugli effetti delle imposte.......... 166
VIII INDICE
8.11. Stima della ricchezza che sfugge alle aziende e intervento va-
lutativo dei pubblici uffici.............................................................. 168
8.12. Pressione fiscale e c.d. redistribuzione......................................... 170
8.13. Riflessi tributari del federalismo fiscale.......................................... 172
Prefazione alla seconda edizione
La prima edizione del libro era la sintesi di un precedente volume, intitolato Manuale
giuridico di scienza delle finanze. Sono passati due anni, ed anche se tanti aspetti di
quel libro mi sembrano insicuri, ripetitivi o semplicistici, lesperienza dimostra che la
strada era quella giusta. Molti di coloro cui ho regalato il libro lhanno scorso con inte-
resse. Qualcuno lha addirittura letto tutto, cosa rara per esponenti della classe dirigente,
affaccendati in mille cose. La sperimentazione didattica, dove gli studenti si applicano,
dovendo fare di necessit virt, stata addirittura lusinghiera, ed ha confermato che
questa la strada per losmosi tra istituzioni giuridiche ed aziende, espressione delle-
conomia. Questultima certamente la scienza sociale di punta, come capacit dei suoi
esponenti di relazionarsi con la pubblica opinione.Tuttavia anchessa ha pagato prezzi
elevatissimi al complesso di inferiorit delle scienze sociali nei confronti delle scienze
fisiche, o hard sciences, o semplicemente scienze della materia, compresa la medicina,
che guarda alluomo come carne ed organi, non come spirito. Davanti ai tangibili e
straordinari successi delle scienze della materia, le scienze umane, intese come scienze
dello spirito umano, hanno cercato in vari modi di esorcizzare il loro timore di essere
riflessioni alla portata di tutti. Se si vuole chiacchiere. Forse per questo leconomia ha
rivestito di equazioni, grafici e formule, delle semplici correlazioni tra i comportamenti
umani. Bisogna invece accettare lidea che le scienze sociali sono patrimonio comune di
tutti gli interessati, secondo il grado di interesse e le contingenze con cui vi si avvicinano.
I problemi sociali possono essere risolti solo attraverso la loro comprensione, per quanto
di interesse, da parte del maggior numero di persone. Anzi, forse, quando i problemi
dellorganizzazione sociale sono stati capiti da un numero sufficiente di persone, gi
sono stati risolti. uno dei tanti aspetti delle scienze umane che cercher di sviluppare,
sperando di trovare dei compagni di strada. Per le altre indicazioni rinvio alla prefazione
della prima edizione, semplicemente riletta, rifocalizzata e ripubblicata a seguire.
Prefazione alla prima edizione
Queste ambizioni del volume non devono far dimenticare loccasione per cui stato
redatto, cio quella di snellire e rendere proficui i concorsi pubblici sul tema. Conseguen-
temente al volume si abbinano una serie di domande e quesiti inseriti sul sito www.
organizzazionesociale.com, da parte dellautore.
Capitolo Primo
UN PUNTO DI INCONTRO
TRA ECONOMIA, POLITICA E DIRITTO
Sommario: 1.1. Scienza delle finanze come punto di incontro tra le scienze sociali. 1.2. I
gruppi sociali tra istituzioni (pubblici poteri) e operatori economici (scambi bilaterali).
1.3. Fondamento politico delle istituzioni (consenso multilaterale) e consenso economico di
scambio (bilaterale). 1.4. Linterdipendenza tra istituzioni, espressive di politica e diritto, ed
economia.
1
Magari contrapponendoli e chiedendosi in astratto se pi importante luno o laltro.
4 Compendio di Scienza delle Finanze
entit senzienti, gli individui che ne fanno parte sono reali, ed esprimono la
dimensione collettiva dellesistenza; in essa gli individui si servono del
gruppo (in breve: stanno insieme), e il gruppo, come metafora, si serve degli
individui, per soddisfare i gi indicati bisogni, ad esempio sicurezza e difesa,
dove la cooperazione multilaterale indispensabile. una costante di
ogni tipo di organizzazione sociale, come vedremo, anche storicamente,
al prossimo paragrafo.
del diritto rispetto alla politica, stata meno immediata per le altre funzioni
pubbliche, curate direttamente dalla politica, o da funzionari con un rappor-
to fiduciario diretto con essa, che costantemente li sorvegliava. Mi riferisco
ai settori della guerra, della sicurezza, della religione, della progettazione e
ideazione di infrastrutture, della sanit pubblica, dove lesigenza di unifor-
mit e prevedibilit era minore, e il vertice politico seguiva pi direttamente
le istituzioni; la politica in questi settori assorbiva quasi del tutto il diritto, e
le pubbliche autorit erano legate al modo di sentire del gruppo, facendose-
ne interpreti secondo varie sfumature dellinteresse generale, in relazione alle
circostanze del caso concreto; si tratta ad esempio di condurre un conflitto,
arginare una calamit naturale, reprimere sollevazioni, placare il sentimento
popolare, turbato da qualche evento antisociale o antireligioso, che per lepoca
era lo stesso. Anche qui tuttavia non cerano solo valutazioni di opportunit e
convenienza, e si intravedevano frammiste allopportunit politica consi-
derazioni che chiameremmo giuridiche. In questo paragrafo iniziale preme
solo rilevare losmosi strutturale tra intervento delle istituzioni pub-
bliche e scambi privati. Cio al tempo stesso la distinzione tra economia
da un lato e il binomio politica-diritto dallaltro. Per leconomia, secondo un
filo conduttore del testo, lordine sociale garantito dalla politica e dal diritto
un presupposto fondamentale. Ripeteremo spesso che le istituzioni, cio la
politica e il diritto (basate sul consenso politico multilaterale) dovrebbero garan-
tire lo svolgimento delleconomia, basata sul consenso negozial-bilaterale. Le
istituzioni espresse dal gruppo sociale interagiscono con leconomia privata,
ed entrambe si dimensionano luna rispetto allaltra. In ogni organizzazione
sociale c una interazione, anzich una separazione, tra il mercato, come lin-
sieme degli operatori economici e lo stato, nelle sue varie istituzioni come
proiezione della comunit. Il gruppo sociale esprimeva la classe dirigente
(par. 2.5), secondo un insieme di valori fluidi, talvolta cristallizzati in regole,
come quelle dinastiche o di elezione dei magistrati, costituenti lembrione del
moderno diritto pubblico, di cui vedremo liniziale matrice militar-religiosa
(a riprova della forza del gruppo come base della sovranit, e del diritto come
emanazione della politica).
Le pubbliche autorit, infatti, i funzionari, i magistrati, cercavano di legit-
timarsi agli occhi di quella che per essi era la pubblica opinione dellepoca,
cio la propria classe dirigente di riferimento (par. 2.6 nellera agricolo-
artigianale e par. 5.5 per i giorni nostri), evitando di compromettere la coe-
sione del gruppo, e cercando di agire, spesso in buona fede, nellinteresse del
medesimo.
Capitolo Secondo
ERE ECONOMICHE E BAGAGLIO
CULTURALE ECONOMICO-GIURIDICO
1
Laltro gruppo sociale di base era a matrice spirituale, avendo fondamento religioso.
16 Compendio di Scienza delle Finanze
nascita, ad esempio nel sistema feudale, erano condivise dalla parte pi nume-
rosa della popolazione.
Tuttavia, come indicato al paragrafo precedente, esisteva una qualche
mobilit sociale, cio una possibilit di migliorare la propria condizione.
Ricordiamo dal paragrafo precedente, sul rapporto tra politica ed economia,
la possibilit di fare fortuna, premessa per la gi indicata scalata sociale; lo
confermano le gi indicate storie di famiglie nobiliari, originate da qualche
mercante o abile organizzatore di successo, prima arricchito e poi cooptato
nella classe nobiliar-militare; ci assicurava, nella secolare stabilit, una qual-
che possibilit di ricambio, di miglioramento della propria condizione, in cui
si sfogavano le energie di individui ambiziosi e determinati, che altrimenti
avrebbero potuto rivoltarsi contro lordine costituito. Non cerano per solo
finalit preventive, di coesione ed autoprotettive in questa possibilit di essere
cooptati nella classe dirigente, prima economica e poi politica. La cooptazione
era anche un riflesso della utilit sociale di mettere al servizio della collettivit
le migliori e pi costruttive energie organizzative. Con levoluzione rispetto
alla remota epoca dei cacciatori raccoglitori, labilit organizzativa di altri
uomini prende il posto dellabilit nello svolgere compiti materiali, cio tro-
vare cibo o cacciare animali.
Per questo, anche se basate sullagricoltura e lartigianato, le societ indicate
al paragrafo precedente non erano insomma organizzate n da agricoltori, n
da artigiani, bens da soggetti che si proponevano, appunto, di acquisire il con-
senso della base, di agricoltori e artigiani, per organizzare le esigenze collettive.
La collettivit ha certamente bisogno di organizzazione, per non tutti
possono avere un ruolo organizzativo, in quanto qualcuno deve pur lavorare,
producendo eccedenze alimentari sufficienti a mantenere anche chi organizza
(fino ai paradossi divertenti sulleccesso di organizzatori, rispetto ai lavorato-
ri, che si possono vedere cercando su Youtube un cartone animato intitolato
gara di canoa).
per importante che nel gruppo si avverta la possibilit di promo-
zione sociale, di successo, per i capaci e i meritevoli; una valvola di
sfogo, magari simbolica, importante per la coesione sociale. Cui contribuisce
fortemente limmagine di qualcuno che ce lha fatta; come se i pochi che
hanno avuto successo fossero un simbolo anche per i molti rimasti al pun-
to di partenza o gi di l; cui per lassetto sociale sembrer meno ingiusto
perch qualcun altro ce lha fatta; a ben vedere, un po di sogno americano
sempre stato necessario in qualsiasi epoca. Nellera agricolo artigianale, la
collocazione sociale dipendeva in gran parte dalla nascita, anche in assenza
delleducazione scolastica di massa, ma qualche mobilit esisteva, soprattut-
to entrando nella classe media (artigianale e mercantile); le possibilit di
22 Compendio di Scienza delle Finanze
elevate (potere politico militare, cfr. par. 2.5), ed era effettuata materialmente
a vario titolo da concessionari in compartecipazione, secondo varie forme di
condivisione dei frutti della terra.
La necessit di una organizzazione sussisteva anche per i titolari di un
sapere artigianale qualificato, con commesse eccedenti quelle effettuabili
col loro lavoro personale, e che quindi istruivano lavoranti terzi, ma si trattava
di un caso raro.
Una organizzazione maggiormente articolata del lavoro artigianale sus-
sisteva quando il lavoro doveva avvenire in comune per la particolare com-
plessit dellopera da compiere, che travalicava le capacit di singoli addetti.
Abbiamo gi ricordato la cantieristica, le infrastrutture, le cattedrali, dove la
committenza era spesso del pubblico potere (si pensi allarsenale di Venezia,
uno dei primi esempi di antica fabbrica destinata per alla flotta da guerra
della serenissima Repubblica).
Era un contesto debolmente simile a quello odierno, salva la maggiore
importanza del lavoro individuale e dei saperi artigianali rispetto a quelli
contenuti allinterno delle macchine, tipiche dellera aziendale e che vedre-
mo al prossimo capitolo. Gli attrezzi erano ingegnosi, ma empirici, deri-
vanti da intuizioni tramandate, organizzate e migliorate da generazioni
di artigiani.
