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Compendio di

SCIENZA
DELLE FINANZE
ovvero il volto giuridico delleconomia,
tra aziende e istituzioni pubbliche

Raffaello Lupi
IN QUESTA COLLANA:
Compendio di Diritto Penale Parte Generale
Compendio di Diritto Penale Parte Speciale
Compendio di Diritto Costituzionale
Compendio di Ordinamento e Deontologia Forense
Compendio di Diritto dellUnione Europea
Compendio di Diritto del Lavoro
Compendio di Diritto Civile
Compendio di Procedura Civile
Compendio di Diritto Tributario
Compendio di Contabilit di Stato e degli Enti Pubblici
Compendio di Diritto Amministrativo
Compendio di Procedura Penale
Compendio di Diritto Ecclesiastico

Copyright DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma


La traduzione, ladattamento totale o parziale, la riproduzione
con qualsiasi mezzo (compresi i film, le fotocopie), nonch
la memorizzazione elettronica, sono riservate per tutti i Paesi.

Copertina
Chiara Damiani

Realizzazione editoriale
Studio Editoriale Cafagna, Barletta

Finito di stampare nel mese di settembre 2014


INDICE GENERALE

Prefazione alla seconda edizione............................................................ IX

Prefazione alla prima edizione............................................................... XI

Capitolo Primo
UN PUNTO DI INCONTRO TRA ECONOMIA, POLITICA E
DIRITTO..................................................................................................1
1.1. Scienza delle finanze come punto di incontro tra le scienze so-
ciali...................................................................................................1
1.2. I gruppi sociali tra istituzioni (pubblici poteri) e operatori econo-
mici (scambi bilaterali).......................................................................2
1.3. Fondamento politico delle istituzioni (consenso multilaterale) e con-
senso economico di scambio (bilaterale).............................................4
1.4. Linterdipendenza tra istituzioni, espressive di politica e diritto, ed
economia..........................................................................................5

Capitolo Secondo
ERE ECONOMICHE E BAGAGLIO CULTURALE ECONOMI-
CO-GIURIDICO ....................................................................................7
2.1. Ere economiche di base (raccolta, agricoltura-artigianato, indu-
stria) e istituzioni politiche. ...............................................................7
2.2. Il radicamento del bagaglio culturale moderno nellera economi-
ca agricolo-artigianale....................................................................9
2.3. Istituzioni gerarchico-militari dellera agricolo artigianale.............11
2.4. Segue: Leconomia agricolo-artigianale tra autoconsumo e scambio. ...12
2.5. Importanza economica del territorio e militarismo delle societ
agricolo-artigianali..........................................................................14
2.6. Cooptazione politica per censo economico nellera agricolo arti-
gianale.............................................................................................17
IV INDICE

2.7. La complessit delle istituzioni politiche rispetto a quelle eco-


nomiche: istituzioni non territoriali e stati nazionali.........................19
2.8. Esigenze di coesione e mobilit sociale nellera agricolo-arti-
gianale.............................................................................................20
2.9. Valore, lavoro e sua organizzazione nellera agricolo-artigianale...........22
2.10. Matrice volontaristico-religiosa delle attivit socio-assistenziali
dellera agricolo-artigianale..............................................................23
2.11. Le istituzioni come contenitore dei rapporti economici...................25

Capitolo Terzo
LE AZIENDE TECNOLOGICHE, COME GRUPPO SOCIALE
A VOCAZIONE ECONOMICA............................................................27
3.1. Sviluppo scientifico-tecnologico e spirito di ricerca europeo
occidentale (interrelazioni tra struttura economica e sovrastrut-
tura culturale). ................................................................................27
3.2. Applicazione tecnologica delle scienze fisiche, era aziendale e
sua complessit................................................................................29
3.3. Aziendalizzazione di agricoltura e servizi: restringimento della
base direttamente produttiva............................................................30
3.4. Lazienda tecnologica come corpo sociale (equivoci oggetti-
vistico-antropomorfici)..................................................................31
3.5. Lazienda come istituzione privata?...............................................34
3.6. Laggregazione attorno al prodotto come limite culturale del-
lazienda..........................................................................................36
3.7. Le rigidit aziendali ed il loro fraintendimento moralistico-an-
tropomorfico...................................................................................38
3.8. I veri lati oscuri dellazienda: rinvio al prossimo capitolo su
pubblica opinione e istituzioni.........................................................40
3.9. Inadeguatezza del precedente bagaglio culturale per spiegare le
aziende tecnologiche. .....................................................................41
3.10. Lequilibrio aziendale: economie di scala, costo medio, costo
marginale e break even point come espressione di equilibrio. .............43
3.11. Efficienza ed efficacia nellazienda tecnologica.................................45
3.12. Lazienda tecnologica e il profitto attraverso lequilibrio e la
creazione di valore (il valore aggiunto)..........................................48
3.13. Lequivoco del capitalismo e la subalternit culturale delle aziende..........50
3.14. La governance aziendale e il passaggio generazionale.................52
3.15. Epilogo: lintegrazione tra aziende e opinione pubblica come
alternativa alla disintegrazione aziendale e sociale.............................54
INDICE V

Capitolo Quarto
LE ISTITUZIONI NELLERA AZIENDALE: FALLIMENTI
DEL MERCATO E LECONOMIA PUBBLICA...............................59
4.1. I riflessi dellera aziendale sul resto dellorganizzazione socia-
le: la crisi delle altre forme di aggregazione (famiglie, comuni-
t territoriali, religiose, etc.).............................................................59
4.2. Laccresciuta responsabilit della politica e la diminuzione del
suo potere rispetto alla societ agricolo artigianale...........................62
4.3. Lera aziendale e la politica come riflesso della pubblica opinione.........63
4.4. Le esternalit , positive e negative dellera aziendaltecnologi-
ca sullambiente sociale. ..................................................................65
4.5. Lalienazione del lavoro come esternalit negativa. .......................66
4.6. Linsufficienza delle spiegazioni socio matematiche della scien-
za economica..................................................................................68
4.7. Le illusioni sulla capacit del mercato di trovare un equilibrio
(fallimento del mercato)...................................................................70
4.8. Beni pubblici e beni privati, come sinonimo di attivit,
prestazioni dirette al soddisfacimento dei bisogni. ........................72
4.9. Beni economici e istituzioni pubbliche: chiarimenti metodo-
logici ed equivoci da evitare.............................................................72
4.10. Conferme da altre classificazioni dei beni indivisibili (non
escludibili) e divisibili (escludibili o rivali).....................................75
4.11. Levidenza empirica del ruolo economico dello stato sotto qual-
siasi regime politico dellera aziendale..............................................77
4.12. Il comunismo come esperimento estremo di assorbimento del-
leconomia nella politica..................................................................78
4.13. Sussidiariet dellintervento pubblico e sua coesistenza con leco-
nomia privata..................................................................................80
4.14. Lintervento pubblico regolatorio, contro le asimmetrie infor-
mative di una societ complessa. ....................................................83
4.15. Lintervento diretto nella produzione e i suoi rischi di ineffi-
cienza (rinvio). ...............................................................................84
4.16. Unione europea tra economia privata e istituzioni (la diversi-
t di macchine pubbliche come ostacolo allunione politica). ..........85
4.17. Segue: divieti comunitari verso restrizioni alla circolazione e
alla concorrenza..............................................................................87

Capitolo Quinto
IL CORTO CIRCUITO TRA ECONOMIA PUBBLICA, POLI-
TICA E PUBBLICA OPINIONE ..........................................................89
5.1. Intervento pubblico: dal modello militare allimitazione del
modello aziendale. ..........................................................................89
VI INDICE

5.2. Lintervento pubblico intermediato: valutazione di utenti e


pubblica opinione. ..........................................................................91
5.3. Il difficile controllo sociale sullintervento pubblico in una so-
ciet culturalmente parcellizzata.......................................................94
5.4. Pubblica opinione e mezzi di comunicazione nel controllo del-
leconomia pubblica........................................................................95
5.5. Studiosi sociali, classi dirigenti e mezzi di comunicazione: un
circolo virtuoso sulla pubblica opinione. .........................................97
5.6. Il senso dellaziendalizzazione delle istituzioni............................ 100
5.7. Lassunzione di responsabilit come strumento di efficienza del-
le istituzioni e di riduzione dei costi (spending review).................... 102
5.8. Inefficienze, rigidit e gli sprechi connessi al controllo contabi-
le preventivo del bilancio pubblico. ............................................... 104

Capitolo Sesto
UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO PER
FUNZIONI E CONTENUTI.............................................................. 107
6.1. Spesa pubblica per natura e funzione (spese correnti e in conto
capitale)......................................................................................... 107
6.2. I livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato apparato
(ministeri), enti autonomi e territoriali........................................... 108
6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (federali-
smo fiscale).................................................................................... 109
6.4. Spese istituzionali ed economia pubblica: un ordine di gran-
dezza dei costi............................................................................... 111
6.5. I costi diretti della politica (un simbolo pi che altro)..................... 112
6.6. Affari esteri e partecipazione a enti sovranazionali (finanzia-
mento unione europea e fondi comunitari)................................ 113
6.7. Segue. Difesa.................................................................................. 114
6.8. Segue. Sicurezza e giustizia............................................................. 114
6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile............................. 115
6.10. Sanit............................................................................................ 116
6.11. Istruzione...................................................................................... 117
6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica mo-
netaria........................................................................................... 118
6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle entrate e
Guardia di Finanza (5 miliardi circa).............................................. 118
6.14. La previdenza tra corrispettivit e fiscalit...................................... 119
6.15. Spese per integrazioni salariali e sussidi (differenziali di assi-
stenza non coperta da contributi)................................................... 122
INDICE VII

Capitolo Settimo
MISURAZIONE DEGLI SCAMBI (IL PIL),VALORI E DENA-
RO NEI RIFLESSI FINANZIARI DELLINTERVENTO PUB-
BLICO................................................................................................... 125
7.1. La misurazione delleconomia e il PIL come indicatore degli
scambi di mercato.......................................................................... 125
7.2. Il PIL nei confronti internazionali: pregi e difetti informativi......... 129
7.3. La valutazione nel PIL delleconomia pubblica non di scambio. ....... 131
7.4. Valori economici come valori umani e loro relativismo.............. 133
7.5. I valori economici nella prospettiva dellacquirente: valore
duso e di scambio......................................................................... 134
7.6. Segue: i valori economici dal punto di vista del venditore: va-
lore e remunerazione del lavoro................................................... 135
7.7. Valori e moneta come simbolo di crediti: spontaneismo
privato e limiti dellintervento pubblico. ....................................... 137
7.8. Banca, finanza ed economia pubblica............................................. 140
7.9. La finanza e i rischi di sua degenerazione....................................... 142
7.10. Intervento pubblico e tassi di cambio: svalutazione e inflazione...... 143
7.11. Istituzioni e globalizzazione: pro e contro. ..................................... 145
7.12. LEuro come esempio di moneta sovranazionale......................... 148

Capitolo Ottavo
IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO: TAS-
SAZIONE ATTRAVERSO LE AZIENDE E AUTOTASSAZIONE
(RINVII AL COMPENDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO) ............... 151
8.1. La tassazione come settore della fiscalit......................................... 151
8.2. Entrate da sfruttamento del patrimonio pubblico........................... 152
8.3. Finanziamento a debito della spesa pubblica e suoi limiti................ 153
8.4. Pubbliche entrate tra beneficio (tariffe), remunerazione di
funzioni pubbliche (tasse in senso stretto) e imposte (prin-
cipio del sacrificio patrimoniale).................................................... 159
8.5. Imposte dirette e indirette: riconducibilit economica di tutte
le imposte ai redditi....................................................................... 160
8.6. Limportanza della determinazione della ricchezza: le epoche
della sua valutazione attraverso pubblici uffici................................. 161
8.7. La tassazione attraverso le aziende.................................................. 162
8.8. Differenza tra tassazione attraverso le aziende e autotassazione........ 164
8.9. Lo scoordinamento tra tassazione ragionieristica attraverso le
aziende e valutativa attraverso gli uffici tributari............................. 165
8.10. Il disorientamento e le divagazioni sugli effetti delle imposte.......... 166
VIII INDICE

8.11. Stima della ricchezza che sfugge alle aziende e intervento va-
lutativo dei pubblici uffici.............................................................. 168
8.12. Pressione fiscale e c.d. redistribuzione......................................... 170
8.13. Riflessi tributari del federalismo fiscale.......................................... 172
Prefazione alla seconda edizione

La prima edizione del libro era la sintesi di un precedente volume, intitolato Manuale
giuridico di scienza delle finanze. Sono passati due anni, ed anche se tanti aspetti di
quel libro mi sembrano insicuri, ripetitivi o semplicistici, lesperienza dimostra che la
strada era quella giusta. Molti di coloro cui ho regalato il libro lhanno scorso con inte-
resse. Qualcuno lha addirittura letto tutto, cosa rara per esponenti della classe dirigente,
affaccendati in mille cose. La sperimentazione didattica, dove gli studenti si applicano,
dovendo fare di necessit virt, stata addirittura lusinghiera, ed ha confermato che
questa la strada per losmosi tra istituzioni giuridiche ed aziende, espressione delle-
conomia. Questultima certamente la scienza sociale di punta, come capacit dei suoi
esponenti di relazionarsi con la pubblica opinione.Tuttavia anchessa ha pagato prezzi
elevatissimi al complesso di inferiorit delle scienze sociali nei confronti delle scienze
fisiche, o hard sciences, o semplicemente scienze della materia, compresa la medicina,
che guarda alluomo come carne ed organi, non come spirito. Davanti ai tangibili e
straordinari successi delle scienze della materia, le scienze umane, intese come scienze
dello spirito umano, hanno cercato in vari modi di esorcizzare il loro timore di essere
riflessioni alla portata di tutti. Se si vuole chiacchiere. Forse per questo leconomia ha
rivestito di equazioni, grafici e formule, delle semplici correlazioni tra i comportamenti
umani. Bisogna invece accettare lidea che le scienze sociali sono patrimonio comune di
tutti gli interessati, secondo il grado di interesse e le contingenze con cui vi si avvicinano.
I problemi sociali possono essere risolti solo attraverso la loro comprensione, per quanto
di interesse, da parte del maggior numero di persone. Anzi, forse, quando i problemi
dellorganizzazione sociale sono stati capiti da un numero sufficiente di persone, gi
sono stati risolti. uno dei tanti aspetti delle scienze umane che cercher di sviluppare,
sperando di trovare dei compagni di strada. Per le altre indicazioni rinvio alla prefazione
della prima edizione, semplicemente riletta, rifocalizzata e ripubblicata a seguire.
Prefazione alla prima edizione

Questo libro cerca di superare limpostazione nozionistica dei compendi da concor-


so, offrendo ai candidati, e forse anche ai commissari, unopportunit per riflettere
e riordinare le idee sulla loro formazione economico-sociale. Tale formazione infatti
del tutto assente nella scuola secondaria (salvi i tecnicismi degli istituti professionali
per ragionieri), e molto frammentata nelle facolt universitarie di economia e giu-
risprudenza. Dopo la formazione, nella vita lavorativa, manca una sistemazione
generale di questi temi, incontrati specialmente nelle inevitabili semplificazioni dei
mezzi di comunicazione di massa. Per questo la pubblica opinione, comprese le classi
dirigenti, si trova davanti una quotidiana passerella di commenti e divagazioni sul
sistema produttivo, la spesa pubblica, le aziende, il lavoro, il debito pubblico, la redi-
stribuzione, levasione, la giustizia sociale, lefficienza, la globalizzazione, la moneta,
le banche, la pressione fiscale, lUnione europea, i mercati finanziari, le tariffe, il
federalismo fiscale, linflazione, la svalutazione monetaria, la solidariet, la crescita,
e tanti altri concetti che questo libro cerca di coordinare, soprattutto nei loro rapporti
reciproci. Lobiettivo di superare la frammentazione e i nozionismi, senza divagare
nelle personalissime ricette e proposte, sempre intrise di assolutezza e rigidit. La pre-
parazione per i concorsi, strumentale ad un obiettivo pratico, cerca cos di trasformarsi
in una occasione gradevole di crescita socioculturale, per coordinare le idee sullorga-
nizzazione della societ in cui ci si trova immersi.
Non ci sono grandi cose nuove da dire, anche perch le scienze sociali sono solo quello
che resta dellantica filosofia, cio delle riflessioni con cui luomo pensa a se stesso, come
individuo inserito in gruppi di altri individui, cercando di capire quello che, nelle varie
organizzazioni sociali, resta uguale e quello che si modifica nel tempo. Trovando profili
comuni e sfumature divergenti tra i punti di osservazione utilizzati da politica, econo-
mia e diritto per analizzare un fenomeno unitario, come lorganizzazione sociale. Un
libro di scienze sociali non pu contenere scoperte sensazionali, n ricette miracolose, ma
rimette in ordine riflessioni latenti nella mente dei lettori. Shakespeare fa dire a Marco
Antonio nellorazione ai Romani del Giulio Cesare: dico le cose che sapete gi e cos
devono fare gli studiosi sociali, coordinando riflessioni e intuizioni dei loro lettori, che
essendo impegnati dalle urgenze della vita non hanno tempo di farlo. Lobiettivo con-
trastare, per quanto possibile, quella superficialit incolpevole che caratterizza lopinione
pubblica e quindi (indirettamente) le classi dirigenti del paese.
XII Compendio di Scienza delle Finanze

Queste ambizioni del volume non devono far dimenticare loccasione per cui stato
redatto, cio quella di snellire e rendere proficui i concorsi pubblici sul tema. Conseguen-
temente al volume si abbinano una serie di domande e quesiti inseriti sul sito www.
organizzazionesociale.com, da parte dellautore.
Capitolo Primo
UN PUNTO DI INCONTRO
TRA ECONOMIA, POLITICA E DIRITTO

Sommario: 1.1. Scienza delle finanze come punto di incontro tra le scienze sociali. 1.2. I
gruppi sociali tra istituzioni (pubblici poteri) e operatori economici (scambi bilaterali).
1.3. Fondamento politico delle istituzioni (consenso multilaterale) e consenso economico di
scambio (bilaterale). 1.4. Linterdipendenza tra istituzioni, espressive di politica e diritto, ed
economia.

1.1. Scienza delle finanze come punto di incontro tra le


scienze sociali

La maggior parte dei volumi di scienze sociali riguarda la socialit


con cui luomo, in varie forme, realizza lelementare principio secondo cui
lunione fa la forza. Del resto, lesistenza stessa delluomo dipende per
molti versi dagli altri; questa conclusione salta agli occhi nelle fasi iniziali e
finali della vita, ed confermata anche dallinterdipendenza tra gli individui
quando si tratta di soddisfare i rispettivi bisogni.
Persino chi non vuole mai vedere nessuno interagisce col resto della so-
ciet quando accende la luce, apre il rubinetto dellacqua, paga un fattorino
perch gli porti la spesa e via enumerando. Anche chi a prima vista non ha
bisogno di nessuno, perch ricco (par. 7.7 sui valori) o abile, soddisfa comun-
que i propri bisogni attraverso la cooperazione altrui.
La socialit umana, cio la vita in comune, pu essere analizzata da vari
punti di vista, tra loro complementari e correlati. Si pensi al punto di vista
politico, riguardante la selezione della classe dirigente, a quello economico,
relativo agli scambi bilaterali, a quello giuridico, relativo allazione delle
istituzioni, a quello storico, a quello morale, a quello del costume, a quello
psicologico (visto che i comportamenti individuali dipendono dallambiente
sociale), e forse molti altri. Compresi quelli religioso-ideologici e quelli
affettivi, esclusi gi in premessa dal presente volume.
2 Compendio di Scienza delle Finanze

Essendo riferite al comportamento umano, le scienze sociali hanno buo-


ne affinit metodologiche, ma davanti al successo e al prestigio delle scien-
ze della materia hanno avuto una crisi di identit; il suo denominatore co-
mune stato una ricerca di legittimazione in ordine sparso, su cui mi sono
soffermato nel capitolo quinto del Manuale giuridico di scienza delle finanze,
Dike, 2012 e su www.organizzazionesociale.com, tendenzialmente imitativa
dei metodi delle scienze sperimentali. Per questa via, cercando legittimazioni
diverse, si sono separati economia e diritto; leconomia, dedicata per vo-
cazione alla produzione e agli scambi bilaterali di mercato, ha seguito forma-
lizzazioni matematiche (par. 4.6); il diritto invece dedicato allo studio delle
istituzioni, attraverso cui man mano che la societ diventa pi complessa,
agisce la politica per lorganizzazione del gruppo sociale; nelle societ pi
semplici o anche oggi sulle questioni di grande importanza, la politica opera
in prima persona, facendo appello ai valori del gruppo sociale, e come tale
presentandosi anche come diritto.
Anche gli studiosi di diritto, hanno cercato legittimazione sociale ispirandosi
allatteggiamento delle scienze fisiche; mentre leconomia lo aveva fatto attraver-
so formalizzazioni matematiche, il diritto ha cercato di equiparare i c.d. ma-
teriali normativi, a partire dalla legislazione, al dato empirico delle scienze
fisiche. La scienza delle finanze pu essere un importante punto di incontro,
tra questi due importanti settori delle scienze sociali, per superare le insuffi-
cienze di questo approccio metodologico (per le quali rinvio al capitolo 5 del
Manuale giuridico sopra citato in generale, al successivo par. 4.6 per leconomia,
ed al capitolo 4 del compendio di diritto tributario per le materie giuridiche).
La scienza delle finanze riguarda infatti le varie forme di intervento dei
pubblici poteri nella societ, e anche in campi strettamente economici.
Non a caso, del resto, la scienza delle finanze si definisce sempre pi spesso
economia pubblica.

1.2. I gruppi sociali tra istituzioni (pubblici poteri) e operato-


ri economici (scambi bilaterali).

Sia il diritto sia leconomia esaminano il funzionamento dei gruppi so-


ciali (corpi sociali) in cui si svolge la vita in comune. Si tratta di gruppi
di persone, formati da individui, collegati da relazioni comuni, anche non
esclusive, essendo normale lappartenenza, sotto profili diversi, a pi gruppi.
Abbiamo la famiglia, il clan, la comunit rurale, la comunit religiosa o
ideologica, la comunit ludica o sportiva, le comunit produttive come
lazienda o il mercato, le istituzioni come lesercito, le strutture sanitarie
CAPITOLO I ECONOMIA, POLITICA E DIRITTO 3

o didattiche, lattuale stato nazionale o le unioni di stati. Si tratta di


organizzazioni tra uomini, denominate corpi sociali o gruppi sociali, non
concepibili in modo antropomorfico, in quanto non sono esseri senzienti,
ma sintesi degli atteggiamenti, delle preferenze, dei valori di una molteplicit
di individui, a loro volta condizionati, come bagaglio culturale e concezione
del mondo, dallappartenenza al gruppo.
Per questo spesso i pensatori ed i politici liberisti, affermano che la so-
ciet non esiste ed esiste solo lindividuo, trascurando che egli vive in gruppo,
attraverso altri. fuorviante per porre individui e gruppi sociali sullo stesso
piano1. Anche se la societ non ha una consistenza fisica, come lindividuo, in
essa gli individui convivono, e quindi la serenit della societ, come insieme di
individui, interagisce con quella delle persone. scorretto quindi usare lovvia
riflessione secondo cui nessun gruppo di individui un individuo per delegit-
timare in astratto la societ; lavvertimento in esame invece utile contro i to-
talitarismi, cio le dittature di ogni colore, che schiacciano lindividuo in nome di
una fantomatica societ, elevata a moderno sostituto della divinit, obbedendo
a un desiderio spirituale di trascendenza cui ci riferiremo spesso.Tutte le scienze
sociali si occupano quindi, tra laltro, del miglior equilibrio tra gli individui e le
gi indicate strutture collettive in cui essi operano, a partire, seguendo le varie
epoche, dalla famiglia, alla trib, alletnia, al Clan, alla comunit religiosa, alla
corporazione artigiana, allesercito, allordine monastico, alla gilda dei mercanti,
allazienda moderna, al partito politico, al sindacato, al condominio, e a tutte le
altre societates tipiche dellorganizzazione umana, in una costante didattica con
le esigenze individuali.
Rinviando i riferimenti storici al prossimo capitolo, gi possibile indivi-
duare relazioni affettive, con relativi gruppi sociali familiari, fortemente
basati sui sentimenti, e di cui ripetiamo che non ci occuperemo. Le relazioni
basate su interessi comuni, dove i sentimenti hanno una parte normal-
mente modesta, riguardano come gi anticipato scambi economici oppure
deleghe politiche e rapporti con le istituzioni che ne derivano. Queste
forme di socialit sono variamente interconnesse, perch nelle varie sedi
le persone si scambiano non solo sentimenti, servizi, aiuto reciproco, obbe-
dienza, etc, ma un misto di tutto, secondo combinazioni variabili a seconda
delle circostanze. Persino nel commercio, negli scambi bilaterali, ci sono
componenti fiduciario-sentimentali, ed anche nei sentimenti c una parte
di innocente convenienza. Ogni persona fa parte, simultaneamente e a vario
titolo, di vari gruppi, in cui si esprime anche la socialit di altri, con cui ciascu-
no interagisce. Anche se i gruppi non esistono in modo antropomorfico, come

1
Magari contrapponendoli e chiedendosi in astratto se pi importante luno o laltro.
4 Compendio di Scienza delle Finanze

entit senzienti, gli individui che ne fanno parte sono reali, ed esprimono la
dimensione collettiva dellesistenza; in essa gli individui si servono del
gruppo (in breve: stanno insieme), e il gruppo, come metafora, si serve degli
individui, per soddisfare i gi indicati bisogni, ad esempio sicurezza e difesa,
dove la cooperazione multilaterale indispensabile. una costante di
ogni tipo di organizzazione sociale, come vedremo, anche storicamente,
al prossimo paragrafo.

1.3. Fondamento politico delle istituzioni (consenso multila-


terale) e consenso economico di scambio (bilaterale).

Escludendo i rapporti affettivi, di cui qui non ci occupiamo, la socialit,


in qualsiasi epoca storica, oscilla tra due tipi di consenso, interdipendenti
tra di loro. C il consenso negoziale bilaterale, che si esprime negli scambi
economici, dove si compra e si vende, e quello politico-multilaterale, che si
esprime nella politica e nelle istituzioni, dove tendenzialmente non si com-
pra e non si vende. Sul consenso politico multilaterale si basano le gi indi-
cate istituzioni, cio emanazioni del gruppo, che non scambiano specifi-
che prestazioni a soggetti determinati (non vendono nulla), ma esprimono
utilit indistinte, e al tempo stesso potere, cio forza coercitiva, basata appunto
sul gruppo. Questa socialit delluomo si esprime nella cooperazione, cio
nel lavoro in comune, e nello scambio. Sono le contingenze e le intuizioni a
indurre gli individui a mettersi assieme, come quando nellet della pietra ci
si riuniva per catturare animali di grossa taglia (nelle societ dei cacciatori
raccoglitori di cui al successivo par. 2.1), spartendoseli, e scambiandoli con altri
beni. Scambio e cooperazione sono forme di socialit, ma solo la cooperazio-
ne richiede di lavorare insieme, mentre nello scambio il contatto pu essere
anche solo momentaneo.
indispensabile cooperare per la soddisfazione dei bisogni comuni di
tutto il gruppo sociale, inteso come una entit unica, dove gli individui de-
vono essere difesi da pericoli esterni, come calamit naturali o aggressioni
di altri gruppi, essere sicuri allinterno, contro discordie e violenze, fruire di
infrastrutture comuni, civili o religiose. Lallusione chiaramente allinter-
vento pubblico, sempre esistito, ed anzi teorizzato ben prima che venisse
elaborata, verso la fine del diciannovesimo secolo (agli albori dellera azien-
dal-tecnologica di cui al capitolo secondo), leconomia come scienza sociale,
come vedremo al par. 4.6.Tuttavia, nei fatti, leconomia esisteva, negli scambi
di merci e di servizi, alla portata del bagaglio culturale delle classi dirigenti,
senza bisogno di particolari teorizzazioni.
CAPITOLO I ECONOMIA, POLITICA E DIRITTO 5

I servizi istituzionali di sicurezza, di difesa, di giustizia, di infrastrutture, po-


tevano essere assicurati solo dalla stabile cooperazione del gruppo. Nelleco-
nomia, per, la socialit era pi sfumata di quanto fosse per le istituzioni,
perch il rapporto di scambio bilaterale e tendenzialmente istantaneo.
Nelleconomia la socialit emerge necessariamente solo al momento dello
scambio, ma la produzione pu essere individuale. Al momento dello scambio,
la socialit riemerge sia nel rapporto con la controparte, ma anche in quel-
lo con le istituzioni, secondo quanto diremo al prossimo paragrafo.

1.4. Linterdipendenza tra istituzioni, espressive di politica e


diritto, ed economia.

Al funzionamento degli scambi, cio delleconomia, contribuisce il grup-


po sociale attraverso le istituzioni, e cio il diritto. Anche negli scambi bila-
terali consensuali tra due individui, regolati dalleconomia, la forza del gruppo
resta sullo sfondo. Essa serve infatti per assicurare, attraverso il diritto, il ri-
spetto degli impegni; la forza del gruppo si mette al servizio di chi ritenga
di aver subito un torto, e di avere da realizzare le proprie buone ragioni nei
confronti della controparte. La funzione di giustizia rappresenta uno dei
primi casi in cui la politica diventa diritto; la forza della collettivit, se
non direttamente esercitata dalla politica ai suddetti scopi di giustizia, viene
delegata a funzionari tenuti a dirimere le controversie tra privati. In questo
senso, in quanto emanazione della politica, in una funzione-servizio, emerge
che tutto il diritto, compresa la lite tra privati, amministrativo, riguardan-
do il funzionamento di pubbliche istituzioni (la giustizia nel caso della lite
tra privati). I funzionari preposti alla risoluzione delle controversie dovevano
svolgere un servizio pubblico di giustizia, facendosi interpreti dei valori
del gruppo in relazione alle circostanze del caso concreto, in una posizione di
indipendenza rispetto alle parti; non era necessaria, si badi bene, lindipenden-
za del giudice rispetto alla politica, ed anzi il giudice era per definizione un
funzionario alle dipendenze del potere politico, preposto ad un servizio pub-
blico. Lindipendenza dei giudici rispetto alla politica una aspirazione molto
successiva nel tempo, e anche limitata nello spazio, di cui non ci possiamo
occupare ora. Per contenere le incertezze che ci comportava il gruppo so-
ciale, cio la politica, cerc di perseguire la certezza del diritto emanando
regole espresse. Con queste ultime, calate nel quadro dei valori del gruppo,
il diritto si puntualizzava nella funzione pubblica di giustizia, consistente
soprattutto nel giudizio, rispetto al quale assicurare leffettivit delle decisioni
era relativamente a portata di mano. La specificazione, ed autonomizzazione,
6 Compendio di Scienza delle Finanze

del diritto rispetto alla politica, stata meno immediata per le altre funzioni
pubbliche, curate direttamente dalla politica, o da funzionari con un rappor-
to fiduciario diretto con essa, che costantemente li sorvegliava. Mi riferisco
ai settori della guerra, della sicurezza, della religione, della progettazione e
ideazione di infrastrutture, della sanit pubblica, dove lesigenza di unifor-
mit e prevedibilit era minore, e il vertice politico seguiva pi direttamente
le istituzioni; la politica in questi settori assorbiva quasi del tutto il diritto, e
le pubbliche autorit erano legate al modo di sentire del gruppo, facendose-
ne interpreti secondo varie sfumature dellinteresse generale, in relazione alle
circostanze del caso concreto; si tratta ad esempio di condurre un conflitto,
arginare una calamit naturale, reprimere sollevazioni, placare il sentimento
popolare, turbato da qualche evento antisociale o antireligioso, che per lepoca
era lo stesso. Anche qui tuttavia non cerano solo valutazioni di opportunit e
convenienza, e si intravedevano frammiste allopportunit politica consi-
derazioni che chiameremmo giuridiche. In questo paragrafo iniziale preme
solo rilevare losmosi strutturale tra intervento delle istituzioni pub-
bliche e scambi privati. Cio al tempo stesso la distinzione tra economia
da un lato e il binomio politica-diritto dallaltro. Per leconomia, secondo un
filo conduttore del testo, lordine sociale garantito dalla politica e dal diritto
un presupposto fondamentale. Ripeteremo spesso che le istituzioni, cio la
politica e il diritto (basate sul consenso politico multilaterale) dovrebbero garan-
tire lo svolgimento delleconomia, basata sul consenso negozial-bilaterale. Le
istituzioni espresse dal gruppo sociale interagiscono con leconomia privata,
ed entrambe si dimensionano luna rispetto allaltra. In ogni organizzazione
sociale c una interazione, anzich una separazione, tra il mercato, come lin-
sieme degli operatori economici e lo stato, nelle sue varie istituzioni come
proiezione della comunit. Il gruppo sociale esprimeva la classe dirigente
(par. 2.5), secondo un insieme di valori fluidi, talvolta cristallizzati in regole,
come quelle dinastiche o di elezione dei magistrati, costituenti lembrione del
moderno diritto pubblico, di cui vedremo liniziale matrice militar-religiosa
(a riprova della forza del gruppo come base della sovranit, e del diritto come
emanazione della politica).
Le pubbliche autorit, infatti, i funzionari, i magistrati, cercavano di legit-
timarsi agli occhi di quella che per essi era la pubblica opinione dellepoca,
cio la propria classe dirigente di riferimento (par. 2.6 nellera agricolo-
artigianale e par. 5.5 per i giorni nostri), evitando di compromettere la coe-
sione del gruppo, e cercando di agire, spesso in buona fede, nellinteresse del
medesimo.
Capitolo Secondo
ERE ECONOMICHE E BAGAGLIO
CULTURALE ECONOMICO-GIURIDICO

Sommario: 2.1. Ere economiche di base (raccolta, agricoltura-artigianato, industria) e isti-


tuzioni politiche. 2.2. Il radicamento del bagaglio culturale moderno nellera economica
agricolo-artigianale. 2.3. Istituzioni gerarchico-militari dellera agricolo artigianale.
2.4. Segue: Leconomia agricolo-artigianale tra autoconsumo e scambio. 2.5. Importan-
za economica del territorio e militarismo delle societ agricolo-artigianali. 2.6. Coop-
tazione politica per censo economico nellera agricolo artigianale. 2.7. La complessit
delle istituzioni politiche rispetto a quelle economiche: istituzioni non territoriali e stati
nazionali. 2.8. Esigenze di coesione e mobilit sociale nellera agricolo-artigianale. 2.9.
Valore, lavoro e sua organizzazione nellera agricolo-artigianale. 2.10. Matrice volon-
taristico-religiosa delle attivit socio-assistenziali dellera agricolo-artigianale. 2.11. Le
istituzioni come contenitore dei rapporti economici.

2.1. Ere economiche di base (raccolta, agricoltura-artigia-


nato, industria) e istituzioni politiche.

Se guardiamo alla struttura economica, cio alle modalit produttive


per il soddisfacimento dei bisogni materiali, individuali e collettivi, le
societ umane rispondono, nella storia, a pochissimi schemi elementari,
variamente combinati tra loro. Dallalba del tempo, fino al mondo moder-
no, nonostante enormi cambiamenti della sovrastruttura culturale, politica e
religiosa, i bisogni umani sono stati soddisfatti secondo la combinazione di
pochissime modalit, prima di tutto produttive. Secondo quanto indicato nel
titolo di questo paragrafo, abbiamo le fasi basate sulla raccolta dei frutti natu-
rali (compresi gli animali selvatici), sulla coltivazione e sullindustria. Questa
classificazione, diffusa tra gli studiosi sociali (se ne vedano esempi nel recente J.
Diamond, Armi, Acciaio, Malattie, 2000), prescinde dagli aspetti commercia-
li, cio dello scambio. Essa riguarda la base produttiva, in quanto gli scam-
bi di commercio e servizi, come vedremo, devono pur riguardare merci
prodotte o raccolte da qualcuno. Per questo, ripetiamo che le definizioni
8 Compendio di Scienza delle Finanze

economiche che vedremo, non esaminano direttamente laspetto di scam-


bio, guardando invece a quello di produzione.
In una prima fase ci si basava sulla raccolta dei frutti spontanei e sulla
caccia; in questa fase la distinzione delle comunit umane rispetto ai branchi
di animali avveniva soprattutto per la capacit cerebrale di elaborare ed utiliz-
zare utensili; le trib nomadi degli indiani dAmerica, con la loro cultura del
bisonte, transitata nellepopea western, rappresentano un esempio di popoli
cacciatori-raccoglitori. Qui la cooperazione collettiva, e la divisione dei
compiti, erano gi importanti per la caccia e la raccolta, per la predisposizione
degli utensili, la riproduzione della specie. La piccola dimensione di questi
gruppi rendeva fortissima losmosi la dimensione individual-familiare e quella
collettiva.
A questa modalit di soddisfacimento dei bisogni si affianc, diventando
sempre pi importante, lo sfruttamento razionale della terra, mediante la col-
tivazione e la pastorizia, con le relative opere di dissodamento, di bonifica,
di irrigazione, etc.. Pian piano, pur senza abbandonare la caccia e la raccolta, il
sostentamento delle civilt inizi a provenire dallagricoltura, dalla pastorizia e
dai lavori connessi, per i quali era ancora maggiore il contributo di utensili, de-
rivanti da un artigianato sempre pi avanzato tecnologicamente, soprattutto di
lavorazione dei metalli (non a caso utilizzati per la datazione delle relative et,
del rame, del bronzo, del ferro). Anticipiamo che solo in alcune circoscritte
aree geografiche, definite occidentali, a seguito delle scienze sperimentali, si
sviluppato il criterio aziendal-tecnologico di soddisfacimento dei bisogni,
in cui siamo immersi, direttamente trattato dal capitolo terzo in poi. In questa
sede, ancora preliminare, vanno fatte alcune importanti precisazioni meto-
dologiche sul susseguirsi delle suddette ere economiche, ciascuna delle
quali include la struttura economica precedente. Le civilt agricolo artigianali
non disdegnavano certo la caccia e la raccolta, che erano un impor-
tantissimo integratore alimentare; Analogamente, nellattuale contesto aziendal
tecnologico, lagricoltura e lallevamento restano fondamentali; neppure noi,
oggi, del resto, disdegnamo, se ne capita loccasione, di comportarci come i
cacciatori raccoglitori del paleolitico, studiati dagli antropologi. La differenza
sta nel sostentamento di massa, che fa la struttura economica, e che pervade
anche le strutture produttive esistenti nelle epoche precedenti. Oggi, come
vedremo al par. 3.3, la caccia, lagricoltura e la raccolta delle risorse naturali si
svolgono ancora, ma in genere con le tecnologie dellera aziendale.
La definizione delle ere economiche, come abbiamo detto, guarda alla
produzione non al commercio, in quanto non direttamente produttivo;
abbiamo correttamente rilevato che se non si produce non si com-
mercia. Tuttavia altrettanto vero che, al di l dellautoconsumo, cio della
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 9

produzione per se stessi, se nessun cliente acquista, non c motivo di pro-


durre. Il commercio quindi fondamentale per la produzione, e ad esso
si collegano servizi aggiuntivi di magazzinaggio, trasporto, conservazione
e distribuzione. Questo accadeva gi nellera agricolo-artigianale, ma si
accentuato nella produzione di serie aziendal-tecnologica. Ne discende una
ulteriore implicazione fondamentale (par. 3.3),, secondo cui nella successio-
ne delle ere economiche, secondo un filo conduttore del testo, la base diret-
tamente produttiva si riduce, proprio a causa della sua maggiore efficienza,
ed acquistano maggiore importanza il commercio, i servizi e quindi la
finanza. Vedremo per nel paragrafo 7.11, sulla globalizzazione, i rischi di
esagerare con la perdita della base produttiva, e soprattutto la difficolt di
gestire la specializzazione dei compiti nella sempre maggiore integrazione
economica mondiale.
Quanto precede ci ricorda alcuni aspetti dellintuizione vichiana dei corsi
e ricorsi storici, dove ogni generazione ingloba, reinterpreta e sviluppa
i comportamenti e il sapere della precedente; per dare questidea, e
con riferimento allantichit greco-romana, si usava la metafora dei nani sul-
le spalle dei giganti. Vedremo per che i bagagli culturali, linsieme delle
conoscenze e delle spiegazioni, seguono con fatica levoluzione dei com-
portamenti produttivi. Lo vedremo nel corso del volume, parlando di retaggi
culturali del passato, a partire dalla mancanza di consapevoli testimonianze
dellera dei cacciatori raccoglitori. La nostra formazione umanistica e so-
ciale invece fortemente radicata nella cultura dellera economica agricolo-
artigianale. Per questo, nel successivo paragrafo 2.2., indicheremo la nascita
preindustriale di molti concetti oggi correntemente utilizzati nel discorso
economico, giuridico e politico.

2.2. Il radicamento del bagaglio culturale moderno nellera


economica agricolo-artigianale.

In questo capitolo vedremo in quale misura il bagaglio socioculturale


odierno, compreso quello utilizzato per comprendere la struttura sociale ed
economica, si sia in prevalenza formato nellera agricolo artigianale.
una constatazione anche abbastanza normale, visto che gran parte della sto-
ria umana, di cui sono state lasciate consapevoli testimonianze, si svolta in
un simile contesto economico. Che si lentamente evoluto solo a partire da
qualche secolo, in una parte limitata del mondo (cio quelloccidente su cui
par. 3.1), senza neppure una grande consapevolezza di cosa stesse davvero ac-
cadendo.
10 Compendio di Scienza delle Finanze

Il passaggio allera aziendal-tecnologica (successivo capitolo terzo)


stato accompagnato, in materia politico-sociale, da un bagaglio culturale
formatosi nellera economica precedente; lunica materia veramente nuova
stata leconomia, che ha fortemente risentito, nella sua legittimazione
sociale (peraltro molto ben riuscita), delle forme esteriori delle scienze
fisiche, soprattutto a proposito delle formalizzazioni matematiche di cui
al par. 4.6.
Lutilizzazione diffusa di un bagaglio culturale creatosi nellera economi-
ca agricolo-artigianale smentisce chi la considera un relitto del passato,
oggetto solo di curiosit vagamente archeologica, facendone invece lo sfon-
do culturale di questioni attualissime. Il bagaglio culturale sociopolitico
radicato in questepoca economica ancora infatti fin troppo utilizzato
alimentando equivoci e carenze formative che ritroveremo nellarco di tutto il
testo. Molte nefaste conseguenze di aver affrontato lera aziendale con questo
bagaglio culturale saranno indicate al par. 3.9, ma non si tratta di un lascito da
ripudiare. Si tratta semplicemente di aggiornarlo, riferendolo ai nuovi modi
di produzione, contestualizzandolo allera economica aziendal-tecnologica.
Cos come i nuovi modi di produrre non rinnegano, ma aggiornano, i
precedenti, lo stesso deve avvenire per gli schemi interpretativi della realt
sociale. Il guaio invece la gi indicata applicazione, per forza di inerzia e per
imitazione, di concetti tratti dallera agricolo artigianale al contesto aziendal
tecnologico, con i devastanti equivoci che vedremo al paragrafo 3.7 a propo-
sito dellazienda. Questi equivoci si sono verificati anche quando il bagaglio
culturale agricolo-artigianale, fortemente militare (paragrafo 2.5) si unito
alle tecnologie industriali, coi conflitti disastrosi e le tragedie umanita-
rie del secolo scorso, fino alle soglie del disastro nucleare. C chi dice che sia
stato questultimo ad aver impedito la guerra nel mondo occidentale, ma forse
si trattato di un lento adeguamento culturale alla perdita di centralit del
controllo militare del territorio, e allimportanza della produzione industriale
rispetto a quella agricola (par. 4.2.).
Quali che siano queste risposte, appare chiaro, come abbiamo visto a pro-
posito della difesa, della giustizia, delle infrastrutture, che lintervento della
politica nella vita sociale esisteva gi nellera economica agricolo-artigia-
nale, per poi trasferirsi, con gli ampliamenti di cui al capitolo terzo, nellera
aziendal-tecnologica. Il cuore del problema per spesso trascurato dai volu-
mi di scienza delle finanze, che confondono il tradizionale intervento pub-
blico nella societ (difesa, giustizia, etc.) con quello nelleconomia (paragrafo
4.9). Lintervento pubblico esiste infatti in ogni caso, ma nellera aziendal-
tecnologica si estende a settori (soprattutto economici) cui in precedenza non
si interessava. Vedremo al par. 4.7 le relative motivazioni. Per ora ricordiamo
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 11

che in generale neppure pu parlarsi di societ senza una qualche organiz-


zazione collettiva. Senza una forma di difesa esterna, di ordine interno, di
giustizia, di beni strumentali allintero gruppo, etc. non potrebbero svilupparsi,
come rilevato al par. 4.9, neppure gli scambi privati.
Tanto vero che nelle economie dei cacciatori raccoglitori (par. 2.1),
dove lintervento pubblico inesistente o ridotto ai minimi termini, gli
scambi privati non vanno al di l di quelli tra gli appartenenti al medesimo
clan. I cui confini ridottissimi sono anche quelli in cui si esplica la socialit
delluomo.
Ci conferma la coesistenza, nelle varie strutture economiche, delle due
modalit organizzative della vita sociale gi individuate al capitolo primo:
gli scambi privati e lazione istituzionale, che agisce attraverso la poli-
tica e il diritto. Il consenso alla base di entrambe, ma nel caso degli
scambi privati, cio dei comportamenti di mercato, bilaterale. Il consenso
multilaterale, cui fanno capo le istituzioni, invece politico. La continua
interazione tra queste modalit organizzative si ripropone, a maggior ragio-
ne come vedremo nellodierna societ industriale. Vediamo per, nei
successivi paragrafi, come si calava in un contesto dove prevaleva la produ-
zione agricola.

2.3. Istituzioni gerarchico-militari dellera agricolo artigia-


nale.

Il radicamento nellera agricolo-artigianale della maggior parte del


bagaglio culturale oggi utilizzato nelle scienze sociali, consiglia di
illustrare proprio partendo da questa struttura economica i principali con-
cetti della vita sociale. Non vogliamo ovviamente imbarcarci, in questo breve
compendio, in una disputa (a mio avviso comunque sterile) sui rapporti della
struttura economica con la sovrastruttura spirituale, anche se dir qualcosa in
proposito al par. 3.1.
Partiamo dal gi indicato presupposto secondo cui la produzione agricola,
e lallevamento erano una struttura economica molto pi efficiente rispetto
a quella anteriore, descritta al paragrafo che precede, basata sulla caccia e la
raccolta dei frutti naturali. Lo sfruttamento del territorio rendeva possibili ec-
cedenze alimentari, utili allalimentazione di categorie sociali non diretta-
mente produttive economicamente, come sacerdoti e guerrieri, determinanti
nel procacciamento della base produttiva, cio nellacquisizione e difesa del
territorio. Coloro che si dedicavano alla coltivazione e al pascolo erogavano
insomma una parte dei frutti a coloro che avevano conquistato e concesso loro
12 Compendio di Scienza delle Finanze

lo sfruttamento dei necessari territori, in un rapporto di interscambio su cui


torneremo di frequente in questo paragrafo.
La guerra, e la coltivazione, richiedevano attrezzi e utensili, continua-
mente affinatisi con un empirismo manifatturiero artigianale; erano
abilit artigianali gi presenti nellera economica dei cacciatori-raccogli-
tori, come testimoniano gli archi, e gli ami da pesca, trovati in tanti villaggi
del neolitico. Con la sedentarizzazione degli insediamenti umani, e la stra-
tificazione sociale, collegata allagricoltura, il sapere artigianale poteva per
tramandarsi e affinarsi. La manifattura era basata su tecnologie empiriche,
affinate da una lunghissima tradizione, senza bisogno di grandi masse di
lavoratori coordinati.
Emerge qui, per la prima volta, il filo conduttore dellauto-organizzazione
del lavoro, in buona parte venuta meno nellera economica basata sulle aziende
tecnologiche (cfr. il par. 4.5 sullalienazione). Questo non vuol dire che il
lavoro fosse libero e dignitoso, come ci ricordano le figure degli schiavi e dei
servi della gleba. Anche ad essi per veniva affidato un compito circoscritto, il
cui senso economico era facilmente individuabile e controllabile in termini di
condizioni e di risultato. Il lavoro era appunto vincolato nel risultato, an-
zich nelle modalit di svolgimento. Anche perch erano spesso incarichi
cos elementari da poter essere svolti, con compiutezza e senza parcellizzazio-
ni, da chiunque avesse un minimo di attenzione, capacit di comprensione e
applicazione. Questo accadeva nelle grandi aziende agricole, riflesso delle
grandi propriet fondiarie, cio di forme di appartenenza radicate nel potere
autoritativo sul territorio, in genere militare o religioso (paragrafo 2.5). Al
lavoro coordinato, in gruppo, si doveva pragmaticamente far ricorso solo
quando cerano da compiere grandi opere (ad es. edilizie o navali), dove
era indispensabile una organizzazione centralizzata. Anche nelle rare aziende
manifatturiere dellera agricolo-artigianale cera poco pi di un artigianato
organizzato e collettivo: il tintore fiorentino trecentesco, ai tempi dei Ciom-
pi era qualificato, con un lungo apprendistato, tendente alla trasmissione di
un sapere artigianale radicato nelle generazioni. Lartigianato, e la manifattura,
diventavano collettivi, cio svolti in gruppo, soprattutto per le gi indicate
opere pubbliche, ledilizia, la cantieristica navale., etc..

2.4. Segue: Leconomia agricolo-artigianale tra autoconsumo


e scambio.

I miglioramenti delle tecniche artigianali, come il passaggio dal bronzo al


ferro, alla cavalcatura con le staffe, alla rotazione agraria, o altre innovazioni
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 13

di grande importanza socioeconomica, resero pi efficiente la societ agrico-


lo artigianale. Tuttavia la produzione derivava sempre dal lavoro umano ed
energie naturali, cio animali, idriche o eoliche (mulini a vento o ad acqua,
navi a vela), con limiti strutturali che rimasero fino alla tecnologia derivante
dallapplicazione delle scienze della materia, come vedremo al par. 3.2.. Era
invece meno sviluppato, rispetto ad oggi, il lavoro ripetitivo, seriale, anonimo,
di cui diremo per lera aziendal-tecnologica.
I compiti da svolgere, anche umilissimi, avevano una loro compiutezza.
La maggior parte della popolazione restava infatti dedicata ad attivit
agricole, con un prodotto in buona parte destinato allautoconsumo o allo
scambio di vicinato. Per questo tali economie erano definite di sus-
sistenza, in cui la maggior parte dei bisogni umani venivano soddisfatti
direttamente nel nucleo familiare, che come vedremo era anche una unit
economicamente produttiva, oppure attraverso scambi c.d. di vicinato
tra nuclei limitrofi. Gli scambi commerciali, cio lattivit denominata dagli
aziendalisti mercantile, riguardava una relativa minoranza di beni, in gene-
re facilmente conservabili, materie prime di elevato valore aggiunto, o beni
voluttuari per le classi elevate. In prima approssimazione si potrebbe affer-
mare che nellattivit mercantile manca la produzione, ma sussistevano i gi
indicati servizi di deposito, magazzinaggio e di trasporto. Proprio a
questa attivit si dedicarono minoranze intraprendenti, per ottimizza-
re la produzione e contribuire alla soddisfazione dei bisogni. Ricordiamo
che il commercio resta accessorio alla produzione nella filiera del valore
che denomina le strutture economiche: le definizioni di cacciatori racco-
glitori, di agricoltori artigiani e di era aziendal-tecnologica riguarda-
no esclusivamente la produzione. Lefficienza di questultima, tuttavia, sta-
ta sempre maggiore, consentendo di ridurre la base direttamente produttiva,
ampliando le gi indicate sfere cosiddette terziarie, cio diverse dallagri-
coltura e dalla manifattura (che ingloba artigianato e industria), riferite ai
servizi, come il commercio, la finanza, lorganizzazione, linformazione,
lintrattenimento, etc.. Anche nellera economica agricolo-artigianale, i
servizi di questo tipo potevano fare la fortuna di singole collettivit terri-
toriali, come i Fenici nellantichit, la repubblica Veneta nel medioevo, o di
collettivit non territoriali, ad esempio religiose (si pensi ai servizi finan-
ziari dei cavalieri templari) o etniche, come accadde per le attivit bancarie
degli ebrei.
Questa struttura economica agricolo-artigianale di base ha carat-
terizzato tutta la societ preindustriale, dallantico egitto, alla Mesopotamia,
al mondo Greco Romano, a quello Medievale Germanico, agli imperi orien-
tali, Subsahariani, e precolombiani.
14 Compendio di Scienza delle Finanze

Tutti questi contesti, a prescindere dalle differenze etniche, religiose e po-


litico-culturali erano sostanzialmente uniti dalle forme di produzione, cio
dalla struttura. Ritroviamo questi elementi nello sviluppo organizzativo di
tutti i gruppi umani che, stando agli studi etnologici, hanno attraversato fasi
abbastanza simili, dai gruppi relativamente piccoli, e poco organizzati, di cac-
ciatori raccoglitori, ed i gruppi pi numerosi dediti allagricoltura e alla
pastorizia, con varie forme iniziali di nomadismo, legate allesaurimento dei
pascoli. Anche i popoli sedentari, dediti allagricoltura e alla pastorizia stan-
ziale conoscevano migrazioni per lesaurimento della capacit produttiva dei
territori, prima della scoperta della rotazione agraria, per mutamenti climatici,
per pressioni demografiche che rendevano insufficiente il territorio; si tratta
degli intrecci tra forme di sostentamento diverse, pragmaticamente presenti in
tutte le strutture economiche, di cui abbiamo gi detto al par. 2.1, mostrando
la relativit di queste tipologie; la presenza di sfumature intermedie tra le
varie tipologie teoriche tuttavia normale nelle discipline umanistico sociali,
e non sminuisce lutilit di queste sistematizzazioni, essendo solo un motivo
per non assolutizzarle, pretendendo da loro spiegazioni eccessive rispetto a
quelle che possono dare.
A queste strutture economiche di base, come le chiamava Carlo Marx,
corrispondevano poi le gi indicate differenze religiose, politiche e culturali.
Che Marx chiamava sovrastrutture, ma hanno la loro importanza econo-
mica, come vedremo al paragrafo 3.1.

2.5. Importanza economica del territorio e militarismo delle


societ agricolo-artigianali.

Per la struttura economica agricolo artigianale era fondamentale la con-


quista e difesa dei territori; non era infatti pi possibile, come nellera eco-
nomica dei cacciatori raccoglitori, evitare i conflitti spostandosi in nuo-
vi terreni di raccolta, o di caccia; infatti le societ agricole non potevano
spostare il frutto del dissodamento, dellirrigazione e della semina, e quindi
dovevano combattere; erano infatti in gioco i raccolti, frutto di fatica e con-
dizione di sopravvivenza della comunit, che non avrebbe potuto altrimenti
sopravvivere, in mancanza di eccedenze alimentari, non certo recuperabili tor-
nando alla caccia o alla raccolta. Su questa premessa, la lotta allultimo sangue
aveva maggiori giustificazioni, e da questo viene la matrice organizzativo mi-
litare, essenzialmente guerresca, dellera agricolo artigianale. La coltivazione, la
pastorizia e lartigianato consentivano infatti, rispetto allepoca dei cacciatori
raccoglitori, eccedenze alimentari sufficienti a mantenere un certo nume-
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 15

ro di individui con compiti organizzativi del gruppo, cio militari, politici o


spirituali. Diventava importante lordine sociale interno, la coesione sociale, le
credenze spirituali, sui cui riflessi economici torneremo al paragrafo 3.1. Per
questo nellera agricolo artigianale, la guerra divent rapidamente un mito (lantica
festa crudele di Cardini, ripreso dal godibilissimo saggio di Massimo Fini, Elogio della
guerra), ed i popoli nomadi scoprirono che lassoggettamento, e lorganizzazione, di
popoli sedentari era molto pi efficiente della caccia e della raccolta di frutti.
Le istituzioni pi signficative dellera economica agricolo artigianale erano
quindi gli eserciti, il sottogruppo sociale pi importante, dal punto di
vista materiale1; a questo collante materiale della societ si univa il col-
lante religioso, altro importante elemento di coesione del gruppo, accanto ai
clan familiari indicati sopra.
Oltre che difesa e conquista verso lesterno, lorganizzazione militare era
anche il puntello del potere interno. La forza militare aveva anche riflessi
economici interni, secondo una costante del presente capitolo, essendo alla base
dellappartenenza della terra, e dando la possibilit di concederne lo frut-
tamento economico a chi contribuisse a mantenere la struttura sociale, con
una quota dei relativi frutti. Questo ruolo del potere politico-militare nellat-
tribuzione del dominio sulla terra creava una simbiosi tra lavoro e forza, dove il
primo sosteneva la seconda, che a sua volta lo garantiva, in un circuito sintetizza-
to da unespressione emblematica dellera agricola dove laratro traccia il solco, ma
la spada lo difende. Questa formula, scritta retoricamente sui muri al tempo del
ventennio fascista, alludeva alla protezione esterna da parte del potere militare,
usato invece anche per lordine interno nellattribuzione della terra. Riferita
a un contesto agricolo artigianale, invece, lespressione sintetizza il clima dipinto
dalle allegorie dei Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena, dove una saggia
politica, semplicemente tesa al bene comune, riusciva a interagire utilmente
con leconomia, restando nel proprio ambito. Queste funzioni istituzionali del
potere politico, pur non in grado di generare direttamente ricchezza (che
come noto non si crea per decreto), agevolavano limpegno, liniziativa e il
lavoro organizzativo da cui la ricchezza derivava.
La politica si occupava dellambito istituzionale, che condizionava lap-
partenenza della terra, mentre leconomia influenzava la politica attraver-
so il ricambio delle classi dirigenti, di cui diremo al paragrafo successivo.
Nellera agricolo-artigianale, dove la maggior parte della ricchezza derivava
dalla terra, le istituzioni politiche avevano una prerogativa in pi. Con la
loro organizzazione gerarchico-militare, attribuivano infatti il diritto di
sfruttamento del territorio, presupposto di gran parte della produzione.

