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RAPTUS

RACCONTI DI PURA FOLLIA

JAMES KING
Titolo originale: Raptus, Racconti di pura follia

Copyright, 20/07/2017

La riproduzione totale o parziale di questa opera vietata.


I trasgressori saranno puniti secondo le norme vigenti.

Tutti i diritti sono riservati.

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Dedicato a Federica,
come ogni cosa,
dopotutto

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L'animo umano un pozzo.

Un pozzo senza fondo.

Illuminatelo.

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SOMMARIO

1)

4
PREMESSA

"Tutto ci che umano competenza della psicologia"


Sigmund Freud.

A parer mio, non esiste spiegazione pi esaustiva. Sono state poste molte domande
riguardo alla maniera con cui il mondo oggettivo e fisico del corpo comunichi con il
mondo soggettivo della mente. I filosofi sostenevano che la ghiandola pineale fungesse
da ponte magico con questi due mondi. La psicologia ha invece affermato che i
sentimenti, la percezione, il s oggettivo e i ricordi scaturiscono dalle attivit elettriche
e chimiche del cervello.
Intuizione straordinaria. Essa ha permesso ai vari esponenti della psicologia di
confutare tesi, opinioni e metodi riguardo il corretto funzionamento della mente.
Dallo Strutturalismo di Wundt, la Riflessologia di Pavlov, il Funzionalismo di James,
il Comportamentismo di Watson fino ad arrivare alla fondazione della psicoanalisi, alla
talking cure, la cura terapeutica delle nevrosi attraverso l'uso della parola.
Chimica ed elettricit. I due conduttori essenziali per il corretto funzionamento delle
nostre attivit cognitive e motorie. Il cervello una macchina stupefacente,
meravigliosa. Ma come tutte le macchine complesse, pu guastarsi. Gli ingranaggi
possono arrugginirsi. Lesionarsi. E le conseguenze derivanti da tali guasti potrebbero
risultare anche devastanti. Vuoti di memoria, amnesie, disartria, afasia. Sinapsi che
condividono troppi neurotrasmettitori eccitatori o inibitori. Ne consegue il bipolarismo,
la schizofrenia, la depressione.
Ma la domanda a cui vuole rispondere la mia opera un'altra.
Cosa spinge l'essere umano a provare compassione nei confronti del suo carnefice?

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Molti di voi potrebbero pensare alla Sindrome di Stoccolma, o, nel caso in cui il
carnefice prova compassione per la sua vittima, alla Sindrome di Lima.
Allora vi pongo un altro quesito.
Cosa spinge una madre ad abbandonare suo figlio, a compromettere la vita di costui?
La sindrome di Mnchhausen per procura, forse? Perch un uomo uccide un altro
uomo? Fino a trarne anche piacere e soddisfazione? Perch alcuni individui si cibano
dei suoi stessi simili? Perch un maniaco stupra il cadavere di una donna? Quali sono
queste motivazioni?
La psicologia dinamica ci ha insegnato che ogni azione la conseguenza di una
motivazione. Mangiamo perch abbiamo fame. Dormiamo perch abbiamo sonno. Non
mangiamo perch non ci piacciamo. Non dormiamo perch abbiamo paura.
I miei racconti, per quanto scabrosi, intendono illustrare e spiegare tali dinamiche.

Pazzia , se solitudine diventa.

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IL CASO DI TOMMY JOE

I.

Tommy non sembra aver paura della morte. Non crede nell'aldil, al paradiso o agli
angeli custodi. Eppure, non ha timore di togliersi la vita. Di sgozzarsi come un maiale.
Un taglio netto. Alla gola. Da lato a lato. Con la precisione e la manualit di un
macellaio. Pi che un macellaio, Tommy, in realt, un impiegato che lavora in
un'azienda di trasporti pubblici. addetto a cambiare le gomme degli autobus,
controllare che siano gonfie al punto giusto e che non ci siano fori o crepe di alcun
genere. Davvero una gran noia. E Tommy odia annoiarsi. Cos, per sopportare le lunghe
ore di lavoro e ridurre lo stress, si chiude in bagno per masturbarsi davanti le immagini
di ragazze in bikini ritratte in pose sensuali sulle pagine di un giornalino pornografico.
Belle e giovani. Fresche. Carne tenera. Non come la pelle secca e grinzosa di sua
moglie, avvizzita dalle venti sigarette che si fuma al giorno. Quella sua bocca rancida
che emana un alito di fogna lo disgusta. Davvero un bello schifo. E, dannazione, ha
anche da lamentarsi!

"Tommy, perch non vuoi pi fare l'amore con me? Tommy, da qualche tempo che
ormai non mi consideri pi come prima. Non so nemmeno quand' stata l'ultima volta
che mi hai dato un bacio. Tommy, perch non dormi pi con me? Quel dannato salotto
pi comodo del nostro letto? "

"No, razza di cesso ambulante. Sei tu che emani cattivo odore, e non infilerei il mio
arnese tra quelle grasse cosce bianche nemmeno se non ci fosse pi una fighetta libera

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sulla faccia della terra."

Tommy aspira ad altro. A qualcosa di meglio. Di pi invitante. Come la segretaria del


suo capo. Sally. Con le sue forme perfette, lineari. La sua coda di cavallo che oscilla
quando cammina su quei tacchi neri, con quelle gambe lucide, i polpacci tesi. La forma
dei glutei che si delinea sulla gonna stretta. Avrebbe ucciso per scoparsela. Per poi
divorala. Strapparle la carne dalle ossa. Quella troia. Si sbatte il capo dell'azienda per
qualche sterlina in pi sulla sua busta paga. Tommy avrebbe soddisfatto ogni sua
esigenza. Ogni sua richiesta, dalle pi banali a quelle pi... bizzarre.
E a Tommy piacciono molto le richieste bizzarre.
Farsi pisciare in bocca.
Farsi picchiare a sangue.
Vuole essere trattato come uno schifoso e lurido topo di fogna qual in realt. Un
verme. Un impiegato sfigato, flaccido, con quella ridicola barbetta castana che gli
spunta da sotto il mento, come i peli di una capra. Non avrebbe mai trovato il coraggio
di avvicinarsi a Sally.
Tommy consapevole di avere un cattivo aspetto. Che quella puttana avrebbe riso di
lui. Come hanno riso le ragazze del liceo dopo aver rifiutato l'invito a ballare con lui
alla festa di fine anno. Come hanno riso i suoi compagni di scuola quando non riusciva
a controllare quell'orribile problema di flatulenze spontanee causate dalla dissenteria.
Come hanno riso i suoi professori quando lo vedevano diventare paonazzo perch si
era cagato nelle mutande. Come ha riso sua madre, dopo averlo beccato a masturbarsi
con una vecchia foto che la ritraeva da giovane.
Suo padre, invece, non rideva.
Suo padre non rideva mai.

"Lurido bastardo"

Tommy non lo aveva mai visto ridere. Nemmeno per sbaglio. Al vecchio Billy Joe
piacevano le maniere forti. Un vero e proprio padre padrone. Una bella dose di frustate

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con la sua fedele cinghia di cuoio era quello che ci voleva per mettere in riga un
bambino che non obbediva agli ordini impartiti dal padre. E se continuava a comportarsi
in malo modo o a mancare di rispetto, legava il piccolo Tommy Joe al tronco di una
quercia, nudo, fino al giorno dopo. Con la consueta dose di frustate quando paparino
usciva in giardino per fumarsi una Merit.
Billy Joe Macomer uccise la sua consorte Virginia Ross dopo aver trascorso un'intera
serata a ingozzarsi di birra a doppio malto e whisky invecchiato. Le squarci la carotide.
Come burro fuso. Solo perch il pollo fritto non era abbastanza fritto.
Quando l'ancora dodicenne Tommy scese da sopra la sua stanza e vide sua madre riversa
sul pavimento con la testa quasi mozzata, il caro vecchio Billy Joe tent di ammazzare
anche lui.
Il suo unico figlio.
Tommy riusc scappare, nascondendosi come un coniglio tra i cespugli del giardino,
mentre suo padre, con la voce intrisa di alcol, continuava a sbraitare e a biascicare una
sola ed unica frase: Esci uooori figlio di uuuttana! Esci UOOORI!

La signora Galloway, che in quel momento se ne stava tranquilla a sorseggiare del t


seduta davanti alla finestra della sua cucina, aveva sentito delle grida provenienti dalla
villa dei Macomer, cos, allarmata, decise di chiamare il 911.

Non sono mai state persone del tutto normali quelle dichiar in seguito la vicina di
casa ai giornalisti di un Quotidiano locale.
Il marito era uno zotico ubriacone che se la spassava con le prostitute, la moglie una
sporcacciona che non puliva mai la casa, non come me che passo lo straccio appena
vedo un granello di polvere. Nossignore! La mia casa deve essere sempre pulita e
profumata. Volete del t?

E del figlio dei Macomer cosa mi sa dire, signora Galloway? chiese una giornalista
con un marcato rossetto nero sulle labbra e con in mano un taccuino. Il suo compagno,
intanto, teneva un registratore vocale puntato verso la bocca della loro intervistata, per

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non farsi sfuggire nemmeno una parola.

Il piccolo Tommy Joe? Non le so dire molto su quel ragazzetto. Ma le assicuro che
anche lui un tipo alquanto strano. Allora, che faccio? Questo t ve lo preparo o no?

Che Tommy Joe fosse un ragazzetto alquanto strano questo risaputo e confermato
dallo stesso e medesimo Tommy Joe Macomer in persona. Quando la polizia fece
irruzione nel suo giardino e piantarono tre pallottole dentro a quella testa marcia del
vecchio Billy, cos sciocco ed ubriaco da essersi scagliato, armato di coltello, contro gli
agenti, scambiandoli per dei visitatori extraterrestri atterrati per distruggere la sua
piantagione di marijuana (Andaaate viaaaa esssseri ella Luuuna!), Tommy era
ancora nascosto dietro la siepe. Era cos tanto eccitato per ci che era successo, che fu
costretto a sfilarsi il piccolo Tommy Joe dalle braghe e a masturbarsi, con l'immagine
di sua madre quasi decapitata vivida e fresca nella sua mente.
Poche persone assistettero al funerale dei coniugi Macomer, e nessuno di essi pianse
per la loro scomparsa. Neanche Tommy. Non vers una lacrima. Mentre il prete recitava
uno sbrigativo requiem con voce monotona e assopita, lui si mise una mano in tasca,
stuzzicandosi il piccolo Tommy Joe. Fantastic sul corpo immobile e freddo di sua
madre all'interno di una squattrinata bara di legno, e pens a quanto sarebbe stato pi
facile scoparsela ora che non poteva pi opporre alcuna resistenza. Avrebbe soddisfatto
tutti i suoi pi macabri desideri. Leccando la sua pelle morta. Toccando le sue parti
intime. Sfiorando la peluria castana del suo pube.
Le narici invase da quell'invitante e ostico odore di decomposizione.
Alla fine di quel funerale cos silenzioso, senza i consueti suoni di pianti, nasi che
soffiano tra i fazzoletti e grida di disperazione, Tommy si incammin verso casa. A
pulire il sangue rappreso sul pavimento.
Solo.

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II.

Sposarsi con Susy Farmer fu una scelta piuttosto azzardata. Tommy la incontr per la
prima volta al Coffee Star, uno squattrinato locale con l'insegna a neon anni Sessanta
che stava per staccarsi dai montanti. Preparava caff nero a degli zotici camionisti che
se ne stavano ore a farle i complimenti per la perfetta rotondit geometrica del suo
sedere, elencando, poi, in maniera minuziosa e dettagliata, tutte le varie posizioni con
le quali se la sarebbero potuta scopare dentro gli scompartimenti dei loro furgoni. Da
quelle pi classiche a quelle pi sofisticate. Alcune apparivano addirittura romantiche.
Susy all'epoca era una timida ragazza di diciassette anni che viveva con sua nonna in
una fattoria. Allevava conigli e galline e, da poco, aveva scoperto che l'uccello dei
maschi non serviva soltanto per urinare. Le pesanti attenzioni che quel concentrato di
muscoli e ignoranza le riservava, su di lei non sortivano alcun affetto. Non riusciva a
provare ancora nessun tipo di attrazione sessuale nei confronti dell'altro sesso. Sua
nonna, l'arcigna e severa Rosmary O'Brien, le aveva insegnato a controllare le
tentazioni della carne, se non altro prima di sposarsi con un bel giovanotto ricco e di
buona famiglia in grado di mantenere lei e suoi figli finch morte non fosse
sopraggiunta.

Nipotina mia, il diavolo che ti costringer a consumare la tua verginit in qualche


squallido abitacolo con il primo alcolizzato di turno. Tu dovrai resistere. Cos come tua
nonna ha fatto prima di te. Prima di incontrare quel brav'uomo di tuo nonno, che Dio
lo abbia in gloria.

Susy aveva seguito alla lettera i consigli di sua nonna, l'unico modello educativo su cui
aveva potuto fare affidamento. I suoi genitori erano deceduti in un incidente di strada
quando lei era ancora un tenero fagotto di due anni. La signora O'Brien le aveva tenuto
nascosto per molti anni le dinamiche di quell'incidente. Fino al quindicesimo

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compleanno di Susy. E fu proprio Susy a rivolgerle quella domanda cos tanto temuta
da sua nonna.

Nonna, come sono morti i miei genitori?

La signora O'Brien fu quasi colta da un malore. Ricordare quell'episodio la devastava.


Aveva cercato in tutti modi di rimuovere e metabolizzare la morte della sua povera
figlia, ma senza ottenere alcun risultato. Accett il fatto che sua nipote avesse bisogno
di risposte. Era curiosa. Curiosa di scoprire quante pi cose possibili riguardo sua madre
e suo padre. Anche le pi terrificanti. Era diventata una ragazza, ormai. Una ragazza
che non aveva mai ricevuto l'affetto e le attenzioni dei suoi genitori. Cos, la signora
O'Brien, a malincuore e con un fazzoletto di stoffa stretto nella sua mano per asciugarsi
il naso, le rivel tutto.

Tu eri ancora una bellissima bimba di due anni. Avevi delle guance cos rosse che
Angela, mia figlia... Tua madre... se ne stava l ogni momento a strizzarle quasi come
se fossero dei limoni. E io che le dicevo sempre: Angela, cos fai male alla bambina, le
lasci i segni sul visino! Ma mia figlia sempre stata una testa calda, testarda come un
mulo. Come Arthur, d'altra parte.

Mio padre...

Si, tesoro mio. Tuo padre. Orgoglioso e fiero di aver sposato una donna cos...
meravigliosa. Cos bella. La mia bambina... Era un angelo. Il mio miracolo. Tu le
assomigli cos tanto, sai? Ha i suoi stessi capelli, color grano. I suoi stessi occhi e lo
sguardo attento e vigile, di chi ha sempre voglia di scoprire cose nuove. Hai il suo
stesso sorriso. Gentile e sincero. Mi manca, Susy. Mi manca la mia bambina.

Per la prima volta, Susy aveva visto sua nonna piangere. Non lo aveva mai fatto in sua
presenza. Quando ricorreva l'anniversario della morte di sua figlia Angela, si chiudeva

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in camera da letto, e usciva il giorno dopo. Con gli occhi gonfi e cerchiati. Aveva sempre
cercato di nascondere il suo dolore. Per sua nipote. Per non farla rattristire. Per farle
capire che nonna era una donna forte. Piena di energie e voglia di vivere. Che sarebbe
stata sempre al suo fianco. Cos come avrebbe voluto stare al fianco di sua figlia prima
che...

Un pazzo. Un degenerato. Un alcolizzato li ha investiti mentre stavano attraversando


la strada. Non stato un incidente, una distrazione o una svista. Il conducente di
quell'auto, quel dannato... bastardo... dopo averli presi in pieno ha inserito la
retromarcia, schiacciando i loro corpi, e passandoci sopra pi volte. Lo ha voluto. Ha
voluto ucciderli. A sangue freddo. Solo una persona si salvata da quello scempio.

Chi? Chi si salvato?

Tu, angelo mio. Eri dentro la carrozzina. Quando la macchina ha travolto tua madre,
sei balzata fuori, come un proiettile. Un miracolo... Saresti dovuta morire anche tu,
Susy. Quel figlio di puttana, prima di darsi alla fuga, ha ridotto a brandelli la tua
carrozzina, cos come ha fatto con i corpi di Angela e Arthur. Quando sono arrivati i
soccorsi, tua madre era ancora viva. Presentava gravi lesioni interne, il suo corpo era
quasi spezzato in due. Prima di morire, ha detto una sola frase. Una sola.

Cosa, nonna? Cosa ha detto?

Salvate prima lei. Salvate prima Susy.

La Signora Rosmary O'Brien mor due giorni dopo aver raccontato a sua nipote la
tragica vicenda dei coniugi Arthur e Angela Farmer.
Susy, ormai rimasta da sola, senza alcun parente ancora in vita, fu costretta a
rimboccarsi le maniche e trovarsi un lavoro per non morire di fame. Continu ad abitare
a casa di sua nonna e per due anni visse con la cospicua eredit che le aveva lasciato in

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banca. Quando si accorse che i soldi di nonna stavano per arrivare agli sgoccioli, Susy
riusc a trovare un posto di lavoro come barista nel locale in cui conobbe l'amore della
sua vita. Il suo per sempre felice e contenti: Tommy Joe Macomer.

Era una ragazza semplice. Acqua e sapone. Con quei capelli biondo grano, le guance
rosee e gli occhi vispi e attenti. A Tommy eccitava il modo in cui si vestiva a lavoro.
Con grembiuli larghi, per nascondere le sue forme. Le calze scure, le scarpe basse, di
pezza. Le ricordava tanto suo madre. Anche lei bionda. Anche lei timida e riservata.
Tommy si era innamorato di Susy Farmer. La desiderava. Ardentemente. E avrebbe
fatto qualsiasi cosa per conquistarla. Per appropriarsi di lei. Per possederla. Cos, una
sera, quando il locale era vuoto e stava per chiudere, trov il coraggio per avvicinarsi
al bancone. Lei stava sciacquando gli ultimi boccali di birra. Era di spalle. Non si
accorse di lui. Tommy diede una rapida sbirciata al posteriore della ragazza. Il piccolo
Tommy Joe sussult. Infil una mano nella tasca del pantalone e ne estrasse una lettera.
Susy si volt. Lo guard negli occhi. Le parvero tanto tristi. Come i suoi. Aveva un
aspetto trasandato. La barba incolta, i capelli arruffati. Not la busta bianca posata sul
bancone.
per te.
Riusc a dire solo quelle tre parole. E a Susy, cos gentile, cos buona, quelle tre parole
le bastarono. Apr la busta. E lesse:

Tu non mi conosci.
E io non conosco te.
Non so come sia potuto succedere,
ma ti amo.
Tommy J. Macomer.

Tommy spos Susy e la convinse ad andare a vivere a casa sua. La stessa casa in cui
vide il cadavere della madre riversa sul pavimento. Fecero l'amore. Per entrambi era la
loro prima volta. Susy non riusc mai a capire perch suo marito fissava la foto di sua

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madre, posta sul comodino vicino al letto, prima di raggiungere il coito. E non ebbe mai
il coraggio di chiederglielo. Tommy non parlava mai di sua madre. N tanto meno di
suo padre. Era a conoscenza della tragedia familiare, ma solo per sentito dire. Il paese
in cui vivevano era piccolo. E le voci giravano in fretta. Cos, fece finta di ignorare.
Amava troppo quell'uomo. Lo amava pi di s stessa. Ma il troppo amore, la troppa
passione, la rese cieca. Ignor troppe cose. Cose che non dovevano essere ignorate.
Ignorava quando lui la mordeva con cos tanta forza da strapparle la carne. solo per
gioco, Susy! Ignorava quando lui la chiamava con il nome di sua madre mentre
facevano l'amore. Ignorava le sue grida e suoi mugolii a notte fonda. Tuttavia, ci che
pi la terrorizzava, erano i suoi sguardi. A volte, quando lei passava lo straccio sul
pavimento, lui la fissava seduto sul divano. Con occhi truci. Colmi di astio e rancore.
Gli occhi di un assassino. Di un degenerato. Con quel cipiglio beffardo e maligno, quel
sorriso... cattivo.
Susy aveva ignorato troppe cose, e questo sbaglio le cost molto.
Questo sbaglio le cost la vita.

III.

Tommy non sembra aver paura della morte. Non crede nell'aldil, al paradiso o agli
angeli custodi. Eppure, non ha timore di togliersi la vita. Di sgozzarsi come un maiale.
Un taglio netto. Alla gola. Da lato a lato. Con la precisione e la manualit di un
macellaio.
Con la stessa precisione con cui ha mozzato la testa di sua moglie. Per poi strapparle la
lingua e cavarle gli occhi. Susy aveva trovato una lettera scritta dal padre di Tommy,
prima che un agente di polizia lo sparasse in testa. E ci che vi trov scritto la sconvolse
pi di qualsiasi altra cosa.

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Tu non mi conosci,
e io non conosco te.
Non so come sia potuto succedere,
ma ho ucciso una famiglia con la mia auto.
Quei figli di puttana non si volevano togliere dalla strada.
Poi sono tornato a casa, e ho ucciso mia moglie.
Ora uccider anche mio figlio.
Forse sono ubriaco, forse sono pazzo.
Un bacio.
Billy Joe Macomer "

Tommy stringe tra le mani quella lettera. Suo padre aveva massacrato la famiglia di sua
moglie. E lei avrebbe spifferato tutto alla polizia, infangando il nome della famiglia
Macomer. Infangando sua madre.

Senza lingua e senza occhi. Non dovevi vedere. Non dovevi parlare. Mia madre non
te lo avrebbe mai permesso. Io non te lo avrei permesso.

Tommy non sembra aver paura della morte. Cos si sgozza. Come un maiale. Un taglio
netto. Da lato a lato.

FINE

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INSOMNIA

I.

Ti prego Ges, fa stare meglio la mamma. Falla dormire di pi. Lei ha tanto sonno.
Solo che non riesce a riposare come me, e questa cosa la fa piangere. Io non voglio che
mamma pianga. Cantale una ninna nanna, come fa lei per farmi addormentare. Ti
prego Ges, io ti voglio bene. Ma perdonami se ti dico che io ne voglio di pi alla mia
mamma. tanto stanca. Ed tanto triste. Ti prometto che se la farai stare meglio dir
un'Ave Maria e un Padre Nostro tutti i giorni e tutte le domeniche verr in chiesa a
trovarti. Per tu, per favore, fa felice mamma. Ne ha tanto bisogno. Amen.

Josh era ancora in ginocchio sul pavimento della sua stanza, con le mani congiunte e i
gomiti appoggiati sul letto, quando sent uno strano rumore gi in cucina. Rumori di
passi. Passi veloci. E pesanti. Su quei mattoni freddi e cos dannatamente lisci sui quali
Josh scivolava quasi ogni giorno quando si svegliava tardi per la scuola e correva in
fretta e furia verso il tavolo per fare colazione.
TUM! TUM!
Josh si tir su e si rassett il pigiama sgualcito. Aveva paura. Forse erano entrati dei
ladri? O il mostro cattivo che non faceva dormire sua mamma? Beh, forse era giunto il
momento di dare una bella lezione a quel mostro cattivo. Di dargliene di sante ragioni
una volta per tutte. Si avvicin alla porta della stanza. Era chiusa. Sua madre la chiudeva
sempre. Vizio di famiglia. Poggi la pallida manina sulla maniglia.
TUM! TUM!
Dannato mostro! Se continua a fare tutto questo chiasso finir per far svegliare la
mamma!

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Josh abbass la maniglia, con cautela. Cercando di non far sfrigolare i meccanismi. Di
certo non voleva correre il rischio di far svegliare lui sua madre.
Lei si sarebbe arrabbiata.
Si sarebbe arrabbiata parecchio.
E Josh detestava i momenti in cui sua madre perdeva le staffe.
Diventava troppo aggressiva.
Apr la porta. La scala a chiocciola che conduceva al piano di sotto era immersa
nell'oscurit. Nessuna fonte di luce veniva accesa durante la notte. Tutti gli
elettrodomestici erano spenti. Anche il frigo. Qualsiasi suono o fascio di luce avrebbe
potuto interrompere il fragile sonno di Elisabeth. Ci significava che avrebbe dovuto
ingerire altri ansiolitici e sonniferi per riuscire a riaddormentarsi. Josh allung un piede
in avanti in cerca del primo scalino. Il cuore inizi a palpitargli nel petto. Lo stomaco
si chiuse. Deglut. Avvert un sapore metallico scorrergli lungo la trachea.
TUM! TUM!
Ora o mai pi
Josh si fece coraggio. Strinse i pugni. La resa dei conti era arrivata. Avrebbe salvato per
sempre sua madre da quel mostro terribile e cattivo. Aveva imparato un sacco di mosse
speciali guardando in TV lo show di Wrestling. Era pi che certo del successo della sua
impresa cavalleresca. Primo un pugno, poi un calcio, strizzata di capezzoli ed infine
l'incredibile calcio rotante del suo atleta preferito Lo Spacca Ossa che avrebbe steso
una volta per tutte quello stronzo.
Ed ecco a voi, Ladies and Gentleman, il terribile, il crudele, il pi forte, il pi
temibile... Lo Spaaaaaacca Ossa!
Josh si precipit gi per le scale. Due, tre gradini alla volta! Come se stesse correndo
verso il ring, con la folla che esultava, che applaudiva, che gridava il suo nome!
Forza Josh! Forza Josh! Forza Josh!
All'ultimo gradino, Josh si ferm. Le sue fantasie da undicenne vennero frantumate
dalla cruda e tetra realt che ora doveva affrontare.
Da solo. Al buio.

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C'era silenzio. Non si udivano pi suoni di passi. L'aria che Josh respirava era pesante.
Satura di ansia e paura. A causa del buio, riusciva a distinguere solo i profili e gli spigoli
della mobilia della cucina, e dell'orologio rotondo appeso al muro, al quale erano state
tolte le batterie per il fastidioso ticchettio della lancetta che scandiva i secondi. Anche
il pi fievole dei sospiri, la brezza invernale che scuoteva le foglie, il picchiare della
pioggia contro le finestre o lo scroscio dello scarico del cesso rappresentavano, per la
mamma di Josh, fonti di disturbo acustico.
Il ciclo di sonno di Elisabeth durava pressappoco solo due ore. E ci accadeva da quasi
sette mesi. Non riusciva a stare troppo tempo sdraiata sul letto. Avvertiva una sorta di
formicolio ai piedi. Scalciava, si dimenava. Come un neonato che aveva passato troppo
tempo all'interno della sua culla e cominciava a fare i capricci per uscirne e sgranchirsi
le gambe. Elisabeth restava sveglia fino alla mattina. Gli occhi gonfi, rossi e cerchiati.
Cercava in tutti modi di tenere le palpebre abbassate e riposarsi, ma qualcosa dentro di
lei glielo impediva. Lei credeva di essere posseduta da unentit malefica che
perseguitava la sua famiglia da generazioni. Sua madre era morta otto mesi dopo la
manifestazione degli stessi sintomi. Quasi la stessa sorte era capitata ad Agatha, sua
sorella minore. Anche lei non riusciva a trovare ristoro con il sonno e mor in mezzo
alla strada, investita da un tir. Elisabeth era consapevole che sarebbe morta da un
momento all'altro. Un cadavere. Un cadavere che ancora riusciva a camminare. Seppur
con fatica. La mancanza di sonno le offuscava la mente, come la nebbia sul parabrezza
di un'auto. Accusava di vuoti di memoria. Non ricordava cosa aveva fatto cinque minuti
dopo aver compiuto una determinata azione. La pancia era gonfia e dolorante perch
aveva difficolt a svuotare vescica e reni. La sua libido, il suo desiderio sessuale si era
spento. Annullato. Scomparso nel nulla. Cos com'era scomparso quel porco di suo
marito. Partito per il Brasile con una prostituta, indifferente di avere una moglie malata,
a met strada tra la sanit mentale e la pazzia.
Beth, non ti riconosco pi. La mia pazienza al limite. Sei diventata uno zombie,
Cristo! Non ne vali la pena. Neanche per una scopata ne vali la pena. Dato che non
riesci a fare neanche quello. E dannazione! Adesso ti pisci anche sopra, e pretendi che
io continui a dormire con te dentro lo stesso letto? Fanculo a te, e a quel ritardato di

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tuo figlio. Io me ne vado. Sono un avvocato degno di rispetto. E merito di meglio.
Arrivederci. Ritardata.
La sua vita era rinchiusa all'interno di una campana di vetro. La sua percezione della
realt era alterata e confusa. I suoni, i rumori, la stessa voce di suo figlio, le sembravano
provenire da lontano, da un altro luogo, sperduto nei profondi recessi della sua mente.
Elisabeth voleva solo dormire. Ne aveva bisogno. Non aveva pi il controllo del suo
corpo. Agiva solo per inerzia. Non cucinava, non puliva pi la casa, a volte si scordava
perfino di preparare il pranzo a Josh.
A volte, si dimenticava anche di avere un figlio.
E a questo, Josh, si era abituato gi da tempo. Faceva finta di nulla. Faceva finta quando
sua madre si addormentava mentre mangiava, per poi svegliarsi senza ricordarsi di
essersi assopita per pochi secondi. Faceva finta di niente quando la ascoltava parlare
con personaggi onirici che vedeva solo lei durante i momenti di sonnambulismo. Faceva
finta di avere una mamma identica a tutte le altre mamme. Solo un po' pi stanca e
strana. Molto bizzarra. Josh non dimentic mai l'ultimo giorno in cui lui e sua madre
erano usciti di casa per dirigersi al supermercato. Andarono a piedi, per ragioni di
sicurezza. Guidare una macchina in uno stato costante di semi-coscienza sarebbe stato
abbastanza rischioso.
Mamma, mi compri i datteri? aveva chiesto Josh, spalancando al massimo i suoi
grandi occhi marroni e sporgendo il labbro inferiore. Era una tecnica infallibile. Lui lo
chiamava il musetto succhia soldi di mamma. Per qualche strana ragione, Elizabeth
aveva sorriso a suo figlio. Per la prima volta. Un evento straordinario che non accadeva
forse da sei mesi. E quant'era bella, aveva subito pensato Josh.
Quella era la mamma di sempre.
La mamma com'era una volta. Prima dell'arrivo del mostro.
Per quanto io cerchi di sforzarmi, non riuscir mai a dirti di no se continuerai a fare
quel muso e quegli occhioni da cucciolo impaurito.
Neanche quando saremo stanchi e vecchi, mamma?
L'espressione di Elisabeth era cambiata, sindur. Quel fragile sorriso si spense in un
istante, come la fiamma di una candela travolta da una violenta corrente ascensionale.

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Stanchi e vecchi... La madre di Josh si sentiva gi stanca e vecchia. E certamente non
avrebbe vissuto cos tanto a lungo. Il mostro la stava mangiando dall'interno.
Quell'orribile creatura infernale che tormentava la sua famiglia senza aver compreso
ancora il motivo. Era dentro di lei. Lo sentiva. Lo sentiva mentre si divertiva a raschiare
la sua carne. A rosicchiare la sua anima come un sudicio e lercio ratto di fogna. La stava
consumando dall'interno.
Josh aveva notato l'improvviso cambio d'umore di sua madre, cos, ritornando tra i suoi
pensieri, aveva ripreso ad ignorarla pensieri. Ma avrebbe comunque continuato a starle
accanto. A proteggerla. Soprattutto ora che era diventato lui l'uomo di casa. Quello
stronzo di suo padre era andato via. Per sempre, a quanto aveva capito dalle urla dei
suoi genitori.
Mamma, sto andando a prendere i datteri.
Josh aveva lasciato sua madre sola per qualche istante. Giusto il tempo per trovare lo
scaffale in cui erano posti i datteri. Ma Elisabeth si sentiva cadere a pezzi. Aveva
l'impressione che, da un momento all'altro, tutto il suo corpo si sarebbe frantumato,
distrutto. Le sue palpebre si erano appesantite. Stavano per chiudersi. Finalmente il suo
corpo si stava per addormentare. Dopo cos tanto tempo. Ed Elisabeth, non stava
aspettando altro che questo: dormire.
Dopo parecchi giri di perlustrazione, Josh l'aveva ritrovata in posizione fetale dentro il
banco del pesce surgelato. Si era addormentata. Accanto a salmoni, tonni e anguille.
Da quel giorno, la nonna di Josh, nonch la madre del suo ex pap, proib a entrambi di
uscire di casa finch la situazione familiare non fosse migliorata.
Non vi lascer morire di fame come ha fatto quel bastardo, codardo e fallito di mio
figlio. Se mio marito fosse ancora in vita, gli avrebbe infilato su per il culo quel
dottorato di cui ne va cos fiero. Ci pensa nonna Annabelle ad occuparsi della spesa,
nipote mio. Tu pensa a prenderti cura di mamma.

Lo faccio sempre, nonna. Tutti i giorni.

21
II.

Ma ora Josh avrebbe tanto voluto non essere solo. Il mostro era vicino. Lo sentiva.
Percepiva il fetore rancido del suo sudore. L'olezzo pungente di urina e feci. Il respiro
roco. Profondo. Era pronto a balzare fuori dall'oscurit. A mordere. Uccidere. Stava per
flettere le gambe. Digrignare i suoi denti affilati. Josh si alz le maniche del pigiama.
Pronto a sferrare il pi temibile dei sui pugni.
Avanti, stupido mostro! Cosa aspetti? Attaccami!
TUM! TUM!
Passi veloci. Rapidi. Scattanti. E Josh lo vide. Emerse dalle tenebre. Di fronte a lui. Una
figura lunga e alta. Magra. I lunghi capelli corvini coprivano il suo viso deturpato. La
creatura lanci un urlo. Uno strillo acuto. Feroce. Corse verso di lui. La veste bianca e
trasparente che sfiorava le caviglie ossute. Josh fece qualche passo indietro. Inciamp
su un gradino. Di spalle. La creatura allung le braccia. Stese gli artigli nodosi come i
rami di una quercia.
Vattene via! Aaarrrgh!
Il mostro si avvent sul gracile corpo di Josh. Strinse le mani intorno al suo collo. Con
forza. Josh strabuzz gli occhi. Annasp. Divent paonazzo. Avrebbe voluto gridare,
ma non aveva pi fiato nei polmoni. Le ciocche unte e grasse del mostro gli
solleticavano il viso. Un filo di bava col dalle sue fauci aperte, allungandosi fin dentro
la bocca di Josh. L'alito della creatura era pesante, stantio. Nauseabondo. Josh tentava
in tutti i modi di reagire, di sottrarsi alla morsa letale di quell'essere infernale. Possedeva
una forza inaudita. Josh si rese conto che il calcio rotante di Spacca Ossa non sarebbe
bastato a mettere KO il suo avversario. Non riusciva pi a inspirare ossigeno. La vista
cominciava ad annebbiarsi. I battiti del cuore rallentarono. Le palpitazioni erano deboli.
Josh stava morendo.
Non puoi vincere tu. Non ti lascer solo con la mamma.

22
E poi la ud. La sua voce.
Sottile e fragile come la fresca brezza in una calda giornata di agosto. La voce di sua
madre.
Cos distante da lui.
Josh stava andando via.
Volava! Lontano.
Librandosi nel cielo, volteggiando tra le nuvole bianche.
Quanta pace che c'era lass.
E non aveva alcuna voglia di lasciare quel luogo.
Cos tranquillo, sereno. Quieto.
In cui avrebbe ritrovato la sua agognata serenit.
Magari avrebbe portato con s sua mamma.
E non avrebbero mai smesso di ridere.
Neanche quando sarebbero diventati vecchi e stanchi.
Josh! Oh, Cristo! JOSH! Santo cielo! Apri gli occhi! Ti prego, Josh! Ti prego!
Josh spalanc le palpebre. Toss. Sput saliva succhi gastrici. E la vide. Sua mamma.
In ginocchio. Di fronte a lui. Lo stava scuotendo per le spalle. Nella stessa posizione
con cui qualche secondo prima la creatura lo stava soffocando.
Mamma! Ce l'hai fatta! Hai ucciso il mostro! Lo hai ucciso! Finalmente se ne andato
via! esult Josh.
Ma Elisabeth non aveva la stessa espressione felice come quella scolpita sul viso di
Josh. Elisabeth era sconvolta. Gli occhi gonfi di lacrime e disperazione. E di sonno,
ovviamente. Di quasi sette mesi di sonno arretrato.
Mamma, perch piangi? Hai sconfitto il mostro! Non starai pi male! Adesso starai
bene! Domani potremo andare a fare la spesa insieme, e poi...
Sta zitto!
CIAF!
Elisabeth tir uno schiaffo sul volto di Josh.
Non c'era nessun mostro, Josh! Ero io! Ti stavo per uccidere, hai capito? Tua... tua
madre... ti stava...

23
Josh osserv sua madre coprirsi la faccia con le mani e scoppiare a piangere. Non
provava compassione. N piet. Era solo deluso. Non esisteva nessun mostro. Nessuna
creatura con gli artigli affilati e le zanne spaventose. Sua madre avrebbe continuato a
stare male. E per di pi, aveva anche cercato di ammazzarlo. E c' era andata vicina.
Molto vicina.

III.

