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Emiliano Brancaccio - Appunti Di Economia Politica (2012) PDF
Emiliano Brancaccio - Appunti Di Economia Politica (2012) PDF
APPUNTI DI
ECONOMIA POLITICA
TERZA VERSIONE
febbraio 2012
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INDICE
Introduzione
2.1 Un esempio del liberismo dei classici: il problema dei vantaggi pag. 24
comparati di Ricardo
2.2 La condizione di riproducibilit del sistema economico nei classici e pag. 27
in Marx
3. MICROECONOMIA E
pag. 32
MACROECONOMIA NEOCLASSICA
CENNI DI STORIA
DELLECONOMIA POLITICA
A questo tipo di domande si risponde di solito con dei luoghi comuni. Per
esempio, un convincimento diffuso che gli Stati Uniti rappresentino il paese del
sogno americano, dove anche la persona pi umile, se sufficientemente abile e
volenterosa, pu raggiungere le pi alte vette della scala sociale. Questo ad
esempio il messaggio del celebre film La ricerca della felicit, con Will Smith e
di Gabriele Muccino.
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Ma le cose stanno davvero cos come ci dice quel film e come di solito tendiamo a
credere? A quanto pare no. Il grafico posto qui di seguito mostra i tassi di
immobilit sociale calcolati dallOCSE per alcuni paesi. La misura rappresenta
in un certo senso un indice della probabilit che pu avere un individuo di situarsi
in una posizione sociale analoga a quella della famiglia di origine. Essa cio
misura il peso della classe sociale di provenienza sui destini di ciascun individuo.
Pi alto lindice, pi probabile che un figlio, al di l dei meriti individuali, si
ritrovi in una posizione sociale simile a quella dei genitori.
Limportanza delleconomia politica per tutti gli aspetti della vita sociale del
resto testimoniata dallinfluenza che le variabili economiche possono avere sui pi
svariati comportamenti umani. Basti pensare alle correlazioni esistenti tra
disoccupazione e suicidio, tra povert e criminalit, tra partecipazione delle donne
al lavoro e divorzi, tra disuguaglianza sociale e rigidit delle norme morali, e cos
via.
Ma lidea che per ogni fenomeno della realt esista un solo modello interpretativo
contraddetta dal fatto che, in tutti i campi di ricerca, ingenti risorse umane e
materiali vengono dedicate alla continua verifica dei diversi modelli esistenti, al
fine di valutare quale di essi sia maggiormente in grado di interpretare i fatti
concreti. Questo vero in fisica, in chimica, in biologia, ma lo ancora di pi
nellambito delleconomia politica, dove i contrasti tra i ricercatori sulla teoria da
preferire sono particolarmente accentuati. Lo studente deve pertanto comprendere
che il pi delle volte leconomia si presenta come un luogo concettuale di contesa
tra interpretazioni alternative della realt che ci circonda.
In questo senso, come vedremo, per tutto il corso della trattazione verranno messi
a confronto due indirizzi alternativi di ricerca. Da un lato analizzeremo le versioni
passate e presenti del cosiddetto mainstream, cio dellapproccio attualmente
dominante detto neoclassico-marginalista. Dallaltro lato studieremo il cosiddetto
approccio critico, che prende spunto dalle opere di Karl Marx, John Maynard
Keynes, Piero Sraffa ed altri per criticare limpianto concettuale dellapproccio
neoclassico dominante e per indicare una diversa interpretazione dei fatti
economici e sociali.
Del resto, che leconomia politica abbia sempre rappresentato una sorta di campo
di battaglia tra visioni contrapposte dimostrato dalla sua evoluzione storica. Nei
brevissimi cenni che seguono proveremo a dare unidea di alcune tra le pi celebri
dispute tra economisti.
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In genere si ritiene che la nascita di una vera e propria scienza economica sia
avvenuta tra il 1760 e il 1830, ossia a cavallo di quella prima Rivoluzione
industriale che in Inghilterra e in altri paesi cre le basi per la piena affermazione
del modo di produzione capitalistico (cio di un sistema nel quale la classe dei
capitalisti detiene il controllo dei mezzi di produzione, mentre la classe dei
lavoratori si presenta sul mercato offrendo ai capitalisti la propria forza lavoro in
cambio di un salario). Durante la prima Rivoluzione industriale si assiste a un
grande processo di innovazione tecnologica, di allargamento dei mercati, di
concentrazione dei capitali, di trasformazione di larghe masse di lavoratori in
operai salariati e di aumento generalizzato della scala della produzione e della
circolazione delle merci. Tali trasformazioni economiche sono accompagnate
anche da importanti cambiamenti negli assetti sociali e politici. In questa fase si
registra infatti il relativo declino politico della classe aristocratica dei proprietari
terrieri e prende avvio lascesa sociale e politica di una nuova classe di soggetti,
quella dei capitalisti proprietari delle moderne imprese agricole e industriali. Il
successo dei capitalisti porta a una nuova concezione dello Stato: non pi
espressione degli interessi del sovrano e dellaristocrazia fondiaria, lautorit
statale viene chiamata a favorire lo sviluppo del capitale. Nuovo scopo del potere
politico dunque di salvaguardare gli interessi della nuova classe capitalista
emergente, in contrapposizione alle istanze provenienti dalla classe dei proprietari
terrieri.
nel libero mercato guidati dal loro egoismo personale, ma proprio seguendo i loro
interessi particolari essi inconsapevolmente contribuiscono allo sviluppo
economico complessivo, e quindi finiscono per servire linteresse di tutti. Scrive
Smith che ciascuno condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che
non era parte delle proprie intenzioni. Le forze del mercato rappresentano cio
una mano invisibile che guida i singoli individui egoisti a compiere il bene
comune dello sviluppo economico. In questo senso egli aggiunge che non dalla
benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci dobbiamo aspettare la
cena, ma dal fatto che essi perseguono il proprio interesse. Il motivo per cui
secondo Smith il teorema funziona che i capitalisti proprietari delle imprese,
in concorrenza tra loro, cercheranno di prevalere gli uni sugli altri producendo
esattamente le merci che i consumatori desiderano. Inoltre, i capitalisti
cercheranno di adottare i metodi produttivi pi efficienti al fine di ridurre al
minimo i costi, ed essere quindi pi competitivi rispetto ai diretti concorrenti. La
riduzione dei costi far s che le merci siano vendute ai prezzi pi bassi possibili,
il che garantir sviluppo e benessere diffuso. A grandi linee, sono questi i motivi
per cui secondo Smith bene lasciare che le forze del mercato e della concorrenza
siano tendenzialmente lasciate libere di operare.
Una sorta di teorema della mano invisibile verr in seguito applicato da David
Ricardo anche al caso dei rapporti internazionali. Per Ricardo occorre infatti
salvaguardare le libert di mercato non soltanto quando si considerino i singoli
capitalisti in concorrenza tra loro, ma anche quando si tratti di nazioni che
competono negli scambi commerciali. Ricardo quindi era non soltanto un liberista
ma anche un liberoscambista. Egli cio non era semplicemente un fautore del
liberismo economico tra le imprese e tra i singoli individui, ma sosteneva anche il
libero scambio tra paesi. Egli elabor in questo senso il famoso teorema dei
vantaggi comparati. Questo teorema ci dice che il libero scambio di merci tra
paesi sempre vantaggioso per tutti. In questottica, anche se un paese fosse pi
efficiente di un altro nella produzione di tutte le merci, al primo converr
comunque concentrarsi nella produzione delle merci in cui sia relativamente pi
efficiente, mentre potr lasciare la produzione delle altre merci al secondo paese.
In questo senso Ricardo sostenne che lInghilterra avrebbe dovuto specializzarsi
nella produzione e nella esportazione di manufatti industriali, mentre avrebbe
dovuto importare grano dagli altri paesi. Il consiglio che Ricardo dava
allInghilterra era quindi di abbandonare il protezionismo commerciale, cio di
rinunciare ai dazi con i quali il paese cercava di proteggere lagricoltura nazionale
dalla importazione di grano proveniente dallestero. I dazi erano sostenuti dai
proprietari fondiari inglesi, che guadagnavano dalla produzione di grano sui loro
terreni. Ma per Ricardo la classe dei proprietari terrieri rappresentava un ostacolo
allo sviluppo economico. Il paese doveva quindi abbandonare le protezioni,
specializzarsi nella manifattura e aprirsi agli scambi internazionali.
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Sulla tesi della caduta del saggio di profitto, in questa sede possiamo limitarci ad
affermare che per Marx sussisterebbero forze che tendono nel tempo a ridurre il
saggio di profitto medio del sistema economico. Marx sostiene infatti che i
capitalisti estraggono il profitto dal lavoro vivo degli operai. Al tempo stesso egli
nota che le continue innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere
limpiego di mezzi di produzione rispetto ai lavoratori direttamente impiegati nel
processo produttivo. Ma se il rapporto tra lavoratori e mezzi di produzione si
riduce, a suo avviso si ridurr anche il profitto. Una progressiva caduta del
profitto determina tuttavia una crisi generale del modo di produzione capitalistico.
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Per Marx, infatti, il profitto rappresenta non solo la remunerazione del capitalista
ma anche il motore dellaccumulazione. Una sua precipitazione verso lo zero
render a un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e
aprir quindi la via ad unepoca di rivoluzione sociale.
Tra le cause che secondo Marx determinano crisi ripetute vi per anche il fatto
che la spietata concorrenza tra le imprese conduce a una continua serie di
rivoluzioni tecniche e organizzative che aumentano al massimo la produttivit di
ogni singolo lavoratore e al tempo stesso riducono il suo salario. Ci tuttavia
implica un divario crescente tra la capacit produttiva dei lavoratori e la capacit
di spesa degli stessi lavoratori. Sotto date condizioni questo divario pu
determinare un problema di sbocchi per le merci prodotte. La conseguenza che il
processo di accumulazione dei capitali si blocca e le imprese sono indotte a
licenziare i lavoratori. Ma ci allarga ulteriormente il divario tra capacit
produttiva e capacit di spesa, per cui il sistema rischia di avvitarsi su s stesso
fino al tracollo. Al riguardo Marx scrive: La causa ultima di tutte le crisi
rimane sempre la povert ed il consumo ristretto delle masse, di fronte alla
tendenza della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive
(Capitale, vol. III).
dallAntico regime feudale (basato sul potere dei proprietari terrieri) al regime di
produzione capitalista (in cui il potere nelle mani dei proprietari delle imprese).
Allo stesso modo, possibile che il capitalismo a un certo punto imploda nelle sue
contraddizioni e ceda il passo a una nuova e diversa modalit di organizzazione
dei rapporti sociali.