1
Laltro gruppo sociale di base era a matrice spirituale, avendo fondamento religioso.
16 Compendio di Scienza delle Finanze

Nellattribuzione di fattori produttivi facilmente sfruttabili era dominante


lorganizzazione politica a matrice militare e religiosa, che invece al
capitolo terzo vedremo oggi pi in difficolt rispetto alle grandi organizza-
zioni di impresa.
Il dominio eminente sul territorio da parte dei pubblici poteri rendeva
evidente una caratteristica di tutti i diritti proprietari, cio quella di essere
garantiti dal gruppo sociale; lintuizione secondo cui la propriet privata,
e tutte le altre forme di appartenenza, sono questioni di diritto pubblico, in
quanto non certo derivanti dal rapporto tra lindividuo e loggetto, ma at-
tribuzioni del gruppo. La propriet territoriale dellera agricolo artigianale
rendeva evidente una riflessione adeguata per tutto il diritto, e ogni forma di
appartenenza, cio che tutti i beni sono diritti.
Questimportanza del controllo militare del territorio collocava, al vertice
della piramide sociale dellera agricolo-artigianale, non certo i contadini, o
gli artigiani, bens tendenzialmente organizzatori-guerrieri; erano loro i
destinatari delle prime eccedenze alimentari rispetto a quelle necessarie al
sostentamento-riproduzione di chi direttamente produceva il cibo. Un po
come le formiche guerriere (cui non a caso sono stati rivolti molti studi speri-
mentali degli economisti), questi organizzatori non svolgevano lavoro diretto;
sotto questo punto di vista erano economicamente inattivi, ma coordinavano
il lavoro degli altri, ed anche lazione collettiva.
Cresce quindi in questera economica, lintervento istituzionale, innan-
zitutto militare, di sicurezza, di giustizia, sviluppandosi poi nelle infrastrutture,
nelle opere pubbliche, nella garanzia degli scambi attraverso la monetazione
(par. 7.7), nella coesione religiosa e dei costumi, su cui si fondava il consenso.
Sono le prime fasi di un intervento pubblico che si svilupper nella successiva
era aziendal tecnologica (capitolo quarto).
Queste attivit istituzionali non sono solo un servizio economico,
un bene pubblico, come riduttivamente le considerano molti economisti
(par. 4.9), ma una forma di potere. Torna il filo conduttore secondo cui le
istituzioni non vendono, bens prendono oppure danno, ma fuori da un
contesto di scambio bilaterale.
Il settore privato, anche qui, dipendeva dal pubblico, e quindi il primo
titolare dei beni controllati dal gruppo erano allepoca i governanti del
gruppo; per questo, incidentalmente, il finanziamento della politica, che
oggi agita le nostre societ, non era avvertito come problema in queste epo-
che; la politica manteneva infatti, attraverso il potere militare, un dominio
eminente su tutto il patrimonio della collettivit; il fiscus imperiale era un
patrimonio pubblico finalizzato anche al mantenimento del sovrano e dei
suoi funzionari.
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 17

Nellera economica agricolo-artigianale il rapporto tra politica ed econo-


mia era abbastanza chiaro, e la prima, con le istituzioni, costituiva il conteni-
tore in cui si svolgeva la seconda. Luna non poteva fare a meno dellaltra, e le
sfere di operativit avevano molti contatti, restando per abbastanza distinte,
mentre tendono maggiormente a mescolarsi nellera economica aziendal tec-
nologica in cui oggi ci troviamo.
In questo quadro si inseriva la giustizia, come servizio pubblico, che
riduceva i costi transattivi (come li chiamano gli economisti) dellincer-
tezza dei rapporti giuridici con connesse vendette private. In questa fase
relativamente elementare, e remota, la funzione di giustizia sembrava la
prima in cui il diritto si autonomizzava dalla politica, nel cui alveo si era
sviluppato (sopra parr. 13-1.4). Vedremo tuttavia in quale misura il diritto
si estenda a tutti i tipi di istituzioni, man mano che esse si separano e si
autonomizzano rispetto a singole decisioni di opportunit del vertice po-
litico.

2.6. Cooptazione politica per censo economico nellera


agricolo artigianale.

La relativa prevalenza della gerarchia politico militare, nellera azien-


dale, non eliminava limportanza dellattivit economica. Anche se lasse-
gnazione delle terre dipendeva dal potere politico-militare (paragrafo pre-
cedente) e le tecniche di sfruttamento erano abbastanza fungibili, basate
sullesperienza e su conoscenze tramandate, occorreva un certo impegno
organizzativo. Non solo e non tanto per la lavorazione, ma per lirrigazione,
la trasformazione e la valorizzazione del prodotto al di l degli scambi di vi-
cinato. In buona parte si trattava di abilit organizzativo-mercantili, che
contribuivano allascesa sociale di chi le esercitava.Vedremo infatti che la
ricchezza in questo modo acquisita costituiva un trampolino di lancio
per il peso sociale e quindi politico. Nella societ agricolo artigianale
lattivit economica era generalmente accessibile, pur se variamente con-
dizionata dallesistenza di altre attivit economiche concorrenti, monopoli,
corporazioni, privative, etc.. La salvaguardia e la garanzia della propriet,
consentiva di costituire, attraverso lesercizio di imprese, posizioni econo-
miche rilevanti. Queste ultime erano lo strumento per acquisire un peso
politico allinterno del gruppo, sia individualmente sia per categorie di
operatori economici (si ricordi il peso delle corporazioni artigiane nei co-
muni medievali). La ricchezza, ottenuta con lattivit economica diventava
cio uno strumento per ottenere potere politico. Lo conferma il rango
18 Compendio di Scienza delle Finanze

sociale connesso, in molte collettivit arcaiche, alla capacit di provvedere


in proprio ad un certo armamento, che era costoso in una societ a pro-
duzione artigianale; gi nellantica Grecia, i costi di spada, scudo, lancia,
erano notevoli, e ancora pi costoso era lacquisto e il mantenimento di una
cavalcatura, da usare a scopi militari. Per questo, il passaggio dalla solidit
economica al peso politico era abbastanza breve, dimostrando che la societ
agricolo artigianale era meno economicamente chiusa di quanto potesse
sembrare nellimmagine che ci stata trasmessa. Come esempi in cui la
posizione economica influenzava il potere, e costituiva lo strumen-
to per una scalata politica ricordiamo i cavalieri, rispetto ai senatori,
nellantica Roma; la stessa cinghia di trasmissione tra economia e politica si
ebbe nel medioevo allinterno dei liberi comuni, con famiglie mercantili,
come i Medici a Firenze; vi era insomma una discesa in politica delle
classi economicamente abbienti, mediante una cooptazione individuale;
chi aveva successo economico, cercava di acquisire potere politico attra-
verso il denaro e le relazioni economiche che ne derivavano. verosimile
che questa tendenza a entrare in politica fosse dettata dalla gi indicata
importanza delle istituzioni pubbliche nellattribuzione del territorio, con-
siderando che leconomia era basata sullagricoltura e le risorse naturali; in
questo contesto le famiglie abbienti erano spinte ad acquisire peso politico;
anche solo per essere garantite e tutelate in una societ dove la ricchezza
poteva anche essere acquisita con i traffici commerciali, ma si cristallizzava
solo nella propriet fondiaria, fortemente dipendente dal potere politico.
Di cui era quindi bene far parte, con cui erano utili buoni rapporti. Que-
sto interscambio tra economia e politica avveniva con una serena cinghia
di trasmissione, testimoniata da una spirale in cui i nuovi ricchi venivano
cooptati nelle classi nobiliari, per riferirci al contesto europeo. Anzi, la no-
bilt era il coronamento di un percorso che partiva dalla ricchezza, in cui
le ideologie non si contrapponevano, ma si fondevano, facendo evolvere la
societ nel suo complesso, con la cooptazione di forze nuove e vitali. Raris-
simamente questo processo, di cooptazione e di simbiosi, sfociato in uno
scontro violento, come quello tra classe borghese (economia) e vecchi
poteri nobiliari dellancien regime, espressivi della politica. Ma si
trattato pi di fiammate che di scontro permanente, persino allinterno del-
la stessa Francia rivoluzionaria e napoleonica. A parte alcune immagini di
forte impatto emotivo, ma circoscritte nel tempo e nello spazio, tra ancien
regime e borghesia c stata unosmosi, una dialettica, non una contrapposi-
zione violenta.Vale la pena quindi di continuare queste riflessioni passando,
dal rapporto tra economia e politica, allorganizzazione di questultima,
cio ai vari livelli istituzionali.
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 19

2.7. La complessit delle istituzioni politiche rispetto a quelle


economiche: istituzioni non territoriali e stati nazionali.

Sono ancora numerosi gli insegnamenti che pu darci lera economica


agricolo-artigianale, in cui del resto si formato gran parte del nostro bagaglio
culturale in tema di rapporti sociali.
Mentre per comprendere gli operatori economici occorre passare
(come vedremo nel par. 3.6), attraverso il rispettivo prodotto, le istitu-
zioni politiche e giuridiche hanno vocazione generale, e si rivolgono
a tutti i profili rilevanti per la gestione una determinata collettivit, ap-
punto la difesa, la sicurezza, la salute collettiva, leducazione, la giustizia
(soluzione dei conflitti), le infrastrutture, etc. Gi nellera agricolo ar-
tigianale, le istituzioni politiche erano molto pi complesse delle isti-
tuzioni economiche, come a suo tempo potremo chiamare le aziende.
Dobbiamo quindi fare un po pi di sforzo immaginativo, nello spazio,
nel tempo e forse anche nella fantasia, estraniandoci dai modelli attuali,
per capire lorganizzazione pubblica e quello che chiamiamo il potere,
riferito dalla nostra formazione culturale diffusa agli stati nazionali;
tuttavia nellera dei cacciatori raccoglitori e per certi versi an-
che in quella agricolo-artigianale le collettivit detentrici di poteri
coercitivi erano diverse e potevano non avere una base territoriale,
rispetto alla quale era ad esempio pi frequente quella etnica, quella
religiosa o quella economico corporativa. Si pensi a gruppi tribali, clan
di vicinato, confraternite religiose (papato) o etniche, poteri feudali va-
riamente intrecciati, leghe di banditi o di pirati (fino a Mafia e Camorra),
confraternite guerriere, mercenari, corporazioni di mercanti con propri
eserciti (come le varie compagnie delle indie come tutte le altre nate per
lo sfruttamento delle colonie).
Lera agricolo-artigianale ci mostra quindi che il pubblico potere si
esplica anche in forme diverse dal moderno stato territoriale, riferendosi ad
ogni aggregazione di individui cui riconosciuto, da parte di altre aggrega-
zioni e a certe condizioni, un potere coercitivo nei confronti di altri gruppi
(esterni) o di suoi membri devianti.
Non ci possiamo dilungare qui sul coordinamento tra gruppi diversi,
attinenti in tutto o in parte alla politica estera (feudi, sovrani, citt libere,
autorit religiose, ordini cavallereschi, leghe commerciali, potenze protettrici e
leghe di banditi). In questi rapporti con altri gruppi sociali dotati di potere co-
ercitivo si trovavano in passato equilibri tesi a ripartirsi i diritti sulla terra, cui
facevano capo la maggior parte delle attivit economiche, come gi anticipato
e ribadiremo organicamente al par. 2.11.
20 Compendio di Scienza delle Finanze

Lorganizzazione politica pi adatta allera economica agricolo-artigianale


basata come gi indicato sulle coltivazioni, era quella territoriale, che coordi-
nava vari gruppi sociali, ciascuno con propri poteri coercitivi, operanti su una
medesima area geografica; a partire dalla fine del medioevo questo modello si
evoluto verso lo stato nazionale, unito anche da profili etnici, religiosi, lin-
guistici, culturali. Questa riflessione, sulla possibilit di istituzioni politiche
non territoriali, fondamentale anche per capire il presente, in cui diven-
tano sempre pi importanti organismi istituzionali sovranazionali, di varia
fonte, connessi ai processi di integrazione economica e di globalizzazione di cui
parleremo al par. 4.16. Ora che anche lidea di stato nazionale vacilla sotto i colpi
della globabilizzazione economica (par. 7.11) vedremo limportanza costituita
dallappartenenza a un determinato sistema istituzionale, di diritti sociali, e la
condivisione di un determinato debito pubblico.
Lera agricolo artigianale fa emergere gi il punto fermo secondo cui lo
stato, inteso come organizzazione collettiva, insomma sempre pi un ap-
parato istituzional-burocratico. Proprio lesistenza di tante macchine
pubbliche differenti tra di loro costituisce ormai, nellepoca della globaliz-
zazione e della libert di circolazione, la principale distinzione tra uno stato
ed un altro. Questa presenza di una pluralit di organizzazioni pubbliche, cia-
scuna con un proprio debito, la principale ragione per cui lUnione Eu-
ropea non potr facilmente diventare una completa unione politica, come
vedremo al par. 4.16. Per unirsi occorre infatti coesione sociale, difficile da
trovare a livello sovranazionale, se richiede una certa abilit anche a livello
interno. Come vedremo al paragrafo successivo per la coesione sociale dellera
agricolo-artigianale, che anticipava problemi esistenti, e pi complicati, anche
nel mondo contemporaneo.

2.8. Esigenze di coesione e mobilit sociale nellera agricolo-


artigianale.

Nellera agricolo-artigianale si formata anche quella parte del nostro


bagaglio culturale riguardante i criteri di selezione della classe dirigente. No-
nostante gli esempi di governo democratico, come lAtene di Pericle o i liberi
comuni medievali, lassetto sociale dellera agricolo-artigianale fu sostanzial-
mente non democratico, ma ciononostante tenne per secoli con pochi
traumi, come il gi commentato episodio della rivoluzione francese.
Nel corso dei secoli stato in buona parte socialmente accettato il presup-
posto secondo cui la posizione sociale era fortemente influenzata dalla nascita,
dallappartenenza familiare; le diseguaglianze formali di status, dovute alla
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 21

nascita, ad esempio nel sistema feudale, erano condivise dalla parte pi nume-
rosa della popolazione.
Tuttavia, come indicato al paragrafo precedente, esisteva una qualche
mobilit sociale, cio una possibilit di migliorare la propria condizione.
Ricordiamo dal paragrafo precedente, sul rapporto tra politica ed economia,
la possibilit di fare fortuna, premessa per la gi indicata scalata sociale; lo
confermano le gi indicate storie di famiglie nobiliari, originate da qualche
mercante o abile organizzatore di successo, prima arricchito e poi cooptato
nella classe nobiliar-militare; ci assicurava, nella secolare stabilit, una qual-
che possibilit di ricambio, di miglioramento della propria condizione, in cui
si sfogavano le energie di individui ambiziosi e determinati, che altrimenti
avrebbero potuto rivoltarsi contro lordine costituito. Non cerano per solo
finalit preventive, di coesione ed autoprotettive in questa possibilit di essere
cooptati nella classe dirigente, prima economica e poi politica. La cooptazione
era anche un riflesso della utilit sociale di mettere al servizio della collettivit
le migliori e pi costruttive energie organizzative. Con levoluzione rispetto
alla remota epoca dei cacciatori raccoglitori, labilit organizzativa di altri
uomini prende il posto dellabilit nello svolgere compiti materiali, cio tro-
vare cibo o cacciare animali.
Per questo, anche se basate sullagricoltura e lartigianato, le societ indicate
al paragrafo precedente non erano insomma organizzate n da agricoltori, n
da artigiani, bens da soggetti che si proponevano, appunto, di acquisire il con-
senso della base, di agricoltori e artigiani, per organizzare le esigenze collettive.
La collettivit ha certamente bisogno di organizzazione, per non tutti
possono avere un ruolo organizzativo, in quanto qualcuno deve pur lavorare,
producendo eccedenze alimentari sufficienti a mantenere anche chi organizza
(fino ai paradossi divertenti sulleccesso di organizzatori, rispetto ai lavorato-
ri, che si possono vedere cercando su Youtube un cartone animato intitolato
gara di canoa).
per importante che nel gruppo si avverta la possibilit di promo-
zione sociale, di successo, per i capaci e i meritevoli; una valvola di
sfogo, magari simbolica, importante per la coesione sociale. Cui contribuisce
fortemente limmagine di qualcuno che ce lha fatta; come se i pochi che
hanno avuto successo fossero un simbolo anche per i molti rimasti al pun-
to di partenza o gi di l; cui per lassetto sociale sembrer meno ingiusto
perch qualcun altro ce lha fatta; a ben vedere, un po di sogno americano
sempre stato necessario in qualsiasi epoca. Nellera agricolo artigianale, la
collocazione sociale dipendeva in gran parte dalla nascita, anche in assenza
delleducazione scolastica di massa, ma qualche mobilit esisteva, soprattut-
to entrando nella classe media (artigianale e mercantile); le possibilit di
22 Compendio di Scienza delle Finanze

emergere, mettendo su importanti fortune, erano sicuramente minori ri-


spetto alla fase di sviluppo della successiva societ industriale; quando questa
spinta si esaurisce, ne risente per anche la mobilit sociale, come vedremo
ai paragrafi 3.14-3.15. La classe dominante, infatti, legittimata dalla guerra,
dalla rendita fondiaria, anzich dallattivit organizzativa, tendeva a delegare
abbastanza intensamente a collaboratori fattivi, ad impresari, che facilmente
si arricchivano, assurgendo a loro volta ad un ruolo economico e politico nei
modi indicati al paragrafo precedente. Ne derivava quindi una mobilit forse
maggiore di quella dellodierno capitalismo familiare, maturo e statico di
cui parleremo ai paragrafi 3.14-3.15.

2.9. Valore, lavoro e sua organizzazione nellera agricolo-ar-


tigianale.

La centralit della terra ha caratterizzato ogni collettivit, fino alla rivolu-


zione industriale; fino a quel periodo, come dimostrano le teorie economiche
dei fisiocratici, la terra veniva formalizzata come principale fonte di produ-
zione di ricchezza. Questo sfruttamento delle risorse naturali era garan-
tito da un potere del gruppo, militare, diplomatico, o addirittura religioso,
nei rapporti con altri gruppi. Il potere militare del gruppo indirettamente
rendeva un servizio istituzionale di sicurezza e ordine sociale; un servizio
istituzionale nel senso di essere inidoneo allo scambio bilaterale, ed oggetto
di consenso politico, valutato dallintera collettivit, attraverso il peso sociale
delle varie categorie che ne fanno parte.
Anche lorganizzazione generale del lavoro preludeva in buona
misura a quella attuale, e seguiva pragmaticamente le modalit di produ-
zione. Il lavoro agricolo era coordinato, ma essenzialmente svolto con
una certa autonomia, soprattutto rispetto a quanto vedremo al prossimo
capitolo per la catena di montaggio di fabbrica, e tutto il maggior coor-
dinamento aziendale. Il lavoro seguiva infatti i cicli delle stagioni, delle
precipitazioni e delle lavorazioni agricole, come in un lunario medievale,
o nelle sculture di una fontana di piazza. Anche lartigiano poteva gra-
duare il lavoro in relazione ai propri bisogni, e i bisogni alle occasioni
di lavoro, non essendo vincolato dai costi fissi per impianti, da retribu-
zioni di dipendenti, e dalle altre rigidit indicate al par. 3.7 per lodierna
azienda tecnologica.
Autonomia dellorganizzazione del lavoro non voleva dire indipendenza,
ma interdipendenza, vincolata alla diligenza negli sforzi e ai risultati. La pro-
priet fondiaria era infatti spesso detenuta da esponenti delle gerarchie sociali
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 23

elevate (potere politico militare, cfr. par. 2.5), ed era effettuata materialmente
a vario titolo da concessionari in compartecipazione, secondo varie forme di
condivisione dei frutti della terra.
La necessit di una organizzazione sussisteva anche per i titolari di un
sapere artigianale qualificato, con commesse eccedenti quelle effettuabili
col loro lavoro personale, e che quindi istruivano lavoranti terzi, ma si trattava
di un caso raro.
Una organizzazione maggiormente articolata del lavoro artigianale sus-
sisteva quando il lavoro doveva avvenire in comune per la particolare com-
plessit dellopera da compiere, che travalicava le capacit di singoli addetti.
Abbiamo gi ricordato la cantieristica, le infrastrutture, le cattedrali, dove la
committenza era spesso del pubblico potere (si pensi allarsenale di Venezia,
uno dei primi esempi di antica fabbrica destinata per alla flotta da guerra
della serenissima Repubblica).
Era un contesto debolmente simile a quello odierno, salva la maggiore
importanza del lavoro individuale e dei saperi artigianali rispetto a quelli
contenuti allinterno delle macchine, tipiche dellera aziendale e che vedre-
mo al prossimo capitolo. Gli attrezzi erano ingegnosi, ma empirici, deri-
vanti da intuizioni tramandate, organizzate e migliorate da generazioni
di artigiani.
La vita era difficile, e la povert materiale di quelle epoche conferma-
ta dal tramandarsi, di generazione in generazione, di cose che oggi cambiamo
per moda, come larredamento, le suppellettili, il vasellame e persino i vesti-
ti, come ricorda anche la tradizione dei corredi delle spose. Appare quindi
fuori luogo la superficiale mitizzazione delleconomia agricolo-artigianale,
anche se va condiviso il messaggio di usare con attenzione e parsimonia le
opportunit, anche di tempo, che lera aziendale ci offre. Ma ne riparleremo
al prossimo capitolo.

2.10. Matrice volontaristico-religiosa delle attivit socio-assi-


stenziali dellera agricolo-artigianale.

Guardando il passato, gi si possono capire i collegamenti col presente, ri-


flettendo sui due versanti in cui gli individui si aggregano: i rapporti esterni
con altri gruppi sociali, e lordine interno. Anche se tante conoscenze e tanti
modi di soddisfare bisogni sono cambiati, tante caratteristiche delluomo e
della convivenza sociale sono rimaste analoghe, secondo il filo conduttore in
cui lera agricolo artigianale contiene gran parte delle premesse culturali per
comprendere il presente.
24 Compendio di Scienza delle Finanze

Dallera agricolo-artigianale noi desumiamo la nascita delleconomia


pubblica come potere esercente servizi generali, indivisibili, spesso di
carattere coercitivo. Queste funzioni pubbliche erano una premessa per
gli scambi economici, ma non erano spiegabili col concetto di scambio
economico.
Lintervento pubblico si basava infatti su poteri coercitivi, a matrice ge-
rarchico militare; si tratta della difesa, la giustizia, lordine pubblico e la fiscalit,
destinata a finanziarli. Da una parte erano servizi (beni pubblici), ma di un
genere particolare, in quanto erano anche strumento di conservazione dellas-
setto del potere allinterno della societ. Questo valeva proprio per quelle
funzioni il cui esercizio attuale era abbastanza raro, come la guerra. Altre, come
la giustizia o lordine pubblico, i culti, avevano un esercizio ricorrente, e sotto
un certo profilo potevano assumere anche un contenuto di servizio.
I poteri coercitivi erano i presupposti per i traffici tra privati, dove i beni
non assorbiti dallautoconsumo (cfr. supra) potevano essere scambiati anche
grazie al controllo militare delle vie di comunicazione, allefficienza dei tribu-
nali, che garantiva le forme di appartenenza, lesigibilit dei crediti e il paga-
mento dei debiti. Generando un contesto di relativa legge e ordine, dove la
legge non la legislazione, ma leffettivit e la certezza dei rapporti giuridi-
ci; lorganizzazione politico-miliare rendeva insomma un servizio riducendo
quelli che gli economisti del diritto chiamano costi transattivi, legati alla
confusione e allincertezza. Lintervento politico nelleconomia cera gi,
ma non produceva ricchezza in modo diretto, creando piuttosto le condizioni
perch altri potessero produrne. Lo stato svolgeva solo servizi organizza-
tivi politico militari ed economico finanziari, come la monetazione,
di cui diremo al par. 7.7. Molti dei servizi divisibili, come sanit,
assistenza, istruzione, erano del tutto trascurati, e lasciati alliniziativa privata di
chi poteva permettersi di pagarli. Per i bisognosi, al pi, esistevano iniziative
religioso-caritatevoli cio confraternite che alleviavano le sofferenze dei
disagiati, come le opere pie, le misericordie, etc.. Questi impulsi volontaristici
servivano a supplire alla carenza di intervento pubblico nei settori che oggi
esprimono la maggior parte delle spese pubbliche in un contesto di welfare;
mi riferisco specialmente a sanit e istruzione, servizi divisibili, ma in buona
parte a carico del bilancio pubblico.
Nel mondo preindustriale queste sovrapposizioni tra intervento pubblico
e privato erano molto minori. Leconomia pubblica dei nostri giorni vede
infatti lo stato intervenire, in vario modo e per motivi sociali (di pace so-
ciale), in settori dove operano, o potrebbero operare, scambi economici.
Essenzialmente lintervento pubblico si rivolgeva invece alla pacificazione
verso lesterno e allordine interno, ponendo le condizioni per attivit,
CAPITOLO II STRUTTURA ECONOMICA E BAGAGLIO CULTURALE 25

molto elementari, di produzione e di scambio; come gi rilevato, le istituzioni


assicuravano infatti il rispetto degli impegni assunti nelle attivit di scambio
(vedi la gi indicata importanza del potere coercitivo del gruppo nella fun-
zione di giustizia).

2.11. Le istituzioni come contenitore dei rapporti economici.

Nella societ agricolo-artigianale, lorganizzazione pubblica, politico-mi-


litar-religiosa, pur svolgendo un numero ristrettissimo di compiti, aveva un
potere coercitivo che la rendeva prevalente rispetto al mondo della pro-
duzione, cio alleconomia (del resto allepoca neppure ancora teorizzata
come tale). Lappartenenza di terre, di pascoli, di zone di caccia e di diritti di
pesca, di risorse minerarie e forestali, delle sorgenti, dipende dalla forza del
gruppo di appartenenza. Torna limportanza del potere pubblico in relazione
al contesto basato sulla conquista e la difesa del territorio.
Sulla forza del gruppo erano infatti basate (ieri come oggi) anche le for-
me di appartenenza dei beni, il riconoscimento giuridico dei debiti e dei
crediti. Il legame tra economia e diritto nasce gi nella societ preindu-
striale, perch una buona parte delle pretese reciproche, sorte negli scambi,
che caratterizzano leconomia, sono tutelate dalle istituzioni del gruppo
attraverso il diritto, ben prima della nascita della legislazione; dovunque
infatti esiste una societ c il diritto (ubi societas ibi ius), che procede con
le istituzioni e i valori, anche in mancanza di regole codificate, cio della
lex.
Nel contesto agricolo artigianale il rapporto tra attivit istituzionale dei
pubblici poteri e attivit economica era chiaro ed esprimibile nella gi indicata
formula del contenitore politico-istituzionale e del contenuto economico. La
politica e le istituzioni costituivano infatti il contenitore delleconomia
ed il coordinamento era facile, perch cera una integrazione, ma la sovrap-
posizione era modesta o inesistente. Quando il pubblico potere promuoveva
iniziative economiche lo faceva da imprenditore, restando per il resto il
protettore dei singoli dal pericolo esterno, e il contenitore delle loro relazioni
bilaterali, il garante dellincolumit personale e di quella patrimoniale, come
vedremo di nuovo al par. 4.9. Nel contenitore della forza militar-coerci-
tiva operavano forze economiche (organizzazione privata) essenzialmente de-
dite allo sfruttamento delle risorse naturali, per la sussistenza ed uno scambio
minuto di prodotti della terra, della pastorizia e dellartigianato. I ruoli delle
istituzioni politiche erano distinti, anche se coordinati, rispetto a quelli delle
istituzioni economiche, peraltro allepoca rarissime.
26 Compendio di Scienza delle Finanze

Lorganizzazione pubblica, nella societ agricolo artigianale, si esprimeva


attraverso servizi istituzionali, composti di potere e di diritto; erano at-
tivit non suscettibili di scambio negoziale, ma di scambio politico,
come la guerra, la sicurezza, la giustizia etc. Erano attivit che ave-
vano bisogno di risorse, ma non si finanziavano attraverso lofferta
di merci e servizi, bens attraverso lesercizio di poteri. Torna il motivo
conduttore del testo secondo cui le istituzioni, come gli eserciti, i giudici, le
polizie, non vendono nulla, sono caratterizzate dallautorit, e non sono eco-
nomiche, come invece lagricoltura, lartigianato, lallevamento.
La potenza militare, la sicurezza, la giustizia sono importanti astrazioni,
ma non soddisfano direttamente bisogni economici, pur contribuendo alle
condizioni perch possa svolgersi lattivit che li soddisfa. La guerra, la giu-
stizia e la fede non sono insomma attivit di scambio, e lo confermano i ten-
tativi di trasformarle in qualcosa di simile, con truppe mercenarie o giustizia
a pagamento; i sostanziali fallimenti di questi tentativi, coi mercenari che si
impadronivano del potere politico, confermano limpossibilit di comprare
servizi istituzionali. Gi queste poche considerazioni consentono di anti-
cipare quanto esposto al capitolo quarto, sulla complessa sovrapposizione tra
servizi economici e servizi istituzionali, inesistente nellera agricolo artigianale
e cresciuta in quella aziendal-tecnologica. Il vero snodo tra stato e mercato si
colloca infatti in quei settori in cui il pubblico potere, per gestire tensioni
sociali, deve intervenire anche in settori governati dallo scambio economico,
con sovrapposizioni e confusioni.Vedremo al paragrafo 4.13 che in questi set-
tori che economia ed intervento pubblico si intrecciano ed ha senso davvero
parlare di economia pubblica; in epoca preindustriale, invece, lintervento
pubblico resta allesterno delleconomia, pur dominandola con i suddetti
assetti militari e autoritativi.
Nelleconomia preindustriale, invece, il potere politico-militare teneva
assieme lorganizzazione privata, senza sovrapporvisi.
Linterdipendenza tra politica ed economia, era quindi facilmente
gestibile, perch gli snodi erano limitati. Essi consistevano nellallocazione del-
le risorse terriere da parte delle istituzioni politico militari, che ne venivano a
loro volta mantenute, con uno scambio politico complessivo. Il resto delleco-
nomia, mercantile e artigianale, non era in grado di dare ombra alla politica,
tanto vero che leconomia come scienza sorse, come noto, solo nel tardo
settecento. Vedremo pi avanti, nelleconomia industriale, il fastidio della po-
litica e della cultura di massa, verso laccresciuto potere della politica (e della
finanza), che ne condizionava le prerogative.
Capitolo Terzo
LE AZIENDE TECNOLOGICHE, COME
GRUPPO SOCIALE A VOCAZIONE ECONOMICA

Sommario: 3.1. Sviluppo scientifico-tecnologico e spirito di ricerca europeo occidentale


(interrelazioni tra struttura economica e sovrastruttura culturale). 3.2. Applicazione tec-
nologica delle scienze fisiche, era aziendale e sua complessit. 3.3. Aziendalizzazione
di agricoltura e servizi: restringimento della base direttamente produttiva. 3.4. Lazienda
tecnologica come corpo sociale (equivoci oggettivistico-antropomorfici). 3.5. Lazienda
come istituzione privata?. 3.6. Laggregazione attorno al prodotto come limite cultu-
rale dellazienda. 3.7. Le rigidit aziendali ed il loro fraintendimento moralistico-antro-
pomorfico. 3.8. I veri lati oscuri dellazienda: rinvio al prossimo capitolo su pubblica
opinione e istituzioni. 3.9. Inadeguatezza del precedente bagaglio culturale per spiegare le
aziende tecnologiche. 3.10. Lequilibrio aziendale: economie di scala, costo medio, costo
marginale e break even point come espressione di equilibrio. 3.11. Efficienza ed efficacia
nellazienda tecnologica. 3.12. Lazienda tecnologica e il profitto attraverso lequilibrio e
la creazione di valore (il valore aggiunto). 3.13. Lequivoco del capitalismo e la subal-
ternit culturale delle aziende. 3.14. La governance aziendale e il passaggio generazio-
nale. 3.15. Epilogo: lintegrazione tra aziende e opinione pubblica come alternativa alla
disintegrazione aziendale e sociale.

3.1. Sviluppo scientifico-tecnologico e spirito di ricerca euro-


peo occidentale (interrelazioni tra struttura economica
e sovrastruttura culturale).

Lera economica agricolo artigianale, descritta al capitolo precedente,


stata compatibile con religioni, costumi, ideologie, filosofie e concezioni
spirituali del mondo diversissime tra loro, ferma restando. Per la struttura pro-
duttiva, e di soddisfacimento dei bisogni. Per i contadini della valle padana non
avr fatto molta differenza la caduta dellimpero romano, e la sostituzione degli
ultimi imperatori con capi barbari come Odoacre e Teodorico; per i fellah del
delta del Nilo probabilmente non cambi molto quando gli arabi presero il
posto dei bizantini. Lalternarsi di costumi, convinzioni, religioni, culture e
assetti politici riguardava di pi le classi che organizzavano la societ agricolo
28 Compendio di Scienza delle Finanze

artigianale, destinatarie delle sue eccedenze produttive (par. 2.5); il passag-


gio delle dominazioni politiche comportava sconvolgimenti soprattutto per
queste classi, in quanto arrivava un nuovo potere, con cui condividere in varia
misura il proprio ruolo precedente.
La struttura economica agricolo-artigianale, relativamente semplice, co-
esisteva con religioni e costumi diversi, collante sociale dei diversi gruppi
che si contendevano il territorio. Tuttavia alla base delle modificazioni che
avrebbero cambiato la struttura economica ci sono alcune manifestazioni dello
spirito, concezioni del mondo, aspirazioni, che spingono a seguire deter-
minati sogni anzich altri.
La quantit, e la ferocia, delle guerre di religione, conferma lintreccio dei
moventi economici con quelli spirituali; fino agli estremi secondo cui lesisten-
za stessa di religioni diverse sullo stesso territorio non era tollerata, in quanto
indirettamente metteva in dubbio la fede altrui. Non a caso nella societ antica
il potere militare era sempre fortemente collegato a quello religioso, fino
alle sovrapposizioni nei gruppi teocratici (Antico Egitto, Aztechi).
Lo stretto legame tra il trono e laltare si spiega perch la religione era
il modo pi elementare, e pi facilmente condivisibile (a beneficio della coe-
sione sociale) per rispondere agli interrogativi di fondo sullesistenza, leter-
nit e la morte; non a caso la maggior parte delle antiche religioni estendeva
le spiegazioni della condizione umana alla creazione delluniverso da parte di
un essere superiore, concepito secondo criteri antropomorfici.
Su questo sostrato comune si inserivano, in determinati tempi e luoghi, le ri-
flessioni ulteriori, e i desideri di conoscenza, di alcune minoranze colte, che cer-
cavano risposte pi razionali, con la filosofia; attraverso essa poche elites,
sempre partendo dalluomo, cercavano di spiegarsi la natura, la conoscenza, la
sostanza e lapparenza delle cose. Erano tentativi tipici soprattutto per quanto
ci consta della curiosit inquieta della cultura europea, che gi con lel-
lenismo cerc di superare le suddette spiegazioni soprannaturali dellesistenza.
Le spiegazioni fornite oggi dalle scienze della materia furono intuite gi
nelle filosofie europee tardoantiche, soprattutto stoiche ed epicuree, uma-
namente fredde, adatte per pochi spiriti eccellenti; non si poteva cos rispon-
dere al bisogno di trascendenza e di collante sociale di massa, che furono rap-
presentati in occidente dalla nuova spiegazione religiosa del cristianesimo.
LEuropa medievale, sempre in una cornice agricolo-artigianale era economi-
camente e culturalmente meno organizzata, allepoca, di civilt mediorientali
(islamiche) o orientali, come lIndia o la Cina, fino a quelle dellAmerica
precolombiana. Queste ultime tuttavia dimostravano meno dinamismo e cu-
riosit di quelle che covavano nellEuropa dei secoli bui, con le sue nostalgie
del mondo greco-romano, la sua curiosit di conoscenza, confermata dalle
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 29

esplorazioni e spedizioni, anche cruente come le crociate. Era una tendenza


non riscontrabile in altre civilt, forse pi sagge ed equilibrate, come quelle
orientali, che per non hanno prodotto spedizioni e curiosit in senso inver-
so: ci fu insomma, ad esempio, un Marco Polo veneziano in Cina, ma non il
contrario.
A questinquietudine culturale si collega verosimilmente lo spirito di ri-
cerca tipico delle scienze fisiche e delle loro ricadute tecnologiche, che
vedremo alla base dellera aziendale. Ci conferma lintreccio tra lo spirito e
leconomia, tra i moventi spirituali, i desideri di spiegazione, i bisogni materiali
e il modo di soddisfarli; una volta soddisfatte alcune necessit materiali, il sogno,
limmaginazione, il gioco, le illusioni, anche con riflessi concreti, hanno sempre
assunto unimportanza determinante per il senso della vita. Linterdipendenza
tra sogni e bisogni, si ritrova specialmente oggi quando tanti bisogni materiali
di base sono soddisfatti. Con la diffusione delle scienze fisiche e delle tecnologie,
ben al di l delloccidente, facile prevedere laumento degli interrogativi
umanistici, con un relativismo diffuso, planetario, simile a quello della fine
dellellenismo e del mondo antico; le innumerevoli risposte individuali agli eter-
ni problemi delluomo e il pluralismo delle societ industriali occidentali richie-
dono forse un ulteriore sforzo alla civilt occidentale; essa entrata in questo
processo per prima, e funge obiettivamente da apripista ad altre culture che solo
dopo hanno acquisito capacit di produzione di serie e ricerca scientifica. La cu-
riosit intellettuale e il dinamismo mentale delluomo bianco possono essere
ancora molto utili per coordinare il soddisfacimento dei bisogni materiali attra-
verso lorganizzazione sociale, cui dedicato questo libro. Una societ coordina-
ta, pluralista ma coesa, infatti indispensabile a sostenere una ricerca scientifica
in grado di rispondere, piano piano, abbandonate le metafisiche, ai nostri grandi
interrogativi esistenziali. Le indagini sulla natura, sulla materia e sui suoi rapporti
con lo spirito (neuroscienze) richiedono infatti una societ organizzata, armoni-
ca e coesa. Il che compito di quel sapere umanistico-sociale in cui ancora oggi
loccidente mantiene una posizione di leadership. Ieri era sufficiente vincere, in
battaglia o sui mercati, mentre oggi loccidente deve riflettere e saper convin-
cere, sul piano della coesione e dellorganizzazione sociale.

3.2. Applicazione tecnologica delle scienze fisiche, era azien-


dale e sua complessit.

Nel linguaggio comune si parla di rivoluzione industriale, ma i grandi


cambiamenti sociali sono sempre graduali, e quasi impercettibili nella vita
di una persona, quasi sempre appiattita sul presente, il qui ed ora. Come
30 Compendio di Scienza delle Finanze

abbiamo gi indicato al par. 2.1, le ere economiche non si sostituiscono luna


con laltra, ma si sviluppano luna nel troncone dellaltra, recepita e modificata.
Cos come gli agricoltori artigiani utilizzavano la caccia e la raccolta dei frutti
quando se ne presentava loccasione, anche dopo lindustrializzazione si usano
lagricoltura e lartigianato, quando sono utili a soddisfare qualche bisogno.
Cerchiamo di capire quindi in che cosa consisteva quel graduale cam-
biamento produttivo, senza precedenti, cui i testi di storia economica
alludono parlando di rivoluzione industriale; bisogna chiedersi che cosa sia
davvero cambiato rispetto ad una economia agricolo-artigianale rimasta so-
stanzialmente uguale per millenni. Dobbiamo anche chiederci come si sia
distribuito questo cambiamento nel tempo, in modo relativamente rapido,
visto lo svolgimento dei tempi sociali. Il cuore del cambiamento produttivo
dipende dalle ricadute tecnologiche delle scoperte effettuate dalle scien-
ze sperimentali, di cui al precedente par. 3.1. Queste ultime si affermarono
gradualmente, come indicato ampiamente a suo tempo, nella cultura euro-
pea occidentale. In questo contesto infatti le scienze sperimentali diedero
luogo a ricadute tecnologiche e produttive tali da rendere necessario un
nuovo settore delle scienze sociali chiamato economia. Ne riparleremo al par.
4.6, rilevando per ora che essa si sviluppa appunto, come settore di studio, ai
tempi dellazienda tecnologica, cui ora il caso di dedicarci.

3.3. Aziendalizzazione di agricoltura e servizi: restringimen-


to della base direttamente produttiva.

La produzione di serie non ha modificato solo la fabbricazione delle


merci, denominata manifattura, ma tutto il resto delle prestazioni dirette al
soddisfacimento dei bisogni umani. Limpiego dei beni strumentali tecno-
logici si esteso dalle attivit produttive a quelle di mero scambio, cio quel-
le mercantili, non direttamente produttive nel senso indicato al par. 2.1,
ma importantissime sia per una razionale allocazione delle merci, sia perch
rendevano necessari servizi accessori, come quelli infrastrutturali, di tra-
sporto, di conservazione e deposito, di comunicazione, di intrattenimen-
to, di supporto finanziario, assicurativo, etc.. Anche i servizi della grande
distribuzione commerciale o delle banche sono ormai organizzati con una
elevatissima dose di tecnologia, anche informatica, come la lettura ottica.
Beni prodotti industrialmente, come gli aerei, le locomotive, i cavi per le
telecomunicazioni, cambiavano il volto dei servizi, ed anche lagricoltura si
industrializzava con trattori, trebbiatrici, concimi, insetticidi e altri prodotti
aziendali.
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 31

Anche dove mancano le fabbriche, beni prodotti industrialmente cam-


biano le modalit di svolgimento del lavoro indipendente, artigianale; an-
che in aree dove magari le fabbriche mancano del tutto, arrivano i prodotti
industriali stranieri. La tecnologia si riflette persino nelle arti e nelle ma-
nifestazioni dello spirito, nella riproduzione delle immagini e dei suoni,
fino a internet. La disponibilit di tecnologia modificava e integrava i vecchi
mestieri, anche quando essi non evolvevano verso aziende pluripersonali, ma
rimanevano lavoro indipendente.
Per questo la produzione aziendal-tecnologica pervade tutta la vita socia-
le, comprese le parti che non si industrializzano. Insomma, la produzione
tecnologica di serie si diffonde indirettamente, dalle fabbriche di beni tecno-
logici fino a tutti i servizi in cui questi vengono utilizzati.
Si spiega in questo modo perch il costo delle prestazioni artigianali rima-
ne elevato, e spesso costa pi riparare un bene che produrlo ex novo, bene-
ficiando delle economie di scala connesse alla produzione di serie.
Socialmente ancora pi importante la sufficienza di una base pro-
duttiva ridotta; il numero dei lavoratori direttamente produttivi, nei settori
primario (agricoltura industrializzata, con macchinari e fertilizzanti) e secon-
dario (manifattura) pu quindi diminuire, proprio in virt della maggiore
produttivit. La maggiore efficienza della produzione tecnologica molti-
plica le eccedenze alimentari dellera agricolo-artigianale, consen-
tendo di mantenere non solo soldati, regnanti, giudici e poliziotti, ma anche
organizzatori, contabili, legali, pubblicitari, giornalisti, intermediari, consulenti
di vario genere, artisti, sportivi, e altre categorie non direttamente impe-
gnate nella filiera produttiva e distributiva. La produzione attraverso le
aziende tecnologiche consente insomma di avere meno addetti alla produ-
zione diretta di beni e servizi, creando spazi per attivit terziarie. Natu-
ralmente non si pu esagerare, e la contrazione della base produttiva, come
vedremo al paragrafo 7.11 per la globalizzazione, riduce anche lo spazio per
sostenere le suddette attivit di servizi.
Questo diverso modo di produrre modifica anche il contenuto dellinter-
vento pubblico nella societ, che diventa anche intervento pubblico nelle-
conomia, cio nei processi produttivi, analizzato dalla scienza delle finanze.

3.4. Lazienda tecnologica come corpo sociale (equivoci og-


gettivistico-antropomorfici).

Per capire leconomia pubblica, cio lintervento dello stato oltre le sue tra-
dizionali funzioni istituzionali (capitolo quarto) occorre infatti riflettere sulle
32 Compendio di Scienza delle Finanze

aziende; si tratta in particolare dellazienda tecnologica, riflesso economico


delle scienze fisiche, cio dellapplicazione produttiva delle loro scoperte.
La produzione cominci, come indicato al paragrafo precedente, ad utilizzare
apparecchiature mosse da energie artificiali, basate su vari generi di mo-
tori, il cui costo rendeva conveniente la produzione industriale di serie come
vedremo al par. 3.10 sulle economie di scala.
In questo modo la produzione, e lintera societ, diventavano pi
complesse. Nellera agricolo artigianale era abbastanza facile spiegare gli
operatori economici, individualmente o come categorie; la produzione
delle relative merci o dei relativi servizi era talmente intuitiva che neppure
si sentiva il bisogno di spiegarla, tanto vero che non si sentiva il bisogno di
una teorizzazione delleconomia nellambito delle altre attivit umane.
Vedremo al paragrafo 4.6 che neppure questa successiva teorizzazione ha
spiegato lazienda tecnologica come organismo pluripersonale a voca-
zione economica. In particolare, leconomia generale, formalizzando in mo-
delli matematici il comportamento di vari operatori razionali, ha esteso
a organizzazioni pluripersonali i modelli di ragionamento dellindivi-
duo singolo.
Anche il resto della pubblica opinione e delle classi dirigenti hanno segui-
to il bagaglio culturale dellera agricolo artigianale, confondendo lidea di
azienda con linsieme dei beni delloperatore economico, ed in parte con la
figura stessa delloperatore economico; si oscilla insomma tra due equivoci, il
primo dellazienda come oggetto materiale, e il secondo della sua spiega-
zione antropomorfica, come fosse un essere senziente.
Lequivoco della accezione di azienda in senso materiale, si radi-
ca nellera agricolo-artigianale, con riferimento agli attrezzi del lavoratore
indipendente. del tutto legittimo, per brevit, definire azienda, come del
resto fa anche il codice civile, capannoni, martelli, incudini, fornaci, paran-
chi, cazzuole e altre attrezzature, crediti e contratti di vario genere. Limpor-
tante non mettere in secondo piano lazienda come gruppo di perso-
ne; questultimo infatti il profilo rilevante per lanalisi economico sociale
dellera aziendale, lunico modo umanistico per spiegare un gruppo di
individui che interagiscono e si condizionano a vicenda (capitolo 1). Al-
trimenti si finisce per confondere anche gli addetti allazienda con un
insieme di beni materiali, suscettibili di essere posseduti; si tratta invece
di un insieme di persone vive, con cui occorre interagire, perch un
corpo sociale anche se guidato da un titolare cammina sulle gambe
di chi ne fa parte.
Anche gli imprenditori, forse compiaciuti di vedere lazienda come una
propria proiezione e una propria creatura, coltivano questo preconcetto,
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 33

illudendosi di possedere la propria azienda come fosse una villa o un


quadro dautore. Questi ultimi sono statici, non hanno un loro divenire,
mentre il vero valore dellazienda lorganizzazione delle persone, la
loro costruttiva cooperazione, che non possono essere possedute e immagaz-
zinate. Esse inoltre non sono date una volta per tutte, ma vanno mantenute
nella prassi, ricreate ogni giorno. Lazienda, in quanto gruppo sociale, non
si potrebbe quindi possedere neppure se, al posto di operai sindacalizzati
(e agguerriti) vi operassero schiavi o servi della gleba. Anche per essi era
fuori luogo lidea di possesso, ed erano appropriate quelle di organizza-
zione, istruzione, convinzione, e altre forme di interazione con altri
esseri umani.
Se questa spiegazione dellazienda come oggetto materiale erronea,
altrettanto pu dirsi per quella antropomorfica; lidea dellazienda come
persona si ispira agli antichi lavoratori indipendenti e alle attivit artigiana-
li preindustriali, identificate o fortemente appiattite sullimprenditore; questa
concezione guardava alle persone, ma trascurava la pluralit di persone,
laggregazione sociale a vocazione economico-produttiva. Questa pluri-
personalit dellazienda emerge anche dal concetto di azienda di eroga-
zione, che anche nella sua pi piccola consistenza (la famiglia) pur sempre
pluripersonale.
un equivoco che si riflette nellodierno equivoco dellazienda uniperso-
nale, oppure monoaddetto, comprensivo dellartigiano e del piccolo com-
merciante. un errore di prospettiva compiuto persino dallISTAT, nelle
sue rilevazioni, e forse indotto proprio dalla difficolt di stabilire un confine
generale, in cui dal produttore indipendente si passa allazienda pluripersonale.
una semplificazione statistico-classificatoria che non giova alla crescita delle
aziende e alla loro integrazione sociale (paragrafo 3.15). Questa confusione
tra azienda e imprenditore, con lequivoco delle aziende monoaddetto, pro-
voca vari inconvenienti, tra cui 1) la confusione tra lavoratori indipendenti e
aziende e 2) la confusione tra individui titolari delle aziende ed aziende. Se
infatti, come giusto che sia, lazienda monopersonale si immedesima con la
persona dellartigiano o del venditore ambulante, la pubblica opinione trasla
questa chiave di lettura sulle organizzazioni aziendali. Vi contribuisce anche
lantica tendenza a vedere le organizzazioni in modo antropomorfico, come se
avessero volont e bisogni propri, come la Patria (lantica idea di Roma), la
Chiesa, il Partito, la squadra di calcio. Le acciaierie sono viste quindi come se
fossero grandi fabbri, le industrie alimentari grandi pasticceri, quelle tessili
grandi sarti, la grande distribuzione un grande bottegaio e via enumerando.
Nascono cos continui equivoci tra chi, nel discorso, si riferisce alle industrie
e alle banche, e chi ai parrucchieri e ai pasticceri.
34 Compendio di Scienza delle Finanze

Questa fuorviante concezione antropomorfica mescola lazienda come


gruppo e il lavoratore indipendente, operante in forma individuale. Le-
quivoco si basa sul fatto che entrambi sono operatori economici e unit
produttive. Ci porta a concepire le organizzazioni come omoni troppo
cresciuti, ne ostacola la comprensione, lintegrazione con la societ, e in
definitiva la crescita, intesa non tanto in senso dimensionale, quanto di isti-
tuzionalizzazione, e di integrazione delle organizzazioni aziendali nel
tessuto sociale, come vedremo al par. 3.15..

3.5. Lazienda come istituzione privata?.

Lazienda tecnologica moderna, come gruppo di individui, tenuti


insieme da valori e da regole, ha qualcosa di simile alle istituzioni. Per
questo il giurista, se genuinamente studioso delle istituzioni politico sociali
(par. 1.4), ha capacit ed interesse ad occuparsene. Lazienda per un corpo
sociale privato, non avviato dalla politica, ma da un fondatore per definizio-
ne creativo, nel senso di entusiasta e un po sognatore. Che vede lazienda
come una sua proiezione, non pensa a elaborarne spiegazioni e la gestisce, con
le migliori intenzioni, in modo spesso paternalistico (senza curarsi dellintel-
lighenzia che lo definisce capitalista, come vedremo al par. 3.13).
Lazienda uno strano corpo sociale, fatto di persone, ma di propriet
privata (par. 4.12 sulla relativa abolizione comunista); lo ricorda lespressio-
ne padroni con cui venivano ancora chiamati, fino a poco tempo fa in Ita-
lia, gli imprenditori. Chi creava una azienda tecnologica la conosceva soprat-
tutto come organizzatore, rischiandovi capitali propri e altrui, ma lavorando
in prima persona, cosa che non aveva riscontro nellera agricolo-artigianale.
Loperativit del titolare poteva esprimere un potere anche molto duro
verso gli altri individui operanti nella struttura, anche per lo stress dovuto alla
continua ricerca di un difficile equilibrio tra i fattori produttivi.
Il rapporto delle aziende con la pubblica opinione difficile anche perch
queste organizzazioni basate sullautorit del titolare si sono diffuse pro-
prio mentre cadeva lautoritarismo politico, e la base consensuale del
potere sostituiva il diritto divino dei monarchi; in questa cornice stonava lidea
di azienda come organizzazione a matrice proprietaria, governata dal potere
assoluto, sia pure esclusivamente economico, dei suoi titolari. La borghesia
imprenditoriale, che rivendicava democrazia politica, contro i privilegi no-
biliari, fuori dallazienda, teorizzava il potere assoluto dalla propriet aziendale
allinterno dellazienda, organismo dopotutto pluripersonale. una apparente
contraddizione che non ha giovato allidea di azienda.
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 35

Questo corpo sociale, a vocazione economico-produttiva, e matrice


proprietaria-autoritaria, non si prestava a essere spiegato col bagaglio cul-
turale precedente, dove i corpi sociali e le loro gerarchie avevano una legitti-
mazione diversa, soprattutto religiosa, caritatevole o militare. Per molti versi
lazienda somigliava alle istituzioni pubbliche, in punto di pluripersonalit, ma
era guidata da privati, e diretta a soddisfare bisogni privati. uno strano ibrido,
ancora non completamente compreso, ed ostacolato da questa mancata com-
prensione, di cui c traccia anche nel fuorviante concetto di capitalismo, di
cui al successivo paragrafo 3.13.
Tutte le organizzazioni, comprese le aziende tecnologiche, compor-
tano rischi di dispersioni e inefficienze; anche la loro maggiore efficienza
complessiva la risultante degli effetti positivi, derivanti dallutilizzazione
dei macchinari, e di quelli negativi derivanti dal coinvolgimento di una
pluralit di individui, che qualche volta possono non sapersi coordinare, e
qualche altra possono adagiarsi sul lavoro degli altri. Non a caso lera eco-
nomica agricolo-artigianale preferiva il lavoro indipendente, vincolato
ad un risultato, e quindi pi controllabile, oltre che comprensibile da chi
vi era addetto, fosse pure uno schiavo o un servo della gleba; non a caso,
fino allazienda tecnologica, si ricorreva al lavoro di gruppo solo quando
cerano da compiere le grandi opere, indicate al par. 2.9; con lazienda tec-
nologica il lavoro di gruppo diventato di nuovo conveniente rispetto a
vaste aree di precedenti lavori individuali. Un numero crescente di forza
lavoro stata impiegata nelle aziende, divenute gruppi sociali a vocazione
economico produttiva, senza reali precedenti nellera economica agricolo
artigianale e quindi, come gi rilevato al paragrafo 2.2, senza riscontri nel
relativo bagaglio culturale.
Non spiegava lazienda la vecchia immagine del potere fondiario
del nobile o del latifondista, destinatario del frutto del lavoro altrui, pas-
sivo e proprio per questo distaccato. Non serviva neppure limmagine
dellantico artigiano che si ingrandiva, ma veniva sempre dal basso e
conosceva il mestiere; nelle antiche fabbriche preindustriali, o nelle atti-
vit di commercio, il titolare era prima di tutto un esperto di quella par-
ticolare attivit, che attorno a s raccoglieva collaboratori, cui insegnava
il mestiere.
Non spiegava lazienda neppure limmagine del mercante o dellappal-
tatore arricchito (paragrafo 2.6), che ambiva al peso sociopolitico attraverso
uno status nobiliare o signorile; questultimo poi si autolegittimava, e si rifu-
giava nella ricchezza fondiaria; una volta in questo modo cooptato, lasciava
spazio a nuove scalate sociali, che riempivano i vuoti creati dalle estinzioni e
dai dissesti nobiliari.
36 Compendio di Scienza delle Finanze

3.6. Laggregazione attorno al prodotto come limite cultura-


le dellazienda.

Se lazienda, come indicato ai paragrafi precedenti, una aggregazione


sociale, cio un gruppo di individui dobbiamo chiederci cosa li tenga assieme.
Tutte le aggregazioni sociali hanno infatti dei loro motivi di coesione, cio
sono tenute assieme da qualcosa. Pu essere la fede religiosa, un ideale politico,
un interesse economico, una fede sportiva o un affetto familiare. Lazienda
invece tenuta assieme dal prodotto, e qui sta al tempo stesso la sua forza
e il suo limite. Il prodotto infatti il valore che tiene assieme lazienda, e da
questo valore derivano le regole del gruppo, ma serve anche una concezione
generale pi ampia per integrare questo gruppo nella societ, come vedremo
al par. 3.14-3.15.
Abbiamo gi rilevato che la capacit organizzativa, finalizzata a
una certa produzione tecnologica la vera caratteristica dellazienda.
I c.d. economisti dazienda, (cui evidentemente andava stretta lespres-
sione tradizionale di studiosi di ragioneria), cercavano di rendere lidea
definendo lazienda come insieme di persone-mezzi-organizzazione,
confondendo per aspetti diversi, cio le entit da organizzare (persone
e mezzi) e lattivit organizzativa dallaltra. Veniva poi trascurata anche
limportanza delle relazioni tra operatori economici diversi, cio il coordi-
namento tra varie organizzazioni e istituzioni, anche esterne al mondo pro-
duttivo, come centri di ricerca privati (ad esempio universit), infrastrutture
pubbliche ed autorit regolatrici. Sfuggiva, insomma, a questa definizione
un po arcaica, che lazienda un elemento di un pi ampio reticolo di
relazioni sociali, di cui inevitabilmente fanno parte anche le istituzioni
e quindi la pubblica opinione, col rischio delle incomprensioni di cui
diremo al par. 3.15.
In s, i macchinari e le strutture delle aziende hanno un modestissimo
valore intrinseco se estromessi dallorganizzazione, perch il loro mercato
ridottissimo, ristretto a produttori di beni molto specifici. Lazienda non
quindi una entit statica, che si possiede, ma un organismo vivente, che deve
essere gestito, coordinando persone e mezzi.
Lazienda una organizzazione sociale privata e di carattere economi-
co; come tale, il suo elemento di coesione la produzione e vendita di merci, a
differenza delle aggregazioni sociali a carattere politico-religioso. Queste ul-
time, proprio nel periodo in cui nascevano le aziende tecnologiche, si stavano
orientando verso la legittimazione del potere in base al consenso, al contratto
sociale, mettendo in soffitta il mito dellorigine soprannaturale del potere.
Anche lazienda, come abbiamo visto al paragrafo precedente, una aggrega-
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 37

zione di individui, che per non tenuta insieme dal consenso, ma dal
prodotto. Al prodotto sono finalizzate tutte le attivit aziendali, dalla catena
di montaggio, alla ricerca, alla vendita, al marketing, alla contabilit, etc..
Le aziende non sono quindi aggregazioni misteriose e arcane, come tende a
vederle la nostra carente formazione economico-sociale, ma corpi sociali,
specializzati sul proprio prodotto; ciascuna infatti rivolta solo alle sue
attivit particolari, siano esse automobili, bevande, trasporti, cemento, linee
aeree etc.. del tutto legittimo che sia cos, perch in queste specifiche at-
tivit lazienda si rende utile come bene comune (ancorch di propriet
privata, con le avvertenze di cui al par. 3.12 sul c.d. profitto) per la soddi-
sfazione di bisogni umani. Le aziende devono far bene il loro mestiere,
senza utilizzare le loro settoriali competenze per divagare sulla politica,
come spesso mediaticamente fanno esponenti di dinastie imprenditoriali cui
evidentemente la specializzazione della rispettiva azienda va stretta (cfr. para-
grafo 3.14 sul passaggio generazionale e la governance aziendale). Le aziende
devono occuparsi del prodotto, perch non sono tenute assieme da affetti
personali, fedi religiose, ideologie, speranze, concezioni del mondo e delle-
ternit o altri sistemi di valori sugli eterni interrogativi del genere umano.
Esse giustamente si devono occupare di detersivi, merendine, vernici
e trasporti, senza filosofeggiare sullorganizzazione sociale; che sarebbe una
aspettativa eccessiva e proprio per questo deludente. Le aziende sono gruppi
sociali aggregati dalla produzione di auto, di bevande, di trasporti, non sono
tenute assieme da affetti, fedi, idee, speranze, concezioni del mondo e delle-
ternit, sistemi di valori. Non possiamo chiedere alle aziende le risposte agli
eterni interrogativi degli uomini, perch loro giustamente parlano di detersivi,
merendine, vernici e trasporti, non filosofeggiano sullorganizzazione sociale;
dalle aziende non si deve pretendere pi di beni e servizi, altrimenti, se ci si
aspetta troppo sul piano generale, etico e umanistico, si rischiano le alienazioni
indicate in precedenza e riprese al par. 3.8.
Invece di intromissioni delle aziende sulla politica generale, servirebbe
integrare il bagaglio culturale generale della pubblica opinione con
una idea di azienda, trasversale ai vari tipi di attivit. Sarebbe questa la fun-
zione delle associazioni di categoria e delle innumerevoli fondazioni di
impresa promosse da esponenti di dinastie imprenditoriali cui, come gi an-
ticipato sopra, il singolo business andava umanamente stretto. Sarebbe anche un
modo per aiutare le aziende a fare gruppo attorno al loro comune modo
di essere, indipendentemente dalle settorialit produttive. Sarebbe anche un
modo per superare le ingenuit con cui gli uomini delle aziende si proiettano
fuori dal loro settore specifico, con una tendenza a spiegarsi le istituzioni e la
societ nel suo complesso (compresi mass media e pubblica opinione) usando
38 Compendio di Scienza delle Finanze

i modelli cognitivi dellazienda; senza capire che le istituzioni fanno corto cir-
cuito con la pubblica opinione e i mezzi di informazione, i quali non hanno
n un consiglio di amministrazione n una assemblea (in ultima analisi, come
vedremo al prossimo capitolo, non sono precisamente di nessuno, non hanno
una appartenenza, e al tempo stesso appartengono a tutti). Confondere i
corpi sociali, come le aziende, che vivono per vendere attraverso il consen-
so bilaterale, economico, dei consumatori, con quelli che vivono di consenso
politico, come le istituzioni, nuoce a tutta la societ. Ma lo vedremo meglio
al capitolo quarto.

3.7. Le rigidit aziendali ed il loro fraintendimento moralisti-


co-antropomorfico.

