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OSSERVATORIO REGIONALE PER LINTEGRAZIONE E LA

MULTIETNICITA
2. IMMIGRATI E MERCATO DEL LAVORO IN LOMBARDIA
di Francesco Marcaletti

Nel corso del decennio e oltre che ha accompagnato le attivit dellOsservatorio


Regionale sullintegrazione e la multietnicit (ORIM), il tema del lavoro degli
immigrati provenienti da paesi a forte pressione migratoria stato fatto oggetto di
unintensa attivit di indagine. Se ne sono pertanto analizzate le caratteristiche
distintive, sia sul fronte dellofferta, sia in particolare su quello dellespressione dei
fabbisogni professionali da parte di datori di lavoro interessati ad assumere
manodopera dimportazione. Si sono altres indagati i principali meccanismi di
incorporazione di tale manodopera immigrata nelle maglie dei mercati del lavoro
locali della Lombardia.

2.1. Le survey dellOsservatorio regionale

Oltre dieci anni di indagini ORIM hanno consentito di aprire una finestra importante
sul lavoro immigrato e sulle dinamiche di incorporazione dello stesso in un sistema
economico complesso quale quello lombardo. In particolare, oltre a chiarire in via
definitiva la caratterizzazione della presenza straniera quale fenomeno strutturale
delleconomia regionale, le rilevazioni periodiche sono servite per indagare la
condizione lavorativa degli immigrati in rapporto alle principali variabili socio-
demografiche e alle caratteristiche dei mercati del lavoro locali e quindi osservarne
levoluzione nel corso del tempo. Si cos giunti alla individuazione e allanalisi di
alcuni fenomeni certamente rilevanti. La prima tendenza significativa che si colta
il progressivo ampliamento della base occupazionale immigrata, a testimonianza
della forte capacit di assorbimento di manodopera straniera da parte del sistema
lombardo. Nel decennio, la crescita sostanziale cui andata incontro la popolazione
straniera si infatti combinata con una sostanziale costanza dei relativi livelli
occupazionali. La condizione lavorativa poi mutata significativamente anche per
quanto concerne la tipologia oraria e contrattuale. Si ampliata la quota di lavoro
standard, a tempo indeterminato e orario pieno, anche se va ricordato come negli anni
pi recenti si sia assistito soprattutto allo sviluppo di altre tipologie di impiego quali
il part-time e il tempo determinato, il lavoro autonomo e le attivit imprenditoriali.
Stabile risulta, invece, limpiego parasubordinato, che continua a interessare una
parte residuale del campione in esame. Uno scenario segnato, quindi, dalla graduale
stabilizzazione del lavoro immigrato.
Il secondo fenomeno di interesse la diversa rilevanza di variabili strutturali quali il
genere e let sulla condizione occupazionale. Procedendo per punti, forti sono,
innanzitutto, le disparit di genere. Gli uomini presentano elevati tassi di attivit,
sostenuti da livelli di occupazione regolare pi consistenti, da una maggiore
propensione al lavoro autonomo e alla imprenditorialit. Di contro, le donne scontano
un evidente e molteplice svantaggio di genere in quanto, accanto a volumi di

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partecipazione decisamente pi ridotti, rivelano una maggiore esposizione alla
disoccupazione come pure allimpiego irregolare. Per quanto concerne, poi, let, si
nota un nuovo ed evidente parallelo tra gli stranieri e gli autoctoni, se vero che in
entrambi gli aggregati fenomeni quali la partecipazione al mercato del lavoro, la
disoccupazione, lirregolarit del lavoro, loccupazione in proprio risentono allo
stesso modo della fase del corso di vita attraversata. Oltre a incidere sulla condizione
di inattivit, let rivela un forte potere predittivo sulla probabilit di essere alla
ricerca di un impiego. Il tasso di disoccupazione presenta infatti un andamento a U:
si attesta su livelli elevati tra i giovani, si riduce nelle classi centrali per poi
riprendere a crescere tra gli over 45. Evidenziata limportanza delle principali
variabili strutturali, le indagini ORIM hanno inoltre segnalato che i fattori che pi
incidono sulla condizione lavorativa degli stranieri sono, in ogni modo, il periodo di
tempo trascorso in Italia e il titolo di soggiorno. Il potere esplicativo del titolo di
studio non pare, di contro, essere forte. Piuttosto, in tutte le indagini annuali, si
messo in luce come lanzianit migratoria abbia un forte potere predittivo sulla
situazione occupazionale; pi nello specifico, sulla possibilit di essere alla ricerca di
lavoro, di avere unoccupazione regolare oppure di svolgere un lavoro in proprio, ma
anche di percepire una retribuzione pi elevata. Nel complesso, pur in mancanza di
dati longitudinali, da queste informazioni possibile identificare un idealtipo di
carriera lavorativa degli immigrati. Essa si articola in una fase di inserimento per
alcuni preceduta da un iniziale periodo di disoccupazione mediante limpiego
irregolare; seguono dapprima lo stadio della stabilizzazione, di norma concomitante
con lacquisizione del titolo di soggiorno, e quindi il consolidamento, che si sostanzia
in un numero discreto di casi nel passaggio ad attivit autonome o imprenditoriali ma
anche nella mobilit verso le professioni operaie specializzate.
La lettura della condizione lavorativa pu essere arricchita grazie
allapprofondimento sulle professioni svolte. A questo proposito va detto che le
informazioni raccolte dallOsservatorio Regionale hanno consentito di individuare le
principali tipologie di impieghi in cui si concentra la manodopera straniera, facendo
cos emergere evidenti situazioni di segregazione professionale che in gran parte
danno esito a probabili fenomeni di etnicizzazione, vale a dire di colonizzazione di
determinate mansioni da parte degli stranieri. Le mansioni maggiormente diffuse tra
gli stranieri sono quelle dequalificate, che non richiedono competenze particolari, e
che sono abbinate a condizioni di lavoro certamente pi svantaggiate. Sul tipo di
lavoro svolto non influisce in modo rilevante il titolo di studio posseduto, con ci
confermando la tendenza diffusa alla dequalificazione e dispersione del capitale
umano in possesso degli immigrati. Da ultimo, il fenomeno forse pi interessante che
le indagini ORIM hanno consentito di chiarire comunque la netta incidenza della
nazionalit sulla condizione lavorativa e professionale; una incidenza che sembra
mantenersi inalterata, se non addirittura fortificarsi, con il passare degli anni. Se
fissiamo il focus di indagine sulle principali nazionalit presenti nella regione, ci
accorgiamo, infatti, dellesistenza di forti disparit nei modelli occupazionali. Il
gruppo caratterizzato dal livello pi elevato di occupabilit sono i filippini.
Viceversa, chi risulta pi esposto alla disoccupazione sono i romeni, i quali si
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segnalano, inoltre, per il forte coinvolgimento nellarea del lavoro irregolare. Sul
versante delle professioni, la messa a tema della variabile cittadinanza rende evidente
quella che stata definita la specializzazione etnica, vale a dire la tendenza in base
alla quale i principali ambiti professionali in cui si concentra loccupazione straniera
sono a loro volta fortemente connotati dalla presenza di nazionalit specifiche. Tra gli
uomini cos per ledilizia, in cui lavorano quasi la met degli albanesi e dei romeni
e un terzo degli egiziani, e per il comparto della ristorazione, a forte presenza
egiziana e cinese.

2.2. Le tematiche approfondite

La prima indagine monografica [cf. Focus 2.1, Sostenere il lavoro] ha preso avvio
sulla scorta delle acquisizioni empiriche in materia di inserimento e progressione
professionale degli stranieri nel sistema economico lombardo.

