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L’attuale dibattito culturale e politico sul biotestamento, pur non riguardando direttamente l’eutanasia, è fortemente influenzato dai riferimenti a questo tema e le riflessioni sul fine vita rischiano di appiattirsi su posizioni dettate dall’emotività e fortemente condizionate dal clamore mediatico suscitato da vicende come quella di dj Fabo e Davide Trentini. Tuttavia la rivendicazione del diritto a essere liberati da una vita ormai “insopportabile”, nel rispetto della volontà della persona, era già promossa da Binding e Hoche negli anni venti, fu fatta propria dagli ambienti maggiormente progressisti della Repubblica di Weimar e, in seguito, fu rielaborata con ferocia inaudita dal nazismo. Le sottostanti sensibilità e i discorsi di cittadini e tecnici sull’argomento hanno molti punti di contatto con quelli di oggi. Inoltre i recenti casi di Marwa e Charlie in Francia e Inghilterra, così come l’evoluzione dei “protocolli” sull’infanticidio in Olanda, pongono ulteriori interrogativi. Forse val la pena provare ad aprire la riflessione sul fine vita anche a una prospettiva storica, oltre che a una comparazione con contesti a noi vicini.
L’attuale dibattito culturale e politico sul biotestamento, pur non riguardando direttamente l’eutanasia, è fortemente influenzato dai riferimenti a questo tema e le riflessioni sul fine vita rischiano di appiattirsi su posizioni dettate dall’emotività e fortemente condizionate dal clamore mediatico suscitato da vicende come quella di dj Fabo e Davide Trentini. Tuttavia la rivendicazione del diritto a essere liberati da una vita ormai “insopportabile”, nel rispetto della volontà della persona, era già promossa da Binding e Hoche negli anni venti, fu fatta propria dagli ambienti maggiormente progressisti della Repubblica di Weimar e, in seguito, fu rielaborata con ferocia inaudita dal nazismo. Le sottostanti sensibilità e i discorsi di cittadini e tecnici sull’argomento hanno molti punti di contatto con quelli di oggi. Inoltre i recenti casi di Marwa e Charlie in Francia e Inghilterra, così come l’evoluzione dei “protocolli” sull’infanticidio in Olanda, pongono ulteriori interrogativi. Forse val la pena provare ad aprire la riflessione sul fine vita anche a una prospettiva storica, oltre che a una comparazione con contesti a noi vicini.
L’attuale dibattito culturale e politico sul biotestamento, pur non riguardando direttamente l’eutanasia, è fortemente influenzato dai riferimenti a questo tema e le riflessioni sul fine vita rischiano di appiattirsi su posizioni dettate dall’emotività e fortemente condizionate dal clamore mediatico suscitato da vicende come quella di dj Fabo e Davide Trentini. Tuttavia la rivendicazione del diritto a essere liberati da una vita ormai “insopportabile”, nel rispetto della volontà della persona, era già promossa da Binding e Hoche negli anni venti, fu fatta propria dagli ambienti maggiormente progressisti della Repubblica di Weimar e, in seguito, fu rielaborata con ferocia inaudita dal nazismo. Le sottostanti sensibilità e i discorsi di cittadini e tecnici sull’argomento hanno molti punti di contatto con quelli di oggi. Inoltre i recenti casi di Marwa e Charlie in Francia e Inghilterra, così come l’evoluzione dei “protocolli” sull’infanticidio in Olanda, pongono ulteriori interrogativi. Forse val la pena provare ad aprire la riflessione sul fine vita anche a una prospettiva storica, oltre che a una comparazione con contesti a noi vicini.
Dall'eutanasia nazista all'attuale dibattito sul fine vita in Italia.