La vita era difficile, e la povert materiale di quelle epoche conferma-
ta dal tramandarsi, di generazione in generazione, di cose che oggi cambiamo
per moda, come larredamento, le suppellettili, il vasellame e persino i vesti-
ti, come ricorda anche la tradizione dei corredi delle spose. Appare quindi
fuori luogo la superficiale mitizzazione delleconomia agricolo-artigianale,
anche se va condiviso il messaggio di usare con attenzione e parsimonia le
opportunit, anche di tempo, che lera aziendale ci offre. Ma ne riparleremo
al prossimo capitolo.
Per capire leconomia pubblica, cio lintervento dello stato oltre le sue tra-
dizionali funzioni istituzionali (capitolo quarto) occorre infatti riflettere sulle
32 Compendio di Scienza delle Finanze
zione di individui, che per non tenuta insieme dal consenso, ma dal
prodotto. Al prodotto sono finalizzate tutte le attivit aziendali, dalla catena
di montaggio, alla ricerca, alla vendita, al marketing, alla contabilit, etc..
Le aziende non sono quindi aggregazioni misteriose e arcane, come tende a
vederle la nostra carente formazione economico-sociale, ma corpi sociali,
specializzati sul proprio prodotto; ciascuna infatti rivolta solo alle sue
attivit particolari, siano esse automobili, bevande, trasporti, cemento, linee
aeree etc.. del tutto legittimo che sia cos, perch in queste specifiche at-
tivit lazienda si rende utile come bene comune (ancorch di propriet
privata, con le avvertenze di cui al par. 3.12 sul c.d. profitto) per la soddi-
sfazione di bisogni umani. Le aziende devono far bene il loro mestiere,
senza utilizzare le loro settoriali competenze per divagare sulla politica,
come spesso mediaticamente fanno esponenti di dinastie imprenditoriali cui
evidentemente la specializzazione della rispettiva azienda va stretta (cfr. para-
grafo 3.14 sul passaggio generazionale e la governance aziendale). Le aziende
devono occuparsi del prodotto, perch non sono tenute assieme da affetti
personali, fedi religiose, ideologie, speranze, concezioni del mondo e delle-
ternit o altri sistemi di valori sugli eterni interrogativi del genere umano.
Esse giustamente si devono occupare di detersivi, merendine, vernici
e trasporti, senza filosofeggiare sullorganizzazione sociale; che sarebbe una
aspettativa eccessiva e proprio per questo deludente. Le aziende sono gruppi
sociali aggregati dalla produzione di auto, di bevande, di trasporti, non sono
tenute assieme da affetti, fedi, idee, speranze, concezioni del mondo e delle-
ternit, sistemi di valori. Non possiamo chiedere alle aziende le risposte agli
eterni interrogativi degli uomini, perch loro giustamente parlano di detersivi,
merendine, vernici e trasporti, non filosofeggiano sullorganizzazione sociale;
dalle aziende non si deve pretendere pi di beni e servizi, altrimenti, se ci si
aspetta troppo sul piano generale, etico e umanistico, si rischiano le alienazioni
indicate in precedenza e riprese al par. 3.8.
Invece di intromissioni delle aziende sulla politica generale, servirebbe
integrare il bagaglio culturale generale della pubblica opinione con
una idea di azienda, trasversale ai vari tipi di attivit. Sarebbe questa la fun-
zione delle associazioni di categoria e delle innumerevoli fondazioni di
impresa promosse da esponenti di dinastie imprenditoriali cui, come gi an-
ticipato sopra, il singolo business andava umanamente stretto. Sarebbe anche un
modo per aiutare le aziende a fare gruppo attorno al loro comune modo
di essere, indipendentemente dalle settorialit produttive. Sarebbe anche un
modo per superare le ingenuit con cui gli uomini delle aziende si proiettano
fuori dal loro settore specifico, con una tendenza a spiegarsi le istituzioni e la
societ nel suo complesso (compresi mass media e pubblica opinione) usando
38 Compendio di Scienza delle Finanze
i modelli cognitivi dellazienda; senza capire che le istituzioni fanno corto cir-
cuito con la pubblica opinione e i mezzi di informazione, i quali non hanno
n un consiglio di amministrazione n una assemblea (in ultima analisi, come
vedremo al prossimo capitolo, non sono precisamente di nessuno, non hanno
una appartenenza, e al tempo stesso appartengono a tutti). Confondere i
corpi sociali, come le aziende, che vivono per vendere attraverso il consen-
so bilaterale, economico, dei consumatori, con quelli che vivono di consenso
politico, come le istituzioni, nuoce a tutta la societ. Ma lo vedremo meglio
al capitolo quarto.
Anche per capire i veri lati oscuri dellazienda, nel senso di cui al prossimo
paragrafo.
del lavoro diretto e del costo dei materiali, rendeva il costo dei beni
indifferente rispetto alle quantit prodotte; per un fabbro medievale pro-
durre una scure o produrne dieci non faceva molta differenza in termini di
costo unitario. Con lazienda tecnologica, invece, questa antica flessibilit
andata perduta ed divenuto prevalente il costo per beni strumen-
tali (impianti, come ad es. il forno del fabbro) e quindi quello di ricerca,
ideazione progettazione. Visto che tali investimenti sono necessari co-
munque, il suddetto costo marginale, diventato molto inferiore al costo
medio, influenzato non solo dai macchinari, ma anche da progettazione,
ricerca, costruzione delle reti di approvvigionamento e di sbocco, come
esempio di costi organizzativi generali. Tale costo influisce sul costo totale
attraverso gli ammortamenti, che si distribuiscono in funzione del logo-
ramento materiale dovuto alluso (cio della vita utile) e dellobsolescenza
tecnico-economica, connessa alla permanenza di interesse per il prodotto e
alla mancanza di pi efficienti modalit produttive. Solo il costo margina-
le, consistente nella manodopera impiegata e nella materia prima, varia in
modo direttamente proporzionale alla quantit di prodotto. un riflesso
della gi indicata rigidit della produzione aziendale (paragrafo 3.7) mentre
quella artigianale, senza macchinari, era pi flessibile (e il costo marginale
era poco inferiore a quello medio). La rigidit dellazienda tecnologica
infatti quella di dover produrre una quantit di merci che consenta di assor-
bire i costi fissi, abbassando il costo medio per unit di prodotto in modo da
essere competitivi con altri produttori.
Da quanto precede dovrebbe risultare che il costo medio si abbassa
con laumento della quantit prodotta, perch i costi fissi, di progettazione
generale e degli impianti, si distribuiscono su una maggiore quantit di beni.
Chiaramente, se unazienda tessile producesse poche paia di pantaloni, il costo
sarebbe maggiore di quello necessario per un sarto che lavora a mano. Solo
che, producendo in serie migliaia e migliaia di pantaloni attraverso macchi-
nari molto sofisticati, i costi del singolo pantalone vengono abbattuti, fino a
rendere non pi competitivo il vecchio sarto. La condizione per raggiungere
le suddette economie di scala per un volume minino di produzione
aziendale, sufficiente a coprire costi marginali e costi medi, assorbendo cos i
costi fissi degli investimenti in macchinari, impianti e organizzazione generale.
A differenza della flessibilit del lavoro indipendente, lazienda rigida, perch
presuppone il coordinamento tra una pluralit di individui, di strutture, di
clienti e di fornitori.
Quando i ricavi, influenzati anche dalla domanda e dal prezzo di ven-
dita, coprono sia i costi fissi, calcolati attraverso il gi indicato processo di
ammortamento, sia i costi diretti di materia prima, energia e manodope-
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 45
una pluralit di individui, con funzioni diverse: basta che alcune funzioni o al-
cuni individui si blocchino per paralizzare tutta lorganizzazione. questa,
pi in generale, la complessit dellazienda, con una serie di funzioni da tenere
in vita anche quando non servono, per averle pronte quando necessarie.
Questo vale per il lavoro, i macchinari, i trasporti, il marketing e unaltra ampia
serie di servizi aziendali, siano essi internalizzati, cio svolti da collaboratori
dellorganizzazione, o esternalizzati, cio svolti da operatori indipendenti. Le
rigidit sono pi evidenti nel primo caso, perch i relativi costi vanno pagati
tutti, anche se non danno risultati, per colpa di altre contingenze. Se alcuni seg-
menti di organizzazione sono necessari allazienda in prospettiva, vanno man-
tenuti, anche quando non lavorano.
Qualche volta, per avere pi flessibilit, alcune funzioni si esternalizza-
no su fornitori formalmente e sostanzialmente indipendenti, come i cosiddetti
contoterzisti; in tal caso si devono per spesso scontare costi maggiori, ed
avere difficolt nellottenere la prestazione, perch il contoterzista impegnato
con altri clienti. Linternalizzazione comporta rigidit ed inefficienze sui
costi, mentre lesternalizzazione, pi flessibile sui costi, crea rigidit per
ottenere la prestazione.
Nellazienda si lavora in gruppo, coordinandosi, e quindi la mancanza di un
anello della catena rischia di renderne inutili gli altri. A questa rigidit, consi-
stente nel coordinamento di persone diverse, si aggiunge quella di remunera-
re i fattori produttivi, compreso il capitale necessario per linvestimento
negli impianti alla base delle economie di scala. Anche il lavoro, tuttavia, per
molti versi un costo fisso, a prescindere da rigidit normative su assunzioni
e licenziamenti: infatti la formazione, il coordinamento e lorganizzazione del
personale rappresentano processi complicati, che non possono essere smontati
e rimontati a piacere.
Questa necessit di equilibrio economico comporta vincoli e rigidit
aziendali assenti per il lavoratore indipendente, che si adatta molto meglio ai
cambiamenti del mercato e del contesto. Lunico vincolo per il lavoratore in-
dipendente quello di trarre dallattivit quanto gli serve per vivere, cio quel
guadagno che non omogeneo al profitto dellindustriale, organizzatore
di lavoro altrui e di altri fattori produttivi. Ispirarsi al bisogno di guadagno,
e quindi di profitto, del lavoratore indipendente, una chiave di lettura
grossolana per interpretare le aziende. Dove magari viene creato valore
(infra paragrafo 3.12) anche per aziende che non hanno mai dato profitto,
necessario invece per la sopravvivenza del lavoratore indipendente. Questa
necessit di profitto del lavoratore indipendente viene traslata sullazienda,
scambiandone le rigidit e linevitabile non umanit per avidit e durez-
za. Basta riflettere un attimo per capire che lazienda disumana non perch
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 47
Sommario: 4.1. I riflessi dellera aziendale sul resto dellorganizzazione sociale: la crisi delle
altre forme di aggregazione (famiglie, comunit territoriali, religiose, etc.). 4.2. Laccresciuta
responsabilit della politica e la diminuzione del suo potere rispetto alla societ agricolo
artigianale. 4.3. Lera aziendale e la politica come riflesso della pubblica opinione. 4.4.
Le esternalit , positive e negative dellera aziendaltecnologica sullambiente sociale. 4.5.
