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I Presocratici

Premessa

possibile ritenere che il problema fondamentale, o almeno il pi evidente, che


affrontano i pensatori venuti prima dei Sofisti e di Socrate dunque approssimativa-
mente fra il sesto secolo, visto che l di Talete fissato nel 585, e la data, peraltro
incerta, della morte di Democrito, approssimativamente collocata fra il 360 e il 350 a.C.)
sia lindividuazione del principio da cui tutto discende. Un principio originario, che
esiste ab aeterno, e che assomma su di s caratteristiche non solo fisiche: esso infatti
ritenuto principio di vita, divino, ossia , e finisce per essere il dinamico
ordinatore del cosmo intero.
In queste pagine pi e pi volte useremo il termine principio; esso una delle
possibili traduzioni del termine greco , di cui necessario mettere pi precisamente
a fuoco laccezione: dal suo intendimento infatti derivano interpretazioni affatto diverse
del globale significato della filosofia presocratica.
Il primo pensatore che si posto tale problema stato Aristotele, il quale ha spiegato,
in un celebre passo, che cosa significasse per i primi filosofi la ricerca del principio del
tutto. Esso cos recita: La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero
che i soli princpi di tutte le cose fossero quelli di specie materiale, perch ci da cui
le cose hanno lessere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono,
pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualit, questo essi dicono che
lelemento, questo il principio delle cose e perci ritengono che niente si produce e
niente si distrugge, poich una sostanza siffatta si conserva sempre (Metaph., A 3,
983b 7 sgg.).
Ma questa lettura senzaltro parziale e limitante, poich attribuisce ai Presocratici
non a caso chiamati da Aristotele , ovvero coloro che avevano parlato della
natura in contrapposizione ai poeti quali Esiodo o Ferecide, denominati la
convinzione che il principio sia fondamentalmente materia.
Constateremo invece che l origine destinazione e sostegno del tutto e che
svolge una molteplicit di ruoli non riconosciuta dalla trattazione aristotelica: il
principio infatti certo anche la materia di cui sono fatte tutte le cose, ma ne pure
causa, forma e fine e, nella sua universalit, inoltre , sebbene tale pluralit di
significati non sia consapevolmente sostenuta, ma solo implicitamente assunta.
Al principio affidato il compito di dare una spiegazione economica della totalit
dei fenomeni, riconducendoli a una unit fondamentale che dia ragione della loro costi-
tuzione, del loro comportamento e del significato complessivo del loro esistere. I moderni
interpreti hanno sottolineato di volta in volta questi diversi ma complementari aspetti:
quello materiale e, pi in generale, fisico, quello metafisico, quello scientifico, quello
teologico: tali significati erano per indistantamente fusi nella riflessione presocratica,
collocata ancora al di qua di quella partizione disciplinare che si attuer soltanto in
epoca ellenistica.

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I Presocratici 2

Suona tuttavia riduttivo attribuire ai Presocratici un interesse esclusivamente


naturalistico. Nel loro orizzonte problematico non manca infatti luomo, e sappiamo
che anche nellattivit pubblica di alcuni di questi pensatori non mancava linteressa
per la religione, letica, la politica.
Quanto fosse imprescindibile e impellente fare i conti col plesso problematico messo
in atto dai Presocratici fu subito chiaro: se Platone rivolse la sua attenzione ai problemi
dellontologia, Aristotele maggiormente si interess alle indagini cosmologiche e luno e
laltro a buon conto colsero temi davvero presenti in quella tanto poliedrica riflessione.
La disputa, lunga quanto la filosofia stessa, ha conosciuto momenti di relativo
oblio e altri di rinnovato interesse; qui non intendiamo offrire neppure in sintesi un
panorama delle pi significative interpretazioni contemporanee (il che richiederebbe
comunque un amplissimo spazio), ma solo accennare ad alcune delle letture intorno a
qualche tema fondamentale.
Parecchi studiosi (da West a Thomson) ammettono che nella genesi della filosofia in
Grecia abbia giocato leredit dallOriente: ma in Oriente non c distacco dal mito, qui
invece il ruolo della persona-forza mitica limitato alla sue conseguenze naturali e pur
tuttavia continua il ricorso a tali persone-forze (la Contesa e la Discordia di Empedocle,
tanto per fare un esempio).
In modo analogo stato visto il rapporto con la religione: se per alcuni il nuovo
sapere filosofico risulta la trasposizione in forma laica del sistema di spiegazioni creato
dalla religione (Cornford) perch analoghe sono le movenze (il passaggio dal caos al
kosmos non visto in modo molto differente da Anassimandro e da Esiodo), per altri la
filosofia ha guadagnato unassoluta laicit e mostra lavvenuta formazione del pensiero
positivo (Vernant). Ma, hanno obiettato altri ancora, non mai del tutto abbandonata
la fiducia in procedure magiche (Lloyd) e cos non sembra aver torto chi ha contestato
che i Greci si possano reputare il paradigma della razionalit senza aggettivazione
(Dodds).
Anche a proposito del rapporto fra filosofia e scienza, vi chi ha visto il pen-
siero presocratico come linizio della scienza (Burnet), chi ha enfatizzato (di contro
alla mentalit mitico-religiosa) il ricorso allesperienza e il parallelismo fra sviluppo
tecnico e ideologico (Farrington); altri, andando oltre sulla stessa linea, hanno visto
nellaffermazione del nuovo sapere la corrispondenza sul piano culturale di importanti
novit sociali (da Thomson a Vidal-Naquet): lordine cosmico entra in conflitto con le
istituzioni e si inaugura una separazione fra natura e societ, che infrange linsaputa
unit o indifferenziazione delle due tipica del mondo arcaico (il che sostengono in assai
differenti modi Vlastos e Capizzi).
Di contro, vi chi continua a ritenere la filosofia presocratica pi sulla scia della
religione e il filosofo un poeta o un indovino (Cherniss), enfatizzando il distacco fra la
scienza greca e quella odierna; oppure che sottolinea il carattere panteisticamente divino
del principio (Jaeger). Infine molti hanno tentato di individuare il problema principe
della filosofia presocratica, identificandolo con lattenzione ora alla cosmologia (Zeller,
Windelband, Tannery), ora allantropologia (Jol, Mondolfo). Una simile ricerca per
destinata a nostro avviso a non produrre niente costruttivo poich non esiste reale
unit tematica interna come non esiste il movimento presocratico: pi opportuno
restare aperti alla ricca, seminale eterogeneit delle tesi dei Presocratici.
Si avverte una volta per tutte che i testi sono sempre, tranne uneccezione di
cui verr data a suo luogo notizia, secondo la seguente edizione: I Presocratici.
Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Bari 1969 (le cui
versioni sono tuttavia di diversi traduttori).
Capitolo 1

La scuola ionica di Mileto

1.1 Talete
Di Talete tanto poco si sa e gi tanto poco si sapeva nellantichit che alcuni
ritennero pi giusto o comunque pi documentabile far cominciare la filosofia con
Anassimandro; noi ci atteniamo qui alla visione tradizionale, suffragata da un certo
numero di testimonianze affidabili.

1.1.1 Filosofia e vita


Come successe anche a Talete, o Teodoro, che mentre osservava le stelle
e guardava in alto, cadde in un pozzo, e si racconta che una servetta tracia, 2

intelligente e spiritosa, labbia preso in giro dicendogli che si preoccupava di


conoscere le cose del cielo e non saccorgeva di quelle che aveva davanti e tra i 4

piedi.
Siccome, povero comera [Talete], gli rinfacciavano linutilit della filosofia, 6

dicono che, avendo previsto in base a computi astronomici un abbondante


raccolto di olive, ancora nel cuore dellinverno, disponendo di una piccola 8

somma di denaro, si accaparr tutti i frantoi di Mileto e di Chio, dando una


cifra irrisoria, perch non ce nera richiesta alcuna: ma quando giunse il tempo 10

della raccolta, poich molti cercavano i frantoi, tuttinsieme e durgenza, li dette


a nolo al prezzo che volle e cos, raccolte molte ricchezze, dimostr che per i 12

filosofi davvero facile arricchirsi, se lo vogliono e invece non di questo


che si preoccupano. 14

DK 11 A 9 e A 10; trad. it. cit. p. 88

Entrambi i racconti, assai semplici da in- ridicit, ma , quanto al messaggio che


tendersi nel loro significato immediato, fan- intende comunicare, senzaltro verosimile.
no riferimento al tipico modo in cui nelle- 6-14. Il passo, dovuto ad Aristotele, sem-
t classica veniva inteso il ruolo del filosofo: bra voler proporre un paradosso, poich
quello dellamante di una sapienza disin- suona assai strano che un individuo noto-
teressata, anzi tanto pi nobile quanto pi riamente disinteressato come Talete abbia
distaccata da ogni movente concreto. architettato un piano simile solo per anda-
1-5. Il passo, di paternit platonica, non re contro la communis opinio intorno ai filo-
offre naturalmente alcuna garanzia di ve- sofi. Esso dunque con buona probabilit

3
I Presocratici 4

uninvenzione narrativa. Ma in questo voler non sono forse gli stessi dossografi a narrarci
ricondurre a ogni costo la figura del filosofo dellattivit politica di Talete (DK 11 A 1 e A
a una vita esclusivamente teoretica, assai 4) e dellazione di Anassimandro, che fonda
distaccata dalla quotidianit, noi rinvenia- una colonia sul Ponto (DK 12 A 4)? Per contro
mo la successiva deformazione operata dal- in essi, davvero intellettuali e uomini comple-
la mentalit platonica e aristotelica una ti, la riflessione teoretica e lattivit pratica si
deformazione, sintende, che questi pensa- sposano felicemente. daltro canto assai
tori intendevano come una difesa e una nota quella testimonianza di Proclo ove si
celebrazione della filosofia. asserisce che Talete fece molte scoperte in
Appare invece pi plausibile che questi tal campo [la geometria] e di molte guid
primi filosofi, data anche la loro stimolante gli inizi a quanti vennero dopo di lui, dedi-
collocazione geografica (erano tutti abitan- candovisi ora con intenti pi generali, ora
ti delle colonie, lontani dalla madrepatria e pi empirici (A 11). Il passo fa riferimento al
perci abbastanza svincolati dalle sue tradi- carattere aperto e pubblico, socialmente
zioni religiose e culturali), siano stati davvero utile e rilevante, non iniziatico n misterico
organicamente inseriti nel loro tempo e in del sapere come inteso dagli Ionici.
possesso di importanti funzioni pubbliche:

1.1.2 Tutto acqua


Ci devessere una qualche sostanza, o una o pi di una, da cui le altre cose
vengono allesistenza, mentre essa permane. Ma riguardo al numero e alla 2

forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale
forma di filosofia, dice che lacqua (e perci sosteneva che anche la terra 4

sullacqua): egli ha tratto forse tale supposizione vedendo che il nutrimento di


tutte le cose lumido, che il caldo stesso deriva da questa e di questa vive (e 6

ci da cui le cose derivano il loro principio): di qui dunque egli ha tratto forse
tale supposizione e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida e 8

lacqua il principio naturale delle cose umide. Ci sono alcuni secondo i quali
anche gli antichissimi, molto anteriori allattuale generazione e che per primi 10

teologizzarono, ebbero le stesse idee sulla natura: infatti cantarono che Oceano
e Tetide siano gli autori della generazione [delle cose]. . . 12