Elisabeth non aveva mai avuto intenzione di uccidere suo figlio. Lei era sonnambula.
Si era alzata dal letto. Aveva cominciato a correre lungo tutta la cucina, sognando di
essere inseguita dal demone che perseguitava la sua famiglia. Finch non aveva deciso
di affrontarlo. Solo che le immagini oniriche si erano confuse con quelle reali. Aveva
scambiato Josh per il demone. Attaccandolo. Stritolando la sua carotide con tutta la
forza che le rimaneva nelle braccia. La sua malattia, per quanto terrificante fosse, le
aveva concesso un momento di lucidit. Erano state le urla strazianti di Josh a
svegliarla. Lo aveva quasi asfissiato con le sue sporche e luride mani. Suo figlio aveva
ancora i segni rossi delle sue dita impresse sul collo. Come un macabro tatuaggio. Ed
Elisabeth, in quel preciso istante, cap che era giunto il momento di annientare per
sempre quel demone che dimorava dentro la sua anima. E per farlo, c'era una sola
alternativa. Una sola possibilit.
Elisabeth era sdraiata sul letto matrimoniale che un tempo condivideva con suo marito.
Era ferma. Immobile. Dentro la sua vestaglia bianca da notte. Il viso pallido, cereo.
Scarno. Tutto il suo corpo si stava consumando. Non aveva pi le forme che ogni donna
desidererebbe avere. Il seno si era appiattito, i glutei si erano rinsecchiti. Era diventata
una foglia marcia. Calpestata pi volte da un gruppo di turisti cinesi.
Vicino a lei, raggomitolato su una sedia, Josh se ne stava in silenzio. Aveva una siringa
vuota in mano. La stringeva con tenacia. Quasi a volerla spezzare, distruggerla.

24
Josh...tesoro. Fallo, ti prego.
Mamma possiamo dirlo a nonna. Lei ci pu aiutare. Ti possiamo portare dal dottore.
Sono stata visitata da tantissimi dottori, Josh. E nessuno... nessuno... ha idea di quale
malattia mi stia uccidendo.
E allora andremo da altri tantissimi dottori.
No, Josh. Non c' pi niente da fare. Io...lo sento. Sto per andarmene via. Josh... ho
tanto sonno. Tanto... E io non voglio pi rischiare che per causa mia ti possa capitare
qualcosa di orribile. Sei mio figlio, Josh... E ti amo.
Ma tu non volevi uccidermi, mamma. Io so che tu non volevi...
Josh...
Elisabeth allung un braccio. Lo stese sul lenzuolo. Guardava suo figlio con lo stesso
colore degli occhi con cui lui le ricambiava lo sguardo. Una lacrima solc i loro visi.
Ma Josh si accorse che stava succedendo qualcosa di inaspettato. Sua mamma...
sembrava felice. Irradiava luce. Come un angelo.
Dopo che far questa cosa... dormirai di nuovo?
Si, Josh. Ma sar un sonno diverso da quello a cui sei abituato. Mamma non si
sveglier pi accanto a te. Ma in posto diverso. Pieno di luce. E con vaste distese di
fiori di campo. E io rester l. Ad aspettarti.
E quando potremo rivederci di nuovo, mamma?
Quando anche tu dormirai in modo diverso, Josh.
Elisabeth sorrise. E Josh cap che era arrivato il momento di distruggere il mostro che
abitava dentro di lei. Si avvicin al braccio di sua madre. Conficc la punta dell'ago in
una vena.
Nonna si prender cura di te Josh. Magari meglio di me.
Quando staremo in quel luogo rideremo per sempre?
Elisabeth annu.
Anche quando saremo vecchi e stanchi?
Vecchi, stanchi e insieme.
Josh spinse lo stantuffo pieno di aria nel flusso sanguigno di sua madre.
Non ci volle molto.

25
Elisabeth chiuse gli occhi. E si addorment.

IV.

"Grazie Ges. Grazie per aver ascoltato le mie preghiere. Come promesso andr tutti
i giorni in chiesa e reciter un'Ave Maria e un Padre Nostro prima di andare a letto.
La mamma ora felice. con te adesso. Puoi dirle di venirmi a trovare qualche volta?
Lei sa come fare. ' la mia mamma. Lo sa per forza. La nonna mi dice di stare
tranquillo. Mi vuole bene, s. Ma la mamma mi manca. Tutti i giorni. Mi sono preso
cura di lei. L'ho protetta. E ora farei di tutto per avere un suo bacio. Dille che la amo.
Stanchi, vecchi e insieme. Amen".

FINE

26
POSSESSIONE

I.

Londra, 1888

Una voce roca, gutturale e gracchiante echeggi dentro la sontuosa camera da letto della
signorina Lily Charter.
Infilati quelle luride dita nella fica, stupida cagna!
Lily trasse un profondo respiro, come se fosse stata colta da un attacco di asfissia.
Lanci un grido, fievole. Spalanc gli occhi. Alz la schiena di scatto, rigida come una
stecca di biliardo. Digrign i denti. Si abbandon sui cuscini di piuma, con la testa
poggiata sulla parete fredda.
Vi ho forse arrecato disturbo, stupida puttana? Sono stato scortese? Poco galante?
Perdonate la mia insolenza, Miss Charter.
Lily si mise le mani sulle orecchie, premendole con forza. Tremava. In preda a violenti
singulti. Gli spasmi muscolari sconvolsero anche il suo viso gioviale e rubicondo, che
ora sussultava, vibrava, travolto da violenti tic nervosi. Le palpebre sbattevano in
ritardo l'una rispetto all'altra. La bocca si apriva e si chiudeva senza che alcuna parola
fosse stata ancora pronunciata. Respirava con fatica. Con affanno.
Povera, la mia piccola, dolce Lily. Cos gracile. Cos... sola! Con la sua folta chioma
rossa. Come le fiamme dell'inferno. Come la carne straziata e il sangue secco rappreso
intorno alla tua vagina. Hai goduto, stupida cagna? Dopo che quel baldo e goliardico
contadino ti ha deflorato con cotanta vigorosit? Si, che hai goduto. I tuoi ansimi di
piacere erano udibili fin dentro i profondi antri della mia dimora.
Seduta sul suo morbido materasso matrimoniale, coperta fino alle gambe da calde
coperte di lana e lenzuola di seta, Lily la intravide. L, nell'oscurit. In fondo alla

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camera. Proprio di fronte a lei. L'Ombra. Il Diavolo. Lucifero. Si stagliava fin sopra il
soffitto. Nera. Informe. Si riuscivano a distinguere solo i lineamenti antropomorfi di
braccia e gambe. Parevano dei tentacoli oscuri, sottili. Il volto era impossibile da
delineare. Era avvolto anch'esso nel nero. Come gli squallidi sobborghi di Whitechaple.
Questa casa mia. VATTENE VIA! BESTIA!
L'Ombra emise una sorta di macabra risata. Perversa. Fredda. Simile al lamento
perpetuo di anime dannate. Maciullate e scorticate dal lento e imperituro turbinio di
peccati e rimorsi.
Andarmene? Lily, non oserei mai abbandonarti. E poi, mi risulterebbe alquanto
impossibile adempiere alla tua richiesta. Io sono dentro di te, stupida cagna. Il tuo
corpo, il tuo spirito. Mi appartengono. Essi sono la mia dimora. La mia casa. La mia
fonte di piacere e di lussuria.
Lily avvert un brivido lungo la spina dorsale. Avvertiva una presenza alle sue spalle.
Dietro il suo collo. L'alito e il respiro roco di un'entit invisibile. Percepiva i suoi artigli.
Sfrigolarle la pelle. Dilaniarla. Lacerando carne, ossa. Fino a scorticale l'anima.
Tu... Tu sei solo ombra! Ombra e fumo!
D'un tratto la camera trem. Come scossa da un violento terremoto. L'armadio avanz
di qualche centimetro in avanti, traballando. Le ante si aprirono. I pregiati vestiti di Lily
si riversarono sul pavimento. Il candelabro appeso al soffitto oscillava, con un sinistro
cigolio della catena corrosa dalla ruggine. Il crocifisso appeso alla parete si capovolse.
Si infiamm. Il legno preso subito fuoco. La statuina di plastica che raffigurava il Cristo
si sciolse tra quelle che sembravano le fiamme dell'Ade. E poi, la voce dell'Ombra tuon
la sua ira. La sua furia: Io dimoro nella tua anima. E nella tua anima io marcir!
La porta della camera si spalanc. Apparve una signora con indosso una vestaglia da
notte. I capelli raccolti sul capo con un fermaglio. Cacci un urlo. La scena che vide la
sconvolse. Sua figlia, la sua amatissima figlia, se ne stava in piedi, sul letto. Il collo
piegato di lato. La bocca aperta, quasi come fosse sul punto di lanciare uno strillo. Gli
occhi sbarrati e neri. Dilatati. Le pupille oscuravano del tutto il bianco della sclera. Il
viso pallido, scarno. Con movimenti meccanici, aracnidi e incerti si sfil la vestaglia.
Rimase nuda. Si palp un seno. Con la lingua si inumid il labbro superiore,

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ammiccando sguardi sensuali. Con la mano scese fino all'ombelico, per poi sfiorare il
clitoride.
Donna, guarda cosa hai fatto a quella stupida cagna di tua figlia!

II.

Tre mesi fa, Londra.

Matthew McConaughey batteva i denti a causa del vento gelido che sferzava sulla sua
pelle. Si riscaldava le braccia scoperte sfregandole con le mani. Avanzava per il
quartiere di Whitechaple con circospezione. Guardandosi intorno. Intimorito. Era
appena riuscito a svignarsela da un luogo in cui era stato rinchiuso per quindici anni.
Quindici. Un' intera vita. Ma c' l'aveva fatta. Molti dei suoi amici che prima di lui
avevano tentato di compiere la sua stessa impresa, erano stati catturati all'istante. Per
poi essere sottoposti a punizioni... terribili. Scalfiti su quasi tutto il corpo di Matthew,
erano visibili ancora i segni provocati da tali torture. Frustate. Percosse. Persino
violenze sessuali.

Lurida carogna. Verme. Pagherai. Oh, s. La pagherai molto cara, dottore.

Matthew sapeva di essere ricercato dalla polizia. Cos come era consapevole del fatto
che sarebbe stato catturato e ucciso. Ammazzato. Giustiziato. Ma non gli importava.
Doveva farlo. A tutti costi. Anche a costo di essere appeso alla forca. Ormai non aveva
pi nulla da perdere. Era solo. Senza amici, senza genitori, senza pi una famiglia. Solo.
Preferiva passare a miglior vita che trascorrere un'intera esistenza a mendicare sotto il
ponte del Tamigi, cercando di raccogliere qualche spicciolo per potersi permettere un
tozzo di pane. Ma prima, doveva trovare quella casa. Entrarci dentro. E sfogare alla sua

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ira. Alla sua rabbia. Ogni emozione, o pulsione che era stato costretto a reprimere dentro
quella dannata cella senza finestre. Aveva ucciso un uomo per poter scappare da quel
posto maledetto. Con la sola forza delle sue mani. Soffocandolo. Mordendo il suo collo.
Strappandogli la carne. D'altronde era un pazzo criminale. Un uomo pericoloso. O,
come aveva detto sua madre prima di abbandonarlo:

un degenerato, signore. Un mentecatto. Ho perso la pazienza. Sono una donna sola,


il mio povero marito morto in mare. Non riesco pi a tenerlo a bada. Dice di sentire
voci che solo lui sente. Di vedere persone che solo lui vede. posseduto, signor dottore.
Il demonio dentro di lui. Dentro la mia casa non ce lo voglio pi. vostro. Fate di lui
ci che volete. Per me non pi mio figlio. Anzi. Io non ho mai avuto un figlio. Ma una
bestia.

Matthew voleva ancora bene a sua madre. Gli mancava. La amava. Era una donna
ignorante. Senza istruzione. Molto superstiziosa e fedele alla Chiesa Cattolica Romana.
E ai precetti proferiti da quei preti. Uomini subdoli, stupidi. Lussuriosi e perversi. Non
colpevolizzava sua madre per lo strazio e le sofferenze che era stato costretto a subire
per quindici anni. Ma il dottore a cui sua madre si era rivolta. James King. Era suo
compito capire che non era un malato di mente. Che non era un pazzo criminale. Che
era sano. Un ragazzo normale. Senza visitarlo, senza proferire alcuna parola, senza
porgli nemmeno una domanda, lo aveva sbattuto in gabbia come un animale. Una
bestia. Matthew venne a conoscenza della propria diagnosi solo qualche giorno dopo.
Il dottor King aveva aperto la cella con una chiave appesa alla sua cintura. Aveva un
aspetto curato. Ordinato. Con i suoi capelli pettinati con una precisione quasi maniacale.
Aveva addosso abiti costosi. E un profumo pungente. Odioso.

Signor McConaughey, voi siete rinchiuso nel Bedlam Royal Hospital. Resterete qui
finch la malattia mentale da cui siete afflitto non sar del tutto scomparsa.

Io non sono afflitto da alcuna malattia, idiota di un dottore.

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comprensibile la sua affermazione. I pazzi non sanno di essere pazzi. Altrimenti voi
non sareste qui. E io mi ritroverei senza un lavoro.

Io sono posseduto. Lucifero dentro di me.

Dentro di voi c' solo sangue, carne ed ossa, signor McConaughey. Lucifero troppo
impegnato a spargere pestilenze ed epidemie. Non credo che abbia tempo da perdere
con un malato di mente.

Ma mia madre ha detto che...

Vostra madre un medico, signor McConaughey? una psichiatra? Io non credo


affatto. Voi soffrite di un disturbo comportamentale noto come schizofrenia paranoide.
Essa si manifesta con allucinazioni visive e uditive, dissociazione dalla realt,
personalit bipolare. La sintomatologia corrisponde perfettamente con il suo quadro
clinico. Voi non siete posseduto. In questo ospedale rispettiamo e seguiamo le
dimostrazioni empiriche dettate dalla scienza. Non prestiamo attenzione a stupide
credenze religiose. Qui non c' Dio, signor McConaughey. Ci siamo solo noi. E la
nostra esperienza in campo psichiatrico. E ci dovrebbe rassicurarvi parecchio.
Lasciate perdere Dio, gli Angeli o i Demoni. Sar io il vostro Dio. E il vostro demone.

Mentre posava i piedi scoperti e lerci sull'asfalto umido, Matthew non riusc a trattenersi
dallo sghignazzare. Il dottor King avrebbe dovuto prestare ascolto alle parole di quella
donna cos esausta e triste. Avrebbe dovuto farlo. Perch ora sconter le conseguenze
dei suoi peccati.
Non ci volle molto per trovare la lussuosa villa del dottor King in mezzo a tutte quelle
squallide catapecchie poste a schiera all'interno del quartiere pi malfamato di Londra.
Si stagliava sgargiante e impetuosa sotto le nuvole grigie e temporalesche di quella
gelida notte di ottobre.

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Era giunto il suo momento. La sua vendetta sarebbe stata esemplare. Matthew raggiunse
la finestra della villa. La frantum con un colpo di gomito. I pezzi di vetro gli si
conficcarono nella carne. Ma l'euforia spense i suoi centri del dolore. Nulla lo avrebbe
fermato. Nulla. Quello era il suo momento. Suo soltanto. Chiunque si fosse frapposto
tra lui e il suo obiettivo sarebbe morto all'istante. Con un salto scavalc l'inferriata ed
entr in casa. Il soggiorno maestoso addobbato con tappeti, mobili antichi e arazzi
appesi alla parete era privo di illuminazione. Il candelabro era spento. Le finestre,
tranne quella che aveva appena rotto, erano coperte da lunghe tende rosse. Si mosse
con cautela. Cercando di non fare alcun rumore. Nonostante ci fosse solo buio, i suoi
occhi riuscirono a distinguere i gradini di una scala che conduceva al piano di sopra. Si
avvicin ad essa. Con passi cauti. E silenziosi. Il dottore doveva trovarsi nella sua
camera da letto. Abbracciato a sua moglie. Magari stavano facendo l'amore. Poco gli
importava. Poteva anche stare sveglio. Sarebbe stato pi gradevole ed eccitante. Sal le
scale, facendo attenzione a non far scricchiolare il legno degli scalini sotto i suoi piedi.
Quando arriv in cima, un lungo corridoio si estendeva su due lati. C'erano due porte.
Una a destra e una sinistra. Matthew decise di dirigersi in quella posta sulla destra.
Abbass la maniglia. Ed entr. La stanza era piccola rispetto al soggiorno spazioso. Sul
pavimento erano sparsi giochi per bimbi, bambole e una pallina da golf. C'era anche un
letto. Su di esso una ragazzina. Di dieci anni, forse. Dormiva supina, con la testa
poggiata su due cuscini. E cos, il caro dottor King aveva anche una figlia. Cos
graziosa. Cos ingenua. Senza colpe. Peccato. Un vero peccato. Ma Matthew la
strangol senza pensarci troppo. Strinse le lunghe dite sul gracile collo della sua vittima.
Per un momento la ragazzina sgran gli occhi. Guard il viso del suo assassino.
Orrendo. Deforme. Pallido. Sembrava un cadavere. Tent di gridare, di urlare. Ma la
stretta di Matthew glielo imped. Perse i sensi nel giro di pochi minuti. Matthew non si
ritenne soddisfatto. Cos le tolse le coperte. La spogli. Gett il pigiama in mezzo alle
cianfrusaglie sparse per la stanza. Le tolse le mutandine. Sal sul suo corpo. Le
accarezz il viso. Cos soffice. E freddo. Il rossore delle sue guance stava svanendo.
Poi la violent. Come un animale. Una creatura infima e reietta. E gli piacque. Il letto
cigolava. Il frastuono avrebbe potuto svegliare il dottore. Ma Matthew non voleva

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smettere. Spingeva le sue anche e i suoi glutei con una violenza selvaggia. E perversa.
Il corpicino della bambina rimbalzava sul materasso come una bambola di pezza. Stava
per morire. Forse era ancora in vita. Poteva essere salvata. Ma Matthew la tempest di
pugni. Ovunque. Sulla testa. Sul petto. In faccia. Ai fianchi. Godeva nel farlo.
Raggiunse anche l'orgasmo. Finch non sent un urlo alle sue spalle. Un grido
straziante.
Si volt. Era una donna. Avvolta tra le coperte. Matthew scese dal letto e si scagli su
di lei. Con un morso le azzann il collo. Squart pelle e carne. Le tir un pugno nello
stomaco. La donna si pieg. Cadde in ginocchio. Il sangue schizzava dall'aorta.
Matthew le afferr i capelli. Le tir su la testa. Poi le addent la giugulare. Strapp
lembi di pelle e cartilagine. Li mastic. Mangiandoli.
La donna si accasci a terra. Sui mattoni si cre una pozzanghera di sangue. Con un
piede, Matthew le sfond il cranio. Ce l'aveva fatta. Il suo compito era concluso. Adesso
era felice. Soddisfatto della sua opera. Della sua maestria. Della sua forza. Il suo intento
era quello di uccidere il dottor King. Ma decise di lasciarlo vivere. La sua famiglia era
morta. Avrebbe sofferto. Per tutta la vita. Da solo.

Lucifero, mio signore. Sono degno di partecipare alla tua mensa. D soltanto una
parola. Ed io sar dannato.

III.

Il dottor King fumava un sigaro seduto sul divano del suo soggiorno. Aveva fatto
riparare la finestra distrutta tre mesi fa da un pazzo scappato da un ospedale psichiatrico.
Gett una boccata di fumo. Ricordare quell'episodio gli provocava una serie di
emozioni contrastanti. Rabbia e tristezza. Disperazione e ansia. Sua moglie e sua figlia
giacevano sepolte sotto terra. Le bare vicine. Le lapidi ancora fresche. E lui ora dormiva
da solo su quel letto troppo grande, in quella casa troppo spaziosa. Pensava in

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continuazione a come sarebbero andate le cose se quella notte lui non fosse rimasto a
lavoro. Se lui fosse rientrato all'ora di cena. Forse avrebbe potuto uccidere quel pazzo
degenerato prima di mettere le sue disgustose mani su quelle di sua moglie e di sua
figlia. Forse lo avrebbe trucidato, massacrato. Quanto avrebbe voluto farlo. Ma
purtroppo, Matthew McConaughey si era suicidato poco dopo aver commesso il duplice
omicidio. Si era sgozzato con una mannaia trovata nello scaffale della cucina. Posta
vicino al soggiorno. Proprio dove ora il dottor King creava cerchi di fumo con il suo
sigaro. Matthew fu un suo paziente. Al direttore del Bedlam spieg che accusava di
schizofrenia paranoide, che non era di certo un criminale pericoloso. Si era sbagliato.
Uno sbaglio che gli era costato molto. Se avesse esaminato pi a fondo la mente di quel
pervertito, avrebbe trovato il marcio che si annidava tra i recessi del suo inconscio.
Gli avrebbe somministrato pi morfina, lo avrebbe incatenato al muro. E la sua bambina
starebbe ancora giocando con le sue bambole di porcellana e sua moglie starebbe in
cucina a preparare il caff.
La prima pagina del Times che trattava dell'omicidio avvenuto in casa sua, era ancora
posato sulla scrivania. Il dottor King non aveva mai letto cos tante fandonie in tutta la
sua carriera da medico:

M
atthew McConaughey stato per circa quindici anni
rinchiuso in una cella del Bedlam Royal Hospital. La
sera del 24 ottobre evaso dalla sua cella,
strangolando il custode. Poi, si diretto verso l'abitazione del
Dottor King, psichiatra presso lo stesso istituto in cui era detenuto
l'assassino. Una volta forzata la finestra, si introdotto
nell'abitazione. La prima vittima stata la giovane Stasy King.
McConaughey l'ha prima strangolata e poi stuprata. Segni di
cannibalismo sono stati invece ritrovati sul corpo della seconda
vittima, Margareth Scott. Gli agenti di polizia hanno riferito che la

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donna presentava segni di denti umani sulla carotide e in
prossimit dell'orecchio destro. La scabrosit di questo crimine ha
sconcertato molti medici e psichiatri i quali hanno riferito che
nessun malato di mente ha mai manifestato comportamenti cos
truculenti, malsani e perversi. Padre Jacobs ha cos riferito durante
un'intervista: Matthew McConaughey non era un malato di
mente. Non aveva perso il senno o il lume della ragione. Eseguiva
gli ordini del Maligno. Altro non era che una marionetta gestita
dalle mani malvagie di Lucifero. Se si accetta questa realt,
comprendere le azioni che hanno spinto quell'uomo a commettere
una simile atrocit non risulter affatto complicato. Il suo intento
era quello di affliggere dolore. E ci riuscito. Inutile andare alla
ricerca di altri moventi. Il Diavolo non ha bisogno di moventi. O
scuse. Agisce e basta. Se mi permettete di esprimere un mio
personale giudizio, questo efferato omicidio ha clamorosamente
declassato questa nuova scienza chiamata psichiatria. Solo Dio pu
scrutare dentro il cuore degli uomini. Questi pseudo stregoni,
questi... psichiatri, che affermano di poter interpretare i sogni, di
saper curare la mente con l'utilizzo di medicinali oppiacei,
dovrebbero pregare di pi Nostro Signore il Cristo. Chi uccide un
altro essere vivente solo una bestia. E le bestie non si curano. Si
abbattono.

Qualcuno suon il campanello. James sussult. Si dest dai suoi pensieri. Il sigaro si
era consumato quasi del tutto, la cenere stava per cedere alla forza di gravit. Il dottore
si pieg verso la scrivania e spense il mozzicone in un posacenere di marmo. Si alz
dal divano e si diresse verso l'entrata. Non aspettava nessuno. Dopo la morte della sua
famiglia, non gradiva ricevere visite di alcun genere, nemmeno dai parenti. La

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solitudine era la sua cura. Avrebbe rielaborato il lutto a modo suo e non come
suggerivano i voluminosi compendi di psicoanalisi.
Apr la porta. E tra tutte le persone che si aspettava di vedere, non avrebbe mai creduto
che fuori l'uscio della sua villa ci fosse ad attenderlo il direttore del Bedlam.
Buon pomeriggio, James. Disturbo?
Affatto, dottor Monroe. Prego, accomodatevi.
James si scost per far entrare il suo inaspettato ospite. Era un uomo alto e smilzo. Con
un paio di lenti rotonde posate sul suo naso adunco, dal quale si allungavano dei lunghi
baffi neri. Nonostante il dottor Thomas Monroe avesse solo trent'anni, era uno degli
scienziati pi ricchi di Londra. Tanto ricco da potersi permettere abiti costosi e raffinati.
Con un orologio d'oro da taschino che sembrava emanasse luce propria. Thomas si
ferm a osservare il vasto soggiorno. Del fumo usciva dalle braci di un camino spento.
I mobili erano velati da un sottile strato di polvere. Sul pavimento not anche qualche
minuscolo frammento di vetro.
In questa casa si avverte molto l'assenza di una donna, non siete d'accordo con me
James?
Il dottor King fiss i freddi occhi di ghiaccio del suo datore di lavoro. Impenetrabili.
Sotto i suoi baffi a ricciolo si allarg un sorriso infido, ironico.
<<L'assenza di una donna non si avverte solo in questa casa, dottor Monroe. Ma anche
dentro di me. Prego, sedetevi.>>
Il direttore del Bedlam, si sedette su una poltrona posta dietro la scrivania. Thomas
prese posto sul suo divano.
la prima volta che non sostengo una conversazione nel mio studio. Vedervi seduto a
gambe incrociate, quasi foste un direttore o un ricco signorotto, mi delizia dottor King.
Voi siete ospite nella mia casa, Monroe. Questo non il vostro manicomio.
Thomas pieg il capo sullo schienale della poltrona, ridendo.
Suvvia, James! Manicomio? un elegante residence per malati di mente. O preferite
che i nostri pazienti vagabondino per le strade del Regno nudi, affamati e con il pericolo
che possano aggredire qualche contadino o una prostituta di Whitechaple? Abbiamo gi
avuto un assassino che ha quasi sterminato tutte le puttane di Londra.

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I vostri metodi terapeutici, dottor Monroe, se mi permettete, sono alquanto scabrosi e
degenerati tanto quanto i vostri detenuti.
Monroe non profer parola. Si azzitt. La sua espressione subdola e sorniona divenne
irascibile.
Quel patetico ometto osava criticare il suo lavoro. Il suo metodo. James si accorse di
aver offeso il direttore, cos domand: Cosa volete da me, Monroe.
Che voi torniate a lavoro. Mi servite.
Non sono indispensabile. Avete un buon numero di infermieri che pu occuparsi dei
pazienti nel modo pi adeguato e civile.
Il vostro sarcasmo cos pungente, dottor King. Eppure, ho bisogno di voi. Una donna
stamattina si scaraventata con una certa maleducazione nel mio studio. Afferma che
sua figlia scappata di casa. Afferma anche di essere.... Indovinate un po', dottor King!
Muoio dalla voglia di vedere la vostra espressione!
Cosa, Monroe. Cosa afferma?
Di essere posseduta.
Il viso di James si impallid.
Ho pensato che dopo il vostro ultimo.... ecco, inconveniente, aveste desiderio di
esaminare voi stesso quelli che sembrano essere gli stessi sintomi manifestati dal nostro
beneamato ex paziente. Il signor Matthew McConaughey. Vi ricordate del signor
McConaughey, dottor King?
Ovviamente.
Cosa aspettate allora? Venite con me a visitarla, santo cielo! da tre mesi che non
uscite da questa stanza. Avete bisogno di cambiare aria, dottore. Di distrarvi. Siete uno
psichiatra, dovreste saperlo, dannazione!
James sbatt un pugno sulla scrivania. Poi, furioso, esclam: Io sono un uomo che ha
perso una moglie e una figlia! A causa di un detenuto rinchiuso nel vostro maledetto
ospedale! Come osate chiedermi di ritornare in quel luogo dannato? Ad occuparmi di
un paziente che manifesta gli stessi sintomi di quel figlio di puttana che ha messo le sue
sudice mani sulla mia famiglia?

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Il dottor Monroe si tolse gli occhiali dal naso aquilino, per pulirli con un fazzoletto di
stoffa estratto dalla tasca del suo panciotto. Non sembrava affatto turbato dall'attacco
d'ira di James. Anzi, mostrava tranquillit. D'altronde, udiva schiamazzi, strida e
lamenti tutti i giorni. I suoi pazienti erano parecchio fastidiosi. E insopportabili. Se
questi non rappresentassero la sua fonte di guadagno, li avrebbe gi cacciati via.
Dottor King... James. Voi siete il miglior psichiatra di tutta Londra. L'unico a cui posso
chiedere una consulenza. Sono venuto da voi perch la madre della ragazza era
disperata. Perch ha chiesto, ha.... supplicato il mio aiuto. Solo che non riesco a
comprendere di quale malattia ella sia affetta. I sintomi mi appaiono sconosciuti. Parla
lingue morte, come l'aramaico e il latino. Eppure il soggetto in questione non ha
ricevuto un'istruzione che prevedesse la conoscenza di tali idiomi.
La ragazza cattolica? intervenne James, spazientito.
Si chiama Lily Charter. Quindici anni. E s, molto cattolica.
Perfetto. Avr sentito il prete recitare qualche passo della Bibbia in latino e in
aramaico, memorizzando le parole nel suo inconscio per poi espletarle durante l'attacco
isterico.
E la forza sovrumana? I chiodi e i peli che ha espulso dalla bocca?
La mania scatena la produzione di adrenalina che a sua volta causa una forza maggiore
di quella di cui si dispone. I chiodi erano un antico rimedio usato dalle donne barbare
per uccidere il feto indesiderato. probabile che la signorina Klein nutrisse qualche
sospetto sul fatto di essere incinta. Forse avr un padre violento che non accetta la sua
precoce deflorazione.
E se invece la ragazza fosse posseduta?
Sciocchezze. Voi siete un medico, Monroe. Dovreste lasciar perdere queste ridicole
supposizioni. Nel medioevo sono state bruciate decine e decine di donne malate di
isteria e disturbi comportamentali che la Chiesa il popolo ignorante spacciavano per
influssi demoniaci. Non esiste alcun demonio. Esiste la scienza. Ci che tangibile.
Voi credete in Dio, dottor King?

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Io sono un accademico. Seguo il metodo scientifico, osservo la realt, in maniera
empirica e dimostrabile. Dio non un concetto dimostrabile. puro astrattismo. Come
la magia e la stregoneria. Superstizioni. Credenze pagane. No, dottor Monroe. Dio non
fa per me.
Quindi nemmeno questo caso fa per voi, dottor King.
Esattamente, dottor Monroe. Avete sprecato il vostro tempo. Se credete a certi ridicoli
riti medioevali come gli esorcismi, si rivolga a un prete. Non a me. Se volete guarire la
vostra paziente, provate con l'ipnosi. Non ho nient'altro da dirvi.
La signorina Lily Klain, dopo essersi disarticolata un braccio, strappato un dito a morsi
e liberatasi i polsi dalle cinghie di cuoio, si sollevata dalla branda. Supina. Di quasi
un metro. Stava levitando, dottore. Quale spiegazione scientifica mi elargirete, ora?

IV.

La signora Charter camminava spedita sulla Borker Row, facendo attenzione a non
calpestare i piedi sporchi dei barboni che chiedevano lelemosina ai bordi della strada.
Si era raccolta i capelli con un fermaglio, aveva la fronte sudata, nonostante il freddo
gelido. Le sue scarpe di pezza sprofondavano nelle pozzanghere di acqua piovana, le
mani tremavano, tutto il suo corpo era in balia di violenti fremiti di ansia e paura.
La sua figlioletta, la sua adorata figlia, stava male. Aveva qualcosa che non andava.
Non essendo lei un medico, la signora Charter non capiva il male che affliggeva la
ragazza. Nella sua mente rilucevano vivide quelle orrende immagini della sua Lily che
si contorceva, sbraitava frasi prive di significato, in una lingua sconosciuta.
Cerc di distogliere lattenzione da quei pensieri, concentrandosi sul percorso da
seguire per arrivare subito possibile dal medico. Un manto di nuvole grigie copriva
come una calda coperta di lana il cielo uggioso di una Londra piovosa e umida. I
cittadini del quartiere di Moorfields, erano affaccendati a dirigersi al mercato che si
svolgeva ogni mercoled mattina. Le carrozze trainate da mastini neri sfrecciavano sulla

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fanghiglia, noncuranti dei pedoni che si scostavano appena in tempo per non finire
travolti sotto le ruote.
La signora Charter svolt a destra, verso una stradina poco affollata. Lo studio del
dottore era proprio l, a pochi passi da lei. Si ferm. Era in preda al panico. Si guard
le scarpe fradice, la veste logora.
Non ho indossate nemmeno qualcosa di decente. Sembro una sguattera.
Trasse un lungo e profondo respiro. Non aveva intenzione di demordere. La sua Lily
stava male. Tutto qui. Ed essendo sua madre, la signora Charter avrebbe dato la propria
vita per salvarla. Avrebbe tentato il possibile.
Lei la mia bambina. La mia piccola Lily.

V.

Il Dottore James correva lungo il corridoio della sua abitazione. Sentiva le grida
disperate della sua famiglia, di sua moglie e di sua figlia. In mano stringeva unascia,
con la lama striata di sangue. Il cuore gli batteva allimpazzata, premendo contro il
petto. Si morse un labbro, si tir uno schiaffo sul volto. Ogni arto del suo corpo, ogni
pelo, ogni cellula fremevano a causa di incessanti tic nervosi. Entr dentro una
camera da letto. Vide sua figlia riversa sul pavimento, massacrata. Sua moglie cercava
di rianimarle, scuotendola per le spalle. La donna si accorse della presenza del marito.
Lo guard negli occhi, furente, disperata.
Guarda cosa hai fatto a nostra figlia! strill la donna. Guarda cosa hai fatto a
nostra figlia!
James non era pi in grado di controllare i suoi movimenti. Agiva come un burattino
comandato dai fili di un burattinaio. Cos alz un braccio, strinse la mano sul manico
di legno dellascia, pronto a colpire sua moglie, a spaccarla il cranio. Prese la mira, si
avvicin, digrign i denti e
Tum! Tum! Tum!

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Dottor King!
James si svegli, spalanc gli occhi, lanciando un urlo. Aveva il petto imperlato di
sudore, cos come il viso e le mani. Faceva fatica a respirare. La schiena bagnata si
era appiccicata al divano di pelle su cui si era addormentato. Non aveva la minima
idea di quanto avesse dormito. Di sicuro, da quando aveva congedato il Dottor
Monroe. Rivolse lo sguardo al quadrante dellorologio a pendolo posto di fianco alla
libreria.
Da troppo tempo.
Tum! Tum! Tum!
Dottor King! in casa?
Qualcuno stava bussando alla posta del suo studio. In maniera ostinata e poco garbata.
Un attimo, cazzo! imprec il dottore.

La signora Charter attendeva impaziente davanti lingresso principale dello studio


medico del Dottor King. Aveva bussato pi volte con tenacia, senza ottenere nessuna
risposta.
Dottor King! Vi prego, apritemi!
Cominci a piovere. Lunghi fili di acqua che cadevano sullasfalto e suoi capelli rossi
della donna.
Dottor King, ha cominciato a piovere! Se non vi dispiace, gradirei che voi mi apriste
la
In cosa posso esservi utile, mia ostinata signora?
La signora Charter rimase per un attimo sconcertata dal colorito pallido del dottore
che era apparso dietro la porta. Poi, senza perdere altro tempo, rispose: Dottor King,
vi scongiuro, aiutatemi. Mia figlia non sta bene.

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VI.

Lo studio del Dottor King altro non era che un angusto abitacolo con le pareti bianche
intrise di umidit e un lampadario appeso al soffitto. Seduto dietro la scrivania, James
scrutava la donna dinanzi a lui con aria sospetta. Lui era uno psicologo, e
dallatteggiamento di chiusura, braccia conserte e lo sguardo evitante, sospettava che
la sua cliente stesse nascondendo qualcosa. La poltrona su cui laveva fatta
accomodare era abbastanza soffice per intrattenere le lunghe e tediose terapie
psichiatriche. Lunghe e tediose. James prese un pennino, lo intrise di inchiostro
allinterno del calamaio e si prepar a tracciare i primi appunti su un quaderno.
Lorologio appesa al muro ticchettava, scandendo lo scorrere dei secondi.
Qual il nome di vostra figlia, signora Charter? chiese poi il dottore,
interrompendo quellansiogeno silenzio.
Lily, Dottor King. rispose la donna, schiarendosi la voce. Lily Charter.
James rimase per un attimo a fissare la donna, perplesso. Ebbe un tuffo al cuore.
Non poteva essere vero.
Impossibile.
Aveva categoricamente rifiutato di accattare quel caso.
il Dottor Monroe a farvi venire qui, signora Charter?
La donna si gratt in maniera distratta la fronte, evitando di incrociare lo sguardo di
James.
Ad essere sincera, signore, il Dottor Monroe mi ha riferito che voi non avete alcuna
intenzione di guarire mia figlia, cos mi ha consigliato di venire da voi e parlare di
persone. Ha detto che siete una persona di buon cuore e che di certo mi avreste dato
una mano.
James poggi la penna sul quaderno. Incroci le dite delle mani, e si trattene dal non
sferrare un pugno sulla scrivania.
Era infuriato.
Quel vigliacco di Monroe aveva puntato sulla sua bont danimo.

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Come avrebbe potuto rifiutare le suppliche di quella donna?
Il suo codice donore glielo proibiva.
Lui era un medico.
Lui doveva agire.
Il suo lavoro consisteva nel curare la gente, qualsiasi sia la causa o la fonte del loro
male.
Lui era un medico, e non poteva tirarsi indietro.
Il Dottor Monroe mi ha detto che voi siete sia un medico che uno psicologo.
aggiunse poi la signora Charter. Siete la persona adatta per mia figlia, signore. Vi
prego Dottor King. Vi supplico. la mia unica figlia.
James volse il capo verso lorologio. Erano le tre del pomeriggio. Poi ritorn a
guardare la signora Charter, che sembrava sprofondare tra i cuscini della poltrona. I
suoi occhi era lucidi. Stava per scoppiare in lacrime. James ammir lautocontrollo
emotivo di quella donna.
Il Dottor Monroe mi ha accennato i sintomi di sua figlia. Rabbia, forza bruta,
autolesionismo e levitazione?
S, dottore. Mi figlia galleggiava sospesa in aria.
Perfetto. Dove si trova adesso?
Il Dottor Monroe mi ha consigliato di rinchiuderla nel Bedlam, signore. l che si
trova ora mia figlia. In una cella per malati di mente.
James serr le mascelle, stropicciando una pagina del suo quaderno.
Quello non il posto adatto per una ragazzina. Venite con come, signora Charter.