Marx si attendeva in tal senso una svolta rivoluzionaria guidata dalla classe
lavoratrice, a seguito della quale potesse sorgere un sistema di tipo socialista: vale
a dire un sistema non pi basato sulla propriet privata dei mezzi di produzione e
sul lavoratore salariato posto sotto il comando del capitalista, ma fondato invece
sulla propriet collettiva dei mezzi di produzione e sulla pianificazione sociale del
lavoro. In una prima fase il sistema socialista si sarebbe per forza di cose basato
sul controllo statale sui mezzi di produzione, sulla divisione del lavoro e sulle
retribuzioni. Ma pi in prospettiva, a seguito dello sviluppo delle forze produttive
e della ricchezza sociale, Marx preconizzava un futuro comunista, nel quale il
potere coercitivo dello Stato, la divisione del lavoro e lo stesso concetto di
salario sarebbero diventati superflui. Nella Critica al programma di Gotha del
1875, egli defin il comunismo in questi termini: In una fase pi avanzata della
societ comunista, dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli
individui alla divisione del lavoro, e quindi anche del contrasto tra lavoro
intellettuale e fisico [] dopo che con lo sviluppo completo degli individui sono
aumentate anche le loro forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze
collettive scorrono in abbondanza; soltanto allora la societ pu scrivere sulle sue
bandiere: da ciascuno secondo le sue capacit a ciascuno secondo i suoi bisogni!.
Naturalmente Marx non fu il primo comunista della Storia. Molti prima di lui
avevano sostenuto lideale superiorit di un sistema fondato sulla cooperazione
sociale anzich sulla competizione individuale, e sulla propriet collettiva anzich
privata dei mezzi di produzione. E in passato non erano nemmeno mancate
esperienze di comunismo concreto, come ad esempio quello delle comunit
cristiane primitive. Marx tuttavia differiva dai suoi predecessori per un motivo:
egli faceva poggiare la sua prospettiva comunista non su basi etico-morali, ma su
una rigorosa analisi scientifica delle contraddizioni del capitalismo e della sua
fragilit intrinseca, una analisi per molti versi ancora attuale. Ed proprio in
questa analisi scientifica del capitalismo che risiedeva la vera forza di Marx, una
forza che prescinde dal carattere talvolta utopico delle sue premonizioni sul
comunismo.
Per scongiurare le tesi di Marx occorreva dunque sfidarlo sul terreno dellanalisi
scientifica delleconomia. Occorreva cio proporre una chiave di lettura della
realt che fosse alternativa a quella marxiana. Ma per far questo non si poteva
tornare al pensiero dei classici. Infatti, bench Smith e Ricardo esprimessero nella
sostanza un giudizio positivo sul modo capitalistico di produzione, le loro teorie
mettevano apertamente in evidenza gli elementi di conflitto insiti nei rapporti tra
le classi sociali, e quindi somigliavano troppo allanalisi di Marx per potersi dire
del tutto estranee e alternative ad essa.
Si pose dunque il problema di elaborare una nuova teoria, che non si concentrasse
sul carattere conflittuale e instabile del modo di produzione capitalistico ma che al
contrario fornisse una convincente rappresentazione armonica del sistema
economico. Cos, a partire dal 1870, nasce e trova largo seguito una nuova
concezione teorica, detta neoclassica o marginalista. Jevons, Menger e Walras
furono tra i fondatori di questo approccio, seguiti poi da Marshall, Pigou,
Wicksell, Pareto, Robbins e molti altri.
Infatti, nel Saggio sulla natura e sul significato della scienza economica del 1932,
lo studioso neoclassico Lionel Robbins defin leconomia come quella scienza
che studia il comportamento umano come una relazione fra scopi classificabili in
ordine dimportanza e mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi. Pochi anni dopo
un altro economista neoclassico forn una descrizione ancor pi sintetica della
disciplina: nel suo celebre Fondamenti di analisi economica del 1947, Paul
Samuelson defin il nucleo di ogni problema economico come una funzione
matematica da massimizzare sotto vincoli, dove i vincoli rappresentano le risorse
scarse disponibili e la funzione da massimizzare in genere rappresenta il benessere
individuale. Come vedremo, secondo i neoclassici tale benessere pu esser
misurato attraverso lutilit, un concetto che essi adoperano molto spesso nelle
loro analisi.
Questo calcolo si basa sul principio che al crescere del consumo di un qualsiasi
bene, lutilit dellindividuo tende ad aumentare ma con incrementi sempre pi
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piccoli. Il motivo che mentre le dosi iniziali del bene sono particolarmente
gradite allindividuo, le dosi successive lo condurranno verso la saziet e quindi
risulteranno meno utili. Tale principio detto legge della utilit marginale
decrescente, ed alla base di molte analisi neoclassiche.
Dunque, per i neoclassici, lanalisi basata sulla esistenza delle classi sociali
inutile e per certi versi fuorviante, visto che il comportamento di ogni individuo,
indipendentemente dalla classe di appartenenza, pu essere esaminato come un
problema di massimizzazione della utilit sotto il vincolo delle risorse scarse di
16
Inoltre, nel 1917 si verifica un evento che sembra per certi versi dare ragione ad
alcune premonizioni di Marx: in una Russia devastata dalla guerra e dalla miseria
si verifica infatti una nuova Rivoluzione. Il partito che la guida si dichiara
espressamente marxista, e punter a riorganizzare i rapporti economici su basi
socialiste.
I tempi erano dunque maturi per una nuova rivoluzione delle idee in campo
economico. Tra i portatori della medesima vi fu leconomista inglese John
Maynard Keynes, autore della Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e
della moneta del 1936. Nella sua critica ai neoclassici Keynes sceglie una
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posizione intermedia, nel senso che accetta una parte della loro teoria ma rifiuta
unaltra parte. In particolare, Keynes condivide la tesi neoclassica secondo la
quale in equilibrio il salario reale coincide con la produttivit marginale del
lavoro. Egli accetta pure la tesi secondo cui, dati gli altri fattori di produzione, la
produttivit marginale del lavoro decresce al crescere del numero dei lavoratori
occupati. Tuttavia, Keynes aggiunge pure che i neoclassici trascurano un punto
fondamentale, e cio che il numero degli occupati dipende dalla domanda effettiva
di merci. Le imprese cio assumeranno solo i lavoratori necessari a produrre la
quantit di merci effettivamente domandata dal mercato, cio la quantit che
possa essere effettivamente venduta. Questo il principio della domanda
effettiva, ed alla base della teoria di Keynes. Se dunque la domanda effettiva di
merci bassa, le imprese assumeranno pochi lavoratori e vi sar quindi una
elevata disoccupazione.
La domanda effettiva a sua volta dipende dalle aspettative sul futuro. Se tra gli
operatori economici si diffonde una ondata di pessimismo, gli acquisti di beni di
investimento (macchinari, impianti, attrezzature, ecc.) verranno ridotti, il che
provocher una serie di licenziamenti, quindi un calo dei consumi dei lavoratori,
quindi ulteriori licenziamenti, e cos via in una spirale negativa che pu condurre
a una crisi generale. Nella teoria keynesiana questo meccanismo cumulativo va
sotto il nome di moltiplicatore.
Keynes riteneva che i neoclassici trascurassero tutti questi problemi, e per questo
non fossero in grado di fornire una adeguata rappresentazione del sistema
economico.
Dal principio della domanda effettiva e dalla teoria del moltiplicatore Keynes
faceva anche scaturire una critica al liberismo prevalente tra i neoclassici. Egli
infatti riteneva che le forze del mercato, lasciate a s stesse, non sarebbero mai
state capaci di generare una domanda effettiva tale da eliminare la
disoccupazione. In questo senso Keynes critic lidea di Pigou, secondo il quale la
grande crisi dipendeva dal fatto che i sindacati dei lavoratori si opponevano alla
riduzione dei salari e quindi impedivano il libero funzionamento del mercato. Al
contrario,
Keynes sosteneva che la riduzione dei salari non avrebbe risolto la crisi. Anzi,
avrebbe potuto aggravarla. La riduzione dei salari avrebbe infatti dato avvio a un
lungo periodo di calo dei prezzi delle merci, che avrebbe indotto molti operatori a
rinviare gli acquisti in attesa di ulteriori cadute dei prezzi. Il che avrebbe solo
accentuato la crisi. Pertanto, non si poteva imputare la depressione economica ai
sindacati.
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Per Keynes il vero problema che il capitalismo risulta afflitto da una domanda
effettiva molto instabile, condizionata dai cambiamenti nelle aspettative sul
futuro, e in genere mai sufficiente per garantire la piena occupazione dei
lavoratori. Keynes proponeva dunque labbandono del laissez-faire. A suo avviso
soltanto un massiccio intervento statale nelleconomia avrebbe potuto garantire
livelli alti e stabili della domanda effettiva, tali da scongiurare le crisi ricorrenti
del capitalismo e in grado di condurre sempre alla piena occupazione del lavoro.
In questo senso Keynes parlava di socializzazione di una certa ampiezza
dellinvestimento, ossia di un ampio intervento dello Stato per il finanziamento
degli investimenti in opere pubbliche, servizi sociali, beni di interesse collettivo.
Dalla Seconda guerra mondiale il liberismo usc perdente. Dopo la guerra era
infatti diffusa un po ovunque lopinione che le forze spontanee del capitalismo,
lasciate a s stesse, fossero causa di instabilit, crisi e conflitti. Questa idea era
ovviamente supportata dallesperienza recente. Essa inoltre veniva sostenuta dai
sindacati dei lavoratori, che in molti paesi uscirono dalla guerra legittimati e
rafforzati, anche per le battaglie antifasciste che avevano condotto. Infine, non si
poteva trascurare il fatto che tra i vincitori della guerra vi fosse anche lUnione
Sovietica, lo stato socialista nato dalla rivoluzione russa del 1917. Questa
presenza costituiva una sfida ulteriore per i fautori del capitalismo.
In questa fase venne a costituirsi una nuova scuola, detta sintesi neoclassica. Tra
i suoi esponenti spiccavano i nomi di John Hicks, Franco Modigliani e Don
Patinkin. Questi economisti proposero una sintesi, per lappunto, tra le idee di
Keynes e la teoria neoclassica.
Dopo vari passaggi teorici, da questa sintesi emerse negli anni Cinquanta un
nuovo modello, portatore della seguente soluzione di compromesso: 1) il principio
keynesiano della domanda effettiva e il moltiplicatore determinano i livelli della
produzione e della occupazione nel breve periodo; 2) lequilibrio naturale del
mercato del lavoro e la funzione di produzione determinano i livelli della
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Tuttavia, come vedremo, c chi ritiene che essa sia viziata da una serie di
contraddizioni logiche e che abbia travisato e ridimensionato il pensiero originario
di Keynes.