Genealogie e contiguit. (Dott. Domenico Massano, www.domenicomassano.it, 21/04/2017)
Lattuale dibattito culturale e politico sul biotestamento, pur non riguardando
direttamente leutanasia, fortemente influenzato dai riferimenti a questo tema e le riflessioni sul fine vita rischiano di appiattirsi su posizioni dettate dallemotivit e fortemente condizionate dal clamore mediatico suscitato da vicende come quella di dj Fabo e Davide Trentini. Tuttavia la rivendicazione del diritto a essere liberati da una vita ormai insopportabile, nel rispetto della volont della persona, era gi promossa da Binding e Hoche negli anni venti, fu fatta propria dagli ambienti maggiormente progressisti della Repubblica di Weimar e, in seguito, fu rielaborata con ferocia inaudita dal nazismo. Le sottostanti sensibilit e i discorsi di cittadini e tecnici sullargomento hanno molti punti di contatto con quelli di oggi. Inoltre i recenti casi di Marwa e Charlie in Francia e Inghilterra, cos come levoluzione dei protocolli sullinfanticidio in Olanda, pongono ulteriori interrogativi. Forse val la pena provare ad aprire la riflessione sul fine vita anche a una prospettiva storica, oltre che a una comparazione con contesti a noi vicini.
Recentemente stato pubblicato un testo dello storico Gotz Aly dal
titolo Zavorre (2017). Lautore specifica sin dallinizio largomento e la prospettiva del suo studio: Tra il 1939 e il 1945, circa 200.000 tedeschi furono vittime delle uccisioni per eutanasia. I numerosi responsabili parlavano eufemisticamente di sollievo, interruzione della vita, morte misericordiosa, aiuto a morire o, appunto, di eutanasia. Costoro agivano in parziale segretezza, ma nel bel mezzo della societ. E una prospettiva particolarmente impegnativa giacch sembra voler restituire a unintera societ il fardello di alcuni crimini nazisti, analizzando i meccanismi e le logiche, per certi aspetti ancora attuali, che ne hanno permesso lattuazione. La dedica del libro, scritto nel corso di trentadue anni, alla figlia Karline che: Poco dopo la nascita, nel 1979, contrasse uninfezione da spreptococco, che oggi si previene con un esame di routine. In seguito a unencefalite, Karline sub un grave danno cerebrale. Ogni volta che ha bisogno di qualcosa, ride e piange, mostra gioia e cattivo umore, ama la musica, il buon cibo, ogni tanto un po di birra, e gli ospiti. Ma la sua vita non facile. Subito dopo la sua nascita, Karline mi ha avvicinato al tema delle uccisioni per eutanasia nella storia contemporanea, di cui da allora mi sono continuamente occupato. Nel primo capitolo del testo Un peso tolto dalla coscienza, lautore avvia le sue riflessioni dallanalisi di una domanda: Un medico pu uccidere?, chiedevano i neurologi della Sassonia durante la loro assemblea annuale nel 1922. Lo spunto era offerto dal manifesto La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore, pubblicato poco prima da due prestigiosi eruditi, lo psichiatra friburghese Alfred Hoche e il docente di diritto penale di Lipsia Karl Binding. Uno dei medici sassoni che partecipavano al dibattito, il consigliere sanitario Otto Hsel, fece notare quello che riteneva un singolare controsenso, insito nel fatto che a esprimersi in favore della morte degli idioti fossero le stesse persone che chiedevano labolizione della pena di morte per i criminali. Menzionava cos un nesso che dopo il 1933, e anche nel 1945, fu messo a tacere. In favore dellaiuto a morire, di una morte dignitosa o della dolce morte si dichiararono spesso, negli anni Venti, quei politici impegnati che combattevano contro la pena di morte e il divieto di abortire, che rivendicavano i diritti delle donne, che volevano nobilitare il tab del suicidio con lidea di una morte scelta individualmente, rendere pi facili i divorzi e in generale forme di vita pi libere. Lautore prosegue nella sua analisi evidenziando i limiti di tali discorsi e dei loro sostenitori: Fra il 1939 e il 1945, in nome del governo tedesco fu