Come organizzazione complessa, lazienda pi rigida del lavo-


ratore indipendente; questultimo pu graduare il proprio impegno ri-
spetto alle prospettive economiche, e se queste mancano pu anche star
fermo, col solo vincolo di trovare qualcosa per sopravvivere (par. 2.7). A
differenza della flessibilit del lavoro indipendente, lazienda invece
irrigidita dalla sua articolazione e dalla sua complessit. Anche quando la
produzione bloccata per una qualche ragione, lazienda ha comunque
dipendenti da pagare, i mutui e gli affitti in scadenza, le relazioni
coi fornitori da mantenere. Lorganizzazione va salvaguardata, altrimenti
si disgrega, rischiando di non esserci pi quando le condizioni di mercato
saranno di nuovo favorevoli. Lorganizzazione ha comunque la necessit di
assorbire i costi fissi, sia quelli degli impianti sia quelli dei dipendenti, che
non possono essere presi e lasciati seguendo proporzionalmente le oscilla-
zioni del mercato, se non si vuole disgregare lorganizzazione. Se per ci
sono i dipendenti, bisogna anche farli lavorare un minimo, pagando le
materie prime ed i finanziatori. Ecco perch, a differenza del lavoratore
indipendente, lazienda opera anche in perdita, pur di creare quel valore
aggiunto di cui al par. 3.12.
Questa rigidit si vede anche nei momenti di crescita, che avviene solo
attraverso nuovi investimenti, e quindi per salti; una volta sfruttati gli im-
pianti in modo ottimale, occorre scegliere se effettuare o meno nuovi inve-
stimenti, aumentando la capacit produttiva, in un modo che potrebbe essere
eccessivo rispetto a quanto il mercato in grado di assorbire. Questo vincolo
dellinvestimento minimo efficiente fa aumentare la produzione per salti;
vi si pu rinunciare affidando quote di produzione a terzi (contoterzisti),
trasferendo per loro quote importanti di valore aggiunto (par. 3.12).
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 39

Questa rigidit produttiva si vede anche negli investimenti immate-


riali, in ricerca applicata, in progetti, tendenti allelaborazione di nuovi
prodotti.
Nellinsieme, questi vincoli economici, fanno apparire le aziende tecno-
logiche spregiudicate, ciniche ed anche scorrette, colpendo negativamente
lopinione pubblica, che trasferisce, come gi rilevato, sulle aziende categorie
moralistiche tipiche degli individui. Lazienda guarda allequilibrio eco-
nomico di base, non al profitto di un individuo, e per questo pu apparire
come insensibile o spietata rispetto alle scale di valori diffusi nella societ,
rispetto alla gestione dei lavoratori o ad altri valori sociali, come linquina-
mento ambientale o la sicurezza dei consumatori.
La rigidit, e la vincolatezza rispetto agli equilibri economici, talvolta sem-
brano cinismo, se guardate col bagaglio culturale antropomorfo di cui al par.
2.2. Ad esempio, dopo aver investito sullo sviluppo di un prodotto, o su un
certo macchinario, gli uomini dellazienda tendono a non disperdere questi
sforzi, personali ed economici, di fronte a meri dubbi su ulteriori controin-
dicazioni, sanitarie, ambientali, di sicurezza, etc., rispetto a quelle gi prese in
considerazione in corso dopera. Prima di investire su un progetto, il corpo
sociale rappresentato dallazienda ne analizza le compatibilit sanitarie, am-
bientali, infortunistiche, alla stregua di tutte le altre componenti per la fatti-
bilit delliniziativa. A differenza delle operazioni del piccolo commerciante
e dellartigiano, mosso dalle proprie esigenze immediate di sopravvivenza, gli
investimenti aziendali sono recuperabili e profittevoli solo nel lungo periodo,
e quindi neppure vengono messi in cantiere quando si intravedono fattori di
rischio (sanitari, ambientali, etc.) che potrebbero compromettere liniziativa,
vanificando gli sforzi gi compiuti. C quindi una comprensibile tenden-
za, istintiva, a minimizzare interpretazioni che potrebbero smentire le ipotesi
iniziali, sia per la tendenza di tutte le istituzioni a non ammettere gli errori,
sia per la connessa dispersione di risorse. Il danno a valori molto importanti,
come la salute o lambiente, spesso si vede solo a posteriori, e una volta fatto
linvestimento diventa vitale per lazienda utilizzarlo, piazzando i relativi pro-
dotti, pena la sua stessa sopravvivenza, e qui il comportamento dellazienda
pu apparire amorale, secondo un filo conduttore del testo. un com-
portamento spregiudicato, attribuito dalla cultura di massa a bieco desiderio
di massimizzare il profitto sulla pelle dei consumatori, dei lavoratori,
dellambiente, etc.., spiegando ancora una volta lazienda col bagaglio cultu-
rale agricolo-artigianale (par. 2.2); cio in modo antropomorfico, come un
omone interessato al profitto. un riflesso della generale insufficienza, per
lera economica aziendale, del bagaglio culturale proveniente dal passato, che
ovviamente non va rinnegato, ma integrato (par. 5.5).
40 Compendio di Scienza delle Finanze

Anche per capire i veri lati oscuri dellazienda, nel senso di cui al prossimo
paragrafo.

3.8. I veri lati oscuri dellazienda: rinvio al prossimo capi-


tolo su pubblica opinione e istituzioni.

Le rigidit dellazienda, ricordate sopra, provocano inconvenienti ben


diversi da quelli (moralistico-antropomorfici) indicati al paragrafo preceden-
te. Si tratta prima di tutto della autoreferenzialit aziendale indicata al
precedente paragrafo 3.6, che porta a vedere il mondo attraverso il prodot-
to, ed in funzione del prodotto. Si crea cos una alterazione inconsapevole
dellordine di priorit, dellanalisi costi benefici, che costruisce scale di valori
non in funzione del profitto, ma dellequilibrio aziendale, del valore aggiun-
to e dellimportanza dellazienda per la societ. Come una specie di piacere
di essere indispensabile, e di avere peso sociale, che travalica la riduttiva
spiegazione del profitto. Questatteggiamento verso lesterno, verso la so-
ciet nel suo complesso, deriva da una condizione interna della vita azien-
dale, certamente pi produttiva rispetto alle produzioni agricolo-artigianali,
ma dove viene meno il controllo di risultato di un lavoro comprensibile e
svolto con compiutezza. La ripetitivit di un lavoro parcellizzato e spesso
banale, utilizzando macchinari di cui non si capiva lintimo funzionamen-
to, si giustifica solo in funzione del fatturato, della vendita, della posizione
istituzionale dellazienda, che insomma diventa, in questo modo autorefe-
renziale, cio incapace di capire quando il caso di dire basta, e di inte-
grarsi serenamente col resto della societ. Allinterno questo provoca lavori
ripetitivi, o di cui comunque non si capisce esattamente il senso, provocando
il noto concetto di alienazione, su cui torneremo al par. 4.5, anche per
quanto riguarda la disgregazione della famiglia come unit produttiva
diretta alla sussistenza (par. 4.1).
Non si tratta di difetti intrinseci allazienda, cui non si deve richiedere
la produzione di cultura o di spiegazioni sociali, ma quella di merci e
servizi; in questo senso lidea di cultura aziendale una contraddizione in
termini, in quanto la cultura riguarda la societ in generale, che deve meta-
bolizzare anche lidea di azienda come organismo pluripersonale. Lau-
toreferenzialit delle aziende non si limita distogliendole dal prodotto, che
ne rappresenta la missione. Si tratta piuttosto di includere anche lazienda nel
bagaglio culturale proveniente dallera agricolo-artigianale, come indicato
al prossimo paragrafo 3.9.. Gli individui operanti nellazienda provengono
dalla societ, e possono dare pi consapevolezza allazienda nella misura in cui
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 41

la pubblica opinione ne comprende il ruolo di corpo sociale a vocazione eco-


nomica, senza pi spiegarla in grossolani termini antropomorfici. Ripetiamo
che lazienda in s non n buona n cattiva, in quanto non un essere
senziente, ma una organizzazione, un insieme di individui che legittimamen-
te si occupano del prodotto, che costituisce il collante del gruppo. Dallazienda
come gruppo non ci si pu aspettare altro che il prodotto, ed questo il
limite degli appelli alla responsabilit sociale dellazienda, che in realt dovreb-
bero essere indirizzati a coloro che vi operano, ma non in quanto operatori
dellazienda, bens in quanto facenti parte di un gruppo sociale generale, che
include lazienda, e la valorizza per quanto pu dare. quindi il bagaglio
culturale generale che deve accogliere lazienda, aiutandola a trovare un
equilibrio col resto della societ; si tratta di contenerne da una parte la ten-
denza ad una espansione indefinita, e dallaltra evitarne la disgregazione,
aiutandola a individuare altri bisogni sociali da soddisfare. Senza un supporto
della pubblica opinione nel suo complesso, gli operatori dellazienda non
riusciranno mai a vedere oltre le loro preoccupazioni immediate, sul
prodotto, la quota di mercato e lequilibrio tra i costi ed i ricavi.
Questi aspetti costituiscono la prima preoccupazione degli amministra-
tori delle aziende, che sono ingranaggi complessi, che possono entrare in
crisi anche per piccole disfunzioni su uno dei loro elementi; il blocco di un
qualche fattore produttivo, come noto, ostacola anche il lavoro degli altri, che
funzionerebbero benissimo. Questo vale anche per il cattivo funzionamento
dei macchinari, il loro sfruttamento non ottimale, i difetti delle prestazioni
dei fornitori esterni, i tardivi pagamenti da parte dei clienti. Quando i fattori
produttivi sono molti, si pone insomma il problema del loro coordinamento,
e della fluidit. Chi organizza la produzione non si pu mai sedere, come
faceva lartigiano del passato, quando voleva prendersi un periodo di riposo,
avendo messo da parte altre forme di sostentamento. Lazienda invece una
organizzazione economica vivente, che sopravvive perch opera. Che non
pu fermarsi mai, come gli squali, che devono sempre nuotare, e deve quindi
inserirsi in una architettura sociale pi complessa da cui essere in parte indi-
rizzata. A questo scopo la premessa quella di essere compresa, coi problemi
culturali indicati al prossimo paragrafo.

3.9. Inadeguatezza del precedente bagaglio culturale per


spiegare le aziende tecnologiche.

Il bagaglio culturale proveniente dallera agricolo-artigianale (par. 2.2)


non era purtroppo in grado di spiegare lazienda come gruppo sociale;
42 Compendio di Scienza delle Finanze

questo bagaglio non forniva infatti spiegazioni in grado di rendere lidea


dellazienda come entit organizzata pluripersonale, basata sulla scienza e
la tecnologia.
Il bagaglio culturale proveniente dallera economica agricolo artigianale
non conteneva infatti categorie concettuali adeguate alla nuova parcellizza-
zione del lavoro attraverso le macchine. Si traslavano quindi sullazienda le
concezioni preindustriali, che consideravano il lavoro qualcosa di poco
nobile, fatto di brutale fatica, come il lavoro della terra, o di astuzia, come
quello del mercante; nellepoca preindustriale, del resto, la capacit organiz-
zativa dava il meglio di s nella guerra e nella politica, non nella produzione
(si ricordi il manzoniano vile meccanico ne I Promessi sposi). Solo quando si
trattato di organizzare scienze, tecnologie, persone, valori, rapporti economi-
ci di vario tipo nata lespressione capitano dindustria, o cavaliere del
lavoro, ambedue tra laltro intrise della nobilt militare, di cui al par. 2.5.
In precedenza il lavoro di gruppo esisteva, ma con le diverse caratteristiche
indicate al capitolo secondo, insufficienti a comprendere la moderna azienda
tecnologica; negli antichi cantieri, arsenali, latifondi agricoli, opifici avevamo
infatti un coordinamento di compiti provvisti di una loro compiutezza; a sog-
getti dotati di determinate conoscenze o capacit veniva affidato un obiettivo,
di cui capivano il senso, fossero pure schiavi o servi della gleba. Per questo non
si era formata una cultura in grado di spiegare lazienda tecnologica
come gruppo sociale a vocazione economica.
Neppure le nuove discipline, dedicatesi allo studio della nostra era eco-
nomica hanno adeguato il vecchio bagaglio culturale al concetto di
azienda tecnologica pluripersonale. Leconomia generale si dedicata al qua-
dro economico globale, inserito nei modelli algebrici di quella che al par. 4.6
chiameremo sociomatematica.
Gli studiosi di economia aziendale, oltre ad appiattirsi sui problemi
contabili e gestionali hanno da un lato sopravvalutato e dallaltro
sottovalutato lintuitiva e gi indicata natura di corpo sociale della-
zienda. Da un lato ne hanno formulato un concetto ambiguo, considerando
da una parte azienda ogni organizzazione di mezzi e persone, anche
una soltanto; vi era ricompreso quindi lartigiano con le sue attrezzature, e non
veniva colta lazienda come organismo pluripersonale a vocazione economica.
Laspetto pluripersonale dellazienda veniva invece colto dal generico concet-
to di azienda di erogazione, diluendolo per tra tutte le possibili aggrega-
zioni sociali. Lazienda di erogazione finisce cos per essere un calderone
che comprende di tutto, qualsiasi collettivit dalla famiglia, alla trib, alla
comunit monastica, al partito politico, fino alle istituzioni dotate di
pubblico potere, come i carabinieri o lAgenzia delle entrate. Gli
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 43

aziendalisti hanno avuto due intuizioni esatte, ma scoordinate, col


concetto di organizzazione che sottovalutava laspetto personalistico della-
zienda (considerando tale anche il lavoratore indipendente), e riferendo pa-
rallelamente laspetto personalistico a qualsiasi gruppo sociale, con lequi-
voco concetto di azienda di erogazione. Unendo i due punti di vista
si arriva al paradosso secondo cui, cos come esiste lazienda di produzione
monoaddetto, allora ci dovrebbe essere lazienda di erogazione monoaddetto
ed ogni persona sarebbe per definizione azienda di erogazione di se
stessa; sono generalizzazioni talmente ampie da privare queste intuizioni,
in s corrette, di qualsiasi valenza esplicativa per la pubblica opinione e le
classi dirigenti.

3.10. Lequilibrio aziendale: economie di scala, costo medio,


costo marginale e break even point come espressione di
equilibrio.

Lutilizzazione di beni strumentali per la produzione di serie ha anche le


sue controindicazioni. Le applicazioni tecnologiche delle scienze fisiche
portano efficienza, ma creano rigidit, sconosciute nellera agricolo-artigia-
nale.
La macchina, lenergia artificiale, hanno un costo e richiedono investimen-
ti. Il costo della tecnologia, delle ricerche e delle sperimentazioni, nonch
dei macchinari che ne derivavano, rendevano molto conveniente il lavoro di
gruppo, ma gli imponevano un grande coordinamento. E soprattutto rende-
vano necessari livelli minimi di produzione, per coprire questi costi fissi per la
tecnologia, i beni strumentali, la ricerca e lorganizzazione.
Le economie di scala della produzione di serie sussistono solo se si
distribuiscono i costi dei macchinari su una alta quantit di prodotti finiti. La
produzione di serie abbassa moltissimo i costi rispetto ai tempi dellartigiana-
to, dove lincidenza del costo del lavoro era cos alta da far lasciare in eredit
stoviglie, vestiario e mobilio. Attraverso le macchine, si possono abbassare
moltissimo i costi unitari del prodotto, intesi come costi medi, che tengono
conto di tutti i fattori produttivi, sia quelli fissi, come la progettazione e i beni
strumentali, sia quelli variabili, come le materie prime.
Nelleconomia agricolo-artigianale, dove la manifattura era basata soprat-
tutto sul lavoro degli artigiani, il costo di un bene era sempre il medesimo,
quale che fosse la quantit prodotta. Il costo marginale, cio quello di una
quantit aggiuntiva di merce, era in linea con il costo medio, proprio per
la modesta incidenza degli impianti e degli investimenti fissi. Lincidenza
44 Compendio di Scienza delle Finanze

del lavoro diretto e del costo dei materiali, rendeva il costo dei beni
indifferente rispetto alle quantit prodotte; per un fabbro medievale pro-
durre una scure o produrne dieci non faceva molta differenza in termini di
costo unitario. Con lazienda tecnologica, invece, questa antica flessibilit
andata perduta ed divenuto prevalente il costo per beni strumen-
tali (impianti, come ad es. il forno del fabbro) e quindi quello di ricerca,
ideazione progettazione. Visto che tali investimenti sono necessari co-
munque, il suddetto costo marginale, diventato molto inferiore al costo
medio, influenzato non solo dai macchinari, ma anche da progettazione,
ricerca, costruzione delle reti di approvvigionamento e di sbocco, come
esempio di costi organizzativi generali. Tale costo influisce sul costo totale
attraverso gli ammortamenti, che si distribuiscono in funzione del logo-
ramento materiale dovuto alluso (cio della vita utile) e dellobsolescenza
tecnico-economica, connessa alla permanenza di interesse per il prodotto e
alla mancanza di pi efficienti modalit produttive. Solo il costo margina-
le, consistente nella manodopera impiegata e nella materia prima, varia in
modo direttamente proporzionale alla quantit di prodotto. un riflesso
della gi indicata rigidit della produzione aziendale (paragrafo 3.7) mentre
quella artigianale, senza macchinari, era pi flessibile (e il costo marginale
era poco inferiore a quello medio). La rigidit dellazienda tecnologica
infatti quella di dover produrre una quantit di merci che consenta di assor-
bire i costi fissi, abbassando il costo medio per unit di prodotto in modo da
essere competitivi con altri produttori.
Da quanto precede dovrebbe risultare che il costo medio si abbassa
con laumento della quantit prodotta, perch i costi fissi, di progettazione
generale e degli impianti, si distribuiscono su una maggiore quantit di beni.
Chiaramente, se unazienda tessile producesse poche paia di pantaloni, il costo
sarebbe maggiore di quello necessario per un sarto che lavora a mano. Solo
che, producendo in serie migliaia e migliaia di pantaloni attraverso macchi-
nari molto sofisticati, i costi del singolo pantalone vengono abbattuti, fino a
rendere non pi competitivo il vecchio sarto. La condizione per raggiungere
le suddette economie di scala per un volume minino di produzione
aziendale, sufficiente a coprire costi marginali e costi medi, assorbendo cos i
costi fissi degli investimenti in macchinari, impianti e organizzazione generale.
A differenza della flessibilit del lavoro indipendente, lazienda rigida, perch
presuppone il coordinamento tra una pluralit di individui, di strutture, di
clienti e di fornitori.
Quando i ricavi, influenzati anche dalla domanda e dal prezzo di ven-
dita, coprono sia i costi fissi, calcolati attraverso il gi indicato processo di
ammortamento, sia i costi diretti di materia prima, energia e manodope-
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 45

ra, la produzione remunerata. Questo livello denominato break even


point (punto di pareggio), dove tutti i costi sono coperti, e gi si crea
valore aggiunto cio ricchezza per dipendenti e finanziatori (paragrafo
3.12). Anche sotto questo punto di pareggio si crea valore aggiunto, ma
solo per una parte dei dipendenti e dei finanziatori. Comunque, va tenuto
presente che gli investimenti aziendali, in beni materiali e a maggior ra-
gione in costi di avvio, possono essere ripagati solo attraverso lattivit, in
quanto privi di valore intrinseco. Questa la ragione che spinge a insi-
stere nellattivit di organizzazioni in perdita, a differenza di un lavoratore
indipendente, per cui il profitto essenziale alla sopravvivenza personale e
familiare, come indicato al par. 3.12.
Una volta superato il punto di pareggio, si va verso lo sfruttamento otti-
male degli impianti e il recupero dei costi di progettazione e impianto. La
differenza tra il prezzo di vendita di queste quantit aggiuntive, e il loro costo
diretto (materia prima, lavoro, etc.) integralmente utile lordo. Da esso si
dovranno sottrarre i costi generali e amministrativi, connessi alla contabilit,
alla pubblicit, alle strutture aziendali di servizio, solo che questi costi saranno
stati dimensionati, nel preventivo (budget), secondo una determinata quantit
produttiva prevista. Laumento della quantit effettivamente prodotta, in questi
limiti, non provoca costi aggiuntivi, in quanto i costi sarebbero stati pagati co-
munque. Anche un contabile, insomma, un costo fisso, indipendentemente
dalla sua utilizzazione per registrare cento fatture al mese, oppure duecento.
Solo quando si supera la sua capacit produttiva di adempimenti ammini-
strativi occorrer una integrazione. Anche qui, come si vede, le dimensioni
aziendali procedono per salti.
Col passare del tempo, infatti i processi produttivi materiali, almeno per
i beni a tecnologia matura, diventano sempre pi fungibili, sempre pi dif-
fusi e volgarizzati, e anche per questo la fabbrica, almeno quella tradizio-
nale, diventa sempre pi una commodity, cio una parte secondaria del
processo produttivo esternalizzabile su terzi (in senso ampio contoterzi-
sti, cio operatori economici per conto di altre aziende, il c.d. indotto, di
cui si parla spesso nelle crisi occupazionali); una soluzione molto diffusa per
le tecnologie collaudate e mature, dove il committente deve solo assicurarsi
sufficienti garanzie di qualit del prodotto.

3.11. Efficienza ed efficacia nellazienda tecnologica.

La rigidit aziendale, di cui al precedente paragrafo 3.7 deriva dal carat-


tere pluripersonale di queste organizzazioni, corpi sociali dove interagiscono
46 Compendio di Scienza delle Finanze

una pluralit di individui, con funzioni diverse: basta che alcune funzioni o al-
cuni individui si blocchino per paralizzare tutta lorganizzazione. questa,
pi in generale, la complessit dellazienda, con una serie di funzioni da tenere
in vita anche quando non servono, per averle pronte quando necessarie.
Questo vale per il lavoro, i macchinari, i trasporti, il marketing e unaltra ampia
serie di servizi aziendali, siano essi internalizzati, cio svolti da collaboratori
dellorganizzazione, o esternalizzati, cio svolti da operatori indipendenti. Le
rigidit sono pi evidenti nel primo caso, perch i relativi costi vanno pagati
tutti, anche se non danno risultati, per colpa di altre contingenze. Se alcuni seg-
menti di organizzazione sono necessari allazienda in prospettiva, vanno man-
tenuti, anche quando non lavorano.
Qualche volta, per avere pi flessibilit, alcune funzioni si esternalizza-
no su fornitori formalmente e sostanzialmente indipendenti, come i cosiddetti
contoterzisti; in tal caso si devono per spesso scontare costi maggiori, ed
avere difficolt nellottenere la prestazione, perch il contoterzista impegnato
con altri clienti. Linternalizzazione comporta rigidit ed inefficienze sui
costi, mentre lesternalizzazione, pi flessibile sui costi, crea rigidit per
ottenere la prestazione.
Nellazienda si lavora in gruppo, coordinandosi, e quindi la mancanza di un
anello della catena rischia di renderne inutili gli altri. A questa rigidit, consi-
stente nel coordinamento di persone diverse, si aggiunge quella di remunera-
re i fattori produttivi, compreso il capitale necessario per linvestimento
negli impianti alla base delle economie di scala. Anche il lavoro, tuttavia, per
molti versi un costo fisso, a prescindere da rigidit normative su assunzioni
e licenziamenti: infatti la formazione, il coordinamento e lorganizzazione del
personale rappresentano processi complicati, che non possono essere smontati
e rimontati a piacere.
Questa necessit di equilibrio economico comporta vincoli e rigidit
aziendali assenti per il lavoratore indipendente, che si adatta molto meglio ai
cambiamenti del mercato e del contesto. Lunico vincolo per il lavoratore in-
dipendente quello di trarre dallattivit quanto gli serve per vivere, cio quel
guadagno che non omogeneo al profitto dellindustriale, organizzatore
di lavoro altrui e di altri fattori produttivi. Ispirarsi al bisogno di guadagno,
e quindi di profitto, del lavoratore indipendente, una chiave di lettura
grossolana per interpretare le aziende. Dove magari viene creato valore
(infra paragrafo 3.12) anche per aziende che non hanno mai dato profitto,
necessario invece per la sopravvivenza del lavoratore indipendente. Questa
necessit di profitto del lavoratore indipendente viene traslata sullazienda,
scambiandone le rigidit e linevitabile non umanit per avidit e durez-
za. Basta riflettere un attimo per capire che lazienda disumana non perch
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 47

malvagia, ma perch le qualificazioni degli esseri umani sono inadatte ad un


corpo sociale, una aggregazione di individui, secondo quanto rilevato sopra.
Per lazienda si potrebbe dire quello che Margaret Thatcher disse per la societ,
affermando che essa non esiste, in quanto esistono solo gli individui. Anche
lazienda infatti solo un gruppo di persone che modificano il proprio com-
portamento, cooperando per un fine di equilibrio economico.
Per questo, nelle aziende, lefficienza dellorganizzazione, intesa come
massimizzazione dei benefici, in relazione ai costi, una esigenza fondamen-
tale, resa importante dalla frequenza di possibili scoordinamenti tra gli
elementi dellorganizzazione aziendale, formata da persone diverse. Questo
rischio diminuisce con le dimensioni dellimpresa, fino a scomparire per il
lavoratore indipendente, che si autoregola, rende conto solo ai clienti e a se
stesso, senza sfasamenti organizzativi, in quanto lorganizzazione coincide con
la sua persona e le sue energie. Il lavoratore indipendente non rischia asim-
metrie informative rispetto ad altri componenti dellazienda, semplicemen-
te perch ne costituisce lunico. La pluralit di individui invece crea problemi
di inefficienza (scoordinamento) nelle modalit per sfruttare nel modo mi-
gliore risorse limitate. Dal concetto di efficienza gli economisti hanno tratto
indicazioni per lorganizzazione generale della societ, chiamate paretiane
(facendo riferimento ad elaborazioni delleconomista Vilfredo Pareto) e ten-
denti a massimizzare i vantaggi sociali (utilit o benessere) e minimizzare gli
inconvenienti e i disagi. Gli economisti considerano una soluzione Pareto
efficiente (ottimo paretiano) quella dove i vantaggi di tutti i soggetti coin-
volti sono massimizzati, e gli svantaggi minimizzati, tenendo ovviamente con-
to dei contributi di ciascuno; lottimo paretiano appunto quella situazione
in cui la somma algebrica dei vantaggi e degli svantaggi, per tutti i soggetti
coinvolti, la migliore. uno dei modelli di morale razionale (riconducibili
allutilitarismo di Jeremy Bentham) tendenzialmente ragionevoli, salva la dif-
ficolt di stimare in concreto i sacrifici e i benefici dei vari soggetti coinvolti.
In ambito aziendale, il concetto di efficienza si declina in quello pro-
duttivit, cio di risultato ottenuto rispetto alle energie spese, di output ri-
spetto allinput. Lefficacia invece la capacit di raggiungere un determinato
obiettivo. Spesso il lavoratore indipendente, pur efficientissimo, se conosce
il suo mestiere, pu essere inefficace, con le sue sole forze, rispetto a compiti
complessi. Il lavoratore indipendente cio, pur essendo efficientissimo,
dispone di forze troppo limitate per essere in molti casi efficace.
I due concetti si fondono nel concetto di economicit che un obiet-
tivo tendenziale, rispondente al principio di senso comune di massimizzare il
risultato minimizzando i mezzi (ragionamento banale paludato come legge del
minimo mezzo).
48 Compendio di Scienza delle Finanze

3.12. Lazienda tecnologica e il profitto attraverso lequilibrio


e la creazione di valore (il valore aggiunto).

Le erronee concezioni antropomorfiche dellazienda, e dellazienda


come oggetto materiale, sono alla base dellequivoco del profitto. Questul-
timo concetto oggettivamente delegittima lazienda rispetto ad altre forme
di aggregazione sociale (essenzialmente le istituzioni politiche), perch la
rappresenta come un operatore economico individuale, traslando su di
essa limmagine dellartigiano, del lavoratore indipendente. Per il man-
tenimento personale e familiare di questultimo il profitto, volgarmente il
guadagno, fondamentale. Lazienda come organizzazione viene quindi
interpretata come un enorme bottegaio dedito al profitto. Lazienda per
non un omone e non ha bisogno di profitto immediato per spese per-
sonali di cui per definizione priva, essendo una metafora. Il suo fondatore,
quando organizza altro personale, tecnologie, etc., ha gi abbondantemente
risolto il problema di un decoroso mantenimento della propria famiglia;
ci sia perch dispone di capitali propri, oppure perch esce da una fase di
proficuo e avviato lavoro indipendente; insomma, in genere il titolare di
una azienda ha gi personalmente le spalle sicure sul piano della propria
condizione personale e familiare, preoccupandosi di aspetti diversi, en-
trambi relativi al corpo sociale da lui creato. La principale preoccupazione
di chi gestisce una azienda leconomicit, la remunerazione dei fattori
produttivi, il grado di controllo del mercato, la stabilizzazione dei rapporti
con gli stakeholders(par. 3.15), in una parola la creazione di valore. La
creazione di valore significa capacit di remunerare i fattori produttivi usati
per gli obiettivi aziendali; il concetto comprensibile attraverso laggregato
economico di valore aggiunto dato dalla somma tra compensi a dipendenti e
amministratori, interessi passivi ed eventuali profitti. Lazienda ha gi creato
valore quando paga salari, interessi e compensi ai consiglieri di ammi-
nistrazione e ai consulenti. Non necessario che realizzi un utile per chi vi
ha investito capitale di rischio, perch questultimo ritrarr in altra forma,
indirettamente, il proprio profitto, se lazienda viva e vitale. La mancata
remunerazione immediata del capitale poco importante quando si tratta
di remoti investimenti, radicati nel passato familiare o largamente finanziati
dalle banche; anche chi acquista una grande azienda lo fa in una prospettiva
di lungo periodo, oppure in una prospettiva, anchessa gestionale, di valo-
rizzazione e rivendita: nel qual caso, invece del profitto, ci sar un guada-
gno di capitale come differenza tra prezzo di acquisto e di rivendita. Man
mano che le dimensioni aumentano rispetto al lavoratore indipendente, la
creazione di valore, monetizzabile con la rivendita delle azioni, acquista im-
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 49

portanza rispetto allacquisizione degli utili. Questi ultimi diventano quindi


solo uno dei tanti indicatori della creazione di valore, e sono graditi se si
verificano, senza che la loro mancanza metta in crisi lequilibrio aziendale.
Creazione di valore aggiunto essenzialmente capacit dellorganizza-
zione di remunerare i propri fattori produttivi. Il valore aggiunto infatti
parzialmente diverso dal reddito delloperatore economico, riflettendo
il plus valore rispetto ai costi a loro volta affluiti ad altri operatori eco-
nomici (materie prime, energia, servizi di impresa, professionisti); questo plus
valore viene a sua volta retrocesso dallazienda prima di tutto in forma di
salari e interessi, una volta pagati i quali restano profitti. Il valore aggiunto,
in altri termini, esprime i flussi verso tutti quelli che traggono sostentamento
diretto dallattivit economica, senza essere essi stessi operatori economici,
cio i lavoratori, i percettori di interessi o di rendite immobiliari, infine gli
imprenditori. Considerando oggettivamente lattivit economica, costituisce
valore aggiunto quanto eccede la remunerazione di altri operatori econo-
mici ed quindi disponibile per consumi dei dipendenti, dei finanziatori, dei
titolari, o dello stato attraverso le imposte. Per arrivare dal valore aggiunto
al consumo bisogna solo eliminare le esportazioni, dove c produzione,
ma non consumo, ed aggiungere le importazioni, dove c consumo
senza produzione.
La creazione di valore collegata al valore aggiunto, nel senso che,
quando lazienda in grado di remunerare i dipendenti ed i capitali di
terzi che vi sono investiti, acquisisce una quota del relativo mercato del
settore, di norma molto specializzato (infra par. successivo) e quindi viene
apprezzata dagli altri operatori di quella determinata nicchia. Nasce
cos lavviamento, che non neppure la capacit di produrre redditi,
come riduttivamente lo si definisce, ma di gestire una determinata quo-
ta di una certo bisogno sociale, di esprimere una vitalit organizzativa
comunque appetibile per chi opera nello stesso settore. Dove prima o
poi ci sar qualche operatore florido desideroso di entrare su quel mer-
cato, di eliminare il potenziale concorrente, di attivare sinergie. A questi
scopi egli vorr entrare in societ anche con lorganizzatore di aziende
che non hanno mai fatto un centesimo di utili o addirittura acquisirle
a prezzi rilevantissimi, solo per la loro capacit di reggere un confronto
col mercato. Per il relativo titolare, questa prospettiva gi comporta cre-
azione di valore, anche senza utili o dividendi. Ammesso che il titolare
abbia esigenze personali, il suo lavoro organizzativo potr essere retribuito,
nellimmediato, con un compenso di amministratore, cosa abbastanza
frequente nel capitalismo familiare italiano dove ci vanta spesso di non
aver mai distribuito dividendi. Perch, a parte le possibilit di evasione
50 Compendio di Scienza delle Finanze

imprenditoriale (compendio di diritto tributario par. 3.7), gli utili transite-


ranno sotto forma di plusvalenze.

3.13. Lequivoco del capitalismo e la subalternit culturale


delle aziende.

Abbiamo gi incidentalmente anticipato quanto sia riduttivo parlare di


capitalismo per esprimere lorganizzazione di una azienda tecnologica,
come struttura pluripersonale, alla ricerca di un costante equilibrio tra gli
elementi che la compongono.
Sarebbe da chiedersi perch il concetto di imprenditore, che evoca
unattivit di organizzazione, analoga a quella dellimpresario (non a caso
con la stessa radice) stato distorto, come indicato al par. 3.5, dalle espressioni
capitalista e capitalismo; queste ultime sono infatti limitate allaspetto fi-
nanziario, e svalutano la componente creativa e organizzativa dellazienda.
Unidea industriale di successo parte non gi da un capitale, ma dallindivi-
duazione di un bisogno economico e da un modo organizzativamente efficiente
di soddisfarlo. Lespressione capitalismo, volendola proprio utilizzare, si addice
non tanto allorganizzazione dei fattori produttivi, quanto alla disponibilit di
risorse finanziarie da far fruttare, intese appunto come capitale finanziario.
Gli imprenditori sono per tuttaltro che passivi portatori di capitale, ma attivi
portatori di progetti, intuizioni, organizzazione, creativit, coordinamento,
nel loro sempre pi specialistico settore di operativit.
Il capitale finanziario, del resto, potrebbe non essere neppure di pro-
priet dellimprenditore, che utilizza molto spesso capitale di prestito, pro-
veniente dalle banche (par. 7.8). Il resto iniziativa ed organizzazione,
che potrebbero anche essere apportate da chi non imprenditore in proprio,
ma azionista di minoranza, amministratore di una impresa pubblica, e tuttavia
unire lintraprendenza e la disciplina necessarie a promuovere e gestire queste
organizzazioni.
Sarebbe da chiedersi perch gli organizzatori della produzione si siano la-
sciati chiamare capitalisti, con una distorsione cos forte del loro ruolo
sociale. Al contrasto di questa concezione inadatto anche il fondatore, giu-
stamente compiaciuto di vedere lazienda come una sua creatura, e che per-
ci cade egli stesso nelle concezioni oggettivistico antropomorfiche delle
aziende, indicate al par. 3.5. Anche per questo gli imprenditori hanno subito
senza reagire, per decenni, legemonia culturale di correnti di pensiero che
li criticavano in quanto capitalisti. Una reazione avrebbe dovuto infatti sot-
tolineare la sostanza pluripersonale e organizzativa delle aziende, cio
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 51

paradossalmente accreditarne una idea diversa da quella, appena indicata, di


aziende come proiezioni dellimprenditore. Non questa la sede per
chiedersi in quale misura, anche a livello inconscio, ai c.d. padroni di una
volta, piacesse sentirsi padroni; un interrogativo non tanto ozioso quanto
limitato, perch gli imprenditori sono persone troppo concrete, impegnate e
pragmatiche (par. 3.6) per scendere troppo in queste riflessioni sistematico-
filosofiche. Anche per questo hanno subito una egemonia culturale ostile,
da parte di chi era invece dedito a queste riflessioni sistematiche, ma non aveva
capito lazienda, per via dei deficit culturali indicati al par. 3.9.. Forse proprio
lappiattimento sul prodotto, sulla loro nicchia economica, sui relativi sforzi
organizzativi, insomma sul particulare dei singoli imprenditori ha sguarnito
la sistematizzazione generale del loro ruolo e della loro stessa rilevanza
sociale. Anche le associazioni di categoria delle aziende, e molti impren-
ditori, nelle frequenti interviste, si occupano dei relativi settori di mercato,
dai farmaceutici alla metallurgia, o di politica generale, criticando sotto vari
profili lintervento pubblico, senza valorizzare lidea di azienda in s. Anche
quando si critica la demonizzazione del profitto ci si arrocca sulla difensiva,
senza spiegare la relativit del profitto rispetto al valore aggiunto, rilevata
al paragrafo 3.12; non si spiega cos alla pubblica opinione che il profitto, per
lindustriale, relativamente secondario rispetto alla creazione di valore e
ai motivi di convenienza gi indicati al paragrafo 3.12 citato.
Il blocco sociale che gravita attorno alla libera impresa, quantunque
alla fine maggioritario rispetto allo statalismo (vedi il par. 4.12 sulle vicen-
de del comunismo), ha risentito dei deficit culturali di cui al par. 3.9 ed ha
lasciato che le organizzazioni aziendali fossero spiegate socialmente con
limmagine grossolana di giganteschi lavoratori autonomi; sono le gi in-
dicate metafore dellacciaieria come grande fabbro o dellindustria dolciaria
come grande pasticcere, mosse dallo stesso legittimo desiderio di guadagno,
ma elevato allennesima potenza. Questi grossolani accostamenti conducono
agli equivoci sociali laceranti, e che hanno contribuito nella storia a disastri,
conflitti e tragedie. In gran parte tutti dipendenti dalla presentazione delle
aziende come una specie di mostro sociale, anzich di nuovi corpi sociali
intermedi, per la soddisfazione di bisogni umani.
Acquisendo questa maturit culturale si pu abbandonare quel velo di
larvata denigrazione che circonda lespressione di capitalismo. Non per
esaltare le aziende e chi le organizza, in una nuova mitologia, ma per ca-
pirle, e integrarle socialmente una volta superato il momento eroico del loro
avvio, nella difficile fase della loro gestione, quando viene meno la creativit
del fondatore. E lazienda si dimostra sempre pi come un fatto sociale, an-
corch non statale. Ne parleremo al prossimo paragrafo.
52 Compendio di Scienza delle Finanze

3.14. La governance aziendale e il passaggio generaziona-


le.

Lavvio di una azienda, come abbiamo visto al paragrafo precedente,


un atto creativo, per certi versi straordinario. Allorigine delle aziende c
una combinazione di creativit, intuizione, organizzazione, entusiasmo, fortu-
na, capacit di individuare bisogni umani, soddisfacendoli in relazione a certe
conoscenze tecniche, rendendosi conto della situazione di mercato, e delle-
quilibrio di fattori produttivi. Per avviare lazienda occorrono entusiasmo sul
prodotto e sul mercato (par. 3.13), determinazione, intuito, flessibilit, lea-
dership, capacit di trasmettere questi atteggiamenti ad altre persone. Questo
coordinamento di conoscenze tecniche diverse, persone diverse, macchi-
nari, relazioni commerciali, in funzione di un qualche bisogno umano
una sorta di eroismo civile, tipico dellera aziendale, senza la matrice guerre-
sca dellera agricola, motivata al par. 2.5. La straordinariet di questa nascita
appariva quasi inspiegabile fino al punto di far scrivere a Balzac, sottintenden-
do le nuove ricchezze imprenditoriali, che allorigine di ogni grande fortuna
c sempre un delitto.
Nulla per per sempre, e la straordinariet della creazione delle aziende,
deve essere seguita da una fase di mantenimento, dove accanto al visionario
che insegue un sogno, subentra il gestore, che tiene conto dellorganizza-
zione esistente, la conserva e la salvaguarda, per poi magari cogliere nuove
opportunit dipendenti dal prodotto o da prodotti affini (nulla vieta infatti
che creatore e gestore coesistano nella stessa persona).
Man mano che lazienda cresce, il titolare, entusiasta e creativo, diventa
necessariamente un supervisore del lavoro altrui, sempre pi assorbito in com-
piti organizzativi.
Il titolare, o un piccolo gruppo di soci, continuano per a essere
figure di riferimento di ultima istanza, del gruppo sociale rappre-
sentato dallazienda. un elemento di coesione, per contenere frizioni
e bisticci latenti in ogni gruppo sociale. Lazienda, come organizzazione,
richiede infatti un complesso miscuglio di iniziativa, responsabilit e disci-
plina, perch lazienda un gruppo sociale composto da individui e ogni
individuo che la compone una parte di un tutto. Eccessivi bisticci interni
potrebbero disgregare la principale qualit dellazienda, cio lorganizza-
zione; nellazienda devono sfogarsi iniziative ed energie di tanti individui,
ma i personalismi, le forze centrifughe, allinterno di qualsiasi organizzazio-
ne, crescono man mano che ne aumentano le dimensioni. Non si tratta di
egoismi o interessi settoriali, ma semplicemente delle divergenze fisio-
logiche sul modo migliore di farsi interpreti dellinteresse aziendale nelle
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 53

varie circostanze. Si tratta di spinte che in un mondo perfetto dovrebbero


coordinarsi spontaneamente e altrimenti vanno coordinate. Quanto pi
vari dirigenti interpretano in modo diverso linteresse aziendale ed il rap-
porto col mercato, tanto pi serve una stanza di compensazione. La pri-
ma una propriet personalizzata che coordina le iniziative, le proposte
e i suggerimenti, spesso divergenti, anche se avanzati con la massima buona
fede, che si accavallano nellazienda; emerge la vecchia massima di saggezza
popolare, secondo cui quando cantano troppi galli non viene mai giorno,
e la frase di Napoleone secondo cui un cattivo generale meglio di due
generali buoni in conflitto tra di loro. Se queste frizioni non si innescano, e
tutto fila liscio in una azienda ormai avviata, il titolare pu anche farsi vedere
poco o al limite ne pu fare a meno del tutto. Spesso basta la sua presenza
potenziale a tenere i dirigenti al proprio posto, in una serena combinazione
di iniziativa e disciplina. Quando invece i dirigenti percepiscono un vuoto
di potere, come vedremo tra un attimo per il passaggio generazionale, si
preoccuperanno per chi potr riempirlo, e si sentiranno in dovere di riem-
pirlo in tutto in parte, per timore che venga riempito da altri, a loro avviso
meno legittimati.
Se invece il titolare desidera effettivamente la presenza ed il controllo, non
amando delegare, tender a far rimanere lazienda relativamente piccola, e
quindi controllabile, con una catena di comando non troppo lunga, evitando
anche eccessive rigidit burocratiche interne.
Su questo sfondo, le disposizioni legislative sulla corporate governance
hanno un senso sostanziale quando lazionariato diffuso ha raggiunto dimen-
sioni tali da richiedere una proceduralizzazione formale delle aggregazioni tra
i soci e gli amministratori. Fino a che esiste un azionista dominante, oppure
pochi azionisti rilevanti che si accordano tra di loro, le procedure di gover-
nance restano un rito abbastanza esteriore, dove si decide in una stanza e si
verbalizza nellaltra, senza bisogno di una effettiva dialettica societaria. La
diffusione dellazionariato popolare ostacolata anche dalla diffidenza diffusa
nella pubblica opinione, e quindi nelle istituzioni, verso lazienda come forma
di aggregazione sociale; un riflesso della consueta carenza di formazione
economico-giuridico-politica di cui parliamo spesso nel testo, che ha fatto
rimanere relativamente piccole, rispetto alle aziende estere, anche le pi grandi
aziende italiane.
Un ulteriore indizio dellerronea tendenza a vedere lazienda come un
oggetto di qualcuno o in modo antropomorfico, come un omone, con-
fondendola coi lavoratori indipendenti (par. 3.5) il cosiddetto passaggio
generazionale. Si tratta di una espressione riduttiva, che sembra presup-
porre la gi indicata semplicistica concezione oggettivistico antropomorfica
54 Compendio di Scienza delle Finanze

dellazienda; cio quella di un bene di qualcuno che diventa di qualcun altro,


sottovalutandone la natura di aggregazione pluripersonale.
Con linevitabile declino fisico del fondatore, non detto che gli eredi
ne mantengano lentusiasmo, perch magari coltivano altre ambizioni perso-
nali, e non hanno stimoli particolari al miglioramento della propria posizione
sociale, gi elevata per nascita. Al passaggio generazionale nella titolari-
t giuridica dellazienda come valore economico non se ne accompagna
necessariamente uno nella leadership, nella volont e capacit gestionale. il
primo caso, inevitabile, in cui lazienda come corpo sociale, comprensivo
degli eredi del titolare, deve imparare a fare da sola. Nel capitalismo fa-
miliare italiano molti passaggi generazionali sono andati empiricamente a
buon fine per motivi contingenti, dovuti al buonsenso dei soggetti interessati,
e allemersione nel gruppo familiare di individui sufficientemente equilibrati
per mantenere la coesione dellazienda. A questo fine non occorre essere dei
geni, perch non si tratta di creare ex novo unorganizzazione, ma bisogna
essere dotati del semplice buonsenso di saperla mantenere, anche senza len-
tusiasmo che il fondatore aveva per la relativa produzione. Anche se lo stello-
ne italiano nel complesso ci ha aiutato sono stati molti i casi in cui il deficit
culturale sul concetto di azienda (paragrafo 3.9) ha contribuito alla disgrega-
zione di parecchie realt importanti, al momento del passaggio generazionale.
Nellindifferenza di una pubblica opinione priva del necessario bagaglio cul-
turale sullera aziendale, come vedremo al prossimo paragrafo, conclusivo
sullistituzionalizzazione delle aziende.

3.15. Epilogo: lintegrazione tra aziende e opinione pubblica


come alternativa alla disintegrazione aziendale e socia-
le.

Il passaggio generazionale, descritto al paragrafo precedente, il primo


indizio della necessit dellazienda di istituzionalizzarsi, rendendosi indipen-
dente da singoli individui, com del resto naturale per tutti i corpi so-
ciali. Listituzionalizzazione delle aziende, sbocco naturale delleconomia di
mercato estera, non significa certo statalizzazione, ma integrazione col resto
dellorganizzazione sociale. un sereno momento di sintesi e di tendenziale
concordia tra la propriet, inizialmente composta dagli eredi del fondatore
e poi anche da altri investitori, spesso spersonalizzate istituzioni finanziarie,
e la gestione, il c.d. management, con varie sfumature intermedie. Di questa
coesione, dove si fondono responsabilit, iniziativa e disciplina, do-
vrebbero far parte anche altri c.d. stakeholders, cio dipendenti, fornitori,
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 55

clienti, istituzioni e tutti i vari soggetti toccati da questa moderna forma di


aggregazione sociale.
La coesione tra queste componenti dellazienda dipende anche dallat-
teggiamento della pubblica opinione e delle istituzioni politiche verso di
essa, che a sua volta dipende da quel bagaglio culturale diffuso cui abbiamo
spesso fatto riferimento. Esso parte dal presupposto che, una volta lanciata,
lazienda non pi un oggetto di qualcuno, ma un bene comune
gestito da un corpo sociale privato, che interagisce col resto della collettivit,
ma non di propriet pubblica, cio dellistituzione-Stato. un caso
particolare di gruppo sociale, di piccole dimensioni, che deve autogestirsi,
con un equilibrato pluralismo, tra coloro che in esso interagiscono.
Questa democrazia aziendale proporzionale al peso dellapporto di ciascu-
no allorganizzazione comune, cui dovrebbe proporzionalmente corrispon-
dere una analoga quota di peso politico interno. Nellazienda, a differenza
della democrazia politica, i voti non si contano, ma si pesano, secondo il
famoso aforisma di Enrico Cuccia.
Questa serena integrazione tra le persone che lavorano allinterno della-
zienda molto pi facile se lazienda compresa allesterno, dalla pubblica
opinione e dalle istituzioni.
In paesi dove le aziende si integrano nel tessuto sociale, e sono comprese
dalla pubblica opinione, si riesce a istituzionalizzarle, in una cogestione, che
coinvolge persino i sindacati e sintetizza le forze potenzialmente centrifughe,
riportandole ad unit. Ci pu avvenire sia nel tipico capitalismo renano
giapponese, che ha dato grandi esempi di coesione, coniugando disciplina
e crescita, sia nel capitalismo manageriale anglosassone; non sono infor-
mato sul capitalismo coreano, e dobbiamo ancora vedere come evolver il
capitalismo cinese. certo per che se lazienda non si trova in un conte-
sto organizzativamente ospitale e soprattutto consapevole, con una macchina
pubblica efficiente, tende a disgregarsi, o a mantenere una dimensione padro-
nale, come vedremo subito per lItalia; analogamente, le organizzazioni estere
possono boicottare paesi poco organizzati, dove la macchina pubblica, per via
dei noti fraintendimenti del bagaglio culturale, non riesce ad interagire con
le aziende.
Dove questa positiva interazione si verificata, la socializzazione della-
zienda non avvenuta col suo affidamento ad una burocrazia governa-
tiva, come nellequivoco comunista (par 4.12), ma attraverso il suo inse-
rimento in una trama sociale, in un reticolo di istituzioni operanti secondo
buonsenso. In Italia, anzich il buonsenso, abbiamo un reticolo infinito di
leggi e regolamenti che ciascuna istituzione applica secondo il proprio estro
soggettivo, proclamandosene per vincolata. Istituzioni di vario genere, per
56 Compendio di Scienza delle Finanze

mostrare zelo e legittimarsi davanti a una pubblica opinione diffidente


verso le aziende, formulano contestazioni spesso formalistiche o pretestuose;
un atteggiamento con cui la burocrazia, influenzata dalle tendenze latenti
nella pubblica opinione, vuole apparire zelante, o comunque non intimidita,
verso strutture oggetto di sospetto e diffidenza sociale. Sono incomprensioni
di fondo che, in Italia, hanno ostacolato un capitalismo renano, contribuendo
a un capitalismo nano. Basato cio su aziende relativamente numerose, ma
che non riescono ad istituzionalizzarsi, oltrepassando pochi miliardi di euro
di ricavi. Le singole aziende non riescono a sviluppare la massa critica di in-
vestimenti e risorse necessari a fronteggiare le sfide delleconomia moderna.
un circolo vizioso, dove la concezione antropomorfica dellazienda impedi-
sce listituzionalizzazione del capitalismo a propriet familiare, il che alimenta
ancora la visione antropomorfica dellazienda. Non colpa degli impren-
ditori, n dei dirigenti, ma del contesto culturale, incapace di incentivare
il pluralismo aziendale, dare fiducia alle organizzazioni, integrare lazienda
nellambiente sociale, incentivandone la crescita con la serenit. Le carenze di
bagaglio culturale economico sociale, anche sul concetto di azienda, indicate
ai paragrafi 3.7 e 3.9 ostacolano questintegrazione e istituzionalizzazione
dellazienda nella societ. Sfiducia e diffidenza della pubblica opinione
nei confronti delle aziende ostacolano anche i rapporti, e la fiducia re-
ciproca, allinterno di questo gruppo sociale. Chi opera al suo interno
risente infatti del sospetto circolante allesterno, nei confronti delle aziende,
trasferendolo sulle sue controparti interne. Qualche volta questa diffidenza
tra esponenti dellazienda viene fomentata da terzi interessati, come coniugi
inseritisi nel gruppo familiare dellimprenditore, professionisti che semi-
nano discordia per crearsi lavoro, collegandosi anche al suddetto atteggia-
mento formalistico e pedante della burocrazia. Invece di una integrazione
dellazienda nel tessuto sociale si rischia la sua disintegrazione interna a se-
guito del suddetto clima di incertezza e confusione. Esso rende impossibile
fare a meno di una figura di riferimento, di un padrone su cui scari-
care le responsabilit di ultima istanza. Questultimo preferirebbe forse
un giro daffari di cento milioni, con altri soci, in un clima sereno, ma se il
prezzo sono rischi di frizione con le istituzioni, con i finanziatori, di con-
flittualit interne, e burocrazia, scatta la disaffezione, la stasi, la delocaliz-
zazione, la disgregazione. Col mancato investimento in Italia se si tratta di
multinazionali estere, o la delocalizzazione, se si tratta di italiani. Nessuna
organizzazione aziendale, in quanto votata al business (par. 3.6), chiude per
protesta contro un atteggiamento ambientale negativo, che per contribuisce
a una generale disaffezione verso un paese non amichevole verso i ceti diret-
tamente produttivi. Quando perci c da chiudere, da collocare un nuovo
CAPITOLO III LERA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE 57

investimento o da de localizzarne un altro, queste incomprensioni si fanno


sentire. Disgregazione e disintegrazione aziendale vogliono dire, purtroppo,
disgregazione sociale, che potrebbe essere simile a quella gi verificatasi in
Grecia, con un regresso rispetto allera agricolo artigianale, in una versione
moderna dei cacciatori-raccoglitori(paragrafo 2.1), alla ricerca di prestiti
internazionali, sussidi, redditi minimi di cittadinanza, residuati produttivi,
fino alla raccolta dai cassonetti, anzich lantica ricerca di frutti spontanei
e selvaggina (ormai del resto assenti in un disgregato ambiente postindustria-
le).
Una serena istituzionalizzazione dellazienda importante anche per
il c.d. ascensore sociale, descritto al par. 2.6 per la societ agricolo-artigia-
nale; perch la coesione sociale richiede infatti una valvola di sfogo per le
capacit, limpegno ed i meriti di chi stato meno fortunato per nascita. un
presupposto della societ di mercato, caro al liberalismo, che oggettivamente
rischia di bloccarsi se non giunge a compimento la istituzionalizzazione delle
aziende indicata sopra. Equivoci e incomprensioni, ma soprattutto carenze di
bagaglio culturale, possono bloccare questa istituzionalizzazione. Con la
massima buona fede di tutti, nello scorrere gli odierni esponenti di con-
findustria, troviamo in maggioranza figli degli imprenditori di ieri; ormai,
peraltro del tutto legittimamente, si diventa imprenditori prevalentemente
per ragioni dinastiche, anzich per essersi fatti da soli, come si diceva un
tempo. un fatto oggettivo, connesso a deficit culturali dellintera societ, e
compatibile con la massima buona fede delle dinastie imprenditoriali. un
riflesso del gi indicato rapporto poco sereno della pubblica opinione con
le aziende. Le possibilit di cooptazione sociale dellabilit economica si
sono forse da qualche decennio addirittura attenuate rispetto allera agricolo
artigianale. A somiglianza del sistema feudale sorgono vere e proprie dinastie
familiari che governano gruppi sociali aziendali organizzati e pluripersonali,
certo, ma non ancora completamente istituzionalizzati rispetto alla propriet.
Questultima spesso costretta a occuparsi suo malgrado di questioni che
vorrebbe delegare senza sapere esattamente a chi, perch lincomprensio-
ne sociale verso le aziende crea una diffidenza reciproca. Ci si ritrovano cos
aziende efficienti, ma ancora non del tutto compiute, in quanto non ancora
pienamente autosufficienti rispetto alla propriet, sia nelle questioni strate-
giche sia nella selezione dellalta dirigenza. Col passare del tempo, c il rischio
che la societ attuale italiana appaia pi bloccata di quella agricolo artigiana-
le; questultima infatti, come indicato sopra e al paragrafo 2.6, aveva un ascen-
sore sociale; bench i valori preindustriali comprendessero le differenze
di rango alla nascita, abbiamo visto la possibilit di elevarsi, fino ad essere
cooptati nelle classi nobiliari. paradossale che in una societ moderna,
58 Compendio di Scienza delle Finanze

basata invece sulleguaglianza, la ricchezza dipenda da aziende ormai trop-


po grandi per crearne una con le proprie forze (soprattutto in una economia
stagnante), ma paradossalmente troppo piccole e poco istituzionalizzate, per
potervi fare strada ad armi pari, senza rapporti relazionali con le famiglie
imprenditoriali, oppure con la propriet politica di aziende pubbliche.
In entrambi i casi la capacit manageriale, gi difficile da valutare, ri-
schia di passare in secondo piano rispetto alle capacit relazionale. Rispetto
alla societ agricolo-artigianale, la difficolt di farsi strada in modo trasparente,
per capacit e meriti, tanto pi dannosa quanto maggiore il tasso di scola-
rizzazione. Ne deriva una frustrazione che rischia di indirizzare energie sociali
in senso distruttivo. La mancata istituzionalizzazione delle aziende, col
pluralismo descritto sopra, sembra condurre quindi ad una societ bloccata
da un involontario moderno feudalesimo, preoccupante sul piano della
coesione sociale, in quanto incompatibile col sistema di valori moderno,
giustamente egualitaristico, della pubblica opinione.
Capitolo Quarto
LE ISTITUZIONI NELLERA AZIENDALE:
FALLIMENTI DEL MERCATO
E LECONOMIA PUBBLICA

Sommario: 4.1. I riflessi dellera aziendale sul resto dellorganizzazione sociale: la crisi delle
altre forme di aggregazione (famiglie, comunit territoriali, religiose, etc.). 4.2. Laccresciuta
responsabilit della politica e la diminuzione del suo potere rispetto alla societ agricolo
artigianale. 4.3. Lera aziendale e la politica come riflesso della pubblica opinione. 4.4.
Le esternalit , positive e negative dellera aziendaltecnologica sullambiente sociale. 4.5.
Lalienazione del lavoro come esternalit negativa. 4.6. Linsufficienza delle spiegazioni
socio matematiche della scienza economica. 4.7. Le illusioni sulla capacit del mercato di
trovare un equilibrio (fallimento del mercato). 4.8. Beni pubblici e beni privati, come
sinonimo di attivit, prestazioni dirette al soddisfacimento dei bisogni. 4.9. Beni econo-
mici e istituzioni pubbliche: chiarimenti metodologici ed equivoci da evitare. 4.10. Con-
ferme da altre classificazioni dei beni indivisibili (non escludibili) e divisibili (escludibili o
rivali). 4.11. Levidenza empirica del ruolo economico dello stato sotto qualsiasi regime
politico dellera aziendale. 4.12. Il comunismo come esperimento estremo di assorbimento
delleconomia nella politica. 4.13. Sussidiariet dellintervento pubblico e sua coesistenza
con leconomia privata. 4.14. Lintervento pubblico regolatorio, contro le asimmetrie in-
formative di una societ complessa. 4.15. Lintervento diretto nella produzione e i suoi
rischi di inefficienza (rinvio). 4.16. Unione europea tra economia privata e istituzioni (la
diversit di macchine pubbliche come ostacolo allunione politica). 4.17. Segue: divieti co-
munitari verso restrizioni alla circolazione e alla concorrenza.

4.1. I riflessi dellera aziendale sul resto dellorganizzazio-


ne sociale: la crisi delle altre forme di aggregazione (fa-
miglie, comunit territoriali, religiose, etc.).