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VII.

Lily aveva le palpebre abbassate. Avvertiva dolore ovunque, su tutto il suo corpo. La
cella in cui era rinchiusa puzzava di escrementi, vomito e urina. Nessuna fonte di
luce, solo buio. Buio assoluto. La ragazza adolescente avrebbe tanto voluto vedere
uno sprazzo di cielo. Bagnarsi il volto con i raggi di sole. Sdraiarsi sul prato a leggere
le poesie di Byron. Poi incontrare la sua amica del cuore e studiare fino a sera. Lily
sognava tutto questo a occhi chiusi, raffigurandosi queste immagini dentro la sua
testa. Era cosciente del fatto che non sarebbe andata da nessuna parte. Niente poesie,
niente studio, niente cielo, niente sole.
E come avrebbe potuto, diamine?
Gli infermieri del manicomio lavevano appesa per le braccia a dei ganci di ferro, a tre
metri di altezza. Dondolava le gambe, in cerca di una sedia o di uno sgabello per poter
appoggiare i piedi. Non riusciva a respirare bene. La posizione estremamente aperta
delle braccia le tirava il petto, dilatando i polmoni. Quando inspirava ossigeno sentiva
dolore, come se tanti pugnali le stessero trafiggendo la carne.
I lunghi capelli rossi le coprivano il viso. Teneva il capo poggiato sullomero. Le
prudeva il naso. E non poteva grattarsi.
E le stava scappando anche la pip.
Non avendo a disposizione un bagno e essendo appesa a delle catene, lunica
soluzione era quella di divaricare le gambe e lasciare che la natura faccia il suo corso.
Si bagn le mutande, ma poco le importava.
Puzzava gi di sudore. Dopo essersi svegliata, aveva vomitato, macchiandosi la
vestaglia.
Un vero schifo, pens Lily,
Quale sorte peggiore di essere rinchiusa in un manicomio?
Lei era ancora una ragazza giovane, piena di vita. Bella, intelligente. Non desiderava
trascorrere tutto il resto della sua vita rinchiusa in quella cella.
Anzi avrebbe preferito togliersi la vita.

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Allora fallo, sgualdrina! Cosa aspetti? Che la mammina ti venga a prendere? le
chiese quellorribile voce proveniente da dentro la testa di Lily.
Hai visto dove ti ha rinchiusa la tua adorata mammina? Dentro uno squallido
abitacolo puzzolente. Condannata per sempre a cagarti nelle mutande. Non preferiresti
che tutto ci finisse?
colpa tua se mi trovo qui. soltanto colpa tua. ribatt Lily, singhiozzando.
Cosa c? Adesso ti metti a frignare come una squallida puttana? Povera Lily
Lascia che ti spieghi una cosa. Sei tu che mi hai cercato. Tu che mi hai voluto. Ed io
ho trovato. Ed ora eccomi qui, mia cara! Sei tu la causa del tuo fallimento. Le tue
perversioni, i tuoi pensieri perniciosi e i tuoi comportamenti fraudolenti mi hanno
condotto da te. E non ho la minima intenzione di andarmene.
Lily non riusc a trattenere le lacrime.
Sua mamma.
La sua mamma laveva abbandonata in quel posto orribile.
E non sarebbe pi tornata.

VIII.

Tiratela gi! Immediatamente! url James agli infermieri che avevano aperto la
cella.
Cosa avete fatto a mia figlia? Cosa le avete fatto! url la signora Charter, che corse
allinterno della cella.
Quando vide Lily sospesa in aria e tenuta in catene come una bestia, scoppi a
piangere. Si mie in ginocchio, afferrando i piedi sporchi di sua figlia. Saliva e lacrime
si mescolarono alla sporcizia e al sudiciume incrostati sulla pelle della ragazza.
Sono questi i vostri metodi di contenzione? Eh? Che cosa aspettate ancora? Tiratela
gi! inve James, rivolgendosi agli infermieri, che tuttavia non si mossero dalla loro
postazione. Avevano solo aperto la cella, nulla di pi. Non osavano prestare ascolto

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alle parole di quel dottore.
James not la loro indecisione, cos, tra le grida straziante della signora Charter che
cercava di far svegliare sua figlia, disse loro: Non prendete ordini da me? Va bene.
Nessun problema. Andate a chiamare il Dottor Monroe. Desidero parlare con lui.
I due infermieri chinarono il capo in segno di consenso, poi si voltarono di spalle e
proseguirono lungo uno stretto corridoio disseminato di celle di altri pazienti.
James si avvicin alla Signora Charter, che parve essersi addormentata con la testa
poggiata sui piedi di sua figlia. Le mise una mano sulla spalla, per confrontarla. Il
corpo della donna sussultava, in preda al panico. Singhiozzava, le mani le tremavano.
Il Dottor King alz lo sguardo verso la ragazza appesa per braccia a delle catene
arrugginite che pendevano ai due lati opposti della cella.
In tanti anni di servizio prestato allinterno del Bedlam, non aveva mai assistito a una
scena del genere
Stavolta, Thomas Monroe aveva superato ogni limite.
Ehi, dottorino!
James sgran gli occhi. Il cuore gli sal in gola, e quasi non lo espulse dalla gola per il
terrore che prov in quel momento.
La voce che aveva appena udito apparteneva alla ragazza appesa per le braccia a tre
metri di altezza, la voce di Lily. Ma cera qualcosa di strano in quella voce. Qualcosa
che non andava. In maniera lenta e circospetta, James alz il capo, mentre la signora
Charter era ancora intenta a baciare i piedi sporchi della figlia. A quanto pare lei non
aveva udito nulla. Forse James se lera solo immaginato. Forse aveva dormito poco e
adesso aveva le allucinazioni. Eppure, quando James si trov faccia a faccia con la
nuova detenuta del Bedlam, cap subito che non si trattava di una sua fantasia. Lily lo
stava guardando con occhi che non erano dei normali occhi umani. La pupilla era
completamente dilatata, occupando tutto il resto dello spazio allinterno della strutta
oculare. Rossi, di un rosso scuro. Ricordava il colore del sangue secco rappreso su
una ferita aperta.
Ti ricordi di me James? Ti ricordi di me? Ma certo che ti ricordi. Come puoi avermi
dimenticato, stupido figlio di puttana. continu a dire Lily, con quel suono

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gracchiante della voce.
James si allontan dalla signora Charter, togliendo la mano dalla sua spalla. Non
servirebbe a nulla ricevere il conforto da uno psicologo terrorizzato.
Ci siamo gi incontrati, signorina Lily? chiese James, indietreggiando verso luscita
della cella; temeva per la sua vita. Quella ragazza era incatenata con dei ceppi di
ferro, ma il dottore avvertiva un senso di pericolo gravargli addosso. Meglio essere
prudenti, pes. La prudenza non mai troppa.
Io non sono Lily. rispose la ragazza, con una smorfia. Il suo visto si era trasformato,
riempendosi di verruche, bozzoli e minuscole venuzze che si ramificavano intorno la
bocca lungo il collo, fino a propagarsi su tutto il resto del corpo, coperto dalla veste
bianca.
Non sei Lily? Non lo sei mai stata o solo adesso non ti senti di essere Lily?
La ragazza emise una risata gutturale. Demoniaca, specific James tra s. Terrificante.
Evita le tue stronzate da psicologo, dottor King. Con me non funzionano. Ci vuole
ben altro.
Non hai risposto alla mia domanda. Suppongo che largomento ti infastidisce.
contest James. Poi disse: Ti sei sentita a disagio dopo averti formulato la domanda?
Come mai? O sei semplicemente una codarda?
Ti ho gi risposto, dottore. Le tue patetiche tecniche con me non funzionane.
Piuttosto, dottorino, senti qua: mi vuoi leccare la fica? Eh? Me la vuoi leccare?
La veste di Lily si sollev di qualche centimetro, senza nemmeno un alito di vento o
una corrente di aria. James vide le gambe lisce della ragazza e le mutande chiazzate di
urine.
Hai bisogno di sfogare le tue pulsioni sessuali, Lily? questa la causa del tuo
malessere?
No, sudicio maiale. Voglio solo che tu mi scopi come una cagna!
Prima hai detto di conoscermi, Lily. Non ricordo di averti mai vista prima.
Oh, ma cosa dici, James? Cos mi offendi? Davvero non te lo ricordi? Ero dentro il
corpo di Karl Jaspers. Lui te lo ricordi vero? No? Non ti ricordi? solo luomo che ha
massacrato quella puttana di tua figlia e quella sgualdrina di tua moglie. Ora ricordi,

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dottore?
James barcoll, la testa cominci a girargli. Stava per perdere i sensi. Poggi il palmo
della mano sulla superficie fredda del muro per non perder lequilibrio. Con la vista
appannata, riusc a distinguere la sagoma della signora Charter che leccava con
avidit i piedi lerci di Lily, succhiando i pollici, salivandoci sopra.
La ragazza riprese a ridere, vomitando una pioggia di chiodi che, risalendo lungo la
trachea, spillava come sangue fuori dalla bocca.
James non riusciva pi a controllare il suo corpo. La vista gli si offusc del tutto,
cadde in ginocchio. Poi si accasci sulle pietre della cella.

IX.

Il dottor Thomas Monroe guardava James dallalto, insieme a un distinto signore con
il collare bianco intorno al collo e la tonaca nera. La madre di Lily era riversa sul
pavimento, con la gola recisa, gli occhi sbarrati e ciechi, sdraiata su un letto di sangue.
Padre Istar, vi presento il Dottor King, uno dei migliori medici specializzati in
psicologia di tutta lInghilterra. E lei era la madre della ragazza, la signora
Charter.
Il prete sorrise, sarcastico.
A quanto pare il nostro medico non riuscito a fronteggiare il Demonio, signor
Monroe
Il nostro medico non riuscito a fronteggiare il Demonio perch non crede nella sua
esistenza, Padre.
Padre Istar si gratt la nuca, passandosi poi una mano sulla lunga barba bianca. Si
chin sul corpo esanime di James, scrutando viso pallido e stanco del medico.
Peccato, James, che tu non creda nel Demonio. disse il prete, rivolgendosi a James.
Perch il Demonio crede in te.
Thomas Monroe sghignazz, sistemandosi gli occhiali rotondi con una mano. Poi

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disse: Procediamo con lesorcismo, Padre?
Ancora accovacciato su James, Padre Istar alz il capo verso Lily, che osservava il
messaggero di Dio con un ghigno malevolo. Spalanc la bocca, esibendo le fauci e
arricciando la lingua biforcuta, sibilando come una serpe.
Certo, signor Monroe. rispose il prete, con lo sguardo rivolto verso gli occhi
fiammeggianti di Lily. Procediamo pure.
Padre Istar si raddrizz. Estrasse un crocifisso dalla tasca della tonaca nera,
puntandolo contro la ragazza appesa alle pareti.
Poi, con un tono di voce pacato e silente, disse: Per il potere conferitomi dalla
Chiesa e da Nostro Signore, dimmi il tuo nome.

X.

James era in piedi davanti le lapidi di sua moglie e di sua figlia. Il vento alzava polvere,
terra e foglie secche. Il cimitero era deserto. A quanto pare c'era solo lui. E i morti.
Schiere di bare disseminate a vista d'occhio.
Non era stato in grado di rispondere all'ultima domanda posta da Thomas Monroe.
Questo perch non esisteva alcuna risposta. Nessun tipo di spiegazione. Ci che era
successo a quella ragazza era inspiegabile. Anormale. Fuori da qualsiasi concezione
scientifica. James accett quella realt. Non era ancora del tutto convinto che la paziente
fosse posseduta da una entit demoniaca. Ma non avendo ulteriori spiegazioni in merito,
si convinse che qualcosa di sovrannaturale agisse e controllasse la mente di quella
ragazza. La medicina aveva fallito di nuovo. Forse anche Matthew McConaughey era
posseduto. L'assassino della sua famiglia. L'uomo che gli aveva devastato la vita. Per
sempre. Gli aveva portato via le uniche sue gioie. Che aveva amato e che amava. La
sua bambina. Morta senza aver ricevuto il primo bacio. Senza aver scoperto le
meraviglie che aveva da offrire il mondo. E Margaret. La sua donna. Il suo unico amore.
James si pieg e poggi una rosa in mezzo alle due lapidi.

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Se esiste davvero qualcosa, se voi siete in un posto migliore, se potete davvero
ascoltare le mie parole, sappiate che mi mancate. La vostra voce a prima mattina, i
vostri baci, il vostro profumo. Vi amo. Per tutta la vita.

Prima che James voltasse le spalle, un petalo si stacc dalla rosa. Si libr nell'aria, per
poi poggiarsi sul suo petto. Rest l. Attaccata. La forza di gravit avrebbe dovuto agire
in maniera istantanea, avrebbe dovuto far cadere quel petalo. La scienza! Era
incontrovertibile. Ma James, non ci fece caso. Prese il petalo e lo mise nella tasca del
suo soprabito.
Poi guard il cielo. Limpido. Bellissimo.
E allora cap.
Cap tutto.

FINE

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LETTERA N.1

Mercoled 6 novembre, 1991.


Vittima numero 4.
Nome: Josefina.
Sesso: Femmina.
Et: 8-9 anni.

Agente Pete Watson, eccomi di nuovo qui. Come lei ben sa, se ha ricevuto questa
lettera, perch ho ucciso ancora.
Ancora, ancora, ancora. ANCORA. Annnnn... cora!
E non smetter finch lei non avr le palle di ammanettarmi e poi sbattermi
(patabum!) in qualche squallida cella senza cesso.
Ops! Ho cagato per terra, signor poliziotto! Mi pulisce il culo lei con la sua mano
del cazzo?
In attesa della sedia elettrica. Aspettando che mi si friiiiiigga il cervello. Che mi si
friiiiigga!
Lei un codardo, agente Watson?
S che lo .
Puzza di paura.
Puzza di paura, stupido coglione!
Oh, ma che sbadato.
SBADATO.
SONO UNO SBADATO!
Non le ho chiesto come sta!
Che maleducato che sto diventando.
Mal... educato!
(Adesso glielo chiedo al codardo agente di polizia Pete Watson che puzza di paura e

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merda secca).
Come sta, agente?
Se la sta spassando insieme alla sua nuova compagna?
Scopate come dei sudici sodomiti?
Te la stai scopando, agente, vero?
SCOPANDO! SCOPARE! SCOOOOOOPARE!
La figa, gliela sta leccando, agente? La sua amante geme e strilla mentre le infila la
lingua nella vagina? Un pompino gliel'ha fatto, la troia?
Chiss cosa star pensando in questo momento sua moglie, agente...
No, no, no. NOOO! Che cattivone che lei. Cattivo, agente Watson. Cattivo!
Porco.
Maiale.
TRADITORIE.
Agente Infila Lingua.
Sluuurp!
E SUO FILIO, AGENTE?
Uh... Povero il piccolo, piccolino, piccoletto Pete Junior. Quando ha saputo che il suo
paparino, il suo... EROE, si sta gozzovigliando con una ragazza di vent'anni avr
sicuramente pianto. Non cos, coglione Infila Lingua? Ci sar rimasto... Ehm. Uhm.
Come dire, malissimo! DELUSO. Magari suo figlio la vorrebbe morto, agente. Una
bella pallottola in testa. BUM! E poi, TRACK! A terra. Steso. Morto. Sangue.
Cervella: di fuori. Buco: in testa. Testa di... CAZZO.
Agente, si ricorda quando ha sparato a quell'adolescente solo perch ha osato
chiamarla testa di cazzo?
TESTA...
DI?

(Rullo di tamburi. Suspense. Ansia. Agitazione.)


CAZZO.
Ops. ADESSO MI SPARA. AGENTE?

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Si chiamava David Gilles. L'adolescente. Il ragazzino. RAGAZZINO. COME TUO
FIGLIO, AGENTE. TUO... FIGLIO. QUATTORDICI ANNI.
Quattordici.
14.
Dieci pi quattro?
QUATTORDICI.
Riposa in pace, David. Tra gli angeli del cielo blu. Sei morto per possesso illecito di
cocaina e per aver dato della testa di cazzo ad un agente che, in fin dei conti, ha
realmente una mastodontica, immensa, colossale testa di cazzo. Amen. Ciao. Aloha.
Bon voyaje!
Neanche al funerale si presentato, agente. Il coraggio comincia a scarseggiare? I
sensi di colpa la stavano (la stanno) divorando? Consumando? Mangiando. no.
Peggio. ATROFIZZANDO.
La madre di David era disperata. Tanto, tanto disperata. Si gettata sulla tomba del
figlio, in lacrime. E poi, il giorno dopo, ironia della sorte, (ah, che ridere! Io ho riso
davvero) si gettata dalla terrazza. Spiaccicata sull'asfalto.
SMASH!
Cranio: sfondato.
Cervella: bleah!
Un vero schifo!
Sembravano lasagne.
Le piacciono le lasagne, agente? Sua moglie cucinava bene? Era un'ottima cuoca, se
non erro. tutt'ora un'ottima cuoca. Solo che adesso cucina per due persone soltanto.
Per s stessa e per suo figlio. E lei, agente? Ah, s. Giusto. L'ha abbandonata per una
puttana vergine. O almeno, lo era prima di incontrare il valoroso e celeberrimo
AGENTE PETE WATSON! Un applauso per il pezzo di merda! Per l'assassino a
sangue freddo! Un applauso per il traditore! Applausi! Ovazioni! E omaggi! Rose,
rose, rose!
Buttategli rose rosse fresche!
Quando si guarda allo specchio, agente, non avverte un senso di ripudio? Di disgusto?

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Io lo avverto quotidianamente. Evito di specchiarmi. Il mio volto non mi delizia
affatto. Cos rude. Cos... CRIMINALE.
Io sono un criminale, agente. Un serial-killer. Lo ha capito, vero? Cio, per la miseria,
se ne resto conto? Ho massacrato quattro bambini, santo cielo. Le sar giunto
all'orecchio la voce che un pazzo schizofrenico sta commettendo una strage di
pargoli? Anche per sbaglio, o per sentito dire. I telegiornali, i notiziari, la cronaca nera
ne parlano di continuo. Ha bene in chiaro in cosa consiste il suo lavoro? Che forse,
FORSE, EH! Dovrebbe prendere in seria considerazione l'ipotesi, l'IDEA, di
ricercarmi? Ma cosa cazzo ha dentro quella scatola cranica? Marciume e licheni?
Fighe di ventenni?
Allora, la mia ultima vittima stata una ragazzina di otto anni niente male. Con quel
culetto stringi-cazzi che quando lo guardi pensi subito che da grande diventer una
troia retribuita a tutti gli effetti. E quindi, cosa avrei dovuto fare secondo lei, agente?
Lei che ha studiato criminologia, che ha una vasta conoscenza in campo forense, lei
che dovrebbe prevedere la mosse di un assassino seriale dopo averne tracciato un
profilo psichiatrico, come crede che avrei dovuto agire?
Si sforzi, su. Si sprema le meningi. giunto ad una conclusione, perlomeno,
giustificabile? Accettabile? Spero di s, per dio! Sta di fatto, che nel momento in cui la
fragile Josefina uscita di casa, salutando per l'ultima volta sua madre (Ciao
mamma, non torno pi a casa! Un pedofilo pervertito approfitter del mio corpicino
piccino picci. Aloha! Bon voyaje!), l'ho presa in braccio, le ho messo una mano
davanti alla bocca, perch stava strillando (Aiutooo! Mammaaa! Ti pregoooo! Ti
prego lasciami andare!), e l'ho portata nella pineta in cui solitamente consumo
indisturbato i miei omicidi e seppellisco i cadaveri. Ha cercato, TENTATO, di fuggire,
la troia. Cos, ahim, ho dovuto accoltellarla. Al fianco. Credo al rene destro. Quanto
sangue, dio del cielo e della terra (Amen). Dopo, le ho tolto i vestiti. Le ho divaricato
le gambe e...

Lo so.
Lo so che vuole sapere tutti i particolari, agente.

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Porco che non altro.
Ci che ho fatto lo fa anche lei con la sua amante. Tutte le sere in quel ridicolo motel.
STUPRO. STUUUUUPRO. SCOPARE. VIOLENTARE. Come un animale. Come
una bestia selvatica l'ho scopata. Ho sbavato, anche. Ho goduto, anche. L'ho
sverginata, anche.
E poi l'ho uccisa.
Anche.
Decapitazione.
Non un taglio netto, intendiamoci.
Ma lento. Tortuoso. Con un coltello a mezzo manico.
ZAC! ZAC!
Una volta accertatomi che restava solo qualche brandello di pelle a tenere la testa
ancora attaccata al collo, l'ho afferrata per i capelli e... ZAC! Gliel'ho strappata via.
L'ho presa con entrambe le mani. Ha sbattuto le palpebre. Solo per qualche istante.
Ma poco importa.
Siccome avevo ancora del tempo a mia disposizione, l'ho scopata di nuovo. E siccome
avevo altro tempo a disposizione, le ho squarciato il ventre. Le ho estirpato le viscere.
Poi il fegato. E ne ho mangiato un pezzo. La carne cruda stuzzica il mio palato. A lei
no, agente Watson? Risveglia i nostri istinti preistorici. I nostri archetipi. I denti
incrostati di sangue secco e carne. La caccia. L'istinto di sopravvivenza.
L'autoconservazione. Ritornando a noi, agente. Che ci vuole fare! La tentazione
stata troppo grande. Troppo intensa. Cos l'ho scopata per la terza volta. Mannaggia.
Le quante volta cavalca la sua puttana, agente? Tre? Due? Una? (Buon anno agente
Watson! Le auguro tanta felicit con la sua non-famiglia!)
Dopo aver cosparso la sua figa con il mio seme (ora non dovrebbe essere difficile
rintracciarmi, agente. Dannazione! Avete il mio DNA, e che cavolo! Si applichi,
agente. Si... APPLICHI.), me ne sono andato con un trancio di femore e una mano.
Stasera, cena con i fiocchi, agente!
Bene! BENE. BENISSIMO.
BE... NISSIMO!

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Siamo arrivati alla fine di questa piacevole conversazione epistolare. Le...
CONSIGLIO di prendere provvedimenti. Perch sono seriamente intenzionato a
smembrare suo figlio. A infilare il mio cazzo nel suo culo. E poi... me lo MANGIO!
Gnam, gnam! Mmh. Gustoso, sir! Non trova?
Agente Watson, sappiamo entrambi che lei non avr mai il fegato di arrestarmi. E lo
sa perch? Eh, lo sa? Lo vuole... SAPERE? S, che lo vuole sapere.
Ecco...
Perch...
PERCH!?
Perch io sono te, agente. Tu sei me, agente. Siamo la stessa persona. Abbiamo avuto
la stessa madre puttana. Lo stesso padre pedofilo. Degenerato e pervertito.
Condividiamo gli stessi interessi. Gioie, dolori, pianti. Fighe. Leccate di fighe. Se io
mi sfioro il viso, io sfioro te. Se tu sfiori i capelli, tu sfiori me. Quando io piscio, lo fai
anche tu. Quando io uccido, uccidi anche tu. Evito di guardarmi allo specchio, perch
mi specchierei in te. Vedrei i tuoi occhi. Tu i miei. La tua bocca. E tu la mia. La follia
che incendia i nostri sguardi. L'inferno. La dannazione.
Nessuno riuscir mai a fermarmi.
A fermar... ci.
Nessuno.
NES... SUNO!
Io e lei, agente, uniti fino alla morte.
Uniti fino alla pazzia.
Saluti.
Baci, baci!
Aloha!
Bon voyaje!

In fede,
Agente Pete Watson.

56
LO AGGIUSTA ANIME

Belgio, ore 5:30 PM

Sono dappertutto. Ins li ha addosso. Ovunque. Brulicano su tutto il suo corpo.


Mordono. Rosicchiano. Strappano microscopici strati di derma. Si muovono sinuosi e
viscidi dentro e fuori la sua pelle. I loro esoscheletri sono umidi. Vischiosi. Rivoltanti.
Le lunghe zampe di un aracnide spuntano dai capelli ramati della giovane ragazza.
Cerca di scacciare via il ragno con una mano, ma l'insetto si nasconde furtivo nella folta
chioma, intricandosi dentro di essa. Con le mandibole scava nel cuoio capelluto, per
trovare un nascondiglio sicuro. Scalcia. Freme. Si divincola. Ins sta impazzendo.
Millepiedi serpentiformi, blatte e grovigli di vermi che secernano muco, proliferano e
si riproducono senza sosta dentro di lei. Li vede. Li osserva. Mentre si azzuffano tra di
loro, si cannibalizzano sul suo braccio, defecano sulle sue gambe, mangiucchiano i peli
pubici.
Appiccicosi. Viscidi. Pruriginosi. Quasi quanto la gelosia ossessiva di suo marito. Il suo
bellissimo, ma malvagio compagno di vita. La spia, la controlla. Quando Ins esce di
casa per la spesa, lui sempre appostato dietro qualche palo della luce, dentro una
cabina telefonica o nascosto tra le siepi di unaiuola. Per controllarla. Ha addirittura
rischiato di essere licenziato dal suo capo. Troppe volte abbandona il posto di lavoro a
causa della sua mania. Del suo pensiero fisso: un possibile o un probabile tradimento
da parte di sua moglie. Cos attraente. Sensuale. Numerosi sono stati gli uomini che
hanno posato gli occhi su di lei. E che ancora continuano a farlo. La scrutano. La
divorano. Il suo seno. Le sue labbra rosse. Ogni volta che questa inquietudine lo assilla,
Ren si eccita. Si masturba nel bagno. l'unico modo che ha per raggiungere il culmine
del piacere. Fare l'amore con sua moglie lo annoia. Immaginare lei che si fa sbattere da
presunti amanti, o dal vicino di casa o perfino da qualche amico di entrambi, lo intriga

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di pi. E Ins non riesce pi a sopportare questa situazione. Lo odia, ma non vuole
lasciarlo. Abbandonare l'uomo con cui ha condiviso tre anni di vita, la rattristisce. Le
provoca lancinanti sensi di colpa. Ha cercato di rassicurarlo, di dimostrargli che il suo
cuore appartiene solo a lui. Che lo ama pi di s stessa. Ma Ren, non le presta ascolto.
Per lui le sue premure altro non sono che un subdolo tentativo di nascondere i suoi
adulteri. Le sue avventure di una notte in qualche squallido ostello del paese. Ins
oppressa. Tormentata. Succube di suo marito, cos paranoico e assillante. Se lo sente
addosso come un parassita. Una sanguisuga. Che prosciuga le sue forze, il suo midollo,
la sua pazienza. La sua libert. I genitori di Ins non hanno pi sue notizie da anni.
Hanno tentato di contattarla, di prendere il primo treno dalla Francia e salvarla da quel
mostro. Ma Ren ha cambiato la serratura della porta. Lei non pu pi uscire di casa.
Non pu pi intrecciare relazioni umane con nessuno. Nemmeno con i propri parenti.
Lei deve essere sua. Sua soltanto. Completamente. obbligata a rimanere segregata
nella sua stanza da letto. Seduta su una sedia. A osservare il mondo dietro una finestra.
Ma il suo corpo non lo tollera. Non sopporta pi la sedentariet. I piedi le prudono,
formicolano. Le gambe annaspano alla ricerca di pi spazio per camminare, correre.
Scappare via. Ins intrappolata. Soffocata. La claustrofobia asfissia le sue funzioni
cognitive. Si gratta in continuazione la testa. Si strappa i capelli. Si scortica la pelle con
le unghie. Sbatte il capo contro le ante dell'armadio. irrequieta, nevrotica. una
animale in gabbia. Con quei sudici vermi che strisciano nel suo corpo. Scarafaggi orridi,
scolopendre e formiche. Le loro tenaglie divorano frammenti della sua esistenza. In
continuazione. Essi sono la ripugnante rappresentazione della soffocante sospettosit
di suo marito. Ins afferra un coltello da cucina. E se lo avvicina alla gola. ora di farla
finita. Quegli esseri abominevoli sono insopportabili. Pruriginosi.

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Germania, ore 5:35 PM

Rebana di pietra. Fredda. Vuota. Non avverte la presenza di alcun organo vitale. Non
ha cuore. Stomaco. Reni. Nulla. Lei morta. Si sente morta. Una morta vivente, uno
zombie. Fissa la sua mano come un arto estraneo. Che non le appartiene. Quasi non ci
sia. Un arto fantasma. Seduta su una sedia a dondolo, oscilla in avanti. Poi indietro.
Scandendo il lento trascorrere dei secondi. Dei minuti. I suoi occhi sono spenti. Grigi.
Vacui. Le sue labbra non abbozzano pi un sorriso da troppo tempo. Il viso flaccido e
grasso pende verso il basso. Cos come il resto del suo corpo. obesa. Non riesce pi
ad alzarsi e a camminare. La cucina diventata la sua stanza da letto. Il suo bagno. Una
ciotola posta sotto la sedia raccoglie le sue deiezioni. Mangia perch avverte una
costante sensazione di fame. Le enormi quantit di cibo che ingurgita ogni ora non
colmano la sua voracit. convinta che le pietanze ordinate da un fast food vicino la
sua casa non vengano digerite. O assunte e metabolizzate dal suo organismo. Questo
perch lei non ha un organismo. Non ha succhi gastrici. Non ha le viscere. Rebana
morta. E lei ne consapevole. Ha provato pi volte a squartarsi la pelle per accertarsi
di avere sangue e carne. Ma non ha trovato nulla. stata anche ricoverata d'urgenza
all'ospedale dopo che la sua vicina di casa che abita al piano di sotto, aveva notato che
il suo soffitto presentava una chiazza larga. Marrone scuro. Aveva pensato a una perdita
d'acqua. Cos aveva bussato alla porta di Rebana. Per educazione. Perch sapeva che
casa era sempre aperta. Dato che la donna non gli veniva ad aprire, lei aveva deciso di
entrare comunque. ci che aveva visto, lo ricorda ancora. A malincuore. Rebana si
era aperta la pancia con una mannaia. Le budella erano fuoriuscite dallo squarcio come
grovigli di salsiccia riversi sul pavimento insanguinato. Rebana aveva poi raccontato ai
medici del pronto soccorso che lei era una donna senza vita. Senza motivo di esistere.
Suo figlio la va trovare ogni fine settimana, ma lei afferma di non avere figli. Di non
vederlo. Perch lei un fantasma. Suo marito vive con un'altra donna. Rebana gli aveva
confessato di non provare pi amore nei suoi confronti. Dentro di lei non c' amore. N
sentimenti. O emozioni. un involucro di pelle che racchiude sassi e macerie. Un

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cadavere. Si sarebbe decomposta a breve. Lei lo sa. Cos prende un coltello nascosto
sotto i suoi voluminosi glutei. E se lo avvicina alla gola.

Olanda, ore 5:40 PM

Ileana ha il braccio poggiato sul tavolo. in piedi. E piange. Ha paura. sconvolta.


Quel braccio non suo. Non le appartiene. un aberrante prolungamento del suo corpo
che si muove senza la sua volont. Non riesce pi a controllarlo. La mano afferra oggetti
che lei non desidera afferrare. Le tira schiaffi in faccia quando lei non ha voglia di pulire
casa. Scivola nella sua intimit per toccare per procurarle piacere e gemiti. E per
quanto provi a tirarla fuori dalle braghe, la mano rifiuta di uscire. Oppone resistenza.
Un giorno ha rischiato di accoltellare suo marito per non essere tornato all'orario di
cena. I medici non riescono a trovare una spiegazione. Una diagnosi. Una cura. Il
disturbo di Ileana sconosciuto. Ha dovuto rinchiudere suo figlio in un orfanotrofio
perch la mano ha cercato di soffocarlo per farlo smettere di piangere. Se Ileana
desidera attuare pensieri nascosti nella sua mente, censurati dalla sua educazione e dalla
societ, pulsioni malsane e degenerate, la mano le mette in pratica. Agisce. Senza alcun
controllo. posseduta. Da uno spirito maligno. Da un demone scappato dagli inferi. Il
prete della sua parrocchia l'ha avvertita il giorno prima. L' ha messa in guardia.

Figliola, la tua mano indemoniata pu rappresentare un pericolo sia per te che le


persone che ti amano. Devi sbarazzartene. Al pi presto. O Lucifero, nemico di Nostro
Signore Ges il Cristo, invader il resto del tuo corpo. E ti costringer a compiere gesti
e azioni impuri.

Ileana non vuole pi infliggere dolore alle persone che ama. Cos afferra un coltello.
E se lo avvicina al braccio. La mano inizia a ribellarsi. Le dita fremono. Scalpitano. Si
flettono. Come le zampe di una tarantola. Ileana perde di nuovo il controllo del suo arto.

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Prima che sia troppo tardi, si avvicina il coltello alla gola.

Austria, il giorno dopo

Mamma, hai letto la prima pagina del giornale?

La giovane donna, che nel frattempo sta lavando i bicchieri sporchi nel lavabo, si volta
verso suo figlio e risponde: No tesoro, cosa c' scritto?
Allora, c' scritto questo: "Ieri sera sono state trovate morte tre donne. Una in Belgio.
Una in Germania e la terza in Olanda. Si sono suicidate con un coltello, sgozzandosi.
Erano affette da malattie tutt'ora sconosciute alla comunit medica. I dottori affermano
che Ins, Rebana e Ileana fossero malate di mente.
Ma che fattaccio orribile. Poverette... Butta quel giornale, non voglio che leggi queste
notizie.
Mamma, se erano pazze perch i dottori non le hanno dato le medicine?
Perch non esistono medicine per la pazzia, piccolo mio. Purtroppo non ancora. La
pazzia non si cura. Non come il raffreddore o la febbre.
Il bambino pare incredulo. Si tocca la fronte e poi dice: I pazzi hanno male qui? Non
gli funziona il cervello, mamma?
Sua madre sorride. No, tesoro. la loro anima che guasta.
E l'anima non si pu aggiustare?
Solo Nostro Signore pu farlo, non i dottori.
Allora io da grande voglio aggiustare le anime! Voglio curare le menti! E salvare i
pazzi. Senza medicine.
Vuoi diventare un medico della mente?
S, madre. E tutti mi applaudiranno. E grideranno il mio nome. Avr dei lunghi
baffoni neri come il mio pediatra! Solo che mi serve un nome d'arte. Il mio non va bene.
Che ne dici di Il Dottor Mente? O Lo Aggiusta Anime?

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La donna getta lo strofinaccio nel lavabo. Corre verso suo figlio. Sorridendo. Lo prende
il braccio, lo solleva in alto.
A me piace molto di pi il tuo nome, sciocco che non sei altro!
<<Sigmund!>> esulta il pargolo, ridendo. Una risata vera. Cristallina.
<<Schlomo!>> esclama la madre, facendo una piroetta su s stessa.
Suo figlio la guarda negli occhi, prima di completare a urlare il proprio nome. Quegli
occhi cos pieni di luce e di vita. Castani, come la corteccia acerba di una quercia.

America, quarant'anni dopo.

Sigmund aspetta dietro le quinte di una sala conferenze. A dividerlo dalla moltitudine
di studenti di medicina c' una tenda rossa. Ha gi partecipato ad altri convegni, nel
corso della sua carriera. Ma in ognuno di essi, ha sempre provato un lieve senso di
agitazione e ansia. Sensazioni a cui ha dedicato anni di studi. Ha dimenticato di sfoltire
i baffi. I peli gli solleticano le labbra. Il Rettore dell'Universit, al di l della tenda rossa,
fa fischiare il microfono. Lo sta per annunciare. Sigmund prende una forma da dentro
la tasca della sua giacca. La foto di sua madre.
Signore e signori, accogliamo con un fragoroso applauso il Dottor
Sigmund non pu fare a meno di sorridere davanti alla foto di sua madre, ricordando
quel lontano giorno in cui lei lo prese in braccio, e lo fece volare. Cos, dentro di lui,
esclama:
Sigmund!
Schlomo... esclama il Rettore.
Schlomo!
Poi Sigmund guarda gli occhi di sua madre. Castani, come la corteccia acerba di una
quercia.
Freud!

FINE

62
LA CANZONE DI SOPHIE

I.

Ti ricordi che ballavano,


quel lento cos a stento,
era un incanto tu mi hai detto
e poi quel bacio che ancora sento,
vorrei tanto fermare il tempo
e ritornare a quel momento,
in cui io, tutto contento,
ti sussurravo dentro un orecchio...