Nel corso del Novecento la critica della teoria dominante ha tratto nuova linfa dal
contributo delleconomista italiano Piero Sraffa. Nel suo celebre Produzione di
merci a mezzo di merci del 1960, Sraffa sferr un nuovo attacco alla teoria
neoclassica, ancor pi radicale di quello di Keynes. Sraffa considera infatti la
teoria neoclassica incoerente sul piano logico. La critica sraffiana complessa, e
non pu esser trattata in un corso base di economia. Tuttavia a grandi linee si pu
affermare che essa rientra in una serie di critiche che sono state da pi parti rivolte
al concetto neoclassico di capitale. Proviamo a fornire qualche spunto derivante
da tali critiche. Il capitale costituito dai mezzi di produzione disponibili in una
data epoca. Se si vuole calcolare il capitale nel suo complesso allora occorre
prendere in considerazione laggregato dei mezzi di produzione. Questi mezzi
per sono eterogenei tra loro e quindi per aggregarli necessario moltiplicare la
quantit di ogni mezzo di produzione per il rispettivo prezzo, e poi sommare tutti i
valori tra loro. In tal modo si ottiene una misura del capitale in valore. Questa
dotazione del capitale pu quindi essere impiegata nella teoria neoclassica per
determinare salari e interessi. Ad esempio, dato il capitale, possibile ottenere la
domanda di lavoro, che pu essere quindi intersecata con lofferta di lavoro per
ottenere il salario reale. Inoltre, noto il capitale, possibile ricavare
linvestimento, che assieme al risparmio contribuisce a determinare il tasso
dinteresse, e cos via. La teoria microeconomica e macroeconomica neoclassica,
come vedremo, procede nella sostanza in base a questa sequenza. Il problema
che questa sequenza viziata sul piano logico. In essa, infatti, il salario, il tasso
dinteresse, ecc. sono determinati una volta che sia dato il capitale. Ma noi
abbiamo detto che per conoscere il capitale occorre conoscere i prezzi dei singoli
mezzi di produzione che lo compongono. Ma per conoscere i prezzi bisognerebbe
che i salari e i tassi dinteresse fossero gi noti. E chiaro allora che la teoria
neoclassica presenta un vizio di circolarit.
Ma le obiezioni alla Sintesi neoclassica non finiscono qui. Tra i suoi critici vi
furono pure alcuni allievi e amici di Keynes, tra cui Richard Kahn, Joan Robinson
ed altri. Questi giudicarono la Sintesi come una sorta di tradimento delle idee
originarie del maestro, e quindi la rifiutarono. Essi proposero una diversa
interpretazione di Keynes, che manteneva il principio della domanda effettiva e il
moltiplicatore, ma che rifiutava il concetto di equilibrio naturale e ogni altro
collegamento con la teoria neoclassica
II
ELEMENTI DI TEORIA
CLASSICA E MARXIANA
2.1 Un esempio del liberismo dei classici: il teorema dei vantaggi comparati
di Ricardo
Stando ai soli vantaggi assoluti sembrerebbe che l'Inghilterra non abbia interesse
ad aprirsi agli scambi internazionali.
Suppa base della tabella, definiamo le ragioni di scambio tra le merci all'interno di
ciascun paese nel caso in cui viga autarchia (cio chiusura agli scambi
internazionali).
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In Spagna 1T = 4G
in Inghilterra 1T = 2G
Dimostriamo:
1T = 3G
Grano Tessuto
ESPORTA 3G IMPORTA 1T 12-9 = 3ore di
Spagna corrispondete a 9 corrispondente a lavoro
ore di lavoro 12 ore di lavoro guadagnate
IMPORTA 3G ESPORTA 1T 6-4 = 2ore di
Inghilterra corrispondente a corrispondente a lavoro
6 ore di lavoro 4 ore di lavoro guadagnate
La tabella indica il costo delle merci in base alle tecniche prevalenti all'interno di
ogni nazione.
Grano Tessuto
ESPORTA IMPORTA
2G 1T 12-6 = 6ore
Spagna corrispondet corrisponden di lavoro
e a 6 ore di te a 12 ore di guadagnate
lavoro lavoro
IMPORTA ESPORTA
2G 1T 4-4 = 0ore di
Inghilterra corrisponden corrisponden lavoro
te a 4 ore di te a 4 ore di guadagnate
lavoro lavoro
In tal caso guadagna solo la Spagna, l'Inghilterra non ottiene alcun beneficio
dall'apertura.
chiaro allora che il teorema dei vantaggi comparati ha senso solo se si assume
che non vi siano problemi di disoccupazione.
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Se questi problemi vi sono allora non detto che la soluzione del liberoscambio e
dell'apertura internazionale sia quella preferibile.
Attraverso una serie di esempi vediamo in che modo essi esaminavano questo
problema.
Consideriamo per semplicit una economia che produce come output grano (G) e
ferro (F) utilizzando come input il grano e il ferro medesimi.
bene precisare che tra gli input di grano e di ferro necessari alla produzione
rientrano anche le quantit necessarie al sostentamento dei lavoratori impegnati
nel processo produttivo. Ci significa, per esempio, che l'input di grano
comprende sia il grano impiegato nella semina dei terreni sia il grano consumato
dai lavoratori impiegati.
Riguardo al ferro, possiamo suggerire che si tratti del ferro contenuto negli
attrezzi necessari alla produzione (vanghe, picconi, trattori, ecc.)
280 G 12 F 400 G
120 G 8 F 20 F
Per esempio:
280 G 12 F 500 G
120 G 8 F 30 F
____ ____
400 G 20 F
Si vede chiaramente che questa una economia che genera un surplus. Infatti
l'input totale di grano 400 ma l'output ora 500; l'input totale di ferro 20 ma
l'output ora 30.
Questi esempi chiariscono pure gli elementi di conflitto sociale insiti nella
concezione del profitto come surplus (o residuo) tipica degli economisti classici e
di Marx.
Gli esempi infatti evidenziano che il surplus pu essere generato a scapito dei
lavoratori, o a seguito di una intensificazione dei loro sforzi oppure a seguito di
una riduzione degli input slariali.
280 12 500
G F G
500 500 500
120 8 30
G F F
30 30 30
da cui:
0,56 G 0,024 F 1G
4G 0,26 F 1F
I coefficienti ci dicono che per ottenere 1 unit di grano occorrono 0,56 unit di
grano e 0,024 unit di ferro, e per ottenere 1 unit di ferro occorrono 4 unit di
grano e 0,26 unit di ferro.
Generalizziamo:
per esempio:
280
= 0,56 = aGG che ci dice quante unit di grano (G) occorrono per
500
produrre 1 unit di grano (G)
12
= 0,024 = aFG che ci dice quante unit di ferro (F) occorrono per
500
produrre 1 unit di grano (G)
1) YG YG aGG + YF aGF
2) YF YG aFG + YF aFF
1) YG (1-aGG) YF aGF
2) YF (1-aFF) YG aFG
da cui:
31
YG aGF
1)
YF 1 aGG
1 a FF YG
2)
a FG YF
1 a FF aGF
a FG 1 a GG
ossia:
Se la condizione rispettata col segno maggiore (>) allora siamo di fronte a una
economia che genera surplus (e che dunque, potendo remunerare un profitto, pu
essere una economia capitalistica).
Esercizio: descrivi una economia che non nemmeno di sussistenza e che quindi
non in grado di riprodursi.
III
MICROECONOMIA E
MACROECONOMIA NEOCLASSICA
p1x1 + p2x2 m
p1x1 + p2x2 = m
x2
A A(x1A, x2A)
x2
x 1A x1
p2x2 = m p1x1
m p1
x2 = x1
p2 p2
m
x1 = 0 x 2 = intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ordinate
p2
m p1
x2 = 0 0 = x1
p 2 p2
p1 m
x1 =
p2 p2
p 1 x1= m
m
x1 = intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ascisse
p1
x2
m
p2
m p1
x2 = x1 equazione della retta
p2 p2
p1
p 2 coefficiente angolare
m x1
p1
35
x2
C D
A
B
m/p1 x1
2) una riduzione del prezzo da p1 a p1' > p1: comporta una rotazione della
retta di bilancio verso sinistra (l'intercetta verticale resta ferma perch non
variato il prezzo p2 mentre l'intercetta orizzontale diminuisce), cio un
aumento della sua pendenza.
36
x2
m
p2
m m' x1
p1 p1
x2
m m x1
p1 p1 '
37
UT
UT
30 U T
5 x
25
10
15
15
0 1 2 3 x
38
15 utilit marginale
10
0 1 2 3 x
Consideriamo per semplicit una economia nella quale esistono solo 2 beni,
indichiamo con x1 e x2 le rispettive quantit. Come si visto, esaminando il
vincolo di bilancio del consumatore, ogni combinazione di consumo (ogni paniere
di consumo) potr essere rappresentato da un punto del piano cartesiano (positivo)
con coordinate (x1, x2). Per descrivere il comportamento del consumatore
necessario ordinare i panieri di consumo in base alle sue preferenze.
39
x2
VI I
E B
Curva di indifferenza
A
D C
III II
x1
Di sicuro:
A preferito a D e a tutte le altre combinazioni di consumo che appartengono al
III quadrante: al paniere di consumo A associato in indice di utilit maggiore
rispetto a tutte le combinazioni di consumo che appartengono al III quadrante.
B preferito ad A e tutte le combinazioni del I quadrante sono preferite ad A: al
punto A associato un indice di utilit inferiore rispetto all'utilit associata a tutti i
panieri che appartengono al quadrante I.
Esisteranno poi delle combinazioni di consumo situate nel II e nel IV quadrante
che il consumatore reputa indifferenti rispetto ad A (due di queste potrebbero
essere E e C e presentano lo stesso valore dell'indice di utilit di A). Unendo tutti i
punti che rappresentano le combinazioni di consumo considerate indifferenti dal
consumatore rispetto al paniere A otterremo una curva di indifferenza.
Una curva di indifferenza l'insieme di tutte le combinazioni di beni che danno al
consumatore la stessa utilit totale e che dunque egli reputa indifferenti tra loro.
Ovviamente panieri di consumo come B e D sii trovano su curve di indifferenza
40
diverse, visto che ad essi sono associati livelli di utilit diversi rispetto al paniere
A. In generale, pi le curve di indifferenza sono distanti dall'origine degli assi
cartesiani, maggiore l'utilit ad essa associata. Inoltre, esse presentano una
pendenza negativa (sono decrescenti) in quanto se il consumatore vuole
conservare lo stesso livello di utilit (e restare sulla stessa curva di indifferenza),
dovr compensare ogni riduzione del consumo di uno dei due beni con un
incremento dell'altro.
x2 UT3
UT1
x1
Si viene cos a costruire una mappa di curve di indifferenza che esprime l'utilit
dell'individuo al variare del paniere di consumo.