Focus 2.1: Sostenere il lavoro. Le attivit dei Centri per l'Impiego a favore dei
lavoratori extra-comunitari

Il volume Sostenere il lavoro. Le attivit dei Centri per l'Impiego a favore dei
lavoratori extra-comunitari (Rapporto 2001, Fondazione ISMU ORIM, Milano,
2002) affronta in modo pionieristico il tema dei servizi per limpiego rivolti
allutenza straniera.
I dati di fonte istituzionale e le analisi empiriche riconoscono nella manodopera
dimportazione una risorsa ormai indispensabile per il funzionamento del sistema
produttivo lombardo, sia per controbilanciare fenomeni diffusi di mismatch tra
domanda e offerta di lavoro, sia per ridimensionare gli effetti della riduzione delle
forze di lavoro dovuti agli andamenti demografici. In questo scenario, la Lombardia
si conferma la regione al vertice della graduatoria nazionale per numero di
avviamenti al lavoro e concentra a inizio decennio quasi il 40% del totale nazionale
di assunzioni previste di stranieri da adibire a professioni scientifiche, intellettuali e
di elevata specializzazione. Per altro verso, vi ormai sufficiente consapevolezza di
come linserimento lavorativo della manodopera straniera nel sistema produttivo
lombardo rispecchi, in termini generali, il modello dellinclusione subordinata,
evidenziando processi di discriminazione dei lavoratori stranieri, segregazione in un
numero limitato di settori e professioni, dequalificazione della manodopera straniera
istruita. A questi fenomeni concorrono tanto le rappresentazioni condivise sul ruolo
del lavoro immigrato, quanto le modalit di incontro tra la domanda che proviene
dalle imprese e dalle famiglie lombarde e lofferta straniera, per lo pi informali e
mediate da connazionali e organismi pro-immigrati, con leffetto di alimentare
fenomeni di discriminazione statistica, pre-categorizzazione su base etnica,
stigmatizzazione negativa di talune componenti della popolazione straniera. Si tratta
di fenomeni che non solo pregiudicano le condizioni e le prospettive professionali dei
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lavoratori e delle lavoratrici stranieri, ma che in ultima analisi compromettono
anche il corretto funzionamento del mercato del lavoro. Va da s che i servizi per
limpiego costituiscono, allinterno di questo quadro, un attore cruciale per diverse
ragioni: rappresentano una delle risorse strategiche per prevenire e combattere i
fenomeni di discriminazione degli immigrati; dal loro funzionamento dipende la
possibilit di tenere sotto controllo i rischi di concorrenzialit tra le fasce pi deboli
della manodopera autoctona e straniera; spesso gli operatori dei centri individuano
nellofferta straniera una soluzione per far fronte alle difficolt di reclutamento
denunciate dalle imprese lombarde. Alla luce di questo quadro, nonch dei processi
di riforma e modernizzazione dei servizi per limpiego, la ricerca svolta si posta
lobiettivo di descrivere orientamenti e attivit dei centri per limpiego lombardi in
relazione allutenza extra-comunitara. Lobiettivo stato altres quello di individuare
le esperienze pi interessanti e, a partire da queste, individuare direttrici di azione per
il futuro. Lanalisi condotta conferma come limmigrazione agisca in funzione di
cartina di tornasole nel mettere in luce il grado effettivo di attuazione del nuovo
assetto dei servizi pubblici per limpiego. Va rammentato, innanzitutto, come la
Lombardia sia una delle regioni pi avanzate: sostanzialmente tutti i centri hanno
realizzato una ristrutturazione organizzativa, linformatizzazione e la riallocazione
delle nuove funzioni del personale trasferito dallamministrazione statale. Tuttavia,
anche in questo contesto, permangono alcuni punti di debolezza da colmare.
Innanzitutto in merito al numero e alla preparazione degli operatori: lorganico
numericamente insufficiente cos come il bagaglio di competenze di cui gli operatori
dispongono. Emerge chiaramente la necessit di attivare percorsi di formazione
specifici per supportarli nel servizio allutenza immigrata. Il fatto che non siano state
individuate iniziative formative su questi temi non significa tuttavia che i centri siano
rimasti indifferenti di fronte ai bisogni dellutenza immigrata. Anzi, non stato raro
osservare atteggiamenti di empatia nei suoi confronti che ha spesso indotto a
sconfinare anche dai compiti istituzionali. Ancora, gli immigrati sembrano approdare
ai centri non come destinatari di interventi specifici ma come utenti di servizi
ordinari. Una questione che resta aperta allora quella relativa alla capacit dei centri
per limpiego di svolgere unazione di contrasto ai fenomeni di discriminazione e
segregazione su base etnica. La ricerca restituisce limmagine di un attore non del
tutto impotente in questo senso, ma certamente non pienamente consapevole del
proprio ruolo. Lesercizio della funzione di intermediazione finisce spesso col
riprodurre le specializzazioni etniche e anche i percorsi di mobilit affidati agli
investimenti in formazione avvalorano la tesi che gli immigrati siano adatti a svolgere
soprattutto alcuni mestieri. Per concludere, lindagine non ha consentito di
individuare vere e proprie buone pratiche, e tuttavia ha permesso di formulare alcune
indicazioni operative per rafforzare il ruolo dei centri per limpiego. In particolare,
possono evidenziarsi una serie di priorit di azione, tra le quali: a) ricollegare la loro
azione al complesso delle politiche per limpiego; b) coniugare universalismo e
specificit dellintervento; c) investire nelle risorse umane; d) promuovere i centri per
limpiego; e) rafforzare i rapporti con le imprese; f) rafforzare i rapporti con le
istituzioni e con gli attori del privato-sociale; g) migliorare le metodologie nel campo
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del bilancio di competenze; h) realizzare unindagine sugli stranieri disoccupati; i)
realizzare uno studio fattibilit sul tema dei servizi alle famiglie; l) capitalizzare le
migliori prassi internazionali.

Allanalisi delle caratteristiche dei disoccupati non comunitari ha contribuito anche


lazione di ricerca intrapresa nellambito del progetto Ricerca Intervento finalizzata
alla conoscenza delle caratteristiche dei cittadini non comunitari iscritti alle liste di
disoccupazione in Lombardia e alla sperimentazione di nuovi servizi al lavoro per
linserimento e reinserimento lavorativo [cf. Focus 2.2], inserito allinterno di un
accordo di programma tra il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e la Regione
Lombardia, con lobiettivo di sperimentare azioni innovative per lottimizzazione dei
processi di inserimento lavorativo dei cittadini stranieri non comunitari.

Focus 2.2: L'occupazione possibile. Percorsi tra lavoro e non lavoro e servizi per
linserimento lavorativo dei cittadini non comunitari

Il progetto, il cui report finale pubblicato nel volume Loccupazione possibile.