Lalienazione del lavoro come esternalit negativa. 4.6. Linsufficienza delle spiegazioni
socio matematiche della scienza economica. 4.7. Le illusioni sulla capacit del mercato di
trovare un equilibrio (fallimento del mercato). 4.8. Beni pubblici e beni privati, come
sinonimo di attivit, prestazioni dirette al soddisfacimento dei bisogni. 4.9. Beni econo-
mici e istituzioni pubbliche: chiarimenti metodologici ed equivoci da evitare. 4.10. Con-
ferme da altre classificazioni dei beni indivisibili (non escludibili) e divisibili (escludibili o
rivali). 4.11. Levidenza empirica del ruolo economico dello stato sotto qualsiasi regime
politico dellera aziendale. 4.12. Il comunismo come esperimento estremo di assorbimento
delleconomia nella politica. 4.13. Sussidiariet dellintervento pubblico e sua coesistenza
con leconomia privata. 4.14. Lintervento pubblico regolatorio, contro le asimmetrie in-
formative di una societ complessa. 4.15. Lintervento diretto nella produzione e i suoi
rischi di inefficienza (rinvio). 4.16. Unione europea tra economia privata e istituzioni (la
diversit di macchine pubbliche come ostacolo allunione politica). 4.17. Segue: divieti co-
munitari verso restrizioni alla circolazione e alla concorrenza.
la definizione della nostra epoca come era aziendale. una modifica che
si riflette su tutti gli altri corpi sociali in cui, accanto al nuovo venuto
(lazienda) si articola la collettivit; mi riferisco naturalmente alle famiglie,
alle comunit di vicinato, ai gruppi tenuti assieme da collanti spirituali
di vario tipo, a cominciare da quelli religiosi, ideologici o persino ludici
e sportivi, fino alle istituzioni politico-amministrative, cui dedicato
questo capitolo.
Prima di parlare delle istituzioni per preferibile parlare delle
aggregazioni sociali di base, che si formano spontaneamente come
la famiglia, i gruppi di vicinato, uniti anche da collanti religiosi e
assistenziali, che per molti aspetti erano anche economici. Allinterno
della famiglia agricolo artigianale venivano infatti soddisfatti una serie
di bisogni di base a cominciare dalla procreazione, col sostentamento dei
fanciulli, lautoproduzione per il consumo personale di una serie di beni
e servizi, lassistenza agli anziani, ai momentaneamente infortunati o
inabili. Sono tutte espressioni, in ultima analisi, di autosufficienza sociale.
Era una autosufficienza misera, rispetto alla quale sono fuori luogo sollievo
o nostalgia, approvandola o disapprovandola, secondo una prospettiva
sentimentale, anche perch lo studioso sociale ha i propri sentimenti, ma
non li propone come scienza. Pragmaticamente non si pu n esaltare la
crescita produttivistica senza fine, ignari di cosa si produca e perch, n tornare,
come suggeriscono gli antimodernisti, alleconomia di sussistenza; non importa
che allora magari molti fossero anche pi felici di oggi, a conti fatti, a contatto
con la natura, con la sua spiegazione animistico metafisica; anche se fosse stato
bello, e non un mito elaborato a posteriori, ormai appartiene al passato e non
pu comunque rivivere attraverso la nostalgia.
La mancata corrispondenza tra maggiore benessere e felicit dipende dalle-
quilibrio interiore, non dallorganizzazione della produzione e delle istituzio-
ni. Affrontare la societ industriale col bagaglio culturale precedente rischia
per di aggiungere nuove infelicit. Lo scienziato sociale si rende conto per
che la socialit (paragrafo 1.1) non sopravvive senza coesione. La coesione
un valore immateriale che pu avere diversi contenuti, ma che indispensabile
alla convivenza sociale. Occorre quindi cercare di salvaguardarlo e conci-
liarlo col miglioramento del tenore materiale di vita offerto dallera
aziendale. Questultima ha avuto certamente una portata destabilizzante,
ancorch per molti innegabilmente positiva (consentitemi un giudizio di
valore), sulle precedenti aggregazioni sociali, a partire dalle famiglie. Il gi
indicato ruolo economico di queste ultime stato messo in profonda crisi
dal lavoro presso le aziende che ha fortemente separato la sfera lavorativa
dalla sfera familiare; se si vuole un altro riflesso dellalienazione lavorativa
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 61
Gli unici gruppi sociali in grado di coordinare i vari riflessi dellera azien-
dale sono quindi le istituzioni, proiezioni della societ nel suo com-
plesso (paragrafo 1.3). Anchesse sono corpi sociali, ma non operanti,
come le aziende, dietro corrispettivo e nel mondo degli scambi. Esse sono
invece una emanazione della politica, cio della collettivit, e ne sono
mantenute in quanto espressione di potere e fornitrici dei pi volte indicati
servizi generali istituzionali (ad esempio, per chiarezza, eserciti, polizie,
apparati giudiziari e simili).
Lintervento delle istituzioni, cui guardano coloro che, nella dialettica tra
stato e mercato, sono favorevoli al primo, tuttavia difficile. Rispetto allera
agricolo-artigianale il peso della politica sulla societ paradossalmente dimi-
nuito, nellera aziendale. Quando per la produzione era centrale il dominio
della terra, la coercizione, espressa dalla politica, contava molto. Il passaggio
alla centralit dellazienda, cio dellorganizzazione (parr. 3.4 e se-
guenti), riduce invece il ruolo della politica, il cui potere di assegnazione
delle terre influenza meno una economia sempre pi industriale. Pian piano
nellera aziendale diventa possibile organizzare la produzione di beni e servizi
in altri luoghi (paragrafo 7.11), dovunque fossero disponibili i fattori produtti-
vi e laccesso ai mercati di sbocco. Un imprenditore, che conosce le relative
tecniche, pu superare il vecchio vincolo territoriale delle societ agricolo-
artigianali, ed organizzarsi dovunque, dipendendo quindi molto meno dalla
politica. Non vogliamo certamente sostenere che le aziende abbiano preso il
sopravvento sulla politica, anche perch ci non le interessava minimamente
in s. Abbiamo visto infatti che le aziende tecnologiche, in quanto corpi so-
ciali economici e settoriali (limitati cio al prodotto, par. 3.6) non si conside-
rano concorrenti del corpo sociale generale rappresentato dalla politica. Esse
piuttosto si affrancano, in quanto non legate a un territorio, dal dominio
che la politica aveva su di esso. Il loro potere contrattuale di datrici di lavoro,
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 63
Vale la pena di chiedersi se il prezzo pagato non sia stato troppo alto, e
non si potesse raggiungere lo stesso risultato in modo pi efficiente, nel qua-
dro di una riflessione comune sul senso della scientificit e della ricerca nelle
materie umanistico-sociali. La socio matematica non ha infatti giovato alla
sistematizzazione delle variabili che influiscono sulleconomia, e lelegante
purezza della forma (matematica) ha messo in ombra che le concause dei
comportamenti umani sono tantissime, ed hanno un peso diverso da caso
a caso. stata cos data troppa importanza ad alcune correlazioni e ne sono
state trascurate altre, come la fiducia, le asimmetrie informative, lincapacit di
vedere in prospettiva, i problemi burocratici, i vincoli regolatori, la logistica,
la ricerca, la fortuna, linerzia, le tradizioni e tanti altri fattori che influiscono
sui comportamenti umani. Spesso questi fattori, di cui gli economisti erano
perfettamente consapevoli, sono stati trascurati per la difficolt di inserirli nei
modelli, mantenendo la loro eleganza formale. Si trascurato cos che gli ac-
quisti non dipendono solo dal prezzo, ma da valutazioni qualitative, collegate
a scale di valori, (paragrafo 7.6), difficili da misurare; analogamente gli inve-
stimenti non dipendono solo dal tasso dellinteresse, ma anche dal costo del
lavoro, dalla serenit ambientale, dalle tecnologie, dalle opportunit di mercato,
dalle prospettive e non ultima da un progetto validamente proponibile ai
consumatori. La consapevolezza, da parte dei redattori dei modelli, che cera
dellaltro rispetto alle variabili in essi inserite, emerge nellavvertenza coeteris
paribus (a parit degli altri fattori) che loro stessi accompagnavano ai modelli;
un indizio della consapevolezza dellesistenza di spiegazioni, anche impor-
tanti, ma di cui il modello non riusciva a tener conto, mantenendo la sua
eleganza formale. Sarebbe fuori luogo dilungarsi sulla crisi di questi modelli
a seguito dei fallimenti delle previsioni economiche collegate alla globalizza-
zione e alle crisi finanziarie del primo decennio del ventunesimo secolo (con
il pi recente picco nel 2008), di cui i modelli economici non hanno saputo
tener conto, con una perdita di prestigio notevole, anche davanti alle classi
dirigenti e alle pubbliche opinioni. Tanto vero che allinterno degli econo-
misti, comunque studiosi sociali di primo piano per la selezione (bench fuori
luogo) indicata sopra, si sta facendo strada un nuovo criterio di scientificit,
non pi sociomatematico, ma basato sullanalisi empirica del dato sociale;
potrebbe essere una importante convergenza con i giuristi, come studiosi delle
istituzioni.
Ci si sta quindi rendendo conto che leconomia una scienza umana, e
che il rigore metodologico delle scienze della materia non va imitato
esteriormente, ma proficuamente ricercato nel dato sociale, nellanalisi
empirica ed interpretazione dei fenomeni, non nel dato formale della cor-
relazione sociomatematica, quantunque elegante. Lo stesso percorso dovrebbe
70 Compendio di Scienza delle Finanze
zione dei poteri pubblici seguono le vie del consenso economico, bens
quelle, molto meno lineari, dellaffetto e della solidariet personale, nonch
del consenso politico, pervaso quindi dal sistema di valori, dallim-
magine pubblica, prodotta nella pubblica opinione e nella classe dirigente,
dalla formazione, dalla cultura e dai mezzi di informazione, secondo un filo
conduttore del presente scritto.
Trascurare queste differenze porta a delegittimare in modo metodolo-
gicamente scorretto la tesi dellautosufficienza del mercato, come se essa
volesse sbarazzarsi dellintervento pubblico anche per le funzioni pubbliche
tradizionali dellera agricolo-artigianale, come sicurezza e giustizia; si pu
dissentire dagli economisti liberisti, ma essi non propongono ripetiamo
di far arretrare i pubblici poteri rispetto ai loro precedenti compiti. Le loro
proposte sono solo di non ampliare lintervento pubblico, portandolo in
concorrenza con lattivit economica; la loro critica riguarda lamplia-
mento dellintervento pubblico da difesa, sicurezza, giustizia, infrastrutture,
moneta e credito, ad altri settori cui i privati possono provvedere da soli;
cio istruzione, previdenza, sanit, ricerca scientifica, ambiente, energia, ed
altri settori su cui lofferta pubblica fungibile rispetto a quella privata.
Sono tipi di intervento pubblico collocati su piani diversi e confonderli
disorienta il gi debole bagaglio culturale della pubblica opinione; la difesa,
la sicurezza, la giustizia e altri interventi istituzionali del pubblico po-
tere, sono infatti oggettivamente diversi da prestazioni scambiabili sul
mercato. Confonderli in un generico concetto di beni economici sembra
trascurare che, come indicato al par. 1.4, lantico potere politico non espri-
meva beni economici, ma era per molti versi al di sopra delleconomia, ed
effettivamente, come descritto al capitolo secondo, aveva proprio per questo
maggiori margini per influenzare un andamento positivo di una economia
agricolo artigianale. Questa confusione delegittima, talvolta in mala fede, le
proposte liberiste, presentandole come una specie di anarchia di mer-
cato, dimenticando che esso, dai tempi delleconomia agricolo-artigianale,
fatto di prestazioni e controprestazioni basate sulla scelta e sul consenso.