Le curve di indifferenza non possono intersecarsi (in certo senso si pu dire che
sono tra loro parallele) perch altrimenti esse non esprimerebbero un ordinamento
coerente (razionale) dei panieri di consumo. La razionalit del consumatore,
infatti, implica che le preferenze devono essere transitive: se il paniere A
preferito al paniere B e il paniere B preferito al paniere C, allora il paniere A
deve essere preferito al paniere C. In altre parole, se le curve di indifferenza si
intersecano, allora le preferenze del consumatore non sono transitive e quindi
41
viene meno la sua razionalit nella scelta dei panieri di consumo. Verifichiamo
questa importante condizione con un esempio.
x2
B UT1
C
UT0
x1
Le curve di indifferenza per beni tra loro in certa misura sostituti (le mele e le
pere) sono convesse: dato un certo livello di utilit, muovendosi lungo la
corrispondente curva di indifferenza, all'aumentare del consumo di un bene, il
consumatore sempre meno disposto a rinunciare all'altro bene. La convessit
della curva di indifferenza una diretta conseguenza dell'assunto dell'utilit
marginale decrescente. Via via che riduce di quote costanti il consumo di uno dei
due beni (che diventa sempre pi scarso e prezioso in termini di utilit marginale),
il consumatore, per non far ridurre il suo livello di utilit, richieder compensare
queste riduzioni mediante il consumo di quote crescenti dell'altro bene (sempre
pi abbondante e meno prezioso in termini di utilit marginale).
x2
UT0
20 A
5
B C
15
5
D E
10
2 3 6
x1
1 3
Il grafico mostra che una riduzione del consumo del bene 2 da 20 a 15 unit
richiede, per lasciare invariata l'utilit totale a UT0, un aumento del consumo del
bene 1 di una sola unit. Ma, se il consumo del bene 2 si riduce di ulteriori 5
unit, allora necessario un aumento del consumo del bene 1 di bene 3 unit. Ci
dovuto all'utilit marginale decrescente. La perdita di utilit che il consumatore
subisce passando a A a B relativamente bassa e pu essere compensata con una
43
sola unit del bene 1 (dotata di un'alta utilit marginale) che consente di
raggiungere il punto C. Invece, lo spostamento da C a D implica una perdita di
utilit maggiore (essendo il bene 2 ora pi scarso per il consumatore) che, per
essere compensata, richiede una incremento di 3 unit di consumo del bene 1
(infatti queste 3 unit sono dotate di una utilit marginale pi bassa perch il bene
1 ora relativamente pi abbondante) in modo da raggiungere il punto E.
La convessit delle curve di indifferenza pu anche essere spiegata da una
preferenza del consumatore per la variet nella composizione del proprio paniere
di consumo. Considerati due panieri A e B che risiedono sulla medesima curva di
indifferenza, il consumatore preferir ad ognuno di essi un qualunque paniere C
ottenuto come combinazione lineare intermedia dei rispettivi contenuti di A e B.
Infatti, se le curve di indifferenza sono convesse, una siffatta combinazione
lineare risieder su di una curva di indifferenza pi alta (corrispondente ad un
livello di utilit maggiore).
x2
x 2A A
x 2C C
B B UT1
x2
UT0
x 1A x 1C x 1B
x1
44
Quando i due beni le cui quantit sono riportate sugli assi cartesiani sono tra loro
perfetti sostituti le curve di indifferenza assumono una forma lineare (sono delle
linee rette). questo il caso della benzina offerta sul mercato da due differenti
compagnie di distribuzione (Total e Agip ad esempio), evidentemente la maggior
parte dei consumatori trovano indifferente rifornirsi dall'uno o dall'altro
distributore perch non sussistono differenze apprezzabili tra i due carburanti. Il
consumatore potrebbe consumare anche uno solo dei due beni senza incorrere in
una riduzione dell'utilit totale.
x2
A
x 2C C
UT0
B
x 1C
x1
45
Il caso opposto a quello dei perfetti sostituiti riguardi i beni che sono tra loro
perfettamente complementari (detti anche beni perfetti complementi; ad
esempio i due ingredienti necessari a preparare una particolare bevanda, si pensi
allo zucchero e al caff). In questo caso le preferenze del consumatore assumono
una forma ad angolo: aumentando il consumo di uno solo dei due beni
(spostandosi dal punto A al punto C) il consumatore non ottiene incrementi di
utilit. Per accrescere l'utilit totale necessario accrescere in misura
proporzionale il consumo di entrambi i beni (spostandosi nel punto B).
x2
x 2B B UT1
x 2A A C
UT0
x 1A x 1B
x1
46
x2
x 2B B UT1
x 2A A C
UT0
x 1A x 1B
x1
47
Reddito
UT2
UT1
UT0
Ore di lavoro
48
x 2 x
SMS = = 2
x1 x1
x2
x 2A A
x2
x 2B B
x1
UT0
x 1A x 1B
x1
x2
x2
B
C
D
E
UT0
x1 x1
U = UM1 x1 + UM2 x2
0 = UM1 x1 + UM2 x2
50
UM2 x2 = UM1 x1
x 2 UM 1
=
x1 UM 2
U
UM 1 x1
SMS = = U
UM 2
x2
questa uguaglianza esprime il SMS come rapporto delle derivate parziali della
funzioni di utilit (le utilit marginali).
U0
x2 = x
1
al variare del livello di utilit fissato si potr costruire tutta la mappa delle curve
di indifferenza.
51
x2
x 2* E
B UT2
UT1
C UT0
x 1* x1
Si noti che in corrispondenza del punto E abbiamo che l'inclinazione del vincolo
di bilancio (-p1/p2) uguale alla pendenza della curva di indifferenza passante per
A (SMS = - x2/ x1). Cosa che invece non vera per un punto come C oppure A.
Nel punto B, inoltre, a differenza del punto E, non soddisfatto il vincolo di
bilancio (p1 x1 + p2 x2 = m).
x p
SMS = 2= 1
x1 p2
oppure
U
x1 p1
U = p
2
x2
max U(x1,x2)
sub p1 x1 + p2 x2 = m
L U
= p1 = 0 (1)
x1 x1
L U
= p 2 = 0 (2)
x 2 x 2
L
= m p1 x1 p 2 x 2 = 0 (3)
U
x1 p1
U = p
2
x2
Un esempio:
L
x 1 = x2 4 = 0
L
x 2 =x1 2 = 0
L
=40 4 x1 - 2x2 = 0
x2/ x1 -2 = 0
x2/ x1 = 2
x2= 2 x1
40 4 x1 - 2(2x1) = 0
40 4 x1 - 4x1 = 0
40 = 8 x1
x1 = 40 / 8 = 5
x2 = 10
2x2 = 40 4 x1
x2 = 20 2 x1
U
= 20 4 x1 = 0
x1
x1 =20/4 = 5
Abbiamo cos ottenuto lo stesso risultato con un metodo alternativo. La scelta tra i
vari metodi dipende dalle circostanze. Va preferito quello che semplifica di pi i
calcoli.
56
Ipotizziamo una serie di riduzioni di p1: p1, p1' < p1, p1' ' < p1'
individueremo cos una serie di punti di ottimo e l'insieme di tutti questi punti di
ottimo definito curva di prezzo-consumo. Si noti che al diminuire di p1 la
quantit x1 domandata dal consumatore aumenta.
x2
m/p2
p1
curva di domanda
p1 individuale
x1 = x1(p1)
p1'
p1''
x1 x 1' x1'' x1
La curva di domanda decrescente: essa esprime una relazione inversa tra p1 e x1:
al diminuire del prezzo la domanda aumenta
all'aumentare del prezzo la domanda diminuisce
La forma decrescente della curva di domanda vale per tutti i beni cosiddetti
normali, e si ritiene che tale relazione sia solitamente valida.
58
1
xT = 15 - 2 p
ovvero
p1
p = 0 xT = 15 facile mostrare che il surplus
xT = 0 p = 30 30 A del consumatore rappresentato
dall'area ABC.
supponiamo che il
prezzo di mercato
di ogni biglietto
sia p = 10.
La domanda sar: B
10
C
1
xT = 15 - 2 10
xT = 10
10 15 x1
Il surplus del consumatore dato dalla somma delle differenze tra quanto sarebbe
stato disposto a pagare per ottenere ogni unit aggiuntiva del bene acquistato e
quanto ha dovuto effettivamente pagare (il prezzo di mercato). Nell'esempio il
surplus del consumatore pari a 90:
xT 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
p 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0
Disponibilit a spendere 28 54 78 100 120 138 154 168 180 190 198 204 208 210 210
Spesa effettiva 28 52 72 88 100 108 112 112 108 100 88 72 52 28 0
Surplus del consumatore 0 2 6 12 20 30 42 56 72 90 110 132 156 182 210
La curva di domanda individuale reagisce anche alle variazioni del reddito del
consumatore (ad esempio m varia da m a m' > m).
x2
m'/p2
m/p2
E'
E
p1
x1 x1' x1
in tal caso, a parit di p1 (che non cambiato), assistiamo ad un aumento della
quantit domandata di x1. La curva di domanda, quindi, trasla verso destra al
crescere del reddito.
60
p p p
30 30 30
15 xT 10 xC 25 x
Cos come dalla scelta dell'individuo abbiamo ottenuto la domanda delle merci,
dalla teoria dell'impresa otterremo l'offerta.
LA PRODUZIONE
L lavoro
Q
K capitale (di solito inteso come valore dei mezzi di produzione)
Ad ogni modo noi qui non ci occuperemo di questo problema. Anzi, per
semplicit riterremo che l'analisi sia di breve periodo per cui K pu essere
considerato un dato esogeno, fisso.
Q = Q(K, L)
Q PMGL
Q = Q(L)
32 10
31
28
PMGL
24 8
18
6
10 4
3
1
1 2 3 4 5 6 L 1 2 3 4 5 6 L
In termini algebrici:
Q
PMGL =
L
Q
PMGL =
L
1
Q 1 2 1 1
PMGL = = L = =
L 2 1 2 L
2L 2
I costi totali di produzione sono costituiti dai costi fissi e dai costi variabili:
I costi fissi non variano al variare della produzione (almeno nel breve periodo).