Percorsi tra lavoro e non lavoro e servizi per linserimento lavorativo dei cittadini non
comunitari, curato da M. Colasanto (Milano, 2004), ha visto coinvolti in partenariato
lAgenzia Regionale per il Lavoro della Lombardia, la Fondazione ISMU, la
Provincia di Lecco con il Network Lecco Lavoro e la Provincia di Varese, Settore
Lavoro, Formazione Professionale e Istruzione. Lazione nasce dalla volont di
rispondere allesigenza espressa da una molteplicit di attori locali, istituzionali e
non, di sperimentare azioni innovative volte alla razionalizzazione e ottimizzazione
dei processi di inserimento sociale e lavorativo dei cittadini stranieri immigrati.
Lattivit di ricerca ha avuto lobiettivo chiave di analizzare le caratteristiche dei
disoccupati non comunitari presenti sui territori su cui si sono concentrati gli
interventi.
Il progetto stato avviato nellottobre 2002, inserendosi dunque in un contesto di
evoluzione del quadro normativo e istituzionale delle politiche del lavoro in Italia
nonch della normativa sullimmigrazione, con lentrata in vigore della Legge n. 189
del 2002 intitolata Modifica della normativa in materia di immigrazione ed asilo,
meglio nota come Legge Bossi-Fini. Un contesto caratterizzato, dunque, da
pressioni contraddittorie: da un lato la richiesta, da parte delle associazioni
imprenditoriali, di una politica migratoria meno restrittiva e pi attenta al
soddisfacimento dei bisogni delle imprese per le quali limmigrazione ormai
divenuta una risorsa indispensabile (non solo per assicurare la crescita dei volumi
produttivi ma anche per la tenuta della stessa occupazione autoctona); dallaltro la
preoccupazione per il numero, in continua crescita, di lavoratori stranieri
formalmente in stato di disoccupazione.
La ricerca svolta ha il merito di aver fatto luce proprio sul fenomeno della
disoccupazione degli immigrati. Non si trattato infatti di una ricognizione sulle
caratteristiche e peculiarit del lavoro immigrato, quanto su quella parte di stranieri
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che ha fallito il proprio progetto di inclusione lavorativa, mettendo al contempo in
luce le nuove disuguaglianze che prendono forma dalla trasformazione dei processi
produttivi e dei regimi di regolazione che hanno segnato il passaggio al post-fordismo
delle nostre economie e societ. Per descrivere questo processo di consolidamento di
nuove disuguaglianze stata forgiata lespressione di mercato parallelo. Si tratta di
un mercato caratterizzato dalletnicizzazione dei rapporti dimpiego, esito di un
sistema di regolazione micro-sociale ma anche della preferenza verso gli immigrati
che si manifesta ed esprime solo in alcune aree occupazionali; condizioni di lavoro e
retributive svantaggiose insieme alla marcata discontinuit delle carriere lavorative
sono altre caratteristiche di tale mercato che fanno leva sul bisogno di lavorare degli
immigrati. La nascita e il consolidamento di un siffatto mercato in Italia si sono
potute giovare della condizione di vulnerabilit che contraddistingue i migranti
temporanei e della tendenza alla flessibilizzazione dei rapporti dimpiego che spesso
conduce alla precarizzazione. Ancora, componente centrale di questo mercato
parallelo il sistema di cooptazione e gestione del personale che combina consolidate
modalit di reclutamento, come il caporalato, con nuove soluzioni contrattuali
introdotte dai provvedimenti di riforma del mercato del lavoro, dando origine a un
modello di utilizzo del lavoro immigrato che ne esaspera la dimensione funzionale. Si
spiega in questo modo quanto emerso dai racconti degli stranieri coinvolti nelle
interviste che hanno raccolto le loro storie di vita: il ricorso a manodopera
dimportazione divenuto, per un certo segmento della domanda di lavoro,
unopzione privilegiata e non pi una soluzione di ripiego che consente di
risparmiare sui costi. Nel consolidarsi di queste dinamiche, a emergere il ruolo di
alcuni attori che agiscono come intermediari nel mercato del lavoro e che
contribuiscono al consolidamento delle specializzazioni etniche e alla perpetuazione
degli stereotipi in ordine al ruolo degli immigrati provenienti da paesi a forte
pressione migratoria nel mercato del lavoro italiano. Sul lato dellofferta di lavoro,
non si pu trascurare un problema che rafforza la nozione di mercato parallelo: la
volontariet, emersa anche dallindagine realizzata, di permanere nellambito di
attivit informali e/o irregolari che consentono lo svolgimento di pi lavori e quindi
una pi forte capacit di percepire reddito immediato. Due sono le conseguenze
principali della dinamica descritta: da un lato la discontinuit occupazionale che nel
caso degli immigrati rischia di mettere a repentaglio la stessa conservazione dello
status di regolare; dallaltro il prodursi di un effetto di concorrenza sleale che
determina il peggioramento delle condizioni di lavoro e retributive dei mestieri da
immigrati, ai danni delle fasce pi deboli della componente autoctona. I migranti
diventano, loro malgrado, gli strumenti attraverso i quali si amplia larea dei lavori
poco tutelati e matura il rischio di una frattura tra la societ e le sue componenti pi
vulnerabili, siano i migranti stessi o gli autoctoni. Queste considerazioni consentono
di compiere passi avanti anche nella spiegazione del fenomeno della disoccupazione
immigrata. Esiste, in primo luogo, una disoccupazione determinata dallirregolarit
delle condizioni di soggiorno, fenomeno che si contrae in occasione delle
regolarizzazioni periodiche, per poi rifiorire nel tempo. La ricerca conferma come,
per gli immigrati, lingresso al di fuori del sistema delle quote rappresenti una prassi
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considerata normale, la cui possibilit vista come fattore di discriminazione positiva
nella scelta del nostro paese in rapporto ad altri. Proprio questa percezione di un pi
facile ingresso e permanenza irregolari costituisce una delle cause, probabilmente
sottovalutata, dellaumento della disoccupazione immigrata. Gli ingressi irregolari,
infatti, non giovano agli immigrati gi presenti, riducendone le chance occupazionali
e la forza contrattuale. In secondo luogo, emerge una disoccupazione che testimonia
il processo di stabilizzazione delle comunit immigrate e che ha tendenzialmente
carattere di volontariet. Riguarda coloro che, emancipatisi dal bisogno economico
estremo, ambiscono a una collocazione che consenta di sottrarsi al rischio di rapporti
di impiego definibili come mercato parallelo. Si tratta, tuttavia, di una disoccupazione
che al momento in cui stata svolta lindagine riguardava soprattutto le donne con
responsabilit famigliari, che ricercano senza successo lavori conciliabili. Infine, vi
una disoccupazione determinata dalla discontinuit delle carriere professionali dei
migranti, esito di due fattori: il quadro legislativo e le strategie della domanda di
lavoro. Con quadro legislativo si fa riferimento alla combinazione tra la normativa
che regola ingresso e permanenza degli stranieri in Italia e levoluzione delle prassi
che regolano il mercato del lavoro, dove proliferano rapporti atipici e discontinui.
Riguardo alle strategie della domanda di lavoro, si ribadisce la preoccupante
diffusione di strategie di flessibilit difensiva che contribuisce ad allargare larea
della cattiva occupazione, decisamente subita dagli immigrati.

La seconda indagine [cf. Focus 2.3] condotta nel corso del 2004 ha invece ripreso e
approfondito specificamente i percorsi di inserimento professionale dei lavoratori
immigrati e il loro rapporto con la forza lavoro autoctona.

Focus 2.3: Complementare, sostitutivo, discriminato? Il lavoro immigrato in


Lombardia tra programmazione dei flussi e funzionamento del mercato del lavoro

Paradossalmente, proprio nel momento in cui il tema della programmazione dei flussi
sembrava aver fatto un passo indietro nellagenda politica, nonostante il compito
implicitamente securizzante assegnato a essa, la portata sotto il profilo quantitativo
della regolarizzazione prodottasi tra il 2002 e il 2003 con le sue 700mila domande
in tutta lItalia stata la prova a contrario della inadeguatezza della politica dei
flussi e della necessit di un suo ripensamento. A premere nella direzione di tale
ripensamento e a insistere in particolare sulla necessit di una revisione al rialzo delle
quote sono soprattutto le imprese, che ritengono di poter colmare in questo modo lo
shortage di manodopera che le affligge: segno di una interpretazione funzionalistica
del lavoro immigrato, chiamato a rispondere a una domanda altrimenti destinata a
restare insoddisfatta. La riflessione sulla politica dei flussi e sui modelli di
incorporazione che i vincoli normativi e istituzionali inevitabilmente disegnano,
necessita pertanto di essere ulteriormente approfondita. Da qui discende il disegno
della ricerca condotta nellambito degli approfondimenti annuali promossi
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dallORIM e pubblicata nel volume Complementare, sostitutivo, discriminato? Il
lavoro immigrato in Lombardia tra programmazione dei flussi e funzionamento del
mercato del lavoro (a cura di M. Colasanto e R. Lodigiani, Rapporto 2004,
Fondazione ISMU ORIM, Milano, 2005). Unindagine sostenuta dallemergere di
alcune necessit: in primo luogo, affinare gli strumenti previsti al fine di leggere
correttamente la domanda di lavoro delle imprese e pervenire a stime realistiche per
la programmazione delle quote; in secondo luogo, analizzare pi in profondit i
modelli di incorporazione della manodopera straniera nel mercato del lavoro del
territorio, tenendo presente le diversit che lo caratterizzano sotto il profilo
economico-produttivo, al fine di entrare pi in profondit nelle dinamiche di incontro
tra domanda e offerta di lavoro immigrato; infine, approfondire la riflessione in
merito alla questione della complementarit/concorrenzialit tra manodopera
straniera e manodopera autoctona. Dallo studio emerge infatti uno scenario
complesso, nel quale lipotesi della complementarit del lavoro immigrato viene
declinata a seconda dei settori, delle professioni e dei mercati locali del lavoro. Una
complementarit che si struttura grazie al perdurare di alcuni meccanismi di
funzionamento del mercato del lavoro e di incontro tra domanda e offerta che
caratterizzano lincorporazione degli immigrati nella nostra economia, come rilevato
pi volte sulle pagine dei rapporti annuali dellOsservatorio Regionale. Ci riferiamo
in particolare ai fenomeni evidenziati in letteratura: discriminazione dei lavoratori
stranieri, loro segregazione in un numero limitato di settori e professioni (specie per
quel che riguarda la componente femminile dellimmigrazione), dequalificazione
della manodopera pi istruita. A questi fenomeni concorrono, come ormai noto, tanto
le rappresentazioni condivise sul ruolo del lavoro immigrato (la tendenza cio a
ritenere che esso debba servire unicamente a ricoprire i posti di lavoro che gli
autoctoni non vogliono o non sono in numero sufficiente a svolgere), quanto le
modalit di incontro tra la domanda che proviene dalle imprese e dalle famiglie e
lofferta straniera. Queste sono modalit per lo pi informali e mediate dalle reti
etniche o da istituzioni e organismi del privato sociale che si occupano di immigrati
(pur non facendo dellincontro tra domanda e offerta di lavoro la propria mission), le
quali finiscono con lalimentare i fenomeni di discriminazione statistica, pre-
categorizzazione su base etnica, stigmatizzazione di talune componenti della
popolazione straniera. Si tratta di fenomeni che non solo pregiudicano le condizioni e
le prospettive professionali degli immigrati, ma che, in ultima analisi, compromettono
anche il corretto funzionamento del mercato del lavoro, rafforzandone la
segmentazione e alimentando i rischi di concorrenzialit con le fasce pi deboli
dellofferta autoctona. Gli esiti delle analisi condotte hanno consentito di costruire
una matrice che suddivide lorientamento della domanda nei confronti del lavoro
immigrato in quattro modalit, che vanno dalla complementarit alla sostituzione
(quando un elevato orientamento allassunzione di lavoro immigrato si associa a una
difficolt decrescente di reperimento delle figure ricercate dalle imprese), e dalla
selettivit allindifferenza (quando un basso orientamento allassunzione di lavoro
immigrato si associa a una difficolt decrescente di reperimento delle figure ricercate
dalle imprese), secondo le definizioni sopra assegnate a questi termini. Mentre larea
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della complementarit quella in cui si registra la carenza strutturale di manodopera
autoctona e un inserimento funzionale di quella immigrata, nellarea della
sostituzione si registra invece una massiccia richiesta di personale immigrato che,
secondo i noti processi di specializzazione etnica, va a ricoprire le mansioni meno
qualificate e meno socialmente considerate, rispetto alle quali esso si presenta come
adattabile e conveniente, ma anche potenzialmente in concorrenza con le fasce pi
deboli della forza lavoro autoctona. Lanalisi proposta mostra come la
complementarit della forza lavoro immigrata sia pi forte in settori e in professioni
per le quali la domanda di lavoro manifesta elevate difficolt di reperimento, mentre
si declina in termini di sostituzione laddove le difficolt sono minori e quando il
lavoro immigrato, spesso pi duttile e conveniente, si configura come una presenza
sempre pi strutturale. Nelle professioni specializzate, invece, la domanda continua a
manifestare una elevata selettivit che penalizza la forza lavoro straniera. Tuttavia, il
segnale insieme pi interessante e preoccupante che emerge da questa lettura il
progressivo scivolamento della domanda dallarea della complementarit verso quella
della sostituzione. Questo da un lato rende la manodopera sempre pi strutturale e
funzionale (alle imprese) e dallaltro finisce con limpoverire lattrattivit di
determinate professioni: un effetto di svalutazione sociale, connessa
alletnicizzazione, che accresce gli spazi di inserimento dei lavoratori immigrati, ma
accresce anche le dinamiche di discriminazione e segmentazione del mercato del
lavoro. Senza una visione complessiva di tutti i fattori implicati, la programmazione
dei flussi rischia dunque di restare imbrigliata dallinterpretazione funzionalistica
dellimmigrazione, di appiattirsi sulla sola dimensione economica, finendo col
sostenere un modello di incorporazione improntato alla complementarit, ma di fatto
incamminato a rafforzare le dinamiche che tengono la manodopera straniera in una
posizione di subalternit, la quale paradossalmente nuoce alla componente pi debole
della forza lavoro autoctona. In altri termini, improntando la politica delle quote
secondo questa prospettiva si rischia di misconoscere altri suoi importanti obiettivi,
che vanno al di l della sola regolamentazione-controllo degli ingressi, ma che
riguardano il sostegno dellintegrazione sociale degli immigrati, il contenimento dei
processi di etnicizzazione, la riduzione dei rischi di concorrenzialit con le fasce pi
deboli della popolazione autoctona. La necessaria regolamentazione dei flussi non
pu cio prescindere dal mirare a eliminare i fenomeni di disuguaglianza e
discriminazione nellinserimento della manodopera immigrata nel nostro mercato del
lavoro, e semmai esige di affiancarsi a politiche del lavoro di carattere promozionale,
che aiutino i lavoratori stranieri (come gli autoctoni) a non rimanere intrappolati nelle
aree pi marginalizzate della struttura occupazionale.