Rispetto allera agricolo artigianale, le aziende tecnologiche sono


gruppi sociali nuovi, esaminati nei loro rapporti interni al paragrafo pre-
cedente, e di cui dobbiamo ora vedere i riflessi sulla collettivit in genera-
le. Questo nuovo modo di produrre, e di aggregare gli individui, ha riflessi
talmente forti sulle istituzioni e sulla societ in generale da giustificare
60 Compendio di Scienza delle Finanze

la definizione della nostra epoca come era aziendale. una modifica che
si riflette su tutti gli altri corpi sociali in cui, accanto al nuovo venuto
(lazienda) si articola la collettivit; mi riferisco naturalmente alle famiglie,
alle comunit di vicinato, ai gruppi tenuti assieme da collanti spirituali
di vario tipo, a cominciare da quelli religiosi, ideologici o persino ludici
e sportivi, fino alle istituzioni politico-amministrative, cui dedicato
questo capitolo.
Prima di parlare delle istituzioni per preferibile parlare delle
aggregazioni sociali di base, che si formano spontaneamente come
la famiglia, i gruppi di vicinato, uniti anche da collanti religiosi e
assistenziali, che per molti aspetti erano anche economici. Allinterno
della famiglia agricolo artigianale venivano infatti soddisfatti una serie
di bisogni di base a cominciare dalla procreazione, col sostentamento dei
fanciulli, lautoproduzione per il consumo personale di una serie di beni
e servizi, lassistenza agli anziani, ai momentaneamente infortunati o
inabili. Sono tutte espressioni, in ultima analisi, di autosufficienza sociale.
Era una autosufficienza misera, rispetto alla quale sono fuori luogo sollievo
o nostalgia, approvandola o disapprovandola, secondo una prospettiva
sentimentale, anche perch lo studioso sociale ha i propri sentimenti, ma
non li propone come scienza. Pragmaticamente non si pu n esaltare la
crescita produttivistica senza fine, ignari di cosa si produca e perch, n tornare,
come suggeriscono gli antimodernisti, alleconomia di sussistenza; non importa
che allora magari molti fossero anche pi felici di oggi, a conti fatti, a contatto
con la natura, con la sua spiegazione animistico metafisica; anche se fosse stato
bello, e non un mito elaborato a posteriori, ormai appartiene al passato e non
pu comunque rivivere attraverso la nostalgia.
La mancata corrispondenza tra maggiore benessere e felicit dipende dalle-
quilibrio interiore, non dallorganizzazione della produzione e delle istituzio-
ni. Affrontare la societ industriale col bagaglio culturale precedente rischia
per di aggiungere nuove infelicit. Lo scienziato sociale si rende conto per
che la socialit (paragrafo 1.1) non sopravvive senza coesione. La coesione
un valore immateriale che pu avere diversi contenuti, ma che indispensabile
alla convivenza sociale. Occorre quindi cercare di salvaguardarlo e conci-
liarlo col miglioramento del tenore materiale di vita offerto dallera
aziendale. Questultima ha avuto certamente una portata destabilizzante,
ancorch per molti innegabilmente positiva (consentitemi un giudizio di
valore), sulle precedenti aggregazioni sociali, a partire dalle famiglie. Il gi
indicato ruolo economico di queste ultime stato messo in profonda crisi
dal lavoro presso le aziende che ha fortemente separato la sfera lavorativa
dalla sfera familiare; se si vuole un altro riflesso dellalienazione lavorativa
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 61

descritta al precedente paragrafo 3.8 e che riprenderemo al par. 4.5. diven-


tata pi netta la separazione tra il lavoro in azienda, operaio o impiegatizio,
fuori casa, ed il lavoro casalingo; non a caso lespressione casalinga tipica
dellera aziendale, ed allorigine di una serie di frustrazioni, recriminazioni,
risentimenti e rivalse cui sarebbe il caso di dedicare appositi studi. Lalternativa
tra lavorare fuori dalla famiglia, producendo redditi, e lavorare allinterno,
si posta in modo netto, soprattutto per le donne e gli anziani. Questa se-
parazione lavoro-famiglia ha colpito soprattutto i ceti operaio impiegatizi,
inseriti nelle aziende; le residue prestazioni agricolo-artigianali, ancorch mo-
dificate come descritto al par. 3.3, hanno continuato a vedere molte attivit a
conduzione familiare con la cooperazione, anche lavorativa, di parenti e
dei congiunti. Qui laggregato economico ha continuato ad essere cementato
anche dai sentimenti, portandosi dietro un po dellantica flessibilit lavorativa,
che rendeva possibile utilizzare le energie disponibili di tutti i membri del
gruppo, compresi i vecchi. Solo qui poteva continuare lantica cooperazione
economica, dove ciascuno poteva graduare il proprio contributo lavorativo, in
relazione alle competenze, allet, alla forza fisica e agli altri impegni, familiari
e non.
Guardando la societ in modo complessivo, laggregazione sociale rap-
presentata dalla vecchia famiglia patriarcale ha perso importanza a favore
dellazienda, restando prevalentemente un aggregato affettivo, una struttura
di consumo, basata sempre pi sui trasferimenti finanziari dei suoi mem-
bri, impiegati allesterno. Le vicende esterne lavorativo-aziendali si ripercuote-
vano perci allinterno della famiglia, con le ansie da assunzione, promozione,
trasferimenti, disoccupazione e cassa integrazione. Le odierne espulsioni dal
mondo del lavoro generano traumi individuali e frizioni familiari, che diven-
tano anche sociali.
Lo stesso indebolimento ci fu per le aggregazioni di matrice religiosa,
che pure contribuivano alla coesione sociale; le scienze fisiche fornivano
nuove e convincenti spiegazioni della realt, dandone riprove tecnologiche
con invenzioni senza precedenti. Questo iniettava relativismo della societ,
scuotendo anche i riti e le tradizioni delle chiese. Ne quindi derivato un
bisogno nuovo di coesione, solo in parte soddisfatto, anche in modo tragico
e deludente, da credi politici di varia natura (paragrafo 4.12 sul comunismo).
Questo indebolimento del collante religioso e valoriale (politico ideologi-
co in senso ampio) ha messo in crisi anche le reti volontaristiche di protezione
sociale che si incaricavano, come indicato al paragrafo 2.10, di assistenza a
chi non poteva badare a se stesso. Paradossalmente, inoltre, il miglioramento
del tenore di vita rese percepibili una serie di nuovi bisogni rispetto ai quali
lofferta di queste reti era insufficiente.
62 Compendio di Scienza delle Finanze

Le aziende, da parte loro, non possono risolvere questi problemi: esse in


ultima analisi, come abbiamo visto al paragrafo 3.6, sono gruppi sociali che si
occupano di merci, merendine, vestiti, detersivi, etc.; non hanno il compito di
riflettere sulla societ nel suo complesso, e non possono certo mantenerne la
coesione a colpi di spot pubblicitari. Senza chiedere alle aziende quello che
non sono programmate per dare, vediamo lunica risposta possibile, cio quella
della pubblica opinione, della cultura e delle istituzioni.

4.2. Laccresciuta responsabilit della politica e la diminuzio-


ne del suo potere rispetto alla societ agricolo artigianale.

Gli unici gruppi sociali in grado di coordinare i vari riflessi dellera azien-
dale sono quindi le istituzioni, proiezioni della societ nel suo com-
plesso (paragrafo 1.3). Anchesse sono corpi sociali, ma non operanti,
come le aziende, dietro corrispettivo e nel mondo degli scambi. Esse sono
invece una emanazione della politica, cio della collettivit, e ne sono
mantenute in quanto espressione di potere e fornitrici dei pi volte indicati
servizi generali istituzionali (ad esempio, per chiarezza, eserciti, polizie,
apparati giudiziari e simili).
Lintervento delle istituzioni, cui guardano coloro che, nella dialettica tra
stato e mercato, sono favorevoli al primo, tuttavia difficile. Rispetto allera
agricolo-artigianale il peso della politica sulla societ paradossalmente dimi-
nuito, nellera aziendale. Quando per la produzione era centrale il dominio
della terra, la coercizione, espressa dalla politica, contava molto. Il passaggio
alla centralit dellazienda, cio dellorganizzazione (parr. 3.4 e se-
guenti), riduce invece il ruolo della politica, il cui potere di assegnazione
delle terre influenza meno una economia sempre pi industriale. Pian piano
nellera aziendale diventa possibile organizzare la produzione di beni e servizi
in altri luoghi (paragrafo 7.11), dovunque fossero disponibili i fattori produtti-
vi e laccesso ai mercati di sbocco. Un imprenditore, che conosce le relative
tecniche, pu superare il vecchio vincolo territoriale delle societ agricolo-
artigianali, ed organizzarsi dovunque, dipendendo quindi molto meno dalla
politica. Non vogliamo certamente sostenere che le aziende abbiano preso il
sopravvento sulla politica, anche perch ci non le interessava minimamente
in s. Abbiamo visto infatti che le aziende tecnologiche, in quanto corpi so-
ciali economici e settoriali (limitati cio al prodotto, par. 3.6) non si conside-
rano concorrenti del corpo sociale generale rappresentato dalla politica. Esse
piuttosto si affrancano, in quanto non legate a un territorio, dal dominio
che la politica aveva su di esso. Il loro potere contrattuale di datrici di lavoro,
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 63

di creatrici di ricchezza, di produttrici di ricerca e innovazione tecnologica e


di beni strategici non fine a se stesso, n concorrente con la politica (tanto
pi che economia e politica costituiscono diversi profili di aggregazione degli
individui).
Accanto a questa relativa perdita di poteri della politica, nasceva para-
dossalmente un aumento di doveri. Verso la politica si formarono infatti,
nella fase di passaggio dallera agricolo artigianale a quella aziendal-
tecnologica una serie di aspettative, a seguito delle nuove tensioni so-
ciali, gi indicate parlando delle aziende al capitolo 3, e che riprenderemo
in questo capitolo. La politica subiva anche nuove pressioni dellecono-
mia, che tendeva a riprodursi verso nuove tecnologie e nuovi mercati, con un
dinamismo-disordine senza precedenti rispetto al meccanismo arricchimen-
to-cooptazione, descritto al par. 2.5 per gli imprenditori dellera agricolo-
artigianale. Sarebbe erroneo affermare che il potere economico ha acquisito
potere politico: semplicemente, il potere economico si autonomizzato dalla
politica, diventando pi autosufficiente rispetto ai tempi delle guerre continue
e delle bande di predoni che infestavano le strade e le campagne. I mercati
delle materie prime e dei manufatti non sono controllabili dalla politica come
era controllabile la terra, e travalicano i poteri di intervento degli stati. Per i
quali lalternativa chiudersi, con il controllo del potere militar-coercitivo
che blocca le frontiere, costringendo per i propri cittadini a consumare merci
di minore qualit e convenienza il che, in una societ politicamente aperta,
non pu durare.
Sotto i profili appena indicati la politica ha meno potere sullecono-
mia, ma pi importanza generale per i motivi che vedremo subito.

4.3. Lera aziendale e la politica come riflesso della pubblica


opinione.

Accanto a questa relativa perdita di poteri della politica, aumentavano para-


dossalmente le sue necessit di intervento, nella gestione di una societ pi
complessa. La relativa semplicit dellera agricolo artigianale stata infatti
compromessa anche dalle scienze fisiche, che hanno fortemente intaccato il
collante spiritual religioso, che garantiva coesione alla societ preindustriale.
Cos come lazienda tecnologica, libera dal vincolo terriero, ha ridimensio-
nato il potere politico, le scienze fisiche hanno scosso il potere delle fedi
sulle coscienze, indebolendo un importante elemento di coesione sociale.
Laggregazione attraverso fedi laiche, ad esempio politico ideologiche, ha
provocato lacerazioni sociali e conflitti, anche sanguinosi; verosimilmente
64 Compendio di Scienza delle Finanze

perch i precedenti atteggiamenti totalizzanti, delle societ agricolo-artigia-


nali (par. 2.3) venivano applicati a societ complesse, dove inevitabilmente
coesistevano e si intrecciavano reazioni diverse, sul senso della vita e della
societ. Lunica via duscita la condivisione di una serie di punti co-
muni, sullorganizzazione sociale, la tolleranza reciproca verso le sfuma-
ture divergenti che una stessa societ pu accogliere (pluralismo). Resta
il problema delle concezioni del mondo troppo divergenti, difficili da
coordinare nella stessa societ. Quanto precede spiega limportanza della
politica nella societ industriale, intuita anche dalla pubblica opinione.
Che per tende a fraintenderla, facendola dipendere troppo da contingenti
selezioni dei detentori del potere politico, esiti elettorali, cambi di governo
e simili esteriorit. Senza rendersi conto che la politica la proiezione,
lo specchio di sintesi, della stessa pubblica opinione. Della quale la po-
litica si porta dietro i bagagli culturali, le concezioni dellorganizzazione
sociale, il senso della vita e della societ (cui si pu riferire, relativizzandola
rispetto alla metafisica e alla trascendenza, lespressione filosofica tedesca wel-
tanschauung). Le divergenze, reali o apparenti, nella spiegazione della societ,
si proiettano sulla politica, la quale talvolta crea divergenze per compattare
la societ in una determinata direzione, degenerando nellintolleranza e
nel totalitarismo, che tuttavia vengono anchessi dal basso. Cio dal desi-
derio di semplicit latente nella base sociale, che si incontra col desiderio del
potere politico, generando omologazione, in senso totalitario, della strut-
tura relativista e pluralista, dellera aziendale. Che pu rispecchiarsi in
questo felice passaggio di Karl Popper, che merita di essere integralmente
riportato per indicare la missione residua della societ occidentale, indicata
al paragrafo 3.1. La societ aperta aperta a pi valori, a pi visioni del mondo
. ad una molteplicit di proposte per la soluzione di problemi concreti .. al mag-
gior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua
autodissoluzione, non di tutti: la societ aperta chiusa solo agli intolleranti. Tol-
leranza vuol dire per molti versi reciproco rispetto delle concezioni del
mondo, e anche reciproca comprensione dei vincoli del vivere assieme; basta
pensare agli elementari fili conduttori di questo testo, come limpossibilit
di creare per legge, una ricchezza derivante dallo scambio di prestazioni,
limpossibilit di consumare senza produrre, la presenza di un costo per
ogni prestazione (il noto aforisma secondo cui nessun pasto gratis, nel senso
che anche per le prestazioni sociali gratuite c sempre qualcuno che paga, e
bisogna fare un confronto tra i relativi costi e benefici). Si tratta di evidenze
empiriche, non di valori; forse gli intolleranti di Popper fingono di non
vedere queste evidenze empiriche, imponendo le loro concezioni del mon-
do o le vacueauto legittimazioni di se stessi.
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 65

Il filo conduttore, rilevante ai fini di questo testo, capire limportanza


della politica, come espressione di sintesi della pubblica opinione, il che
induce a diffidare verso aspettative esagerate verso di essa, sproporzionate
al bagaglio culturale della pubblica opinione sui diversi temi di volta in volta
rilevanti. un profilo fondamentale per comprendere le potenzialit e al
tempo stesso i limiti dellintervento pubblico nelleconomia, che mediato
ovviamente dalla politica, come anticipato al paragrafo 1.1 (a proposito della
scienza della finanze come punto di incontro di economia, politica e diritto).
Prima di esaminare le necessit, ed i limiti, dellintervento pubblico nelle-
conomia dellera aziendale, occorre premettere, ai prossimi paragrafi, alcuni
effetti classici della produzione aziendal tecnologica sulla societ in gene-
rale, a cominciare dalle c.d. esternalit.

4.4. Le esternalit , positive e negative dellera aziendaltec-


nologica sullambiente sociale.

Di solito si riconosce allazienda tecnologica di aver giovato al benes-


sere materiale del genere umano, imputandole per di averne danneggia-
to le condizioni spirituali. un ragionamento semplicistico, in quanto
lazienda produce merci e servizi per il benessere materiale delle persone,
mentre lo spirito semplicemente non rientra tra i suoi compiti. Se il baga-
glio culturale, come indicato al par. 3.9, non ha saputo adeguarsi dallera
agricolo artigianale a quella aziendale, colpa di chi doveva sistematizzare
queste nuove conoscenze ed esperienze sociali, non delle aziende, che devo-
no produrre invece merci e servizi. Lo spirito dipende piuttosto dal bagaglio
culturale condiviso, nonch dallatteggiamento di ognuno di noi, che non
pu certo addebitare i propri malesseri esistenziali e le proprie depressioni
alle aziende, come si fa con la frase, in voga dai tempi del boom economico
del secondo dopoguerra, secondo cui la colpa della societ. Forse lerrore
pretendere dalle aziende condizioni mentali che non si possono com-
prare, n recepire meccanicamente da altri, ma solo rielaborare in una
riflessione personale.
Non colpa delle aziende se la specializzazione produttiva rende pi
difficile capire il senso complessivo della societ. Naturalmente era pi com-
prensibile il contesto sociale dei cacciatori raccoglitori, ma non era un merito
di quella forma di sopravvivenza (struttura), bens delle relative spiegazioni
(sovrastruttura). logicamente fuorviante collegare alla struttura economica
la facilit o la difficolt degli strumenti culturali con cui si cerca di spiegarla.
Quando la struttura economica cambia, e diventa pi complessa, compito
66 Compendio di Scienza delle Finanze

degli operatori culturali cercare di spiegarla. Se queste spiegazioni falliscono,


e la societ si trova frastornata coi vecchi bagagli culturali, una mistifica-
zione dare alla struttura produttiva le colpe di un fallimento culturale. Detto
questo, la societ agricolo-artigianale era certamento pi facile da capire.
Allepoca degli affreschi del Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena era
facile capire losmosi tra potere politico, istituzioni ed operatori economici.
Ciascuno di questi ultimi comprendeva il funzionamento degli strumenti
che utilizzava. Lefficienza delleconomia moderna meno comprensibile,
e quindi meno governabile, anche per via delle difficolt di inserimento del
nuovo gruppo sociale azienda nella trama degli altri gruppi sociali, cio la
famiglia e le comunit religiose o di vicinato, come abbiamo visto al para-
grafo precedente.
Una di queste difficolt di inserimento sociale delle aziende riguarda
i costi e i benefici sociali dellattivit delle aziende tecnologiche. Si tratta delle
esternalit cio dei riflessi sociali dellattivit delle aziende tecnologiche. Ci
sono esternalit negative rappresentate classicamente dai costi ambientali
per linquinamento, le malattie professionali, gli infortuni sul lavoro, i costi
di smaltimento ambientale degli imballaggi dei beni di consumo. Possiamo
anche considerare come esternalit negative, per certi versi, la disgregazione
delle famiglie e delle comunit valoriali, ovvero di vicinato, di cui abbiamo
parlato al par. 2.10. Ci sono per anche le esternalit positive, cio le rica-
dute sociali di infrastrutture e soprattutto conoscenze, sensibilit professionali,
generate allinterno delle aziende. Una di esse rappresentata, come vedremo
allultimo capitolo dedicato alla tassazione attraverso le aziende, proprio dal-
la determinazione delle imposte attraverso i conti tenuti dalle aziende per la
propria amministrazione interna.
naturale una certa spontanea tendenza delle aziende, per la loro rigidit
produttiva, e per gli interessi delle categorie che vi gravitano intorno, dai fi-
nanziatori, ai soci agli stessi dipendenti, a socializzare le esternalit negati-
ve, ponendole a carico della collettivit, ad esempio in tema di inquinamento
ambientale, malattie professionali e simili. La stessa tendenza spinge invece a
farsi riconoscere i costi delle esternalit positive, chiedendo contributi pub-
blici per infrastrutture utili allazienda, quando esse tornano utili al resto della
societ.

4.5. Lalienazione del lavoro come esternalit negativa.

Bench pi efficiente (par. 3.11) il lavoro dellera aziendal-tecnologica,


anche pi parcellizzato e complesso.
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 67

Il lavoro manuale, grazie alla macchina ed alla parcellizzazione dei


compiti, da una parte diventa pi produttivo, ma dallaltra diventa in ge-
nere meno qualificato rispetto a quello dellantico artigiano; ci furono,
nellInghilterra del settecento, addirittura rivolte di artigiani (denominate
Luddismo) contro lintroduzione di nuove macchine che ne vanificava-
no le capacit professionali. un apparente paradosso abbastanza facile da
spiegare, perch il lavoro qualificato non sparisce affatto. Esso diventa
invece quello di chi in grado di gestire, progettare, elaborare, costruire,
migliorare, riparare o manipolare le attrezzature tecnologiche su cui si
basa ormai la produzione. Il lavoro diventa, nellera aziendal-tecnologica,
diversamente importante a seconda del proprio rapporto con la mac-
china, come inventore, costruttore, riparatore o utilizzatore, a seconda che
servirsene sia pi o meno complesso.
La differenza tra antichi artigiani e moderni operai, anche specializzati,
riflette una caratteristica che, nellera aziendale, riguarda un po tutti gli indi-
vidui. Cio quella di utilizzare macchine di cui non si conosce lintimo
funzionamento, e neppure i criteri di fabbricazione; una caratteristica ge-
nerale, estesa a chi guida lautomobile o usa computer e cellulari, ignorando-
ne il meccanismo. Questa specializzazione riflette la complessit organizzativa
dellera aziendale, e il potere delle tecnostrutture vere o presunte; nellera
agricolo artigianale, invece, anche chi non sapeva costruire gli utensili era in
grado di rendersi conto delle competenze e dello sforzo per farlo, con margini
di controllo sociale molto maggiori.
Cos come il contesto sociale meno istintivamente comprensibile,
diminuita anche la percezione personale del risultato del lavoro, la possibilit
del committente di valutarne il contenuto in base ai risultati (par. 2.9), come
pure la possibilit del lavoratore di graduarne lintensit in relazione ai propri
bisogni (par. 2.9). Le rigidit aziendali sembrano aver travalicato i cancelli
della fabbrica, diventando rigidit sociali. Masse di forza lavoro, diventato
merce, svolgono compiti di cui, anche per un deficit di bagaglio cultu-
rale (par. 3.9), non capiscono il senso complessivo. Questo mutamento
dellambiente sociale lavorativo, di cui si capisce meno il senso, viene deno-
minato alienazione; non era, forse, un prezzo necessariamente da pagare
per una migliore condizione economica. Questa era sicuramente desidera-
ta dai lavoratori, che furono affrancati dai capricci della natura, tipici dellera
economica agricolo artigianale. Il prezzo da pagare fu per lesposizione ai ca-
pricci del mercato, interpretati spesso come capricci del padrone. In epoche
in cui parlare di sfruttamento non era retorica, si crearono fortissime
tensioni sociali, ponendo le premesse per un intervento dello stato anche
nelleconomia, non solo nella societ, come vedremo al par. 4.11.
68 Compendio di Scienza delle Finanze

4.6. Linsufficienza delle spiegazioni socio matematiche


della scienza economica.

Il successo delle scienze fisiche (par. 3.1) ha inevitabilmente destabilizzato il


sapere, generalmente filosofico e totalizzante, anteriore allera aziendale. in
questo periodo che nasce il nuovo indirizzo di studi sul comportamento uma-
no denominato economia, tendente a spiegare la produzione e lo scambio
di beni e servizi.
Leconomia nasce infatti, come organizzazione delle riflessioni sul soddi-
sfacimento dei bisogni umani, allinizio della produzione di serie; alla fine del
settecento, infatti, si cominciava a percepire la maggiore complessit delleco-
nomia di scambio rispetto a quella di sussistenza, quella dove la produzio-
ne era in buona parte diretta allautoconsumo oppure ad uno scambio
di vicinato, tra soggetti limitrofi.
Latto di nascita delleconomia convenzionalmente collocato in una
gemmazione della filosofia morale, insegnata alluniversit di Glasgow da Ada-
mo Smith, nella seconda met del settecento, mentre la maggior parte dellEuro-
pa era ancora immersa nellera agricolo-artigianale, ma gi emergevano sintomi
importanti di produzione tecnologica di serie. Anche leconomia, col tempo, si
posta il solito problema di legittimazione, tipico dei tentativi di spiegare la
situazione umana e la convivenza sociale, davanti alla rottura dellantica unita-
riet del sapere; la comprensibile risposta stata quella di utilizzare metodologie
esteriormente simili a quelle delle scienze fisiche, per esprimere relazioni tra i
fenomeni sociali di produzione e di scambio. Queste correlazioni tra i compor-
tamenti umani e sociali furono cio inquadrate in formule matematiche e in
relazioni quantitative, che potremmo chiamare sociomatematica. Nacque-
ro cos le curve della domanda e dellofferta, le funzioni degli investimenti in
relazione al saggio dellinteresse, le curve di indifferenza e tante altre analoghe
formulazioni. Queste ipotetiche leggi economiche, imitando le leggi fisiche
collegano causa ed effetto, e presuppongono comportamenti di ipotetici
operatori razionali. Molti lettori, laureati in giurisprudenza, hanno probabil-
mente un ricordo negativo di queste formule, incontrate allesame di economia
politica. Questo rigore formale ha forse la sua importanza metodologica,
come espressione e sistematizzazione del ragionamento, nonch come barrie-
ra allingresso, per la selezione degli studiosi; forse per questo gli economisti
hanno ridotto la tendenza ad auto legittimarsi con discorsi disorientanti e solo
apparentemente in tema, che si verificata in altre scienze sociali (vedi il par.
4.3 del compendio di diritto tributario). In linea generale, infatti, gli economisti
sono tra gli studiosi sociali pi in grado di parlare alla pubblica opinione, svol-
gendo i compiti di cui al par. 5.5.
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 69

Vale la pena di chiedersi se il prezzo pagato non sia stato troppo alto, e
non si potesse raggiungere lo stesso risultato in modo pi efficiente, nel qua-
dro di una riflessione comune sul senso della scientificit e della ricerca nelle
materie umanistico-sociali. La socio matematica non ha infatti giovato alla
sistematizzazione delle variabili che influiscono sulleconomia, e lelegante
purezza della forma (matematica) ha messo in ombra che le concause dei
comportamenti umani sono tantissime, ed hanno un peso diverso da caso
a caso. stata cos data troppa importanza ad alcune correlazioni e ne sono
state trascurate altre, come la fiducia, le asimmetrie informative, lincapacit di
vedere in prospettiva, i problemi burocratici, i vincoli regolatori, la logistica,
la ricerca, la fortuna, linerzia, le tradizioni e tanti altri fattori che influiscono
sui comportamenti umani. Spesso questi fattori, di cui gli economisti erano
perfettamente consapevoli, sono stati trascurati per la difficolt di inserirli nei
modelli, mantenendo la loro eleganza formale. Si trascurato cos che gli ac-
quisti non dipendono solo dal prezzo, ma da valutazioni qualitative, collegate
a scale di valori, (paragrafo 7.6), difficili da misurare; analogamente gli inve-
stimenti non dipendono solo dal tasso dellinteresse, ma anche dal costo del
lavoro, dalla serenit ambientale, dalle tecnologie, dalle opportunit di mercato,
dalle prospettive e non ultima da un progetto validamente proponibile ai
consumatori. La consapevolezza, da parte dei redattori dei modelli, che cera
dellaltro rispetto alle variabili in essi inserite, emerge nellavvertenza coeteris
paribus (a parit degli altri fattori) che loro stessi accompagnavano ai modelli;
un indizio della consapevolezza dellesistenza di spiegazioni, anche impor-
tanti, ma di cui il modello non riusciva a tener conto, mantenendo la sua
eleganza formale. Sarebbe fuori luogo dilungarsi sulla crisi di questi modelli
a seguito dei fallimenti delle previsioni economiche collegate alla globalizza-
zione e alle crisi finanziarie del primo decennio del ventunesimo secolo (con
il pi recente picco nel 2008), di cui i modelli economici non hanno saputo
tener conto, con una perdita di prestigio notevole, anche davanti alle classi
dirigenti e alle pubbliche opinioni. Tanto vero che allinterno degli econo-
misti, comunque studiosi sociali di primo piano per la selezione (bench fuori
luogo) indicata sopra, si sta facendo strada un nuovo criterio di scientificit,
non pi sociomatematico, ma basato sullanalisi empirica del dato sociale;
potrebbe essere una importante convergenza con i giuristi, come studiosi delle
istituzioni.
Ci si sta quindi rendendo conto che leconomia una scienza umana, e
che il rigore metodologico delle scienze della materia non va imitato
esteriormente, ma proficuamente ricercato nel dato sociale, nellanalisi
empirica ed interpretazione dei fenomeni, non nel dato formale della cor-
relazione sociomatematica, quantunque elegante. Lo stesso percorso dovrebbe
70 Compendio di Scienza delle Finanze

compiere il diritto, dal dato normativo (i c.d. materiali legislativi, giuri-


sprudenziali, dottrinali e assimilati) al dato sociale dei comportamenti istitu-
zionali. In questo modo leconomia come studio degli scambi e il diritto
come studio delle istituzioni (par. 1.1) potranno finalmente convergere,
come nella scienza delle finanze, o economia pubblica. Limportante
smettere di imitare le scienze fisiche, accettare laccessibilit sociale delle scien-
ze umane, cercando un rigore informale, con cui coordinare una pluralit di
riflessioni dei nostri simili. Queste riflessioni, una volta coordinate, contribui-
ranno allorganizzazione del gruppo e quindi anche al progresso delle scienze
fisiche. In una armonica sinergia, alla ricerca dellinteresse generale.

4.7. Le illusioni sulla capacit del mercato di trovare un equi-


librio (fallimento del mercato).

Cera per un problema ulteriore, forse il pi complesso di tutti, consistente


nel contributo dello stato per la ricerca dellequilibrio economico. Era un
concetto pressoch sconosciuto nella societ agricolo artigianale, molto flessi-
bile, capace di adattarsi alle bizzarrie delle condizioni climatiche, delle carestie e
delle malattie, basata in gran parte su autoconsumo e scambi di vicinato. Con la
produzione di serie, le quantit di prodotto sono molto meno governabili come
indicato al par. 3.10, e possono affacciarsi crisi di sovraproduzione, su determina-
ti beni, e carenze di altri. I produttori tendono infatti alla propria quota di mer-
cato, alla creazione di valore, senza coordinamento. Le aziende si concentrano
sulle proprie produzioni, che non riescono bene a programmare proprio per
la scarsa conoscenza della societ in generale (par. 3.6).
Ne derivano squilibri domanda-offerta che, secondo la tradizionale
scuola di pensiero liberista, sarebbero stati risolti dal libero gioco delle
forze di mercato e pi in generale dalle scelte spontanee della so-
ciet. Secondo queste teorie, lintervento dello stato non avrebbe dovuto
fare ulteriori passi avanti, in proporzione alla maggiore complessit
dellera aziendale rispetto a quella agricolo artigianale; lintervento pubblico
avrebbe dovuto quindi mantenersi nei limiti della societ agricolo artigia-
nale, gi indicati al capitolo primo (giustizia, difesa, sicurezza, al massimo
infrastrutture). Forse le societ occidentali erano state abbagliate dai successi
industrial-tecnologici delluomo bianco, ma al tempo stesso avevano biso-
gno di una nuova fede, nel mercato, dopo che la scienza aveva scosso i fon-
damenti della religione. Al fondo di queste ottimistiche concezioni cera un
postulato secondo cui il perseguimento dei fini individuali avrebbe dovuto
coincidere con linteresse collettivo. Il c.d. primo teorema delleconomia
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 71

del benessere affermava che lequilibrio tra produzione, investimenti, con-


sumi, finanza offerta di moneta etc., sarebbe stato trovato dal movimento
spontaneo del settore privato; questultimo avrebbe poi anche fronteggiato
le tensioni sociali, le alienazioni, le perdite di identit, il bisogno di sanit,
assistenza, istruzione etc.
Questo ragionamento ha una certa sensatezza, ma trascura che, consapevol-
mente o inconsapevolmente, i fini individuali sono perseguiti, nella massi-
ma buona fede, prevedendone solo le conseguenze immediate, visto che
quelle a lungo termine sfuggono.
Un insieme di aziende dove si pensa solo a produrre merci (par. 3.6) non pu
rendersi conto degli equilibri del mercato, tra la domanda e lofferta, nonch
misurare le effettive esternalit, di cui al par. 4.4. La convinzione che tutto ci
si autoregolasse dimostra una quasi incredibile componente ideologica, quasi
religiosa; tale appunto lidea del mercato che, come una mano invisibile
(la provvidenza divina?), risolve i problemi economici e sociali della produzione
attraverso le aziende tecnologiche. Forse, questa teoria della mano invisibile era
anche un modo per sottrarsi agli interrogativi complessi su come combinare di
volta in volta, per contingenze e per settori, poteri pubblici e iniziativa privata.
La storia ha dimostrato, ex post, quello che il buonsenso indicava ex ante,
cio che questo liberismo estremo non poteva funzionare. Solo nelle-
conomia agricola poteva essere sufficiente il coordinamento basato solo su
difesa, giustizia e ordine pubblico. Leconomia moderna ha invece bisogno di
qualcuno che diriga il traffico, sia coordinando la domanda e lofferta di beni
economici, sia curando quei beni necessari, ma cui nessun privato si dedica.
quello che il settore pubblico dopotutto ha sempre fatto, con le dovute
proporzioni, e che deve semplicemente continuare a fare dove serve, senza
confinarsi pregiudizialmente nei compiti del passato.
Lespressione fallimento del mercato, usata da tutti i manuali di
scienza delle finanze, non deve per dar luogo ad equivoci, come se il mer-
cato fosse da abbandonare del tutto. Lespressione si riferisce al fallimento
dellautosufficienza del mercato nellautoregolamentarsi spontaneamente.
Neppure i teorici del fallimento del mercato ne auspicano leliminazione,
e la sostituzione con un intervento pubblico, che finirebbe come indicato
al successivo paragrafo 4.12 sul fallimento, molto pi immediato e diretto,
dellesperimento comunista; semplicemente un fallimento sotto il profilo
dellequilibrio economico tra produzione, finanza, moneta e consumi, sia
sotto il profilo delle tensioni sociali generate dalle aziende tecnologiche.
Quando lorganizzazione sociale, per sua natura mista, diventa com-
plessa, i pubblici poteri non possono limitarsi a difesa, giustizia e sicurezza, ma
devono anche occuparsi di regolamentazione del mercato e di essere talvolta,
72 Compendio di Scienza delle Finanze

su alcuni servizi essenziali, loro stessi operatori di mercato. Interventi in questo


senso sono cominciati, pragmaticamente, negli stessi Stati Uniti dellottocento,
culla dello sviluppo delleconomia privata e delle teorie dellautoregolamen-
tazione del mercato. Dove si vararono gi le leggi antimonopolistiche, poi
una legislazione sindacale, previdenziale, educativa e di tutela. Anche le
crisi cicliche, tra cui quella gravissima del 1929, ricordano limportanza di un
equilibrio tra mercato e stato. Lultima delusione del liberismo la glo-
balizzazione selvaggia, con la delocalizzazione del lavoro manuale, materiale,
tecnico, di cui riparleremo al par. 7.11.
Il fallimento del mercato non significa quindi eliminazione del mercato,
ma necessit di equilibri, coordinamento e osmosi, con una proporzionale
estensione dello stato a settori e obiettivi in precedenza lasciati allo spontanei-
smo degli scambi privati.

4.8. Beni pubblici e beni privati, come sinonimo di attivi-


t, prestazioni dirette al soddisfacimento dei bisogni.

Linadeguatezza del bagaglio culturale trasmessoci dallera economica agri-


colo artigianale emerge anche a proposito della confusione esistente sullinter-
vento pubblico. Si mettono infatti sullo stesso piano forme di intervento pub-
blico molto diverse tra di loro, e si utilizza una terminologia impropria come
quella di bene (pubblico o privato) per sottintendere una attivit, o meglio
una determinata funzione. Si parla infatti di beni pubblici e beni privati
senza distinguere le funzioni giuridico istituzionali, nella societ in generale, e
lattivit economica diretta agli scambi bilaterali. Quando gli economi-
sti e gli scienziati delle finanze parlano di beni pubblici e beni privati non
sottintendono cose materiali, bens prestazioni dirette al soddisfacimento di
bisogni. Su questa premessa, il bene non un oggetto inanimato, ma uno
strumento per la soddisfazione di un bisogno, ed in una certa misura per la rea-
lizzazione di un sogno; spessissimo (per non dire sempre, ma sarebbe troppo
lungo soffermarvisi) la soddisfazione di entrambi dipende dalla collaborazione
di altri individui, di articolazioni del gruppo sociale.

4.9. Beni economici e istituzioni pubbliche: chiarimenti me-


todologici ed equivoci da evitare.

Dopo aver chiarito lequivoco tra beni (pubblici e privati) e effettuazio-


ne di prestazioni, dobbiamo anche chiarirne un altro solo in parte termino-
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 73

logico, nato nellodierna era aziendal-tecnologica, ma riferibile anche allera


agricolo artigianale, in quanto riguarda il rapporto tra economia e attivit
delle istituzioni pubbliche. Forse gli economisti, sul tema, generalizzano un
po, commettendo lerrore degli aziendalisti che hanno appiattito ogni uma-
no consesso nel concetto di azienda, con lequivoco concetto di azienda di
erogazione (paragrafo 3.9); allo stesso modo, per gli economisti, tutti i beni
(nel senso ampio di cui al paragrafo precedente) diventano beni economi-
ci, trascurando quelli che sfuggono agli scambi bilaterali, e derivano invece
dallattivit delle istituzioni pubbliche. C un esempio molto citato di Ei-
naudi, che parla del mercato e dei carabinieri (si trova facilmente digitando
Einaudi, Carabinieri, Mercato su Google), in cui si ribadisce che il funzio-
namento delle istituzioni un presupposto per il buon funzionamento
del mercato. Esso per fornisce beni economici, mentre difesa, giustizia,
sicurezza e gli altri servizi delle istituzioni possono essere considerati beni
economici sono ampliando questa nozione fino al punto di includervi tutto
quanto possa migliorare la vita, ivi compresi magari anche lamicizia e lamo-
re. Nulla di male, basta capirsi, e chiarire in che senso si usano i termini, ma
limportante non accostare affermazioni fuorvianti. Possiamo anche con-
siderare beni economici persino le prestazioni non suscettibili di scambio
bilaterale e fornite, gi nellera agricolo-artigianale, dalle istituzio-
ni, come la difesa militare, lordine pubblico, la salubrit dellaria, la
giustizia; parlare di queste attivit come beni pubblici in un contesto in
cui si polemizza sullintervento pubblico confonde le idee perch in questi
settori lintervento pubblico c sempre stato e nessuno, neppure i liberisti
pi accesi, si sogna di metterlo in discussione. Sono pacifici i riflessi, sulleco-
nomia e sugli scambi, di una buona qualit dellintervento delle istituzioni
pubbliche coercitive (par. 1.4). Lo si percepiva gi nel medioevo, con le
allegorie del buono e del cattivo governo, dipinte dai Lorenzetti nel palazzo
pubblico di Siena. Erano per interventi esterni alla sfera degli scambi
economici: cos come lossigeno, la pioggia, latmosfera sono indispensabili
premesse alla vita sociale, non ne fanno per parte; accanto a queste premes-
se naturali degli scambi economici, ci sono anche loro premesse sociali,
come appunto la sicurezza, la giustizia e la difesa. Questi servizi istituziona-
li sono indispensabili alleconomia, restandone per al di fuori. Essi infatti
non si prestano n allo scambio bilaterale, n al possesso individuale, e sotto
questo profilo sono astrazioni, espressive di un contesto ambientale, ma
non sono negoziabili sul mercato. La loro rilevanza economica sussiste
solo perch sono utili alleconomia e agli scambi: possono considerarsi beni
economici al massimo in quanto utili alleconomia, ma in questo senso
ripetiamo che anche i sentimenti lo sono. Solo che n i sentimenti n la-
74 Compendio di Scienza delle Finanze

zione dei poteri pubblici seguono le vie del consenso economico, bens
quelle, molto meno lineari, dellaffetto e della solidariet personale, nonch
del consenso politico, pervaso quindi dal sistema di valori, dallim-
magine pubblica, prodotta nella pubblica opinione e nella classe dirigente,
dalla formazione, dalla cultura e dai mezzi di informazione, secondo un filo
conduttore del presente scritto.
Trascurare queste differenze porta a delegittimare in modo metodolo-
gicamente scorretto la tesi dellautosufficienza del mercato, come se essa
volesse sbarazzarsi dellintervento pubblico anche per le funzioni pubbliche
tradizionali dellera agricolo-artigianale, come sicurezza e giustizia; si pu
dissentire dagli economisti liberisti, ma essi non propongono ripetiamo
di far arretrare i pubblici poteri rispetto ai loro precedenti compiti. Le loro
proposte sono solo di non ampliare lintervento pubblico, portandolo in
concorrenza con lattivit economica; la loro critica riguarda lamplia-
mento dellintervento pubblico da difesa, sicurezza, giustizia, infrastrutture,
moneta e credito, ad altri settori cui i privati possono provvedere da soli;
cio istruzione, previdenza, sanit, ricerca scientifica, ambiente, energia, ed
altri settori su cui lofferta pubblica fungibile rispetto a quella privata.
Sono tipi di intervento pubblico collocati su piani diversi e confonderli
disorienta il gi debole bagaglio culturale della pubblica opinione; la difesa,
la sicurezza, la giustizia e altri interventi istituzionali del pubblico po-
tere, sono infatti oggettivamente diversi da prestazioni scambiabili sul
mercato. Confonderli in un generico concetto di beni economici sembra
trascurare che, come indicato al par. 1.4, lantico potere politico non espri-
meva beni economici, ma era per molti versi al di sopra delleconomia, ed
effettivamente, come descritto al capitolo secondo, aveva proprio per questo
maggiori margini per influenzare un andamento positivo di una economia
agricolo artigianale. Questa confusione delegittima, talvolta in mala fede, le
proposte liberiste, presentandole come una specie di anarchia di mer-
cato, dimenticando che esso, dai tempi delleconomia agricolo-artigianale,
fatto di prestazioni e controprestazioni basate sulla scelta e sul consenso.
Sono prestazioni che si inseriscono in una convivenza sociale pi ampia e
articolata, di cui anche la sfera economica fa parte. La dialettica tra liberisti
e statalisti riguarda quanto debba inserirsi lo stato nella sfera economica,
ferme restando le precedenti funzioni istituzionali pubbliche (che ripetia-
mo sono economiche solo in senso ampio e riferibile quindi anche
alla societ agricolo-artigianale). Si pu discutere quanto si vuole sulla giusta
combinazione tra stato e mercato, ma etichettare i liberisti come teorici
della scomparsa dello stato, anche rispetto alle proprie precedenti funzioni
istituzionali , sul piano argomentativo, un colpo basso. Un espediente intel-
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 75

lettualmente disonesto cui purtroppo esponenti statalisti, convinti di dover


salvare il mondo, si sono talvolta lasciati andare.

4.10. Conferme da altre classificazioni dei beni indivisibili


(non escludibili) e divisibili (escludibili o rivali).

La confusione economica, indicata al paragrafo precedente, tra beni e


attivit confermata da altre classificazioni, sempre degli economisti, sul
concetto di beni indivisibili. Appare chiaro che non si tratta di beni, ma di
bisogni, quando si sottolinea che ne possono fruire tutti, come appunto
naturalisticamente la luce del sole o laria per respirare. Pi semplicemente,
non erano beni oggetto di scambio, ma precondizioni della vita umana, op-
pure erano astrazioni relative allazione istituzionale, come la difesa, la giustizia,
la sicurezza, diverse da attivit suscettibili di contrattazione o di scambio bila-
terale. Abbiamo gi visto per lera agricolo artigianale che si tratta di prestazio-
ni fondamentali, appartenenti per alla sfera di attivit delle istituzioni,
cio della politica e del diritto, anzich allambito delleconomia. Ai beni of-
ferti sul mercato non erano insomma assimilabili la difesa esterna, la sicurezza,
luso delle infrastrutture collettive, offerti a tutti in quanto non divisibili. Le
funzioni svolte per secoli dalle pubbliche autorit, nel controllo del territorio
da pericoli esterni, nella sua estensione a danno di altri popoli, nellordine
e sicurezza interni, avvantaggiavano inevitabilmente tutti gli appartenenti al
gruppo; questo non solo e non tanto per una scelta di valore, quanto per una
difficolt pratica, in quanto una discriminazione avrebbe comportato un costo
aggiuntivo, sarebbe stata cio troppo complessa. Non serve infatti spendere
energie per escludere qualcuno dal godimento di un bene, come la pace o
la sicurezza, che gli si pu fornire senza costi aggiuntivi. Se si tenevano lon-
tane le bestie feroci, le malattie o le orde barbariche, tanto valeva farlo senza
esclusione, per tutti gli appartenenti alla collettivit. Da qui, appunto, lespres-
sione di beni non escludibili, che nella societ industriale si estesa alluso
delle strade, allilluminazione pubblica, al verde pubblico o alligiene urbana
(ne riparleremo al par. 6.6). I beni non escludibili sono anche solitamente
non vendibili, sottratti al mercato, allo scambio; per questo, come rile-
vato sopra, non sono beni economici, ma un presupposto per una migliore
attivit economica, di autoconsumo prima e di scambio (mercato) poi.
Gi tra le funzioni pubbliche istituzionali descritte a proposito delleconomia
agricolo artigianale troviamo attivit divisibili, come la sicurezza o la giustizia,
che potevano essere garantite, in gruppi sociali remoti, o in certe condizioni
anche nei gruppi sociali moderni, solo a determinate categorie di individui e
76 Compendio di Scienza delle Finanze

non ad altri. A differenza della difesa o delle infrastrutture concepibile che


queste funzioni pubbliche siano fruite da alcuni e non da altri, e in alcuni casi
ci pu dipendere non da pregiudizi etnici o politici, ma proprio da condi-
zioni che generano un eccesso di richieste, ad esempio di giustizia, sicurezza
o sanit; ci conferma che i valori assoluti non esistono in quanto tutti i
valori devono fare i conti con la limitatezza delle risorse disponibili. Proprio
a proposito della giustizia o della sicurezza emerge per la natura istituziona-
le, offerta attraverso il gruppo e quindi limpossibilit di riportare del tutto
questi bisogni a una dimensione economica. Tutti abbiamo sotto gli occhi gli
istituti di vigilanza privati, ed concepibile una giustizia privata a pagamento.
Entrambi per hanno bisogno di un riconoscimento pubblico, di una accet-
tazione sociale per la propria legittimazione nei confronti di tutti i consocia-
ti. Questo riconoscimento una questione valutativa, non economica, ed
espresso dai valori del gruppo, in teoria senza limiti. Anche se la collettivit
pu avere limitatezza di risorse per pubblica sicurezza o tribunali pubblici,
non ha limiti materiali nellapprovare o disapprovare il comportamento dei
suoi componenti che, in queste condizioni, si organizzano per soddisfare in
proprio questi bisogni. Anche sotto questo profilo emerge che le istituzioni
politico giuridiche sono in gran parte questione valutativa (valoriale) e
non materiale, come leconomia.
Per i classici beni economici, oggetto di scambio bilaterale, questo profilo
di approvazione o disapprovazione del gruppo irrilevante a soddisfare i biso-
gni. Si tratta dei beni gi prodotti nellera agricolo artigianale, e chiamati dagli
economisti moderni beni rivali, nel senso che il consumo di una merce,
o di un servizio, da parte di un individuo, impedisce possa fruirne un altro
individuo.
Si confermano quindi, per lera economica aziendal-tecnologica, molti
concetti individuati al capitolo secondo per quella agricolo artigianale. Lo-
smosi tra azione pubblica e azione privata nellorganizzazione sociale
la stessa, solo che lazione pubblica inizia a estendersi dalla societ
alleconomia. Per questintervento in alcuni settori economici, da scegliere
gestendo le situazioni che di volta in volta si presentano, necessario a pre-
servare lo stesso antico circuito in cui lazione pubblica difendeva le attivit
produttive, in genere agricolo artigianali ma dallaltro ne veniva alimentata.
Solo che oggi le esigenze sono diverse, e riguardano tenuta sociale, coesione,
organizzazione, etc.. Anche oggi, come nei secoli passati, il potere, non crea di-
rettamente ricchezza, non sfrutta le terre, non ne trasforma i frutti in prodotti
alimentari, non tesse la lana, ma pone le condizioni perch leconomia possa
organizzarsi in questo senso. Anche a costo di intervenire in alcuni settori dove
potenzialmente potrebbe operare leconomia. A ben guardare la complessit
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 77

dellera aziendaltecnologica consiste proprio nel corto circuito, cio nella pos-
sibile sovrapposizione, tra politica ed economia, con la politica che interviene
non solo nella societ, ma anche direttamente sulleconomia.Vediamo come.

4.11. Levidenza empirica del ruolo economico dello stato sot-


to qualsiasi regime politico dellera aziendale.

Le teorie sullautosufficienza del mercato sembrano essere pi una pro-


fessione di fede (rivestita dalla formula di primo teorema delleconomia del
benessere) che il frutto di una riflessione. Questultima smentisce invece uni-
vocamente che il ruolo dei pubblici poteri e delle istituzioni, nellera azienda-
le, possa essere lo stesso che veniva svolto in quella agricolo artigianale. Resta
poi da vedere in astratto, e soprattutto da gestire in concreto, la combinazione
ottimale tra economia privata e intervento pubblico, ma vediamo intanto per-
ch leconomia privata non autosufficiente. Una ragione macroscopica in-
dicata al paragrafo 3.6 a proposito dellanalisi delle aziende tecnologiche come
metafore per indicare gruppi sociali tenuti insieme dal prodotto, e che solo a
quello sono in grado di pensare. Come tali sono entit in grado di governare
solo se stesse, ma nessuna di esse metter in discussione il ruolo del proprio
prodotto per la societ nel suo complesso, perch di questo vive e da questo
tenuta assieme. A una azienda dolciaria, ad esempio, non si pu chiedere
senso critico sulle merendine, ad una farmaceutica sulle proprie pastiglie, ad
una tessile sulle proprie camicette, a una autostradale sui criteri di mobilit, e
via enumerando. Lazienda non guarda pi in l del prodotto o se si preferi-
sce guarda il mondo attraverso il prodotto. una delle tante ragioni per cui
linsieme delle aziende non in grado di governare il mercato, che del resto
come entit senziente non esiste, n muove la sua imprecisata mano invisibile.
Le aziende sono importantissime, ovviamente, e da loro dipende la ricchezza
delle nazioni nella nostra era economica cui esse, del resto, danno il nome. Le
aziende servono per a produrre, non a governare, e sul piano generale del
governo esse neppure si pongono. Cos come lera agricolo-artigianale non
era governata dagli agricoltori e dagli artigiani, ma dagli organizzatori della
conquista e difesa del territorio (par. 2.5) neppure lera aziendale pu essere
governata dalle aziende. Ripetiamo che esse non sono strutture di governo
generale della societ, ma di produzione di beni e servizi, coordinabili solo
attraverso la politica, espressa dalla societ.
Questa necessit di ampliare lintervento pubblico rispetto a quello
delleconomia agricolo artigianale confermata dalla storia. Dove qualsiasi
governo di societ industriali, per quanto liberista a parole, si in qualche
78 Compendio di Scienza delle Finanze

modo inserito nei processi economici, e nessuno si attenuto al proposito di


mantenere lintervento statale nei limiti di quello esistente nella societ agricolo-
artigianale. Si infatti passati da qualche timido intervento ad inglobare program-
maticamente leconomia nella politica, come vedremo al prossimo paragrafo.

4.12. Il comunismo come esperimento estremo di assorbimen-


to delleconomia nella politica.

Tra stato e mercato possono esserci varie sfumature, che piano piano
muovono verso gli estremi, alcuni dei quali (ad es. Nazismo e Fascismo) furono
regimi dittatoriali, pi o meno efferati, ma limitati allorganizzazione pubblica.
Laspetto singolare del comunismo era invece la sparizione delleconomia pri-
vata ed il suo assorbimento nelleconomia pubblica. Come se leliminazione
del fantomatico profitto, chiaramente sopravvalutato come indicato al para-
grafo 3.12, potesse risolvere i problemi di equilibrio, ed i problemi culturali,
di cui ai paragrafi 3.7 e 4.5. Era una specie di ultima religione, materialista
in quanto influenzata dalle scienze fisiche, e che quindi collocava sulla terra,
nel futuro, il proprio paradiso. Lo strumento era labolizione della propriet
privata dei mezzi di produzione, riservandola alla burocrazia politica. Il di-
vieto riguardava a rigore lazienda in senso personale, fatta cio di altri uomini,
eliminando appunto lo sfruttamento (parola che oggi non si usa quasi pi)
delluomo sulluomo. La propriet privata era quindi ammessa per i
beni personali, il denaro, lorticello familiare, il mobilio, le biciclette e le auto-
vetture Skoda, le case e persino le dacie cio le seconde case della trionfante
nomenklatura burocratica. In economia erano tollerate aziende cooperative
e in una fase tarda anche il lavoro indipendente, ancorch guardato con so-
spetto per timore che fosse lanticamera di aziende in senso personale. Dietro
questabolizione della propriet privata dei mezzi di produzione ci sono le
riflessioni svolte al capitolo precedente sullazienda come aggregazione sociale
e quindi in un certo senso bene comune; la sua rilevanza pubblicistica non
riguarda un fantomatico interesse nazionale come nelleconomia corporativa
fascista, ma la sua sostanza di gruppo di persone, inidoneo ad essere pro-
priet di qualcuno. Vengono quindi naturali le riflessioni gi formulate sulla
impossibilit di possedere gli individui come gli utensili e le merci. Il fallimen-
to dellesperimento comunista, pur con la massima buona fede di molti
suoi sostenitori1, dipese dallillusione di poter fagocitare leconomia allinter-

1
Del resto, una fede si deve sostenere In buona fede, pur essendo la negazione di una societ
aperta ed altrettanto in buona fede moltissimi sono diventati per questo anticomunisti. Sem-
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 79

no della politica; se scorriamo Il Manifesto di Marx ed Engels troviamo del


resto tracce evidenti del bagaglio culturale agricolo artigianale, e di aspettative
quasi fideistiche verso la politica, come espressione del proletariato.
Il risultato fu una societ interamente assorbita nella politica, senza plu-
ralismo di opinioni, in cui non si poteva discutere su chi dovesse fare cosa,
in quanto ci aveva gi pensato il partito. Che inevitabilmente gestiva una
dittatura con intromissioni persino nella cultura e nellarte, cui era dettata
la linea del partito, col realismo socialista in pittura, ma anche nella musi-
ca, nella poesia, nella letteratura.
Comunismo significava infatti supremazia della politica sullecono-
mia, mentre le dittature di destra, sorte anche per paura del comunismo (Ger-
mania, Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Cile, Argentina, e altre), mantenevano
molte libert economiche. Il comunismo si trasform quindi in capitalismo
di stato, governato da una tecnocrazia tenuta in grande considerazione, ma
sottoposta ad una burocrazia onnipresente ed invasiva. Il comunismo non
stato una evoluzione di economie capitalistiche, come aveva predetto Marx,
ma ha attecchito in economie ancora agricole e arretrate (Russia e Cina),
contro il vecchio potere quasi feudale delle vecchie aristocrazie; nella prima
sappiano come sono andate le cose, mentre nella seconda il regime si evoluto
verso il mercato, mantenendo il totalitarismo politico, senza diritti sin-
dacali, facendo coesistere il libero mercato con una politica autoritaria, come
gi avevano anticipato i fascismi europei. una specie di nemesi verso lin-
tellighenzia comunista nostrana, che per decenni ha parlato di sfruttamento,
e che ha visto svanire la classe operaia italiana per la concorrenza di una
dittatura comunista di mercato, che non tutela i lavoratori. Laccodarsi
di tanti studiosi sociali dietro affermazioni antistoriche sulla eliminazione
della divisione del lavoro, rivela tutto il bisogno di fede di cui sono state
intrise queste discipline; si conferma cio la continuit del tentativo marxi-
sta rispetto alle filosofie occidentali su una spiegazione globale dellesistenza,
trascurando lanalisi empirico-pragmatica della convivenza sociale, con la sua
dialettica tra stabilit e mutamento. Questo grosso incidente di per-
corso nel ragionamento ci fa ritrovare al punto di partenza dopo qualche
decennio di guerre, stragi, terrorismo, timori di disastri nucleari, bisticci da
talk show, recriminazioni in cui ci si rinfacciavano nefandezze storiche. Per ri-
partire da capo sulle ineliminabili combinazioni di pubblico e privato nella
convivenza sociale, rispetto alle quali in Italia siamo indietro di decenni
anche per via dellequivoco cui dedicato questo paragrafo. La singolarit

plicemente perch ci vuole ordine, certo, ma non piace vivere avendo sempre qualcuno che ti dice
quello che devi fare.
80 Compendio di Scienza delle Finanze

della vicenda istruttiva sulle condizioni delle scienze sociali, non laffer-
mazione concreta di tali ideologie in alcuni paesi politicamente arretrati,
ed ancora in parte contadini salvo quelli occupati militarmente dopo la secon-
da guerra mondiale. La singolarit piuttosto il seguito che esse hanno avuto
nella pubblica opinione, negli studiosi sociali, nellintellighenzia di paesi che
comunisti non erano, fino ai paradossi del conformismo culturale (compre-
so quello di molti ex fascisti ravveduti), della c.d. gauche au caviar, trasfiguratasi
nel politicamente corretto (cfr. Aristodem, un godibile volumetto di tale Daniela
Ranieri). La discussione politica si quindi radicalizzata prima, e insterilita
poi in astrattezze pregiudiziali, trascurando la pragmatica ricerca caso
per caso della migliore combinazione tra organizzazione privata e pubblica.
Questo stallo dialettico ha contribuito fortemente alla paralisi della macchi-
na pubblica italiana, ed alla crisi delle istituzioni. Pesante eredit di sterili con-
trapposizioni ideologiche, usate anche come legittimazione di poteri politici
demagogici e parassitari. Certo, poteva andar peggio, ma bisogna sempre
cercare di migliorare, cio di capire le combinazioni tra economia privata e
intervento pubblico.

4.13. Sussidiariet dellintervento pubblico e sua coesistenza


con leconomia privata.