Essi possono essere identificati con il costo del capitale:
(1 + r) r K0
w L(Q)
CT = r K0 + w L(Q)
CT = r K0 + w Q2
CT
CT
rK0
Q
64
CT
CMG =
Q
CT
CMG = = w2Q
Q
CMG
2w
Q
interessante notare che esiste una relazione tra CMG e PMGL. Infatti
(ricordando che K costante):
CT L
CMG = =w
Q Q
Q
ma sappiamo che PMGL = e quindi possiamo scrivere:
L
65
w w
CMG = =
Q PMG L
L
CMG = w2Q
ma Q = L1/2 e quindi:
CMG = w2L1/2
w
CMG = il denominatore di questa frazione proprio la PMGL
1
1
2 L2
CT rK 0 + wL Q
CM = Q =
Q
Finch la riduzione dei costi fissi prevale sull'aumento dei costi variabili, il costo
medio si riduce. Quando l'aumento dei costi variabili inizia a prevalere, il costo
medio aumenta.
CT rK 0 + wQ 2 rK 0
CM = Q = = + wQ
Q Q
Q CM
1 22 15
2 14
CM
3 12,67
4 13 10
5 14
6 15,33 5
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
Q
CT 20
= 2 + 2 = 0 Q2 = 10 Q = 10 3,2 costo medio minimo
Q Q
Infine, interessante notare che il costo medio e il costo marginale si intersecano
esattamente nel punto di minimo del costo medio. Per verificarlo nell'esempio
(con rK0 = 20, w=2 e L= Q2) poniamo CM=CMG :
20
+ 2Q = 22Q Q = 10 3,2
Q
CM,
CMG
CMG
CM
QA QB Q
RT CT
= =0
Q Q Q
CT
sapendo che CMG =
Q
68
RT
e definendo RMG =
Q
RMG CMG = 0
RMG = CMG
Ora, chiaro che finch RMG > CMG all'impresa conviene aumentare la quantit
prodotta Q perch le unit aggiuntive rendono pi di quanto costano e quindi
consentono di aumentare il profitto . Quando per RMG=CMG conviene
fermarsi e non andare oltre poich ogni unit prodotta ulteriore costerebbe pi di
quanto rende e farebbero ridurre il profitto totale.
Queste imprese si presentano sul mercato senza disporre di alcun potere sui prezzi
di vendita.
il caso dei piccoli produttori di mele che si presentano sul mercato ortofrutticolo
al mattino. Un banditore conta le mele offerte dai produttori e le mele domandate
dai fruttivendoli, e fissa il prezzo di equilibrio di mercato che uguaglia domande e
69
offerte. Una volta fissato il prezzo di equilibrio ogni produttore dovr attenersi ad
esso. Se, infatti, prova a vendere a prezzi maggiori nessuno andr a comprare da
lui. E non ha interesse a vendere a prezzi minori visto che al prezzo di equilibrio
lui sa gi che vender tutta la merce (praticare un prezzo pi basso comporterebbe
solo una riduzione dei ricavi e degli eventuali profitti).
L'impresa in concorrenza perfetta dunque non ha alcun potere sul prezzo di
mercato. Si dice che essa price-taker, cio prende, subisce il prezzo fissato
dal mercato.
In concorrenza perfetta possiamo dunque affermare che il prezzo di mercato un
dato esogeno:
p = p0
= RT CT
Ovviamente il ricavo totale non altro che RT = pQ, cio il prezzo per la
quantit prodotta e venduta. Dunque:
= pQ CT
RMG = CMG
CT
p =0
Q
CT
p=
Q
p = CMG
Se p < CMG occorre tornare indietro, produrre di meno, perch si sta producendo
troppo nel senso che le quantit in eccesso costano pi di quanto renderanno
all'atto della vendita.
Esempio algebrico: CT = r K + w Q2
poniamo: p = 16 w =2 r K = 20
RT CT
= =0
Q Q Q
CT
p =0
Q
CT
p=
Q
16 = 4 Q Q=4
A
p0
Q0 Q1 Q2 Q
72
p,
CM,
CMG
CMG
C CM
A E D
p0
QA Q* QB Q
Q* (P = CMG) punto E
73
p,
CM,
CMG
CMG
CM
E
p0
A F
O Q* Q
Sapendo che CM = CT/Q allora CT = CMQ e quindi possiamo dire che il costo
totale corrisponde al rettangolo OQ*FA.
CT = r K0 + w Q2 p0 = 16 w=2 r K = 20
Quindi RT = p0Q = 16 * 4 = 64
CT = 20 + 2 (4)2 = 52
= 64 52 =12
p,
CM,
CMG
CMG
CM
A E
p0
F
O Q* Q
Ma oltre all'uscita dal mercato delle imprese inefficienti, pu anche accadere che
si verifichi l'ingresso nel mercato di nuove imprese. Ci accade soprattutto quando
le imprese gi presenti sul mercato realizzano profitti positivi.
Il fatto che le imprese operanti sul mercato stiano realizzando profitti positivi,
stimola l'ingresso di nuovi concorrenti.
p,
CM,
CMG
CMG
CM
p'
p''
E
p0
O Q* Q
RT = CT = OQEP0 e quindi =0
p,
CM,
CMG
CMG
CM
p0
p1
p2
O Q2 Q1 Q0 Q
76
Si vede che se il prezzo diminuisce (p2 < p1 < p0), la quantit prodotta ed offerta si
riduce (Q2 > Q1 > Q0). Viceversa quando il prezzo aumenta, la quantit prodotta
ed offerta aumenta.
p offerta
dell'impresa
CM
p p p
CMG1 CMG2
offerta di
mercato
Q Q Q
Impresa 1 Impresa 2 ecc.
Dalla teoria della scelta del consumatore sappiamo che la domanda di questo
tipo:
p
Qd = a - b p
ossia
se il prezzo aumenta, la quantit domandata diminuisce,
D
se il prezzo diminuisce, la quantit domandata aumenta.
Q
Dalla teoria dell'impresa sappiamo che l'offerta di questo
tipo:
p
s
Q =c+dp S
ossia
se il prezzo aumenta, la quantit offerta aumenta,
se il prezzo diminuisce, la quantit offerta diminuisce.
Q
78
L'equilibrio di mercato :
p
S
P'
E
p*
D' Q* S'
Q
Algebricamente:
Qd = a b p
Qd = c + d p
abp=c+dp
ac=bp+dp
(b + d) p = a c
a c
p=
b+ d
79
a c
Q=c+dp=c+d( )
b+ d
a c
Qd = Qs = c + d p = c + d ( )
b+ d
Quando si vuole conoscere la sensibilit della domanda alle variazioni del prezzo
si adopera il concetto di elasticit.
L'elasticit della domanda rispetto al prezzo indica la variazione percentuale della
quantit domandata conseguente ad una variazione dell'1% del prezzo.
Q
Q Q p Q p
D = = =
p Q p p Q
p
Q
ricordando che ovviamente < 0 in quanto la domanda normalmente una
p
funzione decrescente del prezzo. Quindi:
Q p Q p
D = che in termini di derivate diventa D =
p Q p Q
p p p
0 < D < -
D = -
D = 0
Q Q Q
Esercizio:
Qd = Qs
90 2 p = (3/2) p + 20
90 20 = (3/2) p + 2p
(7/2) p = 70
p = (2/7) 70 = 20
Q = 90 2 p = 90 2 (20) = 50
Disegniamo:
Qd = 90 2 p
per p=0 Qd = 90
per Qd = 0 p = 45
81
Qs = (3/2) p + 20
per p = 0 Qs = 20
per Qs = 0 p = - 40/3
p
45 A
surplus del consumatore
B
20
C
D
20
50 90 Q
-40/3
Q p p 20 4
D = = -2 = - 2 =
p Q Q 50 5
82
RT CT
RMG = CMG ovvero =
Q Q
12 A
B
11
5 6
Q
p p
RMG = p + Q (con < 0)
Q Q
RT = pQ
RT = p(Q)Q
RT
RMG = dove RT = p(Q)Q
Q
RT p RT
RMG = = Q+p con ( < 0)
Q Q Q
Quindi, possiamo dire che la quantit ottima che il monopolista deve produrre ed
offrire sul mercato deve soddisfare la seguente equazione:
p CT
RMG = CMG Q+p=
Q Q
Vediamo un esempio.
p = 50 ()Q
85
RMG = 50 Q
CMG = 4Q
la condizione di ottimo :
RMG = CMG
50 Q = 4Q Q = 50/5 = 10
Noi ipotizziamo che esiste una relazione tra CMG e PMGL, nel senso che:
w
CMG =
PMG L
RMG = CMG
p w
Q + p = PMG L
Q
p Q w
p1+ = PMG L
Q p
Q p
D =
p Q
1 w
p1+ =
D PMG L
da cui si ricava:
1 w
p=
1 PMG L
1+
D
1
il termine rappresenta il mark-up sul costo unitario di produzione e il
1
1+
D
w
temine il costo unitario di produzione (in realt, come si detto prima,
PMG L
sarebbe uguale al costo marginale ma con rendimenti costanti di scala le due
configurazioni di costo tendono a coincidere, ci ammissibile in considerazione
del fatto che le imprese monopoliste sono generalmente imprese di grosse
dimensioni che sfruttano largamente le economie di scala).
Notiamo inoltre che in monopolio p > CMG cio maggiore del prezzo
concorrenza.
p = 50 (1/2)Q domanda
50
D
RMG
50 100 Q
88
p,
CM,
CMG
H
CMG
B CM
c
p*
p C
F
A
E
D
RMG
O Q* Q
Per tutti questi motivi alcuni neoclassici ritengono che il monopolio danneggi
l'economia e che vada quindi contrastato con opportune leggi anti-trast.
Ma esistono casi nei quali il monopolista pu essere soggetto a fenomeni di
concorrenza da parte di altre imprese? Si. Si parla in tal caso di concorrenza
monopolistica.
p,
CM,
CMG
CMG
CM
E
pE
O QE Q
90
OLIGOPOLIO
Il problema della strategia e del complesso rapporto tra azioni e reazioni diventa
invece fondamentale nel caso in cui il mercato sia caratterizzato da una situazione
di oligopolio, cio di poche grandi imprese.
MEDIASET
conflitto cooperazione
conflitto 2, 2 10, 0
RAI
cooperazione 0, 10 6, 6
La matrice dei pay-offs indica i profitti attesi dalle due aziende a seconda delle
strategie adottate. Ad esempio: se RAI coopera e MEDIASET confligge, RAI
ottiene profitti pari a zero e MEDIASET 10 miliardi. E cos via.
MEDIASET
conflitto cooperazione
conflitto 2, 2 10, 0
RAI
cooperazione 0, 10 6, 6
Abbiamo detto che mentre i classici e Marx facevano partire le loro analisi
direttamente dallo studio del comportamento delle classi sociali, al contrario i
neoclassici fondavano le loro teorie sull'individualismo metodologico. Essi quindi
partivano sempre dallo studio del comportamento del singolo individuo: il singolo
consumatore, il singolo lavoratore, la singola impresa, ecc.