La questione della determinazione del fabbisogno occupazionale e quindi della


definizione di quote annuali dingresso di manodopera immigrata rappresenta il focus
anche della terza indagine: La domanda di lavoro immigrato, portata a termine nel
2006 [cf. Focus 2.4]. Essa muove dalla rinnovata necessit di approfondire i criteri e
le metodologie attraverso le quali stabilire tanto la consistenza quantitativa dei nuovi
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arrivi quanto, questione sinora poco esplorata, il loro profilo qualitativo, vale a dire la
coerenza con la domanda di professionalit espressa dal sistema delle imprese locali,
nonch la loro sostenibilit sociale.

Focus 2.4: La domanda di lavoro immigrato. Problemi e prospettive

Il rapporto La domanda di lavoro immigrato. Problemi e prospettive, a cura di M.


Colasanto e F. Marcaletti (Rapporto 2006, Fondazione ISMU, Regione Lombardia,
ORIM, Milano, 2007) affronta il tema della programmazione dei flussi in rapporto ai
fabbisogni del mercato del lavoro.
Le ricognizioni in materia di fabbisogni di lavoro immigrato e di determinazione
delle quote di ingresso compiute in Lombardia nel corso degli anni, nellambito delle
attivit dellORIM, hanno portato allindividuazione di alcune linee interpretative del
problema che possono essere sviluppate lungo almeno tre dimensioni principali.
innanzitutto implicata una dimensione tecnico/metodologica relativa alla
quantificazione del fabbisogno, che assume contorni sfumati e caratterizzati da una
incertezza tuttora evidente, emblematicamente rappresentata dallatteggiamento
ancora piuttosto empirico utilizzato nella elaborazione di stime attendibili. Di questa
problematica risulta peraltro investita anche lesperienza lombarda di definizione dei
fabbisogni, stante alcune riconosciute carenze delle basi informative disponibili, ma
anche una prassi non ancora affermatasi di coinvolgimento di attori istituzionali e non
nei processi di analisi della domanda di lavoro e, dunque, di valorizzazione delle
informazioni (il pi delle volte di carattere qualitativo) di cui essi sono in possesso. Si
tratta di una questione che rimanda comunque a un pi generale problema di ritardo
nella messa a fuoco di un fenomeno che ha ormai assunto connotati strutturali nel
nostro paese, e che nonostante ci continua a rimanere confinato a margine delle
maggiori indagini in tema di lavoro e occupazione. Una seconda linea interpretativa
del problema identificabile nella gi accennata questione della collaborazione inter-
istituzionale e della prassi concertativa in tema di definizione dei fabbisogni di
manodopera immigrata, sulle quali si soffermata in particolare lattenzione delle
indagini compiute nel 2006. Considerati questi elementi di debolezza, da diversi anni
lesperienza lombarda di stima dei fabbisogni di manodopera immigrata si
presentata, rispetto al quadro tracciato, in parziale controtendenza quantomeno a
livello di utilizzo delle fonti statistiche disponibili per pervenire a una stima credibile
del fabbisogno espresso da famiglie e imprese sul territorio regionale. Pur a partire
dal permanere di un rilevante divario tra stima del fabbisogno, quote assegnate e
numero complessivo di domande presentate da parte dei datori di lavoro, una prassi
consolidata di collaborazione che coinvolge Direzione generale famiglia e solidariet
sociale, Agenzia regionale per il lavoro e ORIM ha condotto a rafforzare
ulteriormente il modello lombardo di monitoraggio della domanda esplicita di
lavoratori extracomunitari. Gli approfondimenti svolti, sia con le analisi di secondo
livello sulle fonti statistiche disponibili, sia con la realizzazione di indagini di campo,
evidenziano con riferimento allanno 2006 come il tema della definizione del
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fabbisogno di manodopera immigrata rimanga per molti aspetti ancora un problema
aperto che necessita di essere ulteriormente sondato sotto il profilo dellanalisi delle
caratteristiche che tale fabbisogno assume, prestando in particolare attenzione alle
specificit della domanda con cui questo si esprime. Le esigenze delle imprese per
lavoro a tempo determinato e indeterminato e quelle delle famiglie hanno mostrato
segnali di convergenza lungo diverse direttrici, ma continuano a costituire fabbisogni
di carattere differente, con riguardo in particolare ai tempi e alle forme con le quali si
realizza il matching tra domanda e offerta di lavoro. Emblematica, da questo punto di
vista, la capacit propositiva che i datori di lavoro hanno mostrato nel corso delle
interviste che li hanno coinvolti durante lindagine di campo: essi non hanno esitato a
fornire il loro punto di vista e le loro indicazioni su vari aspetti della questione.
Rimane aperto il problema relativo a un meccanismo che continua a operare in forma
mascherata: da tutti riconosciuto che si tratta di un modo implicito per dare
risposta a situazioni che sotto tutti gli aspetti si presentano come irregolari, e tuttavia
gi effettive sul territorio, anche se poi limmagine pubblica che del sistema degli
ingressi per quota data continua a veicolare lidea di uno strumento necessario ad
arginare limmigrazione clandestina e a regolare gli accessi in base alle capacit di
assorbimento del mercato del lavoro. Anche per queste ragioni, le maggiori critiche
degli intervistati si sono rivolte contro la necessit, prevista dalla normativa vigente,
di rientro nel paese di origine da parte di immigrati che pure sono gi presenti nel
nostro paese per ottenere dal consolato il nulla osta per lingresso in Italia. Al di l di
quello che sar il destino che al meccanismo delle quote di ingresso sar assegnato,
occorre tuttavia riconoscere che linformatizzazione del processo di raccolta delle
domande ha costituito un elemento di effettivo miglioramento e di valore aggiunto
del sistema, anche per le potenzialit in termini conoscitivi sul fenomeno che lanalisi
delle informazioni raccolte in forma aggregata pu oggi offrire e di cui si cercato di
fornire un esempio nelle pagine del rapporto di ricerca. Peraltro, gli approfondimenti
compiuti segnalano che, pur a partire da condizioni di contesto particolarmente
favorevoli, il sistema di stima del fabbisogno e di gestione dei flussi di ingresso
attraverso il meccanismo delle quote pu effettivamente funzionare, soprattutto
laddove si realizzi una stretta sinergia tra sistemi di monitoraggio degli andamenti del
mercato del lavoro, sistemi di matching tra domanda e offerta, coinvolgimento delle
parti sociali nella quantificazione dei fabbisogni ed efficaci strumenti di controllo e
ispezione, attivati anche in forma preventiva. Vi sono ambiti, come quello del lavoro
stagionale, rispetto ai quali la quantificazione del fabbisogno peraltro di carattere
ormai strutturale procede lungo i binari di un consolidarsi dei rapporti di lavoro nel
corso degli anni, ma anche dei rapporti di collaborazione istituzionale e con le parti
sociali, tali per cui una decisa semplificazione delle modalit e delle pratiche
necessarie allingresso sembrerebbe la via pi indicata da suggerire. Allo stesso
modo, strutturale divenuto anche il fabbisogno di servizi di cura domestica e di
assistenza espresso da parte delle famiglie, un terreno che continua a rimanere
particolarmente difficile da esplorare a causa della carenza di informazioni
significative utilizzabili a tale scopo. Tuttavia, ancora pi preoccupante si dimostra il
problema della quantificazione del fabbisogno di manodopera immigrata per lavoro
24
dipendente di carattere non stagionale. Sebbene si tratti anche in questo caso di un
fabbisogno di tipo strutturale, e nonostante tutte le parti si dichiarino favorevoli a un
maggiore coinvolgimento e coordinamento nel processo istituzionale di definizione
delle quote di ingresso, risulta ancora difficilmente comprensibile la debolezza delle
esperienze previsionali realizzate in questo campo o la loro non adeguata
valorizzazione.