DK 11 A 12; trad. it. cit. p. 90

1-9. Questa testimonianza, ancora una tre limmediatamente constatabile. Cos si


volta aristotelica, il testo chiave per la rico- spiega il ricorso allacqua per la spiegazione
struzione del pensiero di Talete; lo studio dei di innumerevoli altri fenomeni, quali i terre-
Presocratici vi identificato decisamente moti citati in DK 11 A 15 e le piene del Nilo
con la ricerca del principio materiale da cui cui si fa riferimento in DK 11 A 16.
tutte le cose derivano e che permane nel Tale acqua materiale e concreta: non
mutare di quelle cose derivate. In particola- si tratta di un elemento umido diverso, di
re, la posizione di Talete ci mostra allopera il unacqua primigenia dotata di peculiare di-
metodo empirico ma anche il carattere spe- gnit rispetto a quella empirica, ma proprio
culativo della ricerca: il filosofo, partendo di quella che ci bagna, con cui laviamo e
dalla considerazione che dove c vita c che beviamo; essa possiede tuttavia una
immancabilmente acqua, estende la sua funzione che eccede lambito dellimme-
osservazione e addirittura ne fa principio uni- diatezza per divenire totalizzante in quanto
versale e metafisico allorch asserisce non ritenuta origine non solo dellacqua dei fiu-
solo che le cose per vivere abbisognano mi come dei mari, ma anche di tutte quelle
dellacqua, ma che tutte sono acqua. Si cose che liquide non sono.
tratta di unestensione fatta per analogia, 9-12. Il riferimento al mito di Oceano e
una generalizzazione speculativa che va ol- Teti (si tratta peraltro di uno dei pi antichi
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miti cosmogonici, attestato in Omero, Iliade, Non a caso questa filosofia apparsa
XIV, 201) ci mostra come esso non venga un tentativo di razionalizzare il mito laicizzan-
reputato una forma ormai superata di sape- dolo e aggiornandolo, per cos dire, alla mu-
re e, al contrario, contribuisca a indirizzare tata sensibilit religiosa e alla rinnovata situa-
rettamente il pensiero: quello che caduto zione culturale. Il fine non salvare a ogni
il suo carattere autoritativo. Il mito non vie- costo il mito n affossarlo, ma creare un nuo-
ne pi creduto in forma piena e indiscutibile vo sapere che non necessariamente rigetta
in ragione della sua antichit, ma soprav- il passato, bens lo accetta solo nei modi e
vive nella misura in cui il vaglio critico da nella misura in cui esso viene ammesso dal
parte della ragione laica e dellesperien- vaglio critico della nuova cultura. Tra il mito
za lo conferma e autorizza; al contempo la antico e la nuova filosofia ormai si tratta di
filosofia non costituisce una radicale alter- una differenza di grado, che il sapere pu
nativa allo spirito religioso della tradizione far scomparire, non pi di una differenza di
antica e mitica e continua a riferirsi al divi- principio ovvero di natura. La religione am-
no, bench questo abbia ormai perso ogni bito non ancora guadagnato dalla ragione,
carattere personale e si presenti come esito ma se la natura del numinoso permane, il
di riflessione piuttosto che come oggetto di suo spazio andr fatalmente restringendosi
fede. col progresso della conoscenza.

1.2 Anassimandro
Mai citato da Platone (come pure Anassimene), Anassimandro pare una scoperta
della storiografia aristotelica. Eppure con lui ci troviamo di fronte al primo testo
filosofico della tradizione occidentale, cos fascinoso e oscuro da aver suscitato disparate
letture sia da parte di storici che di teoreti (celebre a questo proposito il saggio di
Heidegger che reputa ancora modernissima quella problematica). Qui ne tenteremo
naturalmente una comprensione la pi letterale possibile.

1.2.1 Linfinito il principio


Tra quanti affermano che [il principio] uno, in movimento e infinito,
Anassimandro, figlio di Prassiade, milesio, successore e discepolo di Talete, ha 2

detto che principio ed elemento degli esseri linfinito, avendo introdotto per
primo questo nome del principio. E dice che il principio non n lacqua n 4

un altro dei cosiddetti elementi, ma unaltra natura infinita, dalla quale tutti
i cieli provengono e i mondi che in essi esistono [. . .]. chiaro che, avendo 6

osservato il reciproco mutamento dei quattro elementi, ritenne giusto di non


porne nessuno come sostrato, ma qualcosaltro oltre questi. Secondo lui, quindi, 8

la nascita delle cose avviene non in seguito ad alterazione dellelemento, ma


per distacco dei contrari [dallinfinito] a causa delleterno movimento. 10

DK 12 A 9; trad. it. cit. p. 98

1-8. Questa testimonianza, dovuta al degli elementi fisici (i quali hanno contrarie-
pensatore sincretistico Simplicio (vissuto nel t ovvero, pi semplicemente, sono distinti)
sesto secolo e intenzionato a produrre una distruggerebbe tutti gli altri: questi ultimi so-
sintesi di platonismo e aristotelismo) e che no infatti finiti, laddove esso risulta infinito);
deriva abbastanza chiaramente dalla di- ma se i contrari non hanno buone ragioni
scussione aristotelica sulla contrariet pre- per porsi come princpi, nessuno di essi po-
sente in vari luoghi della Fisica, dedicato tendo assurgere a un ruolo predominante, il
alla natura del principio. Se esso fosse uno principio devessere altro rispetto a loro.
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Detto altrimenti: lesperienza ci insegna namica che, pur formulata da Aristotele e


che la vita il susseguirsi dei contrari, di con- Simplicio con la loro terminologia, certo
dizioni diverse; se uno dei contrari si affer- originale: la separazione dei contrari come
masse come definitivo, cesserebbe quel di- determinati dallinfinito il principio della
venire che la vita stessa, ma dal momento genesi del cosmo, a cui segue il muoversi
che ci assurdo nessun elemento in parti- dei contrari stessi, una volta individuati.
colare pu essere il principio di tutti gli altri. Dallinfinito si staccano innanzitutto i due
Per questo il testo sottolinea fra laltro come il contrari determinati fondamentali, il caldo e
principio debba essere in movimento (r. 1). il freddo, ciascuno dei quali genera nature
Emerge cos la necessit che il principio non analoghe a s: il primo principio di quan-
sia finito al pari degli elementi mondani e ne to mobile, lieve, caldo, laltro di quanto
superi i limiti vitali o non potrebbe costituirsi denso, pesante, freddo. Dalla dinamica
per lappunto come dotato di una funzione di questi contrari si generano quindi tutti gli
privilegiata; del pari rimane incontestabile altri, che agiscono ciascuno sul proprio al-
lintendimento della vita mondana come tro: i prodotti primi del caldo e del freddo,
una alternanza di contrari. La vicenda co- ossia il sole e lacqua, lottano fra loro (il so-
smogonica consiste dunque nella relazione le facendo evaporare lacqua e lacqua
fra questo principio e i contrari stessi. spegnendo la natura del sole, il fuoco);
8-10. Lidea che la genesi delle cose sia anche chiaro dal testo del frammento che
realizzata per distacco (tesi peraltro repe- ogni contrario non diviene mai laltro, ma
ribile in diverse antiche cosmogonie oltre solo ne produce la genesi (cosicch non vi
che in altri testi presocratici successivi, da la presenza di quella che in seguito verr
Anassagora a Empedocle) implica una di- chiamata contraddizione).

1.2.2 La legge naturale


[Anassimandro ha detto che] principio degli esseri linfinito [. . .] da dove
infatti gli esseri hanno lorigine, ivi hanno anche la distruzione secondo neces- 2

sit: poich essi pagano luno allaltro la pena e lespiazione dellingiustizia


secondo lordine del tempo. 4

DK 12 B 1; trad. it. cit. pp. 106-107

In questo celeberrimo frammento, il pri- detto: nessun elemento particolare legit-