Karl non ricordava pi l'ultima frase della canzone. Era da giorni che ci pensava. Non
gli veniva in mente. E l'aveva scritta lui stesso. Dedicata a sua moglie. La sua dolce
Sophie. Che non era pi tornata a casa dopo essere uscita per dirigersi verso la fermata
dell'autobus. Sarebbe dovuta tornare dopo neanche due ore. Ma erano trascorsi interi
giorni. Settimane. O addirittura mesi? Karl non lo sapeva. Non la rammentava. Come
il testo di quella dannata canzone.
Cos' che gli sussurravo? Cosa? Cosa, santo cielo!
Karl, uno scontroso signore di ottantaquattro anni, era seduto sul pavimento. Nudo. A
gambe incrociate. Circondato da cumuli di spazzatura. Scatole di tonno, pannoloni
sporchi, bottiglie di birra vuote, fazzoletti utilizzati pi volte, sia per soffiarsi il naso
che per pulirsi il sedere. La cucina era intrisa di sudiciume e sporcizia. Il lavello
strabordava di piatti e bicchieri che non venivano lavati da mesi. Lo sportello del
frigorifero era sempre aperto. Dall'interno proveniva un fetido olezzo di formaggio

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scaduto e muffa. Una fila di formiche e blatte rosicchiavano residui di cibo avariato
cosparso sui mattoni lerci e unti. Resi appiccicosi dal contenuto di qualche bevanda
versato su di essi. Karl non gettava via mai nulla. Conservava qualsiasi cosa.
Accumulava immondizia in maniera maniacale e ossessiva. Tutto ci che poteva essere
riutilizzato, lui lo conservava. Tranne la memoria. L'Alzheimer stava corrodendo il suo
cervello. A volte dimenticava anche il proprio nome. Il suo compleanno. La sua et. Ma
lei, la sua dolcissima compagna di vita, il suo amore perpetuo, la sua Sophie, era
incastonata nella sua mente e mai, mai! avrebbe cancellato le fattezze del suo volto.
Delicato come l'ala di una libellula. Luminoso.
In cui io tutto contento ti sussurravo dentro un orecchio
Era l. Sulla punta della lingua. Le ultime parole della canzone composta con la sua
chitarra. Che ora non suonava pi da circa due anni. Dal momento in cui la sua malattia
aveva sconvolto e deformato la sua motricit, la sua percezione. Tutta la sua vita.
Un filo di bava pendeva dalla bocca mezza aperta di Karl. I suoi occhi scrutavano il
vuoto. Oscillava la testa, si dondolava con il busto.
Ti sussurravo in un orecchio. No. Dentro un orecchio, ti sussurravo
AAAAAARGH!
Karl sbatt i pugni sui mattoni. Si fece male. Prov dolore. E questo lo fece infuriare
ancora di pi. Si mise le mani in faccia. Si copr gli occhi. Cominci a gemere. A
lamentarsi. Sembrava una nenia, una cantilena colma di strazio. Una litania. In realt,
Karl, stava piangendo.
SOPHIE! ulul. Disperato. PERCH, SOPHIE? PERCH NON VIENI? TORNA,
SOPHIE!
Si alz dal pavimento. Barcollando. Gli occhi rossi e umidi. Volse il capo al soffitto
crepato e annerito dall'umidit. Le lacrime scivolarono sulle guance. E poi, Karl, con
un sorriso e un'espressione beata ed ebbra, inizi a danzare a ritmo di valzer. Con le
braccia tese e avvinghiate sui fianchi di una compagna immaginaria.
Un, due, tre. Un, due, tre.
Mentre muoveva i passi con straordinaria rapidit e maestria, si mise a cantare, a
squarciagola: Ti ricordi che ballavano, quel lento cos a stento era un incanto tu mi

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hai detto e poi e poi quel
Karl smise di ballare. Abbandon le braccia lungo i fianchi. Arcu le sopracciglia. Lo
sguardo divenne torvo e truce. Digrign i denti. Lanci un urlo. Si mise a correre sopra
la spazzatura. La sua direzione era la parete. Ci si scaravent sopra. Urt la testa. Pi
volte. Ancora. E ancora.
Non aveva alcuna intenzione di smettere. La pelle sulla fronte si lacer. Il sangue
scorreva.
Funziona! Stupido cervello, funziona! Ricorda!
Karl croll a terra. Farfugli parole incomprensibili, senza senso. Ruot gli occhi dietro
le palpebre. Perse i sensi. Svenne.

II.

Pochi istanti dopo, o forse il giorno successivo, Karla sent una voce. Una voce che
conosceva fin troppo bene. Cos familiare. Cos dolce.
Karl, tesoro, svegliati!
L'uomo si dest. Socchiuse gli occhi. Provava un dolore acuto e lancinante in mezzo
alla fronte. Una fonte di luce bianca lo accec. Si copr il viso con una mano. Aveva la
gola secca, riarsa.
Karl! tardi! Devi svegliarti!
Qualcuno stava scuotendo il suo braccio.
Quella voce.
Non pu essere
O forse s?
In fin dei conti, nella testa marcia di Karl tutto possibile.
Karl tocc con le mani qualcosa di morbido. Qualcosa di fresco. Erano lenzuola.
Profumate. Come non lo erano mai state prima di allora. Stava sdraiato sul suo letto
matrimoniale. Aveva ancora la vista offuscata. Si mise con la schiena dritta, appoggiata

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al cuscino.
Buongiorno, mio bel giovanotto!
Karl si volt.
Ci che vide gli mozz il fiato.
Era lei. Seduta su una sedia di legno
S! Il suo viso luminoso! I suoi riccioli biondi e trasparenti.
Sophie. La sua Sophie.
Era tornata.
Karl non disse nulla. Non riusc a proferire alcuna parola. Si sradic dal letto. Non si
accorse nemmeno di indossare un pigiama a righe. Si butt ai piedi di sua moglie.
Appoggi il capo sulle sue gambe. Cerc le sue mani. E lei gliele strinse. Forte.
Sophie, dove Sophie? Dove eri stata no! Andata! Dove eri andata, mia dolce
Sophie?
L'anziana donna gli accarezz quei pochi capelli bianchi rimasti appesi sulla testa del
marito.
Karl, sono sempre stata qui con te. Sempre. Non ti ho mai lasciato. E non ho alcuna
intenzione di farlo.
Karl scosse la testa. No, Sophie. Io ti ho cercata. Tu non c'eri. Non sei mai tornata qui,
Sophie!
Perch hai cercato nel posto sbagliato, Karl.
Dove, Sophie? Dove io guardare? Dimmelo, Sophie? Dove devo guardare, e io
guarder. Le tue mani, qui, adesso, ci sono! Io le sento. Ma prima, no! Dimmi dove io
devo andare, io andr. Anche lontano. Io ti voglio ancora, Sophie.
Karl batt una mano sul materasso.
Qui. Con me. Qui, Sophie.
Sophie prese il viso di Karl tra le mani. Si guardarono negli occhi.
Cerca bene Karl. Solo tu puoi trovarmi. So che puoi farlo. So che ci riuscirai!
No, Sophie! Non andare! Sophie, resta con me! Solo per un po', resta! Sophie, no!
Io ti Sophie! Io ti
Sophie abbozz un sorriso.

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Ecco, Karl. Hai cercato nel posto giusto. Mi hai trovata.

III.

Karl riapr gli occhi. Nessuna luce. Le finestre erano chiuse. Le serrande abbassate. Non
era pi sdraiato sul letto pulito, ma sul pavimento. Freddo e sporco. La ferita sulla fronte
non faceva pi male. Il sangue si era rappreso sulla pelle. Ora ricordava tutto. L'autobus.
L'incidente. Sua moglie dilaniata dalle lamiere. E le ultime parole della canzone di
Sophie. Erano due. Due soltanto. E le vide materializzarsi davanti a s. Svolazzavano
come libellule nell'aria. Vide lui, vestito con un abito nero. Vide Sophie, vestita di
bianco. Come un angelo in abito da sposa. Ballavano un lento. In mezzo a tanta gente
che applaudiva. I loro passi erano incerti. Sophie gli disse che tutto ci le sembrava un
incanto. Poi lo baci. Un bacio che Karl avrebbe ricordato e sentito per il resto della
sua vita. E Karl pens che
Vorrei tanto fermare il tempo,
E ritornare a quel momento,
in cui io, tutto contento,
ti sussurravo dentro un orecchio
Karl si tir su da terra. Si diresse verso la finestra. Alz la serranda. La luce di un nuovo
giorno gli illumin il viso. Poi scrut il cielo. Il posto in cui si trovava ora Sophie.
E, finalmente, complet la canzone: ti amo.

FINE

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LETTERA N.2

Cara madre,
Vaffanculo.
Fottiti.
Hai capito?
Hai... INTESO?
Megera. Strega. Baldracca.
Puttana.
Ti sei divertita a rovinarmi la vita?
S, certo.
Risposta affermativa?
Mi pare ovvio.
Perch?
Perch lo hai fatto?
Farmi nascere, intendo.
Ti rendi... CONTO di cosa hai espulso dalla tua vagina?
Ti rendi... CONTO?
Di cosa hai creato?
Un essere orrendo. Abietto.
Un depravato.
Io so di essere un porco.
Un maiale.
Non lo nascondo.
Cosa che fai tu.
Lurida troia.

68
Succhia cazzi.
Cosa c'? Ti credi che io DAVVERO non ti sentissi gemere come una vacca?
Mi coprivo con le coperte fino alla testa per non sentirti, anche se era piena estate.
Con il cuscino stretto in faccia.
Per non ascoltare i tuoi... GEMITI.
SCHIFOSO MOSTRICIATTOLO PURULENTO.
Ti offendi se ti chiamo cos?
Beh, vedi cosa si prova.
Vedi come ci... SI SENTE.
Ti sei pisciato nel letto MOSTRICIATTOLO PURULENTO?
S, cazzo.
MI PISCIAVO NEL LETTO.
E tu, tu! Stupida troia. Cosa mi costringevi a fare?
DILLO! Confessa!
Cosa, eh?
Mi costringevi a...
Dillo, su!
Ti vergogni?
Sei timida?
Non mi pare che tu lo sia.
Ti scopavi il giardiniere quando pap era a lavoro.
E va bene.
Lo dico io.
Mi costringeva a bere il mio stesso piscio.
Mi costringeva a sdraiarmi per terra a bocca aperta.
Strizzava il lenzuolo impregnato di urina su di me, in modo che io potessi berla.
Hai imparato la lezione, MOSTRICIATTOLO PURULENTO? Hai capito cosa ti
succede la prossima volta che ti pisci sopra?
Oh, cazzo!
S, mamma.

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S che avevo capito.
E tu hai capito che sei stata una madre di merda?
Alcolizzata.
Sgualdrina.
Ti ingozzavi di vodka scadente seduta su quel vecchio e logoro divano intriso
dell'odore nauseante della tua vagina.
Mi picchiavi.
Mi percuotevi con una cinghia di cuoio.
Non perch io avessi commesso chiss quale marachella.
Ma perch ti divertiva farlo.
Io lo so.
Ti divertiva.
Non lamentarti se ho fatto quel che ho fatto.
Vaffanculo madre.
Vaffanculo.

70
ESTER

I.

Ester era nella sua stanza da letto, seduta dietro una scrivania. Con una matita stretta in
una mano, scribacchiava parole senza senso su un quaderno. Un ciuffo di capelli rossi
le pendeva ostinato sul viso. La spalla curva delineava la lunga linea di vertebre della
spina dorsale. Nonostante fossero le prime ore del mattino e fuori nevicasse, Ester non
aveva ritenuto indispensabile indossare un pigiama. Era nuda, con le natiche che
sporgevano da una fredda sedia di plastica. La punta della mina che grattava sul foglio
era il solo rumore che si sentiva. Il traffico delle auto, le voci cristalline e concitate degli
studenti che si avviavano verso le rispettive scuole, erano rumori che appartenevano a
un ricordo ormai ovattato e remoto. Non godeva pi di quei normali e quotidiani
privilegi che ogni essere umano avrebbe il diritto di esercitare per non sprofondare negli
oscuri recessi della solitudine e della disperazione. Da circa due mesi la sua famiglia le
aveva vietato di fumarsi una sigaretta sul balcone, di uscire di casa per una passeggiata,
di svegliarsi con i primi raggi del sole che rischiaravano le pareti. La corda che alzava
la persiana della finestra era stata tagliata per impedire a Ester di buttarsi di nuovo sul
vialetto ricoperto di ghiaccio. Anche il lampadario era stato smontato, nel caso in cui la
donna avesse deciso di impiccarsi. Il suo letto era un materasso logoro steso sul parquet.
Non c'erano mobili, quadri, chiodi o qualunque altro oggetto che avesse concesso a
Ester la possibilit di suicidarsi. La matita che impugnava con cos tanta forza, l'aveva
trafugata dall'astuccio scolastico di sua figlia, all'insaputa del marito. Se Tom se ne fosse
accorto, si sarebbe arrabbiato. Dio, come si sarebbe arrabbiato!
Un filo di saliva col dalla sua bocca, impregnando la pagina su cui stava continuando
a trascrivere i suoi pensieri. Anche se, in realt, erano loro a dettarle quelle frasi folli e
privi di logica. Sophie non era altro che una marionetta, una bambola di pezza

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manovrata da quelle strane creature. E lei doveva assecondare le loro azioni, obbedire
con fedelt e parsimonia ai loro ordini. Altrimenti, le avrebbero fatto male. Tanto male.
Il dolore che provava quando veniva punita per le sue continue distrazioni e
incompetenze era a dir poco atroce. Il solo ricordo la fece rabbrividire. Storse le sottili
labbra screpolate. Respirava con affanno. Il volto era contorto in una smorfia di
sofferenza. Un tempo era stata una bella ragazza. Gli uomini l'avevano corteggiata con
lettere, mazzi di fiori e inviti a cena. Al college era una delle pi brave nuotatrici della
sua squadra, e grazie a lei avevano conquistato trofei e medaglie nelle gare provinciali
organizzate dal suo paese.
Ma quelli erano giorni che ormai non rammentava nemmeno. Ester, da ragazza
sensuale, snella e avvenente, ora si era ridotta ad essere una donna di trent'anni pelle e
ossa, scarna, emaciata e denutrita. Gli psicofarmaci che ingollava da quando i medici
le avevano diagnosticato una grave forma di schizofrenia, avevano consumato il suo
corpo e alterato la sua percezione della realt. Per Ester, era come vivere in una di quelle
sfere di vetro che si acquistano nel periodo Natalizio. A volte si dimenticava anche di
bere e nutrirsi. E per ovvie ragioni, diamine!
Aveva faccende pi importanti da sbrigare. Doveva scrivere. Prima che le voci delle
creature diventassero troppo fievoli da poterle udire. Non voleva correre il rischio di
essere martoriata a causa delle loro terribili torture.
Ester spost il ciuffo di capelli dietro ad un orecchio.
Il tempo a sua disposizione stava per terminare.
Doveva fare presto.
Loro sarebbero venuti a controllare, a vedere.
Muoveva la mano frenetica, mugolando.
Non ce l'avrebbe fatta....
Troppe, troppe parole!
Troppi pensieri!
Ma non doveva arrendersi, non doveva!
Avrebbe continuato finch le loro voci non avrebbero cessato di riecheggiare nella sua
testa.

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Ud uno scricchiolio.
Ester smise di scrivere. Spalanc gli occhi. Neri di paura. Le assi di legno del parquet
tremavano.
Mosse il collo di qualche centimetro. Non os voltarsi. Cerc di capire cosa stesse
accadendo attraverso il suo udito. Da quando viveva rinchiusa nella sua stanza, al buio,
i suoi recettori sensoriali si erano affinati.
I peli sulle braccia si rizzarono, come tanti girasoli che si voltano perso la luce del sole.
Erano loro.
Ester ne era certa.
Erano arrivati.
Per controllare se lei stesse svolgendo il proprio lavoro con dedizione.
Il suo cuore voleva uscire dalla cassa toracica e scappare via. Gli intestini si
annodarono. I fluidi gastrici gli bruciarono le pareti interne dello stomaco.
Poi una mano cominci ad accarezzargli i capelli, con dolcezza.
Ester alz lo sguardo verso una delle creature. Una grande maschera bianca da cartone
animato ricambi il suo sguardo, mentre continuava ad accarezzarle la testa. Ester
strinse gli occhi e produsse uno stridio, come una bestia impaurita. Volt la testa e
dall'oscurit della sua stanza vide la seconda creatura avvicinarsi, con la stessa
maschera gioviale e sorridente, sproporzionata rispetto all'esile corpo e a quelle gambe
sottili che procedevano in avanti.
La creatura che la stava accarezzando le si avvicin a un orecchio, e con una voce
sottile, penetrante come il sibilo di una serpe, sussurr: Finisci.
Ester abbass il capo e, con gli occhi umidi di pianto, fin di riscrivere la stessa frase
che aveva pi volte riscritto su quasi tre pagine:

"Sventra tua figlia. Uccidi quella puttana."

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II.
Tom si sporse dal letto matrimoniale per spegnere la cicca di una Marlboro dentro un
bicchiere dacqua, poggiato sul comodino. Erano solo le prime ore del mattino, e aveva
gi fumato cinque sigarette. Si tir su le coperte. Fuori nevicava e la temperatura era
scesa bel oltre lo zero. In quella camera da letto faceva sempre freddo, dannazione.
Anche destate. Si gir su un fianco. La prostituta che aveva pagato per trascorrere
unintera nottata con lui, stava ancora dormendo. Era davvero una professionista. Con
i suoi capelli rossi e ricci, le labbra carnose e quelle curve voluminose, sarebbe stata
capace di far aizzare anche il pisello moscio di un vecchio ultra novantenne. Dimostrava
di avere una ventina danni al massimo. Il suo viso era giovane e fresco. E profumava
di sapone. Tom le guard il seno. Era ancora nuda. Aveva la bocca spalancata e un rivolo
di saliva aveva bagnato il lenzuolo. Ma Tom lei piaceva lo stesso. Sicuramente pi di
quella psicopatica di Sophie. Sua moglie. Quello schifo di una degenerata. La
Piscialetto. O la Caga-mutande. Cos la chiamava. Non faceva pi lamore con lei da
quando i medici gli avevano diagnosticato una grave forma di schizofrenia. Ma che si
fottessero lei e quei stramaledetti specialisti succhia soldi. Lui voleva scopare. Aveva
quarantanni. Nel pieno del suo vigore fisico. E non voleva affatto trascorrere il resto
dei suoi giorni pulire il vomito ad una pazza schizzata. Avrebbe pagato tutte le prostitute
del paese, non gli importava nulla. Anche lui aveva diritto e necessit soddisfare i propri
bisogni, santo cielo! Un tempo Tom aveva amato sua moglie. Laveva amata davvero.
Era la sua Nuotatrice Sexy. Andavano a cena ogni sabato sera in un ristorante cinese e
la domenica trascorrevano il pomeriggio al bowling. Poi, da un giorno allaltro, la
Nuotatrice Sexy ha smesso di uscire, di lavarsi e di avere cura del proprio aspetto. E
Tom questo non lo accettava. Era fuori discussione che lui avrebbe continuato a
condividere la sua vita con una donna che si trascurava a tal punto da emanare cattivo
odore. Laveva sorpresa anche sporcarsi le mutande di merda. E da allora, Tom non la
toccava pi, non la sfiorava nemmeno con un dito. Lei era solo un peso. Una matta.
Non la considerava nemmeno la madre della loro figlia. Tom ebbe un crampo allo
stomaco. Lily era nella stanza affianco. E tra poco quella sua stupida sveglia a forma di
gatto, che Ester le aveva regalato per il suo quindicesimo compleanno, lavrebbe destata

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con quellodioso suono che assomigliava a un miagolio. Tom ormai aveva intuito che
Lily faceva finta di non vedere le puttane che uscivano ogni mattina dalla porta di casa.
Pens che ormai ci si fosse abituata. Non parlavano mai di quellargomento. E a Tom
questo non dispiaceva affatto. Non voleva affrontare il problema. Anche se per lui
pagare delle prostitute per un pu di compagnia non rappresentava affatto un problema.
A Tom andava bene cos. E se Lily avesse avuto qualcosa da ridire, beh, che si fottesse
anche lei. Nessuno doveva permettersi di giudicarlo. Perch nessuno a questo mondo
sarebbe stato in grado di affrontare gli ostacoli che lui, da solo, doveva
sormontare. Nessuno. E se qualcuno lo avesse fatto, lui gli avrebbe risposto di fottersi.
Fottersi, dannazione!
Sei gi sveglio, tesoro?
Tom guard la giovane prostituta.
E s, era dannatamente sensuale.
Da poco, s. Devi andare via? Quanto di devo?
La ragazza si mise a ridere. Un suono cos cristallino e gioioso che in quella dannata
casa Tom non udiva da troppo tempo.
Non vuoi sapere almeno il mio nome?
No, non importa.
Sally.
Avevo detto che non era impor
Sally si avvicin al viso di Tom e lo baci. I peli corti della barba le graffiarono il viso.
Gli infil la lingua in bocca. Il suo cliente giornaliero si eccit. Le palp il seno. A lei
piaceva. Piacevano le sue mani ruvide. I suoi modi rozzi e mascolini. Tom le salt sopra.
Lei apr le gambe.
Che bravo il mio Tom Ti piace non perdere tempo, vero?
Sta zitta! ansim Tom, mentre penetrava la ragazza con vigore.
Sally inarc la schiena esal un gemito di piacere. Afferr i capelli brizzolati di Tom,
quasi a volerli strappare dalla cute. Provava un forte attrazione nei confronti di
quelluomo. Non le era mai successo. Di solito, consumava i rapporti con i suoi clienti
con finto interesse, sperando che raggiungessero al pi presto lorgasmo, cos da

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potersene andare con il portafoglio gonfio. Ma con Tom Era diverso. Cap che era un
uomo con famiglia che non voleva affatto avere relazioni durature con coinvolgimenti
sentimentali. E questo la faceva impazzire. Il suo distacco emotivo la eccitava. Le sue
spalle cos ampie, la sua pelle corrosa dal sole e dal sale, le sue braccia cos forti. Lei
non stava scopando. Stava facendo lamore.
ODDIO!
Sally strill.
Tom non parve capire cosa stesse succedendo, continuando a muovere ritmicamente le
anche.
Sally cerc di togliere Tom da sopra il suo petto.
<<Smettila, cazzo!>>
Tom vide lo sguardo terrorizzato della ragazza.
Cosa c? gli domand, seccato.
Chi diavolo quella?
Sally punt il dito verso la porta della stanza da letto. Tom si volt. Il cuore sembr le
fosse caduto nello stomaco.
Vicino alla grata del letto, una figura secca e scarna pareva stagliarsi fino al soffitto.
I capelli lungi, rossi e unti che gli coprivano il viso. La pelle avvizzita, i seni cadenti,
le braccia lunghe quasi ridotte allosso. La peli pubici ricci e neri. Era entrata nella
stanza senza emettere al con rumore, come un fantasma. E per tutto il tempo aveva
assistito alla scena di suo marito che si accoppiava con una donna che non aveva mai
visto prima. Senza fiatare. Senza protestare.
Che cazzo ci fai qui, Ester? sbrait Tom, furioso. Stava ancora addosso al corpo di
Sally, che fissava la moglie del suo cliente con terrore.
Ho detto, che cazzo ci fai qui? Torna subito dentro quella merda di stanza!
Ester non rispose. Non profer parola. Sembrava come pietrificata. Oscillava
leggermente, come un pendolo. Guard negli occhi Tom. Poi gir le spalle e usc dalla
stanza.

FINE

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IL MARINAIO E LA CONTADINA

I.

Scozia, 1100 a.C.

Come pu Dio volere tutto questo, Angus?


Il vento trasportava l'odore del sale e della sabbia umida. Si udiva il rumore delle onde
che schiumeggiavano sugli scogli. I riccioli rossi di Ingrid sventolavano sul suo viso
stellato di lentiggini. I suoi occhi smeraldini erano intrecciati con quelli castani di
Angus.
Non Dio a castigarci, Ingrid. Siamo stati noi ad averlo deluso. Con le nostre
illusioni. Con i nostri peccati.
Una nube grigia come il cielo di quel pomeriggio uggioso oscur i timidi raggi di sole
che lambivano la superficie del mare. La Scozia era in lacrime. Con i suoi promontori
maestosi, le Highlands cupe e nebbiose. Le foreste irte e colme di vegetazione.
Ingrid si avvicin ancora di pi al volto dell'uomo che amava pi della sua stessa vita.
Con la punta del naso sfior le sue labbra. I peli ispidi della barba le pizzicarono il
mento. Angus le accarezz le guance con la sua mano ruvida e grezza. Mani che non
erano per nulla adatte a toccare il corpo fragile di una donna.
Resta, Angus. Ti prego.
Una lacrima, solo una, solc un lato del naso di Ingrid, per poi posarsi sul suo labbro.
Angus sorrise. Ma era un sorriso triste. Malinconico. Privo di allegria. Un sorriso vuoto.
Sono un marinaio, un traghettatore. Questo il mio mestiere. Non c' nulla che io
possa fare per evitare il mio fato. Non esiste modo di sfuggirgli.

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Il tuo destino restare con me. Nella nostra casa. Nel nostro letto. Tra le nostre
braccia. E se davvero non esiste modo di sfuggire dal proprio fato, perch te ne vai?
Perch non resti? Angus, resta. Ti prego, non...
Il verso acuto di un gabbiano interruppe la frase di Ingrid. Volteggi tra le correnti
ascensionali, girando intorno all'albero maestro di una nave che oscillava sull'acqua
salmastra. Ingrid poggi il capo sul petto di suo marito.
Torner, Ingrid. Una promessa. E noi marinai manteniamo sempre le promesse.
Angus diede un bacio a sua moglie. Le afferr i capelli, ne sent il profumo di pulito.
Di more selvatiche. La strinse a s. Ingrid si allontan. Si stacc da lui.
Vattene ora. Prima che mi metta a supplicarti, Angus il Marinaio.

Il mare la mia vita, tu sei il mio porto, Ingrid. La mia ancora. Tu mi tieni legato alla
terra ferma. Cercami dietro l'orizzonte.

La nave salp. E con essa anche Angus. Ingrid la vide scomparire sotto il cielo cupo di
quel pomeriggio uggioso, con una mano sulla fronte per ripararsi dal vento.

II.

Trascorsero due anni da quel lontano pomeriggio in cui Angus aveva ammainato le vele
per traghettare i crociati nella lontana Gerusalemme.
Il Marinaio. Il Traghettatore di anime pentite che affidavano la propria vita alla sua
maestria di navigatore. All'abilit con cui virava il timone. Anime che cercavano di
assolvere i propri peccati combattendo in nome di Dio. Uccidendo in nome di Dio.
Scacciando gli infedeli dalla Terra Promessa. I Turchi. Gli Hashishin, gli assassini.
Ingrid non aveva pi ricevuto sue notizie. Nel frattempo aveva trovato lavoro in una
fattoria. Dava da mangiare ai cavalli, arava la terra e puliva la villa del suo padrone. Il
suo datore di lavoro.

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Sir Rowald di Gloucestershire. Il maiale. Grasso. Con gli occhi porcini, neri. La pelle
delle braccia e delle gambe incrostati di sudiciume per la sua scarsa considerazione per
l'igiene personale. Indossava una parrucca sul capo per celare l'incipiente calvizie e le
zecche che attecchivano sui suoi bulbi capillari. Ingrid si faceva scopare come una
sguattera. Su un letto chiazzato di macchie di sudore e urina. Non aveva altra scelta. O
sarebbe morta di fame. Angus sarebbe dovuto tornare tre mesi dopo essere salpato dalla
Scozia. I risparmi di Ingrid erano finiti. E l'unico modo per guadagnare qualcosa era
prostituirsi e servire Sir Gloucestershire. Lo aveva conosciuto qualche tempo fa, in una
taverna del villaggio. Si era avvicinato a lei con fare gentile. Ingrid stava bevendo un
boccale di idromele. Era ubriaca. Priva di lucidit. Incapace di intendere. La mancanza
di suo marito la stava distruggendo. Si sentiva sola. Abbandonata. Era un guscio vuoto.
Sir Rowald si era seduto al suo tavolo. Le aveva afferrato le mani. Promettendole di
trovarle un posto di lavoro nella sua fattoria. Dopo aver pagato lui stesso il boccale di
idromele, aveva condotto Ingrid in un bosco isolato. L'aveva picchiata. Presa a calci.
Insultata. Sputata.

Voi donne siete la feccia di questa societ malsana... orrida aveva squillato Rowald,
con la sua voce fine irritante, quell'accento inglese troppo pronunciato e arrogante.

Sporche sgualdrinelle! Schifose... bleah! Vi ripudio!

Ingrid aveva perso i sensi. Il volto era tumefatto. Due costole si erano inclinate. Ma Sir
Rowald aveva pensato che sarebbe stata un'ottima idea violentarla in quelle condizioni,
cos non avrebbe opposto resistenza.
Il mattino dopo, la ragazza si era svegliata in una stalla per cavalli. Distesa sulla paglia,
di fianco a cumuli di letame. Aveva perso sangue dal suo sesso. Dal naso. Dalla bocca.
Da quel momento, era diventata la serva del troglodita.
Ingrid puliva la sua latrina. Tutti i giorni. Gli preparava la colazione. Lo lavava. Puliva
il suo sedere dopo aver defecato. Sir Rowald, in cambio, la pagava con qualche moneta
di scarso valore. Gli permetteva di dormire nella stalla, perch lei non era pi in grado

79
di pagare il tributo del villaggio al feudatario del Re. Quando Rowald si ubriacava,
Ingrid era costretta ad assistere ai suoi ridicoli spogliarelli. Lo doveva guardare e
applaudire mentre si toglieva tutti gli indumenti con sensualit ed erotismo.
Non trovi che io sia una donna bellissima, Ingrid? Oh, ma che... abominio questo
inutile peduncolo che ho tra le bambe. Sarebbe splendido se io me lo tagliassi.
Diventerei un eunuco. O una donna a tutti gli effetti.
Durante le sue esibizioni, nascondeva il pene tra le gambe, che stringeva cos tanto da
sembrare che sotto la peluria pubica ci fosse davvero il sesso di una donna.
Ingrid ipotizz che Sir Rowald fosse un degenerato che traeva piacere frequentando
uomini con la sua stessa perversione. Non capiva allora perch quasi ogni sera
approfittava di lei. Con veemenza.
Quando la stuprava, pronunciava frasi insensate, che Ingrid non riusciva a
comprendere: Sei stato cattivo, piccolo Rowald! Cosa penser di te tuo padre? Meriti
una sculacciata! Vieni qui, Rowald! Vieni da tua madre! Devi essere punito! Ti sei di
nuovo pisciato a letto, bambino ripugnante! Mostro! Mostro! MOSTRO! ABOMINIO!
Ingrid aveva ormai smesso di sperare. Di credere. Di guardare oltre l'orizzonte. Angus
non sarebbe pi tornato. Forse la sua nave era stata travolta dalle onde del mare in
tempesta. O era stato assassinato da qualche infedele. Oppure si era innamorato di
qualche fanciulla indifesa bisognosa della compagnia e del calore di un uomo.
Qualunque fosse la motivazione, Ingrid non riusciva ancora smettere di amarlo. Di
sognare i suoi occhi. Le sue braccia forti. Le sue mani ruvide e callose. Era imprigionata
in quella casa. Sottoposta a torture mentali e fisiche. Non riusciva pi a sopportare
l'infamia e la crudelt del suo finto protettore. Si sentiva avviluppata. Stretta in una
morsa tenace. Legata. Oppressa. Schiacciata. Altro non era che un oggetto. Un
giocattolo. Una bambola di pezza che Rowald poteva usare a suo piacimento. Una
sporca prostituta. Sguattera. Quel corpo grasso e maleodorante su di lei la disgustava. I
suoi ansimi, quel suo alito fetido. La sporcizia. Il suo arnese che le procurava infezioni
orribili al pube.
E poi successe.
Mentre puliva lo specchio della camera da letto di Sir Rowald, si accasci a terra e

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inizi a contorcersi come una blatta capovolta che non riusciva pi a rigirarsi sulle
zampe. Si divincolava, sbavava dalla bocca. Una schiuma bianca. Il suo corpo prese a
sussultare, a vibrare.
Ma cos' tutto questo fracasso, cielo! Ingrid, stupida sgualdrinella vomitevole, cosa
accidenti stai combinando? Giuro che se mi hai rotto lo specchio ti spenno come una
gallina e ti scuoio come un coniglio. Scellerata nauseabonda. Rivoltante, sei. Per le
orecchie ti prendo cielo! S! Per le ore... OH, CIELO! DEMONE! DEMONE
SCHIFOSO! ABOMINIO! ABOMINIOOOO!
Quando Rowald entr nella stanza, vide Ingrid sul pavimento, con le braccia e le gambe
tese. La pancia in aria. La spalla arcuata, quasi a voler imitare la struttura di un ponte.
Della bava bianca le colava dalla bocca. La fronte grondava sudore. I riccioli rossi
sfioravano i mattoni freddi.
Vattene subito da casa mia, abominio! Demone! Prima che ti scuoia! Mostro! Mostro!
Abominio!
Rowald colp pi volte la testa di Ingrid con calci e percosse.
STREGA! ADORATRICE DI SATANA!
Ingrid svenne. Sir Gloucestershire le aveva tirato un sasso sulla fronte con troppa forza.
Il giorno dopo la ragazza si svegli immersa nell'oscurit pi tetra. Nel silenzio pi
sordo. Respirava a fatica. Tossiva. Annaspava alla ricerca di aria fresca. Era sdraiata,
supina. Riusciva a stento a muovere le gambe. Il suo spazio d'azione era ristretto. Su di
lei c'era solo terra. Cos come ai fianchi e sotto di lei.
Anche se il dolore alla tempia le stava offuscando la vista e la lucidit, Ingrid cap subito
di essere sepolta all'interno di una fossa.
La claustrofobia le mozz il fiato. Il cuore sembrava volesse sfondare la gabbia toracica
e scappare via, palpitando come una gran cassa suonata da un percussionista impazzito.
Grid. Strill. Implor. Ma nessuno avrebbe udito le sue richieste d'aiuto. Si
divincolava nel minuscolo abitacolo. Scalciava contro le pareti di terriccio e humus.
Insetti viscidi e umidi sbucarono dai fori delle loro sudice tane, strisciando sul corpo
della ragazza.
L'aria all'interno della fossa stava per esaurirsi. Con le unghie cominci a scavare il

81
terreno sopra di lei. Era soffice. Poco compatta. E percepiva gocce di pioggia battere la
superficie del suolo.
Ipotizz che il buco non dovesse essere troppo profonda.

III.

Ingrid impieg quasi un'ora ad emergere dalla sua tomba. Era in piedi dinanzi ad essa.
I capelli appiccicati sul viso, bagnati dalla pioggia. La vestaglia unta e lercia di terra.
Accanto alla fossa e al cumulo di terra che aveva sollevato per uscire, una pala era
conficcata nel terreno. L'afferr, estraendola dalla fanghiglia. Si guard intorno. Era
circondata da querce e pioppi. Sir Gloucestershire l'aveva sepolta nello stesso bosco,
nello stesso punto in cui aveva approfittato di lei per la prima volta.
Sudicio maiale.
Ingrid era scalza. Con la fronte che le bruciava. Debole e assetata. Ma cominci a
correre. Zigzagando tra alberi, arbusti e cespugli. Calpestando foglie morte, liquami e
rami secchi. Corse sotto il diluvio con quel poco di forza che le rimaneva in corpo. Con
la pala stretta in una mano. Corse per inerzia. Alimentata dalla sete di vendetta.
Dall'istinto vorace e fervente di ammazzare il suo aguzzino.
Lo avrebbe ucciso. A sangue freddo. Nel cuore della notte.
Raggiunse la villa di Rowald in poco tempo. Eppure aveva percorso quasi cinque
miglia. Con la punta della pala frantum la serratura della porta. Un colpo secco e
preciso. Entr in casa. Sent la voce squillante di Rowald giungere dalla stanza da letto.
Cos' questo baccano? Chi ha osato introdursi nella mia dimora, cielo!
Ingrid aspett davanti all'ingresso. Rowald si precipit verso la fonte del rumore che lo
aveva destato dal sonno. E la vide. Dritta su s stessa. I capelli fradici che le coprivano
il volto. La porta aperta. Dietro di lei la pioggia che precipitava sull' erba incolta.
Sir Rowald spalanc la bocca. Confuso. Incredulo.

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Tu! Non...non pu essere! Stupida sgualdrinella, orrido abominio della natura, come
hai fatto ad arrivare fin qui! Morta dovevi essere, cielo! Sotto terra a marcire con i
vermi sporchi e puzzolenti come te, cielo! Ripugnante e vomitevole donna di facili
costumi. Spazzatura! Prostituta ignorante e analfabeta! Mostro! Mostro! Abomi...
Ingrid lanci un urlo di guerra, simile a quello delle Amazzoni. Si precipit a gambe
levate in direzione di Rowald. Impugn la pala con entrambe le mani. Alz le braccia.
Spicc un salto in aria.
Cosa diamine stai facendo, puttana!
La lama tagliente della pala, la stessa con cui Rowald aveva scavato la fossa per Ingrid,
gli penetr nel cranio. L'uomo perse sangue dalle orecchie. Guard per qualche secondo
la sua carnefice, ancora sbalordito e incredulo. Poi stramazz a terra.
Ingrid tir un ultimo calcio al corpo esanime di Sir Gloucestershire. Lo sput. E dopo
disse: Non hai scavato troppo a fondo, stupida puttana.
La ragazza si allontan dalla fattoria, dirigendosi verso l'unico luogo in cui avrebbe
trovato dimora e riposo: casa sua. Mentre camminava sotto la pioggia, a notte fonda,
con i fulmini e i tuoni che si alternavano in uno spettacolare gioco di luci e suoni,
constat che adesso era diventata un'assassina. E le assassine venivano accusate di
stregoneria. Per poi essere appese alla forca e bruciate vive. Sarebbe scappata. Lontano.
Avrebbe vissuto nella foresta. Cibandosi di bacche e more.
Non seppe mai spiegarsi che genere di malanno aveva avuto mentre puliva lo specchio.
Ma decise di non badarci. Doveva affrontare problemi ben pi gravi. Pi pericolosi. Era
una donna. Una ragazza, anzi. Di soli vent'anni. Sposata con uomo uno scomparso (o
morto). Sola. Senza monete. Senza cibo. Con un'accusa che gravava sulle sue spalle. E
sulla sua coscienza.
Desiderava avere un figlio. Un sogno ormai spento. Frantumato. Distrutto. Come il suo
destino.
Il suo villaggio era situato al centro di una radura. Poche abitazioni. Pochi abitanti. La
sua capanna era vicina a un albero di cedro. Si immobilizz.
Dalla cappa fumaria usciva del fumo.
Qualcuno aveva acceso il camino.