Nelle scienze umane e sociali costante la contrariet agli eccessi, e il


richiamo al giusto mezzo (in medio stat virtus), dietro al quale si trova un sano
pragmatismo, che riflette la necessit umana di adattarsi alle circostanze,
non a preconcetti astratti. Come quelli su un fantomatico rapporto ot-
timale, dato una volta per tutte, tra economia privata ed intervento pubblico.
Davanti alla combinazione stato mercato non ci si deve porre in modo ide-
ologico e preconcetto, come quanti sostengono che lo stato minimo sia un
valore in s, oppure quanti ritengono che il privato miri biecamente al profit-
to, considerando nemici dei poveri, egoisti, e venduti al capitale, quanti rile-
vino lo spreco, linefficienza, le clientele, lassistenzialismo, la corruzione legate
allintervento pubblico. C spesso una tendenza a confondere i piani, come
se analizzare lefficienza della spesa per la sicurezza, o per lassistenza a deter-
minate categorie, ad esempio i vecchi, gli animali o i diversamente abili fosse
un attacco alle categorie di riferimento; il disturbatore viene cos accusato
di essere contro i malati, gli immigrati, i vecchi, gli animali o i diversamente
abili. una vecchia tecnica retorica, utilizzata dai sostenitori dello status quo
rispetto alle verifiche di efficienza, che potrebbero portare un maggior bene-
ficio proprio ai malati, agli immigrati, ai vecchi, ai diversamente abili, etc. etc.
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 81

Un qualche intervento pubblico, diretto o indiretto, nei settori oggetto


di tensioni sociali (sanit, istruzione, etc.), comunque socialmente necessario.
Dopo la dissoluzione delle reti familiari e private di cui al par. 4.1 politi-
camente improponibile escludere tali tutele per chi non pu permettersele a
pagamento. Non si pu semplicemente fare finta di nulla, e rinviare fideistica-
mente al mercato: almeno bisogna porsi un problema di efficienza economica,
di coerenza tra risorse spese e risultati conseguiti. Ci si deve chiedere se sia
opportuna una gestione pubblica diretta, oppure una regolamentazione, oppu-
re regimi di convenzione o un misto dei tre, come vedremo ai paragrafi 4.14
e ss.. Poi magari in concreto si pu escludere, in un certo contesto di tempo
e di luogo, un intervento dello stato, ma dopo una valutazione di vantaggi e
svantaggi, non per una opzione ideologica.
Ci premesso, se lintervento pubblico fosse efficiente, come un moder-
no sostituto della divina provvidenza, forse non staremmo qui a discutere;
pochi avrebbero obiezioni a un suo intervento a tappeto. Ci sarebbe qualche
interrogativo a proposito dei minori margini di libert, ma neppure ci si arriva,
perch il primo problema lefficienza. Il principio di sussidiariet (infra in
questo paragrafo) insegna quanto sia diventata diffusa la consapevolezza
che il controllo del cliente provochi pi efficienza di quello, generico, della
pubblica opinione (paragrafo 5.3), che invece spesso genera inefficienza;
ci si resi conto che le buone intenzioni di garantire servizi sociali a tut-
ti portano spesso, ad esempio, a ospedali fatiscenti, dove i malati soffrono
nel lassismo e nellindifferenza, ma che, per disfunzioni gestionali, costano
ai contribuenti pi di cliniche svizzere. Lanalisi della quantit della spesa
pubblica diversa da quella della qualit, e spesso limportanza generale di
una tipologia di spesa viene utilizzata politicamente per contrastare attacchi
a sperperi concreti diffusi nel settore. Anche i confronti tra la spesa pubblica,
per una determinata finalit (difesa o istruzione), secondo parametri analoghi
in altri paesi, ci informano su quanto si spende, ma non ci dicono se da noi si
spende bene o si spende male rispetto allaltro paese.
Se si scende dalle contrapposizioni ideologiche pregiudiziali alla vita con-
creta, anche sui servizi a domanda individuale (divisibili) le contrapposizioni
tra liberisti e statalisti sono molto meno nette di quanto pu sembrare a
prima vista. Si possono individuare delle costanti, come quella secondo cui
lintervento pubblico si deve dimensionare rispetto alle condizioni delle-
conomia privata, cui spetta in prima battuta far fronte ai bisogni umani
che possono essere soddisfatti mediante lo scambio. Ove leconomia privata
abbia bisogno di indirizzo, coordinamento, controllo, oppure sia incapace, da
sola, a soddisfare determinati bisogni umani socialmente importanti, linter-
vento pubblico deve coordinarsi con essa.
82 Compendio di Scienza delle Finanze

Si tratta di indicazioni conformi al cosiddetto principio di sussidiariet,


come criterio di coordinamento tra stato e societ civile, nonch tra poteri
pubblici di livello superiore e di livello inferiore, quindi pi vicini ai cittadini
(art. 118 della costituzione). un principio accolto anche dallunione europea,
come vedremo al par. 4.16 e dalla dottrina sociale della chiesa.
Da questo concetto viene la conferma che la ricchezza non si produce
per decreto, e viene prima di tutto dallattivit privata di scambio di beni e
servizi. In questo modo si valorizza anche lintuizione secondo cui lindividuo
in linea di principio pi capace di rendersi conto dei propri bisogni ed in-
teressi rispetto a quanto sappiano fare i pubblici poteri per lui. La politica pu
creare ricchezza direttamente, cio organizzando i fattori produttivi e metten-
dosi sul piano di qualsiasi altro operatore economico, oppure indirettamen-
te, valorizzando limpegno, liniziativa, lentusiasmo, la progettualit, in ultima
analisi il buonsenso, evitando rigidit legalistico-burocratiche. Daltro canto,
nellera economica aziendal-tecnologica, il potere politico deve intervenire in
settori molto pi numerosi di quanto fosse nellera economica agricolo-arti-
gianale. Serve senza dubbio un intervento pubblico ulteriore rispetto a quello
delleconomia agricolo-artigianale, in uneconomia necessariamente mista. In
essa bisogna organizzare riflessioni, serene e pluraliste, sulla ripartizione e il co-
ordinamento dei compiti tra attivit private e attivit pubbliche, molto pi
intrecciate che in passato. Sono queste le premesse di una societ aperta, dove
gli equilibri e le integrazioni tra pubblico e privato non sono dati una volta
per tutte, ma cambiano in relazione alle contingenze e allinteresse generale.
il carattere strutturalmente misto delleconomia e dellorganizzazione so-
ciale, radicato nei periodi agricolo-artigianali, che si rafforza, in forme diverse,
nella societ industriale e postindustriale. Un primo passo la consapevolezza
della pubblica opinione che il potere viene dal consenso, ma deve svolgere un
servizio, e che la ricchezza viene dallattivit umana, materiale, organizzativa
e intellettuale, ed quindi qualcosa che si crea e si rinnova, non uno stock che
si spartisce.
Il principio di sussidiariet, e la consapevolezza del rapporto mutevole tra
economia e istituzioni, sdrammatizzano cos le contrapposizioni astratte tra li-
beristi e statalisti. Socialdemocrazia e liberalismo appaiono come gradazioni
diverse di una economia strutturalmente mista; le combinazioni tra stato e
mercato sono numerosissime a seconda delle materie, e tra esse bisogna ricer-
care quella pi rispondente allinteresse generale nel caso concreto, nelle varie
articolazioni dellorganizzazione sociale.
In una societ coesa non c infatti una sola integrazione tra stato e merca-
to, ma una osmosi che pervade i vari settori della convivenza. Questa articola-
zione dei rapporti pubblico-privato ci ricorda che la matrice di entrambi il
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 83

gruppo sociale, che da una parte esprime lorganizzazione pubblica nei servi-
zi istituzionali e dallaltra realizza, negli scambi di mercato, quella privata.
Non ha quindi senso uno scontro di principio, una guerra di religione dove il
pubblico si contrappone al privato; c piuttosto una osmosi settoriale,
nelle varie articolazioni della vita associata, come difesa, sanit, trasporti, istru-
zione, giustizia, settori diversi della produzione aziendale, ricerca scientifica
etc. In alcuni di questi settori la mano pubblica si inserisce sulliniziativa pri-
vata, e viceversa, gestendo in entrambi i casi problemi di organizzazione con
fornitori, utenti/clienti, forza lavoro, finanziatori, banche, etc..

4.14. Lintervento pubblico regolatorio, contro le asimmetrie


informative di una societ complessa.

Lera aziendale ha molto complicato la facile dialettica dove lo stato


fa il militare e i privati fanno gli agricoltori, i produttori e i commercianti,
in modo collegato, ma distinto, come avveniva nellera agricolo-artigianale
(capitolo secondo).
Lincidenza dei servizi istituzionali basati sulla coercizione, minore rispetto
al totale dellintervento pubblico rispetto al passato agricolo-artigianale. Alle tra-
dizionali funzioni coercitive di difesa, polizia, ordine pubblico, giustizia, deter-
minazione dei tributi, etc.. si affiancano interventi bilaterali fungibili rispetto
a quelli erogabili da operatori economici a singoli clienti; ma non c solo lo
stato interventore, che scende direttamente in campo nella fornitura di beni e
servizi divisibili, e che quindi potrebbero essere prodotti anche da privati. Si
diffonde anche lintervento del pubblico potere nel controllo di rapporti eco-
nomici privati, denominato intervento regolatorio. Questultimo reso ne-
cessario dalla particolare articolazione dellera aziendal tecnologica, con le sue
asimmetrie informative, tra produttori, rivenditori e consumatori. Questo
comporta un differente potere contrattuale tra contraenti privati, ad esempio
consumatori e produttori nel caso del monopolio, ma anche lavoratori e datori
di lavoro, risparmiatori e banche. Dellintervento regolatorio fa parte anche la
concessione di servizi pubblici a privati, che se ne assumono i costi, a fronte
di tariffe amministrate, come ad esempio nei settori delle opere pubbliche in
concessione a pedaggio (porti, aeroporti, autostrade, etc.). In questi casi dal
pubblico potere ci si aspetta non tanto un intervento diretto operativo, ma
un intervento regolatorio, a tutela delle parti deboli in quanto bisognose
(lavoratori), oppure disinformate (consumatori e risparmiatori). Chiamiamo
regolatorio questo intervento perch lo stato anche qui, in un certo senso, fa
il militare, il poliziotto o il giudice, senza offrire direttamente prestazioni
84 Compendio di Scienza delle Finanze

a contenuto materiale. Nellintervento regolatorio rientra, attraverso i consumi


pubblici anche un contributo dei pubblici poteri allequilibrio tra domanda e
offerta di beni privati, cio a quello che un tempo veniva chiamato program-
mazione economica.
Qui lo stato interviene nel mercato per riequilibrare le diverse conoscenze
delle parti, ad esempio nel mercato di prodotti difficilmente controllabili, po-
tenzialmente nocivi, visto che i consumatori odierni ignorano la metodologia
produttiva, e quindi la genuinit delle merci. Lo stesso riguarda la raccolta
del risparmio, le assicurazioni, la previdenza e una serie di altri servizi dove il
controllo pubblico deve aggiungersi a quello del privato, scarsamente capace
di valutare. Questa tutela delle parti deboli si estende a quelle bisognose, come
i lavoratori. Chiamiamo regolatorio questo intervento perch lo stato non
entra in competizione con il mercato per la materiale produzione di beni (che
possono essere beni o servizi secondo la nozione di beni pubblici di cui al
par. 4.8). Di questintervento regolatorio fanno parte anche i tentativi del go-
verno di evitare eccessi di produzione rispetto alla domanda, e domanda di
merci cui non corrisponde produzione sufficiente. Al concetto di intervento
regolatorio fanno capo, tra laltro, i controlli in materia di energia, comuni-
cazione, trasporti, credito, mercati finanziari, antitrust, etc..
Allintervento regolatorio appartiene, in senso lato, anche il tentativo dei pub-
blici poteri di utilizzare prima lemissione monetaria di cui al par. 7.8, poi i
consumi e gli investimenti sociali in funzione di programmazione economica.
Ci in modo da stimolare leconomia in periodi di stasi, per assorbire gli
eccessi di produzione, oppure per fare in modo che domanda e offerta si
incontrino. Sostanzialmente in questi casi lo stato si indebita, immettendo
credito, con effetti positivi se il debitore (compresa la macchina pubblica)
efficiente ed ha credibilit. Perch dopotutto il credito, e il valore del dena-
ro, dipendono dalla fiducia, che ha margini di elasticit. La fiducia si estende
davanti ad una macchina pubblica efficiente, che ha credibilit e quindi ottie-
ne credito. Questultimo viene invece perso con lindebitamento populista,
finalizzato al consumo, al consenso elettorale, al sussidio travestito da stipendio.
Che appunto fanno perdere credibilit, e quindi credito, con distinzioni
che vedremo al termine del par. 8.3.

4.15. Lintervento diretto nella produzione e i suoi rischi di


inefficienza (rinvio).

Accanto allintervento regolatorio, di cui al paragrafo precedente, i pubblici


poteri possono organizzarsi per il soddisfacimento di bisogni in settori
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 85

ad alta tensione sociale, come sanit, assistenza, previdenza, e altri su cui ci


soffermeremo nel corso del testo. Siffatti interventi si rendono oggi necessari sia
perch linnalzamento dei livelli di vita ha alzato il livello della dignit umana, e
aumentato i fenomeni davanti ai quali la societ disposta a dare assistenza, che
comporta anchessa dei costi, secondo la riflessione nessun pasto gratis di cui
al par. 4.3. Ma soprattutto lintervento pubblico necessario per rimpiazzare
le reti di protezione privata, familiari, amicali, vicinali o religiose, che abbiamo
indicato al par. 2.10 e di cui al par. 4.1 abbiamo descritto la crisi; lindividuo
insomma meno autosufficiente e pi isolato, nel contesto aziendal tecnologico,
di quanto fosse pur con stili di vita miseri nel contesto agricolo artigianale.
Inoltre, lintervento diretto dello stato crea consumi pubblici, che stimo-
lano liniziativa economica, qualora vi corrispondano davvero servizi e non
sussidi mascherati da stipendi; questultima ipotesi quella ipotizzata dagli
economisti nella formula secondo cui la gente viene messa a scavar buche e ri-
empirle, solo per stimolare uneconomia stagnante di suo. Se avessero riflettuto,
al di l delle formule della sociomatematica (par. 4.6) gli economisti avrebbero
capito che erogare sussidi mascherati da stipendi (facendo scavare buche e
riempirle solo per salvare la faccia e dare lapparenza di un lavoro) una mani-
festazione di inefficienza, un assistenzialismo mascherato, destinato a creare solo
consumo a debito, senza uilizzare produttivamente i relativi percettori.
Lequilibrio economico tra domanda e offerta va infatti cercato creando
servizi di segno inverso, che possano contraccambiare il consumo, e non sussi-
diando a debito il consumo medesimo. Altrimenti abbiamo un finto reddito,
senza nessuna utilit sociale.
Anche lintervento pubblico deve essere quindi produttivo, essendo sem-
plicisticamente grossolane le spiegazioni secondo cui le sue inefficienze,
come la corruzione, farebbero comunque aumentare i consumi.
Allefficienza dellintervento pubblico, che non pu utilizzare il con-
trollo dei clienti, e deve basarsi sulla consapevolezza della pubblica opinio-
ne, dedicato il capitolo seguente, cui premettiamo alcune riflessioni sullim-
patto dellunione europea sulla combinazione stato mercato.

4.16. Unione europea tra economia privata e istituzioni (la di-


versit di macchine pubbliche come ostacolo allunione
politica).

Lunione europea ha innanzitutto matrici economiche, essendo finaliz-


zata alla libera circolazione delle persone, dei capitali, delle aziende e delle
merci allinterno dellEuropa.
86 Compendio di Scienza delle Finanze

Intenzionalmente, e programmaticamente, i trattati europei non in-


terferiscono sulla combinazione tra stato e mercato. Deve rimanere
naturalmente una libert economica di fondo e per questo i paesi co-
munisti di cui al par. 4.12 avevano una incompatibilit strutturale a far parte
dellUnione (dove peraltro sono tutti puntualmente entrati dopo la caduta del
comunismo). Ci premesso, la combinazione tra pubblico e privato lasciata
alle scelte degli stati membri. Lintervento pubblico deve solo, ripetiamo, non
snaturare leconomia di mercato, e quindi non mettere in discussione la
libert di organizzare unimpresa, proprietaria dei relativi mezzi di produzione
e che si sostiene sul mercato. A questa unione economica per difficile far
corrispondere una unione politica, non solo per la diversit di linguaggi,
tradizioni e di culture. Un ulteriore ostacolo rappresentato dalla presenza
di istituzioni amministrative diverse, di rapporti diversi in ciascuno sta-
to tra cittadini e istituzioni, ed infine dalla diversit dei sistemi di spesa
pubblica, di finanziamento della medesima e di relativo debito pubblico
(paragrafo 8.3). Nellera aziendale, infatti, organizzata e interdipendente, una
nazione non ormai pi fatta da un linguaggio, da un colore della pelle, da
una fede politica, da una cultura, ma da una organizzazione pubblica co-
mune, da un apparato istituzionale e da una sua modalit di finanziamento,
debito compreso.
Sono tutti aspetti diversi per ciascun paese dellUnione Europea, che ha
una sua macchina pubblica e una sua combinazione tra entrate e spese, fino a
un proprio debito pubblico, un proprio sistema di protezione sociale, e un
proprio debito pensionistico, verso gli anziani, a carico delle generazioni
future. In Europa, insomma, abbiamo un solo mercato, inteso come una sola
economia privata, ma parallelamente abbiamo, inevitabilmente, tante Econo-
mie pubbliche quanti sono gli stati membri.
Vedremo al prossimo capitolo (par. 7.12) le difficolt derivanti dallattri-
buzione ad organi comunitari della funzione pubblica di emissione moneta-
ria, precisando qui solo che ci non avviene per i paesi dellUnione estranei
allEuro, tra cui la Gran Bretagna, la Svezia, la Polonia, che non vi hanno
aderito.
Ci premesso, il grado di intervento dello stato nei settori tradizionali so-
cialmente sensibili, come la sanit, leducazione, la previdenza, le infrastruttu-
re, i servizi sociali, pu avere diversa intensit. Nellordinamento comunitario
possono coesistere paesi ad elevata tassazione, con elevata spesa pubblica, e
paesi a bassa tassazione con modesta spesa pubblica. Nel primo caso esiste
una forte presenza dellorganizzazione sociale pubblica, nel secondo ci si af-
fida maggiormente al consenso e al mercato; lordinamento comunitario,
e quello internazionale, pur fissando standards di tutela minima dei diritti e
CAPITOLO IV INTERVENTO PUBBLICO NELLECONOMIA 87

della dignit delle persone, non impongono agli stati membri combinazioni
predeterminate tra stato e mercato. Saranno lefficienza e il coordinamen-
to di queste due componenti dellorganizzazione sociale a fare la differenza
competitiva. Se lo stato preleva molte risorse, ma i suoi servizi sono efficienti
in proporzione, o di pi, il paese sar competitivo, come pure potrebbe esserlo
lasciando pi spazio a privati efficienti, e diminuendo le imposte. Le combi-
nazioni, il dosaggio, tra questi elementi, sono un fatto interno, su cui le orga-
nizzazioni sovranazionali non interferiscono (vedi per quanto diremo al par.
7.11. sui lati oscuri della globalizzazione, quando la competizione avviene tra
stati che non garantiscono un uguale livello di protezioni sindacali e di diritti
dei lavoratori).

4.17. Segue: divieti comunitari verso restrizioni alla circola-


zione e alla concorrenza.

Mancano quindi vincoli comunitari sulla combinazione tra stato


e mercato allinterno dei singoli paesi membri. Le organizzazioni inter-
nazionali pongono solo vincoli indiretti di competitivit economica, cio
non avere una pressione fiscale alta, con servizi scadenti, perch questo rende
inefficiente il sistema paese. Per questo i vincoli formali europei non ri-
guardano la combinazione tra presenza dello stato e dei privati in economia,
ma casomai vietano i sostegni impropri alle aziende nazionali, tali da falsa-
re la concorrenza; questione diversa, relativa alla moneta unica europea,
sono i vincoli di bilancio di cui parleremo al par. 8.3 a proposito del debito
pubblico.
Vediamo quindi i vincoli comunitari rispetto alle misure che potrebbe-
ro ostacolare la libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone
o dei servizi nello spazio comune. Le prime ad essere vietate, quando ancora
(per questo) lEuropa si chiamava MEC (mercato comune europeo) furono
le imposte doganali intracomunitarie; sono anche vietate discriminazioni fi-
scali a danno di soggetti esteri.
Misura inversa alle discriminazioni invece laiuto di stato, che pu verifi-
carsi anche con agevolazioni tributarie in grado di alterare la concorrenza tra
le imprese.
Le agevolazioni tributarie, o le discriminazioni, sono invece comunita-
riamente ammesse se generalizzate, applicate indiscriminatamente, quindi,
a residenti e non residenti, senza perci discriminazioni. Perfettamente le-
gittima la riduzione delle aliquote di imposta su un certo tipo, ad esempio di
consumo, purch relativa a tutti i contribuenti, e non solo funzionale al so-
88 Compendio di Scienza delle Finanze

stegno di industrie nazionali. Lo stesso vale per la riduzione delle aliquote sui
redditi delle imprese, per agevolare la crescita, comunitariamente legittima
purch generalizzata; sarebbe invece illegittima se formulata solo in modo da
attrarre nel paese investimenti provenienti dallestero, escludendo direttamen-
te o indirettamente le aziende gi collocate sul territorio; in questo caso si
tratterebbe infatti di una concorrenza sleale tra stati, possibile anche in campo
tributario2.

2
La concorrenza sleale in quanto deriva dal fatto .la globalizzazione un concorrenza sleale
tra stati, attraverso le imprese, perch uno stato senza diritti sindacali, senza democrazia industriale,
senza impianti di depurazione, senza sicurezza sul lavoro, senza diritti riesce a rendere le sue im-
prese molto competitive rispetto a queste situazioni il protezionismo doganale ha un senso.
Capitolo Quinto
IL CORTO CIRCUITO
TRA ECONOMIA PUBBLICA,
POLITICA E PUBBLICA OPINIONE

Sommario: 5.1. Intervento pubblico: dal modello militare allimitazione del modello azienda-
le. 5.2. Lintervento pubblico intermediato: valutazione di utenti e pubblica opinione.
5.3. Il difficile controllo sociale sullintervento pubblico in una societ culturalmente
parcellizzata. 5.4. Pubblica opinione e mezzi di comunicazione nel controllo dellecono-
mia pubblica. 5.5. Studiosi sociali, classi dirigenti e mezzi di comunicazione: un circolo
virtuoso sulla pubblica opinione. 5.6. Il senso dellaziendalizzazione delle istituzioni.
5.7. Lassunzione di responsabilit come strumento di efficienza delle istituzioni e di
riduzione dei costi (spending review). 5.8. Inefficienze, rigidit e gli sprechi connessi al
controllo contabile preventivo del bilancio pubblico.

5.1. Intervento pubblico: dal modello militare allimitazione


del modello aziendale.

Il bagaglio culturale ereditato dallera economica agricolo-artigianale


(par. 3.9), oltre a non comprendere lazienda, a maggior ragione non com-
prendeva le nuove funzioni delle istituzioni, cio del pubblico potere;
questultimo dapprima intervenne negli scambi economici come era abi-
tuato a fare, cio con modalit autoritative e di tipo militare, come nellera
agricolo-artigianale (par. 2.5); la matrice militare, di giustizia e di ordine
veniva comprensibilmente traslata sui pubblici uffici civili, e questo mo-
dello militare garantiva una qualche efficienza, anche se a prezzo di
poca trasparenza e un certo autoritarismo. Il campo di battaglia non
esattamente una pietra di paragone per valutare funzioni pubbliche pacifi-
che; tuttavia lirreggimentamento di postini, bigliettai, ferrovieri, e persino
netturbini, dava qualche risultato. Queste categorie di impiegati giravano
in divisa come simbolo del modello gerarchico-militare cui si ispirava
lintervento pubblico. Da questa impostazione derivata, in molti paesi,
90 Compendio di Scienza delle Finanze

una certa efficienza dellintervento pubblico, col richiamo allo spirito di


servizio, tipico dei militari, per svolgere quella che, sul piano del contenuto
economico, era una prestazione di servizi divisibile, valutabile sul piano
dellefficienza. Lorganizzazione pubblica cera, si faceva sentire, con uffi-
ciali sanitari, uffici del genio civile che controllavano dighe e ponti, catasti
che registravano immobili, provveditorati alle opere pubbliche. Oggi, con
la perdita della sua forza dinerzia, questa matrice non pi sufficiente, e ne
occorre una pi sofisticata. Che consenta il controllo della pubblica opinio-
ne sullimpiego civile (non militare) di risorse pubbliche.
Il problema della produttivit, della misurazione del costo, del valore del
servizio, dellefficienza, si pone molto meno per la guerra, per lordine pub-
blico e per la giustizia, di quanto si ponga per i trasporti, le comunicazioni, le
infrastrutture, ed altri settori rilevanti per la produzione strategica oppure per
la delicatezza sociale. La molla del comando, della disciplina militare, era insuf-
ficiente a sostituire gli stimoli di mercato, in servizi che spesso, per definizione,
erano privi di concorrenza; la matrice gerarchico militare finiva per nuocere
alla trasparenza e per provocare un certo autoritarismo, sia nei rapporti con
gli utenti sia nei rapporti interni alle rispettive organizzazioni, prestandosi a
coprire abusi e sprechi; si pensi per esempio al paternalismo dei rapporti di
pubblico impiego, per decenni sottratti alla sindacalizzazione e alla giurisdizio-
ne generale del diritto del lavoro.
Tuttavia, anche limitazione del modello aziendalistico appare foriera
di inconvenienti, prima di tutto per la mancanza, in molti servizi pubblici,
di un cliente pagante, e per limpossibilit, anche dove costui esiste, di
rivolgersi a una struttura concorrente. Limitazione del modello azienda-
listico trasferiva categorie concettuali delle aziende private, con una dia-
lettica sindacale anche aspra, in rapporti di lavoro pubblici, dove il potere
dellazienda per definizione manca. Privando di un contropotere padro-
nale quello sindacale, larvatamente politico, lo si trasformava a sua volta in
un potere, spesso senza contrappesi. Ne sono nate rendite di posizione di
una base di lavoratori iper-garantiti, con la possibilit di trasformare il
lavoro in un posto. Allopposto, questa mancanza di clienti, questa inde-
terminatezza della gestione, questo formalismo dilagante con una moltepli-
cit di interpreti, imbarazzava le iniziative e frenava la responsabilizzazione
di chi sarebbe stato disposto a mettersi in gioco, ad esporsi nella propria
interpretazione di quello che riteneva fosse linteresse pubblico assegnatogli
in cura. Scattava quindi la riluttanza tipica di tutti gli ambienti burocratici
ad assumersi dei rischi, sapendo che in caso di successo non si sarebbe stati
elogiati, o altri si sarebbero presi i meriti, mentre in caso contrario tutti ci
avrebbero addossato linsuccesso delliniziativa.
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 91

Bisognava rimpiazzare il suddetto modello militare, legato da un collante


nazionalistico, fuori tempo in un contesto globalizzato e cosmopolita, dando
sfogo a trasparenza e pluralismo, diffusi nella societ, nelle fabbriche priva-
te, e non allontanabili dai pubblici uffici. Per elaborare parametri di mercato,
di concorrenza e di efficienza peculiari al settore pubblico mancavano per
modelli di valutazione; man mano quindi che si esauriva l inerzia antistorica
del modello militare, si imitato il modello aziendale.
Strutture che non vendono nulla, ma forniscono servizi istituzionali si
trovano ad essere valutate prendendo a prestito concetti tratti dalle aziende
operanti per il mercato. Ne derivano furbizie, deresponsabilizzazioni ed equi-
voci, come linnesto di un potere sindacale in strutture dove manca qualsiasi
contrappeso di potere datoriale, visto che il padrone rappresentato
dalla collettivit e dalle sue emanazioni politiche.
Ladozione di questa imitazione esteriore del modello aziendale, abban-
donando quello militare, indebolisce le resistenze degli apparati amministrati-
vi alle ingerenze della politica, con ulteriori disfunzioni e inefficienze. Gli
utenti dei servizi pubblici hanno poca voce in capitolo, in quanto non
sono loro a sopportare i costi del servizio, che ricadono sulla finanza pubbli-
ca e sulla generalit dei contribuenti (par. 8.4).
Accanto ai fallimenti del mercato abbiamo avuto quindi fallimenti dello
stato, poco efficiente, sprecone, magari clientelare e usato per bisogni privati
di consorterie politico-affaristiche. Una serie di forze spontanee si sono auto-
alimentate per produrre deresponsabilizzazione, favoritismi, sprechi, cor-
ruzione, autoreferenzialit, gestione relazionale, autoprotezioni burocratiche,
ritrosia a rischiare nellinteresse generale ed altri fattori di inefficienza.
I principali rischi per la spesa pubblica non sono quindi il peculato,
la malversazione, labuso, bens la negligenza, la trascuratezza, la
deresponsabilizzazione, linerzia. Qui trovano causa gli sprechi, com-
preso lutilizzo inefficiente di un numerosissimo personale che andrebbe
motivato e riabituato a decidere. Recuperando il senso di una espressione
come assumersi le proprie responsabilit, che negli uffici pubblici
suona ormai come una minaccia, anzich come un incitamento. Il punto di
riferimento di tutto quanto precede, delleconomia pubblica, compren-
sibilmente la pubblica opinione, al cui controllo sociale sono dedicati i
prossimi paragrafi.

5.2. Lintervento pubblico intermediato: valutazione di


utenti e pubblica opinione.

Secondo un filo conduttore del volume, emergente tra laltro al paragrafo


92 Compendio di Scienza delle Finanze

1.2, le istituzioni non offrono servizi dietro corrispettivo, e volgarmente si pu


dire che non vendono nulla. Mancano quindi gli stimoli alla produttivit
tipici delle aziende che devono sostenersi sul mercato, attraverso il gradimento
dei clienti. Invece del controllo dei clienti c quello, molto pi debole,
della pubblica opinione, e degli organi politici che essa esprime. Si tratta di un
controllo molto pi blando di quello proveniente da specifiche controparti
dotate di potere contrattuale.
Siamo insomma nelle attivit intermediate, in un circuito del con-
senso politico multilaterale, meno efficiente del consenso contrattuale
bilaterale. Lintermediazione pubblica, a sfondo coercitivo, si sostituisce cos
alla puntuale bilateralit dello scambio privato. Accadeva gi per gli in-
terventi pubblici dellera preindustriale, dalla guerra alla sicurezza interna,
tutti relativi indistintamente alla collettivit nel suo complesso. Leconomia
restava per disintermediata, consentendo al cliente di controllare qualit
e quantit del servizio, con un importante stimolo allefficienza, provenien-
te dalla consapevolezza di dover stare in equilibrio sul mercato; era il
vecchio schema del do ut des, dello scambio, dove chi aveva bisogno di
una merce, o di una prestazione, si metteva daccordo con chi ne disponeva,
offrendogli in cambio una controprestazione. Rispetto a questo contatto
diretto cliente-fornitore, dove ognuno misura quanto d e quanto
riceve, lintermediazione pubblica comporta uno sfasamento; chi paga
il conto non coincide infatti con chi riceve il servizio; in questo modo
lintermediazione trasforma i clienti in utenti e in contribuenti con
un minor interesse al controllo, ed anche una minore capacit di svolgerlo.
Venuto meno questo presidio nasce il rischio di inefficienze, dove organiz-
zazioni comuni, di tutti, possono essere gestite, proprio per questo, come
se non fossero di nessuno o come propriet privata, con comportamen-
ti opportunistici e deresponsabilizzazioni; il controllore della qualit
della spesa non infatti il suo utilizzatore pagante, ma nel migliore dei casi
un utente, che riceve una prestazione, ma non la paga direttamente. Gli
utenti sono rilevanti, ma secondo un percorso tortuoso: essi contano
per il modo in cui si fanno sentire dalla politica attraverso la pubblica
opinione. un impatto forte quando gli utenti sono numerosi e tendono
a trasformarsi in pubblica opinione, come nei trasporti, nella sanit,
nellistruzione etc.. Lo stesso impatto forte esiste per aree dellinter-
vento pubblico di vasto richiamo, come la criminalit efferata, che colpi-
sce limmaginazione, anche se riguarda pochi casi. Al contrario, la lentezza
della giustizia civile, la paralisi gestionale dei beni culturali, e altri settori
mediaticamente meno sensibili, non hanno utenti sufficienti per colpire la
pubblica opinione.
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 93

Il controllo degli utenti, in questo passaggio dal potere al servizio, pu


essere solo parziale, in quanto in alcuni casi gli utenti diretti mancano; anche
dove gli utenti esistono, i loro interessi immediati possono non essere quelli ad
una amministrazione efficiente, ma alla massimizzazione di vantaggi individuali.
La scienza delle finanze, o lintervento pubblico nelleconomia, fa quin-
di corto circuito con la pubblica opinione. Del resto, gi per le funzioni di
difesa e di ordine pubblico, il controllo della pubblica opinione era in re ipsa,
in quanto la pace, la vittoria o la sicurezza erano percepibili dallambiente so-
ciale, proprio perch si trattava di beni non escludibili (par. 3.10).
Lutente quindi inconsapevole del costo del servizio, e non ha quei
poteri di scelta o di pressione tipici del cliente; talvolta, anzi, lutente, indiffe-
rente al costo del servizio, cerca di massimizzare lintensit della sua utilizza-
zione, contribuendo ad un aumento di costi spesso inutile.
Ritorna qui un oggettivo motivo di preferenza, a parit degli altri fatto-
ri, della spesa privata rispetto a quella pubblica, che spiega il principio di
sussidiariet, indicato al par. 4.13.
Gli utenti diretti dei singoli servizi pubblici possono poi essere numeri-
camente trascurabili, e la loro impressione della qualit del servizio pu non
filtrare nella pubblica opinione. Infine possono esservi nicchie pi o meno
ampie di servizi autoreferenziali cio senza utenti diretti, ma purtuttavia con
importanti obiettivi, nellorganizzazione, nella ricerca, nella cultura, nellam-
biente, o nella determinazione della ricchezza ai fini tributari (capitolo otta-
vo); in tutti questi casi non c una richiesta di servizi da parte del pubblico,
ed anzi pu esservi (nel caso delle imposte) un interesse immediato (dal basso)
allinefficienza della specifica funzione pubblica.
Anche se gli interlocutori immediati delle istituzioni sono gli utenti,
cio gli studenti, gli ammalati, i passeggeri, i contribuenti, i clienti effettivi,
coloro che valutano la prestazione, sono linsieme degli esponenti della
pubblica opinione. Gli utenti sono indirettamente importanti, nella misura
in cui influenzano la valutazione della pubblica opinione, anche attraverso i
mezzi di informazione e la cultura della classe dirigente. Per questo, esat-
tamente come avveniva per i servizi istituzionali dellera agricolo-artigianale,
lefficienza e lefficacia delleconomia pubblica non sono valutate dai clienti
(che non ci sono), n dagli utenti, che non hanno voce in capitolo salvo in-
fluenzare la pubblica opinione, il gruppo sociale nel suo complesso. Questul-
timo il vero referente, attraverso la politica, delleconomia pubblica.
Il bagaglio culturale diffuso fondamentale per svolgere, a seconda dei vari
settori di intervento della macchina pubblica, questa sua valutazione, da cui
dipende la relativa efficienza.Vedremo al prossimo paragrafo che la situazione
non rosea.
94 Compendio di Scienza delle Finanze

5.3. Il difficile controllo sociale sullintervento pubblico in


una societ culturalmente parcellizzata.

Il cliente esercita un controllo puntuale, diretto, in quanto portatore di


un interesse personale e specifico alla prestazione pubblica. Gli innumerevoli
utenti e cittadini contribuenti sono molto meno interessati, come singoli, a
un simile controllo. Essi casomai, invece di un controllo puntuale, esercitano
un controllo di massa, che potremmo definire diffuso, molto pi diluito
e filtrato dal relativo bagaglio culturale sul settore pubblico in genere e su
quello di riferimento (sanit, istruzione, viabilit, ambiente, beni culturali, etc.).
La formazione e laffinamento di questo bagaglio culturale, come abbia-
mo gi cominciato a precisare al paragrafo 2.2, proseguendo al par. 3.9, sono
importanti ma difficili. Abbiamo gi indicato al paragrafo 3.9 linsufficien-
za del retaggio economico-sociale proveniente dallera agricolo artigianale,
per comprendere lera aziendal-tecnologica. Latteggiamento della pubblica
opinione verso la politica, e il suo intervento in economia, dipende da in-
numerevoli variabili individuali, impossibili da calare nei modelli matematici,
con cui gli economisti cercano di incasellare una realt complessa, come indi-
cato al par. 4.6; nessun elettore, o nessun dimostrante, e neppure nessun terro-
rista, si sofferma infatti a ponderare con precisione pro e contro di benefici o
sacrifici presenti e futuri, come tentano di fare le formalizzazioni del consenso
esposte in molti libri di scienza delle finanze. Che trascurano quei moventi
ideali indicati al paragrafo 3.1 di questo volume.
Ma cosa forma il bagaglio culturale delle moderne opinioni pubbliche
in materia economico sociale? In alcuni paesi relativamente fortunati, in
buona parte quelli in cui lera aziendale si sviluppata questo bagaglio cul-
turale si formato in modo spontaneo, gradualmente nella storia. Il contesto
di queste nazioni ha infatti, gi antecedentemente allera aziendale, sviluppato
un elevato senso di appartenenza delle istituzioni, e della macchina
pubblica; il controllo sociale sulle istituzioni quindi andato a regime
in modo relativamente pi facile. Ci in quanto era chiaro che le istitu-
zioni erano sia strutture di potere che strutture di servizio (paragrafo 2.5),
emanazione della societ civile attraverso la politica. Dove questa educazione
graduale, per ragioni storiche, non avvenuta, e le istituzioni sono state pi
imposte che espresse, esse sono apparse una struttura di favore, di privilegio
relazionale, da blandire per ottenere privilegi, da utilizzare secondo como-
dit, prendendosi poche responsabilit e facendo favori, a fronte dei quali
essere contraccambiati con considerazione e prestigio sociale. Insomma, in
questi contesti cerano via via meno antidoti alluso privato e relazionale
delle istituzioni pubbliche ed il controllo sociale si dimostrato pi difficile.
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 95

La creazione di un bagaglio culturale diffuso e condiviso sul funziona-


mento di istituzioni complesse ostacolata anche dalla parcellizzazione del
lavoro e delle conoscenze indotte da esso; se ci non aiuta a comprendere il
senso complessivo del settore in cui si opera, a maggior ragione non aiuta a
comprendere il senso complessivo dellorganizzazione sociale.
Bisognerebbe rimediare fuori dal lavoro, dove effettivamente il maggior
tempo libero consente una attivit di formazione e informazione che
nelle altre ere economiche non ci si potevano permettere. Anche se la pub-
blica opinione assorbita dagli affari personali e familiari di ciascuno, e
distratta dalle innumerevoli divagazioni consumistiche dellera aziendale, essa
sempre abbastanza interessata a riflettere sulla convivenza sociale. Il problema
sono per le carenze di formazione e le disfunzioni dellinformazione, di cui
al prossimo paragrafo.

5.4. Pubblica opinione e mezzi di comunicazione nel control-


lo delleconomia pubblica.

del tutto normale che leconomia pubblica abbia come interlocutore la


pubblica opinione, attraverso la politica, che lei stessa esprime. Dietro il con-
trollo generale, vago ed inevitabilmente distratto, della pubblica opinione e dei
mezzi di informazione, si intravede quello formale della burocrazia pubbli-
ca; per abbastanza illusorio aspettarsi che burocrazie dipendenti dalla politica,
controllino in modo efficiente, da sole, altre parti di una burocrazia anchessa
dipendente dalla politica. Si tratta di funzionari restii alla gestione di fastidiose
frizioni con altri uffici solo in nome di un generico interesse generale; solo
il pungolo della pubblica opinione pu contrastare la tendenza a tirare a
campare, spingere alliniziativa, e allassunzione di responsabilit, soprattutto nei
rapporti con altri pubblici uffici; diminuendo la pressione della collettivit, au-
menter la tendenza ad evitare fastidi ed essere a posto, coprendosi le spalle sul
piano giuridico formale, del rispetto di leggi e regolamenti.
Per questo, secondo un filo conduttore di questo volume, leconomia pub-
blica in buona parte diritto, in quanto studio delle istituzioni, influenzate
sia dal consenso politico multilaterale del gruppo, sia dal formalismo nor-
mativo, con cui i relativi funzionari si coprono, cercando di mettersi al riparo
da critiche. Per capire se essi facciano linteresse generale, al di l dei formalismi,
quindi determinante il bagaglio culturale diffuso sul rispettivo settore1.

1
Nonch il modo in cui singoli esponenti della pubblica opinione percepiscono il proprio interesse
personale.
96 Compendio di Scienza delle Finanze

In ultima analisi, la qualit della spesa pubblica viene stimata dalla pubblica
opinione, in base alle cognizioni diffuse sui vari settori di intervento, acquisite
per esperienza diretta, attraverso la formazione scolastica e attraverso i mezzi
di comunicazione di massa. Abbiamo gi visto per al paragrafo precedente
il retroterra storico del rapporto tra istituzioni e individui, come esperienza
collettiva a formazione lenta; abbiamo visto anche che lesperienza per-
sonale ha uno scarso respiro in una societ complessa. Anche la formazione
scolastica e universitaria, in materia economico-giuridica e sociale molto
limitata in quanto sbilanciata sulla tradizione dellumanesimo letterario, che
suscitava meno divagazioni polemiche sulle contingenze politiche.
Restano, in una societ aperta, i mezzi di comunicazione, come im-
portante cane da guardia del funzionamento delle istituzioni. Non a caso
la politica, che vive di consenso, sempre molto attenta ai rapporti con i
mezzi di informazione. Attraverso questi ultimi per molti versi si canaliz-
zano le esperienze personali e gli atteggiamenti della pubblica opinione, nei
vari settori delleconomia pubblica.
Il rapporto tra mezzi di informazione e pubblica opinione per ambiguo,
nella massima buona fede, ed a prescindere da volont di persuasione occulta,
che pure si sono verificate. I mezzi di comunicazione hanno infatti bisogno di
essere ascoltati e letti dai loro destinatari. Questo desiderio fa scattare, nella
mente dei giornalisti, una tendenza a rispecchiare non solo le vaghe convin-
zioni, ma anche le confusioni e le emotivit, dei loro lettori.
Per interessare laudience quindi comprensibile un certo sensaziona-
lismo ed un certo semplicismo, che riducono limpatto formativo sul
bagaglio culturale dei propri destinatari. La necessit dei media di essere
ascoltati ne mette in secondo piano la funzione formativa. Questul-
tima importante perch la capacit di controllo della pubblica opinione
sulla spesa pubblica non indistinta, ma si settorializza in relazione alla
tipologia di spesa. Il controllo di qualit dipende dalla sensibilit e dalla
preparazione dellopinione pubblica nei diversi settori di intervento pub-
blico. Proprio qui rischia per di avvitarsi un circolo vizioso: dove lopi-
nione pubblica meno ferrata e meno in grado di controllare, i mezzi di
comunicazione tendono legittimamente a riproporne la confusione, per
esigenze di ascolto e di vendita. Tutto ci ostacola la funzione formativa
dei mezzi di comunicazione di massa, che alimentano i miti intrecciati
nella pubblica opinione. Come quello dellonnipotenza della legi-
slazione, che salda linteresse delle amministrazioni pubbliche ad essere
protette da accuse, quello della politica alla immediata visibilit me-
diatica, quello della pubblica opinione ad avere unentit cui riferire
aspettative, colpe e speranze. Nei dibattiti mediatici si accavallano ipo-
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 97

tesi e riflessioni, anche acute, ma scoordinate, dove si litiga per togliersi


la parola, e ognuno si cala per un po nel ruolo di ministro delleconomia
(ma anche di premier, perch no?); occasioni di godibile formazione si
trasformano in una chiassosa confusione, essa stessa spettacolo. Non
naturalmente colpa di chi organizza i programmi, ma del deficit co-
municativo delle scienze sociali, su cui torneremo al prossimo paragrafo.
Siccome per le scienze sociali non sono capaci di interessare la pubblica
opinione, nasce un festival delleffimero, sensato, ma scoordinato. Dove
alla fine sempre pi spesso giornalisti intervistano altri giornalisti su
casuali esternazioni politiche, per poi dimenticare tutto dopo pochi
giorni; forse un modo per riempire lo spazio lasciato vuoto da studiosi
sociali divenuti sempre pi arroccati nellimitazione delle scienze fisiche
(par. 5.5), giocando ai quattro cantoni nella spartizione di cattedre uni-
versitarie che, in queste materie, sono sempre pi irrilevanti agli occhi
della pubblica opinione; lestromissione graduale degli studiosi sociali
dal dibattito socioculturale quindi una responsabilit dei medesimi,
che per provoca un peggioramento della qualit del dibattito culturale,
anche fra studiosi di discipline diverse, proprio per la carenza di studiosi
in grado di interagire costruttivamente con altre categorie di studiosi,
classi dirigenti e pubblica opinione.
Il dibattito quindi si appiattisce su se stesso, sugli ascolti, sulle vendite di
copie e sugli accessi ai siti internet, per ricominciare ogni giorno, critican-
do la politica, e immediatamente dopo invocandola, come se fosse la divina
provvidenza.
Finiscono cos in polemica inconcludente occasioni importanti per la for-
mazione della pubblica opinione; che in questo modo potrebbe effettuare
la gi indicata supervisione sulle istituzioni, e in ultima analisi su se stessa.
Per raggiungere questo obiettivo la comunicazione deve essere aiutata dalle
opinioni pubbliche di settore, dagli studiosi sociali, nel circolo virtuoso
indicato al prossimo paragrafo.

5.5. Studiosi sociali, classi dirigenti e mezzi di comunicazio-


ne: un circolo virtuoso sulla pubblica opinione.

Lera aziendale, con tutti i suoi lati positivi, un motivo di frammen-


tazione della societ, della pubblica opinione, divisa tra molti lavori diversi,
talvolta persino inutili, e dei quali non si capisce il senso complessivo. Nellera
agricolo-artigianale la maggior parte degli individui era impegnata a soddi-
sfare bisogni elementari di sopravvivenza, e quindi la pubblica opinione era
98 Compendio di Scienza delle Finanze

di piccole dimensioni, e facilmente prevedibile. Oggi, con pi tempo libero


e accesso alla cultura, il controllo della pubblica opinione sulle istituzioni
ostacolato dalla complessit della societ, e dalla gi indicata frammentazione
dei compiti e delle chiavi di lettura della realt sociale, molto pi semplice di
quella che sembra. Oggi abbiamo una pubblica opinione in grado di riflet-
tere, pur se comunque in buona parte legittimamente assorbita nel proprio
privato. Ad essa, in relazione ai vari livelli di competenza ed interesse, si do-
vrebbero indirizzare gli studiosi sociali, cio economisti, politologi, azien-
dalisti, giuristi, sociologi, storici etc.. Grazie agli studiosi sociali dovreb-
bero essere coordinate e contestualizzate le riflessioni, le intuizioni, le
percezioni di un gran numero di individui inseriti in una societ complessa.
Alla societ servono studiosi che, nel settore di rispettiva competenza
(economia, politica, diritto, storia, aziende, etc.) sappiano coordinare intu-
izioni, spunti, riflessioni, di una pubblica opinione acculturata, riflessiva, ma
frammentata; di essa fanno parte anche studiosi sociali di altri settori, nonch
uomini delle istituzioni, operatori economici, professionisti, sindacalisti, fino
alluomo della strada o al navigante di internet. Linsieme di questi inter-
locutori si aggrega di volta in volta, a seconda delle circostanze, dei tempi
e dei luoghi, in varie tipologie di uditorio, con varie necessit, variamente
interessato, variamente consapevole. A queste diverse tipologie di uditorio
gli studiosi sociali avrebbero dovuto rivolgersi, in relazione alle aspettative,
ai coinvolgimenti, allattenzione, allinteresse.
Purtroppo, davanti al successo delle scienze della materia (par. 3.1), le
comunit scientifiche degli studiosi sociali ne hanno imitato alcuni aspetti
esteriori, esorcizzando laspetto umanistico, come indicato al par. 4.6 per le-
conomia e la sociomatematica, con rinvii al diritto (per limitarci alle due
componenti della scienza delle finanze). In questa ricerca di malintesa spe-
cializzazione, gli studiosi sociali sono diventati fortemente autoreferenzia-
li, rispetto alla pubblica opinione, ponendosi infatti come se parlassero della
scoperta del DNA o degli acceleratori di particelle; il risultato stato quello
di emarginarsi da soli dal dibattito socioculturale, come abbiamo visto al
paragrafo precedente, con impoverimento del contenuto di questo dibattito
e delle capacit stesse di controllo della pubblica opinione. Le varie categorie
di studiosi sociali (politologi, economisti, giuristi, sociologi, storici, etc.) sono
andate in ordine sparso, ciascuna cercando legittimazione attraverso scor-
ciatoie, trascurando interrelazioni e osmosi tra discipline tutte dedicate, in
ultima analisi, ai comportamenti umani.
In questo modo, gli studiosi sociali, hanno fortemente indebolito la loro influen-
za sulla pubblica opinione, e quindi sulla politica, le istituzioni e leconomia
pubblica. Da parte sua il dibattito socioculturale, senza punti di riferimento,
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 99

si insterilito, nonostante il misto di buona volont e presenzialismo di alcuni


comunicatori, spesso giornalisti, uomini delle istituzioni, blogger o scrittori. Essi
fanno discorsi senza dubbio sensati, superando la precondizione di scientificit del-
le discipline umanistiche (par. 4.3 del compendio di diritto tributario cui rinvio),
ma semplicistici rispetto alla complessit dei problemi. Il sapere umanistico sociale
quindi diventato da un lato inutilmente esoterico, e dallaltro si banalizzato
nel dibattito con istituzioni, giornalisti, politici, imprenditori, e altri esponenti di
una cultura medio superiore. Un aspetto molto generale riguarda le aziende.
I cui problemi con la burocrazia italiana altro non sono che i loro problemi
di integrazione sociale con lopinione pubblica (non solo italiana), descritti al
paragrafo 3.15 Sono problemi che non si risolvono n ricordando che le aziende
creano lavoro e ricchezza, cosa che tutti sanno (almeno la gente in buona fede) n
divagando sui problemi di singoli settori imprenditoriali. Bisognerebbe invece ri-
solvere il nodo generale della percezione, da parte dellopinione pubblica, delle
aziende come aggregazioni sociali (paragrafo 3.5). Anche per questo abbiamo
dedicato lintero terzo capitolo allazienda tecnologica come aggregazione sociale
ed elemento organizzativo fondante della societ moderna.
Nel mondo del diritto emblematico, come ulteriore esempio, il modo
in cui la comunit scientifica e gli altri tecnici del settore tributario
(vedi il capitolo quarto del mio compendio apposito della Dike) non siano
stati in grado di interessare la politica e la pubblica opinione, giustamente im-
permeabile ai loro arzigogoli e tecnicismi, oppure ai loro generici auspici
politico generali.
La direzione giusta nel mezzo, cio nellinquadrare i vari settori a
beneficio della pubblica opinione, secondo i vari livelli di interesse che si
ritrovano al suo interno. C un livello di interlocuzione con gli operatori di
determinati settori economici, uno con le persone curiose e competenti di
settori attigui, uno con imprenditori ed esponenti di associazioni di categoria,
uno con gli spettatori televisivi, a seconda del tipo di intervento e di contesto.
A tal fine non si richiede la scoperta di verit occulte nei meandri della
materia, nelle cellule, nelle molecole e negli atomi, ma lorganizzazione o il
richiamo di riflessioni che gli interlocutori (luditorio di Pereman) possie-
dono allo stato latente, o che possono essere da loro seguite richiamando con-
cetti che possiedono. Questo circolo virtuoso, che fa crescere e conserva la
formazione della pubblica opinione, misura la scientificit degli studiosi
sociali; altrimenti il loro destino oscillare tra la ricerca di legittimazione, la
mistificante complicazione di cose semplici per darsi tono, il disorientamento
e la generale confusione. Che porta giustamente i giornalisti ad intervistare,
come dicevamo, altri giornalisti oppure politici, logorandosi nello sterile sen-
sazionalismo di cui al paragrafo precedente.
100 Compendio di Scienza delle Finanze

Il compito degli studiosi sociali invece ottimizzare laccessibilit di fon-


do di tutti i loro settori, dove nulla cos complesso da essere riservato ad ini-
ziati; con onest intellettuale, cio senza influenzare le scale di valori (come
facevano i catechismi e le scuole di partito), gli studiosi sociali possono cos
contribuire alla formazione della pubblica opinione in relazione al livello di
interesse delle varie categorie di potenziali interlocutori. Che in questo modo
potranno essere consumatori pi consapevoli e cittadini pi capaci di
esercitare un controllo sociale sulle istituzioni.

5.6. Il senso dellaziendalizzazione delle istituzioni.

Questo paragrafo corrisponde idealmente a quelli del capitolo terzo


sulla istituzionalizzazione delle aziende, componenti dellorganizzazio-
ne collettiva e quindi bene comune, bench gestite da privati. Un pro-
cesso analogo dovrebbe verificarsi per le istituzioni pubbliche, specie in
economia. Le antiche istituzioni militar-coercitive erano infatti esterne
alleconomia, e potevano esserne il contenitore; nellera aziendale le
istituzioni diventano sempre di pi parte delleconomia. Il consenso
politico multilaterale si intreccia quindi col consenso economico bilaterale,
ponendo problemi di coordinamento cui leconomia agricolo-artigianale
non dava luogo.
un cambio di prospettiva da una amministrazione pubblica di po-
tere (che tuttavia faceva servizi istituzionali) ad una di servizio istitu-
zionale che esercita tuttavia poteri coercitivi. Da una parte si conferma,
positivamente, che leconomia pubblica diritto, e che (in un certo senso
pi generale) tutto il diritto amministrativo; daltra parte per si rischia di
appiattire la politica in una ricerca mediatica di effetti di annuncio di bre-
ve periodo, per coesione e consenso. Al tempo stesso si rischia, con lidea
fuorviante di governo della legge un circolo vizioso che deresponsabilizza
le istituzioni amministrative e le spinge soprattutto a conformarsi a qualche
norma, per essere in regola, pi che rischiare dandosi carico dellinteresse
generale. Tanto le regole sono cos numerose, con questa paralisi del ragiona-
mento, e lappiattimento del diritto sulla legislazione, che al loro interno se ne
pu sempre trovare una per non prendere iniziative, aggiustarsi nel modo
pi comodo, tirare a campare, magari cercando vantaggi o accusando stru-
mentalmente chi si espone. il lato oscuro del c.d. governo della legge,
nato contro gli abusi e che finisce per essere fonte di abuso. la degenerazione
di una idea, nata per organizzare e coordinare i valori, che finisce per metterli
in ombra. Facendo perdere il buonsenso nella gestione delle istituzioni.
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 101

Mentre le aziende sono infatti strumenti di produzione, come rilevato


al paragrafo 3.6, le istituzioni sono anche veicoli di cultura, dove emerge
il bagaglio culturale del gruppo sociale, nei vari settori Le aziende, come
organizzazioni destinate alla vendita, non si interrogano sul proprio ruo-
lo nella societ. Tuttavia la loro efficienza, in vista della produzione di un
risultato economico di equilibrio, e di valore aggiunto, un importante
parametro di riferimento per analizzare le istituzioni. Rispetto a ciascuna
delle quali occorre offrire alla pubblica opinione un confronto tra il re-
lativo input, cio le risorse assorbite, e il relativo output, cio il contributo
dato alla collettivit.
Le istituzioni si devono quindi in una certa misura aziendalizzare, cio
sottoporre a valutazioni di efficienza, trovando i relativi parametri. Che non
sono parametri di mercato, basati sui ricavi, ma di contributo allinteresse
generale, rispetto alle risorse assorbite. un profilo indifferente rispetto alle-
quivoca idea di crescita riferita al PIL (par. 7.1), anche se chiara limpossi-
bilit di ritornare alla societ agricolo-artigianale descritta al capitolo secondo.
Sia perch essa non era una societ idilliaca (una specie di Arcadia) sia perch
le capacit di adattamento, di sopportazione, e di autosufficienza personale
sono terribilmente diminuite. Le istituzioni dovrebbero in parte contribuire,
culturalmente, a quella istituzionalizzazione delle aziende, indicata al par. 3.14,
rispetto ad una idea di crescita indefinita. Spetta alle istituzioni, espressione
dopotutto di cultura collettiva della pubblica opinione, temperare i riti
consumistici, considerare la qualit dei consumi e della vita, magari pilotando
un ritorno parziale allautoconsumo, inteso come moderna autosufficien-
za in molti bisogni, come le piccole riparazioni, la responsabilit ambientale,
lintrattenimento, lo sport, la salubrit della vita, lassistenza reciproca ed altri
aspetti della socialit umana. Dalle istituzioni dipendono questi affrancamen-
ti dellindividuo da una dipendenza eccessiva rispetto alla produzione di
serie, che possono coesistere con un incremento dellorganizzazione nellalta
tecnologia, nella ricerca scientifica, nella salute, nellistruzione, nella coesione
sociale. Si tratta di calare i problemi di sempre degli esseri umani in un con-
testo pervaso dalle scienze fisiche e dalla tecnologia, che non possono essere
abbandonate. Gli antichi riti umani e sociali, i sogni, le credenze, le illusio-
ni, non possono essere ripristinati, ma neppure sostituiti dal vuoto del con-
sumismo. Alla pubblica opinione e alle istituzioni spetta di reinterpretarli,
attualizzandoli alla condizione umana delloggi, al retroterra scientifico, alle
sue proiezioni future, alla ricerca, al miglior uso della tecnologia per i bisogni
umani. Bench sia socialmente suicida demonizzare le aziende, come
indicato al par. 3.15, il coordinamento dellorganizzazione sociale non pu
venire da loro, ma compito delle istituzioni e della maturit della pubblica
102 Compendio di Scienza delle Finanze

opinione. lunico modo per tenere in piedi un contesto organizzativo in cui


ognuno sempre pi dipendente dal lavoro degli altri. Senza questa consape-
volezza sociale sul ruolo delle istituzioni, verosimile che in esse si passi dalla
moderna divisione dei compiti (questione organizzativa) alla remunerazione
di compiti meramente virtuali, per forza di inerzia ed esigenze di immagine.
Istituzioni e aziende dovrebbero fare gruppo, evitando che le istituzioni
inseguano il consenso di una pubblica opinione senza formazione economico
sociale, mentre ogni azienda legittimamente pensa alle sue merci e alle sue
incombenze. Tutte e due, aziende e istituzioni, nelle loro innumerevoli artico-
lazioni, finiscono altrimenti per vedere il mondo ciascuna dal proprio inade-
guato buco della serratura, assorbite da settorialit e urgenze.
Le risposte agli interrogativi ultimi delluomo, al suo bisogno di identit
e di realizzazione, non stanno nella produzione specializzata dellazienda, che
pure utile alla soddisfazione di bisogni spiccioli, senza cadere nelle trappo-
le del consumismo. Solo una reale aziendalizzazione delle istituzioni, con la
consapevolezza dellinteresse generale da parte della pubblica opinione, potr
forse un giorno consentire allanalisi della materia di rispondere agli eterni
interrogativi spirituali degli esseri umani.

5.7. Lassunzione di responsabilit come strumento di efficien-


za delle istituzioni e di riduzione dei costi (spending review).

Un punto abbastanza condiviso dalla pubblica opinione il costo ecces-


sivo della macchina pubblica rispetto alla sua efficienza, come gi indicato
al par. 4.13 sul principio di sussidiariet. Lintuizione ragionevole, anche
perch vox populi vox Dei, tuttavia le spiegazioni pi diffuse sono riduttive,
specie nella misura in cui vengono collegate alla scarsa voglia di lavorare degli
impiegati pubblici nonch ad episodi di corruzione sugli acquisti. I fenomeni
appena indicati probabilmente esistono, e sono anzi frequenti, ma apparten-
gono agli effetti di un fenomeno pi generale, che deve essere analizzato dagli
studiosi delle istituzioni, in quanto tipico delle organizzazioni che hanno
come referente la pubblica opinione, secondo quanto indicato ai paragrafi
precedenti. Sulle istituzioni si riflette il disorientamento della pubblica
opinione nel rispettivo settore ed infatti il lassismo dei pubblici uffici si ridu-
ce quando essi operano al pubblico, sotto il controllo degli utenti. Questi
ultimi non costituiscono tanto un cane da guardia, un pungolo, di impiegati
con poca voglia di lavorare, come affermano i denigratori della categoria, ma
sono delle indicazioni viventi dei compiti da svolgere. Quando questin-
dicazione arriva ci sono episodi di abnegazione e di dedizione da parte di
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 103

varie categorie di addetti alla macchina pubblica, come medici, infermieri,


insegnanti, carabinieri, netturbini, e tanti altri, che vedono lutilit immediata
del loro lavoro. Quando invece questutilit non si vede, le indicazioni va-
loriali sono vaghe, le energie mal sfruttate, e si fanno strada la deresponsa-
bilizzazione, lautoprotezione, linerzia e lattivismo di facciata. Gli impiegati
pi volenterosi, che cercano di impiegare utilmente il tempo in cui stanno in
ufficio, si sentono magari dire da colleghi e superiori di non essere tanto ze-
lanti e di prendersela comoda, che tanto lo stipendio arriva comunque. Anche
questa sottoutilizzazione del personale un riflesso della rigidit istitu-
zionale dei pubblici uffici, che magari hanno piante organiche sovradimen-
sionate in certi settori, e sottodimensionate in altri. Lorganizzazione in-
fatti modellata in modo verticistico, una volta per tutte, tramandandosi poi
nel tempo per inerzia, per ritrosia non tanto verso il mutamento quanto
per timore di una nuova valutazione di opportunit. Spesso, pur essendovi
concordia generale sullassurdit di una certa allocazione delle risorse, la
difficolt di mettersi daccordo sui cambiamenti provoca il mantenimento
indefinito dello status quo. Anche qui, come rilevato per le aziende (concen-
trate attorno al prodotto, come indicato al par. 3.6), le istituzioni dovrebbero
rimettere la propria funzione, i propri compiti, i contenuti sostanziali,
al centro della loro attenzione. Non esiste infatti lorganizzazione in astrat-
to ottimale (nonostante le societ di consulenza che cercano di venderla),
ma lorganizzazione si modella sulla funzione svolta, e deve risalire dal
basso, adeguandosi ai momenti e alle mutevoli esigenze degli utenti e del
contesto. Anche qui, come in tutte le vicende umane, nulla per sempre,
con buona pace di chi interpreta rigidamente il principio di legalit (spesso
per deresponsabilizzarsi). Lorganizzazione, la comunicazione e la gestione
aziendale sono tutti sani esempi del relativismo che dovrebbe caratterizzare
sia le aziende sia le istituzioni ( un altro caso di quella aziendalizzazione
che dovrebbe far funzionare meglio, cio secondo buonsenso, le istituzioni
pubbliche).
Al buonsenso si accompagna anche la naturale necessit di chi lavora nel-
le aziende o nelle istituzioni di prendersi dei rischi di sbagliare senza essere
esposto a critiche o a sanzioni. una via maestra nelle aziende, dove si ben
consci che, come scriveva il sano relativismo degli economisti, nessun pasto
gratis e quindi anche laumento dei livelli di sicurezza, di soddisfazione degli
utenti, di igiene ambientale, di confort e in genere di benessere comporta
sempre dei costi. Le esperienze dove numerosi enti pubblici, soprattutto ter-
ritoriali, si sono trovati a gestire gli stessi servizi con le dotazioni di bilancio
tagliate non costituisce solo un indice di efficienza amministrativa sopravve-
nuta, ma un indice di spreco precedente. In cui, nel dubbio e per non stare a
104 Compendio di Scienza delle Finanze

discutere con chi le sosteneva, si effettuavano troppe spese superflue. Molto


spesso in omaggio ad un qualche valore politicamente corretto, come
i bagni per i diversamente abili, o per non prendersi dei rischi; come le
scale antincendio esterne, che inutilmente imbruttiscono tanti edifici pubblici
e non risultano mai usate, come i sottopassaggi nelle stazioni in cui passa un
treno ogni venti minuti. Nelle aziende, almeno in quelle non burocratizzate,
ci si arrangia con sobriet, mentre negli uffici pubblici per decenni ha pagato
Pantalone, non solo e non tanto per corruzioni, ma per deresponsabiliz-
zazioni, conformismi ed effetti di annuncio. Anche nelle istituzioni, come
nelle aziende, bisogna fare i conti con leconomia, cio con la scarsit di ri-
sorse. Spesso si preferisce non scegliere, attendere che finiscano i soldi
e lasciare lopera incompiuta, e abbandonata al degrado, essendo legalmente
a posto. Come se lo spreco si fosse autoalimentato grazie allo scaricabarile
e vivesse di vita propria. La spending review calata dallalto, coi tagli linea-
ri, replica queste disfunzioni, mentre la vera svolta per rendere efficienti le
istituzioni reintrodurre la responsabilizzazione, valorizzando i margini per
scegliere il miglior modo di farsi interpreti della propria funzione anche
in base a criteri di economicit. Senza il timore che poi qualcun altro, per
ripicca o per puntiglio, tiri fuori una diversa valutazione, col senno di poi, per
formulare pretestuose censure. Si parla tanto di managerialit, nella pub-
blica amministrazione, che in ultima analisi vuol dire scegliere serenamente
ex ante, senza doversi preoccupare di coprirsi le spalle (per non dire di
peggio) per la remota eventualit che qualcosa vada storto. anche questa una
strada per introdurre, allinterno di una macchina pubblica giunta alla para-
lisi leguleia (sotto il ricatto del se qualcuno si fa male chi ci va di mezzo?),
una iniezione di buonsenso e di fiducia. Un primo punto di partenza
la gestione delle ripartizioni dei fondi nel bilancio pubblico, di cui diremo al
prossimo paragrafo.