mo autentico testo di filosofia che la tradizio- timato a essere origine della totalit e sem-
ne ci ha consegnato, vige ancora la grande bra pi opportuno che il principio, per poter
lezione di Talete: Anassimandro, il suo disce- davvero essere tutto, non sia nulla di trop-
polo pi innovativo e profondo, come lui po particolare (poteva altrimenti nascere
convinto che vada individuato un principio una difficolt non percepita da Talete, ma
unitario del cosmo, ma ne amplia le funzioni certo in lui presente: in che modo un ele-
rispetto allacqua (cfr. anche lesposizione mento specifico come lacqua era in grado
di DK 12 A 11). Lemancipazione rispetto al- di farsi terra o fuoco?). In terzo luogo il prin-
limmediatezza delle evidenze empiriche cipio illimitato per quantit poich nulla
alquanto accresciuta e sempre pi estesa- sussiste al di fuori di esso, bench tutto si
mente lelemento originario da cosa tende definisca in relazione di opposizione a esso;
a farsi principio. non si tratta naturalmente di uninfinit pari
1. Linfinito si pu meglio parafrasare, a quella che noi moderni possiamo immagi-
se vogliamo rendere esplicita tutta la ric- nare, cio aperta e progrediente, poich si
chezza del termine greco che lo esprime (e struttura in un andamento per contro circo-
cio ), come eterno, indetermina- lare, fatto di distacco dalla e di ritorno alla
to illimitato. Eterno perch al di l di ogni infinit del principio.
qualificazione temporale, il tempo essendo Ci significa che in Anassimandro, ben-
il connotato delle cose finite e mondane. In- ch si possa ritenere che egli abbracci una
determinato per qualit per il motivo sopra visione monistica invocando linfinito co-
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me unico principio, presente una con- la parte ancora da spiegare sar la finale,
cezione dualistica dellesistenza delle cose, col celebre quanto oscuro concetto di in-
insorgenti dalla dinamica di infinito e finito. giustizia: la presenza nel testo di quel lun
1-3. La presenza dei contrari discende laltro ci mostra, contrariamente alle inter-
ad Anassimandro sia dalla tradizione sia dal- pretazioni pi vecchie, che lingiustizia non
lesperienza: gi in Omero certi accadimen- pagata allinfinito, bens agli esseri. Si trat-
ti naturali quali le tempeste e la bonaccia ta naturalmente di una ingiustizia cosmica,
in cui si risolvono appaiono governati dal che non coinvolge affatto il concetto mora-
contrasto; cos anche per le vicende che le di responsabilit, limputazione persona-
hanno luogo allinterno dellanimo umano le tipica del Cristianesimo, tanto pi che le
e cos sar anche nella difficile visione della cose non commettono questingiustizia per
giustizia di Esiodo. In tal senso possiamo leg- loro volere, ma per necessaria obbedienza
gere pure le affermazioni di Anassimandro: alle leggi dellinfinito stesso. Vi chi ha ritenu-
ce lo testimoniano i richiami allopposizione to addirittura che doppia fosse lingiustizia:
fra umidit e sole in DK 12 A 11, ai contrasti prima lindividuazione delle cose singole ri-
che nel vento conducono alle tempeste in A spetto allinfinito, quindi il tentativo tra esse di
23, a quelli fra le cose presenti e quelle future sopraffazione per prolungare indefinitamen-
in A 27. Il contrasto messo esplicitamente te la propria esistenza. La vita stessa delle
a tema in questo frammento, come scontro cose particolari costitutivamente lotta e
fra le cose che ne fa universale legge del contrasto e dunque lingiustizia condizio-
loro comportamento. ne fisiologica dellessere; la necessit che lo
Ma linfinito scaturigine, disponibilit governa equivale alla naturale disposizione
illimitata da cui fuoriescono (come sappia- del tutto.
mo per separazione e quindi in ragione del- Lordine del tempo fa riferimento alla
le opposizioni che vi germinano) i contrari; collocazione, per lappunto temporale, del-
sebbene lidea di un abisso infinito da cui le le cose, che si oppongono per questa loro
cose derivano sia presente gi in Esiodo e natura al carattere eterno dellinfinito. Dun-
nellOrfismo, la sintesi di Anassimandro in- que il senso complessivo del frammento sta
dubbiamente originale. Sussiste un processo nel muovere dalla constatazione che tut-
di individuazione e di distacco per cui una te le cose particolari hanno vita limitata e,
parte dellinfinito il quale giace in eterni in- in quanto partecipi dellordine del tempo,
distinzione e disordine ( infatti il della sono soggette alla distruzione. La seconda
tradizione) si finitizza in individualit limitate parte, la pi importante, spiega le ragioni di
e precisamente connotate (il della tale dinamica: ogni elemento un contra-
tradizione), al di sotto delle quali tuttavia rio, ma esso sussiste proprio in virt del suo
linfinito persiste come perenne fonte da cui contrario, dalla relazione col quale trae vita
le cose escono e a cui ritornano. Teniamo e senso. Lalternanza allora essenziale per-
presente che linfinito pu esser detto princi- ch se un contrario si assolutizzasse soppri-
pio, ma non elemento (come gi Aristotele mendo laltro, esso pure verrebbe soppresso,
aveva inteso: cfr. DK 12 A 15) e che esso non trovando il contraltare che lo definisce.
ha la funzione di abbracciare tutto, il che Il tempo, che stabilisce lalternanza dei con-
significa non solo sostenere materialmente, trari, lo strumento di cui linfinito si serve per
ma anche regolare e guidare: esso dunque governare le cose e per porre fine al tentati-
insieme materia e causa, per usare una vo di una cosa di assolutizzarsi impedendo
concettualit posteriore. alle altre di sussistere; esso non divino co-
3-4. Dopo quanto si detto sopra sulla me linfinito, ma lo indirettamente perch
dinamica cosmogonica di Anassimandro, suo strumento.

1.3 Anassimene
Anassimene sembra pensatore meno innovativo e interessante rispetto agli altri due
Milesii; nondimeno ha una sua importanza, sia pure tutta interna alle problematiche
della scuola, per il fatto che cerca di affinarle in senso tecnico. Ma anche in lui vediamo
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lo sforzo di costituire un equilibrio fra le attestazioni dellesperienza e le spiegazioni


della ragione, fra il particolare e luniversale.

1.3.1 Il principio laria


Anassimene, figlio di Euristrato, milesio, fu amico di Anassimandro. An-
chegli dice che una la sostanza che fa da sostrato e infinita, come laltro, 2

ma non indeterminata come quello, bens determinata la chiama aria. Laria


differisce nelle sostanze per rarefazione e condensazione. Attenuandosi diventa 4

fuoco, condensandosi vento, e poi nuvola, e, crescendo la condensazione, acqua


e poi terra e poi pietre e il resto, poi, da queste. Anchegli suppone eterno il 6

movimento mediante il quale si ha la trasformazione.


DK 13 A 5; trad. it. cit. p. 109

1-3. In questa testimonianza viene defi- ta attraverso rarefazione e condensazione.


nito con chiarezza che principio del tutto Laria, per la propria uniformit, elasticit e
laria: probabilmente qualcosa di pi della- versatilit, si presta meglio di altri elemen-
ria come soffio del vento od oggetto della ti allo scopo. La terra era sempre apparsa,
respirazione: anche in Anassimene trovia- fin dallet del mito, troppo greve e assai
mo, com da aspettarsi, il trapasso da una poco duttile; il fuoco, dal canto suo, pre-
considerazione fisica a una metafisica degli sentava il difetto opposto: era troppo lieve
eventi naturali. per poter spiegare le cose dense e pesanti.
3-7. Ma la novit della posizione di Anas- Lacqua, infine, sembrava eccessivamente
simene non sta tanto nellidentificazione di determinata era percepita infatti in ogni
una nuova essenza come principio, dopo caso come contrario del fuoco e dunque
che gi lacqua e linfinito erano stati propo- fredda , e serviva a spiegare la vita meno
sti, quanto nel problema che egli intende in del respiro su cui si era soffermata lattenzio-
tal modo risolvere. Talete non era stato in gra- ne di Anassimandro. Che infine il movimento
do di spiegare adeguatamente il modo in dellaria sia eterno, come ci suggerisce lul-
cui le cose procedevano dallacqua, Anas- tima frase del testo (rr. 6-7), significa che in
simandro aveva introdotto una spiegazione qualche luogo allinterno del principio c
eccessivamente complessa. sempre qualcosa in movimento: non tutto si
Lidea di Anassimene di eliminare il mosso subito, o il divenire naturale avreb-
dualismo anassimandreo dellinfinito come be avuto luogo per intero gi da sempre
fondamento e del caldo e il freddo come in un istante e non avrebbe quel caratte-
contrari (fondamentali) assorbendo fin dalli- re processuale che invece lesperienza ci
nizio tutte le differenziazioni in un unico prin- attesta.
cipio: esso non ospita i contrari, ma li diven-
Capitolo 2

I Pitagorici

impresa affatto ardua confrontare scienza e filosofia nellet arcaica dei Presocratici
e non solo per lenormit in s del compito, ma anche perch luna non in questo
periodo ancora distinta dallaltra e tutti i saperi sono affatto solidali; in tale processo
che vengono generati i presupposti della loro successiva separazione e ha luogo il
disordinato proliferare delle innumerevoli discipline che, prese dallindagine dei loro
rispettivi oggetti, non sono in grado di effettuare una verifica del loro proprio statuto,
n della loro rispettiva metodologia n del loro afferire al medesimo grande genere:
quello scientifico, appunto.
Chiediamoci ora se la scienza cos come oggi la conosciamo abbia un qualche debito
nei confronti di questa ancora ingenua analisi del reale. Non sfugga innanzitutto
la collocazione del fare scienza: in quel tempo il sapere tecnico-naturalistico non
poteva andare disgiunto da quello etico (il che evidentissimo nel caso dei Pitagorici,
in cui la matematica era metodo di purificazione); lindividuazione delle strutture
fisiche del mondo era insieme riconoscimento del ruolo che in esso doveva giocare
luomo. Per questo il sapere presocratico non dimentico delluomo (come taluni hanno
osservato rapportandolo a quello successivo dei Sofisti), ma tende ad assorbirlo in una
dimensione che non esclusivamente naturalistica, bens onnicomprensiva: ad esempio
il concetto anassimandreo di giustizia non sappiamo dire se sia esteso alla natura
dallesperienza politica o viceversa. Ma lapprensione di questordine non pu emergere
dallimmediatezza o dalla percezione e richiede unesperienza peculiare: il contatto col
divino recuperato e riproposto da Parmenide come da Empedocle.
Certo, non mancano le differenze con la scienza contemporanea: assenza di una
mentalit sperimentale (lesperienza e non lesperimento lo strumento dei Greci);
limitata matematizzazione della fisica, applicata di norma alla descrizione di particolari
fenomeni di statica, ottica e soprattutto astronomia; infine scopo puramente conoscitivo
e non tecnologicamente rilevante. Eppure non possibile liquidare lo spirito indagatore
che mosse i Presocratici e resta da vedere se non sia ancora attuale la lezione di questi
antichi, che non ebbero bisogno di porre rigide barriere tra filosofia e scienza.
Essendo velleitario qualsiasi tentativo di operare una netta distinzione tra le diverse
fasi del pitagorismo antico, trattiamo qui il movimento come un tuttuno, adeguandoci
al costume aristotelico: il filosofo infatti parla, com noto, de i cosiddetti pitagorici
nel primo libro della Metafisica (A 5, 985 b 23) per indicare il comune lavoro di ricerca
svolto dalla fine del sesto allinizio del quarto secolo da un gruppo solidale nellattivit
di ricerca come nella fede religiosa e morale.

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I Presocratici 10

2.1 Matematiche e dottrina del numero


Quanto alloggetto del suo [di Pitagora] insegnamento, i pi dicono chegli
apprese le cosiddette scienze matematiche dagli Egizi e dai Caldei e dai Fenici: 2

ch gi nei tempi pi antichi gli Egizi si dedicarono allo studio della geometria,
i Fenici allo studio dellaritmetica e della logistica, i Caldei allosservazione 4

degli astri. I riti intorno agli di e quanto riguarda i costumi dicono che invece
li apprese dai Magi. Questo, dicono, molti gi lo sanno perch ne stata lasciata 6

memoria in opere scritte; ma per il resto i suoi costumi sono sconosciuti. . .