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Qualcuno si era introdotto in casa sua.
Ingrid si infuri con s stessa per non essersi portata la pala appresso.
Si avvicin alla porta con circospezione. Era socchiusa. Un profumo di castagne inebri
il suo olfatto. E solletic il suo stomaco.
Si fece coraggio. Di certo quello non le mancava. Era appena uscita da una fossa scavata
nel terreno e poi ucciso l'uomo che si divertiva a seviziarla nel tempo libero.
Entr.
Era seduto accanto il caminetto. Il capo basso, lo sguardo vuoto. Triste.
Angus.
Suo marito si volt.
La vide.
Le sorrise.
Gli sorrise.

I marinai mantengono sempre le loro promesse, Ingrid.

FINE

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LETTERA N.3

Eccomi di nuovo qui, cara madre.


Sono sempre io.
Il tuo odiato Pete.
Il tuo figlio bastardo concepito da una scopata adultera.
Con...?
eh?
madre puttana.
Dai.
Con chi mi hai scopato?
Confessa al mondo intero chi mio padre.
Che, certo. Non puoi parlare.
Ora non puoi aprire la bocca.
Perch chiusa.
CHIUSA.
Sigillata.
Ti ho incollato quelle labbra del cazzo.
Colpevoli di aver cucchiato troppi cazzi.
Ora non succhi pi. Vero, madre?
no.
non potresti farlo.
Che peccato!
Il nastro adesivo te lo impedisce.
Ti ostacola.
Cosa c' madre?
Piangi?

85
Sono lacrime quelle che vedo?
Te ne stai l, seduta su quel divano di merda che odora della tua vagina. Con le mani
ammanettate. I piedi legati.
Nuda.
Ti piace stare nuda.
Lo so.
Spalancavi quelle tue grosse cosce bianche a quei porci, mostrando loro la tua fica.
Quindi... dovresti sentirti a tuo agio, ora.
Con i tuoi amici scopaioli ti svestivi senza alcun problema.
Perch tremi, allora, mamma?
Perch i pori della tua pelle trasudano sudore freddo, stillando paura?
Terrore.
Panico.
Ansia.
Puttana.
Ripeto: puttana.
Temi che io possa ucciderti?
Leccarti quella fica consunta?
Scoparti?
Temi tuo figlio, mamma?
Fossi in te, lo farei.
Fossi in te, mi cagherei su quel divano vecchio e logoro.
Adesso, cazzo!
In questo preciso istante, cazzo!
Perch...
Oh, santo cielo!
Cazzo!
Perch sono realmente e seriamente intenzionato a ficcare la lama di un coltello nella
tua vagina.
Pi volte.

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Maciullando il tuo utero.
Riducendolo ad una poltiglia grumosa.
Madre...
Cuore mio...
Oh, Mamma!
Mi sto per alzare dalla sedia.
Sto per posare la penna.
Sto per finire di scrivere le ultime righe di questa lettera.
Mamma...
Mamma.
Arrivo, ma'.

87
INTERVISTA BORDERLINE

Luned 16 ottobre.
Sto registrando quanto segue per un documentario dedicato ai trattamenti terapeutici
negli ex-manicomi, che verr trasmesso tra otto giorni su History Channel. Mi dirigo
verso l'abitazione di Meredith Kenton. Piove. La strada poco affollata. A parte per
qualche carro trainato da muli e contadini ubriachi. Questo posto il buco del culo
dell'Inferno. Sto svoltando per Small Street. L'auto comincia a singhiozzare, porca
puttana. Avrei dovuto ascoltare mia moglie e andare a cambiare il pezzo. E chi la sente
adesso. Vanessa, amore, se stai ascoltando queste parole, sappi che stavolta, e solo
stavolta, hai avuto ragione. Ma la soddisfazione di dirtelo in faccia, non l'avrai mai. Ti
amo, tesoro.
Bene! Sono appena arrivato a casa della paziente. Davvero una gran bella merda. Una

catapecchia, fatiscente e usurata dalle intemperie. Qui piove sempre. Ci sono... maiali?

Si, sono maiali. Sparsi per il giardino. E poi galline, cani e... Cristo! quanti gatti. Cos'?

Una fattoria questa? Ia, ia, oh!

Parcheggio vicino un badile che sembra pieno di... letame. Ma che schifo, dannazione.

Chris, sei un maledetto stronzo e figlio di una buona donna ad avermi spedito in questo
posto dimenticato da Dio. Quando diventer il tuo vice direttore (perch sta certo che
quel posto sar esclusivamente mio) dovrai venire nel mio ufficio tutti i giorni a pulirmi
il culo. Razza di uno yankee bastardo.

Scendo dall'auto. Oh... Cristo!

I miei piedi sprofondano nel fango. E le zanzare mi stanno divorando! Andate via!
Bestiacce.
Chris giuro che ti ammazzo. Tu e quel tuo programma del cazzo. Ma perch non vai a
ricoverarti in qualche ospedale psichiatrico? Cos unisci l'utile al dilettevole. Spero che
ti imbottiscano di farmaci e ti facciano indossare la camicia di forza, degenerato. E

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deficiente.

Sono davanti alla porta d'ingresso. Suono il campanel... Ma porca puttana! Un ragno!

Sta calmo, Jonathan. Resta tranquillo. Non ti incazzare. Sempre se questa vecchia si
sbriga ad apri Oh, ma buon pomeriggio, Signora Kenton!

Signorina Kenton, prego. Buon pomeriggio, signor...?

Jonathan Archer, molto lieto!

Le dispiace se non le stringo la mano, signor Archer? Puzzano di pip di gatto.

Ma si figuri, signora! Anzi, apprezzo la sua sincerit! Sono un giornalista del...

Di quel programma che parla di matti. Lo vedo tutti i giorni in televisione. Mi vuole
intervistare?

Sempre se lei lo desidera, signora Kenton.

Si accomodi. E si pulisca le scarpe. La casa mi piace pulita.

Li strofiner con cura, signora. Stia tranquilla.

Ammiro molto il suo sarcasmo, signor Archer. Si segga pure sulla poltrona. Io mi
accontenter di questa vecchia sedia cigolante.

La ringrazio, signora. La sua casa davvero molto accogliente!

Ammiro il sarcasmo, Archer. Non le prese per il culo. La mia casa ridotta a uno
schifo. Sono sola e vecchia. Non ho pi le forze necessarie per piegare la schiena e

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sgobbare. Lei mi capisce, vero? No, non pu capire. Certo che non pu. Lei ancora
un bel giovanotto. sposato, vero? Ma non porta la fede. Tradisce sua moglie, per
caso?

Come come ha fatto a?

Ha il segno dellanello sullanulare. La camicia perfettamente stirata e la faccia


felice

Beh, felice! Anch'io non sto passando un bel periodo, signorina Kenton. Sa, le bollette,
l'affitto

Stronzate. Lei felice. Non usi la compassione con me, giornalista. Non funziona. So
perfettamente di essere una vecchia decrepita. Infelice della mia vita. Senza pi
speranze. Senza amore. Pff! L'amore! Nel posto in cui stavo, l'amore non esisteva.

Il Bethlem Royal Hospital?

Esatto, Archer. Sono stata rinchiusa per diciotto anni in una cella per animali. Un
merdoso buco nero. Diciotto anni. Le d fastidio se fumo?

No, no, faccia pure. Come mai stata internata per cos tanto tempo? Soffriva di una
malattia molto grave?

Malattia? Archer, io non ero malata. Io non avevo la tosse. O la febbre. O la


tubercolosi. Non mi sono ferita ad un braccio. Non ho avuto un infarto. Ero sola.
Secondo lei la solitudine una malattia, signor giornalista?

Certo che no, signora Kenton. Ma so che il ritiro sociale e l'assenza di interazioni con
il prossimo possono causare una serie di turbe psichiche come la

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Depressione, s. O il disturbo schizoide della personalit. O quello evitante?
Antisociale, forse? Ciclotimico, Bipolare, Borderline? Cazzate! Cazzate, Archer!
Queste sono solo stupide nomenclature mediche. Noi pazzi, noi mentecatti, siamo la
feccia della societ. Immondizia. Spazzatura. Siamo le fogne nelle quali scaricate la
vostra merda. Creature reiette. Rappresentiamo l'ultimo monito etico e morale di ci
che a voi gente normale potrebbe succedere se mai rimarrete schiavi delle vostre
pulsioni, dei vostri vizi. Io un tempo ero una signora bellissima, signor Archer. Con
molte passioni. Suonavo il piano. Chopin. Bach. E amavo un uomo. Un uomo alto e
moro. Con spalle grandi con cui proteggermi e mani delicate con cui stringermi. Arthur,
si chiamava. Arthur Douglas.

L'ha tradita con unaltra donna?

morto. O almeno, cos dicono i suoi compagni di guerra. Arthur era un militare.
Diciotto anni fa part per il Kosovo. E non pi tornato. Due anni dopo la sua
spedizione non ho pi ricevuto sue notizie. Non ho pi ricevuto le sue lettere. Vuole
che glie ne legga qualcuna?

Oh, s! Mi farebbe molto piacere, signora Kenton.

Mi chiami pure Meredith. Kenton mi fa sembrare vecchia. Io la posso chiamare


Jonathan?

Senza problemi, Meredith

Magnifico, Jonathan. Tutti questi formalismi sono inutili. Tu sei dentro casa mia e io
ti ho ospitato. Ormai si pu dire che siamo quasi amici. E non semplici conoscenti. Ma
dove diavolo ho messo ah! Eccola. Allora. Quel coso che ha in mano sta continuando
a registrare?

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Per il momento si, Meredith. Ho dimenticato di comprare le pile, spero durino fino
alla fine della registrazione.

Allora comincio a leggere. Cara Meredith. Qui la guerra impervia anche dentro i
nostri cuori. Nelle nostre carni. Il vento sa di morte. Di cadavere in putrefazione. Di
nostalgici pianti di madri che hanno perso i propri figli, di figli che urlano il nome delle
proprie madri ormai defunte. Che giacciono sotto cumuli di polvere e rabbia. Qui,
dall'altra parte del mondo. Un posto in cui non esiste la compassione. Il rispetto per la
vita del prossimo. Il perdono. Ma solo una continua lotta alla sopravvivenza. Qui vige
la legge del pi forte. Del chi ha pi munizioni in canna. Di chi ammazza per primo il
nemico di frontiera. I miei compagni di squadra stanno impazzendo. Hanno perduto il
senno della ragione. Hanno dimenticato cosa vuol dire appartenere ad una comunit
civile, rispettosa dei precetti morali inculcati dai nostri genitori. Sono impazziti.
Parlano con esseri inesistenti. Piangono durante la notte. Si mordono la lingua.
Mangiano i cadaveri dei loro nemici. Seviziano i prigionieri e approfittano
sessualmente dei loro corpi. Sia vivi che morti. Che putrescenti. Mi manca la nostra
casa, Meredith. La freschezza delle lenzuola a prima mattina. Il tuo odore di balsamo
alla pesca. Le nostre passeggiate lungo il ponte. I nostri discorsi banali. La tua risata
cristallina e limpida. Le tue mani che si intrecciano tra le mie dita, colpevoli di aver
premuto troppe volte e troppo inutilmente il grilletto di un fucile. Spero di non morire.
Per rivederti solo per un attimo, un secondo o un battito di ciglia lungo una vita. Il tuo
Arthur. Per sempre.

Wow Io, davvero, Meredith, non so cosa replicare o rispondere.

Non c' nulla da replicare, Jonathan. Niente da commentare. C' solo tanta tristezza
dentro di me. Che mi ha fatto finire dentro quel manicomio schifoso. Sai perch,
Jonathan? Perch una sera ho chiamato puttana la figlia del sindaco di questo squallido
paesello. Il paparino, appena saputo l'accaduto, ha subito richiesto il TSO,

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linternamento coatto all'interno di un istituto psichiatrico. Sono entrati in casa mia.
Casa mia, signor Jonathan. La mia dimora. Mi hanno presa, contro la mia volont. Mi
hanno stordita con un manganello in testa. E il giorno dopo mi sono risvegliata dentro
una stanza spoglia. Senza letto. N gabinetto. Avevo un bracciolo di ferro intorno alla
caviglia, attaccato a una catena fissata al muro. Come una bestia. Una bestia dentro una
gabbia.

Figli di puttana.

Oh, Jonathan, mio caro! Etichettarli figli di puttana decisamente troppo


approssimativo. Ci trattavano come animali. Se non peggio. Io ero internata nella
sezione femminile del manicomio. Al secondo piano. Al primo c'erano i pazienti
maschili. Al terzo e al quarto i pazienti criminali maschili e femminili. Ritenuti i pi
pericolosi. I pi selvaggi. Per loro non esisteva alcuna cura. Sarebbero morti l dentro.
Non avrebbero mai pi rivisto la luce del sole. Non che io la vedessi tutti i giorni, sia
chiaro. La mia cella non aveva finestre. Come ti ho accennato poco fa, caro il mio
Jonathan, non era neanche attrezzata di un bagno. Pisciavo per terra. Dove capitava. E
defecavo agli angoli della stanza, il pi lontano possibile dal punto in cui dormivo. Ma
dato che non c'era nessun letto o materasso che mi isolasse dai mattoni di pietra, nel
giro di pochi mesi cominciai ad addormentarmi e a risvegliarmi con la puzza rancida
delle mie deiezioni sparse tutte intorno. E anche con un gran mal di schiena. A prima
mattina (non so di preciso a che ora, nel Bethlem il tempo sembrava che non passasse
mai, i giorni sono tutti uguali, cristallizzati), un'infermiera mi veniva a svegliare in malo
modo. Non come ti svegliava tua madre, Jonathan. No, ah! Assolutamente no. Mi tirava
calci ai fianchi. Mi afferrava per i capelli, tirandomi su la testa. Un paio di schiaffi sul
viso - ciaf, ciaf - e poi gi la prima pastiglia di morfina. Me la ficcava in bocca con
forza. Infilandoci le dita. Sentivo il sapore metallico della sua fede nuziale. L'effetto del
farmaco era devastante. Inibiva i miei centri nervosi. Non avevo neanche la forza di
controllare i miei sfinteri. Ero debole. Non riuscivo a compiere le azioni pi banali.
Come deglutire, ad esempio. Passavo gran parte del mio tempo a sbavarmi. A fissare il

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vuoto, a bocca aperta. A mugugnare parole insensate. La mia pelle diventava sempre
pi sporca. Grezza. Maleodorante. La cura dell'igiene personale non rientrava negli
standard terapeutici del Bedlam, Jonathan. Qualche volta, una volta a settimana credo,
ci portavano in una grande stanza con i mattoni bianchi. Un uomo apriva la valvola di
una pompa e ci spruzzava violenti getti di acqua ghiacciata. Non esistevano coperte.
Non a caso, i raffreddori erano frequenti. Una sera mi svegliai di colpo per la febbre
alta. Ebbi le convulsioni. Stavo per morire, immagino. Il medico che mi venne a visitare
disse che la temperatura corporea era molto elevata. Pi di quaranta gradi. Poi, all'ora
di cena, un infermiere alto quanto il soffitto della cella e grasso come un lottatore di
sumo, si divertiva a spegnere i mozziconi di sigaretta sulle mie parti intime. Se
protestavo, o opponevo resistenza, mi picchiava. Pugni in faccia, Jonathan. E i pugni di
un uomo sul viso di una donna possono provocare danni notevoli. Mi violent,
Jonathan. Molte volte. Dopo mi sputava. Mi pisciava addosso. E dopo ero anche
costretta bere il suo piscio. E se spifferavo le sue marachelle, lo sai cosa sarebbe
successo, mio caro bel giovanotto? Niente! Nulla sarebbe cambiato. Nessuno avrebbe
creduto ad una povera pazza. Tutt'ora nessuno crede alla mia versione dei fatti. Essere
pazzi una condanna, Jonathan. Lo si per tutta la vita. come un marchio sulla pelle
impresso col fuoco. Uno stigma. Io la chiamo ingiustizia, Jonathan. Io la chiamo
brutalit. Tu lo sai cosa vuol dire essere soli, Jonathan? Cosa vuoi che faccia? Che ti
canti O sole mio? Che cominci a ballare? A giocare con i birilli come una mentecatta
del villaggio? Tu non sai cosa vuol dire. No, no che non lo sai. Svegliarsi la mattina e
non parlare con nessuno se non con s stessi. Preparare solo una tazza di caff. Fumarsi
una sigaretta vicino alla finestra e osservare il mondo che assume con il passare dei
giorni sfumature sempre pi grigie, fino a dimenticarsi di vivere. Io sono Meredith
Kenton. E mi dispiace che un bel giovanotto come te, dovr assistere a questa scena
orribile. Ma oggi il giorno in cui rividi per l'ultima volta il mio Arthur. E ho tutte le
intenzioni di rivederlo ancora.

Meredith cosa NOOO! MEREDITH! STA FERMA! NON FARLO, MEREDITH.


CRISTO! LASCIA QUEL CAZZO DI COLTELLO! MEREDITH, TRANQUILLA! CI

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SONO IO CON NO! MEREDITH

Ama tua moglie, Jonathan. Anche solo per un attimo, un secondo o un battito di ciglia
lungo una vita.

CAZZO NO! MEREDITH!

BATTERIE ESAURITE. AGGIUNGERE NUOVE CARICHE.


ARRIVEDERCI

FINE

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LETTERA N.4

Sudo.
Gocce di liquido salato proliferano dalle mie ghiandole sudoripare, scivolando come
olio denso lungo i tratti spigolosi del mio viso.
Ma non per il caldo.
Credo sia una reazione somatica all'euforia che sto provando in questo preciso istante.
Euforia e panico.
Agitazione e paura.
Questa miscela chimica di trasmissioni sinaptiche mi ha provocato un' erezione
erettile del mio pene.
Sono eccitato.
Mi succede spesso.
Mi succede spesso che mi arrapo.
Mi succede spesso dopo che ho ucciso un essere vivente.
Un essere che respira. Pensa, piange. Implora.
Supplica.
Supplica me.
L'ultima faccia che vedr prima del trapasso.
Sono la personificazione di Dio, in quel momento.
Sono il suo Dio.
Che decider l'esito della sua condanna.
E tutto ci, signori miei, mi arrapa.
In questo caso, mia madre non ha implorato che non la uccidessi.
Ma che mi affrettassi a farlo.
Perch ha sofferto.
Oh, cazzo! Ah! Eccome, se ha sofferto.
S, ho ucciso mia madre.

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La mia madre puttana.
Adesso giace morta sulla quella merda di poltrona.
Ha il capo chino su una spalla. Come se lei stesse sonnecchiando, placida.
In realt, ha patito. Ha urlato. Gridato.
Le ho squarciato il ventre con un coltello da cucina che di solito lei usava per
sminuzzare le cipolle o pelare le patate. Cucinava da schifo.
Anche come cuoca era una schiappa. Oltre che come come madre.
Davvero una grande incompetente.
Era brava solo a farsi chiavare.
Ho estratto le budella e le ho attorcigliate intorno al suo collo.
Poi l'ho baciata. Infilando la mia lingua nella sua bocca. Con i denti, poi, ho stretto la
sua di lingua. Con uno scatto improvviso, l'ho tranciata dal palato, strappandola. Dopo
aver sputato la lingua sul pavimento, mi sono inginocchiato. Le ho aperto le cosce.
Lei non ha opposto resistenza.
E le ho leccato la fica.
Gemeva, la troia.
Le stava piacendo.
Forse.
Non ne sono certo.
Non ne sono... SICURO.
Poi, ho inserito con estrema calma il coltello nella sua vagina, torcendo il manico
affinch provasse dolore.
Lo ha provato.
Molto, anche.
Estratto il pugnale dalla sua fica, l'ho scopata.
Difatti, adesso ho il pene impregnato di sangue.
Ho spinto il mio cazzo nella sua vagina.
Non ho eiaculato.
Anche se mi sarebbe tanto piaciuto farlo.
Credo sia morta proprio in quel momento.

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Mentre me la scopavo.
Quale morte migliore?
Non credete?
Mi sento soffocare, ora.
La stanza in cui sto scrivendo queste righe sembra che si stia registrando su di me.
Pare pi... PICCOLA.
Eppure sempre la stessa noiosa, triste, CAZZO di stanza.
Con i soliti quadri appesi raffiguranti stupidi gatti arruffati, il caminetto che fuma, il
tavolo da cucina poggiato un tappeto rosso scarlatto intriso di polvere.
tristezza, quella che sento?
tristezza, signori miei?
Vedo mia madre.
Trucidata.
Con i capelli biondi insanguinati.
Lo squarcio irregolare sul ventre. Le viscere intorno al suo collo. Il viso che
sonnecchia. Squadrato. Con il naso storto, che ho ereditato. La bocca semi aperta. Gli
occhi spalancati, ciechi. Bianchi. Non pi verdi.
Le gambe ancora aperte, come se stessero aspettando i fianchi vigorosi di un uomo.
La vagina maciullata. Dilaniata.
Ora tocca a mio padre.
Mio pap.
Tra poco torner a casa per la cena.
Pap...
Arriva, pa'.
Fai presto, pa'.
Fai presto.

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LICANTROPIA

Odore di terra bagnata. Humus. Foglie decomposte. Marce.


Si muove lento, il lupo.
Agile. Svelto. Sinuoso.
Annusa l'aria. Contraendo il naso umido.
Digrigna i denti. Aguzzi e famelici.
Procede a zig zag tra gli alberi. Si mimetizza tra l'erba alta e i cespugli del bosco.
La luce pallida del tramonto rischiara la sua chioma nera.
vigile.
Silente.
L'udito fine e sensibile percepisce e capta i movimenti della sua preda.
Dista solo pochi metri. Il lupo avverte la sua presenza. Il suo aroma prelibato.
La scorge. intenta a raccogliere funghi. piegata. Di spalle. Indifesa.
Un essere umano.
Maschio. Adulto.
Buono da mangiare.
La bestia gli si avvicina con circospezione. Cercando di non commettere errori. Di non
fare rumore. O sarebbe rimasta a digiuno. Avrebbe perso del grasso prezioso. L'inverno
rigido potrebbe anche ucciderlo. Ha bisogno di riserve alimentari. E quel grasso umano,
rubicondo e flaccido rappresenta una sostanziosa fonte di cibo per quasi una settimana.
Per s e i suoi cuccioli. E la sua compagna. La lupa.
tempo di agire.
tempo di mordere.
Il lupo ringhia.
La preda si volta.
Si spaventa.
Anzi, no.

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Pare sorpreso. Stupito.
Il suo sguardo incredulo, non terrorizzato.
Curioso, sorpreso.
Sarebbe dovuto scappare, l'umano.
Fuggire. In fretta.
Correre il pi lontano possibile.
E invece, ride.
Ride, l'umano.
Si sganascia. Burlandosi del lupo.
Nessun timore. Nessun istinto di auto conservazione.
E tu cosa cazzo vorresti fare?
Il lupo aggira la preda. La studia.
Valuta le sue mosse.
I suoi punti deboli: il collo scoperto. La pelle soffice, tenera.
Ne ho visto stranezze nella mia vita, ma questa le supera tutte. Su, accuccia, cagnolino!
Cos', vuoi un po' di funghi? Mi dispiace coglione, ma questo non buon metodo per
ottenerli. Li puoi trovare a un paio di chilometri da qui, questa zona ormai privata!
Capisci ci che dico? PRI-VA-TA.
Lo stomaco del lupo brontola. Il crepuscolo sta per calare. Il gelo e il vento freddo
sopraggiunge. Seguir da nuvole nere. Nuvole di pioggia. Cariche, colme di lampi e
tuoni.
Ora o mai pi.
Ehi, bello. Che cazzo fai?
Fiuta la sua paura.
Quel dolce, sublime olezzo.
Che al lupo piace tanto.
Stuzzico i suoi feromoni.
La sua rabbia.
La sua furia.
Adesso ha paura.

100
Sudicio suino.
Se provi soltanto ad avvicinarti di un altro passo, ti meno. Razza di
Il lupo pronto.
Pronto ad agire.
Irrigidisce i muscoli delle gambe.
Flette le zampe.
Le giunture fungono da molla.
Scattano. Inevitabili.
svelto, il lupo.
furbo.
veloce.
Balza in avanti. Sulle spalle dell'uomo.
Prima che questi abbia il tempo di reagire, azzanna il suo collo. Incisivi e canini
penetrano nella carne, malleabile come il burro.
Dilania e strappa. Lacera e squarta.
Il sangue sgorga a fiotti dall'aorta.
L'uomo crolla in ginocchio. Il lupo continua a infierire. Tenta di disarcionare la bestia
afferrandolo con le braccia. Ma i suoi artigli sono conficcati nella carne. La morsa
letale. Impossibile da allentare. Cos si accascia al suolo. Con la testa quasi mozzata. Il
muso del lupo ancora insinuato all'interno del collo. Rosicchiare. Morde. Stritola.
L'uomo perde conoscenza.
Il lupo gira intorno al cadavere. Al corpo esanime.
Poi, si alza.
Assume una posizione eretta, il lupo.
Contro natura.
Con una zampa si pulisce il pelo imbrattato di sangue.
Zampa? Ha le sembianze di un braccio.
La pelliccia nera di una barba incolta.
Il muso canino di un mento umano.
Nessuna metamorfosi. O maledizione. La luna non ancora sorta. I licantropi

101
appartengono al folklore contadino.
Questa realt. Empirica. Osservabile.
Robert Tommley Jones, un impiegato call-center con famiglia e una Station-wagon
senza paraurti, nudo, in un bosco situato sui monti di Dublino. E ha appena
ammazzato a sangue freddo un uomo che raccoglieva funghi. Con i denti. A morsi.
Robert malato. Una malattia rara. E non consapevole. Non ancora. Con sua moglie
e i suoi figli vivono insieme in grotta scavata tra gli scogli dell'Oceano. Esiliati dalla
comunit. Per scelta. Lontani dalla civilt. Dall'etica. Dalla moralit.
Selvaggi.
Lupi.
Il resto della famiglia attende il richiamo del capo branco.
Hanno fame.
Robert ulula al cielo. Una donna e due bambini maschi acquattati dietro il tronco di un
pioppo, trottano a quattro zampe verso il corpo dell'uomo. Lo annusano. Lo leccano.
Lo assaporano.
E poi se ne cibano. Come bestie. Squarciando tessuti, masticando nervi. Sviscerando.
Robert li osserva. Soddisfatto. Entusiasta.
Ha fatto un ottimo lavoro, il lupo.
L'indomani sarebbe tornato a lavoro. Cuffie alle orecchie, PC acceso. Barba incolta.
Puzzo di sudore e di urina. Penna in mano, taccuino sulla scrivania.
Buongiorno, signora. Azienda commerciale addetta alla vendita di elettrodomestici.
In cosa posso esserle utile?

FINE

102
LETTERA N.5

Scrivo per capire.


Scrivo per comprendere.
Cosa?
Cosa, per l'esattezza?
Io credo... io PENSO...
Che...
Sono malato.
Lo sapete cosa spinge un essere umano a uccidere un suo simile?
La rabbia.
La gelosia.
L'ossessione.
L'indifferenza.
Io sono solo.
Lo sono sempre stato.
Dalla nascita fino all'et adulta.
Adesso ho quasi trent'anni e non so che sensazione si prova nel bere una birra insieme
a un amico.
A passeggiare per le vie del paese mano nella mano con una ragazza.
Io le ragazze le uccido, le violento, le squarto, le massacro e poi mangio i resti
maciullati dei loro corpi.
Non conosco l'amore.
Le tecniche di seduzione, di corteggiamento.
Ci che voglio, lo prendo. Con la forza. Per poi distruggerlo. Perch so che le mie
vittime, i miei giocattoli, non mi appartengono.
L'unico legame la morte.
Indissolubile.

103
Asfissiante.
Soffocante.

Ho paura.

104
DE BELLO GALLICO

Anno 58 a.C.

Occhi verdi e unespressione austera. Scolpito dalla guerra. Rude. Caparbia. La barba
era folta e bionda, come i suoi capelli raccolti in ciocche, e i lunghi baffi impregnati di
malto e carne di cinghiale. Le spalle larghe e possenti erano coperte dal
palendamentum, un mantello rosso scarlatto che gli conferiva lautorit di capo. Re.
Guerriero supremo. E l, nella terra dei barbari, oltre il fiume Rubicone, nascosto nella
foresta dei Carnuti, Vercingetorige attendeva. Al suo fianco, i guerrieri Galli si
riposavano sullerba umida e fredda, bagnata dalla brina. La foschia nascondeva
lultimo avamposto Romano, situato al di l di un colle. Lo sguardo di Vercingetorige
era stanco. Il suo viso emaciato. Pallido. La mano con cui impugnava lascia, cedeva.
Ci sarebbero stati giorni in cui avrebbe smesso di combattere, ma non era quello il
giorno. La sua donna, Milread, era tenuta in ostaggio dal commilitone romano, legata
ad un palo. Derisa. Insultata. Picchiata e violentata. No. Non era quello il giorno.
Quello era il giorno in cui avrebbe ucciso. Ammazzato. Per poi salvarla. Mordere la
sua carne, sentirne laroma di donna. Il sapore di selvaggina fresca. Il sapore di casa.
Mia regina. Mio fiore.
Vercingetorige, giunto il crepuscolo.
Il condottiero Gallo si volt verso il suo fidato nipote, cresciuto nel rispetto e
nellosservanza dei precetti gallici. Il suo prediletto.
Perci giunto il momento di attaccarli, Fionn. Raduna gli uomini. Li squarteremo
nel sonno.
Romani: sudici porci ubriaconi. Abituati pi al vino annacquato che alla guerra.
Strateghi, maestri di tecnica bellica. Ma esili come arbusti. Facile da schiacciare. Le
loro ridicole macchine da guerra non sarebbero bastate a fermare unorda di barbari

105
forgiati dal fuoco della lotta. Dal sudore delle braccia. E dal sangue dei nemici
massacrati. Avrebbero appiccato fuoco alle catapulte e mozzate le teste ai legionari.
Vercingetorige conosceva le strategie dei suoi nemici alla perfezione. Tempo fa, lui
stesso fu amico dei romani. Un loro combattente. Istruito da Giulio Cesare in persona.
Tempo ben speso. Impar le loro tattiche dassalto. I punti di forza. Le loro pecche.
Assaggi il loro cibo. Memorizz il latino. Si prese gioco della loro stupidit. Per poi
tradirli. Per scacciarli dal territorio gallico. Annientare e neutralizzare la loro avidit,
la loro sete espansionistica. LImpero Romano. Cos grande. Cos ricco. Troppo
grande. Troppo ricco. Difficile da gestire.
Siamo pronti, zio. annunci Fionn.
Vercingetorige si volt verso suo nipote. Lo guard negli occhi. Grigi come il manto
dei lupi. Non lasciavano trasparire nessuna paura. Nessun timore. Bench egli sapesse
che la Morte svolazzava con le sue ali nere sopra la testa di tutti loro. Poi si rivolse ai
suoi uomini, un pugno cospicuo di combattimenti, in confronto ai cinquecento romani
che occupavano lavamposto.
Miei fedeli compagni. Vi ho chiesto molto, in questi anni. Vi siete battuti con onore e
coraggio! E audacia! Vi siete battuti da veri guerrieri della Gallia! Ma stanotte,
avremo l'occasione di dilaniare e recidere l'ultimo filo di spago che tiene legato
l'Impero Romano alle radici di questa terra. E noi abbiamo il dovere di sgozzare le
loro gole e impalare i loro crani fuori le nostre tende. Affinch siano da monito agli
incursori che tenteranno di occupare il nostro territorio. Noi siamo Galli! Barbari! Ci
chiamano reietti. Oppositori. Assassini. Ma... miei fedeli compagni, amici. Come
dargli torto? ALLA GUERRA!
Marciavano, silenziosi, nella brughiera. Protetti dalla nebbia che i loro stregoni, i
druidi, creavano con arcani incantesimi. Galli: gli Spartani della Gallia. Incutevano
terrore con il loro aspetto. Un solo Gallo poteva tenere testa a cinque romani. E
uscirne indenne. Percorsero il colle che li separava dai nemici. Levarono le asce.
Lanciarono un urlo terribile. I corni da guerra produssero una sola ed unica nota.
Cupa. Da far gelare il sangue.
Milread. Ecco il tuo re

106
Vercingetorige corse in direzione dellaccampamento Romano, agile come un cervo,
potente come un orso. Un legionario lo intravide. Estrasse la sua corta spada di
bronzo. Nulla poteva contro la robustezza dellascia. Il condottiero gallico comp un
salto, balz come un daino, inarc la spina dorsale, una curva perfetta; impugn
larma con entrambe le mani. Caric il fendente.

E poi sbatt contro una porta di vetro.


Vercingetorige avverte un dolore alla tempia. La pelle si arrossa e si gonfia. Si copre il
bernoccolo con una mano. Impreca. Ma non in lingua gallica o latina. Ma con
neologismi abbastanza recenti.
Porca troia!
Il suo viso si riflette sul vetro della porta. Niente barba folta e trecce lunghe. I suoi
capelli adesso sono neri. Radi. Il viso liscio, senza peli ispidi. Non indossa un
palendamentum rosso scarlatto, ma una veste ospedaliera. E non si trova affatto in una
foresta gallica, ma in un manicomio. Le sue narici annusano la consueta essenza di
ambiente settico. Di detergente. E il suo nome non nemmeno Vercingetorige. Halber
Atlee un paziente di quarantasette anni ricoverato nel Bethlem Royal Hospital,
Londra. 1948, Anno Domini; affetto da disturbi comportamentali e da allucinazioni
visive e uditive. Oltre il vetro della porta, Albert incontra lo sguardo di una ragazza.
Rinchiusa in quella stanza da un mese intero perch gli infermieri del manicomio la
ritengono una criminale pericolosa. Una camicia di forza le impedisce di muovere le
braccia. Il suo viso cereo. Neanche lombra di un sorriso. Pare vuota. Albert
picchietta il vetro con le nocche della mano. La regina Gallica abbassa gli occhi. Non
vuole che il suo Re la veda piangere.
Vercingetorige venne afferrato da due legionari in camice bianco e lo trascinarono
verso le prigioni. Avevano perso la battaglia. I suoi uomini sedevano affranti su delle
sedie di plastica. Suo nipote, Fionn, era rimasto ferito alle gambe e ora camminava
con lausilio delle stampelle. Il re dei Galli volse il capo al soffitto. Niente cielo
stellato. O suoni di corni. Presto avrebbe radunato unaltra orda di uomini fedeli.
suo dovere sconfiggere i legionari in camice bianco. suo dovere liberare Milread.

107
La sua sposa. I romani chiusero a chiave la porta della sua cella. Vercingetorige si
tolse il palendamentum. Poi si sdrai sulla lettiga. Era arrivato il momento di studiare
un nuovo piano di attacco. Di trattare con i popoli sottomessi a Roma per rivendicare
e lottare per le proprie terre. Per le proprie famiglie. Per propria libert. Cos abbass
le palpebre.
Eccolo, il Re supremo di tutti i guerrieri.
Impavido. Ma stanco.
Eccola, la sua donna.
Il suo odore di selvaggina fresca.
Lodore di casa.
"Mia regina. Mio fiore. Ecco il tuo re".

FINE

108
LETTERA N.6

Sto male.
Non riesco a scrivere.
Non riesco a concentrarmi.
Dolore nella testa.
Demoni. Mostri.
Che mangiano.
Il mio cuore.
Il mio cuore.
Bum. Bum. Bum.