La quarta indagine [cf. Focus 2.5: Letnicizzazione del mercato del lavoro lombardo],
condotta nel 2007, riprende e sviluppa le tematiche gi approfondite negli anni
precedenti; in specie, si sofferma sui fenomeni di sostituzione della manodopera
autoctona con quella immigrata e sui processi di etnicizzazione del mercato del
lavoro che ne conseguono. Si propone, come obiettivo complessivo, quello di
ricostruire il quadro interpretativo della segregazione degli immigrati in particolari
ambiti e filiere professionali che, sulla scia di queste dinamiche, divengono connotati
su base etnica.

Focus 2.5: Letnicizzazione del mercato del lavoro lombardo

Nel momento in cui si parla di etnicizzazione del mercato del lavoro e di


specializzazione occupazionale su base etnico-nazionale, ci si riferisce a fenomeni
multidimensionali e socialmente costruiti che hanno a che fare con la forte
concentrazione di manodopera immigrata in determinati settori di attivit economica
e in alcuni specifici gruppi professionali. Sono questi i temi cui dedicato
lapprofondimento contenuto nel Rapporto 2007, curato da M. Colasanto e F.
Marcaletti: Letnicizzazione del mercato del lavoro lombardo (Fondazione ISMU,
Regione Lombardia, ORIM, Milano, 2008).
La fisionomia mediante la quale tali fenomeni si presentano profondamente legata
ai meccanismi attraverso i quali si riproduce lofferta, risultando altres influenzata
dalle modalit per mezzo delle quali prende forma la domanda espressa dai datori di
lavoro. Nella regione Lombardia, cos come nel complesso a livello nazionale,
sono tali modalit di funzionamento del mercato del lavoro che favoriscono i processi
di costruzione sociale delletnicit, spingendo nella maggior parte dei casi la
specializzazione su base etnico-nazionale verso veri e propri fenomeni di
segregazione occupazionale. Permane dunque sullo sfondo lidea che non esista un
unico mercato del lavoro, ma che anzi si possa parlare di almeno due mercati del
lavoro distinti e dai confini difficilmente permeabili per ragioni che hanno a che
vedere col contesto sociale e istituzionale dentro il quale gli attori economici
agiscono. Proprio il contesto istituzionale, quello delle regole che esso veicola nonch
degli attori che al suo stesso interno si muovono, rappresenta una dimensione
fondamentale da prendere in considerazione per comprendere appieno la natura di
questi fenomeni. La progressiva etnicizzazione di interi settori del mercato del lavoro
25
lombardo sempre pi evidente, se non ancora sul lato dellofferta stante la
debolezza degli indicatori statistici che possibile consultare quanto meno su
quello della domanda di lavoro, segno che nel volgere dei prossimi anni le forze di
lavoro occupate al loro interno saranno con sempre maggiore incidenza costituite da
lavoratori di origine immigrata. I fenomeni di sostituzione della manodopera
autoctona con quella immigrata, soprattutto in coincidenza con lespandersi della
domanda di lavoro, sono gi evidenti in alcuni specifici comparti, come quelli dei
servizi operativi alle imprese e alle persone, della sanit pubblica e privata, dei
trasporti e attivit postali. Tale sostituzione in crescita in settori a elevato potenziale
di etnicizzazione, come gli alberghi, ristoranti e servizi turistici, le industrie dei
minerali non metalliferi, quelle della gomma e delle materie plastiche, le industrie dei
metalli e quelle dei beni per la casa, le costruzioni. I segnali positivi, sul fronte
dellanalisi della domanda, sono rappresentati soprattutto dal progredire
dellincidenza del lavoro immigrato quantomeno in termini di fabbisogno anche
ad alcuni dei livelli pi qualificati delle professioni, in determinati settori di attivit
economica. Nonostante questi ultimi rilievi, occorre sottolineare come il mercato del
lavoro italiano, e con esso anche quello lombardo, continui a conservare forti
tendenze alla discriminazione su base etnica, mantenendo vivo quel dualismo che
contribuisce a confinare la quota preponderante delle forze di lavoro immigrate
allinterno di settori di attivit e categorie occupazionali a bassi livelli di qualifica e
professionalit. In questo senso, complice una regolazione dei flussi di ingresso che
fatica a emanciparsi dalladottare un sistema per quote che privilegia in modo
pressoch esclusivo tali fattispecie occupazionali, ci si trova ancora una volta a
considerare come, nel nostro paese, sia presente un complesso di pratiche messe in
atto in modo pi o meno consapevole dalle istituzioni politiche, economiche ed
educative. Il quadro delineatosi ulteriormente complicato dal fatto che, insieme alle
dimensioni di tipo istituzionale, a spiegare la natura socialmente costruita dei
fenomeni di etnicizzazione del mercato del lavoro intervengono fattori di altra natura.
Si tratta dunque di riconoscere che, accanto alle risorse etniche, nei percorsi di
inserimento degli immigrati nei mercati locali del lavoro intervengono
tradizionalmente anche altre agenzie che, in modo diversamente combinato,
interagiscono nellorientare linserimento occupazionale degli immigrati: le reti
sociali informali della societ ospitante; le cosiddette istituzioni facilitatici che su
base volontaria si pongono come punto di riferimento per gli immigrati alla ricerca di
lavoro; i servizi specializzati, come i centri per limpiego o le agenzie del lavoro.

Lindagine condotta nel 2008 si addentra in una tematica ancora poco analizzata nel
nostro paese a motivo della mancanza di indagini e dati longitudinali, in grado quindi
di seguire le forze di lavoro straniere nel corso della propria storia lavorativa [cf.
Focus 2.6: I percorsi di mobilit del lavoro immigrato. Primi riscontri per una lettura
del caso lombardo]. Va ricordato, in proposito, che nemmeno lannuale rilevazione
ORIM costruita in modo tale da consentire una tale disamina e dunque, al pari delle
Rcfl condotte dallIstat, non permette di indagare i percorsi e le transizioni che
26
prendono forma tra le forze di lavoro straniere. Piuttosto, come commentato in
precedenza, grazie alla disaggregazione delle informazioni raccolte secondo la coorte
migratoria, essa autorizza a ipotizzare lesistenza di traiettorie di mobilit
professionale.