perpetrata luccisione, definita eutanasia, di circa 200.000 membri di famiglie tedesche. La resistenza rimase nel complesso limitata. L dove esplose la protesta, questa si aliment ben poco dei princip del moderno Stato di diritto o delle idee di un umanesimo secolarizzato, piuttosto si nutr della fede, gi da tempo indebolita, nellimmagine e somiglianza divina di ogni essere umano sia esso storpio, idiota o deficiente, bisognoso di cure o gravemente sofferente. Per quanto riguarda gli esecutori materiali del programma Eutanasia lautore evidenzia come si trattasse, per la quasi totalit, di personale sanitario: Medici, infermiere e infermieri che partecipavano a questo programma non erano necessariamente nazisti convinti e salvo poche eccezioni dopo il 1945 poterono continuare la loro professione come stimati cittadini. Gotz Aly cita allinizio della sua trattazione un testo cui spesso si fa riferimento per identificare natura e significato del programma di eutanasia nazista: Lautorizzazione alluccisione delle vite non degne di vivere. Il testo del 1920 ed opera di un giurista Karl Binding e di un medico, Alfred Hoche. Ripercorrerne alcuni passaggi potrebbe aiutare a valutare la presenza di alcune continuit con il dibattito attuale sul fine vita. Nella prima parte del lavoro, opera di K. Binding, ci si sofferma ampiamente sul diritto a morire da parte di persone che ritengono la propria vita ormai insopportabile: La nostra ricerca iniziale arrivata alla seguente conclusione: al momento attuale solo il suicidio e giuridicamente non vietato. [] Un permesso ulteriore potrebbe essere solo quello relativo alluccisione del prossimo. Esso avrebbe come effetto qualcosa che il permesso suicidio non ha: unautentica limitazione del divieto giuridico di uccidere. Poich la concessione di questo permesso stata recentemente difesa diverse volte, stato coniato per questo movimento, come slogan, lespressione diritto a morire. Questa espressione non designa un vero diritto a morire, ma soltanto una rivendicazione, che si vuole riconosciuta giuridicamente, da parte di una determinata persona ad essere liberata da una vita insopportabile. [] Ogni uccisione non vietata di un terzo deve essere sentita, quantomeno dallinteressato, come una liberazione: altrimenti si tratta di unazione di per s vietata. Da ci si trae una conclusione necessaria incondizionata: il pieno rispetto del volere di tutti, anche dei pi malati, delle persone che soffrono i tormenti pi forti e delle persone che non sono di alcuna utilit. Lordinamento giuridico non pu permettere in nessun caso di procedere come lassassino o lomicida colposo che spezzano con violenza la volont di vita della vittima. Va da s che anche nei confronti del disabile mentale che si sente felice della sua vita non si pu parlare di concedere un permesso di ucciderlo. Il giurista prosegue nella sua trattazione individuando tre categorie di persone (due gruppi principali e uno intermedio), da prendere in considerazione: 1) Abbiamo, innanzitutto, le persone condannate irrimediabilmente in conseguenza di una malattia o di un trauma, che sono nel pieno possesso della ragione e che hanno il pressante desiderio di morire e hanno avuto in qualche modo lapposita di farlo sapere agli altri. [] Non mi sembra necessario che la richiesta di morire sia strettamente legata alla presenza dei dolori insopportabili. Una condizione senza speranza merita egualmente compassione anche se senza dolore. 