109
DEBORA DI VINCENT

Vincent davvero incazzato. Non ce la fa pi. La sua pazienza finita. arrivata al


limite della sopportazione. Ora basta. Sul serio. Lei non vuole proprio capire. Debora.
Il suo amore. La donna della sua vita. La sua ossessione. La sua pazzia. Vincent la
vuole. Solo per s. Lei non deve essere di nessun altro. Nessuno! Nessuno,
dannazione. Lei sua, sua, sua, cazzo!
Come porca troia fa a non capirlo? Come porca troia fa non amarlo? Hanno fatto
l'amore, hanno dormito insieme, si sono scambiati le fedi. Avrebbero dovuto sposarsi,
anche. E lei? Cosa fa? Si innamora di un impiegato. Un bibliotecario. Perch bello,
intelligente. Affascinante. Fanculo a lui. Pezzo di merda. Ha infilato il suo uccello
nella vagina della sua donna.
La sua donna, avete capito teste di cazzo?? Deborah sua. Deborah di Vincent.
P.P. Propriet Privata.
Lo avrebbe ucciso prima o poi.
Gli strappo le palle e gliele faccio ingoiare.
Ma prima deve parlare con lei. Con Debora. Oh s, cazzo. Le deve parlare. Discutere.
Con calma. Vuole capire il motivo per cui preferisce farsi sbattere come una troia da
un topo di fogna giacca e cravatta con i capelli gelatinati.
Vincent cammina spedito sulla Broker Row. Urta con i gomiti la gente che gli passa di
fianco. Che cazzo se ne fotte. Il suo obiettivo raggiungere casa di Debora e farla
ragionare. Perch sicuramente ha la testa fottuta quella. Lui la desidera. La ama! LA
AMA, CRISTO! Pi delle sue Lucky Strike.
Cosa cazzo ho sbagliato? Sono stato troppo oppressivo? Geloso? Insistente? Poco
presente? Poco attento? Cosa, cazzo? Cazzo, cazzo, CAZZO! LO VOGLIO SAPERE!
CAZZO!
Forse non pi il ragazzo atletico e giovane di una volta, i capelli sono diventati radi,
ha messo su un po' di pancetta. Ma anche lei non pi tutto questo splendore. Il

110
tempo passa per tutti. Sono stati insieme per quasi dieci anni. L'aspetto fisico non
dovrebbe pi rappresentare un problema.
O forse s?
Debora tutt'ora una bellissima donna. Con qualche ruga in pi, certo. Ma sempre
bellissima. Quella cascata di riccioli biondi... Cristo! Quanto lo eccitavano.
Rimane tuttavia la questione che quei riccioli NON sono pi i suoi riccioli. E Debora
NON pi la sua donna.
Per ora.
Almeno per ora.
Perch Vincent avrebbe fatto e detto qualsiasi cosa pur di averla di nuovo al suo
fianco. Sarebbe morto per lei. Avrebbe anche ammazzato. Senza problemi. Senza
nessuno scrupolo di coscienza. E giacch ci sta andando a parlare arrivato anche il
momento di consigliarle di non indossare pi quella stupida gonnellina attira-cazzi. E
quei tacchi troppo alti e quella scollatura troppo... scollata, cazzo.
Deve vestirsi in maniera pi decente. Ha pur sempre trentanove anni, Cristo! Non
pi una ragazzina del liceo. Se continua ad assumere atteggiamenti cos fuorvianti, gli
uomini che frequenta la etichetteranno sempre come una donna facile da abbordare.
Da una scopata e via, insomma.
E questo non dovr mai accadere. Mai. Finch ci sarebbe stato a lui a vegliare su
Debora, tutti questi accalappia-fregne dovranno tenersi a debita distanza.
O rischiano una pallottola in fronte.
E la rischiano sul serio, eh!
Vincent non scherza.
Vincent non scherza mai.
una questione di principio.
Debora venuta al mondo per stare con lui e basta.
E BASTA.
suo dovere stargli a fianco. Per tutta la vita.
TUTTA LA VITA.
Lei come un pezzo del suo corpo. Un organo vitale. E senza di esso, senza Debora,

111
vivere sarebbe stato pressoch impossibile.
O non cos, razza di coglioni accalappia-fregne?
Dovete stare alla larga da lei.
O vi scotenno come maiali.
Vincent arrivato a destinazione. I cancelli della villa in cui abita ora la sua amante
sono aperti.
Di sicuro sta per uscire la macchina nuova acquistata da quel figlio di puttana pisello-
moscio del suo attuale compagno.
Entra nella propriet.
P.P.
Propriet privata.
Il lungo viale fiancheggiato da alberi di pino, dai quali ogni tanto cascano pigne
grandi quanto un pugno.
Spero che gliene cada uno sulla testa di quel pezzo di merda.
Eccola.
Vincent l'ha intravista.
Debora.
Sta innaffiando le piante. Degli stupidi gerani.
Aumenta il passo.
Le scarpe da tennis calpestano le foglie secche. Quel rumore ripetitivo attira
l'attenzione di Debora. Che si volta verso il suo nuovo ospite.
Si mette una mano sulla fronte per ripararsi dai raggi del sole e distinguere il volto
dell'uomo.
Posa l'innaffiatore sulla breccia.
Vincent la raggiunge in pochi secondi.
La guarda. Indossa una tuta e un cappello, dal quale scendono i capelli castani raccolti
in una coda.
Pare sorpresa. Gli rivolge uno sguardo interrogativo.
Apre la bocca per parlare, ma Vincent la interrompe.
Io ti amo. Capisci? Voglio te. Te e basta. Cosa te ne fai di questa villa o di quel

112
fuoristrada? Tu hai me. Ti sto regalando la mia parte migliore. Tu mi appartieni. E io
appartengo a te. Esiste un filo teso tra noi. Che tiene legato i nostri cuori. Se ci
separiamo, il filo si spezza. Gli ingranaggi smettono di funzionare e il cuore smette di
pulsare. Ti prego... Io ti supplico. Non andare via. Non andartene. Debora, senza di te,
io sono morto.
La donna ha le guance rosse. Come se si stesse imbarazzata dopo aver ascoltato il
discorso di Vincent. Con un dito si sposta un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
Ti ringrazio, sul serio. bellissimo ci che hai appena detto. Ma credo che tu
abbia sbagliato persona. Io non sono Debora.
Tu sei Debora.
No guardi mi scusi, si sta sbagliando davvero. Io mi chiamo Grace. Non Debora.
Vincent infila una mano dentro la tasca della giacca.
Il tuo nome Debora. Tu sei Debora.
Grece, il vero nome di quella donna separata dal marito e con un figlio di tre anni che
al momento sta schiacciando un pisolino dentro la culla, retrocede di qualche passo.
Cerca di afferrare l'innaffiatore. spaventata. Gli occhi di quell'uomo la terrorizzano.
Sono pazzi.
Neri di follia.
Se ne vada. Se ne vada subito prima che io chiami la polizia.
Tu sei Debora. Tu sei Debora. E ti amo. Ti amo, amore mio. Ti amo. Ti amo,
Debora.
Vattene via!
Vincent estrae una Calibro 44 dalla tasca della sua giacca. La punta verso la fronte di
Grace, che nel frattempo si ripara il viso con le mani.
Tu sei Debora. Tutte voi siete Debora. Wendy era Debora. Sally era Debora. Trisha
era Debora. Debora mia. Debora di Vincent.
Preme il grilletto.
Spara.
Il proiettile trapassa il cranio di Grace.
La donna crolla sulla breccia.

113
Vincent per un momento osserva il sangue che fluisce dal foro da cui passato il
colpo di pistola.
Poi si volta di spalle.
E se ne va.

FINE

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LETTERA N.7

Salvatemi.
Ho bisogno di aiuto.

MANGER LE VOSTRE INTERIORA FIGLI DI PUTTANA.


MANGER LA FICA DELLE VOSTRE MADRI PUTTANE.
MAIALI.
SIAMO TUTTI DEI PORCI E LURIDI MAIALI.
LI SENTO.
LE CREATURE CON LE ANTENNE.
SONO QUI.
VOLANO INTORNO A ME.
VOGLIONO ROSICCHIARE LE MIE UNGHIA.
VOGLIONO DIVORARE I MIEI PIEDI E SPUTARE SUL MIO CADAVERE.

Vi prego.

115
LA CHIAMATA DI ROSE

Driiing! Driiing!
Si? Pronto?
Rose, sono io, Marcus.
Rose trasse un profondo respiro. Chiuse gli occhi. Strinse la cornetta del telefono con
forza. Si sedette sulla sua poltrona bianca, affianco al comodino su cui era posato il
telefono. Le finestre erano chiuse, e tende abbassati. Si pass una mano tra i capelli
bruni e ancora bagnati. Allung il filo attorcigliato del telefono, per avvicinarlo di pi
allorecchio. Le sue guance divennero pallide. E fredde. Non riusc a reprimere le
lacrime che stavano per sgorgare dai suoi occhi azzurri. Si copr le gambe scoperte
con una copertina di lana. Aveva appena finito di farsi una doccia, era in mutande.

Marcus, no. Basta. Ti prego. Lasciami stare. Se non vuoi farlo per me, fallo per
nostro figlio.

Rose, ho bisogno di te. Vuoi capirlo? Non ce la faccio pi. Non riesco a starti
lontano. Non riesco, Rose. Ho provato di tutto per dimenticarti, ma

Per non hai perso tempo a scoparti quella puttana. Non cos, Marcus? Non hai
perso tempo, stupido coglione. Porco. Porco del cazzo.

Rose, ero stanco. Di tutto. Ed ero anche ubriaco.

E questa dovrebbe essere una giustificazione accettabile? Ti sei scopato la badante di


nostro figlio. Vergognati. Fai schifo.

Rose, me ne pento tutti i giorni. Non riuscir mai a perdonarmelo. Ma ti prego! Ti

116
prego, Rose, fammi entrare in casa! Tua madre mi ha detto che hai cambiato serratura.
Neanche lei fai pi entrare, Rose? tua madre, Cristo Santo!

Dovete sparire tutti! Tutti, cazzo! Via! strill Rose. Adesso stava piangendo sul
serio. Il singhiozzo le impediva di continuare a parlare. Con il dorso della mano si
pul il muco trasparente che le colava dal naso.

Rose, porca puttana, ragiona! Sei chiusa in quel buco di soggiorno da due mesi! Sue
mesi, Rose! Te ne rendi conto? Hai bisogno di aiuto. Cos come io ho bisogno di te.
Devi lasciarmi entrare, Rose. Se non vuoi me, chiama tua madre. tua madre, Rose.
Non potr mai farti del male.

No, no, no! NO, CAZZO! Lho capito il vostro piano, sai? Mi volete portare via mio
figlio, vero? Me lo volete portare via, stronzi figli di puttana! Non me lo porterete via!
Lui mio! Mio! Hai capito, figlio di puttana? Hai capito? Lui mio!

Rose tuo nostro figlio ormai non ha pi bisogno di noi. Ormai cresciuto. Bader
a s stesso. Ce la far, Rose. Devi devi lasciarlo andare via. Per sempre.

Michael ancora un bambino. Ha ancora bisogno della sua mamma. Deve restare
con me. Non rompete pi o coglioni.

Rose, dov la tata? La sua famiglia la sta cercando. Chiamer la polizia, Rose. Lo
capisci questo? La polizia! Entrer dentro casa. E non se ne fregher un cazzo di
niente se hai cambiato serratura alla porta. La sfonderanno. Ed entreranno. Ti
porteranno via. Sarai processata e andrai in galera. questo che vuoi, Rose?
Rispondimi: questo che vuoi?

Che facciano quello che gli pare. Quella troia ha avuto quel che si merita non
accudiva mio figlio come le dicevo di fare. Era sbadata. Si dimenticava di raccontare

117
a Michael la favola della buonanotte. Senza favola, Michael non si addormenta. Cos
ero costretta ad alzarmi dal letto tutte le cazzo di volte per andare a leggergliela io. E
tu sai quanto ho bisogno di riposare, Marcus. E poi, quella puttana si scopata mio
marito. Il mio ex marito.

Rose, cosa hai fatto alla tata? Porca troia, Rose! CHE CAZZO HAI FATTO! FAMMI
ENTRARE, ROSE! CRISTO! FAMMI

TU-TU-TU-TU.

Rose aveva riagganciato .si tolse la coperta da sopra le gambe. Si lasci scivolare
laccappatoio, rimanendo nuda. Volse lo sguardo verso la cucina. Il pavimento era
ancora impregnato di una scia di sangue che terminava vicino al frigo. Si alz dalla
poltrona bianca. La pelle del suo corpo si rinsecchiva tra le giunture delle sue ossa.
Non mangiava da quattro giorni. Non avvertiva pi lo stimolo della fame. Non sentiva
pi niente. Se non un vuoto. Un vuoto dentro. Un vuoto che nessuno sarebbe pi
riuscito a colmare. Neanche quel porco di suo marito. Che si fottesse. Che si fottesse
anche sua madre. Quella vecchia rimbecillita. Suo padre per fortuna era schiattato
dinfarto da parecchio tempo. Un rompi coglioni in meno. Rose segu la scia di
sangue. Entr in cucina. Non accese la luce. Lei preferiva il buio. Loscurit. Era di
fronte al frigo. Apr lo sportello. Una testa mozzata cadde ai suoi piedi con un tonfo
sordo. Era rancida. Putrescente. Non si riusciva pi a distinguerne il sesso, ma dai
lunghi capelli impastati di sangue secco, doveva trattarsi di una donna. Per la
precisione, di tata Margot. Il suo compito era stato quello di assistere Rose, affetta da
depressione maggiore a causa di un violento attacco di stress post-traumatico, e di
accontentare tutte le sue fantasia deliranti. Fu licenziata il giorno dopo che rose
laveva sorpresa a fare un pompino a Marcus sulla poltrona bianca. La poltrona
preferita di Rose. Dopo averla congedata e pagata, Rose lammazz, per poi
riprendersi i soldi. Poi, con un coltello da cucina aveva tagliato e affettato il corpo
della tata, per conservarlo allinterno di apposite buste per alimenti. Rose si pieg e

118
afferr la testa. La mise su un tavolo colmo di spazzatura, sangue rappreso e pezzi di
carne.
Umana.
Michael, a tavola!
Rose si sedette. Prese il coltello, lo stesso che aveva usato per accoltellare tata
Margot, e cominci a tagliare un lembo di pelle. A lei piacevano molto le guance.
Mand gi il primo boccone, in attesa che il suo figlio morto da pi di tre anni,
seppellito nella cappella di famiglia, si sbrigasse a raggiungerla.

FINE

119
LA NAVE DEI FOLLI

Bernadette era una signora che sorrideva sempre. Allargava quella bocca sdentata e
dall'alito impregnato di nicotina, felice. Contenta. Con unespressione estasiata.
Sorrideva, Bernadette, nonostante sapesse che le restavano solo pochi attimi di vita. I
suoi occhi erano umidi di pianto, le venuzze intorno alla sclera sembravano radici di
alberi che si ramificavano intorno alle iridi azzurre.
Si tocc il viso increspato di rughe con le sue dita lunghe. Si accarezz le guance
secche e grinzose, mentre una lacrima scivolava tra i solchi profondi della pelle.
Era in piedi, nuda. Spoglia di qualsiasi indumento. Il seno cedeva alla forza di gravit
con troppa cattiveria e ostinazione; le gambe scarne e stanche tremavano come rami
secchi scossi da un gelido vento invernale.
La sua mano era poggiata ancora sul viso, mentre l'altra era troppo occupata a
stringere un coltello svizzero multiuso che aveva acquistato qualche settimana fa in un
tabacchino.
La colonna vertebrale delineava la spalla curva e ingobbita, formando una S.
Ciuffi di capelli bianchi erano sparsi sul pavimento del suo salotto. Poco prima si era
rasata la testa con una lametta, in maniera molto maldestra. Il cuoio capelluto era
straziato di tagli rossi e sottili. Tutta colpa di quel dannato tremolio agli arti che non le
permetteva nemmeno di pulirsi decentemente il culo dopo aver espletato i suoi
escrementi.
Vecchia e pazza era Bernadette. E lei ne era consapevole.

<<Maledetti... Maledetti tutti quanti! Maledetti siete e maledetti rimarrete!>> url


l'anziana signora, puntando il suo indice nodoso contro un quadro appeso sopra il
caminetto.
Io non verr con voi! Non c' spazio per me! Non mi porterete mai sull'Isola dei
Dannati! Io voglio andare dalla mia amica! Avete capito? gracchi Bernadette,

120
retrocedendo di qualche passo per non stare troppo vicino a quel dannato quadro.

Lei credeva che quella tela fosse stata dipinta dalla mano di Satana in persona.
Ritraeva una nave che trasportava malati di mente in mezzo a un mare in tempesta.
Uomini e donne con la bocca spalancata in procinto di lanciare un urlo silenzioso che
nessun mai avrebbe udito; i loro polsi erano incatenati con dei ceppi di ferri; un
bambino che se ne stava a braccia aperte sull'albero maestro, tentava di buttarsi a
capofitto tra le onde.
Quel quadro era l'espressione artistica della follia. L'equipaggio esternava i propri
deliri, lasciati alla merc delle intemperie, selvaggi come bestie, animali, reietti. Privi
di pudore, etica e morale. Si gozzovigliavano nel brodo della loro pazzia, tormentati
da visioni di creature demoniache e aberranti; disumanizzati e resi ciechi da pulsioni e
istinti primordiali.
Bernadette adesso non sorrideva pi. Il suo volto si era incupito. Le sue labbra si
erano inclinate verso il basso.
Bernadette adesso aveva paura. Paura di quel quadro orribile che per tanti anni era
stato appeso sempre sopra quello stesso caminetto che lei non aveva mai avuto il
coraggio di accendere.
Quel ritratto era un concentrato di influssi malvagi. Quegli sguardi folli su di esso
dipinti erano vivi! Si muovevano. La scrutavano quando lei si riposava sul suo
divano. Le loro bocche perfide sghignazzavano quando lei chiudeva gli occhi e si
addormentava. Bernadette faceva finta di niente. Si copriva con un lenzuolo, si
tappava le orecchie con le mani per non sentire quegli orribili lamenti, quelle grida di
strazio e dolore! Come unghie che grattavano la superficie ruvida di una parete. Come
la risata ispida di Lucifero.
Fin da bambina, lei aveva timore di quel dipinto. Ne aveva anche parlato con i suoi
genitori, con il parroco della chiesa e con la sua migliore amica. Nessuno di loro
aveva creduto ad una sola parola. Nessuno di loro aveva ascoltato la richiesta d'aiuto
di una ragazzina impaurita, che non osava pi entrare nel salotto perch loro... loro la
guardavano! Loro la deridevano. La insultavano.

121
E per giunta, l'avevano costretta a uccidere i suoi genitori, il parroco della chiesa e la
sua migliore amica.
Voi me l'avete chiesto! strill Bernadette, con voce roca.
stata tutta colpa vostra! Maledetti! Le vostre lingue biforcute si sono insinuate
nella mia testa! Ero solo una ragazzina! Io li amavo! Amavo i miei genitori! Amavo la
mia amica! Cosa siete voi? COSA SIETE?
Bernadette aveva sgozzato i suoi genitori, accoltellato la sua amica e mozzato la testa
al parroco alla tenera di et di quindici anni. Aveva poi smembrato i corpi e disciolti
con la soda caustica all'interno di un pentolone alla temperatura di trecento gradi. Una
volta terminata la cottura, dai cadaveri delle sue vittime, Bernadette ne aveva ricavato
delle saponette. Il sangue, invece, lo aveva utilizzato per condire dei prelibatissimi
biscotti al cioccolato.
Sei un assassssssssina! sibil un membro della ciurma.
Bernadette rivolse lo sguardo a un uomo pelato che era legato a un palo con del filo
spinato attorcigliato intorno al petto. La nave si muoveva tra le onde della tempesta, la
pioggia cadeva fitta da un cielo nero e turbolento, i gabbiani volteggiano sui malati di
mente come un branco di avvoltoi che attendono la morte dei malcapitati.
Vieni con noi, BERNADETTE! profer una donna che si stava scorticando i polsi.
con i denti; la sua voce era impastata dal sangue che sprizzava all'interno della sua
bocca.
Il bambino che stava per buttarsi dall'albero maestro, rideva e si sganasciava tra
l'acqua salata del mare in tempesta e le raffiche di vento che flagellavano il suo
corpicino.
Il dipinto di quella nave diretta verso una destinazione ignota aveva preso vita. E non
era una novit per Bernadette. Ormai si era quasi abituata a quello squallido scenario.
Gli psicofarmaci che era stata obbligata a ingurgitare a dieci anni non avevano sortito
alcun effetto. Semmai avevano aggravato la sua situazione.
Io voglio andare dalla mia amica! Voglio ritornare a giocare con lei! Io non voglio
pi vedere le vostre facce orribili! Siete il frutto della perversione di Satana! Avete

122
rovinato la mia vita! Per... ottantacinque anni siete usciti fuori da quel quadro per
stuprare la mia anima! Mi manca Sarah... Il suo profumo di sapone e la sua risata
limpida e fresca. Voglio rivederla per chiederle scusa. Per raccontarle la verit. Che
non sono stata io a ucciderla ma VOI!
L'uomo legato al palo sghignazz, e poi disse: Piccola Bernadette, ti ricordi quando
ti masturbavi su quel divano e godevi come la meretrice di Lucifero?
La donna con i polsi scorticati aggiunse: Sognavi di scoparti il tuo paparino, cos hai
ucciso tua madre. Puttana! Sei una sporca puttana! E quando ti sei messa a cavalcioni
sul cazzo di tuo padre lui ti ha picchiato e tu. per timore che lui scoprisse il corpo di
tua madre, affranta dal dolore e dal rifiuto, lo hai AMMAZZATO! ASSASSINA!
ASSASSSSSSSSSSINA!

Bernadette ritorn a sorridere. Per qualche strana ragione adesso era di nuovo felice..
La paura era svanita. Cos come la rabbia.
Lei era una donna che sorrideva sempre, anche dinanzi alle disgrazie.
Lei sapeva come affrontare le disgrazie.
E sapeva anche che presto sarebbe stata tra le braccia della sua amichetta.
Felici.
E insieme.
Le perfide insinuazioni di quei demoni ormai non avevano pi importanza.
Se io muoio, voi morirete con me.
Con un movimento rapito e preciso, Bernadette si recise la gola con lo stesso coltello
con cui aveva ammazzato le sue vittime.
Stramazz sul pavimento del salotto, con il sangue che fluiva dalla giugulare.
Sul suo viso, si allarg un sorriso.

FINE

123
L'UOMO CONIGLIO

Un uomo con una gigantesca maschera di coniglio era seduto sul divano. Aveva le
braccia appoggiate sulle spalle di due bambini, un maschietto e una femminuccia.
Poverini, stavano piangendo. I loro occhietti ridotti a fessure, le guance morbide e
paffute bagnate di lacrime, mescolate al muco che gocciolava dai nasini. L'uomo
mascherato da coniglio era impassibile, immobile. Guardava la televisione attraverso
due forellini ritagliati con una forbice. La sua fronte era imperlata di sudore, i capelli
gli si erano appiccicati sulla fronte. Eppure, non sembrava manifestare nessun segno
di fastidio o disagio. La maschera che indossava era davvero pesante, ricolma di peli.
Le orecchie pendevano di lato, sfiorando i lunghi baffi posti sopra il muso, da cui
sporgevano i classici incisivi da roditore.
L'uomo indossava una comune camicia a quadri, che si intonava alla perfezione con la
tovaglia del tavolo da pranzo. La cucina era poco illuminata, le lampadine
funzionavano a intermittenza. Prima buio e, pochi istanti dopo, una forte luce bianca,
intensa. Accecante. Come il flash di una macchina fotografica. Dava un fastidio
tremendo agli occhi. Forse era questo motivo che i due bambini se ne stavano ancora
con il broncio. Il maschietto, che era il pi piccolo di et, di appena otto mesi,
continuava a frignare, senza sosta, producendo versi striduli che penetravano nelle
tempie; la bambina, invece, un po' pi grandicella -di quasi quattro anni- aveva
smesso di piangere. A quanto pare la sua scorta personale di lacrime si era esaurito.
Solo che adesso ansimava. Ogni respiro era scandito da un singhiozzo violento. Il suo
petto sussultava. Lo sguardo era terrorizzato. Sgranato. Fissava il tappeto rosso su cui
era appoggiato il televisore. Stavano trasmettendo una partita di baseball. A lei non
piaceva lo sport. A sua padre invece s. Non si perdeva neanche un match. Quando
giocava la sua squadra preferita, si preparava hot dog e popcorn e non voleva essere
disturbato da nessuno. Neanche in caso di un attacco terroristico o di un'invasione
aliena. Soprattutto dalla moglie che, non amando neanche lei quel dannato baseball,

124
ne approfittava per far addormentare il bimbo di sei mesi con una delle sue famose
favole della buonanotte improvvisate sul momento.
La bambina si chiese se anche l'uomo che la stava abbracciando tifasse per la stessa
squadra del padre. Lei non lo sapeva. E, diamine, come avrebbe potuto?
Neanche lo conosceva quel tipo.
Se ne stava l, seduto tra lei e suo fratello, nella loro casa di campagna, sul loro
salotto, a guardare la loro televisione.
E per giunta, si era intrufolato nella sua stanzetta, intimandola di non fare rumore. La
bambina, tuttavia, alla vista di quella maschera grottesca e raccapricciante non era
riuscita a reprimere un urlo, che aveva costretto la sua mamma a precipitarsi da lei.
L'Uomo Coniglio aveva una mannaia stretta in una mano, che aveva usato per
sgozzare il collo della donna. Stessa sorte tocc anche al padre, decapitato mentre
guardava la partita.
La testa del pap dei due bimbi era appoggiata sul tavolo, apparecchiato con una
tovaglia a quadro simile alla camicia dell'assassino. La bambina volse lo sguardo
verso la testa mozzata del suo pap per qualche secondo, per poi distogliere subito lo
sguardo.
Gli occhi dell'uomo erano ancora aperti, con l'immagine dell'ultimo inning ancora
impresso sulla retina.
Il cadavere di sua madre, invece, era stato smembrato e ridotto a brandelli con la
mannaia. La bambina era stata costretta mangiare un pezzo di guancia e la lingua cotti
a fuoco lento in una padella.
L'Uomo Coniglio voleva una famiglia. Una famiglia qualsiasi.
Adesso che ne possedeva una, sotto la maschera, il suo viso si contorse in un sorriso a
labbra strette. Le palpebre spalancate. Le guance tirate all'indietro, mostrando la
dentatura tarlata di carie.
Una bella famiglia, la sua.
Con due bambini da crescere.
Il sogno della sua vita.
Un sogno che si era avverato.

125
L'Uomo Coniglio si volt verso il neonato.
Lo fiss per qualche istante.
Il bambino ricambi lo sguardo di quel pupazzo enorme, piangendo ancora pi forte.
E l'Uomo Coniglio lo afferr con una mano e lo scaravent sul pavimento.
Poi si abbass i pantaloni. Le mutande.
Si volt verso la bambina di quattro anni.
Ciao ciao, bella bimba

FINE

126
IL SEGRETO DI MATT

Caldo torrido.
Il sole infuocava nel cielo estivo di agosto. Le spighe di grano ricoprono lintero campo
di coltura, fin oltre lorizzonte. Lassenza di nuvole priva ai due fratelli adolescenti che
so rincorrono tra le file di piantagioni di concedersi un poco dombra.
Entrambi se ne stanno a petto nudo, a pantaloncini, con le ascelle e la fronte madidi di
sudore. Biondi come segale, pallidi come il latte di pecora che bevono ogni pomeriggio.
Perfettamente identici. Matthew lo specchio di John.
John insegue Matthew. Lo segue con affanno. Suo fratello sempre stato pi veloce di
a lui a correre. Ma lo avrebbe acchiappato. Prima o poi avrebbe acciuffato quel piccolo
furfante. Lafa di quella mattina rallenta i suoi movimenti, le gocce di sudore salato
bruciano i suoi occhi. La gola secca. Necessita di acqua. Il suo fisico di riposo. Ma
non c tempo. Deve agire. Subito. Prima che i suoi genitori e quelli di John rientrino a
casa per preparare il pranzo. Fino ad allora, la sua missione deve essere compiuta.
Matthew, basta! Ti prego! urla John, voltandosi per un momento verso il fratello che
lo segue con il volto paonazzo.
Ti chiedo scusa, Matt! Ti chiedo scusa!
Ma Matt non lo sta nemmeno a sentire. Il suo udito sordo di rabbia. E ira. E furia.
Fermati, John! Non ti faccio niente, cazzo! Devo solo parlarti!
John sa che suo fratello mente. John sa tutto di suo fratello. Quando dice una menzogna,
la sua voce ha uno strano intercalare, che John identifica allistante. Sono gemelli, e i
gemelli condividono tutto. Ogni cosa.
Forse anche troppo.
Tu vuoi farmi male, Matt!
Matt sogghigna.
S.
Gli avrebbe fatto male.
Ed quello che si merita, quello stupido idiota.

127
Se soltanto la smettesse di correre cos tanto!
Da quando ha cominciato a fumare, Matt ha serie difficolt a salire le scale che portano
nella sua camera da letto e a scappare per pi di cinque minuti di seguito.
John non fuma. Ha provato a fargli fare un tiro, ma ogni volta che inala un po di
nicotina storce il naso e vomita.
John il fratello senza vizi. Il fratello perfetto. Il figlio prediletto da mamma e pap.
Ottiene ottimi voti in pagella, ha una fidanzata, ha la stanza pi grande, un cellulare di
ultima generazione e la popolarit tra i suoi coetanei. Matt, al contrario, stato
rimandato due volte in prima superiore, la sua camera sembra una stalla per porci, non
ha amici e ha un fidanzato.
Matt omosessuale.
Lo dalla nascita.
Ed per questo motivo che vuole dare una bella lezione a John. Quel dannato bastardo
ha spifferato a loro madre ogni cosa. Tutto. Per filo e per segno.

Mamma devo confessarti una cosa. Per non se sia giusto per Matt. Non voglio
che ci rimanga male o che mi reputi un infame. O un codardo o che poi mi picchi.

John, nessuno ti picchier. Io sono tua madre. E non permetter che Matt ti alzi le
mani. Ha bisogno di darsi una regolata quel ragazzo. Cos che devi dirmi, John? Ti
prego, se qualcosa di importante, devi dirmelo. Non dir niente a Matt. Dir che ho
scoperto tutto quanto da sola.

E va bene, ma. Ecco, quando tu e pap non siete in casa, quando andate a lavoro, lui
si veste come te. Nel senso che indossa il tuo reggiseno, i tuoi vestiti e le tue scarpe con
i tacchi scomodissimi. Poi si trucca. S, ma, lo so che sembra assurdo. Ma tutto vero,
credimi. Aspetta! E non sai il resto! Lho visto anche mentre si truccava con i tuoi
trucchi! Si mette il rossetto e fa finta di essere una donna davanti allo specchio. Poi
non sai il resto ma. La cosa che pi mi ha fatto preoccupare e che mi ha terrorizzato.
Un giorno entrato nella mia stanza, nudo. Camminava tipo a saltelli, ma! Perch

128
si stava nascondendo il pisello tra le gambe, facendo vedere solo i peli di qua ma
hai capito, vero? I peli vabb! Se n venuto da me, che stavo studiando sul letto, e
mi dice mi dice con quella voce da femmina eh! Non so come dirtelo, ma. Non
so che altri termini usare. Comunque, mi dice di succhiarglielo. Con la bocca. Fino a
farlo

Cristo, John! Va bene, okay! Basta cos. Ho capito Dio santo.

Bella figura di merda. Uno schifo di essere vivente. Ecco cosa ha pensato Matt dopo
aver ricevuto un paio di schiaffi da sua madre. Dopo essere stato insultato dal padre,
ridicolizzato e messo in punizione per un mese.

Sei un cazzo di frocio, Matt? Una checca del cazzo? Ma Cristo Santo, cosa cazzo hai
partorito, Jenny? Un finocchio! Io non ce lo voglio un finocchio dentro casa mia!

Lo avrebbe picchiato.
Oh, s!
Matt avrebbe ucciso di pugni il suo fratello gemello. Per aver spifferato il suo segreto.
Lo ha supplicato di non rivelare tutto quanto ai loro genitori. E lui aveva promesso.
Aveva promesso!
Ma le troppe sigarette si stanno facendo sentire. Matt inciampa su delle pietre. Cade a
terra. Si sbuccia un ginocchio. Se lo afferra con entrambe le braccia per costatare la
gravit della ferita. Piange.
Come una checca.
Come un finocchio.
Suo fratello John si volta, e lo vede a terra, sommerso dalle spighe di grano. Rallenta.
Smette di correre. Comincia ad avanzare con circospezione verso Matt. Lo vede
lamentarsi, con il ginocchio ferito.
Aiutami, John! Cazzo che dolore
Ma John teme che quella sia solo una scusa. Una tattica. Per poi essere colto alla

129
sprovvista e picchiato a sangue. Cos si china. Si piega. Afferra qualcosa da terra. Poi
si avvicina a suo fratello, che non riesce a mettersi in piedi.
proprio un finocchio pensa John.
Raggiunge Matt.
Lo guarda dallalto con unespressione sprezzante.
Sei la vergogna della nostra famiglia. Questa lultima volta che cerchi di
picchiarmi.
John alza il braccio. In una mano teneva un tronco di albero, preso dopo essersi
chinato. Con tutta la forza che aveva in corpo, lo scaglia sul corpo di suo fratello.
Matt cerca di proteggersi mettendosi le mani in faccia, agitando le braccia. Ma la furia
di John devastante.
Colpisce pi volte la testa di Matt. Con una furia omicida. Occhi assassini.
Il cranio cede, come il guscio di un uovo. Si frantuma.
Le cervella fuoriescono dalle crepe. Materia grigia si sparpaglia sul terreno, invaso da
formiche rosse. Matt caduto proprio sul loro nido.
John getta il tronco sul cadavere sanguinante di suo fratello.
Finocchio.

FINE

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UNA RAGIONE PALUSIBILE PER UCCIDERE MIO
FIGLIO

Stamattina mi sono alzata con un groppo alla gola. Un macigno intrappolato


allinterno della mia gola che non riesco a mandare gi. Che non riesco a ingurgitare.
Ho pisciato, come prima cosa. Mi sono pulito la fica con la carta igienica, ho tirato lo
scarico e mi sono lavata la faccia. Ho sbuffato, appannando lo specchio posto sopra il
lavandino. Dopo averlo asciugato con il palmo della mano, ho visto il riflesso
sciupato del mio viso. Zampe di galline sotto gli occhi spenti, gli angoli della bocca
abbassati, rughe sulla fronte e un pallore cadaverico.
Non sono pi la bella ragazza di un tempo. Fresca, giovane, con un fisico atletico, da
fare invidia alle modelle francesi.
Dopo il parto, tutto cambiato.
Tutto.
Tutto.
Tutto.
Ma io amo mio figlio.
Il mio piccolo Lorenz.
La gioia pi grande della mia vita.
Dopo il parto, dicevo, la mia vita cambiata. Niente pi caff con le mie amiche,
niente pi palestra, niente pi scopate. Eh, s. Non scopo pi con mio marito. Non ne
ho pi voglia. Forse sar la menopausa, forse la noia. Forse non provo pi nessuna
attrazione nei suoi confronti.
Tutto questo a causa del parto.
Tutta colpa di quella sera in cui mio marito mi ha scopata senza il preservativo.
Ma io amo Lorenz, intendiamoci.
Certo, forse se lui non fosse mai venuto al mondo io a questora starei gi facendo

131
shopping con le mie amiche.
Invece sto a casa. Stanca, depressa, inutile.
Un figlio un dono di Dio, che non tutte le donne hanno ricevuto. O sono in grado di
ricevere. Magari per una questione di sterilit, magari per mancanza di soldi.
Per, quelle donne hanno pi tempo per s stesse. Hanno pi tempo per fare shopping
con le amiche, per andare in palestra, per scopare.
Io invece no.
Per colpa del parto.
Per colpa di quella scopata senza protezione.
Per colpa
Di mio figlio?
questo che dovrei pensare?
Lui il mio piccolino. Il mio fagottino. Il mio cuore.
Senza di lui, sarei una donna incompleta. Con pi tempo e meno rughe, certo. Ma
incompleta.
Incompleta di cosa?
Che domanda inutile.
Incompleta di quel sorriso angelico, di quelle manine delicate, di quel visino rotondo
e paffuto, di quel pancino soffice, di quei rigurgiti di cibo, di quei pianti che non
riesco a interpretare, di quella puzza di merda da pulire, di quei capricci del cazzo, di
quei pannolini da comparare, la culla da dondolare, di quei vaccini che costano pi del
mio stipendio.
Lorenz non ha colpe.
Il mio compito accudirlo.
Educarlo.
Il mio compito farlo crescere nel migliore dei modi possibili, senza fargli mancare
nulla, spaccandomi la schiena a lavoro per guadagnare di pi, per riuscire a prendere
uno stipendio che mi permetta di arrivare a fine mese, dato che adesso mio marito ha
perso il lavoro e stiamo quasi per morire di fame, quando invece potremmo non avere
problemi di denaro se Lorenz non fosse nato.

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Cero, tutto sarebbe pi semplice senza un figlio.
Certo che lo -
Perch cazzo non dovrebbe esserlo?
Per, c da dire una cosa.
Ora sto guardando mio figlio. Lo vedo sonnecchiare dentro la sua culla mentre si
succhia il pollice. E non posso fare a meno di provare un moto di tenerezza e gioia per
ci che ho espulso dalla mia vagina.
Il frutto dellamore con mio marito.
Amore che adesso si spento, sfiorito. A causa dagli impegni, causati da spese
ingenti, causate da Lorenz. Che tuttavia dorme. Dorme, lui. Tranquillo. Senza
pensieri. Senza problemi. Senza sapere che i suoi genitori si stanno facendo il culo a
quattro per riempire il biberon di latte parzialmente scremato. Dorme, lui. Dorme il
piccolo infame.
Assomiglia a me. Cos dicono le mie amiche, mia madre e quel fallito di mio marito.
Pu essere, s. Ma come si dice? I bambini sono tutti uguali.
E in effetti ha le sembianze di tuti gli altri bambini. Non noto nessuna mia
somiglianza.
solo un neonato.
Un pezzo di carne che mangia, caga e dorme.
Che bella vita, eh?
Eh, s!
Beato lui.
Beato il mio bellissimo Lorenz.
Il mio fringuello. Il mio pulcino.
Vieni qui, bello di mamma!
Oh, ma quanto pesi!
Quasi che faccio fatica a reggerti!
Quasi che stai per scivolarmi dalle braccia.
Quasi che adesso ti spiaccico questa testolina del cazzo sui mattoni, eh?
Che ne dici?

133
Tesorino della mamma sei tu!
Stai piangendo?
Ma perch?
Che ho fatto?
Perch piangi?
Le mie dita sul tuo collo ti danno fastidio?
Sto stringendo troppo forte?
Ecco, ora s! Ora fai bene a strillare come un maiale!
Ora hai un valido motivo per piangere.
Almeno stavolta ce lhai.
Oh!
Ma adesso non piangi pi?
E come mai?
Ah
Uhm
S.
Sei morto?
Certo, s, sei morto, per adesso non piangi pi, vero?
Ecco.
Ecco cosa dir alla polizia.
Il mio movente.
Ti ho strangolato per non sentirti pi piangere.
Una ragione plausibile per andare in galera.
Una ragione plausibile per uccidere mio figlio.
Ciao, Lorenz.