Focus 2.6: I percorsi di mobilit del lavoro immigrato. Primi riscontri per una
lettura del caso lombardo

Lanalisi rivolta ad approfondire i percorsi di mobilit inter-professionale, intra e


inter-settoriale, nonch quelli relativi al passaggio dal lavoro dipendente a quello
autonomo (e viceversa), cos come trovano espressione nellesperienza dei lavoratori
immigrati in Lombardia, trova ragione nel riprodursi dei fenomeni di specializzazione
occupazionale su base etnica da una parte, e dellevolvere della composizione quanti-
qualitativa della domanda di lavoro immigrato dallaltra. Ci rappresenta il focus del
rapporto I percorsi di mobilit del lavoro immigrato. Primi riscontri per una lettura
del caso lombardo (a cura di M. Colasanto e F. Marcaletti, Rapporto 2008,
Fondazione ISMU, Regione Lombardia, ORIM, Milano, 2009).
Le traiettorie di mobilit risentono del contesto istituzionale, in specie di elementi
quali il sistema di regolazione del lavoro, i meccanismi che governano lincontro tra
domanda e offerta e le politiche dellimmigrazione. Sebbene i lavoratori immigrati in
definitiva si muovano su sentieri tracciati dalloperare delle reti etniche o da
istituzioni religiose e assistenziali, comunque vero che le strategie della domanda di
lavoro esercitano una forza altrettanto costrittiva sulle opportunit disponibili. Questo
si coglie con chiarezza dalla disamina delle politiche istituzionali di reclutamento,
che possono essere sicuramente intese come lesplicitazione pi evidente delle
tendenze segreganti e discriminanti messe in atto, pi o meno consapevolmente, dalla
domanda stessa. Nonostante sia emerso negli ultimi anni, specie nei paesi
anglosassoni, un interesse crescente ad attrarre forze di lavoro qualificate, le politiche
di governo delle migrazioni economiche risultano tuttora appiattite sulla richiesta di
profili dal modesto contenuto professionale e caratterizzati da bassi livelli di
produttivit. Come noto, si tratta di posizioni poco attraenti per la popolazione
autoctona, in cui come stato possibile ricostruire anche grazie alle interviste
qualitative realizzate nel corso dellindagine di campo le chance di aumento
salariale, di partecipazione a programmi di formazione e aggiornamento e di mobilit
di carriera sono meno ordinarie. Sono, in altri termini, lavori e professioni nei quali
facile entrare ma dai quali difficile uscire; una sorta di cul de sac entro cui gli
immigrati vengono instradati in ragione della loro presunta complementariet
allofferta di lavoro autoctona e alla loro funzionalit rispetto alle esigenze della
domanda di lavoro. A ben guardare, per, molti degli impieghi in questione sono i
primi a essere esposti ai rischi di ridondanza nel caso si registri un concreto
rallentamento delleconomia o, comunque, un disallineamento tra le esigenze della
domanda e le caratteristiche dellofferta. Da qui emerge la necessit di intervenire per
rompere il circolo vizioso che si prodotto introducendo correttivi istituzionali tali da
27
garantire traiettorie occupazionali pi fluide e meno vincolate allappartenenza
etnica. Tra questi figura, innanzitutto, il ripensamento dei dispositivi e delle politiche
di reclutamento, tuttora impostati in modo tale da soddisfare un bisogno
occupazionale contingente ma che risultano invece privi di un riferimento prospettico
pi ampio, tanto alla situazione individuale quanto allevoluzione temporale della
domanda di lavoro. Proprio questa carenza implica lesigenza di azioni connesse nel
campo delle politiche attive del lavoro, con interventi specifici a promozione e
accompagnamento delle occasioni di mobilit; occasioni che rappresentano una delle
condizioni di successo nel percorso di inclusione socio-economica soprattutto in
presenza di rivolgimenti occupazionali come quelli che i venti della crisi economica
vanno prefigurando che andranno ad aggravare ulteriormente la situazione di
disparit iniziale dovuta allorigine etnica.

Lindagine dellarea lavoro dellORIM, svolta nel corso del 2010 stata dedicata al
tema degli scenari emergenti della crisi che ha impattato sul sistema economico
lombardo, ponendo in particolare a fuoco le ripercussioni della fase recessiva sui
livelli di impiego dei lavoratori immigrati [cf. Focus 2.7: Immigrazione e mercati del
lavoro: gli impatti della crisi in Lombardia].

Focus 2.7: Immigrazione e mercati del lavoro: gli impatti della crisi in Lombardia

Lindagine dellarea lavoro dellORIM svolta nel corso del 2010 stata dedicata al
tema degli scenari emergenti della crisi che ha impattato sul sistema economico
lombardo, ponendo in particolare a fuoco le ripercussioni della fase recessiva sui
livelli di impiego dei lavoratori immigrati (Immigrazione e mercati del lavoro: gli
impatti della crisi in Lombardia, a cura di M. Colasanto e F. Marcaletti, Rapporto
2010. Fondazione ISMU, Regione Lombardia, ORIM, Milano, 2011). Ci che
emerge un quadro che va interpretato alla luce di segnali non privi di un certo
carattere di ambivalenza. Le comparazioni in chiave internazionale, in particolare,
continuano a confermare la peculiarit del modello occupazionale italiano rispetto a
quanto emerge considerando le medie a livello di Unione europea o quanto avviene in
alcuni dei maggiori paesi membri in relazione ai processi di incorporazione della
manodopera dimportazione nelle forze di lavoro. Ne esempio, in particolare, il
livello di disoccupazione degli stranieri extracomunitari e comunitari non
appartenenti ai Quindici, residenti nel nostro paese. Il tasso di disoccupazione degli
extracomunitari in Italia, al secondo trimestre del 2010, infatti dell11,9%; due soli
decimi di punto percentuale in meno, l11,7%, quello dei comunitari non appartenenti
ai Quindici. Si tratta di valori che risultano migliori soltanto in altri quattro dei
Ventisette paesi membri dellUnione europea. Ancora, i tassi di disoccupazione degli
stranieri presenti nel nostro paese sono inferiori alle medie europee rispettivamente di
8,0 e 7,1 punti percentuali. Anche il tasso di disoccupazione totale riferito allinsieme
delle forze di lavoro inferiore alle medie, in particolare di quasi un punto
28
percentuale (8,0% contro l8,9%). Si noti, infine, che i tassi di disoccupazione degli
stranieri non comunitari o comunitari non appartenenti ai Quindici, a livello medio
europeo, sono doppi rispetto al tasso di disoccupazione totale, sempre in media in
Europa. Ci non avviene nel nostro paese, dove i valori riferiti agli stranieri
presentano valori superiori almeno di 5 punti rispetto al dato sugli autoctoni. Analisi
di questo tipo devono tuttavia essere ulteriormente precisate, calandole a livello
territoriale lombardo: la dinamica che investe i lavoratori immigrati, tanto sul fronte
dellofferta di lavoro quanto in particolare su quello della domanda, risulta in
Lombardia pi rallentata che nel resto dellItalia. Basti, a titolo di esempio, citare un
secondo dato. Sempre nel corso del secondo trimestre 2010, il numero di cittadini
extracomunitari avviati al lavoro in Lombardia calato del 24,6% rispetto al
medesimo trimestre dellanno precedente, ovvero dieci volte tanto rispetto alla
contrazione che ha riguardato il numero di avviati di cittadinanza italiana (-2,4%).
Oltre allanalisi dei trend occupazionali, al fine di indagare il determinarsi di
situazioni di discriminazione nei processi di dismissione forzata dei lavoratori in
alcuni settori occupazionali a forte connotazione etnica e, conseguentemente, di
rilevare le percezioni circa linstaurarsi di pratiche penalizzanti per le componenti
immigrate delle forze di lavoro, nellambito dellapprofondimento sono stati
realizzati dei focus group che hanno coinvolto dirigenti, operatori, delegati e attivisti
sindacali nei settori delle costruzioni, dellindustria metalmeccanica e dei servizi, in
due province lombarde, Milano e Bergamo. Con riferimento alla tematica della crisi
oggetto dei focus va innanzitutto rilevato come limpatto che essa ha esercitato
abbia provocato processi di dismissione delle forze lavoro legati a decisioni
manageriali che nella percezione degli osservatori coinvolti non hanno condotto a
particolari episodi di discriminazione della manodopera straniera, toccando
principalmente i lavoratori meno qualificati, e certo fra questi anche quelli di origine
straniera. Lassenza di qualificazione il fattore che ha condotto molti datori di
lavoro a disfarsi anzitutto di questa componente della forza lavoro nel momento in
cui si sono visti costretti a ridimensionare lorganico delle proprie aziende. Il
fenomeno non pertanto riferibile a possibili condizionamenti sotto il profilo della
discriminazione su base etnica. In alcuni settori occupazionali, come per esempio nel
caso delle costruzioni, la discriminazione avviene a monte piuttosto che a valle,
ovvero nelle procedure di accesso al lavoro che non premiano le esperienze pregresse
e le competenze possedute dai lavoratori stranieri, inquadrandoli ai livelli contrattuali
pi bassi. In generale, proprio il fenomeno della concentrazione del lavoro di
importazione in specifiche nicchie professionali tradizionalmente soggette alla
fluttuazione dei livelli di occupazione a esporre i lavoratori migranti pi che gli
autoctoni ai rischi della disoccupazione. Tuttavia, rispetto a questa logica,
sedimentatasi osservando levoluzione della partecipazione delle forze di lavoro
immigrate ai mercati del lavoro locali, gli eventi provocati dalla crisi economico-
finanziaria hanno contribuito a modificare non di poco gli assetti occupazionali
vigenti, e in particolare hanno spinto a ridefinire, almeno parzialmente, i termini del
rapporto tra manodopera autoctona e manodopera dimportazione. I fronti di nuova
argomentazione che si aprono sono tre. In primo luogo, la crisi ha fatto emergere una
29
prospettiva di concorrenzialit del lavoro immigrato rispetto al lavoro autoctono sulle
posizioni occupazionali di medio-basso livello che, al contrario di quelle non
qualificate, sono state risparmiate nei processi di espulsione conseguenti alle
ristrutturazioni aziendali. In altri termini, mentre anche i lavoratori italiani non
qualificati hanno perso loccupazione (insieme a tanti stranieri), ci non avvenuto
per i lavoratori (italiani e stranieri) che occupavano posizioni immediatamente
superiori in termini di qualificazione, generando fenomeni di frustrazione nei primi
(specie se di nazionalit italiana). In secondo luogo, proprio lingresso massiccio di
numerosi lavoratori non qualificati nellarea della disoccupazione ha determinato
inediti fenomeni di concorrenzialit del lavoro autoctono rispetto al lavoro immigrato
sulle posizioni occupazionali di pi basso livello. In terzo luogo, allinterno di
specifici comparti occupazionali, si assiste altres al rafforzarsi di fenomeni di
concorrenzialit tra forze di lavoro straniere comunitarie e non comunitarie. Si tratta
di fenomeni emergenti che, sommati allinnegabile venir meno di migliaia di
posizioni occupazionali e di posti di lavoro, contribuiscono a ridefinire, nel
complesso, le forme e le modalit di incorporazione della manodopera immigrata nel
mercato del lavoro lombardo, anche ma non solo per effetto della recente crisi.