DK 14 A 9; trad. it. cit. p. 122

1-7. Un intero filone di studiosi che si so- medio Pitagorismo. Inoltre appare possibile
no occupati domandati perch la filosofia ma ancora una volta non preciso discrimina-
nacque proprio in Grecia, proprio in quel- re, allinterno della scuola, fra acusmatici e
lepoca e proprio in quella forma ha identi- matematici, ovvero coloro nei quali lo spirito
ficato una delle sue matrici nella sapienza religioso era maggiormente accentuato e
orientale; la tesi viene formulata per la prima quanti si sentivano pi vicini a una genuina
volta gi nellantichit in brani come questo, ricerca scientifica.
di Porfirio. Ma, senza affrontare qui il proble- Non dimentichiamo che le matemati-
ma delle dipendenze e delloriginalit che che non avevano conosciuto presso le ci-
la filosofia greca presenta e riferendoci sol- vilt antiche progressi paragonabili a quel-
tanto a Pitagora, vi chi lo ritiene davvero li che conobbero presso i Greci, forse pro-
scienziato e iniziatore della corrente che da prio per il loro carattere pratico: dove il nu-
lui prende il nome, chi invece attribuisce mero era usato con una immediata finalit
verosimiglianza alle testimonianze solo dal concreta, il conseguimento di tale obiettivo
pitagorismo medio e rigetta nelloscurit del esauriva linteresse nei confronti del nume-
mito la figura di Pitagora, facendone uno ro stesso: cos per esempio in Egitto, ove
sciamano. le conoscenze geometriche servivano so-
Da un lato, la quantit e lunanimit del- prattutto a ristabilire i confini dei campi do-
le testimonianze in proposito ci inducono ad po le piene del Nilo. In Grecia per contro,
ammettere che Pitagora fu un filosofo origi- ove la matematica praticata in forma per
nale e influente, ma non ci consentono di cos dire disinteressata, cio senza la spinta
ricostruire quale fosse la sua teoria. Impossi- di moventi utilitaristici, non c un successo
bile dunque stabilire non solo il rapporto in pratico che rappresenti la soddisfazione e
lui presente fra filosofia e religione, ma ogni perci stesso la cessazione dellinteresse e
dato biografico e scientifico: ad esempio, lo studio pu proseguire anche oltre; proprio
non affatto sicuro che sua sia la paterni- questo carattere dellindagine fu la spinta
t del teorema che reca il suo nome. Non al progresso continuo degli studi che port
possiamo in conclusione che astenerci dal i Greci a esiti di valore assoluto.
produrre una distinzione chiara fra antico e

2.2 Il numero il principio


Al tempo di costoro, e prima di costoro [Leucippo e Democrito], si dedi-
carono alle matematiche e per primi le fecero progredire quelli che son detti 2

Pitagorici. Questi, dediti a tale studio, credettero che i princpi delle matemati-
che fossero anche i princpi di tutte le cose che sono. Or poich princpi delle 4

matematiche sono i numeri, e nei numeri essi credevano di trovare, pi che nel
fuoco e nella terra e nellacqua, somiglianza con le cose che sono e divengono 6

[. . .], e poich inoltre vedevano espresse dai numeri le propriet e i rapporti


degli accordi armonici, poich insomma ogni cosa nella natura appariva loro 8
I Presocratici 11

simile ai numeri, e i numeri apparivano primi tra tutto ci ch nella natura,


pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose che 10

sono, e che lintero mondo fosse armonia e numero.


DK 58 B 4; trad. it. cit. pp. 512-3

1-3. Abbiamo gi chiarito che lespres- Ma i numeri sono i costituenti di tutte le


sione quelli che son detti Pitagorici va inte- realt, non solo di quelle fisiche, cosa natu-
sa come locuzione volta a indicare un grup- rale per i Pitagorici, data anche lincapacit
po, laddove fino a quel momento il testo dei primi filosofi a distinguere come per noi
aristotelico da cui il brano tratto (il celebre moderni invece naturale e ovvio, o alme-
primo libro della Metafisica) aveva preso in no cos ci sembra tra quanto astratto e
considerazione solo figure ben individuate quanto concreto. Lintendimento del nu-
di pensatori. mero come immediato componente mate-
3-11. Il passo ci suggerisce con grande riale della realt o come principio della sua
decisione che le cose sono numeri e che, intelligibilit possono essere posizioni distinte
per conseguenza, gli elementi che compon- e successive del Pitagorismo o infiltrazioni
gono i numeri sono pure quelli di cui son interpretative posteriori.
fatte tutte le cose. Lidea di fondo che il Che cosa spinge i Pitagorici a identifica-
numero sia davvero il costituente della real- re il principio proprio col numero? Secondo
t, come un mattone lo delledificio, in Aristotele lidea deriva loro anche da osser-
quanto esso esprime (e tende a coincidere vazioni empiriche (rr. 7-8): essi si resero infatti
con) le figure geometriche e queste, a loro conto del carattere periodico, cio ritmico
volta, costituiscono i corpi in quanto ne iden- e regolare dei principali fenomeni naturali,
tificano i limiti e la forma. I numeri dunque cosmici e forse anche biologici, quali lalter-
non rappresentano la forma o la formulazio- narsi del giorno e della notte e delle stagioni,
ne astratta di una sostanza altra o principio, landamento delle maree e delle costella-
ma davvero sono immanenti alle cose e fi- zioni. Un altro motivo per questa credenza
niscono quindi per identificarsi con queste. sta nella struttura della musica, evidente-
La testimonianza aristotelica presenta pe- mente campo di prima importanza per i Pi-
raltro unambiguit che rende difficilmente tagorici: anche la melodia e larmonia, ossia
decidibile la questione: i luoghi in cui si dice il gioco delle consonanze e delle dissonan-
il tutto essere formato di numeri li intendo- ze, si pu definire matematicamente come
no proprio come materia (qui alle rr. 3-4) e i rapporto numerico fra i suoni, in concreto
passi in cui le cose sono semplicemente det- attuato nella lunghezza delle corde della
te conformate ai numeri li vedono invece lira ovvero della colonna daria nel flauto.
come pura forma (qui alle rr. 7-8).

2.3 Struttura del numero


Pare che anche costoro, che pensavano che principio fosse il numero, pen-
sassero il principio sia come materia e sia come qualit accidentale e condizione 2

delle cose che sono. Elementi del numero ponevano il pari e il dispari, luno
pensato come infinito e laltro come limitato; lunit la consideravano derivante 4

da entrambi (dicevano quindi che essa pari e dispari); e dallunit pensavano


che nascesse il numero e che nei numeri consistesse, come ho detto, tutto il 6

mondo. Altri Pitagorici dicevano che i princpi sono dieci, quelli che secondo
la serie son detti: limite e illimitato, dispari e pari, uno e molteplice, destro 8

e sinistro, maschio e femmina, fermo e mosso, dritto e curvo, luce e tenebre,


buono e cattivo, quadrato e rettangolare. 10

DK 58 B 5; trad. it. p. 514


I Presocratici 12

1-3. La prima parte del passo aristoteli- modo che vi sono numeri originati per inte-
co risulta di difficile interpretazione, perch ro dallillimitato (come 16=44, derivando il
oscuro il senso delle espressioni qualit totale da numeri tutti pari), numeri originati
accidentale e condizione e anche il lo- per intero dal limitato (come 15=35), de-
ro rapporto con principio (gli stessi esege- rivando in questo caso il totale da numeri
ti antichi propongono letture congetturali tutti dispari), infine numeri originati dal limite
affatto diverse). Probabilmente, operando e dallillimitato (come 6=23).
una semplificazione notevole, possiamo sug- 3-10. La seconda parte spiega la ce-
gerire che la prima espressione indichi le lebre differenziazione del pari e del dispari
propriet delle cose e la seconda il loro sta- e la loro derivazione dellunit o parimpari.
to: in ogni caso il numero risulta sia causa Qui Aristotele sta riferendo di una fase relati-
materiale che causa formale della totalit. vamente recente del Pitagorismo: la tavola
Nonostante innumerevoli testimonianze delle opposizioni sotto riportata (rr. 7-10)
(a cominciare da un frammento certamen- attribuita, se non a Filolao, comunque a pen-
te inautentico di Archita) riconducano il prin- satori della sua generazione (siamo nella se-
cipio, nei Pitagorici, al dualismo fra lUno e la conda met del quinto secolo). Tutti i Pitago-
Diade, tale opposizione prende piede solo rici comunque concordavano nel derivare
in epoca platonica e non da confondere la totalit dei fenomeni da unopposizione
con la dottrina, genuinamente pitagorica, fondamentale che si partiva quindi in serie
dellillimitato e del limite: insomma, solo il pa- derivate di contrari: le dieci coppie qui enun-
rimpari davvero il punto di partenza e lop- ciate, sebbene si susseguano casualmente
posizione, che assume qui valenza cosmo- e senza un filo rosso nella loro deduzione,
gonica, fra illimite e limitato sembra derivare ci mostrano che il numero era caricato di
da Anassimandro. Il frammento di difficile connotati qualitativi e che anzi assumeva
comprensione, ma possiamo affermare con una serie di significati determinati, riflettendo
sicurezza che, almeno nel campo dei nume- in certi casi pregiudizi o convinzioni tipiche
ri, lillimitato il pari e il limitante il dispari, di della mentalit arcaica.

2.4 La dottrina fisica


Essi [i Pitagorici] dicono che nel centro il fuoco, che la terra un astro e che
essa, rotando introno alla parte centrale, d origine al giorno ed alla notte. Poi, 2

di contro a questa, dicono che c una seconda terra, chessi chiamano antiterra;
e questo affermano non gi ricercando le cause e le ragioni dei fenomeni, ma 4

sforzando il significato dei fenomeni e cercando daccordarli con alcune loro


ragioni e opinioni preconcette. 6

DK 58 B 37; trad. it. cit. p. 528

1-2. Come in tutte le cosmogonie ar- 2-6. Questo immaginato in forma di


caiche, anche nel Pitagorismo manca lin- sfera al cui centro risiede il fuoco centrale;
dagine sullorigine del cosmo; si d in cer- intorno a esso si muovono i dieci corpi ce-
to modo per scontato che la prima cosa lesti procedendo da Occidente a Oriente.
a formarsi sia stata, al cuore delluniverso, Il loro numero era fissato a dieci bench al-
il fuoco centrale, che riceve una grande lora le osservazioni ne avessero individuati
quantit di diverse denominazioni. Esso, at- solo nove perch il cosmo, essendo perfet-
traendo le parti a lui pi prossime dellillimi- to, doveva rispettare la perfezione numerica
tato, le limita costituendo le prime entit e il numero perfetto la magica decade:
particolari e quindi, con la prosecuzione di di conseguenza i Pitagorici furono indotti a
questo processo (cos almeno congetturia- ipotizzare unantiterra a noi invisibile per far
mo in assenza di notizie che ne specifichi- tornare il conto, donde la critica di Aristotele
no la dinamica), si creato e organizzato il nel passo che stato riportato (rr. 3-6).
cosmo.
I Presocratici 13

Molte delle loro teorie astronomiche, al- speculative sulla natura dei corpi celesti e
cune assolutamente in contrasto con quel- dei numeri e non a osservazioni astronomi-
le posteriori, altre che quelle moderne in che: il rapporto fra ragione ed esperienza
qualche modo anticipano, furono prodotte ancora difficile da definire.
per in prevalenza in base a considerazioni
Capitolo 3

Eraclito

La comprensione del pensiero di Eraclito resa assai difficile dalla condizione in


cui possediamo i suoi testi e dal fatto che non sappiamo neppure se essi appartenessero
a opere sistematiche (cio in forma di trattati) o a raccolte di aforismi (come imme-
diatamente appare dalla pregnanza e dallefficacia dei frammenti). Siamo comunque
di fronte al primo tentativo di individuare il principio come legge piuttosto che come
materia, sebbene poi esso venga identificato anche in un elemento fisico, e precisamente
nel fuoco.