FINE

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SACRIFICIO

Eddy un ragazzino davvero pimpante. Ha energia da vendere, non riesce a stare


fermo neanche per un momento. Ha bisogno di correre, scorrazzare per il cortile di
casa, inseguire Gandalf, lenorme maremmano che i suoi genitori gli avevano regalato
per il suo undicesimo compleanno.
Ora Eddy ne ha dodici, ma di statura pi bassa rispetto ai suoi coetanei. Ed anche
pi fragile. Le sue ossa sono delicate, come burro fuso. Da neonato, i medici gli
avevano diagnosticato una patologia molto rara, nota come osteoporosi imperfetta. Se
Eddy inciampa per le scale o scivola per terra sullerba morbida, rischia di essere
ricoverata allospedale con fratture multiple su ogni parte del corpo.
Tuttavia, nonostante debba condurre una vita relativamente sedentaria e tranquilla,
Eddy corre, gioca, si diverte. Si gode la giornata. E sapete cosa? Eddy se ne frega
della sua rara patologia. Eddy vuole esplorare questo dannato piccolo mondo,
sfruttare la forza del vento per planare dalle vette pi alte dei Carpazi per poi tuffarsi
tra le nuvole del cielo; salvare un gattino rimasto intrappolato tra i rami di un albero e
fare colpo su una dolce fanciulla dai capelli da principessa delle fate.
Quella fanciulla ha anche un nome.
Quella fanciulla non abita nel mondo magico creato da Eddy.
reale.
Si chiama Noemi.
Oh, santo cielo! Quant bella!
Una principessa.
Cos fragile e delicata. Come Eddy, dopotutto.
Chiss se mi sta pensando in questo momento pensa il ragazzino, mentre se ne sta
disteso su un altare di marmo, cos freddo e spesso.
Ma no No che non lo sta pensando. A questora star sicuramente dormendo. Che
ore saranno? Le due e mezza di notte? Le tre?

135
Anche Eddy ha sonno. Caspita! Gli formicolano gli occhi, solo che non pu
stropicciarseli. Per motivi davvero strani e raccapriccianti che ora sono di futile
importanza.
Eddy deve essere ricordato non per gli eventi che stanno per accadere, a cui stato
costretto a partecipare, ma per il suo sorriso.
Eddy ha un sorriso meraviglioso. O come dice sempre lui quando parla della sua
Noemi meravigliosamente meravigliosa come le meraviglie pi meravigliose di
questo mondo.
Sapete, Eddy non sa di preciso cosa vuol dire morire.
Cosa volete che ne sappia? cos giovane, con la mente frizzante di idee e di imprese
eroiche!
Per lui, la morte un concetto astratto avvolto dalla nebbia pi fitta e pi cupa. Un
pallido miraggio di un deserto di indifferenza.
Eddy crede nel paradiso, agli angeli e allinferno.
Ma non ha ben chiaro cosa sia davvero linferno.
Eddy non ne ha davvero idea.
E nessuno di noi dovrebbe scoprirlo.
N tu, mio caro lettore, n Eddy, n io.
Linferno pu avvolgerci tra le fiamme di un incubo che non possiamo spegnere, da
cui non possiamo scappare.
E ditemi, cosha fatto Eddy per meritare linferno?
B, avr raccontato qualche bugia a sua mamma e al suo pap?
S, una volta lo ha fatto.
Anzi pi di una volta.
Dannazione, Eddy non sopporta la matematica! Non riesce a comprenderla e quella
megera della sua maestra gli mette linsufficienza ad ogni compito in classe.
Ai suoi genitori riferisce di aver preso la sufficienza per accaparrarsi qualche
attenzione in pi. Qualche regalo e perch no? qualche bacio dalla sua mamma. A
cui vuole un mondo di bene. Anche a suo padre, sia chiaro. Ma sua mamma
speciale. Quanto Noemi. Forse un pochettino di pi. A Eddy piace lodore dei capelli

136
di sua madre appena lavati con il balsamo alla pesca. Coglie loccasione per buttarsi
tra le sue braccia e inalare quanto pi profumo possibile. E c anche da dire che a
Eddy piacciono le pesche. A Eddy piace qualsiasi cosa che contenga le pesche.
Torta di pesche, socco di pesche, marmellata di pesche.
Oh, mamma, che fame!
Eh, s, mio caro lettore. Eddy adesso ha tanta fame. La pancia gli brontola. E ci credo!
Non ha neanche cenato stasera. stato direttamente rapito da dieci figure
incappucciate che si sono intrufolati nella sua cameretta.
Con che diritto poi!
Quella la sua stanza! il suo Regno! La sua Terra di Mezzo!
Eddy non lo sa, ma quegli estranei hanno, tra laltro, smembrato e scuoiato i suoi
genitori, bevendo il loro sangue e mangiando la loro carne. Cuore, fegato e occhi.
Dopo hanno picchiato Eddy, urinando sul suo volto e violando la sua purezza.
Lo hanno violentato.
Tre uomini hanno approfittato sessualmente del dolce ragazzino, con i loro membri
grotteschi e maligni.
Tutto ci che Eddy ricorda, di aver provato cos tanto dolore nel bel mezzo dello
stupro, da essere svenuto. Per poi risvegliarsi allinterno di una chiesa, sdraiato
sullaltare marmoreo. Freddo e spesso.
Privo di vestiti, con mani e piedi legati con del nastro adesivo. Il corpo livido,
tumefatto, pieno di lividi, bruciature di sigarette, tagli sottili di lame affilate.
Adesso Eddy ha capito cos linferno.
Lo sta guardando ora. Dentro gli occhi di uno dei dieci carnefici che sono riuniti
intorno a lui, con il viso coperto da un cappuccio nero, nero come la veste che
indossano.
Quegli occhi ardono di follia e depravazione. Lodore di incenso permane allinterno
di quel luogo sacro. Eddy lo sente insinuarsi nelle sue narici. Niente a che vedere con
il profumo di pesca di sua mamma.
O il dopobarba pungente del suo pap, mischiato a quellinsopportabile aroma di
nicotina.

137
Insopportabile, ma familiare.
Il suo carnefice ha entrambe le braccia alzate, le mani stringono un pugnale,
illuminato dalle fiamme di decine di candele sistemate a forma di cerchio, le quali
racchiudono laltare e i partecipanti del sacrificio.
Eddy sa cosa sta per succedere, ma cerca di non pensarci.
Non ne vale la pena.
Eddy ha tutto il diritto di raffigurarsi il viso angelico della sua Noemi, che gli sorride
e che magia di tutte le magie! Lo bacia! S! La abbraccia con forza dopo averla
slavata dal temibile drago nero e, guardandola negli occhi, pensa che lei sia
meravigliosamente meravigliosa come le meraviglie pi meravigliose di questo
mondo.
Ricordate Eddy come un eroe.
Non come la vittima di un sacrificio satanico.
Ricordate Eddy, perch era in grado di cogliere la bellezza anche dentro gli occhi di
una bestia.
La lama scintilla e colpisce.

FINE

138
LETTERA N.8

Ho dimenticato di parlarvi di mio padre.


Non c' da dire sul suo conto, miei fedeli lettori.
Si chiamava Terry Watson ed era un uomo di cinquantacinque anni davvero brutto. Il
suo aspetto era morfologicamente imperfetto. Basso, tarchiato, con la pancia gonfia di
vodka e con un alito di Marlboro rosse.
Ah, s.
Era il fratello di mia madre.
Avete capito bene, miei cari.
Mamma si scopata suo fratello e io sono il frutto del loro incesto. Inutile parlarvi
della loro storia d'amore. abbastanza noiosa.
Si conoscevano dalla nascita.
B, cazzo. Erano fratelli.
E un giorno Terry disse a sua sorella (mia madre) che sarebbe stata un'ottima idea se
lei gli avesse succhiato il cazzo.
Mia mamma, dato che era una puttana anche ai quei tempi, acconsent senza pensarci
troppo.
Dal pompino, passarono subito alla scopata. Avevano solo dodici anni. E gi si
fottevano come animali.
Tra una scopata e l'altra, nacqui io.
Fine.
Non sono a conoscenza di altri particolari.
Che mio padre e mia madre erano consanguinei l'ho scoperto solo pochi mesi fa.
Mio padre era tornato dal bar ubriaco. Come al solito, d'altronde. Io mi stavo sparando
una sega sul divano in cui ho ucciso mamma.
Mi guardava con quegli stupidi occhi acquosi e poi mi disse: <<Ehi, coglione! Hai
peraaaso viiisto mmmia sooooella?>>

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Io mi nascosi subito il cazzo nei pantaloni e gli chiesi: <<Stai per caso parlando di
mamma, pa'?>>
Mio padre si gratt i testicoli e poi vomit sul pavimento.
Davvero un gran bello schifo.
<<E di chi caaaaazzo doveeei pallllare? Tua madre, cazzo. Dooove sssta quuuuela
ttttroia?>>
Io sapevo che mia madre si stava fottendo il giardiniere nella camera da letto, e decisi
di comunicarglielo. Tanto era ubriaco. Per me sarebbe stato divertente vedere la sua
espressione dopo avergli dato la notizia che la sua moglie-sorella succhiava cazzi
nello stesso letto in cui dormiva anche lui.

<<Succhia cazzi.>> gli risposi.


<<Eeeehi. A chi caaaaazo dici suuchia cazi? A me? Io ono uooo padre! Razza di
cooooiooone!>>
Mio padre tent avventarsi su di me per picchiarmi,forse, ma non fece pi di qualche
passo che inciamp, cadendo per faccia sulla sua stessa pozza di vomito.
Io lo fissavo con aria ironica dal divano. Ricordo che me ne stavo a gambe incrociate,
con il cazzo ancora sull'attenti. E un sogghigno sul viso.
Ero molto felice di vedere mio padre con la faccia ricoperta della sua stessa merda.

<<Intendevo mia madre. lei che sta succhiando cazzi nel vostro letto.>>

Mio padre cerc di alzarsi dal pavimento e, incredibile ma vero, ci riusc. Ritorn a
guardarmi con quell'espressione da pesce lesso, da ubriaco incosciente e poi mi disse:
<<Ua madre empreee stata ua troia. Ache da aaaambina. Mi ha suiato il cazzo. Hai
aito bene fiooolo. Ua madre ia soella. Me la ono fottuta. E vaffaulo. Aesso la
ucccioooo!>>

And a finire che mio padre irruppe nella camera e massacr di botte il giardiniere.
Lo prese per i capelli per poi trascinarlo in soggiorno, dove io sedevo sempre sulla

140
mia fedele poltrona.
Mia madre cerc di mettersi in mezzo in faccende tra uomini che non le riguardavano,
cos si becc un bel pugno in faccia da parte di mio padre che, nel frattempo, era
andato in cucina per prendere un coltello (lo stesso con cui mia madre sbucciava le
cipolle). Il giardiniere era privo di sensi, con il naso spaccato e sanguinolento.
Sarebbe potuta bastare come lezione. Ma mio padre era un tipo che non si
accontentava tanto facilmente. Cos gli recise la testa. Gliela mozz. Come un
macellaio che affetta carne di maiale. Poi afferr la testa tranciata e costrinse mia
madre a baciare le labbra del giardiniere.
A me venne quasi da vomitare, ma fu una scenette abbastanza esilarante.

Per oggi tutto mio fedeli lettori.


Tra qualche giorno vi racconter come ho ucciso mio padre.
Adesso devo correre a lavoro.
Sapete, io sono un agente dell'FBI.
Devo contrastare la criminalit e arrestare i serial-Killer

Baci.

Agente Pete Watson

141
LA SINDROME DI STOCCOLMA

Annette lo ama. Lo desidera. Non pu farci niente. cos e basta. Ha lo sguardo


rivolto sui suoi piedi, uniti da un chiodo arrugginito conficcato nella carne. Una
pallida e macabra imitazione di un crocifisso.
Il sangue ha smesso di sgorgare dal foro, incrostandosi sulla pelle. seduta sulle
fredde pietre di una prigione per criminali, allinterno di una piccola caserma del
paese.
Il poliziotto che lha arrestata sonnecchia su una sedia di legno, con le gambe
poggiate su una scrivania colma di scartoffie legali.

142
Ha un paio di baffi pettinati con una perfezione maniacale, e radi capelli bruni e unti
di gel.
Il distintivo spillato sulla divisa luccica di orgoglio, sotto i riflessi accecanti di
lambade a neon.
Annette lo guarda con unespressione ammirata, dolce. Colma di compassione verso
colui che la sta costringendo a rimanere internata in una prigione senza aver
commesso alcun reato.
rinchiusa l dentro da quasi tre giorni.
La sua colpa? Nessuna, in apparenza.
Mentre usciva dal supermercato per acquistare un balsamo per capelli, stata fermata
da un agente di polizia.

Buongiorno signora, pu mostrarmi la carta di identit? le ha chiesto.

S certo! Ho fatto qualcosa di male?

Adesso lo vedremo signora. Sto effettuando dei controlli per ricercare una pericolosa
criminale che si aggira armata per il paese. Ho lobbligo di fermare donne di mezza
et e richiedere i documenti necessari per lidentificazione

Oh, caspita! Allora s, un attimo di pazienza il tempo di trovarla. In questa borsa


c di tutto oh! Ecco qui, agente. Prego.

Tutto ci che poi Annette ricorda, di essere svegliata priva di qualsiasi indumento, in
una prigiona impregnata di umidit, senza riscaldamenti. Si moriva di freddo. Il gelo
le intirizziva le ossa.
La testa le doleva. Ha un bernoccolo sulla tempia e un ematoma largo quanto un uovo
in camicia.
LAgente Pete Watson le aveva tirato un colpo di manganello sulla tempia, dopo
essersi fatto consegnare i documenti.

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Ai passanti che si erano fermati ad assistere allo spettacolo, ha cos spiegato: Non c
niente da vedere! Spegnete quei dannati cellulari! una pericolosa criminale. Forza,
andatevene! Prima che vi tolga tutti i punti dalla patente.
Annette stata picchiata con violenza. Pugni e calci alladdome, alle costole, in
faccia.
Lagente lha costretta a praticargli del sesso orale. Poi ha defecato nella prigione,
pulendosi il culo con la camicetta di Annette.
Adesso mangia la mia merda le ha ordinato lagente, intimando la signora con un
fucile a doppia canna puntata dietro la nuca.
cos, Annette stata costretta anche ad ingurgitare le deiezioni del suo aguzzino. A
soddisfare le sue perverse fantasie sessuali. A esaudire tutti i suoi capricci.
Leccati gli interstizi dei piedi, signora Annette. Con sensualit, se possibile. Anzi,
lo faccia con sensualit e basta.
Adesso devi strizzarmi le palle fino a quando non ti dico di smettere.
Signora Annette, le devo infilare questo tubo di metallo nel retto, e lei ha lobbligo di
simulare un orgasmo.
Oggi le inserir un chiodo nei piedi, per valutare quanta sofferenza ha sopportato il
Cristo sulla croce. Mentre martello sul chiodo, lei dovr recitare lultima frase che
Nostro Signore ha pronunciato prima dellascesa al paradiso: Dio mio, Dio mio,
perch mi hai abbandonato! Forza, ripeta con me.
Poco dopo essersi svegliata dalla batosta ricevuta alla testa, Annette ha cominciato a
urlare, gridare. Una reazione pi che normale. Ha supplicato lagente Watson di
liberarla, di lasciarla andare via, rassicurandolo che non avrebbe rivelato a nessuno la
sua identit e, soprattutto, la professione che svolge.
Con il passare delle ore (e delle torture), la donna di quasi quarantanni, con un marito
e una figlia di dieci anni, ha cambiato atteggiamento, provando affetto verso colui che
sta rendendo la sua vita un incubo.
Annette ha ben intuito che la sua vita aggrappata alle scelte malsane e dalle
decisioni del poliziotto.
E questo b, in qualche modo, in una maniera del tutto inconsapevole, senza

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rendersi conto di quello che presto le sarebbe accaduto, laffascinava.
Quelluomo in divisa, cos sicuro di s, vigoroso, forte e dalle spalle possenti la
intrigava a tal punto da essersene innamorata, dimenticandosi di avere una famiglia
che sta facendo il possibile per rintracciarla, in preda al panico e alla disperazione.
Annette, malgrado ci, se ne fotte.
Se ne fotte alla grande.
Avrebbe assecondato ogni gesto compiuto da quelluomo, perch da quelluomo
dipende la sua vita.
Lagente si sveglia. Tossisce, togliendo le gambe da sopra la scrivania. Si strofina gli
occhi, poi sbadiglia. Si volta verso la sua prigioniera.
Annette gli sorride. Lo saluto con un gesto timido della mano.
Il poliziotto si sfila la cinghia dai pantaloni e si alza in piedi.
Si avvicina verso lunica cella presente nella caserma.
Un orologio appeso al muto segna le 12:58 della sera.
Poi si rivolge alla signora Annette, con un viso inespressivo, freddo. Apatico.

Signora Annette, adesso devo soffocarla con questa cinta. La prego, si sposti i capelli
dal collo e cerchi di opporre resistenza mentre tento di ammazzarla, in modo che io
possa raggiungere lorgasmo ed eiaculare allinterno della sua bocca.
Annette acconsente con il capo, emettendo una fanciullesca e stridente risatina.

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LULTIMO ISTANTE

Ha paura.
Mentre trema, io la stringo.
Freme come una foglia.
La sento, che respira.
Il suo petto si gonfia, e il la stringo pi forte.
Singhiozza, perch piange. Sono lacrime di terrore.
I finestrini dellauto si sono appannati. Il riscaldamento non funziona, abbiamo
freddo. I suoi occhi sono chiusi, sono bagnati.

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Le accarezzo i capelli, per placare la sua angoscia.
Perch, Greg? Perch devi farlo? mi chiede, con la voce rotta e spezzata.
Io non so cosa risponderle.
Mi limito a dirle solo questo: Sono malato, Greta. E tu sei una puttana.
Lei continua a disperarsi, stringendomi la felpa con la mano.
in preda al panico. Il suo orrore palpabile. Autentico. Vero.
Le cola il muco dal naso. Non riesce pi a controllare il suo corpo, la sua ansia.
Giro la chiave nel cruscotto. La macchina si accende.
Greta si scosta. Si mette seduta sul sedile. Si allaccia la cintura.
Non ti serviranno.
Premo lacceleratore.
Addio.

FINE.

FRATELLI PER LA MENTE

Al centro di una stanza asettica, bianca, sono poste tre sedie in acciaio, sulle quali Es,
Io e Super-Io attendono che qualcuno di loro inizi a parlare.
Es ha unespressione truce, adirata. I suoi capelli fulvi e rossi ricadono su un viso
tondo e colmo di lentiggini. Ha le braccia incrociate e con le dita tamburella il manico
della sedia. La sua tunica ha lo stesso colore della sua chioma, del suo temperamento
irascibile. Sbuffa, gonfiando le guance. I suoi occhietti piccoli e furenti guardano fisso
il suo temibile avversario, Super-Io.
Sei un farabutto, un ficcanaso! inveisce Es. Devi smetterla di ficcanasare

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dappertutto, brutto infame. Cos non fai altro che incrementare la mia rabbia!
Super-Io alza il naso, con sprezzo e diniego. Si morde le labbra in maniera
compulsiva. Con un dito si sistema gli occhiali da vista, aprendo la bocca e muovendo
la mascella prima a destra e poi dal lato opposto. Con le mani stringe la nera, che
ricade sulle sue gambe ossute. Gocce di sudore scivolano sulla sua fronte, per poi
restare aggrappate tra le sue sopracciglia folte e brune, come quei pochi capelli che gli
restano in testa.

T-tu! Sei uno s-squilibrato! ribatte Super-Io, con voce stridula e stizzita.
Non fai altro che crogiolarti nel liquame rancido dei t-tuoi istinti pruriginosi e p-
perversi! Ti devi dare una controllata! Stai d-davvero esagerando, ora. Ci sono delle r-
r-r-r regole!

Regole? Regole? strilla Es, sollevandosi di poco dalla sedia, infuriato.

Le tue regole? Dovrei seguire i tuoi assurdi precetti morali? Ma fammi il piacere!
Guardati, santo cielo! Stai diventando un essere ansioso, insicuro! Anzi, peggio.
Insoddisfatto. Fottiti. Tu e le tue regole del cazzo. Io voglio vivere. Vivere! Voglio
provare lebbrezza delladrenalina, sfogare la mia rabbia dirompente! Scopare senza
tregua! Ingurgitare ogni leccornia e scopare! Hai inteso, mio nervosissimo amico
vergine?

Super-Io si agita ancora di pi. sul punto si avere un attacco isterico. Inizia a
grattarsi il petto, le braccia, la testa.
Si volta verso Io, un tizio seduto in disparte, con la barba e i capelli bianchi, radi, la
veste candida, gli occhi grigi e un viso deturpato, stanco.
Ma lo hai sentito? Tu non dici niente? T-t-te ne stai zitto? gli chiede Super-Io,
scioccato.
Non ha rispetto per nessuno! Neanche per s stesso. In questo modo rischia di
autodistruggersi.

148
Io fissa Es e Super-Io con uno sguardo assente, laconico. Poi dice: Siete voi che state
distruggendo me.
Io si alza le maniche della tunica, mostrando gli avambracci. A partire dal gomito, la
pelle mostra segni di necrosi e cancrena.
Se continuate ad odiarvi, linfezione si propagher su tutto il mio corpo. Io non
posso accontentare tutti i vostri capricci. Non ce la faccio. Non ce la faccio pi.
Es digrigna i denti aguzzi, infiammandosi.
Super-Io lo osserva in silenzio, con occhi carichi di rimprovero.
Io si mette la testa fra le mani, succube dei suoi fratelli.
Piange.
Ed subito pazzia.

FINE

CHATROULETTE

I.

Che pezzo di merda. Vaffanculo, stronzo del cazzo! inveisce Rose, mentre clicca su
una foto di Facebook per ingrandirla. Sullo schermo del PC appare il viso di un
giovane ragazzo moro, occupato a limonare senza la bench minima vergogna con la
sua nuova terza ragazza nell'arco di una settimana.
Quello si fatto quasi tutte le ragazze del college, Rose. Di che ti meravigli?
afferma Katy, mentre si infila un paio di calzini di lana, seduta sul letto accanto alla

149
sua amica delusa.
Rose sposta il PC al centro del letto, le coperte sono bollenti per il surriscaldamento
della batteria, che segna il 47%.
Mi ha lasciata per questa troietta qui! Ma ti rendi conto, Katy? Ha i brufoli sulla
faccia, i denti storti e le gambe a papera. Cammina come una papera. Sicuramente gli
avr fatto un pompino. Non vedo altre motivazioni plausibili.
Katy si porta una mano sulla bocca per trattenere una risatina, poi guarda Rose con
uno sguardo ammiccante e malizioso, domandandole: Tu non gli hai mai fatto un
pompino? Non prendermi per il culo, Rose! Puttana del cazzo!
Rose si volta verso la sua amica e le afferra la coda dei capelli, tirandola con forza.
Katy piega il collo all'indietro, gridando: Cazzo, Rose! Gli ho lavati ieri i capelli! E
mi fai stai facendo... AHIA! ROSE!
Prima chiedimi scusa. dice Rose, con un tono minaccioso.
Va bene, cazzo! Scusa! AHIA! SCUSA TI HO DETTO! PORCA TROIA!
Rose molla la presa sulla chioma di Katy, costretta a sciogliersi la coda di cavallo del
tutto disfatta.
Sei una violenta, Rose. Vaffanculo.
Rose si gratta la nuca, sorridendo. Lei non ha bisogno di legarsi i capelli con una
stupida molla. Questo uno dei pochi privilegi di essere calva. Questo, forse, uno
dei pochi privilegi di avere un tumore.
Cos impari a darmi della troia, Katy. Troia.
Katy tira uno schiaffo sul braccio di Rose, asciugandosi le lacrime dagli occhi per il
dolore.
Mi hai fatto male davvero. Col cazzo che dormo pi con te.
Oh, ma finiscila! Ti lagni troppo, Cristo Santo. sostiene Rose, mentre esce dal suo
account di Facebook per aprire il motore di ricerca Google.
Cosa cerchi? Un rimedio casalingo per abortire?
Rose fa una smorfia con le labbra.
Non credo che mi servir, Katy. Non avr mai problemi del genere.
Katy rivolge uno sguardo preoccupato alla sua amica di sempre, che nel frattempo sta

150
digitando qualcosa sulla tastiera del PC.
Rose? Come mai questa affermazione condita con una dose eccessiva di depressione
e paranoia?
Katy schiaccia INVIO sulla tastiera, la pagina che si sta per aprire comincia a caricare
con una rotellina celeste apparsa sullo schermo.
Lascia stare, Katy. Non ha alcuna importanza. taglia secco Rose.
Katy ha intuito il senso di quella frase. Conosce Rose da dieci anni. Sono cresciute
insieme. Abitano nello stesso quartiere. Ed stata affianco a lei quando i medici, due
anni fa, le avevano diagnosticato un tumore all'utero. Da quel momento, la vita di
Rose era cambiata in maniera drastica. Cominci a non uscire pi la sera, se ne stava
rinchiusa nella sua camera giorno e notte, rifiutando di continuare a frequentare il
collage. Rose si sta spegnendo, e di questo Katy ne pi che certa.
Tu sei bellissima.

Rose si volta verso Katy. La guarda negli occhi. Si accorge che la sua amica sta
piangendo.
Sei bellissima e la devi finire di startene in questa cazzo di camera. Hai capito,
Rose?
Rose abbassa la testa lucida, poggia la sua fonte su una mano, con il gomito premuto
su una gamba. Il pigiama di lana che indossa sembra troppo grande per la sua taglia,
con quel corpo cos smunto. E scarno. Consumato.
La devi smettere di piangerti addosso, Cristo!
Rose si tappa le orecchie, come se non volesse ascoltare le parole di Katy.
Sei tu che piangi ora, Katy. Non io.
Perch sono stufa di vederti ridotta in queste condizioni, Rose!
Io sono stufa di vivere. diverso.
Dai, allora! Togliti la vita! Che cazzo aspetti! Falla finita e suicidati! strilla Katy
Katy, con la voce rotta dal pianto.
Non c' alcun bisogno che io mi tolga la vita. Me la sta gi togliendo il tumore.
C' ancora speranza, Rose. Non perderla, hai capito?

151
Morir tra tre mesi, Katy. Che speranze vuoi che abbia? Eh?
Nella stanza d'ospedale cala un silenzio imbarazzante. Entrambe le amiche non
riescono pi a proferire parola. I macchinari che monitorano le funzioni vitali della
ragazza malata di tumore continuano a ronzare con i loro ipnotici biiip, biiip, biiip.
Nel frattempo, una pagina azzurra apparsa sullo schermo del PC, con al centro una
finestra dedicata a una chat, e sul lato sinistro due riquadri neri con sopra scritto
Webcam disabilitata.
Katy si accorge del sito aperto da Rose, e le chiede: Cos' questa roba?
L'amica con il tumore in fase terminale, alza la testa e guarda il PC; poi si volta verso
Katy e le sorride, dimenticandosi della discussione avvenuta poco prima.
Adesso ci divertiamo un po', eh? Che ne dici?
Si, ma cos'? Non riesco a capire.
Rose poggia il dito sul tappetino del mouse, spostando la freccia su un tasto in alto a
destra con la scritta START.
un sito d'incontri. Si chiama Chatroulette. Persone provenienti da tutto il mondo
guarderanno i nostri bei visini da puttanelle e noi guarderemo i loro. Ci sar da
divertirsi, bella mia!
Rose allunga un braccio verso il comodino posto affianco al letto, prendendo una
parrucca bionda, che si infila con estrema facilit.
Sono abbastanza carina?
Te l'ho gi detto prima, Rose. Tu sei bellissima.

II.

Xisas seduto sul divano, accanto a suo padre. Stanno guardando una fiction alla TV.
Davvero una gran noia. Il giovane adolescente di quattordici anni non ama sprecare il
suo tempo davanti a programmi tanto stupidi quanto inutili. Ha altro da fare. Altro a
cui pensare. Un appuntamento da rispettare. Una promessa da mantenere. Ieri ha

152
scritto un post sulla sua bacheca di Facebook, indirizzato ai suoi amici, ai suoi fans, e
non ha alcuna intenzione di deluderli. Xisas deve girare un nuovo video, stavolta un
po' pi complesso rispetto a quelli precedenti. Se nei mesi scorsi si limitava a bruciare
carcasse di animali morti o a sgozzare il gatto dei vicini, oggi ha in mente di superare
s stesso. Di superare i suoi limiti. E di limiti, Xisas, non ne ha. Se lui decide di
adempiere ai desideri imposti dalla sua impulsivit, Xisas li esaudisce senza farsi
troppi problemi. E ogni sua attivit illecita, viene registrata sul suo profilo social con
regolarit e parsimonia.

Cari amici, cari fratelli. Oggi mi sono masturbato pensando al cadavere delle
vostre madri puttane mentre si decompongono nella pozza del mio vomito. E ho
goduto tantissimo. Vi auguro una copiosa eiaculazione.
Un abbraccio, il vostro Xisas.
-Post creato 24 ore fa.

Cari amici, cari fratelli. Sono appena ritornato a casa dopo aver defecato dietro
l'altare della mia parrocchia. Poi ho pisciato ai piedi della Vergine Maria e riempito
di sperma il calice da cui il prete beve durante l'Eucarestia. Sono riuscito a
scappare appena in tempo: una folla di fedeli cominciava ad accalcarsi all'interno
della Chiesa, sedendosi sulle panche.
Un abbraccio, il vostro Xisas.
-Post creato 1 giorno fa.
6 Commenti.
Utente: Cazzo, fratello! Sei un grande!
Xisas: Ti ringrazio, amico mio. Lo faccio per voi.
Utente 2: Degenerato del caxxo! Hai problemi seri! Fatti curare!
Xisas: Mi dici dove abiti?
Utente 2: In via vattene a fanculo! Fallito, sfigato.
Xisas: Dammi il tuo indirizzo. Devo ucciderti.
Utente 2: Ma vai a curarti! Ma ki caxxo 6? Sto coglione.

153
Cari amici, cari fratelli. Avete mai sognato di scoparvi le vostre madri? Di leccare
la loro fica? Io s. Spesso mi succede questa cosa. Anche ora. Infatti, mentre vi
scrivo, mi masturbo. Ogni quante volte vi masturbate? Io ogni due, tre ore circa.
Voglio uccidere qualcuno. Un abbraccio, il vostro Xisas.
-Post creato 2 giorni fa.
2 Commenti
Utente: Xisas, elimina subito questo post o sar costretto a contattare i tuoi genitori.
Xisas: Professor Roger, lo faccia pure. Tanto verr ad ucciderla in questi giorni.

Cari amici, cari fratelli. Oggi torturer mio padre. Il video sar presto disponibile
sul mio canale You Tube. Nel frattempo, potete connettervi su Chatroulette e
sperare di trovarmi in webcam, mentre massacro in tempo reale il vecchio bastardo.
Un abbraccio, il vostro Xisas.
-Post creato 30 minuti fa.
1 Commento
Utente: Attendo con ansia, fratello! Fallo fuori quel brutto figlio di puttana!
Ahahahahaha!
III.

Cristo, che schifo! Ma che cazzo !


Un cazzo, Katy. Il cazzo di un certo Amid Zmush, proveniente dalla Turchia.
Rose e Katy se ne stanno con il viso incollato allo schermo del PC, in cui un uomo
con una folta barba nera si accarezzava l'uccello con una mano. Le facce delle due
ragazze appaiono sconvolte dentro il riquadro rettangolare, proprio sotto al turco
segaiolo. Le immagini arrivano in ritardo a causa della connessione lenta, gi tanto
se Rose era riuscita a farsi dire dall'infermiera la password del Wi-Fi dell'ospedale.
Dai, Rose! Cambia. Non ce la faccio pi a vedere sto demente!
Non ti sai divertire per niente, Katy. Sta un po' a vedere.

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Rose comincia a digitare sulla tastiera del computer con dita esperte. Preme i tasti in
maniera veloce e rapida. Schiaccia INVIO. Poi, nella parte centrale del sito, dedicato
alla chat, appare la scritta: Ce l'hai piccolo. Neanche si vede. Ahahahahaha! :) :)
Il signor Amid posa gli occhi sul messaggio. Katy e Rose lo osservano mentre
sghignazza.
Sta rispondendo, guarda! esclama Rose, divertita, afferrando il polso di Katy, ormai
nauseata alla vista di quel pervertito con i gingilli allo scoperto.
Ma quanto cazzo ci mette? anche ritardato sto scemo. riferisce Rose, guardando
la dicitura che appare sullo schermo: Amid sta scrivendo...
Amid: Con il mio cazzo ti apro il culo, troia.
Rose ride, avvicinandosi una mano sulla bocca.
Dai, Rose. Bata. un depravato del cazzo.
Sta un po' zitta, Katy l'ammonisce Rose.
Rose: Con quel pisellino non saresti nemmeno in grado di farmi bagnare!
Ahahahahahaha!
ROSE! Ma cosa cazzo scrivi! Ti ricordo che questo qua ti sta vedendo in faccia!
Katy, per l'amor del cielo! Vive in Turchia! Non in Massachusetts. Quante
probabilit credi che ci siano di incontrare questo tizio?
S, ma...
Mamma mia, Katy! Sei pallosa, eh!
Amid scrive: Sei tu ke cn quella parrucca di merda me lo faresti afflosciare,
malata del cazzo. Si vede che stai su un letto d'ospedale. Stai morendo? Qnt
cazzo ti resta da vivere? 1 giorno? 2? Fallita :)
Rose si ammutolisce dopo aver letto la conversazione di Amid. Katy se ne accorge,
legge anche lei.
Rose, basta cos. Adesso sta esagerando. State esagerando.
Katy sposta la freccia sul tasto DISABILITA WEBCAM e i loro volti vengono
immediatamente oscurati. Il ragazzo turco, invece, che ha ancora la webcam abilitata,
comincia a ridere a crepapelle. Poi si passa il pollice intorno alla gola, come a
simulare uno sgozzamento.

155
Che figlio di puttana. sussurra Katy, mentre abbassa lo schermo del PC. Poi si
rivolge a Rose, dicendo: Non lo stare a sentire, Rose. solo un coglione
sessualmente frustrato. Lascia perdere. Per favore.
Rose intenta ad osservare la punta delle sue dita, con lo sguardo assente. Poi sfiora
una ciocca di capelli della parrucca bionda. Al tatto le sembrano dei fili crespi e ispidi,
una pallida e lontana imitazione di cheratina e cuoio capelluto. Eppure, al negozio in
cui l'aveva acquistata, la commessa le aveva garantito che la parrucca di ottima
qualit. Pagata una fortuna, anche. E invece si sente un'idiota. Una bambola di pezza
con il tumore e i capelli finti. Secca come il ramo di un salice piangente. Triste come
un salice piangente.
Quel turco ha perfettamente ragione. Le restavano solo pochi mesi di vita. E li spreca
sbeffeggiando segaioli che cercano donnacce su internet. Invece di godersi ogni
attimo di quel poco di tempo che le resta a disposizione, se ne sta chiusa in quella
maledetta stanza a piangersi addosso, a pensare a quanto la sua esistenza sia inutile e
faccia schifo. A cercare la felicit dietro il sorriso della sua amica. Anche se Rose sa
bene che quei sorrisi sono finti. Sono sorrisi colmi di piet, non di divertimento. Non
di gioia. Katy sorride solo per alleviare le sofferenze di Rose. Forse, prova anche un
certo fastidio a stare accanto a un cadavere. Freddo. A uno zombie.
Forse Rose merita di morire. Di lasciar perdere ogni cosa: speranze, sogni. Di
mollare. Di arrendersi. Di crollare sul letto e infilarsi una siringa di aria nelle vene. Un
embolo nei vasi sanguigni e via! Nel mondo dei sogni. Ciao, ciao belli! Nel mondo
dell'eterna tranquillit e serenit d'animo. Nel mondo in cui, forse, adesso vive suo
padre. Il suo pap. Morto anche lui di tumore. Forse questo ci che il destino le ha
preservato: soffrire, patire, soccombere alla sua malattia per raggiungere le sue
persone care che, come lei, hanno sofferto e patito.
Rose si chiede, ogni giorno, ogni notte, ogni minuto, ogni dannatissimo secondo, ogni
cazzo di istante, se davvero si merita ci che ora sta passando. Perch proprio a lei?
Cos'ha fatto di male? Non andata in Chiesa tutte le domeniche? Ha scopato a soli
sedici anni con un ragazzo di cui ora non ricorda nemmeno il cognome? Ha
bestemmiato qualche santo per aver preso un brutto voto al compito in classe di

156
matematica? Rose, davvero, non riesce a trovare una ragione plausibile che riesca a
spiegare il tormento che costretta a subire.
Rose non riesce. Tenta, ma non riesce.
Cerca di convincersi che determinate patologie possono colpire chiunque, ma dopo
aver saputo dai medici che le restano pochi mesi di vita, ci che prova solo rabbia.
Odio. Contro tutti. Contro l'intera umanit Contro Dio, contro Katy, contro sua madre,
contro quel pezzo di merda che l'ha mollata per una troia. Ma, in particolar modo,
odio contro s stessa.
Rose stringe la mano sulla coperta, la stropiccia. La storce.
Rose... sussurra Katy.
Rose... non... ODDIO! ODDIO ROOOSE! AIUTO! INFERMIERA! CAZZO,
ROOOSE! INFERMIERA, PORCA PUTTANA! INFERMIERAAA!

IV.