2) Al secondo gruppo appartengono i deficienti incurabili sia che siano nati cos sia che lo siano diventati, cos come i paralitici nellultimo stadio della loro sofferenza. Essi non hanno n la volont di vivere n di morire. [] 3) Ho parlato di un gruppo di mezzo e di esso fanno parte le personalit sane dal punto di vista mentale che per un qualche evento, come per esempio traumi gravi e senza dubbio mortali, sono diventati incoscienti e che, se un giorno ritorneranno ad essere coscienti, scoprirebbero di trovarsi in una condizione di miseria indicibile. [] Successivamente sono individuati i requisiti minimi per ottenere il permesso di morire: Quindi le persone candidate per avere permesso di morire sono sempre soltanto i malati senza speranza, e alla situazione senza speranza deve accompagnarsi sempre la richiesta della morte, o da presumere che il consenso ci sarebbe se il malato non fosse caduto nel momento critico della perdita di coscienza, o se fosse potuto arrivare a prendere coscienza della sua situazione. Come sopra ricordato, escluso ogni permesso relativo alluccisione che contrasti la volont di vivere della persona da uccidere o dellucciso. Nella parte finale della trattazione lautore declina in alcuni punti le modalit organizzative in cui tradurre operativamente il diritto a morire: Poich lo stato di oggi non pu prendere liniziativa di praticare tale uccisione: 1) liniziativa deve essere rimessa, nella forma di una richiesta di permesso, agli aventi diritto; 2) questa domanda va indirizzata a unautorit statale. Il suo primo compito consiste interamente e solo nellaccertamento delle condizioni del permesso: che sono gli accertamenti relativi alla malattia senza speranza o alla deficienza inguaribile, ed eventualmente quelli relativi alla capacit del malato di esprimere un consenso nel caso che riguarda le persone del primo gruppo. Da ci discende la composizione della commissione: un medico per le malattie fisiche, uno psichiatra un secondo medico con esperienza nella cura delle malattie mentali, e un giurista, con il compito di controllare che i diritti delle persone coinvolte vengano rispettati. 3) nella sua deliberazione il comitato pu solo stabilire che le condizioni del malato sono, considerate le possibilit scientifiche attuali, inguaribili, eventualmente che non ci sono ragioni per dubitare della seriet del suo consenso, e che di conseguenza non c alcuna ragione per impedire luccisione del malato; al richiedente sar data la facolt di liberare il malato dalle sue sofferenze in maniera appropriata. A nessuno pu essere concesso un diritto allomicidio, n tantomeno un dovere di uccidere, neppure al richiedente. La messa in opera deve essere prodotto della compassione per il malato. Il malato che ha chiarito il suo consenso nel momento pi solenne, pu naturalmente sempre pensarci, e far venir meno, successivamente, le condizioni del permesso. Inoltre, si potrebbe raccomandare lindicazione del mezzo appropriato di eutanasia. La liberazione deve avvenire assolutamente senza dolore e lintervento eutanasia dovrebbe essere praticato da una persona competente ed esperta. 4) riguardo allatto di esecuzione spetterebbe al comitato di stendere un protocollo accurato. Per quanto riguarda la seconda parte della trattazione, opera del medico A. Hoche, vale la pena richiamarne alcuni passaggi di carattere generale e relativi alletica medica: I punti commentati nella trattazione giuridica precedente non hanno bisogno tutti e in egual misura di chiarimenti dal punto di vista medico. Il problema della natura giuridica del suicidio e dello status giuridico delluccisione del consenziente non ci occuperanno oltre; tutto il resto invece interessa molto noi medici, in quanto per ragioni professionali le nostre teste sono attraversate da una serie di pensieri relativi ad interventi, punibili e non, sulla vita altrui. Il rapporto del medico con luccidere in generale richiede una particolare discussione. [] Il medico non ha un rapporto assoluto con il dovere fondamentale di conservare la vita altrui in ogni circostanza, solo un rapporto relativo che pu mutare con il mutare delle circostanze. Letica medica non va considerata un modello sempre uguale a se stesso. Levoluzione storica ci mostra da questo punto di vista chiari cambiamenti. Qualora luccisione degli inguaribili o leliminazione degli individui mentalmente e spiritualmente morti fosse considerata non solo non punibile, ma anzi uno scopo desiderabile in