3.1 Gli svegli e i dormienti


Eraclito, figlio di Blosone o, secondo alcuni, di Eracanto, nacque ad Efeso.
Fior nella 69:a olimpiade. Fu altero quantaltri mai e superbo [. . .]. Avendolo 2

i suoi concittadini pregato di dar loro le leggi, rifiut per la ragione che la
citt era ormai dominata da una cattiva costituzione. Ritiratosi nel tempio di 4

Artemide, si mise a giocare a dadi con i fanciulli: agli Efesi che gli si facevano
attorno, disse: Perch vi meravigliate, o malvagi? non forse meglio far questo 6

che occuparsi della citt in mezzo a voi?. Alla fine, per insofferenza verso
gli uomini, ritirandosi dalla vita civile visse sui monti, cibandosi di erbe e di 8

piante.
DK 22 A 1; trad. it. cit. pp. 179-80

1-9. Il frammento, puramente biografi- tribuire al pubblico progresso delle scienze,


co, lumeggia un tratto della personalit di Eraclito ritiene la conoscenza appannag-
Eraclito non privo di nessi con la sua filosofia; gio di pochi privilegiati: non dimentichiamo
luomo appare infatti scontroso quanto pre- neppure che egli era un aristocratico e che
suntuoso e sebbene questo sia da mettere doveva nutrire sfiducia nella possibilit di al-
in relazione anche con ragioni storiche e po- largare la partecipazione politica alla clas-
litiche (sembra che il suo amico Ermodoro se media. Anche lo stile conferma quanto
fosse esiliato per motivi politici dai cittadini di detto: esso oscuro, ellittico, tanto che Dio-
Efeso, cosa che il filosofo non perdon mai gene Laerzio ci racconta a proposito del
loro, come si legge in DK 22 B 121), certo suo libro (verosimilmente il trattato intorno
che egli possedeva una concezione elitaria alla natura) che egli aveva deciso intenzio-
del sapere, esattamente al contrario degli nalmente [. . .] di scriverlo in forma oscura,
Ionici. Se questi volentieri costituirono una affinch ad esso si accostassero solo quelli
scuola e noi stessi abbiamo visto Talete con- che ne avessero la capacit (DK 22 A 1).

14
I Presocratici 15

3.2 Il principio il logos


Di questo logos che sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima
di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; bench infatti tutte le 2

cose accadano secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte,


pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, 4

distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com. Ma agli altri


uomini rimane celato ci che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono 6

coscienti di ci che fanno dormendo.


DK 22 B 1; trad. it. cit. p. 194

1. questo verosimilmente il passo che 4-5. Nulla di ci che avviene pu con-


apriva il trattato eracliteo, tramandatoci, traddire il logos, ma questo non significa che
seppure non in forma del tutto identica, da per noi sia facile e tanto meno naturale o
parecchie fonti. In esso si annuncia la tratta- automatico rendercene conto; al contrario,
zione del , ovvero della natura profon- solo la filosofia pu consentirci di abbando-
da delle cose che tale logos incarna; questo nare le apparenze svelandoci lautentico
anzi lo stesso principio della totalit delle principio dellessere.
cose che Eraclito si accinge a svelare. Qual il modo per giungere alla com-
Si noter innanzitutto come tale princi- prensione del logos e per conseguenza di
pio sia indicato con un termine che indica il tutte le cose?: distinguendo ciascuna cosa
concetto e la parola piuttosto che una en- secondo natura e dicendo com, sugge-
tit fisica: esso, secondo una tendenza gi risce il metodo eracliteo. La totalit infatti
riscontrata in Anassimandro e Anassimene, non un aggregato casuale, mero muc-
discosto dalla dimensione dellesperienza chio, ma un sistema organizzato e organico
ordinaria. Come gi Aristotele aveva nota- (si ricorder che kosmos in greco equivale
to in DK 22 A 4, lavverbio che segue, quel ordine); sar dunque necessario individuare,
sempre ambiguamente collocato, potreb- al di sotto degli apparentemente scompo-
be esser unito sia a quanto precede (e allora sti oggetti ed eventi, la loro logica, la loro
alluderebbe alleternit del logos stesso) sia regola che appunto il logos: esso non
a quanto segue (e allora sarebbe unosser- evidente (B 123 ci avverte che la natura del-
vazione pessimistica sulle possibilit delluo- le cose ama celarsi e B 54 che Larmonia
mo di intendere correttamente il principio); nascosta vale pi di quella che appare) e
ma anche possibile che Eraclito stesso ab- richiede unadeguata analisi. Daltro canto,
bia giocato su questa posizione perch esso in significativo contrasto con la posizione in
fosse riferito in certo modo a entrambi. Le- qualche modo pessimistica dellavvio, qui
ternit del logos comunque indiscutibile, Eraclito sta proponendo tale ricerca, che ri-
mentre il trattato eracliteo vuole farne ve- tiene necessaria e possibile. Vedremo infine
nir meno loscurit e far s che gli uomini ne come, a differenza che nei Milesii, tale me-
abbiano intelligenza. todo si allontani dalla scienza naturale per
1-3 e 5-6. Non dobbiamo intendere ci farsi pura speculazione filosofica o, come
che segue come la negazione assoluta del- altri hanno suggerito, metafisica; in effetti
lintelligibilit del logos, cio lasserzione che n alla cosmologia n alla matematica il
in ogni caso gli uomini ne rimarranno igno- nostro filosofo dar significativi contributi.
ranti: in questo caso non sarebbe neppu- Per Eraclito, infine, limportante non la
re valsa la pena di scriverci sopra un testo. quantit delle conoscenze, ma lesatto co-
Gli uomini tentano di raggiungere una com- glimento del principio. Infatti egli, in polemi-
prensione di questo logos nei pensieri (formu- ca con la polimatia (cio la molteplicit dei
lati poi linguisticamente nelle parole del saperi) dei suoi predecessori, scrive fra laltro:
testo e realizzati in concreto nelle opere), Sapere molte cose non insegna ad avere
e nei fatti non possono che rispettarne le re- intelligenza: lavrebbe altrimenti insegnato
gole: di ci tuttavia non riescono ad avere ad Esiodo, a Pitagora e poi a Senofane e
coscienza. ad Ecateo (DK 22 B 40).
I Presocratici 16

3.3 Gli uomini e il logos


Bisogna dunque seguire ci che comune. Ma pur essendo questo logos
comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro 2

propria e particolare saggezza.


DK 22 B 2; trad. it. cit. p. 195

1-3. Questo frammento (conservatoci le conoscenze e delle nozioni, ma coglierne


da Sesto Empirico in forma non perfetta e la sottesa unit. Il logos la legge universale
dunque sottoposto a integrazione) ribadi- ed dunque comune a tutte le cose.
sce il carattere elitario della filosofia e della Aggiungiamo che questo rifiuto delle
comprensione del principio: non si tratta di apparenze e della superficialit non equiva-
un discrimine religioso, mistico o iniziatico, le per al ripudio dellesperienza sensibile,
come invece nel pensiero pitagorico, ma di che al contrario ritenuta comunque il pun-
natura esclusivamente intellettuale. Il difetto to di partenza della conoscenza filosofica,
fondamentale degli uomini la mancanza a patto che non ci si fermi a quanto sugge-
di consapevolezza: questi rimangono fermi risce immediatamente: Eraclito stesso dice
alle apparenze e a esse sono tanto avvezzi in DK 22 B 55: Preferisco quelle cose di cui
da non metterle mai in discussione, accet- c vista e udito (solo parzialmente con-
tandole acriticamente: cos fa luomo della traddicendosi in B 107). Tuttavia in campo
strada, ma anche lintellettuale. Ecco la criti- scientifico il filosofo si mostra meno sensibile
ca gravissima che Eraclito muove a Omero, a questesigenza rispetto a quanto non sia
ritenuto nellantichit classica quasi lenci- in ambito metafisico. infatti con assoluta
clopedia di ogni sapere, soprattutto morale indifferenza che egli accetta il sapere comu-
(cfr. DK 22 B 56, B 22 e B 105), agli altri poeti, ne ad esempio a proposito del sole, di cui
da Esiodo ad Archiloco e infine agli storici. scrive: Ha la larghezza di un piede umano
Infatti noi dobbiamo non sapere molte cose, (DK 22 B 3), senza verificare lattendibilit di
cio disperderci nella inutile molteplicit del- una simile credenza.

3.4 Luniversalit del logos


Ascoltando non me, ma il logos, saggio convenire che tutto uno.
DK 22 B 50; trad. it. cit. p. 208

1. Il filosofo non si propone qui come por- come individuale, privata; ha invece peso
tavoce della divinit, non presenta le pro- allorch riporta quanto il logos ad aver
prie convinzioni (a differenza di quanto far stabilito. Se, come abbiamo detto sopra, il
Parmenide) come dovute a una rivelazione filosofo propone anche un metodo (cio,
divina, bens direttamente al logos; in altre proprio nel senso etimologico, un cammi-
parole propone unesperienza che lui ha no) per avvicinarsi a questa conoscenza,
realizzato, ma che anche altri possono at- evidente che il sapere non sar oggetto
tuare se in possesso dellatteggiamento e di una mistica rivelazione, ma il risultato del
del metodo adeguato, cio, secondo la for- razionale procedere della ricerca umana,
mulazione di B 1, provandosi nelle parole la conquista da parte del graduale lavo-
e nelle cose corrette. La stessa parola del ro dellintelletto: questo ci sembra deporre
filosofo non ha alcun valore se appartiene a a favore della laicit dellimpostazione di
lui in quanto uomo, cio allorch si presenta Eraclito come dei Milesii.