Finora abbiamo fatto esattamente questo: abbiamo infatti visto in che modo il
singolo consumatore punta a massimizzare l'utilit, in che modo la singola
impresa punta a massimizzare il profitto, ecc.
Il fatto per che i neoclassici si concentrino sul comportamento dei singoli non
impedisce di gettare uno sguardo sul funzionamento complessivo dell'intero
sistema economico.
Infatti, vero che i neoclassici partono sempre dalla microeconomia, cio dallo
studio del comportamento dei singoli individui e dalle singole imprese. Ma
anche vero che essi ritengono possibile passare dalla microeconomia alla
macroeconomia, cio allo studio dei grandi aggregati sociali e dell'economia nel
suo complesso.
Il passaggio dal micro al macro per i neoclassici consiste nella sommatoria dei
comportamenti individuali.
1) concorrenza perfetta: i singoli agenti (le imprese, lavoratori, etc. ...) sono
troppo piccoli e troppo numerosi per avere un potere di mercato.
2) Consideriamo l'economia di una nazione autarchica, cio chiusa agli
scambi con l'estero.
3) Si produce un solo bene (es. grano).
4) Breve periodo (il capitale fisso).
Definiamo:
Y produzione nazionale
P prezzo della merce prodotta
w salario monetario dei lavoratori
N numero dei lavoratori occupati
Da notare che w/p indica il salario reale dei lavoratori, cio il potere d'acquisto del
salario. Es. se il salario mensile w = 1000 e se il prezzo di un kg di grano
P=10 allora i lavoratori ogni mese possono comprare w/P = 1000/10 = 100 kg di
grano.
94
Y PMGL
Y = Y(N)
32 10
31
28
PMGL
24 8
18
6
10 4
3
1
1 2 3 4 5 6 N 1 2 3 4 5 6 N
P = CMG
w
P= PPMGL= w
PMG L
da cui:
w
PMGL =
P
95
Dunque, nel grafico che esprime la PMGL possiamo fissare un ipotetico w/P dato
esogenamente dal mercato:
w/P, PMGL
PMGL0
PMGL1= w/P
PMGL2 PMGL
N0 N1 N2 N
Quale sar il numero di lavoratori che l'impresa domander? chiaro che sar N1.
ND = PMGL
96
Y = (w/P)N
w/P
N* N
L'ipotesi che abbiamo a che fare con un bene (la produzione Y) e con un male
(la fatica derivante dal lavoro N). Dunque lo scopo dei lavoratori di
massimizzare l'utilit situandosi pu in alto a sinistra. Sullo stesso grafico
tracciamo pure la retta del vincolo di bilancio dei lavoratori. chiaro che questi
potranno acquistare un ammontare di beni Y che dipende dalla quantit di lavoro
N erogato e dal salario w/P secondo l'equazione:
Per ogni vincolo di bilancio (per ogni w/P), i lavoratori possono determinare la
quantit di lavoro (N*) che massimizza la loro utilit, cio si collocano sulla curva
di indifferenza pi alta possibile (quella tangente al vincolo di bilancio).
Vediamo ora cosa accade se si verifica un aumento del salario reale w/P (che
sempre determinato in modo esogeno dal mercato: i lavoratori non hanno potere
di mercato, anche loro sono price-taker).
Y
Y = (w/P)1N
Y = (w/P)0N
(w/P)1
(w/P)0
N0 N1 N
w/P
Ns
(w/P)1
(w/P)0
N0 N1 N
98
w/P
NS
E
(w/P)*
ND
N* N
(w/P)0 NS > ND
w/P
NS
A B
(w/P)0
E
(w/P)*
ND
ND0 N* N S0 N
Restano per dei disoccupati volontari, che al salario vigente non sono disposti a
lavorare ma che si renderebbero disponibili ad un salario maggiore (si tratta del
segmento NS0-N*).
w/P
NS
E
(w/P)*
ND
N* N
Y = Y(N)
Y*
N* N
102
Una volta determinato l'equilibrio sul mercato del lavoro, noto il numero dei
lavoratori occupati N*. Noto il numero degli occupati, in base alla funzione di
produzione Y=Y(N) si pu determinare il livello di produzione Y* di equilibrio.
reddito Y
IMPRESE FAMIGLIE
produzione
Y
spesa di tutto il reddito
Ora, se le famiglie dei lavoratori e dei capitalisti spendessero tutto il loro reddito
per l'acquisto di beni di consumo, non vi sarebbe alcun problema.
Ma nella realt le famiglie spendono per consumi (C) solo una parte del reddito,
mentre un'altra parte la risparmiano (S)!!!
103
Dunque poich una parte del reddito nazionale viene risparmiata, a quanto pare
una parte della produzione rester invenduta. Infatti, visto che produzione e
reddito sono equivalenti la produzione sar interamente acquistata se tutto il
reddito viene speso!
produzione = domanda
Y=C+I
C+S=C+I
S=I
S
0
A B
i
E
i*
I0 I*=S* S0 S, I
Dunque cos come il salario reale w/P garantisce l'equilibrio tra domanda e offerta
di lavoro, cos il tasso di interesse i garantisce l'equilibrio tra risparmi S e
investimenti I (ossia, C+S = C+I e Y = C+I).
Un esempio in questo senso dato dalla teoria neoclassica della moneta, detta
Teoria Quantitativa (Irving Fisher, 1911).
Y produzione.
Definiamo quindi:
MV = PY
il che al momento una mera tautologia, cio una ovviet. chiaro infatti che a
fronte del totale della moneta MV scambiata corrisponder il valore della
produzione PY scambiata (che coincide con il totale della moneta domandata).
PY = MV
V
P= M
Y
NS = NS (w/P)
ND = ND(w/P)
NS = ND
Y = Y(NS)
S = S(i)
I = I(i)
S=I
MV = PY
w = (w/P)P
107
Esempio:
NS = 60 + (w/P)
ND = 120 2 (w/P)
NS = ND
Y = (NS)1/2
S=2+i
I = 11 2 i
S=I
45 2 = PY
w = (w/P)P
3 (w/P) = 120 60
w/P = 60/3 = 20
NS = 60 + 20 = 80
Y = (80)1/2 = 80 9
S=I=2+3=5
PY = 452 = 90 P9 = 90 P = 90 / 9 = 10
w = (w/P)P = 20 * 10 = 200
108
I'
S, I
Per i neoclassici non c' problema. Il movimento del tasso di interesse metter in
equilibrio il sistema. Infatti il tasso di interesse si ridurr portando in equilibrio il
risparmi e investimenti. Alla riduzione dei risparmi corrisponder subito un
aumento dei consumi che compenser la riduzione degli investimenti.
109
con l'aumento dei risparmi delle famiglie (la curva dei risparmi S ora si sposta
verso destra) si ridurrebbe il tasso di interesse e quindi aumenterebbero gli
investimenti.
i
S
S'
I'
S, I
110
IV
DISPENSE INTEGRATIVE
DEL MANUALE DI BLANCHARD
Nei primi tre capitoli del libro di Blanchard avete studiato il modello di
determinazione della produzione di equilibrio, in funzione del livello della
domanda di merci. Blanchard ritiene che questo modello valga solo nel breve
periodo, e sotto condizioni piuttosto restrittive. Noi pensiamo invece che tale
modello abbia una valenza esplicativa pi vasta, e quindi riteniamo opportuno
approfondirne qui le caratteristiche.
Z C I G
C c0 c1 (Y T )
Y Z
Ricordiamo che il termine Y sta ad indicare sia il livello della produzione di merci
realizzata, sia il reddito distribuito. Produzione e reddito infatti sono sempre
equivalenti, dal momento che il valore della produzione venduta finisce
interamente, sotto forma di reddito, nelle mani dei capitalisti e dei lavoratori che
111
Y C I G
Y c0 c1 (Y T ) I G
Y c1Y c0 I G c1T
(1 c1 )Y c0 I G c1T
1
(1) Y (c0 I G c1T )
1 c1
che appunto lequazione di equilibrio sul mercato dei beni, vale a dire
dellequilibrio tra produzione e domanda. Il termine tra parentesi detto spesa
autonoma (poich include le componenti della spesa dette autonome, nel senso
che non dipendono dal reddito), mentre il termine 1/1-c1 detto moltiplicatore
della spesa autonoma. Conoscendo i livelli delle variabili esogene che concorrono
a determinare la domanda di merci (cio I, G, T, c0 e c1), questa equazione
consente di determinare il livello di equilibrio della produzione Y.
1
(2) Y (c0 I G c1T )
1 c1
112
Chiaramente pu ben darsi che tra le variabili che compongono la domanda solo
una si modifichi mentre le altre rimangono costanti. Supponiamo ad esempio che
si verifichi una crisi di fiducia da parte delle imprese sulle loro aspettative di
profitto. Gli imprenditori risultano cio sfiduciati sullandamento futuro
delleconomia, temono che venderanno poco e quindi ritengono che riusciranno a
conseguire ben pochi profitti. In tal caso essi non avranno alcuna intenzione di
espandere la loro attivit, e quindi decideranno di ridurre gli investimenti (cio
decideranno di ridurre la domanda di nuovi macchinari e impianti).1 Ci significa
che gli investimenti si riducono (quindi I<0), mentre c0, G e T per ipotesi restano
costanti (e quindi c0 = G = T = 0). Lequazione (2) allora diventa:
1
Y I
1 c1
1
E sempre importante distinguere tra investimenti produttivi e investimenti finanziari. Nel
linguaggio corrente quando si parla genericamente di investimenti di solito ci si riferisce agli
investimenti finanziari, cio allacquisto di titoli da parte dei risparmiatori. Invece, salvo
specificazioni, quando parlano di investimenti gli economisti si riferiscono agli investimenti
produttivi, cio agli acquisti di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle imprese. In
questo caso stiamo dunque parlando di investimenti produttivi delle imprese.
2
Le componenti autonome della domanda c0, I, G, T sono espresse in miliardi di euro. La
propensione al consumo c1 indica invece la quota del reddito Y che viene consumata, e quindi pu
essere espressa come una frazione (ad esempio c1=0,5=1/2 significa che i cittadini del paese
esaminato tendono a consumare il 50% del loro reddito e a risparmiare il restante 50%).