Lindagine pi recente si concentrata sul tema della conciliazione tra i tempi di vita
e di lavoro letta a partire dallesperienza delle famiglie immigrate in Lombardia [cf.
Focus 2.8: Famiglie immigrate, tempi di vita e tempi di lavoro].

Focus 2.8: Famiglie immigrate, tempi di vita e tempi di lavoro. La conciliazione


come questione emergente

Lapprofondimento svolto in tema di conciliazione (Famiglie immigrate, tempi di


vita e tempi di lavoro. La conciliazione come questione emergente, a cura di M.
Colasanto e F. Marcaletti, Rapporto 2011, Fondazione ISMU, Regione Lombardia,
ORIM, Milano, 2012) conferma come i percorsi lavorativi degli uomini e delle donne
stranieri presenti in Lombardia continuino a rimanere uguali e diversi. Nel quadro
di una generalizzata forte propensione alla partecipazione alle forze di lavoro che
investe tanto i maschi quanto le femmine, nella fase di crisi economica si
determinata una minore esposizione delle occupazioni femminili immigrate agli alti e
bassi del mercato. A questa si accompagnato un tendenziale scivolamento delle
donne alla ricerca di lavoro verso lo stato di inattivit, con il conseguente innalzarsi
della quota di casalinghe. Loccupazione delle donne ha certamente sofferto della
crisi e il dato pi significativo della transizione che le ha investite rappresentato
dalla contrazione del tasso di occupazione femminile, un dato che nel contesto di una
flessione complessiva dellofferta di lavoro, conferma gli effetti di scoraggiamento
che colpiscono le donne immigrate. Il contingente femminile ha attraversato la fase
pi acuta della crisi tra il 2009 e il 2010, reagendo tuttavia in modo completamente
differente e dimostrando pi flessibilit e pi reattivit alle fluttuazioni del mercato
30
rispetto a quello maschile. Non si spiegherebbe altrimenti la contrazione dei livelli di
disoccupazione che si accompagna alla crescita del numero di casalinghe e
studentesse, ma anche a un concomitante calo delle occupazioni irregolari e crescita
di quelle regolari. Su questo dato pu aver avuto effetto la regolarizzazione delle
lavoratrici domestiche avvenuta tra il 2009 e il 2010, e tuttavia parimenti da
considerarsi come questa perda di significativit visto che nello stesso periodo le
professioni al femminile che hanno sofferto maggiormente siano state proprio quelle
di domestica al servizio delle famiglie, e che la ripresa delle occupazioni regolari si
sia determinata proprio nellultimo passaggio di anni, tra il 2010 e il 2011. Questo
ultimo dato mostra come, nel contesto di spinte ancora fortemente recessive,
loccupazione delle immigrate si consolida nei suoi elementi di regolarit. Uguali e
diverse nel modo di prendere parte alle forze di lavoro nei confronti degli immigrati
maschi, le donne straniere si dimostrano uguali e diverse anche nei confronti delle
autoctone. La partecipazione della popolazione femminile immigrata al mercato del
lavoro in Italia e in Lombardia rimane qualitativamente diversa. Le donne immigrate
continuano a risultare leggermente pi occupate di quelle italiane e al contempo
molto pi disoccupate. Segno che la tensione verso il mercato del lavoro rimane forte
ma allo stesso tempo molto pi malleabile. Uguali e diverse allinterno del mercato
del lavoro lombardo, le lavoratrici immigrate rappresentano il punto di vista dal quale
si considerata la questione della conciliazione. In questo campo, la caratteristica
della subalternit a essere stata identificata come la pi efficace nel descrivere la
condizione della donna immigrata, specie se madre, in rapporto alla doppia presenza
nel mondo del lavoro e nella sfera domestica. Subalternit che trova espressione
soprattutto su due fronti. Del primo si ha evidenza nelle analisi quantitative: emerge
con chiarezza il divario che separa, a parit di carichi familiari, i livelli di
occupazione maschili da quelli femminili. Ancora, sui contesti familiari in cui abitano
donne immigrate gravano pi carichi di cura di quanto non avvenga per gli uomini.
Questo effetto quello che determina immediatamente un processo di subalternit
che, oltre a manifestarsi in una pi marcata esclusione dalle forme di partecipazione
al mercato del lavoro, si esprime anche sul fronte dei redditi: allaumentare del carico
familiare aumentano i redditi dei maschi ma molto meno quelli delle femmine.
Lavere un partner e dei figli sono i fattori che pi allontanano le donne da lavoro;
non cos accade per le donne sole con figli. Un secondo tipo di subalternit si innesta
sul terreno culturale. indubbio che vi siano modelli che assegnano alla donna
unicamente funzioni di cura familiare e domestica, cos come indubbio che questi
mantengano la propria forza anche nei contesti sociali di adozione. Allinterno di
molte culture la donna conserva una posizione di subalternit sia in rapporto ai ruoli e
alle funzioni maschili, sia ancor pi semplicemente nel poter coltivare ed
esprimere laspirazione a prendere parte allesperienza del lavoro retribuito al di fuori
delle mura domestiche, ambizione che rimane subordinata al veto maschile. Tale
posizione di subalternit trova modo di riprodursi anche nella societ di accoglienza,
anche se il confronto con la cultura maggioritaria non ininfluente. I modelli
trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione di massa cos come il confronto
quotidiano con colleghe e colleghi italiani rafforzano la posizione femminile. Da
31
questo punto di vista dunque molto interessante interrogarsi sui percorsi a partire
dai quali questo confronto culturale che pervade le famiglie immigrate trovi
espressione. Nonostante tutti i limiti delle politiche di integrazione, unibridazione
silenziosa delle modalit di fare ed essere famiglia straniera in Italia sta comunque
avendo luogo. In ultimo, si sottolinea come tale doppia subalternit non sia sempre
percepita come tale dalle donne straniere: la sensazione che emersa a partire
dallincontro con le stesse che si realizzato nel corso dellapprofondimento di
campo quella di un vissuto di emancipazione fatta di tante piccole conquiste che a
un occhio esterno, non culturalmente preparato, rischiano di non risultare evidenti.