Sono prestazioni che si inseriscono in una convivenza sociale pi ampia e
articolata, di cui anche la sfera economica fa parte. La dialettica tra liberisti
e statalisti riguarda quanto debba inserirsi lo stato nella sfera economica,
ferme restando le precedenti funzioni istituzionali pubbliche (che ripetia-
mo sono economiche solo in senso ampio e riferibile quindi anche
alla societ agricolo-artigianale). Si pu discutere quanto si vuole sulla giusta
combinazione tra stato e mercato, ma etichettare i liberisti come teorici
della scomparsa dello stato, anche rispetto alle proprie precedenti funzioni
istituzionali , sul piano argomentativo, un colpo basso. Un espediente intel-
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 75
dellera aziendaltecnologica consiste proprio nel corto circuito, cio nella pos-
sibile sovrapposizione, tra politica ed economia, con la politica che interviene
non solo nella societ, ma anche direttamente sulleconomia.Vediamo come.
Tra stato e mercato possono esserci varie sfumature, che piano piano
muovono verso gli estremi, alcuni dei quali (ad es. Nazismo e Fascismo) furono
regimi dittatoriali, pi o meno efferati, ma limitati allorganizzazione pubblica.
Laspetto singolare del comunismo era invece la sparizione delleconomia pri-
vata ed il suo assorbimento nelleconomia pubblica. Come se leliminazione
del fantomatico profitto, chiaramente sopravvalutato come indicato al para-
grafo 3.12, potesse risolvere i problemi di equilibrio, ed i problemi culturali,
di cui ai paragrafi 3.7 e 4.5. Era una specie di ultima religione, materialista
in quanto influenzata dalle scienze fisiche, e che quindi collocava sulla terra,
nel futuro, il proprio paradiso. Lo strumento era labolizione della propriet
privata dei mezzi di produzione, riservandola alla burocrazia politica. Il di-
vieto riguardava a rigore lazienda in senso personale, fatta cio di altri uomini,
eliminando appunto lo sfruttamento (parola che oggi non si usa quasi pi)
delluomo sulluomo. La propriet privata era quindi ammessa per i
beni personali, il denaro, lorticello familiare, il mobilio, le biciclette e le auto-
vetture Skoda, le case e persino le dacie cio le seconde case della trionfante
nomenklatura burocratica. In economia erano tollerate aziende cooperative
e in una fase tarda anche il lavoro indipendente, ancorch guardato con so-
spetto per timore che fosse lanticamera di aziende in senso personale. Dietro
questabolizione della propriet privata dei mezzi di produzione ci sono le
riflessioni svolte al capitolo precedente sullazienda come aggregazione sociale
e quindi in un certo senso bene comune; la sua rilevanza pubblicistica non
riguarda un fantomatico interesse nazionale come nelleconomia corporativa
fascista, ma la sua sostanza di gruppo di persone, inidoneo ad essere pro-
priet di qualcuno. Vengono quindi naturali le riflessioni gi formulate sulla
impossibilit di possedere gli individui come gli utensili e le merci. Il fallimen-
to dellesperimento comunista, pur con la massima buona fede di molti
suoi sostenitori1, dipese dallillusione di poter fagocitare leconomia allinter-
1
Del resto, una fede si deve sostenere In buona fede, pur essendo la negazione di una societ
aperta ed altrettanto in buona fede moltissimi sono diventati per questo anticomunisti. Sem-
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 79
plicemente perch ci vuole ordine, certo, ma non piace vivere avendo sempre qualcuno che ti dice
quello che devi fare.
80 Compendio di Scienza delle Finanze
della vicenda istruttiva sulle condizioni delle scienze sociali, non laffer-
mazione concreta di tali ideologie in alcuni paesi politicamente arretrati,
ed ancora in parte contadini salvo quelli occupati militarmente dopo la secon-
da guerra mondiale. La singolarit piuttosto il seguito che esse hanno avuto
nella pubblica opinione, negli studiosi sociali, nellintellighenzia di paesi che
comunisti non erano, fino ai paradossi del conformismo culturale (compre-
so quello di molti ex fascisti ravveduti), della c.d. gauche au caviar, trasfiguratasi
nel politicamente corretto (cfr. Aristodem, un godibile volumetto di tale Daniela
Ranieri). La discussione politica si quindi radicalizzata prima, e insterilita
poi in astrattezze pregiudiziali, trascurando la pragmatica ricerca caso
per caso della migliore combinazione tra organizzazione privata e pubblica.
Questo stallo dialettico ha contribuito fortemente alla paralisi della macchi-
na pubblica italiana, ed alla crisi delle istituzioni. Pesante eredit di sterili con-
trapposizioni ideologiche, usate anche come legittimazione di poteri politici
demagogici e parassitari. Certo, poteva andar peggio, ma bisogna sempre
cercare di migliorare, cio di capire le combinazioni tra economia privata e
intervento pubblico.
gruppo sociale, che da una parte esprime lorganizzazione pubblica nei servi-
zi istituzionali e dallaltra realizza, negli scambi di mercato, quella privata.
Non ha quindi senso uno scontro di principio, una guerra di religione dove il
pubblico si contrappone al privato; c piuttosto una osmosi settoriale,
nelle varie articolazioni della vita associata, come difesa, sanit, trasporti, istru-
zione, giustizia, settori diversi della produzione aziendale, ricerca scientifica
etc. In alcuni di questi settori la mano pubblica si inserisce sulliniziativa pri-
vata, e viceversa, gestendo in entrambi i casi problemi di organizzazione con
fornitori, utenti/clienti, forza lavoro, finanziatori, banche, etc..
della dignit delle persone, non impongono agli stati membri combinazioni
predeterminate tra stato e mercato. Saranno lefficienza e il coordinamen-
to di queste due componenti dellorganizzazione sociale a fare la differenza
competitiva. Se lo stato preleva molte risorse, ma i suoi servizi sono efficienti
in proporzione, o di pi, il paese sar competitivo, come pure potrebbe esserlo
lasciando pi spazio a privati efficienti, e diminuendo le imposte. Le combi-
nazioni, il dosaggio, tra questi elementi, sono un fatto interno, su cui le orga-
nizzazioni sovranazionali non interferiscono (vedi per quanto diremo al par.
7.11. sui lati oscuri della globalizzazione, quando la competizione avviene tra
stati che non garantiscono un uguale livello di protezioni sindacali e di diritti
dei lavoratori).
stegno di industrie nazionali. Lo stesso vale per la riduzione delle aliquote sui
redditi delle imprese, per agevolare la crescita, comunitariamente legittima
purch generalizzata; sarebbe invece illegittima se formulata solo in modo da
attrarre nel paese investimenti provenienti dallestero, escludendo direttamen-
te o indirettamente le aziende gi collocate sul territorio; in questo caso si
tratterebbe infatti di una concorrenza sleale tra stati, possibile anche in campo
tributario2.
2
La concorrenza sleale in quanto deriva dal fatto .la globalizzazione un concorrenza sleale
tra stati, attraverso le imprese, perch uno stato senza diritti sindacali, senza democrazia industriale,
senza impianti di depurazione, senza sicurezza sul lavoro, senza diritti riesce a rendere le sue im-
prese molto competitive rispetto a queste situazioni il protezionismo doganale ha un senso.
Capitolo Quinto
IL CORTO CIRCUITO
TRA ECONOMIA PUBBLICA,
POLITICA E PUBBLICA OPINIONE
Sommario: 5.1. Intervento pubblico: dal modello militare allimitazione del modello azienda-
le. 5.2. Lintervento pubblico intermediato: valutazione di utenti e pubblica opinione.
5.3. Il difficile controllo sociale sullintervento pubblico in una societ culturalmente
parcellizzata. 5.4. Pubblica opinione e mezzi di comunicazione nel controllo dellecono-
mia pubblica. 5.5. Studiosi sociali, classi dirigenti e mezzi di comunicazione: un circolo
virtuoso sulla pubblica opinione. 5.6. Il senso dellaziendalizzazione delle istituzioni.
5.7. Lassunzione di responsabilit come strumento di efficienza delle istituzioni e di
riduzione dei costi (spending review). 5.8. Inefficienze, rigidit e gli sprechi connessi al
controllo contabile preventivo del bilancio pubblico.
1
Nonch il modo in cui singoli esponenti della pubblica opinione percepiscono il proprio interesse
personale.
96 Compendio di Scienza delle Finanze
In ultima analisi, la qualit della spesa pubblica viene stimata dalla pubblica
opinione, in base alle cognizioni diffuse sui vari settori di intervento, acquisite
per esperienza diretta, attraverso la formazione scolastica e attraverso i mezzi
di comunicazione di massa. Abbiamo gi visto per al paragrafo precedente
il retroterra storico del rapporto tra istituzioni e individui, come esperienza
collettiva a formazione lenta; abbiamo visto anche che lesperienza per-
sonale ha uno scarso respiro in una societ complessa. Anche la formazione
scolastica e universitaria, in materia economico-giuridica e sociale molto
limitata in quanto sbilanciata sulla tradizione dellumanesimo letterario, che
suscitava meno divagazioni polemiche sulle contingenze politiche.
Restano, in una societ aperta, i mezzi di comunicazione, come im-
portante cane da guardia del funzionamento delle istituzioni. Non a caso
la politica, che vive di consenso, sempre molto attenta ai rapporti con i
mezzi di informazione. Attraverso questi ultimi per molti versi si canaliz-
zano le esperienze personali e gli atteggiamenti della pubblica opinione, nei
vari settori delleconomia pubblica.
Il rapporto tra mezzi di informazione e pubblica opinione per ambiguo,
nella massima buona fede, ed a prescindere da volont di persuasione occulta,
che pure si sono verificate. I mezzi di comunicazione hanno infatti bisogno di
essere ascoltati e letti dai loro destinatari. Questo desiderio fa scattare, nella
mente dei giornalisti, una tendenza a rispecchiare non solo le vaghe convin-
zioni, ma anche le confusioni e le emotivit, dei loro lettori.
Per interessare laudience quindi comprensibile un certo sensaziona-
lismo ed un certo semplicismo, che riducono limpatto formativo sul
bagaglio culturale dei propri destinatari. La necessit dei media di essere
ascoltati ne mette in secondo piano la funzione formativa. Questul-
tima importante perch la capacit di controllo della pubblica opinione
sulla spesa pubblica non indistinta, ma si settorializza in relazione alla
tipologia di spesa. Il controllo di qualit dipende dalla sensibilit e dalla
preparazione dellopinione pubblica nei diversi settori di intervento pub-
blico. Proprio qui rischia per di avvitarsi un circolo vizioso: dove lopi-
nione pubblica meno ferrata e meno in grado di controllare, i mezzi di
comunicazione tendono legittimamente a riproporne la confusione, per
esigenze di ascolto e di vendita. Tutto ci ostacola la funzione formativa
dei mezzi di comunicazione di massa, che alimentano i miti intrecciati
nella pubblica opinione. Come quello dellonnipotenza della legi-
slazione, che salda linteresse delle amministrazioni pubbliche ad essere
protette da accuse, quello della politica alla immediata visibilit me-
diatica, quello della pubblica opinione ad avere unentit cui riferire
aspettative, colpe e speranze. Nei dibattiti mediatici si accavallano ipo-
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 97
per obiettivo (difesa, giustizia, sanit etc.) e natura (par. 6.1), cio per lavoro
dipendente, forniture di servizi di impresa, interessi passivi, etc. Il bilancio
pubblico approvato per legge, ma elaborato di fatto in via amministrativa,
con attribuzioni di spesa estremamente analitiche. qualcosa di simile
al budget delle aziende private, ma un meccanismo molto pi rigido. Nelle
aziende di erogazione pubbliche mancano le necessit di coprire i costi fissi e di
remunerare i vari fattori produttivi, che nelle aziende private rendono flessibile
lo spostamento di risorse da una voce di bilancio preventivo allaltra (par. 3.6).