3.5 La teoria del divenire


Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo.
I Presocratici 17

DK 22 B 49a; trad. it. cit. p. 207

1. questo uno dei celebri frammenti del in proposito in nostro possesso e dato che
fiume (in modo del tutto analogo anche DK la dottrina genuinamente eraclitea si con-
22 B 12 e B 91), ove leggiamo ancora una fonde nelle testimonianze con quella degli
volta la tesi della contraddittoriet del reale: eraclitei successivi, Cratilo in testa.
il dinamismo tipico delle cose fa s che ogni Tali frammenti comunque, come abbia-
processo sia ipso facto anche il processo op- mo anticipato, fanno senzaltro riferimento
posto. Questi testi espongono lidea che la non solo alla tesi del mobilismo universale,
realt sia collocata in un eterno fluire e in ef- ma anche a quella della struttura oppositiva
fetti un intendimento dinamico del principio della realt e sottolineano il carattere con-
reperibile in tutti questi primi pensatori, a traddittorio di ogni azione (poich noi nel
cominciare dagli Ionici: non siamo tuttavia fiume scendiamo e al contempo non scen-
in grado di precisare ulteriormente la forma diamo) e di ogni realt (infatti ogni cosa
che questa dottrina assume in Eraclito, data e insieme non ).
la grande scarsit della documentazione

3.6 La dottrina dei contrari


Lopposto concorde e dai discordi bellissima armonia
DK 22 B 8; trad. it. cit. p. 197

1. Il frammento, consegnatoci da Aristo- 29, 104, 34, 49, 59, 60, 62, 65, 67, 80, 88, 102,
tele, stato assai discusso dai critici, alcuni 103, 111, 117, 118, 126) e tratte dai campi
dei quali ne contestano la genuina matri- pi vari, dalle realt fisiche e astronomiche
ce eraclitea. Ma, al di l della questione a quelle umane in senso lato.
filologica, esso pare ben esprimere una te- Ci stiamo avvicinando al cuore della
si originale del nostro filosofo: i contrari non concezione eraclitea: i contrari, lungi dal lot-
solo lottano fa loro e si escludono reciproca- tare per la reciproca eliminazione, si richie-
mente: da un altro punto di vista possiedo- dono vicendevolmente, si attirano e accor-
no invece una loro segreta unit, che non dano: che cosa mai sarebbe infatti la luce
appare a uon sguardo immediato. Tutto ci senza il buio, o il suono privo del silenzio?
fa credere che i contrari fossero un aspet- solo dallopposizione che ogni realt trae il
to della realt particolarmente significativo suo senso e la sua stessa esistenza: infatti La
per questi primi pensatori, probabilmente malattia rende piacevole e buona la salu-
per la loro forte e diffusa presenza nei pi di- te, la fame la saziet, la fatica il riposo (B
sparati aspetti della natura: lalternarsi delle 111), dove lun contrario a rincorrere e a
stagioni come delle costellazioni, lopporsi valorizzare laltro, e pure Le cose fredde si
del giorno e della notte ovvero della luce scaldano, il caldo si fredda, lumido si secca,
e delloscurit, il ritmico susseguirsi delle co- ci che arido sinumidisce (B 126), dove
stellazioni e delle maree. A qualche decina evidente che sono le medesime cose ad
ammontano infatti le varie coppie di con- attraversare stati opposti.
trari enunciate da Eraclito (cfr. B 8, 10, 51, 72,

3.7 La guerra
Polemos padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come di e gli
altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi. 2

Bisogna per sapere che la guerra comune (a tutte le cose), che la giustizia
contesa e che tutto accade secondo contesa e necessit. 4
I Presocratici 18

DK 22 B 53 e B 80; trad. it. cit. pp. 208 e 213

1-2. Il logos identificato qui con la con- il contrasto fisiologico allessere. Ogni cosa
tesa: la regola costitutiva delle cose, che ne non solo e non tanto si oppone al proprio
determina il comportamento e ne governa contrario, ma vive grazie a esso. Che tutto
le relazioni con tutte le altre, il conflitto. Il sia e non sia, ovvero si trovi costantemen-
contrasto presente sia tra le cose sia allin- te aperto alla contraddizione, implica una
terno di ogni singola cosa: tale opposizione dinamicit del reale, un continuo divenire,
non tuttavia mera distruzione, ma al con- magari non evidente ma comunque essen-
trario essenza positiva, statuto ontologico. ziale e ineliminabile, pena il toglimento della
Tutto quanto ha luogo, come il prosieguo realt stessa; pertanto non cos strano o
indica, dovuto a . scorretto attribuire allo stesso Eraclito la tesi
3-4. Polemos non prevaricazione, vio- del divenire o flusso universale.
lenza distruttiva, bens la struttura delle cose:

3.8 Lunit dei contrari


Congiungimenti sono intero e non intero, concorde discorde, armonico
disarmonico, e da tutte le cose luno e dalluno tutte le cose. 2

Non comprendono come, pur discordando in se stesso, concorde: armonia


contrastante, come quella dellarco e della lira. 4

Una e la stessa la via allin su e la via allin gi.


DK 22 B 10, B 51 e B 60; trad. it. cit. pp. 198, 208 e 210

1-2. Questo frammento integra i prece- comprensione del suo significato non ne vie-
denti, poich se in quelli si spiegava la con- ne affatto ridotta. Qui il contrasto riportato
cezione oppositiva della realt ora Eraclito a unit e se ne afferma il carattere solo di su-
mostra la solidariet che soggiace allop- perficie, non essenziale. Perch limmagine
posizione, il carattere dellopposto concor- adottata quella dellarco e della lira? Tra
de ormai letto pi come concorde che co- le innumerevoli spiegazioni, due ci sembra-
me opposto e perci fondamento in modo no pi plausibili e non del tutto incompatibili:
unitario dellintera realt. in primo luogo perch i due oggetti simbo-
3-4. Il frammento (trascurando qui il pro- leggiano dei contrari fondamentali quali la
blema filologico della sua effettiva struttura: guerra e la pace (la lira qui strumento arti-
le due parti ci vengono date di seguito e stico, usato in tempi lieti). Secondariamente
con alcune differenze solo da Platone e perch la forma dei due oggetti, costitui-
da Ippolito, mentre altre citano o solo linizio ti entrambi da due bracci divergenti che
o solo la conclusione) un tentativo, uno tendono delle corde le quali a loro volta li
dei pi importanti, di spiegare il perch della fanno essere pi vicini e cio convergenti,
caratteristica contraddittoriet del reale, fi- affatto simile. Ne risulta un oggetto in cui
nora solo rilevata nellesperienza. Innanzitut- ogni contrasto vien fatto venir meno: esso
to: quale potrebbe essere il soggetto di cui il convivere stesso degli opposti che vertono
si rileva lapparente discordanza e la sostan- sulla medesima entit.
ziale concordanza? Senza considerare le 5. Tralasciando linterpretazione cosmo-
discussioni in proposito (che iniziano proprio logica di questo frammento (che dovrebbe
con lintegrazione operata dallo stesso Pla- in tale lettura descrivere i processi inversi del-
tone in forma differente nel Simposio, 187a, la cosmogonia a opera del fuoco), qui si
dove il soggetto ipotizzato luno, e nel So- ribadisce lidentit degli opposti e la loro
fista, 242d, ove invece lente), possiamo compresenza allinterno di ununica realt,
lasciare il frammento cos com poich la quale la strada. Analoghi, fra i tanti altri, B
I Presocratici 19

61: Il mare lacqua pi pura e pi impura: le e B 103: Comune infatti il principio e


per i pesci essa potabile e conserva la loro la fine nella circonferenza del cerchio.
vita, per gli uomini essa imbevibile e esizia-

3.9 Lordine universale come fuoco


Questordine universale, che lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra
gli di o tra gli uomini, ma sempre era e sar fuoco sempre vivente, che si 2

accende e si spegne secondo giusta misura.


Cangiamenti del fuoco: innanzi tutto mare, e del mare una met terra e 4

laltra met soffio infuocato.


Il fulmine governa ogni cosa. Giacch il fuoco sopraggiungendo, giudicher 6

e condanner tutte le cose.


DK 22 B 30, B 31 e B 63; trad. it. cit. pp. 202, 203 e 211

1-3. Perch proprio il fuoco la traduzio- meno uomo, ma esiste ab aeterno (sappia-
ne fisica del logos, come dice questo primo mo daltro canto come lidea di una creatio
frammento? I Milesii avevano offerto altre so- ex nihilo sia assente dalla cultura greca co-
luzioni, ma erano stati portati a effettuare le me da tutte le culture orientali antiche) e, se
loro scelte da motivazioni, come abbiamo parliamo della sua origine, non ci riferiamo
visto, di natura prevalentemente fisica. Ci alla sua nascita, bens alla sua conformazio-
sembra invece che sia una ragione specu- ne in base al disegno della ragione (che a
lativa a indurre Eraclito a optare per il fuoco: sua volta fuoco). Il fuoco dunque eterno
esso, pi di ogni altro elemento, sottoposto e ubiquo, intelligente e materiale al contem-
al contrasto e meglio di ogni altro lo incar- po, anche se non affatto chiaro come da
na concretamente, soggetto com ad ac- questa principio tutto sommato determina-
cendersi e spegnersi, a variare di continuo, to (almeno se confrontato con linfinito di
a elevarsi e discendere seguendo il ritmo Anassimandro) derivino gli altri elementi.
alterno della fiamma e vive della morte di 4-5. Clemente cos chiosa la sua citazio-
ci che brucia. Si legga a questo proposito ne di B 31, il nostro secondo frammento: Im-
DK 22 B 67: Il dio [. . .] muta come il fuoco, plicitamente egli [Eraclito] dice, infatti, che
quando si mescola ai profumi e prende no- il fuoco, ad opera del logos e del dio che
me dallaroma di ognuno di essi. Sul piano governa tutte le cose, trasformato, pas-
cosmologico, si alternano il periodo in cui sando per laria, in umido, che come il se-
il fuoco presente nella forma del manca- me dellordine universale e che egli chiama
mento (come suggerisce B 67) e cio si at- mare; da esso poi, a loro volta, nascono la
tua nelle cose innumerevoli del mondo e il terra, il cielo e le cose che vi sono contenute.
periodo in cui esso si realizza come saziet, Che poi di nuovo ripercorra il cammino al-
ovvero allorch tutto soltanto fuoco. lindietro e alla fine sinfiammi, chiaramente
Tra i vari problemi filologici che tale fram- lo mostra con queste parole: <La terra> si
mento ha suscitato, uno devessere qui men- liquefa come mare e si espande fino a quel
zionato: la triplice occorrenza del verbo es- punto a cui era prima di diventare terra.
sere da intendersi in senso esistenziale op- 6-7. In questultimo frammento il fuoco
pure semplicemente il predicato nominale visto in guisa di suprema legge naturale
che regge lapposizione, lespressione fuo- e il giudizio che esso opera devessere ri-
co sempre vivente (presente alla r. 2)? Gli tenuto assai simile alla giustizia dellinfinito
studiosi si dividono equamente fra una tesi di Anassimandro, ovvero dimensione preva-
e laltra e noi, senza la pretesa di optare per lentemente naturalistica: abbiamo forse di
luna o laltra possibilit, possiamo almeno fronte una ingenua e tenue ma gi operan-
riferire quanto c di sicuro: il cosmo non te distinzione fra la materia di cui le cose son
stato prodotto da nessuno, n Dio n tanto fatte e la norma cui obbediscono.
Capitolo 4

LEleatismo

4.1 Senofane
Facciamo iniziare lEleatismo con Senofane per ossequio alla tradizione, poich
sconosciuto il rapporto che egli intrattenne con gli Eleati. Non chiare sono infatti
le sue teorie ontologiche e la sua attenzione alla religione non la ritroveremo per
contro in alcun Eleata; ma anche qui reperibile quelluso autonomo della ragione e
quellindipendenza da qualsiasi tradizione che sono il principio della filosofia.

4.1.1 La critica alla fede tradizionale


Omero e Esiodo hanno attribuito agli di tutto quanto presso gli uomini
oggetto di onta e biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi reciprocamente. 2

Ma se i buoi <e i cavalli> e i leoni avesser mani e potessero con le loro mani
disegnare e fare ci appunto che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero 4

figure di di simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi, e farebbero corpi foggiati


cos come <ciascuno> di loro foggiato. Gli Etiopi <dicono che i loro di sono> 6

camusi e neri, i Traci che sono cerulei di occhi e rossi di capelli.