5.8. Inefficienze, rigidit e gli sprechi connessi al controllo


contabile preventivo del bilancio pubblico.

La flessibilit e la sensatezza nellamministrazione delle istituzioni sono


quindi fondamentali, per la loro gestione aziendalistica; questultima in astrat-
to meglio di quella gerarchico-militare (par. 5.1), ma senza punti di rife-
rimento, paralizzata dal legalismo, rischia di essere peggiore in concreto. Alla
rigidit legalistica delle istituzioni, e alla loro sostanziale deresponsabilizzazio-
ne, contribuiscono le allocazioni delle risorse, distribuite con una burocratica
previsione e destinazione preventiva. Si tratta di gabbie di spesa, definite
CAPITOLO V IL CORTO CIRCUITO DELLINTERMEDIAZIONE PUBBLICA 105

per obiettivo (difesa, giustizia, sanit etc.) e natura (par. 6.1), cio per lavoro
dipendente, forniture di servizi di impresa, interessi passivi, etc. Il bilancio
pubblico approvato per legge, ma elaborato di fatto in via amministrativa,
con attribuzioni di spesa estremamente analitiche. qualcosa di simile
al budget delle aziende private, ma un meccanismo molto pi rigido. Nelle
aziende di erogazione pubbliche mancano le necessit di coprire i costi fissi e di
remunerare i vari fattori produttivi, che nelle aziende private rendono flessibile
lo spostamento di risorse da una voce di bilancio preventivo allaltra (par. 3.6).
Il bilancio preventivo delle istituzioni comporta invece rigidit molto mag-
giori. Le sue previsioni compartimentalizzate e molto dettagliate, redatte in an-
ticipo rispetto alle necessit di spesa, comportano inefficienze allocative rispetto
alle priorit sociali che di volta in volta si presentano nelle varie articolazioni
delle pubbliche amministrazioni. Questa segmentazione delle assegnazioni fi-
nanziarie comporta spese ex post inutili, ma previste a bilancio ex ante, e come
tali effettuate. Allinverso possono esserci spese ex post utilissime, ma di cui non
si trovano i fondi in bilancio, e che quindi vengono trascurate, mentre al tempo
stesso si effettuano spese meno importanti, ma per cui esistevano gli stan-
ziamenti. Alcuni pubblici uffici, della stessa amministrazione, si trovano quindi
con eccedenze di bilancio che non sanno come spendere ed altri uffici, con
ottimi motivi di spendere, si trovano in difficolt, per ristrettezze di bilancio;
quando si sente dire che mancano i fondi per spese assolutamente normali,
come la benzina per le automobili della polizia, non si sottintende un dissesto
dello stato, ma una rigidit amministrativa, cio vincoli contabili, sulla distri-
buzione delle risorse. quindi possibile che alcuni stanziamenti di bilancio,
previsti in modo insufficiente, si esauriscano, mentre altri centri di spesa hanno
stanziamenti sovrabbondanti, e sono preoccupati di spenderli, per non avere
riduzioni di stanziamento lanno successivo. Ancora una volta troviamo in-
capacit previsionali, del tutto comprensbili, unite a una rigidit patologica
davanti a regole che nessuno vuole prendere liniziativa di disattendere, solo
in nome dellinteresse generale. Negli ultimi anni ci sono state forse iniezioni
di flessibilit, ma ancora forte la ritrosia burocratica a chiedere correzioni
allo stanziamento di bilancio, ammettendo quindi di averlo stimato male.
Nelle aziende il budget pu essere facilmente variato, anche perch il mercato, i
prodotti, gli scambi, danno indicazioni continue sulle opportunit di spesa, che
mancano nelle strutture pubbliche.
Allinterno dei capitoli di bilancio si confondono quindi spese necessarie,
o comunque obbligatorie, e sprechi; spesso si invoca il taglio della spesa
inutile, come se esistesse un capitolo di bilancio chiamato cos, mentre per
distinguere lutilit occorrono valutazioni analisi di merito, spirito di ini-
ziativa, pragmatismo e assunzioni di responsabilit. Tutte qualit mortificate
106 Compendio di Scienza delle Finanze

dal fuorviante preconcetto del governo della legge, compresa quella di


bilancio.
Non aiuta il monitoraggio delle spese da parte della ragioneria, ente am-
ministrativo unico, dipendente dal ministero delleconomia e delle finanze,
e preposto allamministrazione dei singoli apparati amministrativi. Anche il
controllo della corte dei conti, un tempo di legittimit ed oggi di economi-
cit, non riesce a rendere flessibile ed al tempo stesso oculata la gestione della
macchina pubblica.
Capitolo Sesto
UNA GEOGRAFIA
DELLINTERVENTO PUBBLICO
PER FUNZIONI E CONTENUTI

Sommario: 6.1. Spesa pubblica per natura e funzione (spese correnti e in conto capitale). 6.2. I
livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato apparato (ministeri), enti autonomi e terri-
toriali. 6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (federalismo fiscale). 6.4.
Spese istituzionali ed economia pubblica: un ordine di grandezza dei costi. 6.5. I costi
diretti della politica (un simbolo pi che altro). 6.6. Affari esteri e partecipazione a enti
sovranazionali (finanziamento unione europea e fondi comunitari). 6.7. Segue. Difesa.
6.8. Segue. Sicurezza e giustizia. 6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile. 6.10.
Sanit. 6.11. Istruzione. 6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica
monetaria. 6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle entrate e Guardia di
Finanza (5 miliardi circa). 6.14. La previdenza tra corrispettivit e fiscalit. 6.15. Spese per
integrazioni salariali e sussidi (differenziali di assistenza non coperta da contributi).

6.1. Spesa pubblica per natura e funzione (spese correnti e in


conto capitale).

Un primo contributo alla formazione della pubblica opinione pu essere


spiegare dove leconomia pubblica spende e come vengono acquisite le risorse
spese (capitolo ottavo). cos possibile capire le risorse tolte al mercato, ed
ipotizzare cosa il settore pubblico offre in cambio. Le cifre indicate nei pros-
simi paragrafi non si prestano a quel controllo qualitativo, sullefficienza
della spesa, che comporterebbe una analisi degli interventi pubblici sanitari,
educativi, assistenziali, infrastrutturali, ambientali, scientifici, etc. connessi alle
varie spese.
La domanda su quanti soldi vengono spesi e per quali quali obiettivi sembra
banale, ma gi richiede delle precisazioni, in quanto i punti di vista di aggrega-
zione delle informazioni possono essere diversi, per natura e per funzione.
Laggregazione della spesa pubblica per natura riguarda loggetto della
prestazione ricevuta dalle pubbliche amministrazioni, ad esempio lavoro di-
108 Compendio di Scienza delle Finanze

pendente, acquisti di beni e servizi, interessi passivi, pagamenti di canoni di


locazione.
Alla natura della spesa appartiene anche la distinzione tra spese corren-
ti, ad esempio energia, utenze, carburanti, fitti passivi, interessi passivi sul
debito pubblico, oppure in conto capitale, come autovetture, arredamenti,
macchine elettroniche, infrastrutture. Al di l di questi esempi, anche spese di
personale possono essere in conto capitale, quando servono alleffettuazione
di lavori in economia, cio in via diretta, interna, senza la fornitura di terzi,
come potrebbe avvenire per laggiornamento del catasto o la costruzione di
banche dati.
Le spese correnti sono in genere anche vincolate, obbligatorie, cio do-
vute per legge, rispetto a quelle in conto capitale, dove le decisioni di investi-
mento possono facilmente essere procrastinate per mancanza di fondi.
La funzione delle varie spese pubbliche riguarda invece il tipo di attivit
istituzionale, oppure la finalit di governo delleconomia per cui sono state
sostenute. Esempi elementari di aggregazione funzionale delle spese pubbliche
sono quelle per la difesa, lambiente, la giustizia, la sanit, listruzione, etc..
Il profilo della natura della spesa pu poi essere incrociato con quello
della funzione, chiedendosi ad esempio quante spese funzionalmente de-
stinate allistruzione sono finalizzate al pagamento dei docenti e quante alla
manutenzione degli edifici scolastici, allacquisto di materiale didattico etc..
Analogamente, per le spese funzionalmente riferite alla difesa, si possono di-
stinguere le retribuzioni dei militari di carriera dagli acquisti di carburante,
munizioni e in conto capitale nuovi armamenti.
Non sempre gli aggregati contabili, presenti nei bilanci, consentono di-
stinzioni nellambito della funzione. Ad esempio non sempre consentono
di distinguere, nellambito della funzione istituzionale come istruzione, sa-
nit, etc., gli stipendi degli insegnanti o degli infermieri, da quelli destinati
allauto-amministrazione, come gli stipendi del personale amministrativo.
Qualche indicazione reperibile, ad esempio la distinzione tra impiegati
militari e civili del ministero della difesa, oppure la distinzione, nellambito
delle spese per prestazioni di servizi di terzi, tra quelle in conto capitale e
correnti.

6.2. I livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato ap-


parato (ministeri), enti autonomi e territoriali.

La maggior parte delle informazioni che seguiranno al capitolo sesto sono


tratte dal bilancio dello stato, cio dellapparato tradizionale dei ministeri, fa-
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 109

cente capo alla ragioneria dello stato. Tuttavia non tutto fluisce in quel con-
tenitore, o vi facilmente rinvenibile per analizzare leconomia pubblica. Per
alcuni organi costituzionali, come i due rami del parlamento, la corte costitu-
zionale, nonch il CNEL, il CNR, e autorit autonome come le varie autho-
rities e le agenzie fiscali il bilancio dello stato non contiene analisi, ma cifre
complessive, mentre lanalisi si trova nel bilancio dellistituzione beneficiaria.
Lo stesso accade per i bilanci degli enti locali, regioni, province e comuni, di
cui diremo al paragrafo successivo.
Sono anche uscite dal bilancio pubblico, in quanto privatizzate, almeno
nella forma, le aziende che offrivano, in veste istituzionale, beni e servizi
per il mercato, come le vecchie poste, le vecchie ferrovie, e simili, che sono
state tutte inserite nella veste giuridica della societ di capitali, pur a par-
tecipazione pubblica (persino lANAS ha assunto questa forma giuridica,
pur non operando per il mercato e mantenendo molte prerogative di pub-
blica autorit). Quando queste societ sono deficitarie, le relative dotazioni
transitano comunque per il bilancio dello stato, o dellente locale che vi
contribuisce.

6.3. Segue. Spesa pubblica tra stato centrale ed enti locali (fe-
deralismo fiscale).

Gli enti locali, in quanto vicini ai cittadini, sono ottimi erogatori delle
spese pubbliche di sanit, trasporto locale, istruzione, assetto del territorio,
ambiente, assistenza. Il senso di comunit, la conoscenza reciproca, lauto-
organizzazione di base, pur in parte pregiudicate dallorganizzazione sociale
moderna, resistono meglio a livello locale.
Per questo gli enti locali sono sempre stati ottimi erogatori di spese
per la suddetta vicinanza al territorio e alla popolazione. I lati negativi di
questa vicinanza al territorio sono secondari, o comunque ineliminabili
e da gestire, come una maggiore sensibilit delle amministrazioni locali a
demagogie territoriali, e persino ad infiltrazioni di gruppi criminali diffusi
sul territorio.
Lopportunit tendenziale di economia pubblica, di correlare i livelli di
spesa con quelli di entrata, vale anche per gli enti locali. Ne discende che un
elemento di responsabilizzazione delle collettivit locali sarebbe la corrispon-
denza maggiore possibile tra spese pubbliche dellente locale e loro finanzia-
mento con tariffe o tributi a carico degli appartenenti a quella determinata
collettivit. Il finanziamento della spesa locale con trasferimenti da parte dello
stato, di cui parleremo al par. 8.13 finisce per deresponsabilizzare la gestione
110 Compendio di Scienza delle Finanze

della spesa locale; alla spesa non corrisponde infatti un proporzionale carico
fiscale sui propri elettori-amministrati. Questo diminuisce i margini di scelta
delle collettivit locali nella ricerca del migliore equilibrio tra spesa pubblica
e prelievo fiscale sui loro amministrati; questi ultimi sarebbero invece respon-
sabilizzati dalla consapevolezza di dover scegliere una combinazione tra pi
spese e pi tasse, o meno spese e meno tasse. La consapevolezza che le mag-
giori spese dovranno essere finanziate, almeno in parte, con un inasprimento
dei tributi, anzich con risorse provenienti dallo stato centrale, comporta una
maggiore responsabilizzazione degli enti locali nella decisione dei livelli di
spesa pubblica
Il finanziamento delle spese locali, anzich attraverso tariffe o tributi pro-
pri, con trasferimenti statali, rischia anche di mettere a carico della collettivit
nazionale le inefficienze di spesa dellente locale. Il rischio quello di non pre-
miare, in questo modo, gli enti locali finanziariamente virtuosi, e di non pu-
nire quelli finanziariamente dissestati. Anche la solidariet territoriale tra aree
pi sviluppate e meno sviluppate di un determinato paese, rischia di essere un
pretesto per avallare una gestione clientelare e corrotta della spesa pubblica,
da parte delle classi dirigenti locali delle regioni meno sviluppate, a danno di
quelle pi sviluppate. Che non finanziano lassistenza, la sanit, e i servizi delle
altre regioni, bens i loro sprechi. Quando il finanziamento della spesa locale
avviene mediante trasferimenti pubblici senza controllo, a pi di lista, in base
alla spesa storica, questo rischio si acuisce. Specie quando le aree territoriali
pi sviluppate e meglio amministrate sul piano dei servizi pubblici locali, han-
no la sensazione di dover finanziare, in nome di una generica solidariet, non
i poveri delle regioni povere, bens di alimentare lassistenzialismo tramite
assunzioni pubbliche, laffarismo clientelare di settori della politica locale, se
non infiltrazioni della criminalit organizzata.
I trasferimenti statali dovrebbero quindi essere collegati ad indici di effi-
cienza nella spesa, superando il suddetto criterio della copertura da parte dello
stato della c.d. spesa storica degli enti locali. Nel 2010 sono stati varati, con
la legge delega sul federalismo fiscale, stime di costo medio efficiente relati-
vamente ai principali servizi pubblici (costi standard), che tengono conto del
fabbisogno per abitante; Lerogazione dei trasferimenti agli enti locali in base a
questi costi standard consentirebbe di stimolare lefficienza, premiando le aree
virtuose, capaci di ottimizzare la spesa. Una serie di servizi base, socialmente
pi importanti, sarebbero finanziati in questo modo, con criteri solidaristici, a
valere su tutto il gettito tributario, indipendentemente da quello proveniente
dalle singole regioni. I gettiti tributari regionali, ovvero le capacit fiscali
delle varie regioni, dovrebbero essere un parametro per il finanziamento di
servizi meno importanti.
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 111

Vedremo al paragrafo 8.13 i riflessi tributari di questo problema fiscale, ed


i riflessi sui tributi locali della tassazione attraverso le aziende, cio gli aspetti
tributari del federalismo fiscale.

6.4. Spese istituzionali ed economia pubblica: un ordine


di grandezza dei costi.

Nei successivi paragrafi cercheremo di dare alcune indicazioni, come ordi-


ne di grandezza, sul costo delle varie articolazioni della macchina pubbli-
ca in senso ampio. Cercheremo, in particolare di organizzare la spesa pub-
blica per funzione (obiettivi), e in ciascuno di questi ambiti per natura,
con indicazioni della utilit sociale percepita dalla pubblica opinione. Ci
accompagner una distinzione tendenziale, sfumata come tutte quelle delle
scienze sociali, tra spese tradizionali del pubblico potere, coercitivo e
regolatorio, ed economia pubblica di mercato, in settori suscettibili di
scambio, come definita al paragrafo 4.15.Vedremo che la maggior parte della
spesa collegata allo stato interventore, nel tentativo di rispondere alle
tensioni sociali connesse alla produzione aziendal-tecnologica, come sanit,
previdenza, assistenza, istruzione.
Le fonti di informazione dipendono dai molteplici criteri di aggre-
gazione dei dati di spesa e sono molto eterogenee, e difficili da conciliare e
organizzare a sistema. Non tutte le domande possono quindi trovare risposte,
ma questo approccio consente di farsi una idea del costo della macchina
pubblica, da mettere in relazione con la percezione di efficacia e di effi-
cienza avvertita da ciascuno. I paragrafi che seguono non riescono a map-
pare integralmente e ragionieristicamente tutta la spesa pubblica nelle sue
varie articolazioni. Ad esempio non sono riuscito a mappare i costi, ed i rela-
tivi meccanismi finanziari, per gli aiuti alle imprese, per lassistenza a chi
perde il lavoro, per la ricerca scientifica, per i sostegni allinformazione
e le politiche culturali, per talune funzioni pubbliche gestite per autho-
rities ed agenzie, nonch il saldo finanziario della partecipazione allU-
nione europea. Le ragioni della difficolt di informazione sono nella ripar-
tizione contabile delle relative voci di spesa, tra ragioneria dello stato, enti
locali ed enti autonomi. Sotto questultimo profilo va segnalata la difficolt
di classificare la spesa locale per la parte acquisita direttamente dai comuni e
dalle regioni, anche attraverso tributi propri (parr. 6.3 e 8.13). Ad esempio, la
tariffa di igiene ambientale, o la tassa di possesso delle auto, affluiscono diret-
tamente ai bilanci degli enti territoriali, non transitano dalla ragioneria dello
stato, e quindi le spese che esse finanziano dovrebbero essere stimate partendo
112 Compendio di Scienza delle Finanze

dai bilanci degli enti destinatari, che sono varie migliaia, e per i quali un dato
consolidato non mi sembra disponibile.
Non basta la tipologia della spesa per valutarne lutilit, ma bisogna capir-
ne il contributo reale al benessere collettivo. Ricordiamo infatti che dentro
alle spese rendicontate a fronte di un certo titolo possono esserci interventi
utili o veri e propri sprechi. Non tutte le spese pubbliche sono state quindi
spiegate, ed ho la sensazione che manchino alcune decine di miliardi di euro
alla quadratura concettuale necessaria per esprimere un ordine di grandezza
completo dellintera spesa pubblica. Tuttavia, le informazioni reperibili sono
sufficienti per un notevole passo avanti rispetto alle riflessioni diffuse sulla
spesa pubblica. Speriamo in questo modo di contrastare i danni collegati,
anche in questo campo, al deficit di formazione socioeconomica della nostra
opinione pubblica e delle stesse classi dirigenti. A questo deficit si collegano
luoghi comuni, circolanti nellopinione pubblica, e relativi ad aspetti della
spesa pubblica di elevato valore simbolico, come indicazioni di sprechi ed
inefficienze, da valorizzare al di l dellimpatto sensazionalistico che ne
viene tratto spesso dai mezzi di informazione. La maggior parte delle
stime che seguono, su vari comparti della spesa pubblica, sono tratte dai
bilanci preventivi presenti su internet, e cercano di esprimere gli ordini di
grandezza delle principali voci di costo dellorganizzazione pubblica del-
la convivenza sociale. I calcoli suddetti confermano quanto anticipato sul
costo relativamente minore delle funzioni tradizionali dello Stato liberale,
come difesa, ordine pubblico, giustizia e infrastrutture; queste spese pesano
relativamente poco rispetto a quelle tipiche del welfare come sanit, istru-
zione, assistenza e protezione sociale.

6.5. I costi diretti della politica (un simbolo pi che altro).

Nelle epoche storiche che ci hanno preceduto, soprattutto nella strut-


tura economica agricolo-artigianale, basata sul finanziamento delle spese
in base ai frutti di un patrimonio pubblico (par. 8.2) il problema del fi-
nanziamento della politica non si poneva. I governanti dellera agricolo
artigianale infatti, disponevano del patrimonio pubblico, nel contesto di
finanza patrimoniale indicato al par. 8.2, e lo utilizzavano anche per il
proprio sostentamento; questo faceva parte dellinsieme della loro posi-
zione, e della prestazione organizzativa che comportava nei confronti della
collettivit.
Con lidea di stato di diritto e col principio di legalit il patrimonio
pubblico si autonomizzato da quello privato dei governanti, ed nato il
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 113

problema del finanziamento della politica. In molti paesi stato risolto per
censo, nel senso che si dedicato alla politica chi poteva permetterselo sul
piano patrimoniale, essendo gi, come si dice, ricco di suo. Unalternativa
pi democratica, ma che si presta agli eccessi vissuti in Italia, la remune-
razione delle cariche pubbliche ed il finanziamento pubblico dei costi della
politica. Non posso entrare nelle polemiche sottostanti, innescate soprattutto
dagli episodi di corruzione commessi da esponenti politici, che hanno pro-
vocato insofferenza verso la politica stessa, compreso il suo finanziamento. Ci
limitiamo a puntualizzare che rispetto alla spesa pubblica totale, i cosiddetti
costi della politica non sono enormi, anche se hanno un notevole va-
lore simbolico. Lo conferma la voce di spesa n. 21 del bilancio pubblicato
dalla ragioneria dello stato sul sito del ministero delleconomia e delle finanze;
vi troviamo circa 3 miliardi di euro relativi alle spese per organi costituzionali
(2 mld), a rilevanza costituzionale (0,5 mld), e per la presidenza del consiglio
(0,5). Non un ordine di grandezza apprezzabile rispetto al complesso della
spesa pubblica, anche se pure qui sarebbe possibile risparmiare qualcosa. Le
polemiche sul punto hanno quindi un valore pi che altro simbolico, espri-
mendo la diffusa sfiducia della gente nelle istituzioni.
Il vero costo del bilancio pubblico, se si guardano i numeri, non sono
gli stipendi dei politici, ma la cattiva gestione della macchina pubblica da
parte loro, a sua volta indotta dalla necessit di mantenere coesione sociale
e consenso in una opinione pubblica disorientata, per le note ragioni di
bagaglio culturale indicate in tutto il testo, tra cui ai par. 3.9 e 5.3-5.7..

6.6. Affari esteri e partecipazione a enti sovranazionali (fi-


nanziamento unione europea e fondi comunitari).

una funzione tradizionale dellorganizzazione pubblica, radicata nel me-


dioevo, con grandi tradizioni italiane e francesi. Rappresenta essenzialmente il
costo dellapparato diplomatico, delle relazioni internazionali, dei contributi
agli organismi sovranazionali, delle spese per limmagine italiana allestero, e
degli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Il costo sembra comunque relativamente
modesto, pari a circa 2 miliardi di euro.
Le contribuzioni italiane allUnione europea, pari a 23 miliardi, grava-
no invece sul bilancio del ministero dellEconomia; andrebbe approfondito, a
questo proposito, il circuito delle risorse comunitarie, in particolare il bilancio
tra le risorse ricevute dallUnione europea e quelle ad essa trasferite (oggi
leggermente deficitario per alcuni miliardi). Lordine di grandezza del dare-
avere dei fondi comunitari dipende dalle situazioni interne ammesse a
114 Compendio di Scienza delle Finanze

fruire di sovvenzioni previste dalle politiche comunitarie. Dato che queste


erogazioni passano attraverso un incrocio di amministrazioni pubbliche nazio-
nali e di normative europee, la difficolt burocratica di accesso ai fondi co-
munitari finisce per fare corto circuito con la deresponsabilizzazione burocra-
tica nazionale (vedi il capitolo precedente) contribuendo al saldo negativo
di questi ultimi anni. Bisognerebbe poi inserire in questi costi delle politiche
comunitarie anche quelli relativi ai fondi di riequilibrio per sostenere i debiti
pubblici di alcuni paesi aderenti alleuro.

6.7. Segue. Difesa.

La difesa il classico servizio indivisibile (par. 4.10), dove non c com-


petizione fra stato e mercato, come avviene in altre voci di spesa pubblica.
Lo Stato un committente importante delle aziende private della difesa,
ma le sue principali voci di costo non si riferiscono alle armi, bens al
personale. Le principali voci del bilancio del ministero della difesa sono
relative ai dipendenti, civili e militari, tenendo conto dellarma dei cara-
binieri, i cui costi ricadono sul ministero della difesa per una quota (27%
circa) del totale; quindi maggiore limputazione della spesa alla sicurezza
che alla difesa militare.
Ci sono poi capitoli specifici per le tre armi, cio lesercito (con 4 mi-
liardi di euro, pari a quasi il 20% del totale), laeronautica (con 2 miliardi di
euro pari cio all11% circa del totale) e la marina militare (con 1 miliardo
di euro ossia appena il 7,8% del totale). Anche le spese delle tre armi sono
prevalentemente rappresentate da costi del personale militare e dei suoi
impiegati civili. La spesa destinata alla manutenzione di equipaggiamenti
e di armi di un ordine di grandezza di circa 2 miliardi, sommando le varie
cifre di cui la pi consistente, per acquisizione di impianti e armamenti, a
pag 40 del bilancio pubblicato distribuita tra esercito, aeronautica e marina
militare. Insomma, si spende molto per gli uomini, e poco per i cannoni; non
un retaggio degli otto milioni di baionette di mussoliniana memoria, bens
un riflesso della possibilit di comprimere le spese per i materiali, non quelle
per gli stipendi.

6.8. Segue. Sicurezza e giustizia.

un settore storico dellintervento pubblico autoritativo (par. 1.4), ma


non particolarmente costoso rispetto alla difesa esterna. Spesso era lasciato
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 115

allautoorganizzazione delle comunit locali, come per lo sceriffo negli Stati


Uniti. NellItalia di oggi, il bilancio del ministero degli interni indica le spese
per le forze di polizia di circa 7 miliardi, oltre alla quota indicata nel bilancio
delle Difesa per i carabinieri. Le spese per le forze di polizia locale si frammen-
tano, invece, nei bilanci dei rispettivi enti, con le difficolt di individuazione
indicate al paragrafo 6.1.
Il costo complessivo dellapparato giudiziario, da bilancio del ministero
di grazia e giustizia di 7,5 miliardi di euro, composti in massima parte di
stipendi. Naturalmente comprende gli stipendi dei magistrati, degli uffici di
giustizia, cancellieri e addetti, le relative spese di funzionamento (comprese
le consulenze, ritengo); Oltre alle spese per il funzionamento degli uffici giu-
diziari, vi troviamo anche circa 2 miliardi per il funzionamento del sistema
penitenziario.
A questo comparto devono essere ascritti anche i costi dello stato rego-
latore (paragrafo 4.14) che non interviene direttamente, ma conformemente
a una sua funzione di regolatore sorveglia il gioco delle forze di mercato,
protegge i consumatori in posizione debole, in quanto molto frammentata,
ovvero la fede pubblica, come in campo finanziario, dove esistono asimmetrie
informative. Una indicazione sul costo di strutture come Consob, Authori-
ties (Antitrust, Energia,privacy, etc.), camere di commercio, deve per essere
rinviata a successive edizioni del testo.

6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile.

un settore importante, ma dove lalternativa pubblico-privato ge-


stibile abbastanza bene, senza particolari tensioni sociali, attraverso le opere a
tariffa o pedaggio. un settore dove pubblico e privato possono incontrarsi,
con possibile regolamentazione tariffario-concessoria, come fu per le ferrovie
e poi per le autostrade. Mentre gli ospedali o le scuole a pagamento lasciano
perplessi, non turba pi di tanto che chi viaggia paghi.
Le spese per le infrastrutture liberamente utilizzabili (senza pedaggio)
non transitano attraverso il bilancio di uno specifico ministero, come li-
struzione o la difesa, ma si frammentano tra gli enti che amministrano le
infrastrutture medesime, come le strade, suddivise tra Anas (trasformata in
societ, ma destinataria di trasferimenti pubblici, visto che si occupa di strade
senza pedaggio), ed enti locali, gestori di strade provinciali e comunali. Poi
ci sono infrastrutture come acquedotti, reti ferroviarie, telefoniche, elettri-
che e simili, ormai amministrate da aziende formalmente (e talvolta anche
sostanzialmente) private.
116 Compendio di Scienza delle Finanze

Buona parte delle spese infrastrutturali consiste in appalti verso ditte ester-
ne, con modesta lincidenza del personale proprio. Si tratta quindi delle spe-
se pi facilmente comprimibili in caso di crisi, ed anche quelle con maggior
rischio di inquinamento corruttivo, come confermano le cronache.
Un ulteriore motivo di spesa, da sviluppare nelle prossime edizioni del
manuale riguarda gli incentivi alle imprese, spesso erogati per finalit in-
frastrutturale, nonch per sostegno ad aziende di servizi pubblici, oltre che
per ricerca scientifica. Per ora per non ho sufficienti ordini di grandezza di
questi fenomeni, non avendo avuto tempo per scandagliare anche il bilancio
del ministero dello sviluppo economico; analogamente occorrer investigare
gli incentivi allagricoltura sotto forma di sovvenzione e il loro rapporto con
la tassazione (in buona parte agevolata) del settore.
Il capitolo di spesa del soccorso civile (compresi vigili del fuoco) si
trova invece nel bilancio del ministero degli interni ed ammonta a 1.7 miliardi
circa.
La protezione civile corrisponde a un dipartimento autonomo presso la
presidenza del consiglio, con a disposizione grossomodo 1,6 miliardi di euro,
bilancio modesto, ma ben poco gravato da spese di personale, trattandosi di
una struttura leggera (il costo del personale sembra pari a solo 33 milioni).
In relazione allurgenza degli eventi da fronteggiare, alla facilit di ottenere
risorse, con storni del bilancio pubblico in relazione al clamore mediatico
suscitato da eventi straordinari, i margini per affidamenti di incarichi sono
notevoli, con diversi episodi di malcostume.

6.10. Sanit.

In Italia si destina alla sanit l8,9% del Pil, cio circa 140 miliardi, di cui il
77 percento circa pubblici (grossomodo 100 miliardi, di competenza delle
regioni e il restante 23 percento relativi alla sanit privata. un tipico caso
in cui, essendo la spesa frammentata tra vari livelli di governo (centrale e
locali), precisazioni ulteriori sono molto complesse.
La spesa per la sanit una delle pi consistenti e anche delle pi delica-
te. Perch divisibile tra gli interessati, ma anche socialmente importante, sul
terreno della solidariet e della dignit umana. difficile, in linea di principio
e sul piano del consenso, negare assistenza a chi sta male, anche se non in
grado di sopportarne i costi. Per nessun pasto gratis ed i medici vanno
pagati, il che pone le premesse per una vera e propria branca delleconomia
pubblica, denominata economia sanitaria, cui si sono dedicati molti ri-
cercatori provenienti da scienza delle finanze. La sanit privata gestisce con
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 117

efficienza, anche grazie ad assicurazioni private abbastanza diffuse, interventi


di routine, mentre la sanit pubblica pu permettersi spese di ricerca e spe-
rimentazione utili agli interventi di eccellenza, finanziariamente non alla por-
tata della sanit privata. La burocratizzazione dellintervento pubblico, per,
crea inefficienze, liste di attesa, disattenzioni al paziente, trascuratezze cliniche
e altri inconvenienti spesso stigmatizzati dai mezzi di informazione; un ri-
flesso di una buona qualit dellintervento strettamente medico, perch ancora
in Italia le eccellenze individuali abbondano, ma lorganizzazione complessiva
un intreccio di sprechi, paradossi e confusioni.
Il peggioramento pu venire da una progressiva burocratizzazione medi-
ca, causata dal numero di cause giudiziarie intentate per presunta negligenza
o imperizia;questatteggiamento finisce spesso per ritorcersi ai danni dei malati,
in quanto il medico si deresponsabilizza, segue i protocolli e si espone
meno al rischio di iniziative proprie (magari con buone probabilit di riuscita).

6.11. Istruzione.

Le spese di funzionamento della scuola pubblica statale sono di circa 43


miliardi di euro, mentre listruzione universitaria finanziata per circa 7
miliardi, mentre due vanno alla ricerca e innovazione (andrebbe chiarito
come si distribuiscano tra varie iniziative).
Il grosso della spesa riferito in prevalenza alla remunerazione del per-
sonale. Quindi si tratta di spese correnti e obbligatorie, con un forte appiat-
timento ed una frequente trasformazione dello stipendio in sussidio. Che
infatti estremamente basso rispetto agli stipendi tedeschi o francesi, anche se
bisognerebbe verificare i carichi di lavoro. Ne derivata una graduale prole-
tarizzazione degli insegnanti, cui si accompagna, salva la coscienza personale
degli interessati, uno scadimento della rispettiva prestazione. Anche qui, non
si pu biasimare chi, non potendo migliorare le proprie condizioni lavorando
meglio, cerca di farlo impegnandosi meno.
Una razionalizzazione dellimpiego delle risorse disponibili necessaria,
soprattutto nelluniversit, dove vi sono quasi cento atenei, con 320 sedi di-
staccate, pi di 5000 corsi di laurea e una quantit enorme di indirizzi; questa
mole nellofferta formativa non sembra aver garantito allItalia una posizione
apprezzabile nelle classificazioni internazionali degli atenei.
In questa confusione allo sbando la formazione politica, economica
e sociale, in quanto argomento politicamente imbarazzante, proprio per la
scarsa serenit con cui viene trattato, per le polemiche e i nervi scoperti (par.
5.2 ss.). Con la conclusione che la politica e la societ di cui si parla ai fini del
118 Compendio di Scienza delle Finanze

programma scolastico sono magari quelle dellantica Grecia, mentre tra una
lezione e laltra si parla solo della cronaca politica, del pettegolezzo, magari
anche picchiandosi, e senza aver capito nulla (perch nessuno ci ha insegnato
a riflettere in merito).
Un ulteriore aspetto da sviluppare nelle prossime edizioni del testo riguar-
da gli incentivi alla ricerca e alla cultura, tra ministero delluniversit,
CNR, e spettacolo-beni culturali.
Analoga indagine sar necessaria per il sostegno allo sport, altro settore
contiguo a quello formativo educativo, in gran parte gestito attraverso gli enti
locali, le federazioni sportive ed il CONI.

6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica


monetaria.

La voce di spesa 26.1 del bilancio del ministero delleconomia, per circa 90
miliardi di Euro, riguarda gli interessi passivi sul debito pubblico, di cui
parliamo meglio al par. 7.7 e al par. 8.3, a proposito di entrate da prestito,
e finanziamento della spesa pubblica attraverso il debito.
Qui aggiungiamo alcune avvertenze relative alla stratificazione del debito, in
relazione al tasso dellinteresse fisso o variabile, indicizzato a vari parametri, in
genere allinteresse sui titoli di stato a breve termine (Buoni Ordinari del teso-
ro). Un aumento del tasso di interesse, sia in assoluto sia per una diminuzione di
fiducia verso il debitore stato (cfr. al par. 8.3 il concetto di spread) tocca solo
indirettamente il debito in essere, nei limiti in cui essendo indicizzato viene
influenzato dallaumento dei tassi sui suddetti buoni del tesoro. Lo stesso vale,
allinverso, per le diminuzioni dei tassi di interesse, che non riguardano il debito
a tasso fisso, gi in essere, ed emesso a tassi di interesse pi elevati.
La politica monetaria, esposta in vari paragrafi del testo (spec.te paragrafi 7.7
ss., 8.3), sostanzialmente priva di costi diretti, dal momento che discende dalla ca-
pacit di credito dello stato nei confronti del sistema bancario: lunico costo quel-
lo di una promessa, che deve essere seria, e dipende quindi dalla credibilit politica,
alimentata dal funzionamento della macchina pubblica, su cui appunto par. 8.3.

6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle en-


trate e Guardia di Finanza (5 miliardi circa).

Per questa funzione, basilare dellintervento pubblico nellorganizzazione


sociale, alcune informazioni risultano dalla spesa del ministero delleconomia
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 119

e delle finanze, dove i trasferimenti allagenzia delle entrate ammontano a 2,3


miliardi circa e 2,7 miliardi circa sono trasferiti alla GDF per la funzione fiscale
(cui bisogna aggiungere altri 1,4 miliardi per la funzione generale di sicurezza
pubblica della stessa GDF). La valutazione di questo costo non va riferita alle
entrate direttamente derivanti dallattivit di questi organi (circa 12 miliardi),
ma al loro ruolo nella tassazione attraverso le aziende (capitolo ottavo), con
tutti gli annessi costi a carico del settore privato (adempimenti, consulenti,
etc.).

6.14. La previdenza tra corrispettivit e fiscalit.

Nellorganizzazione sociale agricolo-artigianal-mercantile, mancava la


figura del pensionato. Ognuno continuava a svolgere lattivit lavorativa
che poteva, fino a che aveva energie, come indicato al par. 2.9; lo spettro delle
possibili occupazioni era ampio, in una societ non ancora rigida come quella
delle aziende tecnologiche (par. 3.7); con laumentare dellet ci si trovavano
lavori pi leggeri, ma pur sempre utili alle vecchie comunit familiari allar-
gate; che prendevano il contributo che il vecchio poteva dare, e lo assiste-
vano per quanto aveva bisogno. Lospizio, per i vecchi abbandonati, era una
eventualit verosimilmente remota, in questo contesto, tutto sommato meno
logorante mentamente, anche se pi faticoso; per rendersene conto basta ve-
dere i vecchi artigiani che, anche oggi, continuano a lavorare fino ad una et
avanzata, ancora con la flessibilit di cui al par. 2.9.
Le cose cambiano quando il lavoro organizzato, coordinato, interdipen-
dente tra macchinari e una pluralit di altri addetti; quando si lavora nelle mo-
derne organizzazioni serve efficienza, affidabilit, omogeneit di prestazioni
nel tempo. Lazienda, oltre a provocare spesso lavori usuranti tollera male le di-
scontinuit collegate al lavoro senile, dove maggiore il rischio di assenze per
malattia o di handicap fisici. La scelta individuale dei ritmi lavorativi va bene
per un vecchio artigiano, anche un amministratore di condominio, o comun-
que un lavoratore autonomo, ma meno compatibile con gli ingranaggi di
una organizzazione complessa.
Si aggiunga anche un desiderio di andare in pensione, dovuto alla aliena-
zione e alla spersonalizzazione del lavoro aziendale rispetto a quello artigianale
o agricolo. Nellorganizzazione sociale aziendal tecnologica la tendenza del-
le aziende ad avere maestranze giovani converge con quella delle maestranze
ad andare in pensione, magari per avere le spalle coperte da una entrata certa
e dedicarsi a unaltra occupazione, pi a misura duomo e pi gratificante. A
una certa et, molti si sentono svuotati come tubetti di dentifricio, senza sa-
120 Compendio di Scienza delle Finanze

pere perch, altri hanno voglia di cambiare, altri sono stati espulsi da aziende
giovaniliste.
Rispetto alla societ agricolo-artigianal-mercantile, quella tecnologica
tende molto di pi ad emarginare gli anziani. Con problemi cui si risponde
rendendo obbligatoria una copertura pensionistica, in modo da garantire al-
meno una fonte di reddito a chi, non pi in grado di lavorare nelle aziende,
non pu pi rendersi utile allinterno delle famiglie allargate di un tempo,
ormai sparite. Alcuni paesi (specialmente anglosassoni) obbligano a una forma
assicurativa, anche privata, ed altri ad assicurazioni pubbliche obbligatorie
per chiunque svolga determinate attivit. Anche la previdenza un altro luogo
di incontro tra pubblico e privato, con varie possibili combinazioni, dove
il pubblico non manca mai, ma in varie gradazioni. Linteresse generale ad
evitare vecchi privi di mezzi di sostentamento pu essere infatti soddisfatto
con diverse sfumature, e con vari collegamenti alla condizione lavorativa pre-
cedente, iniziando attraverso il sistema c.d. della cassa mutua. In cui tanto
pi si era obbligati a versare durante la vita lavorativa, tanto pi si riceveva di
pensione.
Questultima segue per la logica della rendita vitalizia, nel senso che
spetta fino alla morte, con un elemento di aleatoriet tipico della tecnica
assicurativa; le pensioni sono quindi calcolate in base ad una stima generale
della vita media residua della massa dei pensionati, secondo c.d. calcoli
attuariali; la stessa logica delle rendite vitalizie erogate in base alle assi-
curazioni sulla vita stipulate volontariamente, secondo gli ordinari criteri
di mercato.
Il calcolo della pensione, secondo criteri di economicit e di corrispettivit,
non pu che prendere le mosse dai contributi pagati, ed quello che avviene
nei sistemi a capitalizzazione, chiamati anche contributivi, diffusi nei pae-
si ad economia di mercato. Dove casomai lintervento pubblico attiene alla
tutela degli investimenti finanziari delle casse di previdenza, secondo criteri
simili a quelli della tutela del risparmio, perch qui si tratta di un risparmio
obbligatorio e previdenziale.
La politica, con la sua visione di breve respiro, si per inserita in que-
sto meccanismo, inventando il criterio c.d. a ripartizione, oppure retri-
butivo, che se gestito in modo previdente sarebbe anche tollerabile
e porterebbe a risultati non dissimili da quello contributivo. Peccato che
invece la relativa abbondanza di contributi versati da classi lavoratrici re-
lativamente giovani, al tempo del boom economico, sia stata utilizzata per
integrare le pensioni di chi non aveva versato contributi; nellimmediato
era una strada percorribile, perch la base lavorativa era ampia, e rispetto
ad essa i pensionati erano pochi; ci si potevano permettere, in quel perio-
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 121

do, anche le c.d. pensioni collegate alla anzianit lavorativa e non allet
del soggetto, generando veri e propri baby-pensionati, anche a causa di
anzianit contributive forfettarie, ricongiungimenti, contributi irrisori e
simili strategie elettoralistiche; con una miopia politica simile a quella che
vedremo al prossimo paragrafo per il debito pubblico, e che oggi presenta
il conto. Infatti, con linvecchiamento della popolazione e la diminuzione
della forza lavoro attiva, anche per via della globalizzazione, il ciclo si in-
vertito. Lo squilibrio tra i contributi versati e le pensioni da pagare finisce a
carico della fiscalit generale, come gi indicato a proposito della rispettiva
voce di spesa pubblica (par. 6.15).
Si sta cercando faticosamente di tornare al sistema c.d. contributivo, a
partire dagli anni novanta del secolo scorso, ma una strada in salita; i nuovi
sistemi sono partiti per chi iniziava la propria vita lavorativa dopo il 1995, e
quindi andranno a regime molto lentamente. Un palliativo, cui si ricorre sem-
pre pi spesso, laumento dellet pensionabile, che costringe a lavorare di
pi, continuando a pagare i contributi.
Nellimmediato, laumento indiscriminato dellet pensionabile, un pal-
liativo per far quadrare i bilanci in mancanza di meglio. In prospettiva siste-
matica richiama la funzione assistenziale della previdenza, i suoi obiettivi di
fondo indicati allinizio di questo paragrafo, sullo sfondo della vecchiaia e della
morte, che venivano fronteggiate nei vecchi gruppi familiari allargati. C chi
muore rapidamente, essendo stato autosufficiente fino a pochi attimi prima,
e chi ha bisogno di assistenza per anni. Ci sono lavori usuranti in astratto e
lavoratori usurati in concreto, le cui condizioni non sono assolutamente in
grado di essere valutate da strutture pubbliche appiattite sulla legislazione, e
incapaci di valutare la diversit delle singole situazioni. Anche sul sistema pen-
sionistico la paralisi decisionale, con le sue cause giuridiche indicate ai parr.
5.1 ss., intralcia lintervento pubblico nelleconomia, provocando privilegi e
penalizzazioni, entrambi ingiustificati.
Si conferma cos la portata assistenzial-assicurativa della previdenza, finaliz-
zata ad evitare che persone non pi in grado di provvedere a se stesse siano un
costo per il resto della societ. Lo scopo della previdenza non perci quello
di affrancare dal lavoro arzilli vecchietti attivissimi, che poi si deprimono senza
pi nulla da fare dalla mattina alla sera, oppure cercano altro impiego anche
remunerativo. C un interesse pubblico a che gli anziani mantengano il pi
possibile un impegno lavorativo gratificante e socialmente utile; nessuno sa
per quali possono essere i casi della vita, e quindi chi ha accantonato somme
consistenti per la propria vecchiaia potrebbe non averne mai bisogno, perch
continua a lavorare fino alla morte. Mentre al contrario potrebbe avere bi-
sogno di assistenza chi diventa inabile al lavoro in modo anticipato. La pre-
122 Compendio di Scienza delle Finanze

visione stessa di cosa accadr col passare degli anni difficile, anche perch
subentrano modifiche motivazionali impossibili da prevedere, sulla direzione
da imprimere al proprio impegno residuo. Ognuno dovrebbe quindi essere
costretto, quando giovane, ad accantonare a sufficienza per poter far fronte ai
propri bisogni quando sar vecchio, nellipotesi in cui perda interesse ad ogni
forma di impegno nella societ. Potrebbe essere un capitale di riserva, anche
diverso dalla rendita vitalizia in cui consiste la pensione. In modo da non mor-
tificare chi, lavorando di pi, risparmiando di pi o mantenendosi pi attivo,
riesce a trasmettere il capitale ai propri figli o ad altri fini meritevoli di tutela,
secondo un ultimo atto di residua autonomia. Ma un discorso da riprendere,
in una cornice in cui ognuno deve essere assistito, se bisognoso, ma deve essere
incentivato ad autogestire se stesso, e il proprio patrimonio, come ritiene pi
opportuno, se non di peso per gli altri.

6.15. Spese per integrazioni salariali e sussidi (differenziali di


assistenza non coperta da contributi).

Quando, per una serie di ragioni economico-sociali, alcuni lavoratori sono


espulsi dal sistema produttivo, i sistemi di previdenza indicati al paragrafo pre-
cedente vengono integrati, per ovvie finalit di coesione sociale, con forme di
assistenza, a carico della fiscalit generale, cio del bilancio pubblico.
Il problema, anche qui, di capacit di valutare e di distinguere le situa-
zioni, cio di funzionamento dellazienda stato, per evitare lerogazione di
sussidi e provvidenze in modo formalistico-cartaceo. Lapparato pubblico
non riesce infatti a subordinare il sussidio allaccettazione di posti di lavoro,
a gestire lavori socialmente utili, a verificare che i beneficiari non svolgano
attivit in nero.
Per il ministero del lavoro passano, oltre a 4 miliardi circa di fondi per le
politiche per il lavoro, tutti i trasferimenti agli enti previdenziali per erogazio-
ni che essi non riuscirebbero a sostenere con le proprie entrate. Mi riferisco
sostanzialmente alla parte assistenziale della previdenza e assistenza sociale, di
cui abbiamo parlato al par. 6.14.
In Italia, il sistema della previdenza sociale fu introdotto con listitu-
zione della Cassa nazionale di Previdenza nel 1898, competente in mate-
ria di previdenza, invalidit e vecchiaia degli operai. Era originariamente
unassicurazione volontaria, finanziata dai contributi pagati dai salariati
e integrata dallintervento statale e da versamenti volontari dei datori di
lavoro. Diviene ente di diritto pubblico nel 1933, durante il Ventennio
fascista, ed ha ampliato progressivamente nel tempo le sue competenze,
CAPITOLO VI UNA GEOGRAFIA DELLINTERVENTO PUBBLICO 123

dallassicurazione contro la disoccupazione, agli assegni familiari e alle


integrazioni salariali.
Anche in questarea si colloca una parte della spesa pubblica per i c.d. am-
mortizzatori sociali, indirettamente utile alle ristrutturazioni aziendali, e da
sviluppare nelle prossime edizioni del manuale.
Capitolo Settimo
MISURAZIONE DEGLI SCAMBI (IL PIL),
VALORI E DENARO NEI RIFLESSI FINANZIARI
DELLINTERVENTO PUBBLICO

Sommario: 7.1. La misurazione delleconomia e il PIL come indicatore degli scambi di mercato.
7.2. Il PIL nei confronti internazionali: pregi e difetti informativi. 7.3. La valutazione nel
PIL delleconomia pubblica non di scambio. 7.4.Valori economici come valori umani e
loro relativismo. 7.5. I valori economici nella prospettiva dellacquirente: valore duso e di
scambio. 7.6. Segue: i valori economici dal punto di vista del venditore: valore e remunera-
zione del lavoro. 7.7.Valori e moneta come simbolo di crediti: spontaneismo privato e
limiti dellintervento pubblico. 7.8. Banca, finanza ed economia pubblica. 7.9. La finanza
e i rischi di sua degenerazione. 7.10. Intervento pubblico e tassi di cambio: svalutazione e
inflazione. 7.11. Istituzioni e globalizzazione: pro e contro. 7.12. LEuro come esempio di
moneta sovranazionale.

7.1. La misurazione delleconomia e il PIL come indicatore


degli scambi di mercato.

Lera aziendale, con la sua combinazione di aziende e istituzioni (par.


4.13) molto sofisticata ed ha bisogno di strumenti informativi, di analisi e
monitoraggio, anche per consentire la supervisione della pubblica opinio-
ne (par. 5.2 e seguenti), da cui dipende lintervento dei pubblici poteri.
Serve quindi una misurazione dellattivit economica, per la quale un
tempo veniva utilizzata la quantit di moneta in circolazione (par. 7.7), che
per era un indice troppo rudimentale.
Per questo si avvert, dopo la crisi degli anni Trenta del ventesimo secolo, la
necessit di un indicatore pi affidabile e sintetico,e fu elaborato il PIL. La
convenzione base del PIL era quella di misurare, con criteri di campionatura
statistica molto sofisticati (e che spesso a molti sembrano un atto di fede) gli
scambi dove intervengono operatori economici.
Alla base del PIL, e della sua costruzione logica, c una idea elementare
di scambio: immaginiamo due soggetti, ciascuno dei quali ha prodotto un
126 Compendio di Scienza delle Finanze

bene, che appunto scambia con laltro, considerandoli equivalenti: ciascuno di


essi avr realizzato un reddito, per il bene che ha dato alla controparte, e un
consumo per il bene che ha percepito.Trasfondendo questo scambio sul piano
macroeconomico abbiamo i primi elementi dellequazione su cui si basa
il PIL. Su questo primo elementare equilibrio economico, dove i consumi
sono uguali alla produzione, si inseriscono le esportazioni, dove c produ-
zione, ma non consumo, le importazioni, dove avviene il contrario (consu-
mo, ma non produzione), gli investimenti e debiti-crediti. Il PIL compensa
le duplicazioni, cio gli scambi tra produttori, e considera solo quelli che
arrivano al consumo finale, oppure si dirigono a clienti esteri, naturalmente
sterilizzando i consumi di beni importati, la cui produzione avvenuta altrove.
una specie di eguaglianza, tra redditi da un lato e consumi, pi investimenti,
pi esportazioni nette (cio al netto delle importazioni)
Allo stesso risultato concettuale si arriva sommando le remunerazio-
ni dei fattori della produzione aziendal-tecnologica, cio lavoro, capitale,
rendita fondiaria, profitto di impresa. Quindi tutti i servizi necessari alla
produzione, compresi quelli direzionali, costituiscono una grandezza ugua-
le e contraria alla produzione, che a sua volta si traduce in investimenti e
consumi, col gi indicato correttivo dei rapporti con lestero (esportazioni
e importazioni).
I consumi possono quindi avvenire anche a debito, e i redditi possono
essere anche rappresentati da crediti. Tornando allesempio elementare dello
scambio, se chi ha del cibo ne scambia una parte con chi si impegna a dargli
una merce o prestargli un servizio in futuro, ha reddito misurato da un cre-
dito, mentre non ha ancora consumato. Sono riflessioni riferibili anche ad
una famiglia, o a un artigiano, senza le formalizzazioni matematiche con
cui le ha rivestite leconomia, nel tentativo di legittimazione scientifica
descritto al paragrafo 4.6.
Il vero problema, rispetto a sterili esposizioni formali dei concetti sud-
detti, il calcolo degli scambi. Concettualmente bisognerebbe rilevare tutte
le operazioni al consumo finale (cui corrisponde il soddisfacimento dei bi-
sogni umani), chiamate anche business to consumer (BtoC spesso indicato
gergalmente come B2C); basterebbe poi aggiungere le esportazioni e togliere
le importazioni, come indicato sopra, per valutare lattivit economica. Sul
piano della rilevazione statistica questa procedura troppo complessa in quan-
to la rete distributiva pi parcellizzata del sistema direttamente produt-
tivo, da cui pi comodo prendere le mosse, stimando il valore aggiunto
(paragrafo 3.11) di ogni fase produttiva, al netto del valore aggiunto che gli
viene fornito da altri settori, in modo da evitare duplicazioni. Il valore ag-
giunto del credito (delle banche) contribuisce alla formazione del PIL come
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 127

remunerazione del servizio di intermediazione nella raccolta di risparmio e


nellerogazione di credito. Lapporto al PIL delle istituzioni pubbliche, non
operanti esattamente in un contesto di scambio, sar analizzato al successivo
paragrafo 7.3.
Per ora cerchiamo di capire il contenuto informativo del PIL e quindi
in controluce gli aspetti su cui esso non fornisce informazioni. Il PIL consi-
dera gli scambi di mercato e quindi esclude la produzione di sussisten-
za, tipica dellera agricolo-artigianale, in cui erano importanti lautoconsu-
mo e i piccoli scambi di vicinato, come indicato gi al par. 2.4.
Sfuggono al PIL anche le prestazioni reciproche interne allaltra cellula
della societ, accanto alle aziende moderne, cio la famiglia, della cui crisi
sotto questo profilo abbiamo detto al par. 4.1.
Il PIL quindi un indicatore tipico dellera aziendale, mentre in societ
agricolo-artigianali, dove prevalgono autoconsumo e scambi di vicinato
quasi del tutto privo di significato. Dividere infatti lo scarso valore
aggiunto aziendale (par. 3.12) per il numero degli abitanti, elaborando un
PIL procapite solo una mistificazione ad effetto. Il risultato pu essere di
pochi dollari al giorno, in contesti di economia di sussistenza, dove la vita
certamente dura, ma in un contesto diverso agricolo-artigianale, simile a
quella secolare delloccidente preindustriale, non cos miserabile come si
sarebbe portati a dire in base ai raffronti dei PIL pro capite (vero e proprio
idiotismo economico).
Gi al par. 3.15 abbiamo indicato la necessit di andare oltre il PIL,
mantenendo il ruolo dellazienda tecnologica, ma senza elevare la produ-
zione a feticcio. Ironie su questa concezione totalitaria del PIL venivano
da personaggi che non erano certo antagonisti no global ante litteram,
come Winston Churchill, e Bob Kennedy; il primo si chiedeva perch, se
uno sposa la propria cameriera, trasformando un rapporto di scambio eco-
nomico in uno scambio affettivo, diminuiva il Pil, ed il secondo, criticava il
PIL rilevando come esso comprendesse linquinamento dellaria, la pubblicit
delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del
fine settimana, programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti
violenti ai bambini, la produzione di napalm, missili e testate nucleari, trascurando
la salute delle famiglie, la qualit della loro educazione la bellezza della nostra
poesia e la solidit dei valori familiari, misurando tutto, eccetto ci che rende la vita
degna di essere vissuta.
Sono estremizzazioni e paradossi, ma sufficienti a ricordarci che le-
conomia fatta per luomo, cio deve soddisfare nel modo pi efficiente bi-
sogni umani, e non viceversa. Dove il viceversa sta a significare un consumo
di merci inutili solo per mantenere le economie di scala delle aziende che le
128 Compendio di Scienza delle Finanze

producono, e che cercano di sostenerne il consumo con le fatue comunica-


zioni pubblicitarie indicate al par. 4.1.
Tuttavia leconomia pone i suoi vincoli di buonsenso, che oggi sem-
brano dimenticati, come limpossibilit di consumare senza produrre,
la tensione per i debiti non pagati, limpossibilit di creare ricchezza
per legge, e la presenza di costi per ogni attivit umana (nessun pasto
gratis).
In questo quadro, espresso da vecchie massime umanistiche senza tem-
po, si possono per collocare innumerevoli scale di valori, che influenzano i
bisogni, la produzione, i rapporti sociali, le varie sfumature organizzative della
collettivit, avvertite dalla pubblica opinione, come indicato ai paragrafi 5.3
e seguenti. Gli studiosi sociali dovrebbero quindi coordinare e conte-
stualizzare queste riflessioni, aggiornando le categorie concettuali con cui
la pubblica opinione analizza lera aziendale. Si tratta di superare lintreccio
tra bagaglio culturale agricolo artigianale, ancora fortemente intriso di bisogni
materiali, e la volont di vendita delle aziende, che hanno alimentato lillu-
sione del consumismo, lebbrezza dellavere rispetto allessere, che forse
sono alla base della assolutizzazione valoriale del PIL. Il PIL quanto di
meglio abbiamo, allo stato attuale delle convenzioni di calcolo, per avere una
informazione sulla convivenza sociale. Ma non bisogna assolutizzarlo, come
se le variazioni infinitesime di punto di PIL fossero indicative di chiss cosa,
come spesso vengono presentate nel sensazionalismo mediatico che si riflette
in mercati finanziari il cui nervosismo conferma ancora una volta lapparte-
nenza delleconomia alle scienze umane.
Come per tutti i valori assoluti, in un sano relativismo, bisogna diffi-
dare della necessit di produrre, non importa cosa, purch cresca il
PIL, come se la sua crescita volesse dire sempre e comunque benessere,
indipendentemente dalle merci prodotte e consumate; analogamente estre-
mistici sono oggi i miti della decrescita felice, come se non produrre,
fosse un valore in s, e si potesse tornare alleconomia preindustriale, senza
pi produzione di serie dopo che ci siamo abituati ad essa ed abbiamo per-
so le doti della societ agricolo-artigianale; non si pu ovviamente tornare
al passato, ed anche per fortuna molto raro trovare su internet, frutto della
civilt tecnologica, grossolani richiami a miti preindustriali. Il pregio della
decrescita felice solo il richiamo ad uno stile di vita pi sobrio, abban-
donando simboli materialistici e sprechi, per esorcizzare gli interroga-
tivi di fondo delluomo (par. 3.1), trascurando un suo rapporto pi maturo
con gli altri uomini, con lambiente. Solo con questa lettura umanistica di
una produzione, da salvaguardare, si pu lentamente evitare una fabbrica di
immaturit e infelicit. Al PIL bisogna quindi chiedere solo di svolgere il
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 129

suo compito, cio misurare gli scambi di mercato. Indicatori integrativi


del PIL per esprimere altri parametri di qualit della vita, come il livello di
istruzione, la coesione sociale, le condizioni ambientali e sanitarie, il tempo
libero, etc. non sono facilmente elaborabili, ma sono una nuova frontiera
delle scienze sociali.