Il bilancio preventivo delle istituzioni comporta invece rigidit molto mag-
giori. Le sue previsioni compartimentalizzate e molto dettagliate, redatte in an-
ticipo rispetto alle necessit di spesa, comportano inefficienze allocative rispetto
alle priorit sociali che di volta in volta si presentano nelle varie articolazioni
delle pubbliche amministrazioni. Questa segmentazione delle assegnazioni fi-
nanziarie comporta spese ex post inutili, ma previste a bilancio ex ante, e come
tali effettuate. Allinverso possono esserci spese ex post utilissime, ma di cui non
si trovano i fondi in bilancio, e che quindi vengono trascurate, mentre al tempo
stesso si effettuano spese meno importanti, ma per cui esistevano gli stan-
ziamenti. Alcuni pubblici uffici, della stessa amministrazione, si trovano quindi
con eccedenze di bilancio che non sanno come spendere ed altri uffici, con
ottimi motivi di spendere, si trovano in difficolt, per ristrettezze di bilancio;
quando si sente dire che mancano i fondi per spese assolutamente normali,
come la benzina per le automobili della polizia, non si sottintende un dissesto
dello stato, ma una rigidit amministrativa, cio vincoli contabili, sulla distri-
buzione delle risorse. quindi possibile che alcuni stanziamenti di bilancio,
previsti in modo insufficiente, si esauriscano, mentre altri centri di spesa hanno
stanziamenti sovrabbondanti, e sono preoccupati di spenderli, per non avere
riduzioni di stanziamento lanno successivo. Ancora una volta troviamo in-
capacit previsionali, del tutto comprensbili, unite a una rigidit patologica
davanti a regole che nessuno vuole prendere liniziativa di disattendere, solo
in nome dellinteresse generale. Negli ultimi anni ci sono state forse iniezioni
di flessibilit, ma ancora forte la ritrosia burocratica a chiedere correzioni
allo stanziamento di bilancio, ammettendo quindi di averlo stimato male.
Nelle aziende il budget pu essere facilmente variato, anche perch il mercato, i
prodotti, gli scambi, danno indicazioni continue sulle opportunit di spesa, che
mancano nelle strutture pubbliche.
Allinterno dei capitoli di bilancio si confondono quindi spese necessarie,
o comunque obbligatorie, e sprechi; spesso si invoca il taglio della spesa
inutile, come se esistesse un capitolo di bilancio chiamato cos, mentre per
distinguere lutilit occorrono valutazioni analisi di merito, spirito di ini-
ziativa, pragmatismo e assunzioni di responsabilit. Tutte qualit mortificate
106 Compendio di Scienza delle Finanze
Sommario: 6.1. Spesa pubblica per natura e funzione (spese correnti e in conto capitale). 6.2. I
livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato apparato (ministeri), enti autonomi e terri-
toriali. 6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (federalismo fiscale). 6.4.
Spese istituzionali ed economia pubblica: un ordine di grandezza dei costi. 6.5. I costi
diretti della politica (un simbolo pi che altro). 6.6. Affari esteri e partecipazione a enti
sovranazionali (finanziamento unione europea e fondi comunitari). 6.7. Segue. Difesa.
6.8. Segue. Sicurezza e giustizia. 6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile. 6.10.
Sanit. 6.11. Istruzione. 6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica
monetaria. 6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle entrate e Guardia di
Finanza (5 miliardi circa). 6.14. La previdenza tra corrispettivit e fiscalit. 6.15. Spese per
integrazioni salariali e sussidi (differenziali di assistenza non coperta da contributi).
cente capo alla ragioneria dello stato. Tuttavia non tutto fluisce in quel con-
tenitore, o vi facilmente rinvenibile per analizzare leconomia pubblica. Per
alcuni organi costituzionali, come i due rami del parlamento, la corte costitu-
zionale, nonch il CNEL, il CNR, e autorit autonome come le varie autho-
rities e le agenzie fiscali il bilancio dello stato non contiene analisi, ma cifre
complessive, mentre lanalisi si trova nel bilancio dellistituzione beneficiaria.
Lo stesso accade per i bilanci degli enti locali, regioni, province e comuni, di
cui diremo al paragrafo successivo.
Sono anche uscite dal bilancio pubblico, in quanto privatizzate, almeno
nella forma, le aziende che offrivano, in veste istituzionale, beni e servizi
per il mercato, come le vecchie poste, le vecchie ferrovie, e simili, che sono
state tutte inserite nella veste giuridica della societ di capitali, pur a par-
tecipazione pubblica (persino lANAS ha assunto questa forma giuridica,
pur non operando per il mercato e mantenendo molte prerogative di pub-
blica autorit). Quando queste societ sono deficitarie, le relative dotazioni
transitano comunque per il bilancio dello stato, o dellente locale che vi
contribuisce.
6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (fe-
deralismo fiscale).
Gli enti locali, in quanto vicini ai cittadini, sono ottimi erogatori delle
spese pubbliche di sanit, trasporto locale, istruzione, assetto del territorio,
ambiente, assistenza. Il senso di comunit, la conoscenza reciproca, lauto-
organizzazione di base, pur in parte pregiudicate dallorganizzazione sociale
moderna, resistono meglio a livello locale.
Per questo gli enti locali sono sempre stati ottimi erogatori di spese
per la suddetta vicinanza al territorio e alla popolazione. I lati negativi di
questa vicinanza al territorio sono secondari, o comunque ineliminabili
e da gestire, come una maggiore sensibilit delle amministrazioni locali a
demagogie territoriali, e persino ad infiltrazioni di gruppi criminali diffusi
sul territorio.
Lopportunit tendenziale di economia pubblica, di correlare i livelli di
spesa con quelli di entrata, vale anche per gli enti locali. Ne discende che un
elemento di responsabilizzazione delle collettivit locali sarebbe la corrispon-
denza maggiore possibile tra spese pubbliche dellente locale e loro finanzia-
mento con tariffe o tributi a carico degli appartenenti a quella determinata
collettivit. Il finanziamento della spesa locale con trasferimenti da parte dello
stato, di cui parleremo al par. 8.13 finisce per deresponsabilizzare la gestione
110 Compendio di Scienza delle Finanze
della spesa locale; alla spesa non corrisponde infatti un proporzionale carico
fiscale sui propri elettori-amministrati. Questo diminuisce i margini di scelta
delle collettivit locali nella ricerca del migliore equilibrio tra spesa pubblica
e prelievo fiscale sui loro amministrati; questi ultimi sarebbero invece respon-
sabilizzati dalla consapevolezza di dover scegliere una combinazione tra pi
spese e pi tasse, o meno spese e meno tasse. La consapevolezza che le mag-
giori spese dovranno essere finanziate, almeno in parte, con un inasprimento
dei tributi, anzich con risorse provenienti dallo stato centrale, comporta una
maggiore responsabilizzazione degli enti locali nella decisione dei livelli di
spesa pubblica
Il finanziamento delle spese locali, anzich attraverso tariffe o tributi pro-
pri, con trasferimenti statali, rischia anche di mettere a carico della collettivit
nazionale le inefficienze di spesa dellente locale. Il rischio quello di non pre-
miare, in questo modo, gli enti locali finanziariamente virtuosi, e di non pu-
nire quelli finanziariamente dissestati. Anche la solidariet territoriale tra aree
pi sviluppate e meno sviluppate di un determinato paese, rischia di essere un
pretesto per avallare una gestione clientelare e corrotta della spesa pubblica,
da parte delle classi dirigenti locali delle regioni meno sviluppate, a danno di
quelle pi sviluppate. Che non finanziano lassistenza, la sanit, e i servizi delle
altre regioni, bens i loro sprechi. Quando il finanziamento della spesa locale
avviene mediante trasferimenti pubblici senza controllo, a pi di lista, in base
alla spesa storica, questo rischio si acuisce. Specie quando le aree territoriali
pi sviluppate e meglio amministrate sul piano dei servizi pubblici locali, han-
no la sensazione di dover finanziare, in nome di una generica solidariet, non
i poveri delle regioni povere, bens di alimentare lassistenzialismo tramite
assunzioni pubbliche, laffarismo clientelare di settori della politica locale, se
non infiltrazioni della criminalit organizzata.
I trasferimenti statali dovrebbero quindi essere collegati ad indici di effi-
cienza nella spesa, superando il suddetto criterio della copertura da parte dello
stato della c.d. spesa storica degli enti locali. Nel 2010 sono stati varati, con
la legge delega sul federalismo fiscale, stime di costo medio efficiente relati-
vamente ai principali servizi pubblici (costi standard), che tengono conto del
fabbisogno per abitante; Lerogazione dei trasferimenti agli enti locali in base a
questi costi standard consentirebbe di stimolare lefficienza, premiando le aree
virtuose, capaci di ottimizzare la spesa. Una serie di servizi base, socialmente
pi importanti, sarebbero finanziati in questo modo, con criteri solidaristici, a
valere su tutto il gettito tributario, indipendentemente da quello proveniente
dalle singole regioni. I gettiti tributari regionali, ovvero le capacit fiscali
delle varie regioni, dovrebbero essere un parametro per il finanziamento di
servizi meno importanti.
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 111
dai bilanci degli enti destinatari, che sono varie migliaia, e per i quali un dato
consolidato non mi sembra disponibile.
Non basta la tipologia della spesa per valutarne lutilit, ma bisogna capir-
ne il contributo reale al benessere collettivo. Ricordiamo infatti che dentro
alle spese rendicontate a fronte di un certo titolo possono esserci interventi
utili o veri e propri sprechi. Non tutte le spese pubbliche sono state quindi
spiegate, ed ho la sensazione che manchino alcune decine di miliardi di euro
alla quadratura concettuale necessaria per esprimere un ordine di grandezza
completo dellintera spesa pubblica. Tuttavia, le informazioni reperibili sono
sufficienti per un notevole passo avanti rispetto alle riflessioni diffuse sulla
spesa pubblica. Speriamo in questo modo di contrastare i danni collegati,
anche in questo campo, al deficit di formazione socioeconomica della nostra
opinione pubblica e delle stesse classi dirigenti. A questo deficit si collegano
luoghi comuni, circolanti nellopinione pubblica, e relativi ad aspetti della
spesa pubblica di elevato valore simbolico, come indicazioni di sprechi ed
inefficienze, da valorizzare al di l dellimpatto sensazionalistico che ne
viene tratto spesso dai mezzi di informazione. La maggior parte delle
stime che seguono, su vari comparti della spesa pubblica, sono tratte dai
bilanci preventivi presenti su internet, e cercano di esprimere gli ordini di
grandezza delle principali voci di costo dellorganizzazione pubblica del-
la convivenza sociale. I calcoli suddetti confermano quanto anticipato sul
costo relativamente minore delle funzioni tradizionali dello Stato liberale,
come difesa, ordine pubblico, giustizia e infrastrutture; queste spese pesano
relativamente poco rispetto a quelle tipiche del welfare come sanit, istru-
zione, assistenza e protezione sociale.
problema del finanziamento della politica. In molti paesi stato risolto per
censo, nel senso che si dedicato alla politica chi poteva permetterselo sul
piano patrimoniale, essendo gi, come si dice, ricco di suo. Unalternativa
pi democratica, ma che si presta agli eccessi vissuti in Italia, la remune-
razione delle cariche pubbliche ed il finanziamento pubblico dei costi della
politica. Non posso entrare nelle polemiche sottostanti, innescate soprattutto
dagli episodi di corruzione commessi da esponenti politici, che hanno pro-
vocato insofferenza verso la politica stessa, compreso il suo finanziamento. Ci
limitiamo a puntualizzare che rispetto alla spesa pubblica totale, i cosiddetti
costi della politica non sono enormi, anche se hanno un notevole va-
lore simbolico. Lo conferma la voce di spesa n. 21 del bilancio pubblicato
dalla ragioneria dello stato sul sito del ministero delleconomia e delle finanze;
vi troviamo circa 3 miliardi di euro relativi alle spese per organi costituzionali
(2 mld), a rilevanza costituzionale (0,5 mld), e per la presidenza del consiglio
(0,5). Non un ordine di grandezza apprezzabile rispetto al complesso della
spesa pubblica, anche se pure qui sarebbe possibile risparmiare qualcosa. Le
polemiche sul punto hanno quindi un valore pi che altro simbolico, espri-
mendo la diffusa sfiducia della gente nelle istituzioni.