vista del bene comune, e dunque accettabile, non si troverebbero nelletica medica ragioni di escluderle. Senza dubbio i medici proverebbero un sollievo di coscienza se, nel proprio agire nei riguardi dei morenti, non fossero pi vincolati allimperativo categorico di prolungare ad ogni costo la vita, [] Il principio, in s da riconoscere, del dovere del medico di prolungare la vita il pi possibile, se spinto allestremo si trasforma in un non senso: la buona azione diviene un tormento. Guardando, quindi, da una prospettiva storica al tema del fine vita in relazione al nazismo, si deve rilevare come i discorsi sulleutanasia di cui il Terzo Reich si appropri, e che rielabor con ferocia inaudita integrandoli in una prospettiva razzista, non nascevano al suo interno, ma nellambito della Repubblica di Weimar e riguardavano, principalmente, la rivendicazione, che si vuole riconosciuta giuridicamente, da parte di una determinata persona a essere liberata da una vita insopportabile. Il punto di partenza non era posto in una valutazione esterna, era principalmente una valutazione dellindividuo sulla propria vita che non riteneva pi degna di essere vissuta e sul suo diritto a porvi termine. Gli argomenti e le sensibilit degli esperti e della gente comune mantengono diverse continuit e diversi punti di contatto dagli anni venti a oggi. Proprio su tali aspetti e sul consenso che si poteva aggregare intorno ad essi, si concentrer la propaganda del regime nel corso della seconda guerra mondiale. Paradigmatica in tal senso la diffusione nel 1941 del film "Ich klage an" (Io accuso). Il film trattava l'argomento dell'eutanasia da una prospettiva e con una sensibilit per molti aspetti simili a quelle che accompagnano il dibattito odierno: la moglie di un famoso medico, bella e vitale, si ammalava improvvisamente di sclerosi multipla. Dopo indicibili sofferenze chiedeva al marito di aiutarla a morire. Il marito molto combattuto e dopo aver provato in ogni modo ad aiutarla acconsentiva alla sua richiesta. Veniva per questo denunciato e subiva un processo che si concludeva con le dure parole che rivolgeva ai giurati e da cui tratto il titolo del film: Ora sono io che accuso! Accuso una legge che ostacola medici e giudici nel loro lavoro a servizio della gente. Io non voglio che il mio caso sia nascosto sotto un tappeto. Voglio un verdetto. Non importa quale. Servir come segnale, come possibilit di cambiamento. Lo confesso. Ho liberato mia moglie dalle sue sofferenze, seguendo la sua volont. La mia vita dipende dal vostro verdetto e anche le vite di tutti coloro che dovranno sopportare la stessa sorte di mia moglie. Ora esprimete il vostro giudizio. Il film fu visto da 18 milioni di persone e fu premiato alla Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia del 1941. Nel Rapporto dal Reich, stilato dal Servizio di sicurezza del Reich (SD), il 15/01/1942, relativo alla diffusione del film, che terminava evidenziando come: [] dalla massa di materiale disponibile emerge una generale approvazione della pratica delleutanasia, quando decisa da una commissione di pi medici e con il consenso del malato incurabile e dei parenti. Se, quindi, una prospettiva storica quanto pi approfondita e consapevole fondamentale sia per acquisire maggiore consapevolezza di alcune continuit di pensiero, sia per valutare con maggiore attenzione le potenziali derive di alcuni discorsi sul fine vita; altrettanto fondamentale un allargamento del campo visuale su quanto sta accadendo in contesti vicini a noi. La grande influenza sullopinione pubblica del suicidio assistito di DJ Fabo e di Davide Trentini pare aver monopolizzato la prospettiva da cui guardare allargomento portando a impostare, o a far ruotare, tutti i discorsi e le riflessioni principalmente a partire da situazioni come o simili alle loro. Tuttavia tali situazioni rappresentano solo una parte di quelle relative ai potenziali destinatari della normativa che riguarda anche, ad