Xisas deve agire. Si stancato di aspettare. Avverte un fastidioso formicolio ai piedi,


causato dall'ansia. E dal nervosismo. Uccidere il proprio padre non certo un
giochetto da ragazzi. Si volta verso il suo vecchio, che con uno sguardo assente
cambia canale alla TV pigiando un tasto del telecomando. Xisas si rende conto solo
ora di quanto siano simili. Il loro aspetto identico. Stessi occhi scuri, sopracciglia
folte e un naso storto e bitorzoluto. Davvero orribile a vedersi. Una chirurgia plastica
sarebbe stata ideale per eliminare quell'orribile gobba di dromedario. Xisas, a
differenza del padre, molto pi magro. Pallido. Dai suoi genitori non ha ereditato la
classica pelle olivastra degli emirati arabi. La peluria che prolifera su tutto il suo

157
corpo fin troppo eccessiva, tanto da essere costretto a radersi spalla e petto ogni
dannatissimo giorno. Sua madre gli ha consigliato di farsi una bella ceretta, e il gioco
fatto. Ma suo padre, una cosa del genere non l'avrebbe mai accettato. Considerava
l'igiene corporale comportamenti da donnette capricciose. E Xisas non vuole di certo
essere considerato tale. Ma si odia. Odia il suo naso storto, le orecchie a sventola, quel
mono ciglio che lo fa assomigliare a un gorilla. Odia i suoi occhi piccoli e sottili,
come gli orientali. Odia s stesso. E si sarebbe anche ammazzato se solo ne avesse
avuto il coraggio. Ma ogni volta che tenta di conficcarsi un coltello nell'addome, la
paura lo ferma. Lo blocca. La paura di suicidarsi e sprofondare nel nulla assoluto.
Nelle tenebre. Senza sapere se davvero ci sia un'altra vita dopo la morte.
E poi, ci sono i suoi fans che attendono che lui carichi nuovi video su You Tube, che
scriva le sue macabre avventure sul profilo Facebook.
inutile che ti agiti tanto, Xisas. Tu da quel cazzo di divano non ti alzi nemmeno se
scende Allah in persona. Depravato figlio di puttana. Che merda di figlio. Pezzo di
merda. Coglione.
Il padre di Xisas non manca certo di inventiva nell'insultare suo figlio. E dannazione,
se non ha ragione. Il povero Rusf Redabr stato pi volte avvertito dalla polizia
locale che il primogenito si intrattiene in atti vandalici contro cose, persone e animali.
E che al prossimo delitto, sarebbe stato arrestato senza troppi preamboli.
Xisas fa finta di non aver ascoltato le parole del padre, anche se sente crescere dentro
la sua pancia il mostriciattolo attorciglia budella che lo fa arrabbiare tanto. Ma tanto
tanto. Cos aguzza gli occhi per concentrarsi sulle immagini sfocate della TV. Suo
padre ha girato a una partita di calcio. E Xisas non sopporta quelle stupido sport in cui
degli omuncoli strapagati tentano di infilare una palla dentro una cazzo di rete. Con
applausi, acclamazioni, figa e denaro. Ma, soprattutto, figa.
Tutto ci che Xisas non ha. E che non avrebbe mai ricevuto dalla vita.
Le sue storie d'amore si sono limitate a fugaci, frettolosi e incerti baci sulle labbra.
Subito dopo veniva mollato con scuse davvero idiote e banali. Xisas ha avuto solo due
ragazze. La prima si chiamava Leyla, una ragazzina nigeriana. Xisas ha cercato di
portarsela a letto, di scoparsela insomma. Ma proprio mentre tentava di infilare il suo

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pisello vergine nell'apparato riproduttore della fidanzata... ha eiaculato peggio della
fontana situata al centro del paese in cui vive. La ragazza ha quasi vomitato mentre
cercava di togliersi lo sperma dalle cosce. E Xisas, ha passato la notte a piangere.
Come al solito, del resto.
La seconda ragazza, si chiamava Keimn. Nulla di eccezionale. L'ha baciata, certo.
Ma mentre si stavano limonando, lui ha morso la lingua di lei. E lei, ovviamente, gli
ha mollato una cinquina sulla faccia, dandosela a gambe.
La reazione di Xisas? La solita, la stessa: ha passato tutta la notte a piangere.
Come al solito, del resto.
Non rispondi? Ci mancherebbe pure che rispondi continua a dire il padre.
questa l'educazione che ti abbiamo dato io e tua madre? Eh? Pezzo di merda del
cazzo!
Il signor Rusf scosta la spalla dal divano per tirare un ceffone sul viso pallido del
figlio. Xisas avverte la grande mano callosa del padre frustare le sue guance. La pelle
comincia subito a bruciargli. La stampa di cinque dita rimane fotocopiata e marchiata
su di essa. Il ragazzo arabo resta tuttavia impassibile. Fissa con ostinazione i calciatori
della squadra avversaria che cercano di segnare un goal.
Il signor Rusf sprofonda di nuovo tra i morbidi cuscini de divano, afferra il
telecomando e cambia ancora canale.
Animali bruciati, minacce ai professori, minacce ai tuoi amici. Ma chi cazzo ti credi
di essere? Eh? Coglione del cazzo.
Ad un tratto, senza preavviso, Xisas si avventa su suo padre. Gli sale sopra le gambe,
mettendosi a cavalcioni. Gli stringe le mani introno al collo.
Rusf non riesce quasi a capire cosa stia succedendo. Pi che altro, non riesce a
concepire e a metabolizzare il fatto che suo figlio, il suo unico figlio, sangue del suo
sangue, stia tentando di ammazzarlo.

V.

159
Rose non ha alcuna intenzione di svegliarsi. Le palpebre sono pesanti. Non riesce ad
aprire gli occhi. E la cosa neanche le dispiace. Rimanere in quello stato di dormi
veglia, al caldo, sotto le coperte, allieva le sue sofferenze. Le procura piacere e
sollievo. Non avverte pi dolore. Forse l'infermiera le ha somministrato una dose di
sedativo. E ha fatto bene. Ha agito bene. Ha fatto il suo dovere: alleviare i tormenti di
una paziente malata di tumore. Se Rose fosse stata lesbica, l'avrebbe baciata pure
quell'infermiera. Rose, tuttavia, ama ancora quell'idiota che l'ha mollata per quella
ragazza con il viso pieno di brufoli.
dannatamente brutta pensa Rose, con rabbia.
Cos'ha lei che io non ho
B, semplice. Lei ha una vita da vivere. Non ha il tumore. Ha pi tramonti da vedere
sulla spiaggia, mentre scopa con il suo nuovo ragazzo come una cagna puttana.
Ecco perch quel coglione ha preferito i brufoli.
Meglio i brufoli che aspettare che la propria ragazza muoia.
Forse ha fatto bene. Forse ha pure ragione. Ma avrebbe potuto avvertirmi.
Mandarmi un cazzo di messaggio. Dirmi: ehi, cadavere! Vedi che io preferisco avere
una fidanzata viva che, perlomeno, non trascorra la maggior parte del tempo
sdraiata su un letto ospedaliero a pisciarsi sulle lenzuola e a vomitare dentro un
secchio.
Eppure, Rose non riesce a dimenticare quel sorriso dai denti bianchi e perfetti. Quei
capelli scompigliati e castani, quella pancetta che a lei piaceva tanto e l'odore di
nicotina mischiato a un dopobarba scadente acquistato a pochi soldi in qualche
supermercato giapponese.
La sua professoressa di letteratura inglese le diceva sempre che ad un cuore infranto e
ferito sarebbe bastato un cerotto e il lento scorrere del tempo per rimarginare la
lesione.
Ma Rose non ha n un cazzo di cerotto n, tanto meno, TEMPO.
Il tempo un dono prezioso per lei. Ogni secondo rappresenta una benedizione
divina. Avrebbe dovuto ringraziare Dio per ogni giorno in cui riesce ad aprire gli

160
occhi e di essere ancora viva.
Rose non ha tempo.
Rose vuole fare tutto.
Ora e adesso.
Fare l'amore con un ragazzo che le piace, ridere con i propri amici, prendere un caff
al bar e aspettare la chiamata di una sigaretta.
Rose vuole semplicemente uscire da quel dannatissimo ospedale e farsi irradiare dai
raggi del sole, rabbrividire dal vento gelido, bagnarsi con la pioggia di un temporale.
Rose vuole scappare via da quel posto che puzza di alcol e detersivo, in cui il
personale medico la tratta come una vecchia signora moribonda. Ha solo diciassette
anni, porca puttana.
DICIASSETTE!
A questa et i ragazzi non dovrebbero stare stesi con le flebo attaccate al braccio. I
ragazzi a questa et non dovrebbero sapere che dopo tre mesi sarebbero morti
stecchiti, per poi essere rinchiusi in una bara, seppelliti sotto terra e arrivederci e ciao,
baby!
Chi si visto, s' visto.
A questa et, i ragazzi dovrebbero studiare. Innamorarsi. Piangere, ridere, disperarsi,
divertirsi.
Non morire.
A questa et, nessuno merita di morire.
Nessuno.
Rose avverte qualcosa di caldo e umido che scende da un angolo del suo occhio
sinistro.
Forse forse il caso di sollevare le palpebre.
Forse il caso di buttare nel cesso quei brutti pensieri e tirare lo sciacquone.
Rose apre gli occhi.

VI.

161
Xisas ammira la sua opera. La sua impresa. stato davvero bravo. Davvero, davvero
bravo! Ha gonfiato di botte quel povero pezzo di merda di suo padre. stato facile.
Facilissimo.
Un gioco da ragazzi. Il vecchio stronzo non ha nemmeno cercato di reagire. Una volta
che Xisas salito su di lui per strangolarlo, il povero Rusf ha sgranato gli occhi,
stupito. Paralizzato dall'orrore. Di sicuro avr pensato: Mio figlio mi ha messo le
mani al collo o forse sto immaginando tutto quanto? reale ci che sta
succedendo?
S, cazzone. reale.
Pi reale di quanto tu, pezzo di merda, possa immaginare.
Xisas ha stretto le mani intorno alla giugulare del padre con forza, con tutta la forza
che possiede in quelle braccia secche secche e senza nemmeno un grammo di massa
muscolare, senza aver trascorso neanche un giorno all'interno di una palestra,
nonostante le insistenze del padre.
Quella forza stata scaturita dalla sua rabbia, dalla sua ira, del suo rancore. Cos tanto
arrabbiato da essere riuscito a far perdere i sensi a un uomo di cinquant'anni,
abbastanza piazzato, che trasporta grossi macigni di tufo per la costruzione di centri
commerciali.
E adesso, giace sul divano, svenuto, con il capo appoggiato su una spalla e il volto
violaceo. Xisas lo guarda mentre respira con affanno. Pu ucciderlo in qualsiasi
momento. Fargli tutto il male che desidera. Infliggerli tutte le torture che ha sognato
di notte, che ha architettato sotto le coperte della sua piccola stanza buia e umida.
Quell'uomo adesso non pi suo padre. Ma carne da macello. Una rana priva di vita
pronta per essere sezionata durante una lezione di biologia. Un topo da laboratorio,
con gli occhi rossi e il manto bianco, su cui gli scienziati avrebbero condotto ogni
esperimento possibile per la mutazione genetica o la sperimentazione di un nuovo
farmaco.
Xisas ha disumanizzato suo padre. Non prova alcun sentimento di pena nei confronti

162
di quell'uomo che ha lavorato per tutta la vita per mantenere una famiglia, per
garantire il sostentamento di una moglie e di un figlio, per portare il pane a casa e non
far morire di fame la propria prole.
Non prova nulla.
Solo odio.
ODIO!
ODIO!
E RABBIA!
CAZZO!
LO VUOLE MORTO! DECOMPOSTO DAI VERMI PARASSITARI! LO VUOLE
SCANNARE E SQUARTARE. DISOSSARE E RIDURRE A UNA DISGUSTOSA
POLTIGLIA GELATINOSA QUEL GRASSO CORPO DA SUINO.
Ma Xisas deve attendere. Il suo lavoro non pu essere interrotto da stupidi
inconvenienti.
Per questo motivo deve imbavagliare e legare sua madre.
Per evitare, appunto, stupidi inconvenienti.
Non l'avrebbe uccisa, no.
Non ne sarebbe stato capace.
Lui ama sua madre.
Ma non come un figlio che nutre sentimenti di profondo affetto verso colei la quale ha
permesso che questi nascesse. Quel primordiale rapporto di intesa.
No, ah!
Niente affatto.
No, no, no.
Cari amici miei, no.
Xisas ama sua madre,
Come un uomo che ama una donna.
Come l'amore che un uomo prova per una donna.
Come la gelosia di un uomo nei confronti di una donna VERA.
La passione, il sesso, le scopate di una coppia di fidanzati.

163
Xisas, ama sua madre.
Ma finch quel cazzone pezzo di merda sarebbe rimasto in vita, la loro storia d'amore
non si sarebbe potuta evolvere. Non sarebbe potuta sbocciare.
E quindi, lo uccide, giusto?
la giusta soluzione, vero?
Ma non vuole semplicemente ucciderlo.
No, ah!
Niente affatto.
Lui Xisas, belli miei.
Lui deve assaporare.
Gustare.
Vuole divertirsi.
Prima
Prima ci avrebbe giocato un po'.
A Xisas piace giocare.
Da bambino non ha giocato molto.
I suoi genitori glielo hanno impedito.
Xisas doveva solo studiare e studiare e studiare per diventare un fottutissimo uomo in
carriera e provvedere a s stesso una volta diventato adulto.
Ma ora, Xisas avrebbe preso i suoi giocattoli.
E dio! Come si sarebbe divertito!

VII.

Oh, santo cielo! Rose, sei sveglia? Mi senti?


Katy seduta sul letto, accanto al corpo esanime della sua amica, che si appena
destata. Rose tenta di stropicciarsi gli occhi, ma si accorge in tempo che nel suo
braccio vi infilata una flebo. Sbuffa, scocciata. Ha la gola secca, le labbra screpolate.

164
Vorrebbe dire a Katy di passarle la bottiglia di acqua posata sul comodino, ma non
riesce a pronunciare neanche una sillaba.
La lingua intorpidita, incollata al palato.
Nelle narici si insinua quell'abituale odore di alcol e detersivo. Crede di essere passata
a miglior vita. E invece, guarda un po'? Anche stavolta riuscita a scampare dalle
perfide grinfie della Signora Incappucciata, vestita di nero e con in mano una lunga
falce.
Quella troia di Signora.
Ti serve qualcosa? le chiese Katy, preoccupata.
Rose scuote il capo. Avrebbe bevuto pi tardi. E le stava anche scappando di pisciare.
Farsi accompagnare in bagno da Katy un'umiliazione che ancora non vuole ricevere.
E, soprattutto, provare. Anzi, se la sarebbe fatta nelle mutande, piuttosto. Quella poca
dignit che le resta, Rose desidera ancora tenersela stretta stretta tra le sue fredde e
morte mani.
Rose, stai bene? domanda di nuovo Katy, poggiando una mano sulla fronte sudata
di Rose.
S, Katy! Cazzo! Non sono morta, tranquilla.
Rose si accorge che il PC non pi poggiato sulle coperte bianche.
Cosa mi successo? Perch diamine mi hanno attaccato sta cosa al braccio?
Hai avuto una crisi epilettica, Rose. Hai cominciato a contorcerti come un'anguilla.
Tutte queste macchine hanno cominciato a fischiare e l'infermiera corsa subito nella
stanza. Ti ha somministrato qualcosa nel braccio e ti ha messo la flebo. Non mi
ricordo a cosa ha detto che servisse, ma comunque si spaventata molto. Ho dovuto
aiutarla a tenerti ferma, perch hai avuto tipo un attacco isterico. stato tremendo,
credimi.
B, che ti aspetti. Sto morendo.
Katy guarda la sua amica con rabbia.
Finiscila, Rose. Hai rotto il cazzo con questa cosa che devi morire. Ok, devi morire.
Anche io devo morire. Tutti dobbiamo morire.
Si, ma almeno tu hai tempo. Non fare questi cazzo di paragoni inutili con me per

165
favore. Dove sta il PC?
Katy si china con la schiena per afferrare qualcosa posto ai suoi piedi. Quando si
rimette dritta con la spalla, tra le mani regge il PC di Rose.
Dammelo.
Non vorrai mica andare di nuovo su quel sito di maniaci?
S, voglio andare di nuovo su quel sito di maniaci perch sono una degenerata del
cazzo. Problemi?
Ah, no. Fai pure. Ma stavolta te la vedi tu con i segaioli, eh? Io non ne voglio sapere
pi niente.
Dammi qua, santo cielo. Quanto cazzo parli.
Katy passa il PC a Rose, che se lo posiziona sopra la pancia. Avverte il calore della
batteria riscaldare le coperte. Apre lo schermo e schiaccia INVIO, per disattivare la
modalit STAND BY. Subito dopo appare il sito di Chatroulette ancora aperto. Il
riquadro di Rose ha la webcam disabilitata, mentre quello in cui appaiono gli utenti in
tempo reale accesa.
Abilita la webcam.
E poi... Rose spalanca la bocca.
Cosa c'? Un altro maiale che ha l'uccello in mano? la schernisce Katy.
Rose non le risponde. Non riesce a distogliere lo sguardo dall'immagine che le si
presentata davanti.
Rose, che ti sta succedendo? Di nuovo la crisi? ROSE? ROSE, PERCH NON
RISPONDI?
Cazzo, Katy! Zitta! Guarda qua... OMMIODDIO! Non ci posso credere! strilla
Rose, elettrizzata.

VIII.

Xisas saluta con una mano le due signorine apparse nel riquadro. Chatroulette non

166
delude mai. Riesce a trovare utenti da ogni parte del globo in pochissimi secondi.
Dietro al ragazzo, suo padre mugugna parole insensate. Vuole gridare, urlare. Ma non
pu. Una pallina rossa di plastica infilata nella bocca gli impedisce di muovere le
labbra e di articolare sillabe e vocali. Se ne sta seduto su una sedia presa dalla cucina,
con le mani legate dietro lo schienale. Stessa sorte toccata alle sue caviglie,
anch'esse tenute strette con delle corde, attorcigliate alle gambe della sedia.
Immobile. Non pu muoversi. N fiatare. Riesce a malapena a respirare. Quel dannato
problema di sinusite gli blocca l'afflusso di ossigeno nel naso.
Ha la fronte madida di sudore. Dal naso aquilino gli cola del muco. Lo sguardo
terrorizzato, piantato su Xisas, sui suoi movimenti. Su quello che avrebbe potuto
fargli.
Gli occhi sono arrossati, iniettati di sangue.
Xisas si accovaccia in direzione dello schermo del suo portatile per guardare meglio i
suoi ospiti. Sono due bellissime ragazze, e questo gli garba molto. Intuisce subito che
si trovano in una stanza ospedaliera, perch una delle due utenti con il viso pallido e
la testa calva, sdraiata su un letto, con una flebo di fisiologica inserita nel braccio.
La seconda utente, invece, con i capelli legati, seduta accanto alla sua compagna,
con un'espressione scioccata e la bocca spalancata.
Xisas in piedi nella sua stanza dalle pareti bianche, con una sola finestra che si
affaccia in una strada stretta, piena di palazzine e condomini fatiscenti. La luce pallida
di un lampadario illumina un letto disfatto e una scrivania colma di cianfrusaglie
scolastiche. Un quadro con la foto di un neonato con il pannolino appesa al muro
accanto a un armadio.
Il ragazzo poggia le dita sulla tastiera per scrivere un messaggio diretto alle sue
spettatrici.

***

167
Ciao, bellezze! legge ad alta voce Rose, ridendo.
Rose, questo tizio non mi piace per niente. afferma Katy, con un filo di voce,
mentre guarda la chat sullo schermo bianco del PC.
Non iniziare a rompere le palle, Katy, okay?
Rose, ma dannazione! C' un uomo legato su una sedia che si sta dimenando! Ma ti
pare una cosa normale?
Ma sar tutta una finzione, Katy! Ma secondo te pu essere vero? Sono i classici You
tuber sfigati che vogliono fare soldi tramite le visualizzazioni dei loro video. Adesso
gli rispondo. Voglio proprio vedere che caspita vogliono fare.
Rose: Ciao, tizio! Come ti chiami?
Katy fissa il ragazzo con aria preoccupata. Non gli piace per niente. Ed anche
parecchio brutto, con quelle sopracciglia scimmiesche e quel naso a becco d'aquila. E
per giunta indossa una t-shirt troppo larga per la sua corporatura secca come un
grissino.
L'uomo legato alle sue spalle comincia a piangere, cercando di districarsi dalle funi
che lo tengono legato alla sedia. Katy si chiede quanto bravi bisogna essere a simulare
una reazione di puro panico.
E terrore.

***

Xisas scrive velocemente il suo nome sulla tastiera del PC, rivolgendo poi la stessa
domanda che gli hanno posto le due ragazze.
Utente: Ciao, Xisas! Io sono Rose e lei Katy, la mia amica cagasotto. Di
dove sei? E, cosa pi importante, che diamine ci fa quel tizio dietro di te
legato a una sedia? Ahahahahahah :)
Xisas: Sono turco, e lui mio padre. Volete giocare con me?

168
IX.

Rose rimane un po' perplessa. Quell'uomo si contorce sulla sedia, addirittura lo vede
piangere, e quel ragazzino afferma che lui sia suo padre.
Sembra tutto cos reale e spaventoso.
Assurdamente spaventoso.
Ma vuole saperne di pi, al contrario di Katy, che ha abbassato lo sguardo sulla luce a
led della batteria scarica che lampeggia sul PC.
Rose: Che genere di gioco vuoi fare?
Ah, b, guarda! Incoraggiare un pazzo criminale a uccidere una persona davvero
una mossa saggia i miei complimenti.
Rose non la sta nemmeno a sentire. troppo curiosa.
Xisas: un gioco in cui vi divertirete molto. Cos'ha la tua amica?
Rose si volta verso Katy e le sorride, divertita.
Io non dico niente. A me quel tipo puzza. Non una situazione normale questa,
Rose. Dovresti spegnere sto cazzo di PC e basta.
Xisas: Lo so che non una situazione normale, mia bellissima ragazza.
Katy fa una faccia sorpresa, scioccata. Cos si avvicina a un orecchio di Rose e le
sussurra: Riesce a sentirci?
Certo che ci sente, razza di idiota! La webcam ha anche un microfono, sai? le
risponde Rose, stizzita, mentre si raddrizza con la spalla, sistemandosi meglio i due
cuscini contro lo schienale del letto.
Xisas attende la risposta delle due ragazze, mangiucchiandosi le unghie.
Rose: Allora? Ci spieghi cosa intendi fare? Sto per annoiarmi, eh? :)
Xisas: Adesso vi faccio vedere.

***

169
Dall'altra parte dello schermo, dall'altra parte del mondo, Xisas d le spalle alle sue
spettatrici. Passa accanto a suo padre, gli spettina un po' i capelli, con quelle mani
lunghe e sottili. Poi si avvicina alla scrivania, posta vicino al letto perfettamente
rassettato. Apre il cassetto ed estrae alcuni oggetti metallici che posiziona in mezzo a
righelli, matite, fogli stropicciati e quaderni. Ritorna davanti al PC, appoggiato su un
tavolino, abbassa di poco lo schermo per inquadrare meglio gli oggetti e il signor
Rusf che, nel frattempo, ha smesso di agitarsi e di tentare di sciogliere i nodi delle
corde. Adesso ha il capo chino sul petto, gli occhi semi chiusi. Sembra quasi essersi
rassegnato alla sua sorte. Alla sua triste sorte. Cruenta. Crudele.
Xisas: State vedendo questi attrezzi?

***

OH, MA CHE CAZZO, ROSE! ROSE, PORCA PUTTANA! MA SEI SERIA! QUI
BISOGNA CHIAMARE SUBITO LA POLIZIA! CHIUDI SUBITO QUESTO...
AFFARE!
Katy si avventa sul PC per chiudere lo schermo, ma Rose le blocca le braccia.
Sta ferma, Katy! Cazzo! Se non vuoi guardare, vattene a fanculo!
Katy si alza dal letto, comincia a camminare avanti e indietro per la stanza, con le
mani ai fianchi. Poi si rivolge a Rose, con un'espressione contrariata e furente: Rose,
cerca di essere seria, okay? Hai visto cos' che ha uscito quel coglione depravato? O
sei diventata ceca oltre che ritardata?
Rose trae un profondo respiro, volgendo lo sguardo verso il soffitto, spazientita.

170
S, Katy. Ho visto cosa cazzo ha uscito. le risponde, con uno di voce monotono e
annoiato.
Ma... sai dire solo questo? Ma cazzo, Rose! GUARDA! GUARDA, CAZZO! Quella
una pistola! Una di fottutissima pistola!
La preoccupazione di Rose aumenta. Fissa quell'arma con disagio. Ma la sua curiosit
la spinge a resistere alla sensazione di malessere. Si accorge anche che la batteria del
PC segna il 15%. Presto si sarebbe spento e addio divertimento.
Sar finta, Katy. Rilassati.
Rilassati il cazzo, Rose.
Katy torna a sedersi sul letto, accanto alla sua amica, e si rivolge a quel ragazzetto
depravato, urlando: TU SEI MALATO! TI SERVE UNO SPECIALISTA! RAZZA
DI COGLIONE! DOVE CAZZO STA TUA MADRE? VAI SUBITO A
CHIAMARLA PRIMA CHE IO CHIAMI GLI ASSISTENTI SOCIALI,
DEGENERATO FIGLIO DI PUTTANA!
Xisas: Mia madre in cucina. Legata anche lei. Sta sul divano. L'ho picchiata.
Pugni in faccia! Ahahahahaha! Vai tu a ricoverarti, puttana. Puttana e troia :)
Vieni qua che ti squarto e ti sbudello ;)

Katy legge il messaggio di Xisas. Sente la rabbia crescerle dentro. Lo avrebbe


strangolato con le sue stesse mani quel bamboccio.
A me dai della troia, eh? E tu quanti cazzo di problemi hai, eh?
Rose tenta di azzittire la sua amica, afferrandola per un braccio.
Xisas scoppia a ridere, mentre prende un paio di formici e si avvicina all'uomo legato
alla sedia.
No, Rose. Adesso sta zitta tu. Ehi, tu! Faccia di cazzo. Sar tutto quello che vuoi, ma
tu fatti vedere da uno bravo perch hai qualche rotella fuori posto, mi hai capito? Che
cos' che vuoi fare con quei cosi, eh? Fatti una sega, invece. Che solo quello sei bravo
a fare. Cos', la puttanella che ti piace non ti ha dato la figa? Ah, no! Che scema che
sono! Chi cazzo ti vuole, alla fine! Sei talmente... orribile! Hai mai pensato di andare
dall'estetista per sfoltirti quelle merda di sopracciglia? Lo sai a chi mi assomigli? A un

171
Orango Tango. Di quelli ritardati, pure. Vai a giocare con i bambolotti, viziato del
cazzo! Ed esci ogni tanto da quella cazzo di stanza, e fatti una fottutissima di vita
sociale.
Katy non pensi che ora tu stia esagerando? tutto finto, okay? Cerca di calmarti, eh!
Mamma mia!
Ah, io starei esagerando, ora? IO STAREI ESAGE... CRISTO!
Rose volge immediatamente lo sguardo sullo schermo. Nel riquadro appare Xisas che
si avventa con furia su suo padre. Alza un braccio, con in mano la forbice. Guarda per
pochi istanti le sue spettatrici. Sorride, e poi conficca l'arma da taglio nella gola
dell'uomo.

***

L'ARRESTO DEL COMPUTER AVVERR TRA 5...


Xisas estrae la forbice dalla gola della sua vittima...
4...
Porca puttana, Rose! Chiama l'infermiera! Chiama la polizia!
3...
Xisas si avvicina alla scrivania e afferra la pistola. Il sangue comincia a sgorgare dalla
ferita si suo padre, dalla bocca.
2...

172
turco, Katy! Cosa cazzo chiamo a fare l'infermiera o la polizia? Cristo!
1...
Xisas punta la canna dell'arma da fuoco sulla sua tempia. Fa un saluto con la mano.
Sorride.
Preme il grilletto.
ARRESTO IN CORSO...
Si sparato alla testa, Rose! Porca puttana! Si sparato alla testa!
Non ci posso credere... mio Dio.
SPENTO.

FINE

VENDETTE

Mr. e Miss Hyde erano molto affaccendati a intrattenersi in strane e bizzarre pratiche
erotiche sul loro letto matrimoniale. Erano vecchi signori che da tempo avevano
varcato la soglia dei settanta anni di et, ma che ancora riuscivano a mantenere viva la
fiamma della loro ardente e malsana passione.
Mr. Hyde era steso sul corpo di sua moglie, muovendo i fianchi tra quelle cosce
bianche e rugose, con movimenti ritmici e ondulatori. Miss Hyde gemeva e ansimava,
mentre con la bocca priva di denti succhiava avida il collo del marito.
Mr. Hyde sentiva le avvertiva le viscide gengive della sua compagna rovistare sulla

173
sua pelle, con quella vischiosa e umida sensazione di avere una lumaca bavosa che
strisciava sotto laltezza del suo orecchio.
Leffetto della magica pillola blu che aveva ingoiato mezzora prima del rapporto non
cessava di terminare. Il suo pene rimaneva turgido e duro come quello di un giovane
adolescente in piena fase ormonale. Spingeva con vigore il suo membro dentro il
sesso dellanziana signora con quelle poche forze che gli rimanevano. Non avvertiva
nessuna stanchezza. Daltronde, da giovane aveva combattuto contro gli Americani
nella Seconda Guerra Mondiale per conto di Adolf Hitler. Nelle squadre delle SS. Era
riuscito a scampare al processo di Norimberga grazie allintermezzo di truppe speciali
tedesche che avevano come scopo quello di salvare il culo a quanti pi nazisti
possibili e trasportarli poi, con i sottomarini, dalla Germania fino in Brasile. Luogo
che Mr. Hyde aveva deciso di non abbandonare mai pi. Avrebbe tanto voluto
ritornare nella sua terra natia, ma il rischio di essere arrestato era ancora molto alto,
nonostante fossero passati quasi dieci anni dalla fine della guerra. Lex nazista si era
portato con s un succulento souvenir dalla Germania, il suo trofeo pi prezioso:
Anna. La schiava ebrea che aveva lavorato nella sua dimora a Berlino. Nonch la sua
attuale moglie. Mr. Hyde aveva massacrato la sua famiglia quando le truppe naziste
invasero la Polonia. Anna allepoca viveva con suo marito e i loro due figli di dieci
anni: Sebastian e Samuel. Mr. Hyde entr nella loro casa, spar al marito e violent la
moglie sotto gli occhi dei figli. Dopo aver ammanettato Anna alle tubature, prese
Sebastian e Samuel per i capelli e li sgozz. I compagni di Hyde pisciarono e
defecarono sui loro corpi, mentre la loro madre urlava e supplicava di essere uccisa
anche lei.
Tu verrai con me, le rispose Mr. Hyde. Pulirai la mia casa e il mio culo dopo aver
finito di cagare. Verrai scopata ogni giorno. Non come ti scopava tuo marito. Ma
come ti scoperebbe un tedesco figlio di puttana come me. Ti far male. Soffrirai.
Sentirai dolore. Mangerai dopo che avr finito di mangiare io. Dormirai nella stalla
con le galline e le pecore. Al risveglio mi porterai la colazione a letto e mi farai un
pompino. Sarai libero solo dopo che ti avr uccisa. Troia.
Anna venne stuprata a turbi dai compagni di Mr. Hyde. Lui smembr il marito e figli

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con un machete, cucin lembi di pelle, fegato, cuore e polmoni in una padella e
costrinse Anna a mangiare i resti maciullati della sua famiglia.
Anna e Mr. Hyde vissero per quasi quarantanni in Brasile, in una villa lussuosa
costruita con la pensione di guerra dellex soldato delle SS. Invecchiarono insieme.
Non ebbero figli. Rimasero soli, senza contatti umani, senza amici. Mr. Hyde temeva
di essere rintracciato dalle spie russe e americane e messo a friggere sulla sedia
elettrica. Era diventato una persona per bene. Andava tutti i giorni in chiesa. Trattava
sua moglie non pi come carne da macello, ma come la sua compagna di vita. Si era
innamorato di lei. Sembrava quasi essersi dimenticato delle atrocit che aveva
commesso dieci anni fa. Delle migliaia di famiglie massacrate e trucidate per puro
divertimento. Per passare il tempo. Per hobby. Per scommettere con i suoi compagni
quanti ebrei avrebbero ucciso nellarco di una sola giornata. Chi perdeva, aveva diritto
a scoparsi unebrea. Chi vinceva, se ne scopava due.
Mostri.
Delle bestie.
Abomini.
E Mr. Hyde riusciva ancora a guardarsi allo specchio senza provare alcun senso di
colpa. Senza nessun risentimento. Nessuno schifo addosso.
Ma Anna non aveva dimenticato.
Il suo rancore, tutto il suo odio, crebbero e si svilupparono dentro di lei con il
trascorrere dei giorni, anno dopo anno. Dentro la sua testa udiva ancora le urla dei
suoi figli che venivano sgozzati come maiali, senza piet-
Quando venne rapita, era ancora troppo giovane per vendicarsi. Indifesa. Distrutta dal
dolore per la perdita violenta e depravata della sua famiglia.
Ma ora
Ora non pi.
Quel figlio di puttana di un tedesco bastardo era diventato vecchio.
Un vecchio porco.
Vecchio e stanco.
Vecchio e debole.

175
Il momento ideale per agire.
Anna strinse le gambe sui fianchi di Mr. Hyde, per avere una maggiore presa. Lex
nazista chiuse gli occhi, sopraffatto dal piacere. Stava per raggiungere lorgasmo.
Spalanc la bocca, gemendo.
Anna colse loccasione per attaccare.
Chiuse la mano a pugno e la conficc nella gola di suo marito. Mr. Hyde strabuzz gli
occhi, incredulo. Mentre eiaculava, cerc di afferrare la gola di Anna. Ma ormai era
troppo tardi. Fine dei giochi, nazista del cazzo.
La sua schiava ebrea spinse ancora di pi il braccio in fondo alla trachea delluomo,
sempre pi in gi, impedendo a suo marito di inspirare ossigeno.
Mr. Hyde cominciava a diventare cianotico. Viola. Piccole venuzze rosse si accesero
intorno ai suoi occhi. Il collo si gonfi. La saliva colava copiosa sullavambraccio di
sua moglie. Tent di chiudere la bocca, per morderla. Per addentarla. Cos come aveva
addentato i cadaveri di Sebastian e Samuel. Ma Anna non avrebbe mai mollato la sua
presa. Avrebbe resistito. Dopo quasi quarantanni di soprusi e violenze, Anna avrebbe
resistito ancora.
Guard suo marito negli occhi. Quegli occhi freddi. Glaciali. Sorrise. Con voce
gracchiante e colma di astio e disprezzo disse: Tu verrai con me. Pulirai la mia casa.
E il mio culo dopo aver finito di cagare. Verrai scopata ogni giorno. Non come ti
scopava tuo marito. Ma come ti scoperebbe un tedesco figlio di puttana come me. Ti
far male. Soffrirai. Sentirai dolore. Mangerai dopo che avr finito di mangiare io.
Dormirai nella stalla con le galline e le pecore. Al risveglio mi porterai la colazione a
letto e mi farai un pompino. Sarai libero solo dopo che ti avr uccisa. Troia.
Mr. Hyde mor per asfissia nel giro di pochi minuti. Anna estrasse il braccio dalla
bocca. Si mise in piedi sul letto, divaric le gambe e pisci sul viso del suo ex marito.
Poi rise.
Finalmente.
Finalmente, rise.

176
FINE

DEBBY

Tu sei mio amico, quindi? chiede Debby, curiosa, seduta sul suo letto.
Certo che sono tuo amico. Perch non dovrei esserlo?
Mamma dice che non posso pi giocare con te.
Davvero dice questo?
Debby annuisce, abbassando il capo pi volte, come a voler rendere pi evidente la
sua affermazione.
Io voglio continuare a giocare con te per
Si ma la mamma non vuole, capito? Te ne devi andare! esclama la bimba di nove
anni, indicando la porta della sua stanza.

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Ma non ti ho fatto niente!
Si, Ricky, lo so. Ma la mamma dice che se continuo a parlare con te sar costretta a
riportarmi da Zio Sebastian.
E come mai proprio da lui
Perch lui uno psico non mi ricordo come si dice.
Psicologo?
Ecco, s! Esatto! Uno pfsilocolo! Cura le teste delle persone. Le fa diventare
ehm normali! Se uno ha la bua al cervello, zio Sebastian la fa passare in quattro e
quattrotto!
Devo uccidere anche lui?
No! Hai gi fatto male a pap! Anche se zio Sebastian forse si meriterebbe una
bella dose di sculacciate per le cose brutte che mi fa.
Cosa ti fa?
Mi mi d i baci in bocca e io non voglio. Mi d fastidio. Per gli voglio bene. Mi
regala sempre soldi!
Debby, tuo zio si approfitta di te.
B, non mi interessa quello che mi fa. Te ne devi andare prima che arrivi la
mamma!
Debby, tua madre non verr pi.
Ah, giusto. Ma se guarisce ti far il culetto rosso, fidati. Meglio se non ti fai trovare
qui.
Debby, tua madre ha il cuore spappolato e la gola recisa. Morir
Ma avevi detto che non sarebbe morta, Ricky!
Ci sei andata troppo pesante con quel coltello, Debby.
Ma tu avevi detto di colpire, colpire e colpire! E io ho colpito! strilla la bambina,
simulando un accoltellamento con il braccio.
E infatti sei stata fantastica, Debby. Dovremmo fare la stessa cosa a tuo zio.
Si ma io non posso uscire da questa stanza. I dottori lhanno chiusa a chiave, sai?
Menomale che c il bagno per fare la pip e la pop.
Dobbiamo scappare, Debby.

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Mi sembra unottima idea, Ricky! Cos mi compro un bel gelato!

Toc, toc.

Debby, hanno bussato! Preparati!


Adesso le faccio il culetto rosso rosso a questa qui!
Debby, sono linfermiera Clara, sto per entrare.
Entra pure lurida troia.
Linfermiera gira la chiave nella serratura e apre la porta, sconvolta.
Debby! Non ti permettere mai pi ad usare un simile linguaggio! Siamo intesi, razza
di impertinente?
Fatti scopare da Satana, lurida troia!

FINE

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