Il vero costo del bilancio pubblico, se si guardano i numeri, non sono
gli stipendi dei politici, ma la cattiva gestione della macchina pubblica da
parte loro, a sua volta indotta dalla necessit di mantenere coesione sociale
e consenso in una opinione pubblica disorientata, per le note ragioni di
bagaglio culturale indicate in tutto il testo, tra cui ai par. 3.9 e 5.3-5.7..
Buona parte delle spese infrastrutturali consiste in appalti verso ditte ester-
ne, con modesta lincidenza del personale proprio. Si tratta quindi delle spe-
se pi facilmente comprimibili in caso di crisi, ed anche quelle con maggior
rischio di inquinamento corruttivo, come confermano le cronache.
Un ulteriore motivo di spesa, da sviluppare nelle prossime edizioni del
manuale riguarda gli incentivi alle imprese, spesso erogati per finalit in-
frastrutturale, nonch per sostegno ad aziende di servizi pubblici, oltre che
per ricerca scientifica. Per ora per non ho sufficienti ordini di grandezza di
questi fenomeni, non avendo avuto tempo per scandagliare anche il bilancio
del ministero dello sviluppo economico; analogamente occorrer investigare
gli incentivi allagricoltura sotto forma di sovvenzione e il loro rapporto con
la tassazione (in buona parte agevolata) del settore.
Il capitolo di spesa del soccorso civile (compresi vigili del fuoco) si
trova invece nel bilancio del ministero degli interni ed ammonta a 1.7 miliardi
circa.
La protezione civile corrisponde a un dipartimento autonomo presso la
presidenza del consiglio, con a disposizione grossomodo 1,6 miliardi di euro,
bilancio modesto, ma ben poco gravato da spese di personale, trattandosi di
una struttura leggera (il costo del personale sembra pari a solo 33 milioni).
In relazione allurgenza degli eventi da fronteggiare, alla facilit di ottenere
risorse, con storni del bilancio pubblico in relazione al clamore mediatico
suscitato da eventi straordinari, i margini per affidamenti di incarichi sono
notevoli, con diversi episodi di malcostume.
6.10. Sanit.
In Italia si destina alla sanit l8,9% del Pil, cio circa 140 miliardi, di cui il
77 percento circa pubblici (grossomodo 100 miliardi, di competenza delle
regioni e il restante 23 percento relativi alla sanit privata. un tipico caso
in cui, essendo la spesa frammentata tra vari livelli di governo (centrale e
locali), precisazioni ulteriori sono molto complesse.
La spesa per la sanit una delle pi consistenti e anche delle pi delica-
te. Perch divisibile tra gli interessati, ma anche socialmente importante, sul
terreno della solidariet e della dignit umana. difficile, in linea di principio
e sul piano del consenso, negare assistenza a chi sta male, anche se non in
grado di sopportarne i costi. Per nessun pasto gratis ed i medici vanno
pagati, il che pone le premesse per una vera e propria branca delleconomia
pubblica, denominata economia sanitaria, cui si sono dedicati molti ri-
cercatori provenienti da scienza delle finanze. La sanit privata gestisce con
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 117
6.11. Istruzione.
programma scolastico sono magari quelle dellantica Grecia, mentre tra una
lezione e laltra si parla solo della cronaca politica, del pettegolezzo, magari
anche picchiandosi, e senza aver capito nulla (perch nessuno ci ha insegnato
a riflettere in merito).
Un ulteriore aspetto da sviluppare nelle prossime edizioni del testo riguar-
da gli incentivi alla ricerca e alla cultura, tra ministero delluniversit,
CNR, e spettacolo-beni culturali.
Analoga indagine sar necessaria per il sostegno allo sport, altro settore
contiguo a quello formativo educativo, in gran parte gestito attraverso gli enti
locali, le federazioni sportive ed il CONI.
La voce di spesa 26.1 del bilancio del ministero delleconomia, per circa 90
miliardi di Euro, riguarda gli interessi passivi sul debito pubblico, di cui
parliamo meglio al par. 7.7 e al par. 8.3, a proposito di entrate da prestito,
e finanziamento della spesa pubblica attraverso il debito.
Qui aggiungiamo alcune avvertenze relative alla stratificazione del debito, in
relazione al tasso dellinteresse fisso o variabile, indicizzato a vari parametri, in
genere allinteresse sui titoli di stato a breve termine (Buoni Ordinari del teso-
ro). Un aumento del tasso di interesse, sia in assoluto sia per una diminuzione di
fiducia verso il debitore stato (cfr. al par. 8.3 il concetto di spread) tocca solo
indirettamente il debito in essere, nei limiti in cui essendo indicizzato viene
influenzato dallaumento dei tassi sui suddetti buoni del tesoro. Lo stesso vale,
allinverso, per le diminuzioni dei tassi di interesse, che non riguardano il debito
a tasso fisso, gi in essere, ed emesso a tassi di interesse pi elevati.
La politica monetaria, esposta in vari paragrafi del testo (spec.te paragrafi 7.7
ss., 8.3), sostanzialmente priva di costi diretti, dal momento che discende dalla ca-
pacit di credito dello stato nei confronti del sistema bancario: lunico costo quel-
lo di una promessa, che deve essere seria, e dipende quindi dalla credibilit politica,
alimentata dal funzionamento della macchina pubblica, su cui appunto par. 8.3.
pere perch, altri hanno voglia di cambiare, altri sono stati espulsi da aziende
giovaniliste.
Rispetto alla societ agricolo-artigianal-mercantile, quella tecnologica
tende molto di pi ad emarginare gli anziani. Con problemi cui si risponde
rendendo obbligatoria una copertura pensionistica, in modo da garantire al-
meno una fonte di reddito a chi, non pi in grado di lavorare nelle aziende,
non pu pi rendersi utile allinterno delle famiglie allargate di un tempo,
ormai sparite. Alcuni paesi (specialmente anglosassoni) obbligano a una forma
assicurativa, anche privata, ed altri ad assicurazioni pubbliche obbligatorie
per chiunque svolga determinate attivit. Anche la previdenza un altro luogo
di incontro tra pubblico e privato, con varie possibili combinazioni, dove
il pubblico non manca mai, ma in varie gradazioni. Linteresse generale ad
evitare vecchi privi di mezzi di sostentamento pu essere infatti soddisfatto
con diverse sfumature, e con vari collegamenti alla condizione lavorativa pre-
cedente, iniziando attraverso il sistema c.d. della cassa mutua. In cui tanto
pi si era obbligati a versare durante la vita lavorativa, tanto pi si riceveva di
pensione.
Questultima segue per la logica della rendita vitalizia, nel senso che
spetta fino alla morte, con un elemento di aleatoriet tipico della tecnica
assicurativa; le pensioni sono quindi calcolate in base ad una stima generale
della vita media residua della massa dei pensionati, secondo c.d. calcoli
attuariali; la stessa logica delle rendite vitalizie erogate in base alle assi-
curazioni sulla vita stipulate volontariamente, secondo gli ordinari criteri
di mercato.
Il calcolo della pensione, secondo criteri di economicit e di corrispettivit,
non pu che prendere le mosse dai contributi pagati, ed quello che avviene
nei sistemi a capitalizzazione, chiamati anche contributivi, diffusi nei pae-
si ad economia di mercato. Dove casomai lintervento pubblico attiene alla
tutela degli investimenti finanziari delle casse di previdenza, secondo criteri
simili a quelli della tutela del risparmio, perch qui si tratta di un risparmio
obbligatorio e previdenziale.
La politica, con la sua visione di breve respiro, si per inserita in que-
sto meccanismo, inventando il criterio c.d. a ripartizione, oppure retri-
butivo, che se gestito in modo previdente sarebbe anche tollerabile
e porterebbe a risultati non dissimili da quello contributivo. Peccato che
invece la relativa abbondanza di contributi versati da classi lavoratrici re-
lativamente giovani, al tempo del boom economico, sia stata utilizzata per
integrare le pensioni di chi non aveva versato contributi; nellimmediato
era una strada percorribile, perch la base lavorativa era ampia, e rispetto
ad essa i pensionati erano pochi; ci si potevano permettere, in quel perio-
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 121
do, anche le c.d. pensioni collegate alla anzianit lavorativa e non allet
del soggetto, generando veri e propri baby-pensionati, anche a causa di
anzianit contributive forfettarie, ricongiungimenti, contributi irrisori e
simili strategie elettoralistiche; con una miopia politica simile a quella che
vedremo al prossimo paragrafo per il debito pubblico, e che oggi presenta
il conto. Infatti, con linvecchiamento della popolazione e la diminuzione
della forza lavoro attiva, anche per via della globalizzazione, il ciclo si in-
vertito. Lo squilibrio tra i contributi versati e le pensioni da pagare finisce a
carico della fiscalit generale, come gi indicato a proposito della rispettiva
voce di spesa pubblica (par. 6.15).
Si sta cercando faticosamente di tornare al sistema c.d. contributivo, a
partire dagli anni novanta del secolo scorso, ma una strada in salita; i nuovi
sistemi sono partiti per chi iniziava la propria vita lavorativa dopo il 1995, e
quindi andranno a regime molto lentamente. Un palliativo, cui si ricorre sem-
pre pi spesso, laumento dellet pensionabile, che costringe a lavorare di
pi, continuando a pagare i contributi.
Nellimmediato, laumento indiscriminato dellet pensionabile, un pal-
liativo per far quadrare i bilanci in mancanza di meglio. In prospettiva siste-
matica richiama la funzione assistenziale della previdenza, i suoi obiettivi di
fondo indicati allinizio di questo paragrafo, sullo sfondo della vecchiaia e della
morte, che venivano fronteggiate nei vecchi gruppi familiari allargati. C chi
muore rapidamente, essendo stato autosufficiente fino a pochi attimi prima,
e chi ha bisogno di assistenza per anni. Ci sono lavori usuranti in astratto e
lavoratori usurati in concreto, le cui condizioni non sono assolutamente in
grado di essere valutate da strutture pubbliche appiattite sulla legislazione, e
incapaci di valutare la diversit delle singole situazioni. Anche sul sistema pen-
sionistico la paralisi decisionale, con le sue cause giuridiche indicate ai parr.