113
c0 50
I 200
G 100
T 100
c1 0,5 1 / 2
1
Y (50 200 100 (1 / 2)100)
1 1/ 2
Y 2 (300)
Y 600
ESEMPIO N.2: la crisi di fiducia. Supponiamo ora che si verifichi una crisi di
fiducia sulle prospettive di profitto, e quindi che gli investimenti delle imprese si
riducano. Ipotizziamo ad esempio che adesso I = 150. Ci significa che, rispetto al
valore precedente, gli investimenti si sono ridotti di 50 miliardi. Possiamo dunque
usare lequazione (1) per calcolare il nuovo livello della produzione, tenendo
conto del nuovo livello di I. Avremo:
1
Y (50 150 100 (1 / 2)100)
1 1/ 2
Y 2 (250)
Y 500
La produzione adesso pari a 500 miliardi, rispetto ai 600 realizzati prima della
crisi. Alternativamente possiamo anche calcolare direttamente la variazione Y,
senza bisogno di calcolare i livelli. Sapendo che gli investimenti si sono ridotti di
I = 50, mentre per ipotesi c0 = G = T = 0, sostituendo questi valori nella
equazione (2) otteniamo:
1
Y (50)
1 1/ 2
Y 2 (50)
Y 100
114
Questa visione stata fortemente criticata da John Maynard Keynes, autore della
Teoria generale del 1936. Keynes, che scriveva in unepoca di grave crisi
economica mondiale, sostenne che il tentativo di risollevare leconomia riducendo
i consumi per aumentare i risparmi avrebbe soltanto peggiorato la situazione
economica. In particolare, Keynes mise in luce lesistenza di un paradosso del
risparmio, che andava contro i luoghi comuni dei teorici dellastinenza: il
paradosso infatti evidenzia che se si riducono i consumi la produzione non
aumenta ma si riduce, ed inoltre i risparmi non aumentano ma restano invariati.
1
(1) Y (c0 I G c1T )
1 c1
S Y T C
116
S Y T c0 c1 (Y T )
S c 0 (1 c1 )(Y T )
La riduzione del consumo autonomo produce dunque due effetti contrastanti sul
risparmio: uno diretto che positivo, e laltro mediato dalla domanda e dal reddito
che invece negativo. Ma quale dei due effetti tende a prevalere? Alla fine si
dimostra che i due effetti si elidono a vicenda, e quindi il risparmio non subisce
alcun mutamento in seguito alla riduzione del consumo autonomo. Infatti,
partendo dalla equazione dellequilibrio tra produzione e spesa:
Y C I G
Y T C I G T
S I G T
ESEMPIO N.3: il paradosso del risparmio. Il fatto che la riduzione del consumo
autonomo non riesca a risollevare leconomia, ma provochi al contrario un calo di
produzione e lasci pure del tutto invariato il risparmio, pu essere verificato
tramite un esempio numerico. Supponiamo che, dopo la crisi di fiducia e la caduta
degli investimenti, si cerchi di risollevare leconomia tramite una riduzione di c0
da 50 a 40 miliardi. I dati dunque sono:
c0 40
I 150
G 100
T 100
c1 0,5 1 / 2
1
Y (40 150 100 (1 / 2)100)
1 1/ 2
Y 2 (240)
Y 480
S c 0 (1 c1 )(Y T )
calcoliamo innanzitutto il livello del risparmio prima della riduzione del consumo
autonomo, cio con c0 = 50 e Y = 500:
Come si vede, la riduzione del consumo autonomo non ha provocato alcun effetto
sul risparmio, visto che il calo di c0 perfettamente compensato dal calo di
domanda e quindi di Y. Il paradosso dunque confermato. Per uscire dalla crisi
occorre cercare altre strade. Ad esempio, come vedremo, la politica espansiva.
118
ESEMPIO N.4: una politica di espansione della spesa pubblica. E chiaro che la
crisi di fiducia, e la conseguente riduzione della domanda e della produzione,
avranno scatenato unondata di licenziamenti, e avranno quindi accresciuto la
disoccupazione. In tal caso le autorit politiche potrebbero cercare di effettuare
politiche espansive, al fine di aumentare la domanda di merci ed uscire cos dalla
crisi. Supponiamo ad esempio che le autorit di governo decidano di aumentare la
spesa pubblica. Ad esempio, possiamo assumere che la spesa pubblica diventi G =
150, ossia aumenti di G = 50 rispetto al suo valore iniziale di 100. Dunque ora
abbiamo:
c0 50
I 150
G 150
T 100
c1 0,5 1 / 2
1
Y (50 150 150 (1 / 2)100)
1 1/ 2
Y 2 (300)
Y 600
1
Y (50)
1 1/ 2
Y 2 (50)
Y 100
Si noti che il moltiplicatore, rappresentato dal termine 1/1-c1, genera effetti tanto
pi intensi quanto maggiore la propensione al consumo. Ad esempio, se c1
aumenta da 1/2 a 2/3 il motiplicatore 1/1-c1 aumenta da 2 a 3 e quindi tende ad
accentuare la variazione iniziale della spesa autonoma. La spiegazione semplice:
se i lavoratori hanno una forte propensione a consumare, allora nel momento in
cui vengono assunti e retribuiti tratterranno poco reddito per fini di risparmio e
tenderanno a spenderne molto per consumi. Ci significa che solo una piccola
parte del reddito rester giacente nei portafogli, mentre la maggior parte verr
rimessa nel circuito economico, il che dar luogo ad un elevato effetto
moltiplicativo sulla domanda e sulla produzione.
ESEMPIO N.5: una politica di riduzione della tassazione. In effetti, per stimolare
la domanda di merci e uscire cos dalla crisi, il governo potrebbe anche ridurre le
tasse anzich aumentare la spesa pubblica. Le tasse sono fondamentali per
finanziare lamministrazione dello Stato e i servizi essenziali come lordine
pubblico, la sanit, listruzione, ecc. Al tempo stesso per esse sottraggono
reddito ai singoli cittadini, e quindi tendono a deprimere le loro spese per consumi
privati. Abbattendo la tassazione, il governo pu quindi lasciare ai privati una
maggiore disponibilit di reddito, e permette ad essi di accrescere la domanda di
merci. In sostituzione di G = 50, il governo pu dunque decidere di ridurre le
120
1
Y (c0 I G c1T )
1 c1
otteniamo che:
1
Y (0 0 0 (1 / 2)(50))
1 1/ 2
Y 2 (25)
Y 50
1
Y (c0 I G c1T )
1 c1
A prima vista si potrebbe pensare che questo tipo di politica non provochi alcun
effetto sul livello di equilibrio della produzione Y. Si pu infatti presumere che
lespansione della domanda di merci causata dallaumento di G venga
perfettamente neutralizzata dalla riduzione della domanda causata dal pari
aumento di T. In realt, contrariamente alle apparenze, il teorema di Haavelmo
dimostra che la politica basata sul bilancio in pareggio (cio su G = T) d
luogo a un incremento di Y.
Per dimostrare questo teorema partiamo dalla equazione (2), che ci dice di quanto
varia Y al variare delle componenti autonome della domanda, cio nel nostro caso
al variare di G e di T:
1
Y (c0 I G c1T )
1 c1
1
Y (G c1T )
1 c1
122
Ma noi sappiamo pure che, per ipotesi, il governo sta effettuando una politica di
bilancio in pareggio, per cui G = T. Possiamo quindi sostituire il termine T
con G e ottenere:
1
Y (G c1G )
1 c1
1
Y (1 c1 ) G
1 c1
(1 c1 )
Y G
1 c1
Y G
E possibile tuttavia che un governo possa essere spinto ad effettuare delle spese
in disavanzo (detto anche deficit). Dallequazione (3) noi sappiamo che il deficit
pubblico si viene a creare quando la spesa pubblica eccede le entrate fiscali. Ci
sono varie ragioni per cui questo eccesso di spesa pu venirsi a creare. In primo
123
G T B M
Fino alla seconda met degli anni 70, era prassi abbastanza consolidata favorire
lespansione della spesa pubblica al di l delle entrate fiscali attraverso laumento
del debito e la creazione di moneta. Questo orientamento ha indubbiamente dato
luogo a unespansione dellapparato burocratico dello Stato. Daltro canto esso ha
pure consentito ai governi di finanziare politiche di espansione della spesa
pubblica per accrescere la domanda e quindi la produzione e loccupazione.
Inoltre, la medesima impostazione ha favorito lo sviluppo del cosiddetto stato
sociale, vale a dire dellistruzione e della sanit pubblica garantita a tutti i
cittadini, e dei sistemi di previdenza e di assistenza sociale per i meno abbienti.
Tuttavia a partire dagli anni 80 si imposto un diverso orientamento, talvolta
definito liberista, teso ad impedire le politiche espansive e a contrastare la
crescita del bilancio statale attraverso lintroduzione di rigidi vincoli allaumento
del debito pubblico e della massa monetaria.
Il Trattato di Maastricht del 1991, che ha dato avvio al progetto della moneta
unica europea, stato fortemente ispirato da questa impostazione liberista. Infatti,
tra le altre cose, ai paesi membri dellUnione monetaria europea il Trattato
impone i seguenti divieti: 1) il divieto per la Banca centrale europea di finanziare
i deficit pubblici tramite creazione di moneta, un divieto che pu essere
facilmente espresso in termini algebrici nel seguente modo:
124
M 0
G T B
G T B
Y Y
G T B
0,03 (ossia 3%)
Y Y
ESEMPIO N.6: verifica del rispetto o meno del vincolo del 3% del Trattato di
Maastricht. Se prendiamo i dati del terzo esempio precedente - nel quale si
cercava di rimediare a una crisi di fiducia tramite la spesa pubblica si pu
verificare se quella situazione rispetti o meno il vincolo del Trattato. Sapendo che
G = 150, che T = 100 e che il livello di equilibrio della produzione Y = 600,
otteniamo:
G T 150 100
0,083 8,3%
Y 600
Fino a questo momento abbiamo assunto che, a seguito di una crisi di fiducia e di
una conseguente caduta degli investimenti delle imprese, il governo intervenga
attraverso una politica di espansione della spesa pubblica e/o di riduzione delle
tasse. Tuttavia anche possibile che in una situazione del genere intervenga la
banca centrale al posto del governo (o al limite in concerto con esso). Ad
esempio, in Europa la Banca centrale europea (BCE) potrebbe esser chiamata a un
intervento per contrastare la crisi, negli Stati Uniti questo compito spetta alla
Federal Reserve (FED), ecc.
Quando c una crisi la banca centrale interviene con una politica monetaria
espansiva, cio con un aumento della quantit di moneta M in circolazione. La
banca centrale pu decidere di aumentare M al fine di ridurre il tasso dinteresse.
La riduzione dei tassi dinteresse rappresenta infatti una riduzione del costo dei
prestiti e pu quindi stimolare le imprese a chiedere finanziamenti alle banche per
riattivare gli investimenti, e con essi la domanda di merci e quindi la produzione e
loccupazione.