7.2. Il PIL nei confronti internazionali: pregi e difetti infor-


mativi.

Ci sono convenzioni europee e internazionali sul calcolo del PIL, ma


bisognerebbe approfondirne lidoneit a garantire una vera uniformit di ri-
levazione. Nello spazio economico globale, il PIL infatti utilizzato per effet-
tuare confronti internazionali, ma la sua attendibilit inferiore perch, cam-
biando alcune convenzioni di stima, il risultato pu cambiare notevolmente;
comunque il PIL uno dei parametri utilizzati per stilare le graduatorie di
sviluppo economico, ad esempio per individuare i paesi pi industrializzati; il
PIL un elemento importante per le riunioni politico economiche tipo G7,
anche se affiancato da parametri geopolitici, militari e diplomatici. Si pu ipo-
tizzare che il PIL sia anche un parametro per ripartire le contribuzioni degli
stati ad alcuni organismi internazionali.
Se si prende in considerazione il livello del PIL nazionale (che pari oggi a
circa 1.500 miliardi di euro), lItalia risulterebbe essere allincirca in settima
posizione, ma basta pensare che non inclusa la Cina per rendersi conto della
obsolescenza di questa classifica, che vede i paesi delloccidente tradizionale
perdere anno dopo anno posti in graduatoria (par. 3.1).
Nella relativizzazione del PIL vale la pena di ricordare che esso non
considera le diseconomie esterne, costi sociali o esternalit negative
(par. 4.4). Sono cio esclusi dal PIL i costi futuri, resi necessari da queste
esternalit negative (costi di bonifica, costi sanitari, di congestione am-
bientale etc.).
Il PIL non considera neppure lutilit sociale delle varie produzioni, il
loro contributo alla convivenza, la loro destinazione a consumi o a investimen-
ti. Gli acquisti valgono come tali, a prescindere dalla loro finalit per recupe-
rare i centri storici, per rinnovare il guardaroba degli adolescenti, per produrre
burro oppure cannoni, secondo un vecchio modo di dire. Sia i consumi, sia
gli investimenti, pubblici o privati, fanno PIL. Aumentano infatti il PIL sia
gli investimenti in infrastrutture, tecnologia, ambiente, sanit e capitale umano,
sia i consumi pi inutili; lossessione dellaumento del PIl, cio dei consumi,
finanziati a debito (spesso pubblico, cfr. par. 8.3) in modo che le merci trovi-
130 Compendio di Scienza delle Finanze

no sbocchi, il fatturato aumenti e come si dice volgarmente i soldi girino


pu portare alla catastrofe economica.
I consumi rilanciano la produzione solo quando, appunto, si produce
qualcosa da scambiare e si crea reddito; altrimenti, se si consuma quello che
non si produce, si creano debiti che non si potranno ripagare e costituiscono
solo palliativi rispetto a una crisi di sovraproduzione. In altri termini, la spesa
a debito porta al consumo senza reddito, uno scambio solo virtuale, tra chi
effettua una prestazione, e chi si limita a promettere, come indicato anche al
par. 7.7.
Le confusioni concettuali della pubblica opinione in materia economica
spingono invece ad assumere i consumi come indice di reddito anche quan-
do sono indice di diminuzione di patrimonio, oppure di debito. Dopotutto
leconomia uno scambio reciproco di prestazioni, che si pu equilibrare nel
tempo, dove cio le eccedenze di quanto dato rispetto a quanto ricevuto co-
stituiscono denaro (cio credito monetizzabile, come diremo al par. 7.7); i
crediti dovrebbero a rigore essere utilizzati nel futuro, per consumare senza
produrre.
Se ci sono squilibri economici tra la tipologia di beni offerti e quelli
richiesti, rilanciare la domanda forzando il consumo dei primi, magari indebi-
tando lo stato a questo scopo, come vedremo al par. 8.3 una pericolosa illu-
sione. La produzione si rilancia solo quando, appunto, si produce qualcosa che
interessa ai consumatori; altrimenti, se si consuma quello che non si produce,
si creano debiti che non si potranno ripagare. In altri termini, la spesa a debito
un riflesso di consumo senza reddito, controbilanciato da promesse che non
si potranno onorare. Insomma, un palliativo.
Il risparmio non deprime affatto il PIL, o meglio lo deprime solo se i ri-
sparmiatori custodiscono le loro monete nel materasso. Altrimenti il risparmio
viene infatti rimesso in circolo attraverso il sistema bancario, nei modi indicati
al par. 7.8.
Anche una vertigine di consumi aumenta il PIL, ma pu essere un fuoco
di paglia, magari finanziato a debito, per futili motivi; un po come nei pri-
mi anni 2000, in cui le famiglie americane ipotecavano la casa per acquista-
re beni voluttuari di consumo, tutti finanziati a debito, piazzato sul mercato
finanziario attraverso titoli tossici, che portarono al fallimento Lehman
Brothers del 2008, con crisi di molte altre banche, salvate con interventi
pubblici. Proprio la consistenza del risparmio familiare ha assicurato, nella
suddetta crisi del 2008, la relativa solidit delle banche italiane nella crisi in-
ternazionale. Bisogner vedere se sar sufficiente anche nella crisi del debito
sovrano. Ma se non si torna a produrre, e a saper organizzare la produzione,
difficile.
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 131

Rispetto al PIL leconomia criminale parassitaria quando si manife-


sta in estorsioni e taglieggiamenti, senza alcuna soddisfazione bilate-
rale di bisogni umani; questi ultimi sussistono invece anche quando si tratta
di bisogni illeciti come le bevande alcooliche ai tempi del proibizionismo,
la droga (in molti paesi la coltivazione di oppio e coca costituisce un pilastro
delle economie locali), il gioco dazzardo o la prostituzione. la differenza
tra parassitismo criminale, basato sulle estorsioni di reddito altrui (il rapi-
natore soddisfa solo i bisogni propri), e reddito criminale che fornisce un
servizio, una prestazione, sia pure socialmente disapprovata. Su questo
sfondo corruzioni e concussioni rappresentano anchesse economia cri-
minale, salvo forse quando sono gli unici modi per smuovere la paralisi di
istituzioni pubbliche altrimenti immobili.
Quando il PIL stato concepito, prima della seconda guerra mondiale,
non era praticabile un diverso criterio di calcolo, basato sulla stima diretta
dei consumi finali di beni e servizi totali, prendendo solo le vendite di tutti
gli operatori economici al dettaglio, aggiungendo poi le esportazioni nette
(esportazioni meno importazioni).
Oggi la tassazione attraverso le aziende (capitolo ottavo), con la sua esten-
sione a tutti gli operatori economici, anche minimi, consente un ipotetico
confronto tra dati delle dichiarazioni fiscali e campionature Istat di contabilit
nazionale; i dati fiscali, salva la ricchezza non registrata, rappresentano non gi
un campione, ma tendenzialmente, riguardando linsieme degli operatori
economici esprimono, come dicono gli statistici, luniverso.
C quindi da chiedersi se non potrebbe essere pi accurata, rispetto alle
stime del PIL effettuate, spesso in termini di vero e proprio atto di fede, da
uffici di contabilit nazionale, una stima basata sui dati fiscali, magari lor-
dizzata per tener conto della ricchezza non registrata. Le banche dati delle
dichiarazioni fiscali sono infatti analitiche, molto credibili, per le attivit
organizzate, e integrabili convenzionalmente per quelle pi sfuggenti. un
altro punto di incontro tra diritto ed economia che si dovrebbe approfon-
dire. Ma nelle scienze umane la forza di inerzia dominante. E quindi si va
avanti con stime esoteriche del PIL, di cui lopinione pubblica non riesce a
ripercorrere la logica, prendendole come un atto di fede.

7.3. La valutazione nel PIL delleconomia pubblica non di


scambio.

Il riferimento del PIL agli scambi di mercato, ne spiega anche i limi-


ti di fronte alleconomia delle istituzioni, estranea allo scambio bilaterale,
132 Compendio di Scienza delle Finanze

ma ispirata al consenso politico (o scambio politico, come indicato ai pa-


ragrafi 1.2 e 1.3. Il consumo pubblico, come dicono gli economisti,
magari utilissimo ed efficientissimo, ma pur sempre ispirato allo scam-
bio politico. Vedremo al capitolo ottavo che le imposte prelevano quindi
una quota di reddito nazionale per generare consumi appunto pubblici,
che dovrebbero esprimere anchessi servizi, utili alla produzione
complessiva. I consumi pubblici spesso sono fattori produttivi per il
sistema produttivo privato, come le infrastrutture, la sanit, la sicurezza
e listruzione. Si tratta per di servizi su cui lutente non pu trattare,
perch dipendono da decisioni politiche, non da decisioni consensuali, di
reciproca convenienza.
Anche se questi consumi pubblici sono essenziali per lorganizzazione so-
ciale, la cifra spesa per essi non deriva da uno scambio: gli operatori che pa-
gano imposte producono ricchezza, e ne versano una parte alle istituzioni
pubbliche, che magari ricambiano in modo efficiente, oppure sprecano, ma in
entrambi i casi seguono la logica indicata ai par. 5.2 e ss.. Si sostituiscono cio
consumi pubblici a consumi privati. Non un giudizio negativo sui primi ci
mancherebbe, per un altro modo per tornare al filo conduttore del testo in
materia di intermediazione pubblica.
Al ridursi dellazione privata nel mercato e allaumentare della sfera pub-
blica, fino a esaurire ogni spazio economico, il concetto di PIL perde il con-
tatto con lidea dello scambio, del consenso, del mercato, per esprimere
la delega dei governati, la trasfigurazione dello scambio da contrattuale a
politicamente intermediato; portando lintervento pubblico allestre-
mo, come nei paesi comunisti di cui al par. 4.12, ognuno lavorerebbe per
lo stato, e il denaro rappresenterebbe solo uno strumento per una limitata
scelta tra i servizi pubblici messi a disposizione dallunico fornitore statale,
tra cui persino alimentazione, alloggio, mobilit. Non essendoci economia
privata non servirebbero le imposte, inutile e dispendiosa partita di giro,
visto che gi tutto sarebbe dello stato. Per questo, al crescere del settore
pubblico, particolarmente importante ai fini della significativit del PIL
la valutazione della sua efficienza; altrimenti, persino aumenti degli stipendi
pubblici, finanziati a debito per aumentare i consumi e senza alcun aumento
di efficienza, farebbero apparentemente aumentare il PIL, preludendo invece
ai disastri di cui al par. 8.3.
Nelle economie libere, cio miste pubblico privato, come quelle
occidentali, si segue il criterio normale quando si inseriscono nel
PIL gli acquisti effettuati dallo stato per il consumo finale degli utenti
(si pensi alla sanit in convenzione) nonch i costi vivi degli stipendi
pubblici; questultima una scelta,obbligata in quanto non ci sono altri
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 133

sistemi di misurazione; questa soluzione pu non dare conto della loro


grandissima efficienza, o al contrario pu sopravvalutarne il contributo,
in caso di inefficienze. Il risultato , quindi, di una possibile sottostima
dellapporto pubblico, se le relative spese sono molto efficienti, oppure
di una sovrastima, se sono poco efficienti. Questa convenzione contabile
con cui si inserisce leconomia pubblica nel PIL forza negli schemi dello
scambio di mercato un servizio intermediato dallapparato politico-pub-
blico, come indicato al paragrafo 1.4. Ne deriva il gi indicato parados-
so secondo cui un aumento di stipendio degli infermieri fa aumentare
contabilmente il PIL, senza che vi corrisponda un aumento di qualit del
servizio sanitario.
Viene senzaltro evitata, secondo convenzioni contabili di cui mi sfuggo-
no i tecnicismi, la duplicazione tra assumere il valore aggiunto al lordo delle
imposte inserendo poi nel PIL i consumi pubblici finanziati con tali impo-
ste. Lo stato, attraverso le imposte, impedisce consumi o investimenti per
lammontare corrispondente alle imposte, ma effettua in proprio consu-
mi o investimenti, in sostituzione, e quindi crea un PIL alternativo. Se la
macchina pubblica invece consuma a debito alimenta il circuito di cui al
par. 8.3. Anche in questo caso determinante il contenuto dellintervento
pubblico. Proprio quando il privato fa fatica fondamentale lefficienza del
pubblico, coi rischi, per lItalia, derivanti dalla deresponsabilizzazione legali-
stica indicata ai paragrafi 5.3-5.8.

7.4. Valori economici come valori umani e loro relativi-


smo.

I valori economici sono una particolare manifestazione (species) della


pi ampia categoria dei valori umani (genus). Si tratta di giudizi su entit
cui gli individui danno importanza.
Per alcune inconcepibile uno scambio in quanto fuoriescono dal-
la disponibilit umana, come il sole o laria; in altri casi il loro scambio
sarebbe materialmente possibile, ma contrasta col sistema di valori esi-
stente nel gruppo; alcuni tentativi di scambio possono essere addirittura
puniti, come il gioco dazzardo o il commercio di droga; altri scambi
semplicemente non sono tutelati dalle istituzioni, come accade per le
prestazioni sessuali o le promesse di amore, di ordine pubblico e buon-
costume.
Si tratta delle cose che non si possono comprare, cio non possono essere og-
getto di scambio, per contrariet al sistema di valori sociali diffusi in uno
134 Compendio di Scienza delle Finanze

specifico contesto (il che conferma la dimensione umanistico-sociale dei valori


economici).
Cos come leconomia fa parte delle scienze umane, anche i valori eco-
nomici esprimono bisogni umani, per la parte suscettibile di essere scam-
biata. Si conferma cos la dimensione sociale, oltre che umanistica, dei
valori, nascenti dai bisogni, dai sogni e dai desideri degli uomini, senza
essere caratteristiche intrinseche delle cose. Per questo anche i valori eco-
nomici, come tutti i valori, sono relativi, e possono cambiare a seconda
delle circostanze. Non solo e non tanto per il lento cambiamento delle
visioni del mondo, ma anche nellimmediato, per via di eventi eccezionali,
come guerre, calamit, incidenti; basti pensare ai casi in cui alcuni soprav-
vissuti, senza alternative, si adattarono persino al cannibalismo, cibandosi
delle vittime dellincidente.
Abbiamo gi visto al paragrafo 4.8, che il bene viene riconosciuto dalla
societ, e che in un certo senso, tutti i beni sono diritti, comprese le forme
di appartenenza; anche la propriet, apparentemente la cosa pi privata,
per molti versi una questione di diritto pubblico. In un certo senso tutto
si ottiene attraverso la cooperazione di altri, che fanno, tollerano, danno
etc. La mediazione di altri individui o di istituzioni dellorganizzazione sociale
fondamentale per i diritti individuali, di cui ora vedremo alcuni altri criteri
di valutazione.

7.5. I valori economici nella prospettiva dellacquirente: va-


lore duso e di scambio.

Nelleconomia agricolo-artigianale (capitolo 2), con una forte componen-


te di artigianato e di autoconsumo, era prevalente il valore duso; si tratta
dellidoneit di un bene a soddisfare un bisogno; i beni erano nati per durare
e ne era secondaria lidoneit ad essere scambiati con altri beni.
Lera aziendal-tecnologica, con la sua produzione di serie fa diventare
pi importante il valore di scambio, riferito a quello che un altro individuo
potrebbe dare in cambio di un determinato bene. Pi si specializza la societ,
pi si basa sugli scambi, pi diventa importante il valore di scambio e il va-
lore duso si restringe alla sfera privata, allidoneit di un bene a soddisfare un
bisogno. La differenza tra questi punti di osservazione del valore emerge ad
esempio quando occorre risarcire la perdita di un vecchio utensile, che nella
prospettiva del danneggiante non valeva nulla sul mercato in caso di riven-
dita, ma secondo il danneggiato costringe ad acquistare, per svolgere la stessa
funzione, un bene nuovo.
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 135

In definitiva i valori di scambio si giustificano perch soddisfano un biso-


gno, e quindi perch esiste un valore duso. Una volta soddisfatti determinati
bisogni materiali di base, attinenti allalimentazione allalloggio, agli utensili, al
vestiario etc.., con lera aziendale crescono i bisogni indotti da illusioni e so-
gni. Man mano che ai bisogni si affiancano sogni, credenze, illusioni basate su
simboli, il valore di scambio si distacca da quello duso e diventa autoreferenziale.
La componente spirituale dei bisogni spiega il paradosso secondo cui il su-
perfluo pi utile del necessario. Dove il valore dipende essenzialmente dallu-
tilit del bene per i relativi acquirenti, il cui insieme determina il mercato.
un processo in cui, soddisfatte le necessit di sussistenza, gli uomini sentono
il bisogno di qualcosa con cui dare un senso alla vita, e in relazione a questo il
superfluo sembra pi utile del necessario proprio in quanto fronteggia il bisogno
di sogno. Lo scorrere del tempo ci ha mostrato sogni basati sulle fedi, sullonore,
sui miti, sulle virt belliche o familiari, sul culto degli antenati, sulla religione,
sulla politica, sul miglioramento del mondo, sulla bellezza, sulla distinzione so-
ciale, sulla raffinatezza, e sul possesso di beni-simbolo di tutte queste qualit, di
cui il consumismo lultima effimera fase. Lauto sportiva, il Rolex (per non
dire lAudemars Piguet), oppure il gioiello, o il viaggio esotico, sono simboli di
nuovi riti consumistici che danno un senso alla vita, un po come nel medioevo
le reliquie simboleggiavano valori religiosi (cfr. le saghe del sacro Graal). Spesso i
beni, come anticipato al par. 2.9, sono simboli perch esprimono scale di valo-
ri individuali sul senso dellesistenza, le modalit per spendere la propria vita, le
convinzioni in cui si reputa importante credere. Al par. 5.4 abbiamo gi parlato
della manipolazione comunicazionale dei sogni per indurre i consumatori a
dare valore a simboli che li spingono ad acquisire merci, ed abbiamo conclu-
so che si tratta di una pressione psicologica anche insistente, ma priva di carattere
coercitivo. Dopotutto la persuasione occulta del consumismo, che spinge ad
acquistare certi beni per assorbirne la produzione, una violenza dolce, a suo
modo consensuale, che non impone nulla, cui spiriti pi maturi possono opporsi
facilmente. Semplicemente rivolgendosi a valori diversi pi consapevoli e
pi sostenibili, molti dei quali soddisfatti dallintermediazione dei pubblici po-
teri, ad esempio in materia ambientale, culturale e sociale in genere.

7.6. Segue: i valori economici dal punto di vista del vendito-


re: valore e remunerazione del lavoro.

Nella prospettiva del produttore e del venditore i valori sono molto pi


oggettivi, rispetto al punto di vista dellacquirente finale, indicato al paragra-
fo precedente.
136 Compendio di Scienza delle Finanze

Dal punto di vista del produttore ha senso affermare che il valore influen-
zato, oltre che da quanto lacquirente valuta la prestazione, anche dal relativo
costo. In una prospettiva umanistica, esso dipende in buona parte dal lavoro,
inteso come impegno, creativit, immaginazione, idee necessarie a creare la
relativa prestazione.
Laffermazione di Marx sulla corrispondenza del valore al lavoro (Valore
uguale lavoro) deve ovviamente fare i conti con la prospettiva dellacqui-
rente, per il quale il valore dato dallutilit, ma coglie quella del fornitore.
Basta pensare allartigiano o al lavoratore indipendente che, attraverso la pro-
pria attivit, ha bisogno di sostenere il suo reddito, cio unesistenza libera e
dignitosa. Torna sotto un diverso profilo, il valore come utilit del fornitore,
che attraverso il lavoro intende soddisfare il proprio bisogno di decorosa
sussistenza. Il valore, in questo senso, dipende dal reddito di cui il fornitore
produttore pensa di avere bisogno, che si deve mantenere per in sintonia
con le aspettative e i bisogni del cliente, in termini di utilit che egli ravvisa
nella prestazione. Il bisogno del fornitore deve cio armonizzarsi col so-
gno del cliente. Limpegno necessario al fornitore per realizzare una certa
prestazione, anche in termini di ricerche e organizzazione, oltre che di la-
voro specifico, certamente un indice del suo valore, cio del prezzo da lui
richiesto per la vendita. Ma limpegno del fornitore pu essere anche ineffi-
ciente, e pu non corrispondervi una proporzionale utilit del suo risultato
per i possibili acquirenti. Limpegno, le energie, la fatica, sono quindi una
condizione necessaria per avere utilit, ma che potrebbe non essere sufficiente,
in presenza di lavoro inutile, socialmente non riconosciuto da alcun desti-
natario, e quindi senza valore.
Il lavoro pu essere di varie specie. Possono contribuire al valore tutte le
specie di lavoro, da quello materiale a quello direttivo a quello organizzativo,
scientifico, tecnico, culturale, militare, dipendente o indipendente. Pu essere
lavoro presente o lavoro passato, di gente ormai morta e sepolta, come pure la-
voro futuro, ad esempio quello necessario a pagare i debiti che ci consentono,
oggi, di fare determinate spese. Una certa dose di lavoro quindi necessaria
perch, nellorganizzazione sociale, si creino le utilit cui gli individui sono
interessati. Non tutto il lavoro crea utilit, ma ripetiamo che difficilmente c
una utilit senza lavoro, cio senza attivit.
Quanto sopra conferma la gi indicata dimensione sociale della ric-
chezza, come qualcosa che continuamente si crea e si consuma, non come
se fosse un tesoro da spartire. La ricchezza non una caratteristica con-
naturata degli oggetti, ma dipende dallimportanza data dagli uomini a tali
oggetti, o a tali prestazioni, in termini di sogni e di bisogni, che hanno
un ordine di priorit. Quando i bisogni primari sono soddisfatti, possiamo
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 137

attribuire valore a collezioni di quadri, diamanti, mobili antichi, gioielli,


etc. Che per perdono valore se il sistema non crea pi redditi, e il tessuto
economico si impoverisce, ad esempio perch si perde la produzione, nei
modi indicati al par. 7.11. Questo conferma il rapporto tra ricchezza
e reddito, dove la prima non una caratteristica oggettiva delle cosa, ma
dipende sia pure macroeconomicamente dal reddito. Questo conferma
che economicamente il patrimonio dipende dai redditi, non del medesimo
titolare, ma da redditi espressivi di attivit svolte nel sistema e che quindi
le recessioni economiche sono accompagnate da una diminuzione, a parit
degli altri fattori, dei valori patrimoniali. Anche il patrimonio, compresi gli
immobili di pregio e le opere darte, e come vedremo al prossimo paragrafo
persino loro, hanno un valore in quanto esiste una attivit economica cre-
atrice di surplus; queste eccedenze possono essere investite in attichetti a
piazza di Spagna o quadri dautore. Sono per i redditi che creano i valori, e
li sostengono nel tempo. Per questo, se il reddito dellorganizzazione sociale
cala, anche il valore del patrimonio diminuisce, seguendo a ruota, a meno
che non subentrino esponenti di altre comunit in cui si crea un reddito.
Questa rilevanza del reddito conferma che senza un impegno di qualcuno
lorganizzazione sociale, pubblica o privata, non sopravvive.
La ricchezza non quindi data una volta per tutte, ma deve essere sempre
ricreata con un lavoro utile, per usare una metafora che mette insieme, e
spiega, i punti di vista del venditore e dellacquirente. Derivando dal la-
voro, che deve riprodursi nel tempo, la ricchezza non una entit che si
possa razionalmente spartire una volta per sempre; la ricchezza dipende infatti
dallattivit umana, il cui prodotto costituito dai redditi; in altri termini la
ricchezza quindi una entit che costantemente deve riprodursi, come ve-
dremo a proposito del concetto di redistribuzione (paragrafo 8.12). una
visione umanistica della ricchezza, che non coincide con beni materiali, ma
con la individuazione e soddisfazione di bisogni, materiali e mentali (bisogni
di sogni), tramite prestazioni e impegni reciproci, misurati nei modi che ve-
dremo al prossimo paragrafo.

7.7. Valori e moneta come simbolo di crediti: spontanei-


smo privato e limiti dellintervento pubblico.

Fino a che la produzione effettuata per lautoconsumo e per piccoli


scambi in natura tra produttori contigui, il reddito per definizione uguale
al consumo, ed anche per il calcolo del PIL, come indicato al precedente
paragrafo 7.1 si vede una omogeneit tra queste due grandezze, confermando
138 Compendio di Scienza delle Finanze

che in prima approssimazione, ai consumi di qualcuno corrispondono


redditi di altri; alcuni singoli individui, o gruppi sociali, in tutto o in par-
te, producono senza consumare, o consumano senza produrre, con
necessit di riequilibri di cui diremo sotto vari profili ai par. 7.11, 8.3 e in
altri. Nellera agricolo artigianale, o addirittura dei cacciatori-raccoglitori, la
parte del cibo autoconsumata, perch raccolta, cacciata o coltivata, era in un
certo qual modo al tempo stesso consumo e reddito dello stesso individuo, a
prescindere da uno scambio, perch il soddisfacimento dei bisogni avveniva
in forma individuale. Nei limiti dellautoproduzione e dellautoconsumo
non cera ancora vita sociale, che per altri versi esisteva. Lo scambio dava
invece luogo al tempo stesso a reddito e consumo per ciascuna delle
controparti; ognuna delle merci oggetto di scambio provocava red-
dito per chi la dava, e consumo per chi la riceveva, nella solita cor-
rispondenza tendenziale tra consumi e redditi. Solo raramente, anche
nellera agricolo artigianale, per linteressato a una merce, dispone di merci
che interessano al relativo proprietario, in modo da procedere a un barat-
to. Magari pu offrire una prestazione che interessa alla controparte, ma in
un tempo futuro, oppure pu offrire prestazioni che interessano ad altri
soggetti con cui la controparte ha rapporti economici, oppure non pu
offrire nulla al momento, ma potr offrire in futuro. La controparte, dal
canto suo, spesso ha interesse a vendere, cio svolgere la sua prestazione, e
quindi entrambi hanno convenienza a svolgere loperazione a fronte di un
impegno di chi nellimmediato non pu contraccambiare, ma promette
solennemente di farlo in futuro. Per rendere circolabile, cio cedibile ad
altri, e quindi in parole povere spendibile da parte del compratore questo
impegno, nasce la moneta. Questultima sostanzialmente il pegno di un
credito. Attraverso la moneta il credito diventa cedibile, perch incorpo-
rato da un simbolo che pu essere accettato come mezzo di pagamento da
altri soggetti.
Si pu spiegare cos la metafora secondo cui la moneta non circola perch
vale (infatti in s non vale nulla), ma vale perch circola, o meglio fa circo-
lare leconomia reale, permettendo di liquidare gli scambi.
La moneta cristallizza quindi un impegno, simboleggiato da un simbolo
tangibile per renderlo affidabile e circolabile. Siccome il debitore poteva
non adempiere al suo impegno, le antiche monete pegno avevano utilit
intrinseche, essendo rappresentate da merci, come le sementi, il sale o gli ami
da pesca, oppure da materie prime universalmente apprezzate come loro,
cio un bene al tempo stesso incorruttibile e facilmente lavorabile. Mentre il
sale, o gli ami da pesca, avevano anche un valore duso (par. 7.5), loro ha
un relativo valore di uso, rispondente pi a un sogno che a un bisogno (par.
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 139

7.5 ss.); luso ornamentale delloro soddisfa infatti una vanit o una illusione,
per distinguersi rispetto agli altri. Con loro, simbolo di credito, gli individui
mostrano agli altri di avere credito, cio mostrano il proprio valore, un
po come gli antichi dignitari africani rivestiti di pelle di leopardo. Loro per
durava nel tempo ed il suo valore era condiviso presso tutte le popolazioni
dellera agricolo-artigianale.
La suddetta creazione della moneta segue processi spontanei, adottati
senza programmazione dagli operatori economici, ma vi si inserirono rapida-
mente le istituzioni (pubblica autorit), come contenitore dei rapporti
privati secondo quanto indicato al paragrafo 2.11. Oltre a detenere i pote-
ri coercitivi per garantire gli impegni dei privati attraverso la giustizia, le
istituzioni regolamentarono necessariamente la moneta-credito, sia come
stato regolatore (par. 4.14), sia come intervento pubblico, aumentando
la massa monetaria in circolazione, per sostenere le proprie spese o
indirizzare leconomia privata. Gi nellantichit ne costituiva un esempio la
diminuzione della quantit di oro nelle monete, con cui limpero romano
del terzo secolo, ormai sulla difensiva, sosteneva la difesa militare (vedi il pa-
ragrafo 8.3 sullemissione di moneta come fonte di finanziamento per le spese
pubbliche). Si vedono gi i segni del pubblico potere come prestatore di
ultima istanza, di cui diremo anche al paragrafo successivo.
Anche per la moneta merce, nonostante lillusione delloro, valgono le
riflessioni di cui al paragrafo 7.6, sulla dipendenza economica del valore
dal reddito. La garanzia degli impegni dei debitori nel loro complesso
non infatti rappresentata dal simulacro delloro, ma dallattivit econo-
mica complessiva (sulla giustificazione dei valori patrimoniali in base ai
redditi, cio al livello generale di benessere economico, sopra par. 7.6 appena
citato).
Se tornasse il mitologico Re Mida leconomia reale, basata sulla produ-
zione, non cambierebbe di una virgola, salvo il crollo del prezzo delloro.
Semplicemente perch anche loro misura crediti e debiti: neppure tutto
loro del mondo potrebbe infatti comprare un pezzo di pane, se nessuno lo
produce.
Dalla moneta merce, alloro come moneta pegno, il passaggio alla
carta moneta abbastanza facile da comprendere: la moneta nacque come
impegno di una istituzione qualificata (statale o bancaria, comunque di
elevata reputazione) a corrispondere una determinata quantit di oro. Era
questo il senso dellespressione pagabili a vista al portatore che era im-
pressa sulle banconote in lire, e che sottintendeva lantica convertibilit in
oro delle monete, venuta meno nei fatti ai primi del novecento, ma ancora
riportata, per tradizione, sulle banconote, emesse dalle banche, oggi sempli-
140 Compendio di Scienza delle Finanze

cemente espressione di un impegno della banca. Per questo la moneta


pu essere dematerializzata, sostituendola con una mera annotazione
da un soggetto a un altro nelle scritture contabili delle banche, con badges,
ricariche e microchip da strisciare in strumenti elettronici che tolgono
credito a un soggetto ed attribuendolo a un altro. Su questa premessa
appare chiaro che il fantomatico signoraggio bancario, di cui si parla
su internet e nei talk show, una colossale panzana, meritevole di citazione
solo come ulteriore indizio delle macroscopiche carenze di formazione e
riflessione in materia.

7.8. Banca, finanza ed economia pubblica.

Dal paragrafo precedente abbiamo visto che il risparmio, cio il reddito


non consumato, oppure addirittura non incassato (in quanto allo stato di
credito) ritorna nel circuito economico attraverso lintermediazione del-
le banche. Esse comprano denaro dai risparmiatori, pagando un interesse,
e lo rivendono agli investitori, ricevendo invece un interesse. Il risparmio
raccolto dalle banche viene infatti prestato alle aziende, che lo rimettono in
un circolo virtuoso, in cui i depositi si moltiplicano; il c.d. moltiplicatore
dei depositi, dove lattivit economica finanziata dalle banche, genera ulte-
riori depositi e prestiti, coordinando le eccedenze e il bisogno di liquidit.
Attraverso le banche i redditi non consumati finanziano investimenti o
consumi pubblici.
La banca non impiega soldi propri, ma dei depositanti, e con i loro cre-
diti fa credito, intermediando tra eccedenze a credito e bisogno di credito.
Nessun tasso di interesse ripaga dalle elevate possibilit di perdita; per questo
il credito viene erogato a soggetti economicamente solidi, bench poco li-
quidi, cio con i propri valori fortemente immobilizzati (si pensi al mutuo
ipotecario). Il rischio, per le banche, come recentemente accaduto a Cipro,
quello di non essere pi in grado, per via di investimenti sbagliati (in par-
ticolare crediti sbagliati) di essere liquide verso i depositanti e gli altri loro
creditori.
Diventano quindi fondamentali il credito e la fiducia riposta allinterno
del gruppo sociale nei relativi mezzi di pagamento. Se c fiducia, a sua volta
dipendente da tanti aspetti istintivi, emozionali, non inseribili nei grafici de-
gli economisti, si pu continuare ad emettere moneta, finanziando quindi a
debito consumi o investimenti, con equilibri quasi magici agli occhi dello-
pinione pubblica. Mentre le ordinarie aziende tecnologiche offrono beni reali,
lazienda di credito d credito, perch ha credito. Cio ha fiducia. Invece
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 141

di innescare questo circuito, qualche volta si abusava della fiducia, come


accadde per i ciarlatani che raccoglievano risparmio promettendo interessi
favolosi, consistenti solo nella restituzione di una parte di capitale, a titolo
di interesse, senza alcun impiego, e solo con lo scopo di attrarre altri investi-
tori a catena, fino al fallimento totale ( accaduto effettivamente in Albania,
poco dopo la caduta del comunismo). Sono prospettive che in passato hanno
provocato crisi di panico, con ritiro in blocco dei risparmi (c.d. corsa agli
sportelli delle banche), e mancanza di liquidit per impossibilit di recu-
perare a vista il credito delle banche; questultimo si pone in unottica di
lungo periodo, immobilizzato negli impianti, nei macchinari e negli altri
investimenti, non liquidabili a vista.
Per evitare queste crisi lautorit pubblica effettua una vigilanza sul credito,
come diremo tra un attimo, dopo aver ribadito che la moneta un riflesso
della multilateralit degli scambi e degli impegni reciproci.
Tra il circuito degli scambi (economia reale) e la moneta che vi circo-
la deve esserci una tendenziale proporzionalit, altrimenti leccesso di debito
mette in crisi la fiducia (par. 8.3). Il potere politico (lautorit monetaria),
deve quindi salvaguardare la fede pubblica controllando che non siano mes-
si in circolazione simboli monetari eccessivi, cui lemittente non pu fare
fronte, in modo che la moneta di un gruppo sociale non sia troppo spropor-
zionata (soprattutto per eccesso) agli scambi delleconomia reale.
Quando una banca d credito, per certi versi immette moneta
nel circuito; come se stampasse moneta (paragrafo 7.7); infatti quando
chi ha credito (e la banca come tale ha credito) d credito, come se
stampasse moneta. Sia per questo, sia per la salvaguardia dei depositanti,
e indirettamente del sistema fiduciario di crediti e debiti, al rapporto tra
depositi e crediti bancari sovraintende il potere politico degli stati nazionali
e di molti enti sovranazionali. Battere moneta quindi, ripetiamo, oggi
ancora pi che un affare di stato, e diventa addirittura sovranaziona-
le, spettando alla Banca centrale europea, dopo il passaggio alleuro, di cui
diremo al par. 7.12. un affare di stato anche la funzione di vigilanza
sulle banche, che resta affidata alla Banca dItalia, anche se coordinata dagli
organi europei. Essa sorveglia il rapporto tra credito bancario e depositi, con
vincoli di portafoglio, di erogazione dei crediti, di patrimoni di vigilanza,
di accordi internazionali chiamati Basilea2 e Basilea3, dal nome della citt
svizzera dove furono firmati.
Lemissione di moneta controllata dalle banche centrali, quindi dagli
stati, in relazione alle esigenze delleconomia, il che offre margini per una c.d.
politica monetaria, che una parte delleconomia pubblica, in quanto attraver-
so di essa lo stato, per il tramite delle banche centrali, interviene sulla quantit
142 Compendio di Scienza delle Finanze

di moneta presente nelleconomia. Le banche centrali semplicemente dan-


no credito, tendenzialmente allo stato o a qualificati privati; figurativamente
stampano moneta a fronte di spesa per la quale valgono le considerazioni
svolte al par. 8.3 per il debito pubblico. La valutazione di queste politiche di-
pende semplicemente dallimpiego del credito e da quale efficienza produt-
tiva hanno i destinatari dei prestiti, pubblici o privati che siano. Se limpiego
inefficiente prevale il lato oscuro di questa manovra, cio una diminuzione del
valore della moneta, per laumento della quantit di impegni in circolazione;
ne deriva un aumento dei prezzi (inflazione) ed eventualmente una svalu-
tazione rispetto alle altre valute, con gli effetti combinati di cui al successivo
par. 7.10. In questo caso, e in questa misura, lespediente di stampare moneta in
periodi di crisi ha leffetto di una imposta su quanti vedono diminuire il valore
della moneta precedentemente in circolazione. Cos come gli antichi sovrani
tosavano le proprie monete metalliche per fronteggiare le spese o trarne
profitti, altrettanto oggi lo stato chiede alle banche centrali di emettere moneta
per coprire i disavanzi pubblici, cio aumentare i propri debiti ed immettere
liquidit nel sistema.

7.9. La finanza e i rischi di sua degenerazione.

Col progressivo accumularsi di eccedenze di crediti e di debiti nasce la


finanza, distinta dalleconomia, pur se anchessa dedita agli scambi; mentre per le-
conomia si riferisce allo scambio di prestazioni, la finanza riguarda scambi di impegni,
cio di debiti e crediti, effettuati in modo sempre pi intrecciato, collegando
debitori e creditori diversi, con scommesse di segno inverso sul futuro; la
finanza quindi un particolare settore degli scambi in cui, anzich merci, si
scambiano impegni attuali contro impegni futuri, espressi secondo tassi di
interesse e altri parametri diversi, e spesso moneta di paesi diversi. Sullecce-
denza di crediti, e quindi di debiti, che si crea nelleconomia reale, la finanza
costruisce una economia parallela, fatta di variazioni sul tema dello scambio
di crediti e debiti, in relazione a previsioni su quanto accadr nelleconomia
reale. una enorme complicazione del tradizionale impiego del credito
per erogare credito, in cambio di interessi. Le aziende di credito (appunto
le banche) sono la sede di questo mercato, e la pubblica opinione, nelle sue
enormi (bench incolpevoli come visto al par. 5.4) carenze di formazione
economico sociale, ignora quanto sopra; essa diffida ancor di pi banche,
concepite come una specie di deposito di soldi, che non presterebbero
a chi ne ha bisogno. La ragione sarebbe il mero profitto, con le banche
guardate con diffidenza ancora maggiore rispetto alla generalit delle aziende,
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 143

secondo la grossolana visione antropomorfica gi anticipata ai par. 3.7 e 3.12.


difficile, senza capire le aziende come organismo pluripersonale, capire la gi
indicata funzione di intermediazione tra risparmio e prestiti, svolta dalle ban-
che, con la gi indicata loro necessit di salvaguardare i crediti dei depositanti.
Figuriamoci quindi lo sconcerto provocato dalla finanza moderna. La quale
non solo gestisce i risparmi, ma specula, svolge operazioni di commercio dei
crediti, di assunzione di debiti, ed altre alchimie contrattuali, che oggi raggiun-
gono equilibri sempre pi sofisticati ed esoterici. Il capitalismo finanziario
via via prende il posto di quello industriale, della cosiddetta economia reale;
sono aspetti che sfuggono alla pubblica opinione, generando diffidenza, e quindi
sfiducia. Se la cultura della pubblica opinione non capisce lazienda, che quanto-
meno produce, figuriamoci la finanza, dove non si produce nulla, ma semplice-
mente si collocano debiti e crediti in funzione di eventi futuri, in poche parole
speculando. A rigore ci anche accettabile, in quanto legittimo mettersi
al riparo dai rischi futuri, o anticipare eventi positivi futuri, o semplicemente
future aspettative positive. Si pensi allaumento o alla diminuzione dei tassi di
interesse, dellinflazione, dei rapporti di cambio tra le valute, alla ripresa o alla
crisi economico-politica di un paese, alla crisi di fiducia verso qualche istitu-
zione monetaria internazionale. Sono tutti eventi rispetto ai quali gli operatori
della finanza cercano di anticipare i tempi investendo in attivit finanziarie
pi protette dagli eventi negativi, e viceversa affluendo su quelle dove si pre-
vedono eventi positivi. Allinizio un modo di evitare rischi, o di migliorare il
rendimento degli investimenti, ma poi rischia di diventare una specie di gioco,
fine a se stesso. Si crea una specie di circolo vizioso in cui non si prevedono solo
eventi economici futuri, ma si prevedono previsioni, in una logorante gioco
di anticipo. Le critiche dellopinione pubblica, e dei mezzi di informazione, con
lespressione di attacchi speculativi o di speculazione tout court si addicono di
pi a queste scommesse e controscommesse sul futuro, come quelle che avven-
gono sul mercato dei derivati, somigliante sempre pi a un gioco dazzardo.
Questa rilevanza di suggestioni, di fiducia e sfiducia, di credenze, di animal spirits
conferma la matrice umanistica delleconomia (par. 4.6), ma dallaltro unattivit
finanziaria lontana dalla produzione di alcunch considerata da buona parte
della pubblica opinione poco meritevole sul piano dei valori.

7.10. Intervento pubblico e tassi di cambio: svalutazione e in-


flazione.

Anche in materia di rapporti di cambio le istituzioni pubbliche eser-


citano un intervento, simile a quello che esercitano sul credito, e con esso in
144 Compendio di Scienza delle Finanze

buona parte collegato. Vedremo qui che linfluenza, da parte degli stati, sul
tasso di cambio, uno strumento contingente di economia pubblica, cio di
indirizzo allattivit economica. un intervento regolatorio, nel senso indi-
cato al par. 4.14, in quanto si tratta di influire su scambi bilaterali, cio eventi
economici e finanziari estranei alla sfera dazione diretta dei pubblici poteri
(difesa, giustizia, sanit, istruzione etc.).
Le esportazioni e le importazioni dipendono infatti prima di tutto dalle-
conomia, dalla allocazione e dalle possibilit di soddisfacimento dei bisogni.
La differenza, in gergo contabile il saldo, tra importazioni ed esportazioni
di merci e servizi si definisce Bilancia commerciale. Nella misura in cui
questo saldo attivo o passivo il paese, guardando i rapporti con lestero,
produce pi di quanto consuma o viceversa. A parit degli altri fattori, questa
eccedenza di produzione sul consumo, gi vista sotto laspetto del PIL al pa-
ragrafo 7.1 provoca crediti del gruppo verso altri gruppi. Per le importazioni
abbiamo lopposto, consumo senza produzione, con diminuzione di crediti e
poi accumulo di debiti verso altri gruppi.
Questo dovrebbe influenzare la domanda di moneta del paese, facendo-
ne salire le quotazioni in caso di bilancia dei pagamenti attiva, e facendole
diminuire in caso di bilancia passiva. Laumento di valore della moneta rende
meno competitive le esportazioni, e viceversa, il che secondo i sostenitori
degli automatismi di mercato (paragrafo 4.7) porterebbe il sistema ad autocor-
reggersi. Lesperienza conferma che si tratta di uno schema semplicistico, e che
i poteri politici, attraverso le loro istituzioni monetarie, hanno sempre cercato
di indirizzare i tassi di cambio come strumento di governo delleconomia.
La tendenza storica stata quella di sostenere lindustria nazionale, con sva-
lutazioni competitive per rendere pi appetibili le esportazioni, frenando le
importazioni, scoraggiate poi anche da dazi doganali elevati. Gli strumenti mo-
netari delleconomia pubblica per influenzare i tassi di cambio sono riconduci-
bili allo stato come prestatore di ultima istanza e cio lemissione di moneta e
le diminuzioni del tasso di interesse, con controindicazioni sullinflazione di cui
diremo tra un attimo. La competitivit delle esportazioni di un paese per un
palliativo momentaneo, perch il vero sostegno sta nella qualit e nel prezzo
delle produzioni sottostanti; prodotti scadenti restano infatti poco con-
correnziali nonostante le svalutazioni, mentre il contrario accade per i prodotti
di qualit. Questi fattori di evidente rilevanza sono per difficili da inserire nei
modelli sociomatematici degli economisti (par. 4.6), e proprio per questo trascu-
rati (anche perch dipendenti dalle aziende e non dai governi).
I tassi di cambio dipendono per anche dalla bilancia dei pagamen-
ti, che include la bilancia commerciale, sopra indicata, ma pi ampia
perch contempla anche gli investimenti finanziari, come acquisti di titoli
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 145

pubblici e privati, o la costituzione di impianti e strutture produttive nel paese.


Il deflusso di capitali dal paese importatore, o lafflusso di capitali nel paese
esportatore, possono quindi essere compensati da investimenti esteri nel paese
importatore, o da investimenti del paese esportatore allestero, evitando i sud-
detti effetti sui tassi di cambio.
La svalutazione, da non confondere con linflazione, come diremo subito,
esprime il rapporto tra monete di paesi diversi, e quindi per ragioni logiche
ad ogni svalutazione di una moneta corrisponde la rivalutazione di unaltra
rispetto a lei. In termini logici non c svalutazione senza rivalutazione;
tuttavia lenfasi sulla parola rivalutazione viene posta, nella comunicazione
economica, soprattutto per enfatizzare la brillantezza di una economia, la sua
produttivit, che porta a una rivalutazione della sua moneta.
La perdita di valore della moneta rispetto alle altre monete, non devessere
confusa con linflazione, anche se i due concetti sono collegati, perch la
svalutazione pu contribuire allinflazione, e linflazione alla svalutazione. La
svalutazione dei rapporti di cambio con le altre monete per una causa di
inflazione, ed in questo c un collegamento tra i due fenomeni; collegamenti
importanti sono quelli secondo cui lemissione di moneta, e le diminu-
zioni dei tassi di interesse tendono a provocare inflazione; un effetto
della politica monetaria espansiva che porta alle gi indicate svalutazioni
competitive, anticipate poco sopra in questo paragrafo. Al contrario la riva-
lutazione rispetto ad altre monete provoca, inversamente, una diminuzione dei
prezzi dei beni importati, sempre a parit degli altri fattori.
Linflazione quindi un rapporto tra moneta e livello dei prezzi, e pu
verificarsi per la stessa percentuale per tutte le monete, o anche in aree geopo-
litiche dove utilizzata la stessa moneta, come leuro; dove magari linflazione
francese, ad esempio, diversa da quella spagnola, anche se entrambi i paesi
utilizzano la stessa moneta. La conferma che la moneta sia un impegno,
lincorporazione di un debito in un simbolo circolante, si ha nella rarit del
fenomeno opposto allinflazione, cio la deflazione, intesa come diminuzione
del livello generale dei prezzi. Che raramente si verificata, e quando si
verificata si accompagnava a crisi economiche socialmente tragiche. Sempli-
cemente perch i crediti, come tutti valori, dipendono dal lavoro e dai bisogni
(par. 7.6) e il crollo di entrambi provoca un crollo dei prezzi, come evento
socialmente tuttaltro che desiderabile.

7.11. Istituzioni e globalizzazione: pro e contro.


Abbiamo gi indicato gli interventi molto decisi, nel passato, di tutti gli
stati, in materia di scambi con lestero, nellincentivare usando i poteri
146 Compendio di Scienza delle Finanze

pubblici coercitivi le attivit produttive nazionali. Oltre alle politiche


monetarie di cui al paragrafo precedente, erano usati addirittura divieti di
importazione di beni esteri, oltre che dazi doganali allimportazione e
sovvenzioni allesportazione. Erano atteggiamenti definiti, allinizio, con le-
spressione mercantilismo, inteso come protezione dellattivit economica
nazionale; era una concezione che vedeva la potenza economica come un
riflesso della potenza politica, e non a caso fu in auge dal seicento alle guerre
napoleoniche, trasformandosi poi in un protezionismo economico spesso
diplomaticamente concordato con altri paesi; ci creava un insieme di inter-
dipendenze di fatto, con concessioni e ritorsioni, oppure veri e propri accordi
bilaterali. Questo protezionismo economico nei rapporti con lestero si ritro-
vava spesso anche in settori delle classi dirigenti molto liberali nei rapporti
economici interni.
Le nostalgie per questo protezionismo economico, che emergono tra
le critiche alla c.d. globalizzazione, invece di essere liquidate con sussiego
come fanno alcuni guru del libero scambismo colgono alcuni spunti sen-
sati. Essi si collegano allorganicit del rapporto tra economia, politica e di-
ritto. Basta pensare, come anticipato al par. 4.16, relativo ai condizionamenti
comunitari, a un paese con relative libert economiche, senza libert politi-
che, senza diritti sindacali, senza protezione sociale, con repressione poliziesca
che tiene a bada le inevitabili tensioni sociali. La libert economica senza
libert politico-sindacali, senza diritti di critica, senza tendenze pluraliste da
coordinare, pu rendere un paese molto competitivo, in un quadro di libero
scambio. Ma induce a chiedersi fino a che punto paesi meno competitivi,
perch pi liberi, pluralisti, e rispettosi della dignit umana possano restare
inerti nel vedere il proprio apparato produttivo vacillare per la concorrenza
di paesi liberali solo in economia. La globalizzazione ha infatti condotto a un
impoverimento industriale di buona parte delloccidente, specialmente di
quello con produzioni a basso valore aggiunto e basso contenuto tecnologico.
Delocalizzazione non vuol dire infatti soltanto spostamento delle catene
di montaggio, delle tute blu, come se laspetto tecnico produttivo potesse
essere separato da quello progettuale, commerciale, logistico, dellin-
dotto, e in genere organizzativo. Essendo lazienda un corpo sociale,
un coordinamento di persone e di comportamenti, lo spostamento
della produzione si tira dietro in parte tutto il resto dellorganizzazione.
Limpoverimento della societ venuto anche dalla delocalizzazione di molte
produzioni, in cui soltanto lorganizzazione resta in Italia, ma se ne va tutta la
filiera produttiva, con impoverimento della catena del valore; questo indebo-
limento della base produttiva compromette il mantenimento degli standard
di quando la base produttiva era maggiore. Chi concepisce le aziende in
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 147

modo antropomorfico, le pu accusare di aver delocalizzato per aumentare


i profitti. Come se limprenditore italiano, producendo in Cina, attraver-
so terzi, pagasse meno gli operai e potesse quindi guadagnare di pi, au-
mentando il proprio profitto individuale. Questultimo, come indicato
al par. 3.12, invece abbastanza secondario rispetto al valore aggiunto e
allequilibrio economico, che sono le prime variabili da rispettare per
la sopravvivenza dellazienda. Erano proprio questi elementi ad essere messi
in discussione dalla concorrenza di organizzazioni meno costose e/o pi
efficienti. infatti la concorrenza che costringe a delocalizzare, anche
proprio malgrado, se si vuole mantenere la competitivit e rimanere
sul mercato. Il profitto dellimprenditore, alla fine, diminuisce, perch
sar necessario pagare non solo gli operai del terzo mondo, ma anche chi li
organizza localmente nel paese estero, chi li coordina, moltiplicando centri
decisionali che vanno remunerati a carico di una torta di valore aggiunto
che spesso rimane la medesima. Tuttavia per, come appena detto, il trasfe-
rimento della produzione allestero, pur salvaguardando la quota di mercato,
si tira dietro un impoverimento per tutta la societ, che perde orga-
nizzazione e abilit. La struttura economica diventa cos troppo piccola,
nonostante lefficienza aziendal-tecnologica di cui al par. 3.3, per sostenere la
sovrastruttura politico sociale, con riflessi sulla capacit di pagare tributi
e il ceto medio, inevitabilmente sempre pi proletarizzato.
Dopo alcuni decenni, sembra che nel complesso la globalizzazione non abbia
giovato alle economie occidentali, e alla loro organizzazione sociale comples-
siva. Le reazioni sono necessariamente multilaterali, sfumate, pragmatiche e un
po ipocrite. Come ad esempio la gestione sostanzialmente protezionistica delle
regole doganali, che molti paesi, soprattutto del far east compiono senza mettere
apertamente in discussione lapertura dei mercati (su questa gestione pragmatica
sembra si distinguano Cina e Stati Uniti). C poi il favoritismo strisciante per le
industrie nazionali, facile in situazioni in cui economia pubblica e privata sono
consapevoli di fare gruppo, col circolo virtuoso descritto al par. 3.15, come sta
accadendo in Germania. La strada maestra sarebbe ovviamente il mantenimento
della leadership della ricerca scientifico-tecnologica e nella capacit organizza-
tiva. Questultima dipende dalle consuete sinergie pubblico-privato, che pas-
sano anchesse da una forte consapevolezza condivisa e coesione sociale. Anche
in materia di commercio internazionale, e di divisione internazionale del lavoro,
comunque, appare chiara da quanto precede linsufficienza del puro e semplice
liberismo, come pure dellimpacciato legalismo di facciata che sprofonda la mac-
china pubblica nella paralisi burocratica di cui ai paragrafi 5.1 ss.. Che pian piano
prosciuga lo spirito di iniziativa, il buonsenso e la responsabilizzazione necessarie
a gestire una societ complessa.
148 Compendio di Scienza delle Finanze

7.12. LEuro come esempio di moneta sovranazionale.

La moneta esprime un insieme di impegni reciproci, come indicato al


paragrafo 7.7 e 7.8, garantiti in ultima analisi dalla collettivit. La promessa
dello stato infatti estremamente gradita, ed accettata, come indicato anche al
par. 8.3 sul debito pubblico, in quanto lui il detentore del potere coercitivo
per eseguire coattivamente i diritti di credito.Tuttavia lo stato, la legge, la forza,
la coercizione, non produce ricchezza. La pu prendere da dove esiste, ma
non la pu creare. Questo spiega il limite al debito pubblico, rappresentato
dalla ricchezza che pu creare la collettivit di cui un determinato potere
espressione. Se i debiti di uno stato sono clamorosamente eccedenti la ricchez-
za che i suoi cittadini possiedono o possono creare, nessuno prender sul serio
gli impegni di quello stato ad effettuare determinate prestazioni (par. 8.3).
Sulla base di questa premessa, se sostituiamo ad un singolo stato un ac-
cordo tra un gruppo di stati, possiamo facilmente immaginare leuro. I
singoli stati rinunciano a mettere in circolazione le proprie promesse di pa-
gamento, e quindi interrompono la possibilit di creare unilateralmente
domanda a debito. Questa creazione di domanda a debito viene invece
devoluta alla banca centrale comune, governata da tutti i paesi appartenenti
allunione monetaria. I singoli stati non sono pi quindi liberi di emettere
moneta, cio mettere in circolazione unilateralmente propri titoli di paga-
mento, ma questa emissione dipende da una decisione comune, nel nostro
caso attraverso la banca centrale europea.
I paesi che non hanno una sufficiente capacit tributaria, cio una
ricchezza interna adeguata alle spese pubbliche che intendono sostenere, o
cui ormai si trovano impegnati con i pubblici dipendenti, si vedono preclusa
la scorciatoia immediata di una emissione di moneta. Questo pu essere un
bene o un male, a seconda dellimpiego che avrebbe fatto il singolo stato delle
relative risorse. Al paragrafo 8.3 vedremo che il debito pubblico non solo
una questione contabile, anche se questa ha il suo peso, soprattutto come
rapporto tra debito e ricchezza prodotta da un certo stato. Al paragrafo 8.3 ve-
dremo i limiti di rapporto tra debito pubblico, e interessi sul debito pubblico,
rispetto al PIL, come indice di ricchezza dei vari paesi.
La sostenibilit del debito pubblico per anche una questione di effi-
cienza delle macchine pubbliche, e di credibilit politica: per questo pa-
esi credibili, come gli Stati Uniti o il Giappone, sostengono debiti pubblici
percentualmente superiori a quelli di numerosi paesi europei, fatte le dovute
proporzioni.
In una unione di stati, lefficienza della macchina pubblica complessiva,
come sintesi di tutte le macchine pubbliche dei singoli paesi aderenti, dovreb-
CAPITOLO VII DAL PIL ALLEURO 149

be garantire il debito comune di tutti i paesi. Tale debito resta per nazio-
nale, in quanto abbiamo gi visto al paragrafo 4.16 che ogni paese membro
dellUnione europea, e anche del trattato Euro, ha la propria distinta efficienza
burocratica e il proprio rapporto tra tributi e spese pubbliche. Emettere mo-
neta comune per finanziare debiti pubblici inefficienti e improduttivi, incrina
la credibilit politica complessiva del trattato, ed incontra comprensibili re-
sistenze da parte dei paesi con maggiore capacit tributaria e maggiore au-
tosufficienza economica, a prescindere dal consumo a debito. su questo
che si combattono le quotidiane polemiche tra vari paesi dellunione, nella
dicotomia riportata alla dialettica tra il rigore e la crescita. Forse i paesi
del rigore (in testa la Germania) hanno un eccessivo timore dellinflazione e
del deprezzamento dellEuro, che peraltro come noto agevola le esportazioni,
ma penalizza le importazioni (paragrafo 7.9). Daltra parte i paesi sostenitori
della crescita sembrano illudersi che questa possa essere alimentata semplice-
mente da un consumo a debito. La tesi del consumo a debito ricorda quelle
chiacchiere grossolane in cui viene scusata la corruzione, affermando che essa
fa girare i soldi. Come vedremo al paragrafo 8.3 la differenza dipende dalla
qualit della spesa e dallefficienza della macchina pubblica.
Capitolo Ottavo
IL FINANZIAMENTO
DELLINTERVENTO PUBBLICO:
TASSAZIONE ATTRAVERSO LE AZIENDE
E AUTOTASSAZIONE (RINVII AL COMPENDIO
DI DIRITTO TRIBUTARIO)

Sommario: 8.1. La tassazione come settore della fiscalit. 8.2. Entrate da sfruttamento del pa-
trimonio pubblico. 8.3. Finanziamento a debito della spesa pubblica e suoi limiti. 8.4.
Pubbliche entrate tra beneficio (tariffe), remunerazione di funzioni pubbliche (tasse
in senso stretto) e imposte (principio del sacrificio patrimoniale). 8.5. Imposte dirette e
indirette: riconducibilit economica di tutte le imposte ai redditi. 8.6. Limportanza della
determinazione della ricchezza: le epoche della sua valutazione attraverso pubblici uffici.
8.7. La tassazione attraverso le aziende. 8.8. Differenza tra tassazione attraverso le aziende e
autotassazione. 8.9. Lo scoordinamento tra tassazione ragionieristica attraverso le aziende e
valutativa attraverso gli uffici tributari. 8.10. Il disorientamento e le divagazioni sugli effetti
delle imposte. 8.11. Stima della ricchezza che sfugge alle aziende e intervento valutativo
dei pubblici uffici. 8.12. Pressione fiscale e c.d. redistribuzione. 8.13. Riflessi tributari
del federalismo fiscale.

8.1. La tassazione come settore della fiscalit.

Oggi siamo talmente abituati ad un finanziamento delle spese pubbliche


attraverso i tributi che utilizziamo indifferentemente gli aggettivi fiscale
e tributario. Se per guardiamo al passato, a possibili assetti futuri ed a
esperienze estere, ci rendiamo facilmente conto che i tributi sono solo uno
dei vari strumenti per il finanziamento della spesa pubblica. Esistono anche
oggi paesi, ad esempio quelli produttori di petrolio, dove i tributi non sono
previsti affatto, perch le finanze pubbliche si sostengono solo attraverso
il finanziamento che proviene dallo sfruttamento delle risorse minerarie
suddette. Anche in quei paesi, dove mancano i tributi, esiste tuttavia una
fiscalit, consistente nella modalit di acquisizione e di impiego delle pub-
152 Compendio di Scienza delle Finanze

bliche entrate. Altre forme di entrata possono derivare dallo sfruttamento


di un patrimonio pubblico, dalla remunerazione di servizi specifici resi
agli utenti di servizi pubblici (tariffe), dallesercizio di funzioni pubbliche
(tasse in senso stretto).
La fiscalit pu quindi esistere, ed anzi esiste necessariamente, in qualsiasi
organizzazione pubblica, anche senza tassazione; in assenza di tributi la
fiscalit pu quindi essere basata su entrate patrimoniali. Nella storia c
spesso stata una combinazione di entrate non tributarie e di tributi, cio di en-
trate coattive legate a manifestazioni di ricchezza; alla vasta tipologia di entrate
patrimoniali, oppure di altro tipo, ma comunque non tributarie dedicato il
paragrafo seguente.