5.1 ss., intralcia lintervento pubblico nelleconomia, provocando privilegi e
penalizzazioni, entrambi ingiustificati.
Si conferma cos la portata assistenzial-assicurativa della previdenza, finaliz-
zata ad evitare che persone non pi in grado di provvedere a se stesse siano un
costo per il resto della societ. Lo scopo della previdenza non perci quello
di affrancare dal lavoro arzilli vecchietti attivissimi, che poi si deprimono senza
pi nulla da fare dalla mattina alla sera, oppure cercano altro impiego anche
remunerativo. C un interesse pubblico a che gli anziani mantengano il pi
possibile un impegno lavorativo gratificante e socialmente utile; nessuno sa
per quali possono essere i casi della vita, e quindi chi ha accantonato somme
consistenti per la propria vecchiaia potrebbe non averne mai bisogno, perch
continua a lavorare fino alla morte. Mentre al contrario potrebbe avere bi-
sogno di assistenza chi diventa inabile al lavoro in modo anticipato. La pre-
122 Compendio di Scienza delle Finanze
visione stessa di cosa accadr col passare degli anni difficile, anche perch
subentrano modifiche motivazionali impossibili da prevedere, sulla direzione
da imprimere al proprio impegno residuo. Ognuno dovrebbe quindi essere
costretto, quando giovane, ad accantonare a sufficienza per poter far fronte ai
propri bisogni quando sar vecchio, nellipotesi in cui perda interesse ad ogni
forma di impegno nella societ. Potrebbe essere un capitale di riserva, anche
diverso dalla rendita vitalizia in cui consiste la pensione. In modo da non mor-
tificare chi, lavorando di pi, risparmiando di pi o mantenendosi pi attivo,
riesce a trasmettere il capitale ai propri figli o ad altri fini meritevoli di tutela,
secondo un ultimo atto di residua autonomia. Ma un discorso da riprendere,
in una cornice in cui ognuno deve essere assistito, se bisognoso, ma deve essere
incentivato ad autogestire se stesso, e il proprio patrimonio, come ritiene pi
opportuno, se non di peso per gli altri.
Sommario: 7.1. La misurazione delleconomia e il PIL come indicatore degli scambi di mercato.
7.2. Il PIL nei confronti internazionali: pregi e difetti informativi. 7.3. La valutazione nel
PIL delleconomia pubblica non di scambio. 7.4.Valori economici come valori umani e
loro relativismo. 7.5. I valori economici nella prospettiva dellacquirente: valore duso e di
scambio. 7.6. Segue: i valori economici dal punto di vista del venditore: valore e remunera-
zione del lavoro. 7.7.Valori e moneta come simbolo di crediti: spontaneismo privato e
limiti dellintervento pubblico. 7.8. Banca, finanza ed economia pubblica. 7.9. La finanza
e i rischi di sua degenerazione. 7.10. Intervento pubblico e tassi di cambio: svalutazione e
inflazione. 7.11. Istituzioni e globalizzazione: pro e contro. 7.12. LEuro come esempio di
moneta sovranazionale.
Dal punto di vista del produttore ha senso affermare che il valore influen-
zato, oltre che da quanto lacquirente valuta la prestazione, anche dal relativo
costo. In una prospettiva umanistica, esso dipende in buona parte dal lavoro,
inteso come impegno, creativit, immaginazione, idee necessarie a creare la
relativa prestazione.
Laffermazione di Marx sulla corrispondenza del valore al lavoro (Valore
uguale lavoro) deve ovviamente fare i conti con la prospettiva dellacqui-
rente, per il quale il valore dato dallutilit, ma coglie quella del fornitore.
Basta pensare allartigiano o al lavoratore indipendente che, attraverso la pro-
pria attivit, ha bisogno di sostenere il suo reddito, cio unesistenza libera e
dignitosa. Torna sotto un diverso profilo, il valore come utilit del fornitore,
che attraverso il lavoro intende soddisfare il proprio bisogno di decorosa
sussistenza. Il valore, in questo senso, dipende dal reddito di cui il fornitore
produttore pensa di avere bisogno, che si deve mantenere per in sintonia
con le aspettative e i bisogni del cliente, in termini di utilit che egli ravvisa
nella prestazione. Il bisogno del fornitore deve cio armonizzarsi col so-
gno del cliente. Limpegno necessario al fornitore per realizzare una certa
prestazione, anche in termini di ricerche e organizzazione, oltre che di la-
voro specifico, certamente un indice del suo valore, cio del prezzo da lui
richiesto per la vendita. Ma limpegno del fornitore pu essere anche ineffi-
ciente, e pu non corrispondervi una proporzionale utilit del suo risultato
per i possibili acquirenti. Limpegno, le energie, la fatica, sono quindi una
condizione necessaria per avere utilit, ma che potrebbe non essere sufficiente,
in presenza di lavoro inutile, socialmente non riconosciuto da alcun desti-
natario, e quindi senza valore.
Il lavoro pu essere di varie specie. Possono contribuire al valore tutte le
specie di lavoro, da quello materiale a quello direttivo a quello organizzativo,
scientifico, tecnico, culturale, militare, dipendente o indipendente. Pu essere
lavoro presente o lavoro passato, di gente ormai morta e sepolta, come pure la-
voro futuro, ad esempio quello necessario a pagare i debiti che ci consentono,
oggi, di fare determinate spese. Una certa dose di lavoro quindi necessaria
perch, nellorganizzazione sociale, si creino le utilit cui gli individui sono
interessati. Non tutto il lavoro crea utilit, ma ripetiamo che difficilmente c
una utilit senza lavoro, cio senza attivit.
Quanto sopra conferma la gi indicata dimensione sociale della ric-
chezza, come qualcosa che continuamente si crea e si consuma, non come
se fosse un tesoro da spartire. La ricchezza non una caratteristica con-
naturata degli oggetti, ma dipende dallimportanza data dagli uomini a tali
oggetti, o a tali prestazioni, in termini di sogni e di bisogni, che hanno
un ordine di priorit. Quando i bisogni primari sono soddisfatti, possiamo
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 137
7.5 ss.); luso ornamentale delloro soddisfa infatti una vanit o una illusione,
per distinguersi rispetto agli altri. Con loro, simbolo di credito, gli individui
mostrano agli altri di avere credito, cio mostrano il proprio valore, un
po come gli antichi dignitari africani rivestiti di pelle di leopardo. Loro per
durava nel tempo ed il suo valore era condiviso presso tutte le popolazioni
dellera agricolo-artigianale.
La suddetta creazione della moneta segue processi spontanei, adottati
senza programmazione dagli operatori economici, ma vi si inserirono rapida-
mente le istituzioni (pubblica autorit), come contenitore dei rapporti
privati secondo quanto indicato al paragrafo 2.11. Oltre a detenere i pote-
ri coercitivi per garantire gli impegni dei privati attraverso la giustizia, le
istituzioni regolamentarono necessariamente la moneta-credito, sia come
stato regolatore (par. 4.14), sia come intervento pubblico, aumentando
la massa monetaria in circolazione, per sostenere le proprie spese o
indirizzare leconomia privata. Gi nellantichit ne costituiva un esempio la
diminuzione della quantit di oro nelle monete, con cui limpero romano
del terzo secolo, ormai sulla difensiva, sosteneva la difesa militare (vedi il pa-
ragrafo 8.3 sullemissione di moneta come fonte di finanziamento per le spese
pubbliche). Si vedono gi i segni del pubblico potere come prestatore di
ultima istanza, di cui diremo anche al paragrafo successivo.
Anche per la moneta merce, nonostante lillusione delloro, valgono le
riflessioni di cui al paragrafo 7.6, sulla dipendenza economica del valore
dal reddito. La garanzia degli impegni dei debitori nel loro complesso
non infatti rappresentata dal simulacro delloro, ma dallattivit econo-
mica complessiva (sulla giustificazione dei valori patrimoniali in base ai
redditi, cio al livello generale di benessere economico, sopra par. 7.6 appena
citato).
Se tornasse il mitologico Re Mida leconomia reale, basata sulla produ-
zione, non cambierebbe di una virgola, salvo il crollo del prezzo delloro.
Semplicemente perch anche loro misura crediti e debiti: neppure tutto
loro del mondo potrebbe infatti comprare un pezzo di pane, se nessuno lo
produce.
Dalla moneta merce, alloro come moneta pegno, il passaggio alla
carta moneta abbastanza facile da comprendere: la moneta nacque come
impegno di una istituzione qualificata (statale o bancaria, comunque di
elevata reputazione) a corrispondere una determinata quantit di oro. Era
questo il senso dellespressione pagabili a vista al portatore che era im-
pressa sulle banconote in lire, e che sottintendeva lantica convertibilit in
oro delle monete, venuta meno nei fatti ai primi del novecento, ma ancora
riportata, per tradizione, sulle banconote, emesse dalle banche, oggi sempli-
140 Compendio di Scienza delle Finanze
buona parte collegato. Vedremo qui che linfluenza, da parte degli stati, sul
tasso di cambio, uno strumento contingente di economia pubblica, cio di
indirizzo allattivit economica. un intervento regolatorio, nel senso indi-
cato al par. 4.14, in quanto si tratta di influire su scambi bilaterali, cio eventi
economici e finanziari estranei alla sfera dazione diretta dei pubblici poteri
(difesa, giustizia, sanit, istruzione etc.).
Le esportazioni e le importazioni dipendono infatti prima di tutto dalle-
conomia, dalla allocazione e dalle possibilit di soddisfacimento dei bisogni.
La differenza, in gergo contabile il saldo, tra importazioni ed esportazioni
di merci e servizi si definisce Bilancia commerciale. Nella misura in cui
questo saldo attivo o passivo il paese, guardando i rapporti con lestero,
produce pi di quanto consuma o viceversa. A parit degli altri fattori, questa
eccedenza di produzione sul consumo, gi vista sotto laspetto del PIL al pa-
ragrafo 7.1 provoca crediti del gruppo verso altri gruppi. Per le importazioni
abbiamo lopposto, consumo senza produzione, con diminuzione di crediti e
poi accumulo di debiti verso altri gruppi.
Questo dovrebbe influenzare la domanda di moneta del paese, facendo-
ne salire le quotazioni in caso di bilancia dei pagamenti attiva, e facendole
diminuire in caso di bilancia passiva. Laumento di valore della moneta rende
meno competitive le esportazioni, e viceversa, il che secondo i sostenitori
degli automatismi di mercato (paragrafo 4.7) porterebbe il sistema ad autocor-
reggersi. Lesperienza conferma che si tratta di uno schema semplicistico, e che
i poteri politici, attraverso le loro istituzioni monetarie, hanno sempre cercato
di indirizzare i tassi di cambio come strumento di governo delleconomia.