DK 21 B 11, B 15 e B 16; trad. it. cit. pp. 171 e 172

1-2. Questo frammento (insieme ad al- 3-7. I frammenti qui riportati, derivanti in-
cuni altri: cfr. DK 21 B 10 e B 12) una critica sieme a qualche altro (DK 21 B 14) da uno-
alla religione tradizionale: a Senofane pare pera intitolata Silli e citata in un papiro ma
assurdo che le divinit, che dovrebbero co- di cui non sappiamo nulla, esemplificano le
stituire per gli uomini modelli da emulare e celebri affermazioni di Senofane contro lan-
personificazioni dei valori a cui ispirarsi, siano tropomorfismo, ovvero labitudine di raffigu-
invece rappresentate nella poesia tradizio- rare gli di in forma umana, il che dovuto,
nale e vengano di conseguenza reputa- a suo giudizio, alla ingenuit e allignoranza
te nellopinione diffusa dei Greci come in degli uomini.
possesso di tutti i difetti tipici degli uomini.

4.1.2 La nuova idea del progresso


Non che da principio gli di abbiano rivelato tutte le cose ai mortali, ma
col tempo essi cercando ritrovano il meglio. 2

DK 21 B 18; trad. it. cit. p. 172

20
I Presocratici 21

1-2. Questo importante frammento si dalla barbarie alla civilt: paradigmatico il


pu intendere in modo adeguato ricordan- mito eschileo di Prometeo che ruba il fuoco
do che nella cultura arcaica, da cui Senofa- alla divinit.
ne inizia a prendere le distanze, le tecniche Non dobbiamo tuttavia dimenticare
si ritenevano non acquisizioni culturali dovu- che nel mondo classico anche coloro che
te allintelligenza, ma strumenti precostituiti, abbracciano la teoria razionalistica del pro-
intorno alla cui origine non si indagava. Nel gresso ritengono che il sapere sia comun-
pensiero mitico e nella poesia epica (ci que gi da sempre presente nella dimen-
vale in effetti sia per Omero che per Esiodo) sione del divino: seppure gli uomini possono
il sapere era stato rivelato da epoche im- accedervi gradualmente e solo grazie ai
memorabili dagli di agli uomini attraverso propri sforzi, manca lidea del guadagno
mediazioni particolari, come qualche eroe, del radicalmente nuovo.
cosicch gli uomini passavano dun tratto

4.2 Parmenide
Approfondendo le teorie degli Eleati ci renderemo ora conto della grande novit
da essi rappresentata, poich la ricerca presocratica abbandona lo studio immediato
della natura, ovvero il tentativo di identificare il principio, e si volge allanalisi delle
strutture logiche della realt.
Nei pensatori precedenti operava una insaputa sinergia di esperienza e ragione che si
occupava appunto del problema del principio. Con Parmenide invece ci si domanda dello
statuto epistemologico dellesperienza stessa, ovvero in che misura essa sia affidabile
come strumento di conoscenza. Il pensatore fa un passo indietro, pone una questione
preliminare di metodo: prima di affrontare il problema della conoscenza si pone quello
sugli strumenti mediante i quali si conosce.
Tutti i pensatori successivi a Parmenide non potranno esimersi dal confronto con
le sue posizioni, momento imprescindibile per ogni ricerca vuoi naturalistica, vuoi
ontologica.

4.2.1 La rivelazione della verit e i due sentieri


Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva
desiderare
mi fecero arrivare, poscia che le dee mi portarono sulla via molto celebrata 2
che per ogni regione guida luomo che sa.
L fui condotto: l infatti mi portarono i molti saggi corsieri 4
che trascinano il carro, e le fanciulle mostrarono il cammino.
[. . .] L una porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno, 6
e unarchitrave e una soglia di pietra la puntellano:
essa stessa nella sua altezza riempita da grandi battenti, 8
di cui la Giustizia, che molto punisce, ha le chiavi che aprono e chiudono.
[. . .] La dea mi accolse benevolmente, con la mano 10
la mano destra mi prese e mi rivolse le seguenti parole. . .

DK 28 B 1, vv. 1-5, 11-14, 22-23; trad. it. cit. pp. 269-70


I Presocratici 22

1-5 e 10-11. Perch Parmenide sente il cui non troviamo in effetti traccia nella loro
bisogno di presentare la sua filosofia in forma speculazione, se esso fosse invece in lui di
di poetica rivelazione divina (la sua poesia primaria importanza. Secondo lesegesi di
ha peraltro sempre incontrato giudizi nega- Sesto Empirico (che tutta questa parte del
tivi da un punto di vista letterario), il che evi- poema ci ha riportato ma che nella sua let-
dentemente assai di pi di retorica o di tura, risentendo del Fedro platonico, legge
mera finzione letteraria? Il filosofo necessita il mito parmenideo del carro e della dea in
del ricorso allaiuto della divinit, anzi non forte analogia con quello della biga alata),
potrebbe neppure arrivare a essa se fin dalli- fuor di metafora le cavalle rappresentano i
nizio non vi fosse la disponibilit della divinit desideri dellanima e lirrazionale tensione
in persona ad aiutarlo: egli, per incontrare la verso la conoscenza, che da sola restereb-
Dea, ha infatti bisogno del cocchio che ella be mera attrazione insoddisfatta; le fanciulle
gli mette a disposizione. Dallaltro lato laiuto che accompagnano il filosofo sono le sen-
divino non conferito a un uomo qualsiasi, sazioni. La giustizia, vista qui come punitrice,
ma a colui che ha dimostrato particolare la ragione e la Dea rivelatrice, che questa
predisposizione e interesse nella ricerca del- giustizia rispetta e a cui in certo modo sot-
la verit: possiamo cos pensare a una situa- tomessa, lindagine filosofica. Parmenide
zione di equilibrio fra la disponibilit del dio insomma muove prendendo in considera-
e liniziativa delluomo: una cooperazione, zione le due fonti della conoscenza, il senso
insomma, come qualcuno ha proposto. e lintelletto.
Non si tratta tuttavia di una forma di mi- 6-9. I sentieri della notte e del giorno de-
sticismo, di uniniziazione irrazionale, di un rivano allora (sempre seguendo Sesto Empi-
atteggiamento puramente religioso o fidei- rico) da queste due fonti: se noi ci affidiamo
stico (o sciamanico, come altri ancora si ai sensi, otteniamo una conoscenza falla-
espresso); il generale senso del divino co- ce, erronea e non percorreremo che la via
me numinoso, ma altres lassenza di un dio dellerrore; se, invece, ci muoviamo secon-
personale e il senso aperto e laico della do ragione, procederemo lungo la via del
ricerca si notano qui al pari che negli altri giorno per raggiungere la verit. Lallusione
testi presocratici analizzati fino a ora. alla Giustizia conferma la credenza di tutti
Sarebbe per di pi assai strano se in tutti i Presocratici nellesistenza di una generale
i maggiori discepoli di Parmenide vi fosse un legalit che governa per intero lessere.
abbandono totale dellaspetto religioso, di

4.2.2 Le cose da apprendere


Bisogna che tu impari a conoscere ogni cosa,
sia lanimo inconcusso della ben rotonda Verit 2
sia le opinioni dei mortali, nelle quali non risiede legittima credibilit.
Ma tuttavia anche questo apprenderai, come le apparenze 4
bisognava giudicasse che fossero chi in tutti i sensi tutto indaghi.

DK 28 B 1, vv. 28-32; trad. it. cit. p. 270

1-3. questo un passo, singolarmente messe da Parmenide, due sole possibilit,


pregnante, dellinizio del poema, in cui la richiamate luna dal verso sullanimo incon-
Dea rivela a Parmenide lessenza della veri- cusso della ben rotonda verit e laltra dal
t. Il primo, capitale problema che esso ha verso sulle opinioni dei mortali. Si tratta in-
posto agli interpreti stabilire quali e quante somma dei due sentieri menzionati allinizio
fossero le vie di indagine proposte al filosofo del poema, quello della notte e quello del
dalla dea: due o tre? Nellinterpretazione giorno: lessere non pu essere contraddet-
tradizionale, che ha dominato in modo si to come meglio emerger dal frammento
pu dire esclusivo lesegesi fino a non mol- successivo e allora o noi comprendiamo
ti decenni fa, si riconoscevano, come am- tale fondamentale regola che governa sia
I Presocratici 23

le cose (lontologia) sia il nostro pensare le pra considerate si affianchi una terza, quella
cose (la logica) sia infine il nostro parlare che riguarda le apparenze: queste ultime,
intorno alle cose (il linguaggio) o viviamo pur essendo contraddittorie rispetto alla rigi-
allinterno della contraddizione. Ci signifi- da legge dellessere, non sono neppure un
ca che esistono due soli ambiti, lessere e nihil absolutum, poich noi ne discutiamo
il non essere, questultimo totalmente sva- intelligibilmente. Questa seconda interpreta-
lutato di ogni plausibilit e credibilit; esso zione sostenuta, fra gli altri, da Reale, che
coincide col dominio dei sensi, incerti e sem- cos spiega: Tradizionalmente si inteso il
pre soggetti allimprecisione e allerrore, tali pensiero di Parmenide irrigidito in una po-
da farci credere che le cose insieme siano sizione di assoluta negativit nei confronti
e non siano. della . Sennonch di recente emerso,
4-5. Tuttavia si fatta ormai strada li- abbastanza chiaramente, che alcuni fram-
potesi che, in questo problematico luogo, menti dimostrano che il primo Eleate, pur
il filosofo si riferisca anche a unaltra possi- negando qualsiasi validit alla fallace opi-
bilit, descritta ai due versi successivi, ove nione dei mortali, era tuttavia niente affatto
si parla delle apparenze. Mentre nella tra- alieno dal concedere alle apparenze op-
dizionale lettura queste erano identificate portunamente intese una loro plausibilit e,
con le fallaci opinioni dei mortali, ora sem- quindi, dal riconoscere qualche validit ai
bra che il loro riferimento sia affatto diverso: sensi. Se cos, bisogna concludere, come
infatti, se lessere pu essere oggetto del- abbiamo gi accennato, che Parmenide,
la nostra considerazione ma non coincide, oltre alla Verit e alla Opinione fallace dei
come vedremo, col mondo delle cose mol- mortali, riconosceva la possibilit e la liceit
teplici e divenienti, e il non essere non si pu di un certo tipo di discorso che cercasse di
n pensare n dire, che cosa pensiamo e di dar conto dei fenomeni e delle apparen-
che cosa parliamo quando ci esprimiamo ze senza andar contro al grande principio,
intorno al mondo molteplice e diveniente? cio senza ammettere, insieme, lessere e
Tale considerazione ha suggerito ad al- il non-essere (Storia della filosofia antica,
cuni interpreti che in realt le vie alluse da Vita e Pensiero, Milano 19824, vol. 1, pp.
Parmenide siano tre, ossia che alle due so- 127-128).