esempio, vicende come quelle del giovane Charlie in Inghilterra e della giovane Marwa in Francia, attorno a cui si sviluppato un ambio dibattito pubblico, e il cui esito antitetico d la misura della delicatezza e delle complessit del tema. Charlie un bimbo inglese di otto mesi cui stata diagnosticata una rara malattia genetica e che, secondo i medici, non ha speranze di sopravvivere a lungo e non possibile escludere che non stia soffrendo. Nonostante questo i genitori non vogliono arrendersi e vorrebbero portare il figlio in America per una cura sperimentale. LAlta Corte di Londra ha accolto il parere dei medici autorizzandoli a staccare la spina al piccolo. Marwa una bambina francese di 15 mesi che ha contratto un virus a fine settembre che lha completamente paralizzata. Di fronte alla richiesta delle autorit sanitarie di Marsiglia di sospendere le cure, il Consiglio di Stato francese si recentemente pronunciato per il mantenimento dei trattamenti come richiesto dai genitori. Sono evidenti i dubbi e le difficolt che tali situazioni pongono, soprattutto se rilette alla luce del testo dellattuale DDL sul biotestamento: nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o dimminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati. Se poi ci interroghiamo sulle potenziali derive di un testo che non esclude chiaramente leutanasia (che, anzi, molti parlamentari vorrebbero inserire nel testo), dovremmo confrontarci con quanto ci insegna lattuale situazione olandese in cui dopo che, con il Protocollo di Groningen a cura del prof. E. Verhagen (New England Journal of Medicine 2005; 352:959-962), stata introdotta la depenalizzazione dellinfanticidio in situazioni terminali e/o di grave sofferenza (pur includendo in tale casistica ad es. la spina bifida), da qualche anno, sempre attraverso gli studi e le teorie del prof. E. Verhagen, si sta allargando la platea dei potenziali destinatari, includendo tutti i bambini con disabilit o coloro le cui prospettiva di vita sono fosche (If abortion, at the parents request, is thought to be permissible under certain circumstances, then infanticide should also be permissible Journal of Medical Ethics 2013;39:293-295). E evidente il ruolo di primo piano dei medici nella questione concernente il fine vita. Bisognerebbe, per, ricordare come non sia priva di rischi questa centralit e questo potere che loro assegnato. Medici e personale sanitario furono i collaboratori nellideazione e gli esecutori del programma di eutanasia nazista in cui, come ricorda Henry Friedlander nel suo libro Le origini del genocidio nazista, non solo ebbero un ruolo centrale, ma anche volontario, in quanto nessun medico fu obbligato direttamente, potevano dissociarsi e/o chiedere dispense dal servizio, ma a quanto pare, questi giovani medici furono spinti ad agire dal profitto personale e da ambizioni professionali. Motivazioni che potrebbero apparire ancora attualissime e che ripropongono, in tutta la sua drammatica attualit, linterrogativo che poneva nel corso di un convegno tenutosi a Bolzano nel 1995 la dott.ssa Alice Ricciardi von Platen, membro della Commissione di Osservatori inviata dallOrdine dei medici della Germania Occidentale per il Processo dei medici di Norimberga: Luomo comune o il professionista, sapr opporsi e/o protestare se si trovasse di nuovo di fronte alle pretese umanamente inaccettabili di uno Stato suffragate dal mondo scientifico? In conclusione ritengo che le nostre prospettive nellaffrontare il tema del fine vita dovrebbero arricchirsi sia in profondit, restituendo alla dimensione storica e alle possibili genealogie riscontrabili il giusto peso e valore, sia in ampiezza, provando a guardare oltre il clamore mediatico che si sviluppato intorno ai recenti casi di cronaca e provando a metterci dal punto di vista di tutte le persone potenzialmente interessate da una legge sul fine vita, perch possa essere una norma capace di tutelare e garantire realmente i diritti di tutti.