2.3. Le analisi del mercato del lavoro lombardo

Nellambito delle indagini dedicate agli approfondimenti specifici sul tema del lavoro
degli immigrati, un campo di attenzione costantemente mantenuto stato quello
dedicato allanalisi dei principali indicatori di tipo istituzionale e amministrativo che
fotografano le evoluzioni del mercato del lavoro nel nostro paese e nella regione
Lombardia in particolare.
La peculiarit dellassetto occupazionale italiano rispetto a quanto emerge a livello
medio europeo data dal peso rilevante che in esso assume la componente straniera,
e in particolare quella di origine esterna ai paesi dellUE. Si tratta di unincidenza in
ragione della quale si sottolinea come lincorporazione della componente immigrata
delle forze di lavoro sia ormai da considerare una presenza strutturale nel mercato del
lavoro nazionale.
La partecipazione al mercato del lavoro degli immigrati risulta quantomeno nel
settentrione connotata in senso maschile, su livelli ancora pi accentuati di quanto
non accada per gli autoctoni. Nel complesso, i tassi di attivit dei maschi stranieri
sono molto elevati, collocandosi su quote che nel periodo sono giunte sino a superare
la soglia del 90%. Al tempo stesso, la partecipazione femminile straniera al mercato
del lavoro si posiziona su quote inferiori ai corrispettivi tassi di attivit delle femmine
autoctone. Va dunque precisato che il paradigma che interpreta come strutturale la
presenza di manodopera immigrata nelle forze di lavoro delle regioni del Nord fa
riferimento in particolare al carattere organico che tale presenza orami ha assunto a
livello maschile. Sul piano femminile, stante un possibile persistere dei modelli
incentrati su ruoli breadwinner maschili, specie a seguito dei ricongiungimenti
familiari, possibile ipotizzare, dato il tipo di occupazioni femminili prevalenti,
anche una maggiore incidenza del sommerso occupazionale e del non dichiarato in
sede di rilevazione.
Sul piano strettamente occupazionale, possibile riscontrare una distanza pi ridotta
tra i tassi maschili degli stranieri e quelli degli italiani, un divario che si andato
assottigliando in particolare a partire dagli ultimi due trimestri della serie, mentre la
distanza tra il tasso femminile delle italiane e quello delle straniere risulta pi
accentuato. Entrambe queste tendenze suggeriscono dunque come si avr modo di

32
considerare una maggiore incidenza della disoccupazione sui contingenti sia
maschile sia femminile degli stranieri.
La crisi economica e occupazionale ha avuto un impatto significativo sui livelli di
disoccupazione nel Nord Italia a eccezione del contingente femminile straniero, a
indicare che questo gruppo di popolazione immigrata vive di una dinamica a s stante
nel mercato del lavoro, caratteristica che lo differenzia da tutti gli altri gruppi e che
risulta confermata col trascorrere degli anni.
Spostandosi dallesame dellofferta di lavoro nel Nord del paese a quello dei
fabbisogni professionali, ambito rispetto al quale possibile effettuare letture
specifiche riferite al caso lombardo, occorre anzitutto osservare che per tutto lultimo
decennio lanalisi della domanda di lavoro nel nostro paese ha trovato il suo fulcro
nel Sistema informativo Excelsior, e dunque in un modello di stima previsionale
incentrato sulla rilevazione della propensione a realizzare assunzioni da parte dei
datori di lavoro delle imprese del settore privato. Si tratta di un modello che enfatizza
perci le tendenze di comportamento espresse dalla domanda di lavoro in un
momento antecedente a quello in cui si andranno effettivamente a realizzare le
assunzioni. Analizzare dunque tali tendenze significa in qualche modo rilevare le
dimensioni di sentiment espresse delle imprese, ovvero unoperazione differente da
quella che potrebbe essere compiuta a partire dalla rilevazione dei posti di lavoro
effettivamente vacanti.
Per quanto concerne la Lombardia, sono due i picchi che ha toccato, a partire dal
1999, la domanda di lavoro che coinvolge gli immigrati. Significativamente, entrambi
sono stati registrati in corrispondenza con lassunzione dei principali provvedimenti
in materia di regolarizzazione delle situazioni lavorative e di regolazione dei flussi in
ingresso del decennio, ovvero:
nel 2003, allorch la domanda di lavoro immigrato ha toccato il suo massimo
storico con quasi 47mila unit, la grande regolarizzazione;
nel 2007, con previsioni di assunzione che sono arrivate a sfiorare le 41mila unit,
in concomitanza con lampliamento delle quote di ingresso a tutte le istanze
presentate da parte dei datori di lavoro a valere sul decreto flussi dellanno
precedente.
Il fabbisogno nel decennio, nonostante il dato in calo a partire dal 2009 e la
fluttuazione che la domanda di lavoro ha in ogni caso manifestato, ha continuato a
mantenersi sostenuto, con una media che comunque si attestata su circa 30mila
unit allanno. Tenendo presente che si tratta di previsioni relative ai soli settori
dellindustria e dei servizi privati, si tratta di un dato particolarmente significativo.
Del resto, in Lombardia si sempre concentrata una quota di domanda di lavoro
immigrato mediamente superiore al 20% del totale del fabbisogno espresso in Italia,
con una quota milanese sul totale regionale che nel medesimo arco di tempo ha
oscillato tra un minimo del 40,7% nel 2007 e un massimo del 50,0% nel 2001.
Lanalisi della serie storica dei dati Excelsior ha condotto altres a rilevare quello che
forse il dato pi significativo nel periodo, e che contrasta con quanto riferito
analizzando le risultanze delle survey ORIM: il tendenziale qualificarsi del
fabbisogno di manodopera immigrata sotto il profilo delle professionalit ricercate
33
dai datori di lavoro. A partire dal 2008, infatti, non pi il personale non qualificato a
costituire il gruppo professionale immigrato pi richiesto sul mercato del lavoro
lombardo, bens quello delle professioni relative alle vendite e ai servizi per le
famiglie. Lup-grading dei livelli di qualificazione della domanda di lavoro
immigrato, quantomeno sotto il profilo delle tipologie professionali ricercate, un
dato che per quanto controverso merita di essere monitorato, anche in futuro, con
particolare attenzione. Per molti aspetti esso rappresenta un indicatore del procedere
dei processi di integrazione degli immigrati a livello occupazionale ed economico. A
riprova di questo dato, sempre nellambito del Sistema informativo Excelsior, sta il
procedere dellinnalzamento delle credenziali formative formalmente richieste dai
datori di lavoro per lassunzione di manodopera immigrata. Nel corso del decennio si
ridotta in misura significativa la domanda di lavoratori in possesso della sola
licenza dellobbligo; allo stesso modo si contratto il fabbisogno di qualificati
dellistruzione professionale e tecnica di stato. invece cresciuta nel periodo la
propensione a ricercare qualificati della formazione professionale e soprattutto
diplomati, con un rimbalzo in avanti fatto registrare anche dai possessori di titoli di
laurea.
Peraltro, nel corso del tempo andata altres crescendo la richiesta da parte dei datori
di lavoro del possesso di esperienza pregressa specifica o maturata nella medesima
posizione, anche per quanto riguarda i lavoratori immigrati.

Fonti:

Zucchetti, E., La cittadinanza economica, in Blangiardo, G.C. (a cura di),


Limmigrazione straniera in Lombardia. La prima indagine regionale. Rapporto
2001, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2002, pp. 111-131.
Zanfrini, L., Il lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di), Limmigrazione straniera in
Lombardia. La seconda indagine regionale. Rapporto 2002, ORIM, Regione
Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2003, pp. 55-88.
Zucchetti, E., Il lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di), Limmigrazione straniera in
Lombardia. La terza indagine regionale. Rapporto 2003, ORIM, Regione Lombardia
Fondazione ISMU, Milano, 2004, pp. 67-101.
Zanfrini, L., Il lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di), Limmigrazione straniera in
Lombardia. La quarta indagine regionale. Rapporto 2004, ORIM, Regione
Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2005, pp. 69-117.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di),
Limmigrazione straniera in Lombardia. La quinta indagine regionale. Rapporto
2004, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2006, pp. 77-131.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di),
Limmigrazione straniera in Lombardia. La sesta indagine regionale. Rapporto
2006, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2007, pp. 73-111.

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Limmigrazione straniera in Lombardia. La settima indagine regionale. Rapporto
2007, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2008, pp. 73-121.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di),
Limmigrazione straniera in Lombardia. Lottava indagine regionale. Rapporto
2008, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2009, pp. 71-118.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di),
Dieci anni di immigrazione straniera in Lombardia. Rapporto 2009, ORIM, Regione
Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2010, pp. 69-112.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro, in Blangiardo, G.C. (a cura di),
Limmigrazione straniera in Lombardia. La decima indagine regionale. Rapporto
2010, ORIM, Regione Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2011, pp. 83-125.
Zanfrini, L., La partecipazione al mercato del lavoro e la condizione economico-
reddituale delle famiglie, in Blangiardo, G.C. (a cura di), Limmigrazione straniera in
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Lombardia Fondazione ISMU, Milano, 2012, pp. 97-114.

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