La tendenza storica stata quella di sostenere lindustria nazionale, con sva-
lutazioni competitive per rendere pi appetibili le esportazioni, frenando le
importazioni, scoraggiate poi anche da dazi doganali elevati. Gli strumenti mo-
netari delleconomia pubblica per influenzare i tassi di cambio sono riconduci-
bili allo stato come prestatore di ultima istanza e cio lemissione di moneta e
le diminuzioni del tasso di interesse, con controindicazioni sullinflazione di cui
diremo tra un attimo. La competitivit delle esportazioni di un paese per un
palliativo momentaneo, perch il vero sostegno sta nella qualit e nel prezzo
delle produzioni sottostanti; prodotti scadenti restano infatti poco con-
correnziali nonostante le svalutazioni, mentre il contrario accade per i prodotti
di qualit. Questi fattori di evidente rilevanza sono per difficili da inserire nei
modelli sociomatematici degli economisti (par. 4.6), e proprio per questo trascu-
rati (anche perch dipendenti dalle aziende e non dai governi).
I tassi di cambio dipendono per anche dalla bilancia dei pagamen-
ti, che include la bilancia commerciale, sopra indicata, ma pi ampia
perch contempla anche gli investimenti finanziari, come acquisti di titoli
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 145
be garantire il debito comune di tutti i paesi. Tale debito resta per nazio-
nale, in quanto abbiamo gi visto al paragrafo 4.16 che ogni paese membro
dellUnione europea, e anche del trattato Euro, ha la propria distinta efficienza
burocratica e il proprio rapporto tra tributi e spese pubbliche. Emettere mo-
neta comune per finanziare debiti pubblici inefficienti e improduttivi, incrina
la credibilit politica complessiva del trattato, ed incontra comprensibili re-
sistenze da parte dei paesi con maggiore capacit tributaria e maggiore au-
tosufficienza economica, a prescindere dal consumo a debito. su questo
che si combattono le quotidiane polemiche tra vari paesi dellunione, nella
dicotomia riportata alla dialettica tra il rigore e la crescita. Forse i paesi
del rigore (in testa la Germania) hanno un eccessivo timore dellinflazione e
del deprezzamento dellEuro, che peraltro come noto agevola le esportazioni,
ma penalizza le importazioni (paragrafo 7.9). Daltra parte i paesi sostenitori
della crescita sembrano illudersi che questa possa essere alimentata semplice-
mente da un consumo a debito. La tesi del consumo a debito ricorda quelle
chiacchiere grossolane in cui viene scusata la corruzione, affermando che essa
fa girare i soldi. Come vedremo al paragrafo 8.3 la differenza dipende dalla
qualit della spesa e dallefficienza della macchina pubblica.
Capitolo Ottavo
IL FINANZIAMENTO
DELLINTERVENTO PUBBLICO:
TASSAZIONE ATTRAVERSO LE AZIENDE
E AUTOTASSAZIONE (RINVII AL COMPENDIO
DI DIRITTO TRIBUTARIO)
Sommario: 8.1. La tassazione come settore della fiscalit. 8.2. Entrate da sfruttamento del pa-
trimonio pubblico. 8.3. Finanziamento a debito della spesa pubblica e suoi limiti. 8.4.
Pubbliche entrate tra beneficio (tariffe), remunerazione di funzioni pubbliche (tasse
in senso stretto) e imposte (principio del sacrificio patrimoniale). 8.5. Imposte dirette e
indirette: riconducibilit economica di tutte le imposte ai redditi. 8.6. Limportanza della
determinazione della ricchezza: le epoche della sua valutazione attraverso pubblici uffici.
8.7. La tassazione attraverso le aziende. 8.8. Differenza tra tassazione attraverso le aziende e
autotassazione. 8.9. Lo scoordinamento tra tassazione ragionieristica attraverso le aziende e
valutativa attraverso gli uffici tributari. 8.10. Il disorientamento e le divagazioni sugli effetti
delle imposte. 8.11. Stima della ricchezza che sfugge alle aziende e intervento valutativo
dei pubblici uffici. 8.12. Pressione fiscale e c.d. redistribuzione. 8.13. Riflessi tributari
del federalismo fiscale.
facile per i pubblici poteri ottenere credito, cio fare debiti, almeno
allinizio. Lo stato non esercita attivit economica, n corre un rischio di im-
presa, da cui possono derivare perdite. Lo stato, come indicato al precedente
paragrafo 7.7 viene denominato prestatore di ultima istanza, in quanto
esercita supremazia politica, cui si accompagnano poteri coercitivi (par. 2.5)
utili a trovare risorse destinate al pagamento del debito.
Tutto per ha un limite, e se lo stato eccede nellindebitarsi, la sua speciale
condizione, il suo potere coercitivo, si ritorcono contro i creditori. La forza
coercitiva del potere pubblico, oltre ad essere strumento per riscuotere i tri-
buti, anche un ostacolo per chi vuole costringere lo stato a far fronte ai suoi
debiti. Il creditore dello stato dovrebbe infatti essere assistito dallo stesso sog-
getto debitore, con un curioso cortocircuito, che di fatto vanifica la riscossione
coattiva dei crediti verso il pubblico potere.
Indebitarsi, per lo stato, come stampare moneta, prerogativa indiretta-
mente pubblica secondo gli schemi indicati al paragrafo 7.8 sia il debito pub-
blico sia lemissione di moneta sono criteri per aumentare la spesa pubblica
nellimmediato, sostenendo i consumi pubblici senza nuove tasse. In questo
modo apparentemente si rilancia la produzione, senza per uno scambio ef-
fettivo perch la contropartita del consumo non una prestazione in senso
inverso, ma un debito. Qualcuno riceve una prestazione, ma non ricambia,
bens promette di ricambiare, o promette di effettuare una prestazione ad un
finanziatore che paga per lui. Il consumo, senza produzione, del beneficiario
del prestito, non crea reddito, ma crea debito.
Il debito non in s nocivo, ma il giudizio su di esso dipende dallefficienza
nellimpiego delle risorse finanziarie prese a prestito. Il famoso economista JM
Keynes teorizzava il deficit di bilancio come strumento di rilancio delleco-
nomia, sottintendendo per leffettiva utilit economica della spesa pubblica
effettuata a fronte del debito. Non detto che tutta la spesa pubblica debba
essere produttiva e debba corrispondervi necessariamente un servizio: si pu
infatti anche investire in coesione sociale, evitando rivolte. Nulla vieta che le
risorse acquisite a fronte del debito siano spese in via assistenziale per sussidiare
i consumi delle fasce pi deboli, sapendo per che il prestito andr restituito
da qualcun altro, oppure che non sar restituito affatto. In ogni caso, per so-
stenere i consumi di soggetti del gruppo sociale non adatti alla produzione,
per et, menomazioni, o altre patologie, occorre pagare un prezzo, a carico di
chi produce il relativo reddito. Che non sar consumato o investito da chi lo
produce, ma utilizzato per sussidiare chi per motivi del tutto legittimi non
154 Compendio di Scienza delle Finanze
pavano il gettito al potere politico, ed erano investiti dei relativi poteri, con il
rischio di soprusi e malversazioni.
Le pubbliche autorit si servivano anche di gruppi sociali intermedi
per la richiesta dei tributi ai singoli individui che ne facevano parte, come le
comunit locali, oppure etniche, religiose o professionali, cui venivano
chieste imposte complessive, che il gruppo pensava poi a ripartire al proprio
interno; questa ripartizione avveniva in genere secondo criteri che al pote-
re centrale interessavano relativamente poco, come la condizione economico
sociale comparativa delle famiglie (focatico) o di singoli individui (testatico).
Questi sistemi c.d. a ripartizione erano particolarmente adatti alle societ
pluralistiche dellancien regime, in cui si intrecciavano una serie di poteri e
status diversi. Cera gi qui il rischio di imprecisioni o favoritismi, che si cerca-
va di evitare coi gi indicati catasti delle complessive situazioni economiche
delle famiglie e delle persone. Oggi invece questo ruolo di ente intermedio,
preposto allacquisizione dei tributi, stato trasferito alle aziende come ve-
dremo al prossimo paragrafo.
leffettiva attivit del fisco nella determinazione della ricchezza di queste ca-
tegorie. Invece di comprendere che levasione o ladempimento dipendono
dalla visibilit della ricchezza, le spiegazioni attraverso lonest, e la disonest,
hanno lacerato la societ italiana. Il capro espiatorio di tutte le disfunzioni del-
la spesa pubblica, compresa quella riguardante la determinazione dei tributi,
stato individuato nei fantomatici evasori. Si trascurato che nessuno riesce
a sfuggire a tutte le imposte, perch comunque sar tassato come consumato-
re o risparmiatore. Certo, chi trae il suo reddito esclusivamente dalle aziende
tassato in modo particolarmente intenso, perch la tassazione dei consumi si
cumula con quella reddituale.
Gli enti locali sono vicini ai cittadini, e per questo oggi sono ottimi ero-
gatori di spese, anche secondo il principio di sussidiariet di cui al par.
4.13. Prima della tassazione attraverso le aziende, gli enti locali erano anche
ottimi acquisitori di imposte, per gli stessi motivi; i loro uffici tributari
potevano infatti fare leva sulle relazioni di vicinato, sulla conoscenza re-
ciproca dei rispettivi tenori di vita, sulla contiguit alle attivit economiche
radicate al territorio, per stimare la ricchezza ai fini tributari. Nella storia della
tassazione ci sono state addirittura alcune fasi in cui, anzich i trasferimenti
dallo stato agli enti locali, descritti al paragrafo 6.3, il flusso di gettito muoveva
dalla periferia al centro, con le comunit locali che acquisivano risorse, da
trasferire al potere centrale, ad esempio per finanziarie campagne militari.
Il ruolo tributario degli enti locali stato spiazzato dalla tassazione
attraverso le aziende (sopra par. 8.7), che ha messo in crisi la valutazione della
ricchezza da parte degli uffici, innescando lequivoco dellautotassazione (par.
8.8). Il pi comodo interlocutore delle aziende, come esattori dei tributi
per conto del fisco, erano le istituzioni centrali statali, mentre lintervento
degli enti locali era un elemento di complicazione. Come gi osservato al
paragrafo 6.2, la tassazione attraverso le aziende, in tutti i paesi, ostacola la
coincidenza tra spese e entrate locali, perch asseconda la ritrosia degli enti
locali, soprattutto sul piano del consenso politico, a presentarsi come acquisi-
tori di tributi, scaricando questo ruolo impopolare sullo stato centrale, e
presentandosi col volto benefico degli erogatori di spesa (finanziata mediante
trasferimenti statali, a loro volta finanziati con le imposte, con le deresponsabi-
lizzazioni indicate al par. 6.2).
La stessa espressione federalismo fiscale nata nel contesto statuniten-
se, dove federale vuol dire centrale, come ricorda la stessa espressione di
polizia federale. La necessit di finanziare spesso la spesa locale con tributi
centrali (appunto federali), veniva presentata negli USA come una contin-
gente disfunzione, da contrastare; essa divenne invece la regola in Italia, dove la
spesa locale fu prevalentemente finanziata da trasferimenti statali, con ulteriori
effetti deresponsabilizzanti, gi indicati al par. 6.2.
Ai comuni rimasero inoltre imposte difficili da gestire, in quanto relative
a un gran numero di contribuenti, ciascuno generalmente debitore di piccole
cifre; si pensi alle imposte immobiliari, alla tassa di possesso veicoli. Per questo
gli enti locali hanno utilizzato il veicolo dei tributi statali per imporvi del-
le addizionali, soprattutto allirpef, ovvero determinazioni della ricchezza
molto simili a quelle dei tributi statali come per limposta regionale Irap, su
cui rinvio al compendio di tributario. La crisi della tassazione locale riflette la
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 173