8.2. Entrate da sfruttamento del patrimonio pubblico.

La finanza c.d. patrimoniale si lega allantico potere militare sul territorio,


descritto al paragrafo 1.7. Nellarea soggetta al controllo del gruppo, luso
collettivo delle risorse naturali come i corsi dacqua, la legna, i pascoli, la cac-
ciagione, tipico dei gruppi primordiali, e si estende ad infrastrutture di uso
collettivo, come le strade. Gli introiti dei beni comuni danno luogo a un
tesoro, un patrimonio pubblico gestito attraverso la politica, chiamato in
epoca romana erario o fisco.
Questo patrimonio poteva alimentarsi in molti modi. Ad esempio pre-
de belliche, tributi imposti ai popoli vinti, con la guerra che, se fortunata
era anche una fonte di entrata, oltre che di spesa; al potere sul territorio si
legavano le concessioni per attivit economiche, come i commerci doltre-
mare, le confische a banditi, individui o sottogruppi sociali caduti in di-
sgrazia, le cui ricchezze venivano acquisite al fisco (confiscate). Cerano poi
contributi spontanei di personaggi illustri o facoltosi, destinati a conseguire
titoli nobiliari, investiture religiose (come nella chiesa dei secoli bui, quan-
do le finanze vaticane venivano rimpinguate vendendo titoli cardinalizi) o
visibilit politica. Un finanziamento delle spese pubbliche poteva avvenire
anche attraverso il monopolio della monetazione, magari diminuendone
il contenuto di metallo prezioso, come indicato al par. 7.7. Cerano poi
i prestiti forzosi, somiglianti a tributi con facolt di restituzione, qualora
la spesa cui erano finalizzati non avesse luogo, o avesse esito felice, dando
frutti economici, come una guerra fortunata. Lindebitamento, verso terzi,
in alternativa alla stampa di moneta (par. 7.7) sempre stato una fonte di
finanziamento per il potere politico, tanto da rendere opportuno il paragra-
fo specifico che segue.
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 153

8.3. Finanziamento a debito della spesa pubblica e suoi li-


miti.

facile per i pubblici poteri ottenere credito, cio fare debiti, almeno
allinizio. Lo stato non esercita attivit economica, n corre un rischio di im-
presa, da cui possono derivare perdite. Lo stato, come indicato al precedente
paragrafo 7.7 viene denominato prestatore di ultima istanza, in quanto
esercita supremazia politica, cui si accompagnano poteri coercitivi (par. 2.5)
utili a trovare risorse destinate al pagamento del debito.
Tutto per ha un limite, e se lo stato eccede nellindebitarsi, la sua speciale
condizione, il suo potere coercitivo, si ritorcono contro i creditori. La forza
coercitiva del potere pubblico, oltre ad essere strumento per riscuotere i tri-
buti, anche un ostacolo per chi vuole costringere lo stato a far fronte ai suoi
debiti. Il creditore dello stato dovrebbe infatti essere assistito dallo stesso sog-
getto debitore, con un curioso cortocircuito, che di fatto vanifica la riscossione
coattiva dei crediti verso il pubblico potere.
Indebitarsi, per lo stato, come stampare moneta, prerogativa indiretta-
mente pubblica secondo gli schemi indicati al paragrafo 7.8 sia il debito pub-
blico sia lemissione di moneta sono criteri per aumentare la spesa pubblica
nellimmediato, sostenendo i consumi pubblici senza nuove tasse. In questo
modo apparentemente si rilancia la produzione, senza per uno scambio ef-
fettivo perch la contropartita del consumo non una prestazione in senso
inverso, ma un debito. Qualcuno riceve una prestazione, ma non ricambia,
bens promette di ricambiare, o promette di effettuare una prestazione ad un
finanziatore che paga per lui. Il consumo, senza produzione, del beneficiario
del prestito, non crea reddito, ma crea debito.
Il debito non in s nocivo, ma il giudizio su di esso dipende dallefficienza
nellimpiego delle risorse finanziarie prese a prestito. Il famoso economista JM
Keynes teorizzava il deficit di bilancio come strumento di rilancio delleco-
nomia, sottintendendo per leffettiva utilit economica della spesa pubblica
effettuata a fronte del debito. Non detto che tutta la spesa pubblica debba
essere produttiva e debba corrispondervi necessariamente un servizio: si pu
infatti anche investire in coesione sociale, evitando rivolte. Nulla vieta che le
risorse acquisite a fronte del debito siano spese in via assistenziale per sussidiare
i consumi delle fasce pi deboli, sapendo per che il prestito andr restituito
da qualcun altro, oppure che non sar restituito affatto. In ogni caso, per so-
stenere i consumi di soggetti del gruppo sociale non adatti alla produzione,
per et, menomazioni, o altre patologie, occorre pagare un prezzo, a carico di
chi produce il relativo reddito. Che non sar consumato o investito da chi lo
produce, ma utilizzato per sussidiare chi per motivi del tutto legittimi non
154 Compendio di Scienza delle Finanze

in grado di produrre redditi. Ne riparleremo al par. 8.12 a proposito della


redistribuzione, tornando adesso al debito pubblico, sottoscritto da chi pen-
sa di riaverlo indietro da una macchina pubblica che invece ne accumula
in eccesso. Pian piano il debito si accumula, con lui le rate di restituzio-
ne, e si emette nuovo debito, scaricandolo sulle generazioni future. Che si
troveranno a fronteggiare un fenomeno uguale e contrario a quello che
interess i loro antenati, che consumavano a debito. I pronipoti dovrebbero
infatti produrre senza consumare, per pagare i debiti lasciati dagli antenati,
che consumavano senza produrre. I loro nipoti dovranno pagare tasse senza
avere soldi da spendere, in quanto assorbiti dagli interessi passivi sul debito
precedente. in questo circolo vizioso che lo statista, luomo di governo,
deve evitare di cadere. Per questo, pur utilizzando il debito come strumento
di governo, si deve cercare di non abusarne; la miopia politica, incapace di
guardare oltre le prossime elezioni o gli interessi immediati, spinge invece
a indebitarsi oggi, rinviando i problemi a domani. Cio a carico delle ge-
nerazioni future, o degli stessi creditori. Sul piano delleconomia pubblica,
il debito non deve essere valutato isolatamente, ma rispetto agli interventi
che destinato a finanziare, e alla loro idoneit a generare reddito futu-
ro. Lintervento statale a debito, gi indicato a proposito delleconomia
Keynesiana, pu essere efficace se diretto a costruire o mantenere strutture
pubbliche efficienti, che restituiscono servizi alla collettivit, cio generan-
do reddito a debito. A queste condizioni, ha senso economico persino
indebitarsi per pagare stipendi, talvolta consistenti in un investimento, vuoi
in salute, vuoi in formazione, vuoi in banche dati, vuoi in ricerca scientifica,
e via enumerando. Il problema non quindi il debito, ma lutilizzazione
delle risorse, come gi indicato sopra. Nellantichit, ad esempio, il debito
contratto per finanziare imprese guerresche era speso bene o male a secon-
da dellesito delle battaglie. Oggi non tanto una questione di etichetta
contabile tra spese correnti e spese in conto capitale; anche queste ul-
time possono essere infatti destinate a finanziare opere fatiscenti o inutili,
come i cavalcavia pendenti sul nulla, o impianti industriali senza prospettive
economiche. Come al solito, anche se gli uomini vivono di bisogni e di so-
gni, limportante la sostanza. Dove anche la gestione del debito, e quindi
la possibilit di ripagarlo dipendono dalla capacit della macchina pubblica,
compresa quella di spendere bene i relativi soldi.
Vediamo ora gli epiloghi degli eccessi di debito, cui si giunge quando lo
Stato indotto a insistere nellindebitamento anche perch confida che
quando il debito molto elevato gli stessi creditori facciano ulteriori crediti
per evitare il fallimento, cio la dichiarazione unilaterale dello stato di non
poter restituire il debito, ovvero il default di cui diremo tra un attimo; prima
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 155

di esso comincia a farsi strada una specie di irresponsabile orgoglio, in cui i


debitori si autoconvincono di essere troppo grandi per fallire; too big to fail si
dice quando il debito talmente grosso da essere un problema non tanto per
il debitore, ma per il creditore.
La dichiarazione di non poter restituire il debito non un normale falli-
mento, vista la gi indicata impossibilit di assoggettare lo stato ad esecuzione
coattiva, con opzione militare; infatti puramente dimostrativa la portata di
aggressioni indirette verso i beni esteri di cittadini dello stato insolvente, o
pignoramento di crediti di sue imprese verso debitori di altri stati. Lalternati-
va, che ha portato alleliminazione del debito, nel passato, sono state le gran-
di inflazioni, che hanno abbattuto il debito precedente, come quello italiano
anteriore alla seconda guerra mondiale, oppure le grandi remissioni di debiti
successive alle guerre mondiali. Fatto sta che nessun grande debito pubblico,
per cui si fossero posti problemi di default, di incapacit economica di resti-
tuzione, stato di fatto restituito.
Vediamo ulteriori conseguenze politico sociali del default con lunica
forma di difesa dei creditori, consistente nellinterruzione della erogazione
del credito. I riflessi sociali di questa chiusura dei rubinetti possono essere
drammatici, anche senza fallimento dello stato, quando lorganizzazione
sociale ha perso autosufficienza, quando leconomia di sussistenza agrico-
lo pastorizia, basata su una buona quota di autoconsumo, si sfaldata, e
sono aumentate enormemente le dipendenze da prodotti, anche alimen-
tari, fabbricati in serie. Quando bisogna pagare i tributi, e ridurre le altre
spese, solo per pagare i debiti, popolazioni abituate a essere sussidiate dal
debito possono rivoltarsi contro leconomia, e frange di opinione pubblica
dei paesi indebitati, davanti ai sacrifici connessi alla riduzione del debito,
possono tendere a ripudiarlo. Lo psicodramma di negare la responsabilit
del popolo, rinnegando la paternit del debito (ad esempio dicendo che
quello non il nostro debito); sono slogans paradossalmente esatti, nel
senso che infatti spesso non il debito di chi fa queste affermazioni, ma
dei loro genitori. Solo che gli individui possono rinunciare alleredit, ed i
gruppi sociali no, perch non muoiono. In questi quadri di confusione, la
protesta popolare pu quindi dar luogo a rivolgimenti politici a seguito dei
quali lo stato-debitore ripudia il debito, in modo totale o parziale. Questo
ripudio del debito equivale, per i creditori appartenenti allo stesso gruppo
sociale(creditori interni) ad un esproprio o a una tassazione casuale; cio
non proporzionale alla ricchezza dei vari individui, neppure quella finan-
ziaria, ma riferita solo ai proprietari di titoli pubblici. Insomma, il ripudio
unilaterale del debito una tassazione patrimoniale fortuita, in quanto
applicata solo ai titoli del proprio stato.
156 Compendio di Scienza delle Finanze

Per i creditori esteri, invece, neppure questa giustificazione paratributaria


regge, e si aprono scenari di sanzioni internazionali, a cominciare da quella pi
soft, politicamente corretta, cio la gi rilevata interruzione dei rubinetti del
credito, fino alle ritorsioni indirette sulle attivit economiche o i patrimoni
esteri, riconducibili allo stato debitore.
Quando il debito molto elevato, le uniche prospettive sono conviverci,
creando una immagine di affidabilit, e rendendo economicamente produtti-
ve, in termini di servizi pubblici, le spese obbligatorie, soprattutto gli stipendi.
Ricordiamo infatti che la valutazione del debito, come quella della tassazione,
non pu essere fatta in assoluto, ma dipende dallefficienza e dallefficacia delle
corrispondenti spese pubbliche. Il problema non quello della quantit della
spesa pubblica, ma della sua produttivit e della sua obbligatoriet quando ormai
composta in prevalenza da interessi passivi e da stipendi, tra cui non si riesco-
no a distinguere quelli costituenti un sussidio mascherato da quelli realmente
produttivi. Anche se la sostenibilit del debito va valutata rispetto alla solidit
complessiva delleconomia di un paese sotto laspetto reddituale e patrimo-
niale, il parametro principale lefficienza della macchina pubblica; anchessa
infatti una struttura che dovrebbe contribuire alleconomia complessiva con
servizi, come indicato al par. 7.3 sul settore pubblico e il PIL.
Il sostenimento del debito pubblico avviene facendo funzionare lappara-
to statale, senza smantellarlo. Dopotutto il debito pubblico finanzia lecono-
mia pubblica e la sua sostenibilit per molti versi, dipende dalla credibilit
politica della macchina pubblica; intesa come capacit della sua opinione
pubblica di esprimere e sostenere un governo che comunichi sostanza, al
di l degli effetti di annuncio; cercare in modo perequato le risorse per fron-
teggiare il debito di tutti, senza pregiudicare lattivit economica, oltre che la
coesione sociale, d unimpressione di maturit, e genera credito. Al contrario,
la confusione e la sfiducia nella capacit di utilizzo del credito, generano
diffidenza nei potenziali creditori.
Non a caso, sistemi economici con un debito pubblico molto elevato (di
poco inferiore proporzionalmente a quello italiano), senza una struttura pro-
duttiva manifatturiera come quella del nostro capitalismo familiare, reggo-
no, in quanto lazienda stato funziona bene. Il problema non quindi
lammontare assoluto del debito, ma lefficienza della macchina pubblica fi-
nanziata col debito, al limite gestendo adeguatamente lerogazione dei sussidi,
delle case popolari, della sanit, dellistruzione. Non a caso il debito pubblico
americano, pur essendo molto elevato, e posseduto in buona parte da creditori
stranieri, non incontra problemi di sostenibilit; che sono esclusi per defini-
zione quando il debito pubblico nelle mani di creditori dello stesso paese,
che in questo modo chiudono il circuito, come sembra sia per il Giappo-
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 157

ne. Entrambe queste caratteristiche presuppongono una economia solida, in


buona parte in grado di farsi credito da sola, cosa che non pu ovviamente
avvenire in situazioni come quella Greca. Il messaggio di sintesi la possibilit
di avere credito, con buoni margini, fintanto che non ci si riduce a vivere di
debito, ma si mantiene una buona struttura produttiva, compresa una efficiente
macchina pubblica.
Su queste riflessioni, non esprimibili in formule matematiche, si inserisco-
no i parametri economici di equilibrio europeo. Come il rapporto tra
debito e PIL, quello pi significativo e preoccupante, perch indica la capacit
futura di ripianare il debito. Meno significativo, anche se pi citato, invece
il rapporto tra deficit e pil, che pu invece indicare contabilmente
fenomeni temporanei. Il deficit infatti, semplicemente, la parte delle spese
pubbliche non coperta dalle entrate. Ad esempio, se uno stato senza debito e
senza entrate pubbliche improvvisamente si indebita senza copertura di en-
trate, creando deficit coperto a debito, sfondando tutti i parametri europei di
rapporto deficit/PIL, la sua capacit fiscale, cio la capacit di generare entrate
pubbliche, anche in termini di imposta, deve essere ancora sfruttata. Finch
il debito irrisorio rispetto alle potenzialit di creare ricchezza e incassare
imposte, il deficit un problema secondario.
Il rapporto deficit-pil, gi difficile da rispettare per molti paesi europei,
meno rigoroso del rapporto debito-pil. La sua scelta sembra addirittura un
palliativo politico dellUnione europea per aumentare le possibilit di aderi-
re alla moneta unica, di cui al par. 7.12. Quando il debito molto alto rispetto
al PIL anche possibile rispettare per qualche anno, con grandi sforzi fiscali, il
rapporto deficit-PIL, ma senza prospettive di liberarsi dal debito.
Abbiamo gi visto, del resto, che, a quanto ci consta, nessun paese ha
mai pagato, nella storia, i debiti pubblici elevati; tali debiti sono stati
infatti estinti per default (fallimento) a seguito di guerre, inflazione
o un misto dei tre. Col debito comunque occorre convivere, al di l di
quello che avverr nel lungo periodo (in the long run wre all dead come
diceva Keynes) e questo avviene mantenendo limmagine di efficienza
della macchina pubblica. Se infatti il debito pubblico va a finanziare la
macchina pubblica, il buon funzionamento di questultima conferma che
i soldi non sono stati sprecati, per ricollegarci a quanto rilevavamo sopra a
proposito del rapporto tra credibilit politica e gestibilit del debito. In
ultima analisi, poi, i creditori hanno bisogno di impiegare le proprie ec-
cedenze, e quindi vogliono dare credito, essendo cio disposti a fingere di
ignorare la riflessione appena svolta sopra sulle sorti di tutti i debiti. Tutta-
via gli stati debitori non possono tirare troppo la corda, perch man mano
che il debito detenuto da creditori esteri aumenta, rispetto alla capacit di
158 Compendio di Scienza delle Finanze

produrre ricchezza, diventa impossibile anche fingere di credere a un


suo possibile rimborso.
La percezione, da parte dei mercati finanziari, e dei creditori esteri, di
questa credibilit operativa della macchina pubblica espressa dal concetto
di spread. Cio il maggior interesse richiesto dal mercato ai paesi sospet-
tati non solo e non tanto di non essere in grado di far fronte ai propri debiti,
quanto piuttosto di non saper gestire, con una macchina pubblica, efficiente
il problema del debito. Sotto sotto, i mercati intuiscono che alla fine nessun
debito pubblico sar pagato, per intuiscono anche che per alcuni paesi questo
un evento lontano (in the long run we are all dead diceva Keynes), mentre per
altri dietro langolo.
Il debito pubblico si paga quindi in buona parte in credibilit politico-isti-
tuzionale, interna ed internazionale. La gestibilit del debito, anche elevato,
dipende in buona misura dalla maturit della pubblica opinione, dal suo spirito
di gruppo e dalla sua consapevolezza economico sociale. Basata ad esempio
sulla consapevolezza dei ricchi di non essere migliori degli altri, e sulla con-
sapevolezza dei poveri di non poter vivere venendo mantenuti dai ricchi. Ne
riparleremo al par. 8.12 a proposito di redistribuzione, ma una cosa certa.
Che a debito si possono solo fare investimenti, materiali e immateriali, op-
pure finanziare consumi, specificandone la funzione meramente assistenziale,
e chiamandoli con questo nome. Man mano che invece si fa strada lipocrita
illusione di finanziare a debito stipendi improduttivi (usati come sussidi),
diventa sempre pi difficile governare la macchina pubblica, e con essa la spi-
rale del debito.
Quando gli investitori internazionali se ne rendono conto subentrano crisi
di fiducia, liquidate dallopinione pubblica, e dai mezzi di informazioni, con
lespressione di attacchi speculativi o di speculazione tout court; questo
concetto, come gi indicato, diventa una specie di simbolo del male, un capro
espiatorio con cui la pubblica opinione si autoassolve, come vedremo anche
per levasione fiscale. Invece la vendita effettiva di titoli, prevedendo una disce-
sa delle quotazioni, con speranza di riacquistarli successivamente, a un prezzo
inferiore, solo legittima gestione delle proprie informazioni e del proprio
denaro; non c nulla di negativo in questo. Pi grave, e patologica, la vendi-
ta di titoli allo scoperto, effettuata in modo da far scendere le quotazioni,
sperando in una discesa del corso del titolo che consentir di acquistarlo a un
prezzo inferiore, prima del termine di regolamento delloperazione. Anche
per questo, nei periodi di crisi, vengono vietate le operazioni di acquisto e di
vendita allo scoperto, anche di titoli pubblici. Lo stesso risultato viene peraltro
raggiunto tramite derivati, cio operazioni a termine, di cui possono essere
oggetto anche titoli di stato.
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 159

8.4. Pubbliche entrate tra beneficio (tariffe), remunera-


zione di funzioni pubbliche (tasse in senso stretto) e
imposte (principio del sacrificio patrimoniale).

Le spese pubbliche non coperte col criterio patrimoniale, indicato ai


paragrafi precedenti, possono essere poste a carico di chi trae vantaggio
dai relativi servizi, imitando criteri di mercato. il sistema classico delle
imprese pubbliche per i settori strategici, che intreccia organizzazione
pubblica e privata della convivenza sociale, stato e mercato. Il pubblico
potere ha organizzato spesso attivit economiche di importanza sociale,
che per vari motivi non voleva lasciare ai privati. Poteva trattarsi di ser-
vizi di importanza strategica per il controllo del territorio, come fu per
le poste, per le ferrovie, per lacqua, per lenergia, tutti settori poi passati
dallesercizio diretto alla regolamentazione (par. 4.14). Possono poi esserci
attivit che i privati non intraprenderebbero perch non profittevoli, ma
che si vogliono assicurare a una pi ampia fascia di popolazione, ad esem-
pio in materia educativa, sanitaria o di trasporto pubblico. Tutte queste
attivit si prestano ad essere finanziate anche con tariffe a carico di chi se
ne serve, secondo il criterio c.d. del beneficio in cui spese di interesse
collettivo sociale sono organizzate dal pubblico potere, direttamen-
te o indirettamente, ma i relativi costi fanno, del tutto o in una certa mi-
sura, carico agli utilizzatori.
Man mano che ci si avvicina alle funzioni pubbliche coercitive e di ordine
sociale, come la giustizia, lo stato civile, la pubblica sicurezza, la gestione del
territorio, lurbanistica, lambiente, oppure a prestazioni di estrema rilevanza
sociale (ad es. sanit e istruzione) si passa dal servizio alla funzione. Cos
come la contribuzione a fronte di servizi pubblici finanziata dalle suddette
tariffe, le funzioni pubbliche sono finanziate da tasse, gi appartenenti
allarea dei tributi. Lente destinatario si presenta infatti come esercente una
funzione pubblica, per la quale i meccanismi di mercato sono del tutto secon-
dari. Sono interventi necessari per finalit politico generali, ma costituiscono
anche il presupposto della richiesta di contribuzione, come ticket sanitari, tasse
scolastiche, contributi di urbanizzazione, varie forme di diritti anagrafici,
di giustizia, di trasporto, come le tasse di imbarco aeroportuali, per il
rilascio di licenze, documenti o certificati. In tutti questi casi il potere politico
decide di istituire una determinata funzione pubblica, sostenendone le spese,
ma richiedendo un contributo a chi interagisce con essa. Anche qui opera il
principio del beneficio, e la situazione economica del richiedente non rileva,
oppure rileva per ridurre o escludere del tutto il pagamento quando si tratta
di soggetti bisognosi. Si pensi ad esempio, in Italia, alle c.d. esenzioni da
160 Compendio di Scienza delle Finanze

ticket, commisurate ad indicatori che gli interessati devono spesso autocer-


tificare (ISEE) con notevoli difficolt di controllo.
Abbiamo gi incontrato lespressione contributi, a proposito di quelli
previdenziali al par. 6.14, e nello stesso senso essa viene utilizzata per indi-
care una correlazione con un beneficio ricevuto; si pensi alle somme richieste
ai membri di gruppi cui indistintamente si riferiscono attivit dellente desti-
natario (contributi di urbanizzazione o di bonifica).
I monopoli, con cui lo stato avocava a s alcune attivit particolarmente
profittevoli (sale, tabacchi, banane, caff, etc.) sono stati travolti per via dei
principi comunitari sulla libera concorrenza (par. 4.17), ed oggi lentrata pi
importante a tale titolo quella sui giochi e le scommesse, gestiti in genere in
regime di monopolio-concessione.
Lultimo criterio per il finanziamento della spesa pubblica quello di met-
terle a carico della collettivit in proporzione alle varie forme di ricchezza
che in essa si manifestano: il criterio delle imposte, dove appunto lautorit
pubblica impone un sacrificio commisurato a determinate forme di ric-
chezza, di cui parleremo al prossimo paragrafo.

8.5. Imposte dirette e indirette: riconducibilit economica di


tutte le imposte ai redditi.

Le imposte si sono riferite, nella storia, alle pi varie, e spesso strambe,


manifestazioni di ricchezza; non ci interessano qui le varie finalit di gettito,
sviluppo, redistribuzione, ed altri aspetti riguardanti gli effetti delle imposte.
Si tratta di profili logicamente successivi alla determinazione delle imposte, e
della ricchezza sottostante, sotto questo profilo rilevano valori politicamente
pi neutrali, meno coloriti, ed attinenti alla rilevabilit precisa, alla semplicit
di determinazione, alla cautela contro gli espedienti evasivi, alleffettivit e
sistematicit dellintervento degli uffici, alla certezza dei rapporti giuridici ed
altre esigenze neutre cui si riferisce la determinazione della ricchezza ai fini
tributari.
Tradizionalmente le imposte sono per economicamente riferibili a una
combinazione assai ristretta di concetti economici, come redditi, consumi
o patrimonio. Redditi e consumi sono due facce dellattivit economi-
ca, come indicato al par. 7.1 sul calcolo del PIL: tolti i passaggi intermedi
tra operatori economici, e guardando al consumatore finale, questultimo
esprime una manifestazione di ricchezza basata sul consumo, mentre il for-
nitore realizza un reddito, al netto dei propri costi di produzione. Il reddito
non consumato crea un patrimonio, quantit di ricchezza che si stratifica
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 161

nel tempo, a sua volta influenzata dalla situazione economica presente e


dalle prospettive future, come abbiamo visto al par. 7.6 a proposito dei
valori economici e dei loro rapporti con lattivit economica, misurata dal
reddito. Ne discende che anche le imposte sui consumi e sul patrimonio
vengono pagate con una quota dei redditi, almeno a livello macroecono-
mico: pu trattarsi di redditi propri risparmiati, di redditi donati da terzi,
o di redditi futuri anticipati attraverso lindebitamento. Se si considera che
i redditi derivano dallattivit economica facile capire limportanza delle
aziende a questo fine; ne derivano il riferimento storico della tassazione agli
operatori economici, e lattuale utilizzazione degli operatori economici pi
organizzati e spersonalizzati per determinare la ricchezza ai fini della sua
tassazione, come vedremo al paragrafo successivo.

8.6. Limportanza della determinazione della ricchezza: le


epoche della sua valutazione attraverso pubblici uffici.

Lindividuazione e la determinazione della ricchezza ai fini del prelievo


di una sua quota, a titolo di imposta, stata storicamente da sempre svolta
dalle autorit amministrative. Erano loro a prendere liniziativa di richiede-
re i tributi su manifestazioni di ricchezza che, nella societ agricolo-artigianal-
mercantile, erano abbastanza elementari.
La tassazione dellera agricolo artigianale non poteva che far riferimen-
to in prima battuta alla terra, principale fonte di ricchezza, come indicato
al capitolo 2; i relativi redditi dovevano essere stimati da pubblici uffici, che
svilupparono modalit varie, compresa la schedatura catastale della redditi-
vit dei terreni (vedasi il compendio di diritto tributario).
La ricchezza si manifestava anche nei passaggi delle merci, individua-
bili con semplicit dai pubblici poteri, posizionandosi sugli snodi obbligati
delle vie di comunicazione, come porti, ponti, valichi, strade e mercati. Era una
tassazione basata sulla visibilit fisica di merci, a quantit (c.d. accise), su
cui vedasi pure il compendio di diritto tributario.
La ricchezza si manifestava anche negli atti giuridici solenni, come
allepoca il trasferimento della propriet fondiaria tra vivi e per via ereditaria o
laffrancamento degli schiavi nellantica Roma. Qui non cera bisogno di una
richiesta amministrativa, in quanto era lo stesso contribuente a voler entrare in
contatto con istituzioni della comunit per dare efficacia giuridica al suo atto,
pagando di buon grado il tributo.
Vista lesiguit degli apparati burocratici dellera preindustriale, era dif-
fuso lappalto delle imposte a privati, come i pubblicani, che ne antici-
162 Compendio di Scienza delle Finanze

pavano il gettito al potere politico, ed erano investiti dei relativi poteri, con il
rischio di soprusi e malversazioni.
Le pubbliche autorit si servivano anche di gruppi sociali intermedi
per la richiesta dei tributi ai singoli individui che ne facevano parte, come le
comunit locali, oppure etniche, religiose o professionali, cui venivano
chieste imposte complessive, che il gruppo pensava poi a ripartire al proprio
interno; questa ripartizione avveniva in genere secondo criteri che al pote-
re centrale interessavano relativamente poco, come la condizione economico
sociale comparativa delle famiglie (focatico) o di singoli individui (testatico).
Questi sistemi c.d. a ripartizione erano particolarmente adatti alle societ
pluralistiche dellancien regime, in cui si intrecciavano una serie di poteri e
status diversi. Cera gi qui il rischio di imprecisioni o favoritismi, che si cerca-
va di evitare coi gi indicati catasti delle complessive situazioni economiche
delle famiglie e delle persone. Oggi invece questo ruolo di ente intermedio,
preposto allacquisizione dei tributi, stato trasferito alle aziende come ve-
dremo al prossimo paragrafo.

8.7. La tassazione attraverso le aziende.

Lera aziendal-tecnologica ha offerto la possibilit di individuare


la ricchezza attraverso la documentazione tenuta dalle aziende, come
aggregazioni sociali (par. 3.4 e seguenti) per proprie esigenze gestio-
nali. Il pubblico potere utilizza perci questa base documentale per
determinare la ricchezza ai fini tributari. Alla vecchia determinabi-
lit materiale e giuridica della ricchezza, attraverso pubblichi uffici,
indicata ai paragrafi precedenti, si affianca la determinazione ragionie-
ristico-contabile tipica dellera aziendale. Nasce cos la tassazione
attraverso le aziende, che si inserita sulle rilevazioni degli incassi e
delle spese effettuate dalle organizzazioni aziendali, come visto al capi-
tolo 3. Basta scorrere le statistiche del gettito per capire che proviene in
massima parte da qualche migliaio di aziende di grandi dimensioni, e
che le criticit della tassazione, in Italia come in tutti i paesi, riguardano
le aree di ricchezza dove queste rigidit amministrative non arrivano,
come vedremo al par. 8.9, e come indicheremo nel compendio di diritto
tributario: bene infatti evitare sovrapposizioni, tra il punto di vista del
diritto amministrativo delle imposte, da cui ci porremo nel com-
pendio di diritto tributario e quello delleconomia pubblica, da cui ci
poniamo qui. Da questo punto di vista tutti gli operatori economi-
ci, che producono per gli scambi e non per lautoconsumo, eliminando,
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 163

in quanto duplicazioni, i passaggi intermedi tra loro (denominati busi-


ness to business) disegnano un ciclo di input e output: loperatore
economico incassa infatti somme costituenti consumi finali per le sue
controparti e distribuisce valore aggiunto nel modo indicato al par.
3.12 (ricordiamo che il valore aggiunto composto da salari per i colla-
boratori, interessi per i finanziatori, rendita fondiaria per i titolari di beni
immobili e infine profitto per lorganizzatore di questi fattori produttivi).
Questi ultimi sono gli output, i flussi reddituali che dalla sfera della
produzione rifluiscono in quella personale, compresa quella degli stessi
produttori, che li utilizzano per rivolgersi, stavolta come consumatori, ad
altri operatori economici oppure alle aziende di credito per canalizzare il
risparmio (paragrafo 7.8).
Nella misura in cui questo ciclo economico si sposta dal lavoro indi-
pendente alle aziende, i relativi flussi diventano tracciabili ai fini tributari
attraverso la contabilit tenuta dalle aziende per i propri fini gestionali. La
documentazione aziendale viene quindi riutilizzata e integrata fiscal-
mente per determinare la ricchezza secondo criteri ragionieristici; si
verifica quindi una oggettiva esternalizzazione della richiesta dei tributi
dai pubblici poteri alle aziende (sul concetto di esternalizzazione par. 3.11);
la registrazione aziendale degli incassi (ricavi) serve a tassare i consumi
degli individui e delle famiglie, specialmente con lIVA, mentre i redditi
compresi nel valore aggiunto aziendale (par. 3.12) sono tassati con le ri-
tenute alla fonte, le imposte sostitutive o altrimenti segnalati dalle aziende
al fisco, in modo da indurre il percettore a dichiararli. Oltre a tassare con-
sumatori, dipendenti, risparmiatori, le aziende tassano anche i titolari, con
le imposte sui profitti e sui dividendi. Il sistema facile perch le aziende,
in quanto corpi sociali tenuti assieme dalla produzione e vendita di merci,
come indicato al capitolo 3, non hanno motivo per sottrarsi ai costi e ai
fastidi dellapplicazione delle imposte. Questa esternalizzazione di at-
tivit amministrativa del tutto particolare, in quanto le aziende non
sono formalmente delegate n investite di poteri pubblici, e neppure
ricevono alcun compenso per questa loro oggettiva funzione di collabora-
zione col fisco. Anzi lesternalit positiva rappresentata da questa gra-
tuita funzione tributaria neppure viene valorizzata dalle stesse aziende
(appiattite sul prodotto par. 3.6), dai loro giornali o dalla pubblica opinione;
la mancata comprensione della tassazione attraverso le aziende un
aspetto di quellinconsapevole suicidio sociale in cui, per mera carenza
formativa, la pubblica opinione rischia di autodistruggere il tessuto sociale
in cui vive, come rilevato al par. 3.14 e seguenti. Ne un riflesso la confu-
sione di cui diremo al prossimo paragrafo 8.9.
164 Compendio di Scienza delle Finanze

8.8. Differenza tra tassazione attraverso le aziende e autotas-


sazione.

La tassazione tramite le aziende, in Italia, sorta in modo spontaneo, senza


progettazione ex ante, n sistematizzazione ex post, e soprattutto in modo
scoordinato rispetto alla tradizionale tassazione valutativa attraverso gli
uffici tributari, di cui al par. 8.6. Liniziativa degli uffici avrebbe infatti dovuto
riequilibrare il peso tributario determinando adeguatamente la ricchezza
non raggiunta dalle aziende. A parte la ricchezza che le aziende non vedo-
no, cio quella che passa attraverso il lavoro indipendente verso consumatori
finali, c anche quella che i titolari delle aziende riescono a nascondere al
fisco a vantaggio di s medesimi (si veda il par. 3.7 del compendio di diritto
tributario). Probabilmente una cifra in assoluto modesta, perch a molti
imprenditori non serve nascondere ricchezza al fisco per vivere bene,
e poi non sono in assoluto molto numerosi; anche se evadessero tanto, sono
assoluto pochi rispetto a milioni di lavoratori indipendenti. per un feno-
meno di elevato valore politico simbolico, utile a trasformare, alla fine, le
aziende in capro espiatorio, sulla strada di quella disgregazione sociale indicata
al par. 3.15.
Oltre a questo problema di perequazione, rispetto alla ricchezza tradi-
zionale, c anche una minore governabilit della tassazione attraverso le
aziende: anche la ricchezza che transita attraverso le aziende, infatti, si presta ad
essere fiscalmente rilevata solo ripercorrendo le procedure contabili con cui le
aziende hanno interesse gestionale ad acquisire e accumulare i dati contabili.
Anche se il titolare dellazienda credibile e fiscalmente onestissimo, il sospet-
to di una infedelt non pu essere mai escluso davanti a milioni di operazioni
registrate, tonnellate di documenti, flussi finanziari milionari, di fronte ai quali
lunica possibilit fidarsi.
Dal mancato coordinamento della tassazione attraverso le aziende con
quella attraverso gli uffici nato il fuorviante concetto di autotassazione,
consistente nella tecnica di richiedere le imposte per legge anche agli in-
dividui, con un intervento simbolico e asistematico degli uffici tributari.
Nellopinione pubblica si diffuso il fuorviante concetto secondo cui tutti
sono davanti alla richiesta delle imposte proveniente dalla legge, e rispondono
in relazione ad una loro imprecisata onest e disonest. La rigidit azien-
dale (par. 3.7) stata trascurata, come pure che gli individui, a differenza
delle aziende, hanno bisogni personali, ed il loro tenore di vita, soprattutto
se con redditi bassi, aumenta nascondendo ricchezza al fisco. I redditi di-
chiarati dai lavoratori indipendenti, artigiani o piccoli commercianti, ope-
ranti verso consumatori finali sono tuttavia di tutto rispetto, se si considera
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 165

leffettiva attivit del fisco nella determinazione della ricchezza di queste ca-
tegorie. Invece di comprendere che levasione o ladempimento dipendono
dalla visibilit della ricchezza, le spiegazioni attraverso lonest, e la disonest,
hanno lacerato la societ italiana. Il capro espiatorio di tutte le disfunzioni del-
la spesa pubblica, compresa quella riguardante la determinazione dei tributi,
stato individuato nei fantomatici evasori. Si trascurato che nessuno riesce
a sfuggire a tutte le imposte, perch comunque sar tassato come consumato-
re o risparmiatore. Certo, chi trae il suo reddito esclusivamente dalle aziende
tassato in modo particolarmente intenso, perch la tassazione dei consumi si
cumula con quella reddituale.

8.9. Lo scoordinamento tra tassazione ragionieristica attra-


verso le aziende e valutativa attraverso gli uffici tributari.

La tassazione attraverso le aziende ha relativamente poco bisogno di


intervento valutativo degli uffici, che invece essenziale per lautotassa-
zione. Alle aziende non pu quindi essere delegata lintera tassazione, una cui
parte significativa deve invece ancora avvenire attraverso gli uffici, coor-
dinandosi con quella attraverso le aziende, nei modi indicati nel compendio
di diritto tributario.
In Italia, questo coordinamento non avvenuto, verosimilmente per la
scarsa comprensione generale dellazienda, indicata al paragrafo 3.2 e se-
guenti. La tassazione ragionieristica tramite le aziende e quella tradizio-
nalmente valutativa, per ordine di grandezza, svolta dalla pubblica autorit,
sono andate tendenzialmente in ordine sparso, e la seconda, come spiegato nel
compendio di diritto tributario, ha perso sempre pi terreno nei confronti
della prima, lasciando sguarnite intere aree economiche. Questo scoordina-
mento ha provocato equivoci di ogni tipo, recriminazioni reciproche. Ne
sono nati squilibri spontanei, confusioni, disorientamenti, circoli viziosi in
cui si avvitano, senza adeguati punti di riferimento concettuali, le istituzioni
politiche e le classi dirigenti. Lopinione pubblica italiana, tra laltro con la
debolissima formazione economico-politico-sociale cui spesso abbiamo fat-
to riferimento, incapace di spiegarsi le reali ragioni degli squilibri appe-
na indicati. In assenza di un punto di riferimento teorico, di una comunit
scientifica in grado di spiegare il problema, lestro e la capacit immaginativa
che caratterizzano lopinione pubblica italiana sono andati per proprio conto.
Sono quindi nate una molteplicit di diagnosi fatte in casa, di divagazioni, di
suggerimenti totalizzanti, di polemiche, di recriminazioni, talvolta in buona
fede e talaltra strumentali.
166 Compendio di Scienza delle Finanze

Si avvitano varie spiegazioni dellevasione fiscale, per le quali rinvio al par.


4.5 del compendio di tributario. Sono per tentativi di esportare, per imi-
tazione, la determinazione ragionieristica della ricchezza anche dove le
aziende non arrivano. Si tratta del c.d. contrasto di interessi, del reddito-
metro, degli studi di settore, della tracciabilit, della contabilit dei picco-
li artigiani, delle manette agli evasori, di cui ci occupiamo nel compendio
di diritto tributario.
Nessuna di esse ha compreso per, come del testo laccademia del diritto
tributario, che il problema ruota attorno alla determinazione tributaristica
della ricchezza.

8.10. Il disorientamento e le divagazioni sugli effetti delle im-


poste.

Disorientata sul cuore del problema, cio la determinazione della ricchezza


ai fini tributari dove non arrivano le aziende, la pubblica opinione divaga,
in sensi molto diversi e che vedremo pi avanti, sugli effetti delle imposte, cio
i rapporti tra stato e mercato, solidariet e sviluppo, tassazione e qualit
dei servizi pubblici, anche in relazione alle aliquote fiscali.
Queste spiegazioni sono fuorvianti, in quanto divagare sugli effetti eco-
nomici delle imposte dipende dal contenuto dei servizi pubblici, mentre il
problema riguarda la determinazione della ricchezza ai fini tributari. Non sa-
pendosi spiegare, anche per carenze di sistematizzazione da parte degli studiosi
del settore, questo problema relativamente circoscritto, la pubblica opinione
divaga sullatteggiamento ideologico verso i tributi e il modo in cui ammi-
nistrato il settore pubblico. Poi ci sono le divagazioni secondo cui levasio-
ne sarebbe giustificata, col cattivo funzionamento dello stato. Solo che far
mancare risorse alla macchina pubblica non serve a farla funzionare, e disgrega
la societ. Linefficienza nella richiesta delle imposte non si distribuisce uni-
formemente tra ceti sociali, e colpisce di pi quelli tassati attraverso le aziende.
Anche le spiegazioni dellevasione fiscale col livello troppo alto delle ali-
quote, sono fuorvianti: da esse vengono le suggestive proposte di aumentare
il gettito diminuendo le aliquote, che potevano essere anche sensate quando
le imposte giungevano da una azione sistematica degli uffici tributari. La ra-
gionevolezza della richiesta, qui, faceva risparmiare energie amministrative,
che potevano essere usate in modo pi sistematico, mentre al crescere delle
aliquote aumentavano verosimilmente le scuse, i pretesti, gli ostruzionismi.
La tassazione tramite le aziende si basa invece su automatismi ragionieristici,
funzionanti anche con aliquote elevatissime; abbassare le aliquote per tutti
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 167

provoca una perdita di gettito dove arrivano le aziende, e lascia indifferenti i


settori dove le aziende mancano, non sostituite da unazione sufficientemente
sistematica degli uffici tributari.
Altri utilizzano levasione fiscale come un diversivo rispetto allinef-
ficienza della macchina pubblica. un istintivo espediente dialettico con
cui si cerca di trasformare una disfunzione pubblica in una perversione pri-
vata della generica categoria degli evasori; il partito trasversale, istintitivo, della
spesa pubblica improduttivo-clientelare utilizza levasione fiscale come capro
espiatorio del mancato funzionamento delle istituzioni, cio delle proprie stesse
inefficienze. Queste ultime, invece di essere attribuite alla disorganizzazione e
alla deresponsabilizzazione, sono spiegate con la mancanza di fondi. Questultima
viene messa in conto ai perfidi evasori e il gioco fatto.
Anche la disorganizzazione degli uffici tributari nel valutare, in modo
adeguatamente sistematico, la ricchezza non raggiunta dalle aziende, vie-
ne trasformata in una perversione privata dei relativi contribuenti; i quali
invece nel complesso dichiarano cifre credibili, o pi credibili, di quanto
potrebbero, non per onest, ma semplicemente sovrastimando lintervento
potenziale del fisco.
Ma perch gli uffici tributari, pur essendo composti da personale moti-
vato e di primordine, hanno un rendimento concreto minore di tanti altri
uffici pubblici, come quelli dellistruzione, della viabilit, dellambiente,
o della sanit?. Molto dipende dalla tendenza di tutti gli uffici pubblici a
rispecchiare le aspettative e il bagaglio culturale della pubblica opinio-
ne nel settore loro affidato. Al generale disorientamento si aggiunge la
drammatizzazione, indotta dagli appelli alla lotta allevasione, come se
Annibale fosse costantemente alle porte. Sarebbe da chiedersi cosa accadrebbe
se altre funzioni pubbliche, sanitarie, ambientali, educative, stradali, etc., fossero
concepite come altrettante lotte, alle malattie, allignoranza, allimmondizia,
al traffico.. Leffetto sarebbe di spingere listituzione a massimizzare limpatto
di immagine, ed i suoi funzionari ad autoproteggersi da censure, facendo il
massimo risultato di servizio rispetto allo sforzo.
Questa impostazione in termini di lotta rende difficile una serena richie-
sta delle imposte verso alcuni milioni di lavoratori indipendenti che prima
di tutto vogliono solo vivere e lavorare, e la cui criminalizzazione perdente
anche in termini elettorali. Un diversivo di ripiego quindi contestare il
modo in cui le aziende hanno qualificato giuridicamente i redditi dichiarati
o altre vicende comunque alla luce del sole (par. 5.17 e ss. del compendio di
diritto tributario). Questi equivoci e queste lacerazioni sociali disperdono
risorse degli uffici tributari; basta vedere i rendiconti annuali dei controlli per
capire che essi traggono la maggior parte del loro risultato di servizio dalla
168 Compendio di Scienza delle Finanze

reinterpretazione giuridica di vicende palesi, poste in essere dalle organiz-


zazioni aziendali. Queste ultime costituiscono alla fine il capro espiatorio
dei malesseri sociali generati proprio dalla loro utilizzazione come esattori del
fisco. Il gettito dei controlli, derivante da scoperta di ricchezza non registrata
invece molto minore, per le ragioni ampiamente spiegate nel compendio di
diritto tributario (par. 5.7), mentre i rimedi sono indicati in sintesi al prossimo
paragrafo.

8.11. Stima della ricchezza che sfugge alle aziende e intervento


valutativo dei pubblici uffici.

La metodologia ISTAT di stima dellevasione fiscale, cio i 120 mi-


liardi di euro di cui parlano i mezzi di informazione, svolta essenzialmente
in relazione al lavoro non remunerato o sotto remunerato. Ci fa pre-
sumere che ne esista una parte fiscalmente non registrata (c.d. nera). Ne
deriva una ricchezza non registrata fiscalmente, stimata poco meno di 300
miliardi di euro (17 percento del PIL), cui corrispondono i circa 120 mi-
liardi di imposte evase, la gi indicata cifra di cui parlano ordinariamente i
mezzi di informazione. probabilmente una stima inferiore alla realt, in
quanto non intercetta la ricchezza non registrata da chi dichiara imponibili
superiori al livello di sussistenza; una sensazione confermata dal numero
ridottissimo di contribuenti con redditi dichiarati superiori ai centomila
euro, rispetto a quanti hanno un tenore cui associare entrate ben superiori.
comunque metodologicamente scorretto calcolare le imposte perdute
applicando puramente e semplicemente alla stima del sommerso le ali-
quote di imposta. Se molte attivit precarie dovessero pagare le imposte,
puramente e semplicemente chiuderebbero, in quanto non pi convenienti
rispetto allimpegno richiesto, ed anche alle esigenze di vita del titolare;
un aumento di prezzi, connesso al pagamento delle imposte, potrebbe in
parte non essere assorbito dai clienti; ne deriverebbe una reazione a catena
dipendente dalla domanda e dall offerta dei servizi oggetto dellevasione,
nonch dalle loro possibilit organizzative. Comunque, in ultima analisi, sa-
rebbe probabilmente un circolo virtuoso, con una macchina pubblica capace
di stimare la ricchezza, operatori economici pi strutturati, e una opinione
pubblica pi consapevole.
Precisiamo incidentalmente che il calcolo suddetto non include lecono-
mia criminale, basata su furti, estorsioni, corruzioni e truffe, cui non corri-
sponde un reddito, unattivit produttiva di beni in senso economico (par.
1.6); non vi compare neppure leconomia illegale, cui invece corrispon-
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 169

dono materialmente beni economici; pensiamo ad esempio alla prostitu-


zione, alle scommesse clandestine, alla droga, al contrabbando; in questi casi
non si pone comunque un problema tributario, bens di eliminazione o di
regolamentazione, cui seguir in un momento concettualmente successivo
la tassazione.
illusorio pensare che leconomia fiscalmente non registrata possa
emergere in modo ragionieristico. Tuttavia, stimare in modo credibile la ric-
chezza non determinata contabilmente dalle aziende socialmente impor-
tante, non solo in termini di gettito, ma di coesione sociale. A questultima
contribuisce anche la c.d. perequazione tributaria, la quale non impone che
tutti siano tassati con la stessa precisione, indipendentemente dalla determi-
nabilit della ricchezza sottostante. normale che il reddito degli artigiani al
consumo finale sia stimato, e quello degli impiegati derivi, al centesimo, dalla
contabilit del datore di lavoro. Limportante un efficiente compromesso tra
precisione e semplicit, in relazione alle informazioni disponibili sulle varie
forme di ricchezza.
Dove non arrivano le aziende, quindi, la perequazione passa attraverso una
azione valutativa e sufficientemente sistematica degli uffici tributari. La
sistematicit non richiede lintervento su ogni contribuente, ma su un
numero adeguato per indurre la maggior parte di essi a una dichiarazione
credibile; fermo restando che un margine di errore, su questi redditi stimati,
rimarr sempre, e sar al ribasso; una specie di adattamento, alla stima della
ricchezza, del principio penalistico in dubio pro reo, secondo cui preferibile
tenersi un po pi bassi, rischiando di non tassare parte della ricchezza esi-
stente, piuttosto che tassarne una fittizia. Nellambito delle determinazioni
verosimili, sono preferibili quelle moderatamente al ribasso, ma la verosimi-
glianza socialmente necessaria. Per questo serve una presenza amministra-
tiva per tenere sotto controllo lordine di grandezza del dichiarato, alla luce
delle caratteristiche dellattivit. Questo monitoraggio del territorio non ser-
ve ad accertare i redditi di tutti i contribuenti visitati, ma a indurre a dichia-
razioni credibili; gli accertamenti veri e propri possono essere riservati ai
contribuenti pi ostinati in dichiarazioni palesemente non verosimili. Se alla
quotidiana attivit di comunicazione mediatica (lotta allevasione in
televisione) si affiancasse anche questo intervento concreto, lo squilibrio tra
tassazione attraverso le aziende e attraverso gli uffici rientrerebbe nei livelli
di guardia degli altri paesi; allestero, infatti, la questione molto pi sdram-
matizzata e serenamente gestita. un aspetto di quel rilancio della macchina
pubblica, da effettuare (sul fisco come su tutto il resto) senza nuove leggi, ma
con assunzione di responsabilit, serenit, capacit di valutazione, spirito di
iniziativa, di servizio e buonsenso.
170 Compendio di Scienza delle Finanze

8.12. Pressione fiscale e c.d. redistribuzione.

Alcune espressioni, frequenti e spesso usate impropriamente nelle discus-


sioni sui tributi, richiamano concetti importanti della scienza delle finan-
ze e del governo delleconomia pubblica.
Iniziamo dalla c.d. pressione fiscale che un dato contabile e ma-
croeconomico preciso, senza nulla a che vedere con lincidenza del fisco su
specifici individui tipo; la pressione fiscale non esprime insomma il peso
del fisco sulla famiglia media con certe abitudini e standard di consumi.
La pressione fiscale semplicemente un rapporto numerico tra entrate
pubbliche, tributarie e contributive, rispetto al PIL (par. 7.1). Se eliminiamo
le entrate contributive, lasciando solo quelle tributarie abbiamo la pressio-
ne tributaria. Questo rapporto macroeconomico tra due grandezze (am-
montare dei tributi e PIL) esprime la percentuale di ricchezza nazionale
assorbita dai tributi, e quindi dallintervento pubblico. anche uno
strumento per valutare la presenza dello stato nelleconomia, il rapporto tra
stato e mercato, consumi privati e consumi pubblici.
Questo rapporto non fornisce indicazioni sulla qualit e quantit dei
servizi pubblici sottostanti, e quindi sul funzionamento della macchina
pubblica.
La pressione fiscale, negli ultimi anni allincirca del 43 percento non indica
neppure la distribuzione del carico tributario tra le varie categorie di
contribuenti; pu accadere quindi che una pressione fiscale sia complessiva-
mente bassa, ma squilibrata su pochi contribuenti, e giustamente, per essi, in-
tollerabile. Anche il riequilibrio delle sperequazioni tra ricchezza tassata e non
tassata, i recuperi di evasione fiscale, portano ad un aumento della pressione
fiscale, come rapporto numerico.
Invece di usare laumento della pressione fiscale come argomento contro le
razionalizzazioni, o persino il recupero dellevasione, si pu fare appello a un
riequilibrio; la formula del pagare meno pagare tutti frequentemente
utilizzata come slogan di perequazione fiscale. Le tariffe, ed anche le tasse in
senso stretto, cio le pubbliche entrate pervase dal c.d. principio del bene-
ficio (paragrafo 8.4) non entrano a formare la pressione fiscale, data solo da
imposte e contributi, perch ispirate gi a criteri pi di mercato.
Pi denso di implicazioni politiche invece un altro profilo molto trattato
dagli economisti, cio la redistribuzione della ricchezza attraverso i tributi.
Se la ricchezza dipende dallattivit umana, come indicato al par. 4.2, e non
unentit oggettiva da spartire, anche la redistribuzione pu essere inqua-
drata meglio. Innanzitutto riferendola ai redditi, anzich alla ricchezza, che
un loro effetto, come visto al par. 8.5. Se quindi il reddito di ognuno fosse
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 171

proporzionale a quanto egli stesso produce, la redistribuzione servirebbe solo


per assistere chi non pu esprimere le proprie potenzialit per circostanze
sfortunate; tra queste anche linsufficienza del reddito da lavoro a consentire
una esistenza dignitosa. Ci non dipende per dalla cattiveria di qualcu-
no, ma dalla disorganizzazione e dal restringimento della base produttiva,
come quello indicato per la globalizzazione al par. 7.11. In questo caso tutti
stanno peggio, ed anche se qualcuno mantiene una posizione relativamente
migliore, farlo stare peggio non migliorerebbe la posizione dei tanti che se la
passano male. Anche se i ricchi stanno molto meglio dei poveri, le statistiche
ci dicono che sono molto meno numerosi: quindi ridurre sul lastrico i primi
non darebbe abbastanza risorse per far stare meglio i secondi, come dimostra-
no tutte le grandi espropriazioni e requisizioni della storia. Nessuno infatti
seriamente propone la redistribuzione come eguaglianza al ribasso, dove
tutti stanno peggio di prima, ma tutti stanno male nello stesso modo ( la c.d.
uguaglianza nella povert).
La solidariet, come risposta alla povert, un apprezzabile slancio
individuale, ma non un rimedio per il problema economico generale, cui
si risponde invece con produttivit e organizzazione. A questo punto si
pu anche redistribuire, purch si produca. Anche lassistenza richiede una
organizzazione amministrativa efficiente, in grado di scegliere, altrimenti an-
che la solidariet si trasforma in chiacchiere e retorica. Assistere vuol dire
saper gestire sussidi, edilizia popolare, mense, ricoveri, cure mediche,
offerte di lavoro ed incentivi alla loro accettazione. Insomma, redistribuire
non significa spartire una imprecisata torta, ma organizzare e valutare
mescolando iniziativa, disciplina, entusiasmo, in modo non molto diverso
da quello dei tanto vituperati capitalisti di cui al par. 3.13. Altrimenti le
imposte pagate dal settore produttivo sono destinate a mantenere legioni di
impiegati pubblici ipergarantiti e remunerati pi della classe operaia privata,
mentre fuori aumentano i disoccupati. Come si vede uno scenario com-
plesso, dove bisogna evitare vari equivoci come quello secondo cui i primi
1000 soggetti pi ricchi possiedono quanto gli ultimi 10 milioni di poveri.
Il confronto ha un trucco come quello che trascura lautoconsumo nel
PIL (par. 7.2), e qui non si avvede che la ricchezza dei pi ricchi contiene
elementi immateriali e intangibili; penso allavviamento delle aziende, cio
un bene comune, non monetizzabile, ma condivisibile, nei termini indi-
cati al capitolo terzo.
Se quindi la distribuzione del reddito segue meriti condivisi, e c mo-
bilit sociale (paragrafi 2.8 e 3.14-3.15), si evitano tensioni tra ceti, in un
concetto di eguaglianza che non vuol dire appiattimento, ma condivisione di
una organizzazione sociale, sia pure con ruoli diversi.
172 Compendio di Scienza delle Finanze

8.13. Riflessi tributari del federalismo fiscale.

Gli enti locali sono vicini ai cittadini, e per questo oggi sono ottimi ero-
gatori di spese, anche secondo il principio di sussidiariet di cui al par.
4.13. Prima della tassazione attraverso le aziende, gli enti locali erano anche
ottimi acquisitori di imposte, per gli stessi motivi; i loro uffici tributari
potevano infatti fare leva sulle relazioni di vicinato, sulla conoscenza re-
ciproca dei rispettivi tenori di vita, sulla contiguit alle attivit economiche
radicate al territorio, per stimare la ricchezza ai fini tributari. Nella storia della
tassazione ci sono state addirittura alcune fasi in cui, anzich i trasferimenti
dallo stato agli enti locali, descritti al paragrafo 6.3, il flusso di gettito muoveva
dalla periferia al centro, con le comunit locali che acquisivano risorse, da
trasferire al potere centrale, ad esempio per finanziarie campagne militari.
Il ruolo tributario degli enti locali stato spiazzato dalla tassazione
attraverso le aziende (sopra par. 8.7), che ha messo in crisi la valutazione della
ricchezza da parte degli uffici, innescando lequivoco dellautotassazione (par.
8.8). Il pi comodo interlocutore delle aziende, come esattori dei tributi
per conto del fisco, erano le istituzioni centrali statali, mentre lintervento
degli enti locali era un elemento di complicazione. Come gi osservato al
paragrafo 6.2, la tassazione attraverso le aziende, in tutti i paesi, ostacola la
coincidenza tra spese e entrate locali, perch asseconda la ritrosia degli enti
locali, soprattutto sul piano del consenso politico, a presentarsi come acquisi-
tori di tributi, scaricando questo ruolo impopolare sullo stato centrale, e
presentandosi col volto benefico degli erogatori di spesa (finanziata mediante
trasferimenti statali, a loro volta finanziati con le imposte, con le deresponsabi-
lizzazioni indicate al par. 6.2).
La stessa espressione federalismo fiscale nata nel contesto statuniten-
se, dove federale vuol dire centrale, come ricorda la stessa espressione di
polizia federale. La necessit di finanziare spesso la spesa locale con tributi
centrali (appunto federali), veniva presentata negli USA come una contin-
gente disfunzione, da contrastare; essa divenne invece la regola in Italia, dove la
spesa locale fu prevalentemente finanziata da trasferimenti statali, con ulteriori
effetti deresponsabilizzanti, gi indicati al par. 6.2.
Ai comuni rimasero inoltre imposte difficili da gestire, in quanto relative
a un gran numero di contribuenti, ciascuno generalmente debitore di piccole
cifre; si pensi alle imposte immobiliari, alla tassa di possesso veicoli. Per questo
gli enti locali hanno utilizzato il veicolo dei tributi statali per imporvi del-
le addizionali, soprattutto allirpef, ovvero determinazioni della ricchezza
molto simili a quelle dei tributi statali come per limposta regionale Irap, su
cui rinvio al compendio di tributario. La crisi della tassazione locale riflette la
CAPITOLO VIII IL FINANZIAMENTO DELLINTERVENTO PUBBLICO 173

pi generale difficolt di integrare la vecchia richiesta valutativa delle imposte


attraverso gli uffici pubblici con quella contabile attraverso le aziende, e la
difficolt di portare i tributi dove queste ultime non arrivano.
Lintervento degli enti locali andrebbe invece recuperato, e valorizzato,
nel quadro del generale rilancio della tassazione attraverso gli uffici (sopra par.
8.11), sulla ricchezza dove le aziende non arrivano; a tal fine infatti impor-
tante la maggiore vicinanza agli individui delle comunit locali. Il ruolo degli
enti locali importante, se non esclusivo, nella tassazione diffusa, senza il
tramite delle aziende, dove occorre una presenza sistematica sul territorio.
In questo quadro dovrebbe inserirsi il decentramento a livello comunale del
catasto, attualmente gestito dallagenzia delle entrate: se la fiscalit immobiliare
devessere la prima fonte di finanziamento dei comuni, logico attribuire loro
anche il monitoraggio dei cespiti imponibili. Finch per la tassazione non
sar rasserenata politicamente, dalla comprensione e spiegazione dellopinione
pubblica (par. 5.4 ss.) sar un motivo di polemiche, da cui gli enti locali cer-
cheranno di stare lontani il pi possibile.

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