Assumiamo ora che i titoli sul mercato siano a reddito fisso. Un caso tipico di
titoli a reddito fisso sono i titoli di Stato, emessi dai governi per farsi prestare
denaro dai privati (per esempio in Italia abbiamo i BOT). Un titolo a reddito fisso
definito cos poich alla scadenza di fine anno chi lo ha emesso tenuto a
pagare sempre la stessa somma al proprietario del titolo, ad esempio 100 euro.
Dunque il tasso dinteresse su questo titolo sar dato dalla differenza tra
rendimento e costo del titolo, cio sar dato dalla cedola di 100 euro che il
proprietario ottiene alla scadenza di fine anno, meno il prezzo al quale il
proprietario ha acquistato il titolo, il tutto diviso per il medesimo prezzo:
100 PT
i
PT
100
i 1
PT
La formula chiarisce la relazione inversa tra prezzo del titolo e tasso dinteresse:
una operazione di mercato aperto basata su una maggiore offerta di moneta e su
una maggiore domanda di titoli da parte della banca centrale, far aumentare il
prezzo di mercato PT del titolo e quindi (visto che il denominatore della frazione
127
aumenta) far diminuire il tasso dinteresse i. Il che del resto ovvio: loperazione
espansiva della banca centrale fa aumentare il prezzo di mercato del titolo, ma al
tempo stesso il rendimento assoluto che il titolo garantisce rimasto fisso a 100
euro. Pertanto, dopo loperazione della banca centrale accade che chi compra il
titolo sul mercato lo paga di pi, ma alla fine ottiene sempre la stessa somma di
cento euro. Pertanto chiaro che il tasso dinteresse cio il rendimento
percentuale del titolo rispetto al prezzo - si riduce.
Tuttavia, cos come accadeva per le manovre sulla spesa pubblica e sulla
tassazione, anche la politica monetaria risulta oggigiorno fortemente vincolata. Il
Trattato di Maastricht, infatti, non solo vieta alla Banca centrale europea di
finanziare i deficit pubblici con moneta, ma pi in generale le impone di
perseguire politiche fortemente restrittive, al fine di contenere il pi possibile
linflazione. Il risultato che la Bce difficilmente potr decidere di espandere la
moneta in circolazione al fine di ridurre i tassi dinteresse per dare sostegno alla
domanda e alla produzione. Anche per questo motivo il Trattato di Maastricht
oggetto di numerose critiche.
Gli speculatori cercano dunque di prevedere landamento futuro dei prezzi dei
titoli, in modo da poter lucrare su di essi. A seconda che prevedano rialzi o cadute
dei prezzi, essi si dividono in rialzisti (detti anche tori) e ribassisti (detti orsi).
Qui di seguito sono riportati due esempi di strategie speculative, rispettivamente
dei rialzisti e dei ribassisti:
1) Mi faccio prestare 100 al tasso del 10% 1) Mi faccio prestare 50 titoli al tasso del 10%
(quindi dovr restituire 110) (quindi dovr restituire i titoli pi il 10% del
2) Compro 50 titoli al prezzo corrente PT=2 loro
3) Attendo che il prezzo dei titoli aumenti valore corrente)
4) Rivendo i 50 titoli al nuovo prezzo PT=3 2) Vendo i 50 titoli al prezzo corrente PT=3
5) Dalla vendita ricavo 150 ed ottengo quindi 150
6) Restituisco i 110 dovuti al prestatore 3) Attendo che il prezzo dei titoli diminuisca
7) Ed ottengo dunque 150 110 = 40 4) Ricompro i 50 titoli al nuovo prezzo PT=2
di guadagno speculativo netto. spendendo quindi 100 per lacquisto
5) Restituisco i titoli al proprietario e pago
anche un
interesse di 15 (cio il 10% dei 150 che
valevano allinizio)
6) Alla fine mi restano 150 100 - 15 = 35
di guadagno speculativo netto
ESEMPIO N.7: speculazioni errate. Si calcoli il risultato netto del rialzista nel
caso in cui il nuovo prezzo di mercato del titolo sia PT = 1 anzich PT = 3. Si
calcoli poi il risultato netto del ribassista nel caso in cui il prezzo di mercato del
titolo rimanga al livello iniziale PT = 3 anzich diminuire a PT = 2. Si
129
Et
1 it (1 it* )
Ete1
Ora, chiaro che finch la parte sinistra risulta inferiore alla parte destra
dellequazione, allora conviene spostare i capitali allestero per acquistare titoli
stranieri, che rendono di pi. Viceversa, nel caso in cui la parte sinistra sia
maggiore, conviene tenere i capitali in patria. Si comprende pertanto che se la
banca centrale vuole evitare fughe di capitali allestero, dovr sempre fissare
un tasso dinteresse interno in grado di rispettare la condizione di parit
scoperta, dati ovviamente il tasso prevalente allestero e il tasso di cambio atteso.
ESEMPIO N.8: il tasso minimo per evitare fughe di capitale. Assumendo che il
tasso di cambio corrente sia dato da Et = 1,08$/1, che il tasso di cambio atteso
sia Et+1 = 1$/1, e che il tasso dinteresse sui titoli USA sia i* = 0,1 (ossia il
10%), calcoliamo il tasso dinteresse i che la Banca centrale europea dovr fissare
per evitare fughe di capitale allestero:
3
Attenzione: qui si fa lipotesi che il tasso di cambio nominale E sia definito in termini del prezzo
della moneta nazionale in termini di moneta estera, dove per nazionale intendiamo lItalia e pi
in generale lEuropa, mentre per estero intendiamo prevalentemente gli Stati Uniti. Cio, dal
punto di vista di noi italiani (ed europei), definiamo il cambio come prezzo di un euro in termini di
dollari. Ad esempio, potremmo avere che E = 1,20$/1. Le versioni pi recenti del manuale di
Blanchard usano esattamente questa convenzione. Se invece si usa la definizione alternativa del
cambio, come prezzo della moneta estera in termini di moneta nazionale, oppure se per
nazionale si intendono gli USA (come accadeva nelle prime versioni del manuale di Blanchard
tradotte in italiano), allora la formula della condizione di parit va invertita.
131
1,08
1 it (1 0,1)
1
1 it 1,188
I vincoli alla politica monetaria espansiva causati dal pericolo di fughe di capitale
hanno assunto negli anni 90 un rilievo drammatico, a seguito del ripetersi di crisi
valutarie ed economiche in Europa, in Asia e in America Latina. Sono state
pertanto avanzate delle proposte per tentare di dare maggiore libert di manovra
alla politica monetaria dei singoli paesi. In particolare, stata suggerita la
reintroduzione di limiti, pi o meno stringenti, alla circolazione dei capitali nel
mondo. Una ben nota proposta in tal senso la cosiddetta Tobin tax (dal nome
del suo ideatore, il premio Nobel per leconomia James Tobin), unimposta su
tutti gli scambi tra valute finalizzata a rendere costosi, e quindi a disincentivare,
gli spostamenti di capitale da un paese allaltro.
ESEMPIO N.9: la Tobin tax agevola la riduzione del tasso dinteresse interno.
Supponiamo che lEuropa stia attraversando una fase di crisi e quindi di
132
Et
1 it (1 it* ) (1 t ) t
Ete1
Adesso inseriamo nella nuova condizione di parit i valori assunti dalle variabili.
Immaginiamo in primo luogo che laliquota della Tobin tax venga fissata dalle
autorit al livello t = 0,01 = 1%. Inseriamo inoltre i valori dellesercizio
precedente relativi al tasso dinteresse americano (i* = 0,1) e ai cambi corrente e
atteso (rispettivamente Et = 1,08 ed Et+1 = 1). Lunica incognita rimasta il tasso
dinteresse interno it, che rappresenta il tasso minimo necessario ad evitare le
fughe di capitale allestero. Sostituendo le cifre alle variabili otteniamo:
1,08
1 it (1 0,1) (1 0,01) 0,01
1
1 it 1,166
E facile a questo punto verificare che, grazie allintroduzione della Tobin tax, il
tasso interno necessario ad evitare le fughe di capitale si ridotto, essendo
diventato it = 0,166 = 16,6%. Dunque unimposta dell1% sul valore di tutti gli
scambi di euro contro dollari e viceversa, render costosi gli spostamenti di
133
(1 it )
t 1
E
(1 it* ) et
Et 1
Prendendo i dati del nostro esempio, e ponendo it = it* = 10%, si scopre che per
mantenere i due tassi dinteresse al medesimo livello nonostante la svalutazione
attesa delleuro, laliquota della Tobin tax dovrebbe essere pari a t = 0,075 =
7,5%.
Tra le ragioni per cui gli economisti critici ritengono che gli spostamenti di
capitali andrebbero fortemente vincolati o addirittura vietati, vi il fatto che tali
spostamenti non solo creano problemi alla politica monetaria, ma di fatto
determinano effetti ben pi gravi sullintera economia mondiale. Infatti, se i
capitali possono scorazzare liberamente da un paese allaltro, chiaro che essi si
muoveranno verso le nazioni che offrono loro i massimi vantaggi economici. Ed
chiaro che i vantaggi economici potranno essere di varia natura. In condizioni di
libera circolazione dei capitali, infatti, i vari paesi non si limitano semplicemente a
tenere i tassi dinteresse alti in modo da evitare fughe di capitale, ma si faranno
134
concorrenza tra loro su molti altri piani, e soprattutto sulla disciplina fiscale,
finanziaria e del lavoro, in modo da attirare la massima quantit di capitale. I
governi dei vari paesi ad esempio ridurranno le spese sociali in modo da ridurre la
tassazione, adotteranno aliquote fiscali particolarmente basse sui possessori di
capitale, garantiranno il segreto bancario a tutela dei grandi capitali, introdurranno
norme di sicurezza sul lavoro pi blande in modo da ridurre i costi per le imprese,
imporranno forti vincoli al diritto di sciopero e alle organizzazioni sindacali in
modo da contenere le rivendicazioni salariali, eccetera, e tutto questo per indurre i
proprietari del capitale a investire dalle loro parti. Tutti questi provvedimenti
ovviamente faranno aumentare i tassi dinteresse e pi in generale i margini di
profitto a livello globale, mentre probabilmente comporteranno una riduzione dei
salari e delle spese sociali. Insomma, secondo gli economisti critici la libert di
movimento dei capitali induce i vari paesi ad adottare politiche orientate a
favore dei proprietari di capitale, e spesso a detrimento degli interessi dei
lavoratori. Anche per questo alcuni hanno sostenuto che la globalizzazione dei
mercati ha determinato una specie di dittatura del capitale finanziario, poich gli
interessi del capitale incidono pi fortemente che in passato sulle decisioni
politiche. In questottica, dunque, i controlli sui movimenti di capitale vengono
incoraggiati anche allo scopo di ridimensionare linfluenza sulle decisioni di
governo esercitata in questi anni dalle lobbies finanziarie.