4.2.3 Le vie della ricerca


Orbene ti dir e tu ascolta attentamente le mie parole,
quali vie di ricerca sono le sole pensabili: 2
luna <che dice> che e che non possibile che non sia,
il sentiero della Persuasione (giacch questa tien dietro alla Verit); 4
laltra <che dice> che non e che non possibile che sia,
questa io ti dichiaro che un sentiero del tutto inindagabile: 6
perch il non essere n lo puoi pensare (non infatti possibile),
n lo puoi esprimere. 8

DK 28 B 2; trad. it. cit. p. 271, qui modificata

1-5. Viene qui formulato il principio di Alcune letture hanno ipotizzato che Parme-
non contraddizione secondo Parmenide, nide si riferisca a due soggetti, sottintesi ma
che governa, come abbiamo detto poco non per questo meno presenti, ovvero les-
sopra, sia il dominio dellessere che quello sere e il non essere, mentre altri hanno obiet-
del pensare. I campi di cui qui parla il filosofo tato che ci non affatto necessario per
sono due, due le vie di ricerca. Ma di che intendere il significato del brano: infatti noi
cosa esse dicono rispettivamente che e ragionevolmente ci esprimeremo a propo-
che non , quale cio possiamo pensare sito di qualsivoglia entit se ne parleremo
sia il soggetto di queste due proposizioni? come di qualcosa che , mentre se le attri-
I Presocratici 24

buiremo il non essere, la renderemo per ci di per s contraddizione), e cio lessere.


stesso inesistente, impensabile, indicibile. Esemplifichiamo: di ogni realt molteplice
Su questultimo punto il testo parmeni- e/o diveniente io posso negare qualcosa: di
deo esplicito e tutto sommato chiaro: il questo foglio che sia rosso, di questa penna
pensiero pu pensare soltanto lessere e per- che sia una stilografica, e cos via; a pro-
ci il non essere non pu neppure venir con- posito di che cosa invece esclusa ogni
cepito: esso inintelligibile e di esso si pu negazione, se non dellessere?
dire solo che non . Si tratta di una negazio- Con questo principio il filosofo nega due
ne radicale, assoluta, che mette in campo dimensioni: il molteplice e il diveniente; en-
un non essere assoluto; in altre parole non trambi sono implicati nel gioco contraddit-
possiamo dire che ci sono lessere e il non torio e annichilitore della negazione. Nellaf-
essere, bens che lessere c e il non essere fermare il molteplice io infatti sostengo lesi-
non c: questultimo da intendere come stenza di innumerevoli realt di cui luna non
una realt privativa, non dotata di una sua laltra: dico di una cosa che non laltra
consistenza e che non pu conseguente- e ci appare contraddittorio a Parmenide,
mente ottenere una formulazione verbale. poich di una cosa che io non dovrei ne-
Ci comporta che luomo non pu com- gare nulla in nessun modo, non potendo
piere alcun discorso dotato di senso sul non attribuirle in alcuna forma il non essere. Nel-
essere e, se tenta di farlo, produce solo un lasserire il divenire io vengo a dire che una
insieme insignificante di suoni. cosa che era in un certo modo ora diver-
6-8. Lessere poi insieme quello delle sa da prima, o che sar diversa in seguito:
cose, del pensare e del dire: proprio in ma anche in questo caso dico, a proposito
virt del senso arcaico della unit di que- di qualcosa che , che non era o non sar,
ste tre dimensioni che Parmenide giudica attribuendole il non essere. Non sembrano
inattuabile negare verbalmente qualcosa pertanto darsi altre alternative: ma che co-
senza che tale negazione getti la propria sa bisogna allora pensare di quel discorso
grave ombra sulla cosa stessa. Se il discorso che pur noi di continuo pronunciamo intor-
su ci che c devessere incontraddittorio, no alle cose molteplici e divenienti e che,
allora esso deve riguardare solo ci intorno se intendiamo alla lettera quanto il passo
a cui non si pu produrre alcuna negazio- asserisce, non dovremmo neppure essere in
ne (poich per Parmenide ogni negazione grado di fare?

4.2.4 Lerrore dei mortali


Bisogna che il dire e il pensare sia lessere: dato infatti essere,
mentre nulla non ; che quanto ti ho costretto ad ammettere. 2
Da questa prima via di ricerca infatti ti allontano,
eppoi inoltre da quella per la quale mortali che nulla sanno 4
vanno errando, gente dalla doppia testa. Perch lincapacit che nel loro petto
dirige lerrante mente; essi vengon trascinati 6
insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi,
da cui lessere e il non essere sono ritenuti identici 8
e non identici, per cui di tutte le cose reversibile il cammino.

DK 28 B 6; trad. it. cit. pp. 272-3

1-2. Lapertura di questo passo ribadisce diato con lessere e la conoscenza inge-
lidentit del dire e del pensare con lessere: nuamente intesa come lovvio, fisiologico
per la mentalit arcaica non solo quella di processo di adeguazione del pensiero al-
Parmenide, ma della coscienza mitopoieti- lessere; ne risulta rigettato fin dal principio
ca e presocratica tutta il pensiero non pu lerrore. Se infatti sbagliando si pensa qual-
che coincidere in modo integrale e imme- cosa di diverso da come la realt , si pensa
I Presocratici 25

qualcosa che non : ma ci che non non scernere adeguatamente le erronee teorie
pensabile e dunque lerrore impossibi- su di esso prodotte dagli uomini per potersi
le da verificarsi. Il reale e il vero rimangono da queste guardare.
dunque indistinti, la loro identificazione non Secondo una diffusa lettura tale gen-
rappresenta un problema o un obiettivo pro- te va identificata con gli eraclitei, poich
blematico da raggiungere, bens levidente Eraclito, com noto, sosteneva una con-
punto di partenza. A ci si unisce unana- cezione del reale del tutto incompatibile
loga concezione del linguaggio, che de- con la dottrina parmenidea; indipendente-
ve, da parte sua, rispettare e rispecchia- mente da questa identificazione (peraltro
re lunit dellessere e del pensare; cosa e verosimile come la congettura di coloro che
parola coincideranno e assumeranno ruoli antepongono cronologicamente, sia pure
intercambiabili. di poco, Eraclito a Parmenide e che vedono
3. Nel prosieguo la Dea sempre il suo nel poema sacro di questultimo una pole-
discorso che Parmenide sta qui riferendo mica contro le teorie dellaltro), possiamo
ribadisce il divieto di praticare la via del non dire che il passo si rivolge contro tutti quan-
essere. ti ritenevano possibile spiegare lessere fa-
4-9. Ma un problema si ripropone: allor- cendo ricorso anche al non essere e alla
ch essa dice: eppoi inoltre da quella per loro contaminazione il divenire . La loro
la quale mortali che nulla sanno | vanno er- indecisione non ovviamente una carat-
rando, gente dalla doppia testa, sta para- teristica psicologica, bens una categoria
frasando quanto appena detto, alludendo filosofica: si tratta del fondamento sul quale
alla via del non essere, o si sta riferendo a un essi reputano possibile produrre una spiega-
altro tipo di errore? Forse la Dea vuole che il zione della totalit, giudicato assurdo senza
filosofo non solo abbia chiara la natura del remissione da Parmenide.
non essere, ma che sia pure in grado di di-

4.2.5 Le caratteristiche dellessere


Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
n labitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via, 2
a usar locchio che non vede e ludito che rimbomba di suoni illusori
e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina 4
che io ti espongo. Non resta ormai che pronunciarsi sulla via
che dice che . Lungo questa sono indizi 6
in gran numero. Essendo ingenerato anche imperituro,
tuttintero, unico, immobile e senza fine. 8
Non mai era n sar, perch ora tuttinsieme,
uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare? 10
Come e donde il suo nascer? Dal non essere non ti permetter n
di dirlo n di pensarlo. Infatti non si pu n dire n pensare 12
ci che non .

DK 28 B 8, vv. 1-13; trad. it. cit. pp. 274-5

1-5. La prima parte di questo frammen- da Parmenide a tutto vantaggio delluna


to una critica della conoscenza sensibile: sugli altri. Anche la Dea mette in guardia il
le credenze in cui noi fidiamo, a ci resi av- filosofo dal fare ricorso ai sensi e lo incita a
vezzi dalle ripetute esperienze, sono infatti valutare col raziocinio.
dimostrate impossibili e assurde dal ragiona- 5-13. Questi versi sono una parte della
mento. La riflessione non riesce a dar conto descrizione dellessere; se dapprima Parme-
dellesperienza e perci stesso la svaluta: il nide aveva asserito che dellessere si poteva
contrasto fra la ragione e i sensi deciso dire solo che esso era e nullaltro, ora tro-
I Presocratici 26

va una strada per renderlo maggiormente una forma del divenire, che gi abbiamo
comprensibile e a noi noto producendone escluso; inoltre lessere dovrebbe muoversi in
una descrizione, condotta sintende con uno spazio esterno, il che assurdo, poich
strumenti esclusivamente razionali. Lessere al di fuori di esso c il non essere, ovvero
innanzitutto ingenerato (r. 7): infatti, se fos- non c nulla.
se generato, lo sarebbe stato o dallessere o Il verso che afferma che Non mai era
dal non essere: ma dallessere non pu esser n sar (r. 9) di particolare interesse poi-
nato (come si legge poco pi sotto, alle rr. ch contiene il motivo del contrasto con
11-13), o si produrrebbe semplicemente un Melisso che analizzeremo pi sotto: lessere
regresso allinfinito, mentre dal non essere non conosce n il passato n il futuro perch
nulla pu nascere. Esso quindi imperituro essi sono forme della diversit, ossia del non
poich non gli pu accadere di annichilirsi: essere (col che scopriamo che Parmenide
dove infatti andrebbe a finire? quindi inte- nega recisamente anche il tempo, dimen-
ro e unico (r. 8) poich, se fosse distinto al sione propria del mondo dellopinione, ma
suo interno o molteplice, ciascuna delle sue impossibile da attribuire allessere): il passa-
parti non sarebbe le altre e verrebbe cos to infatti non pi e il futuro non ancora.
reintrodotta la molteplicit e perci stesso Lessere vive perci immerso in un eterno
il non essere (dal momento che ogni parte, presente e pu venir tradotto con limma-
in quanto particolare, non sarebbe le altre). gine del punto, con listantaneit che ci fa
Esso quindi immobile perch il movimento dire di esso che in un perenne ora.

4.2.6 Le opinioni dei mortali


la stessa cosa pensare e pensare che :
perch senza lessere, in ci che detto, non troverai il pensare: nullaltro infatti
o sar 2
eccetto lessere, appunto perch la Moira lo forza
ad essere tutto intiero e immobile. Perci saranno tutte soltanto parole, 4
quanto i mortali hanno stabilito, convinti che fosse vero:
nascere e perire, essere e non essere, 6
cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore.

DK 28 B 8, vv. 34-41; trad. it. cit. p. 276

1-4. Questi versi ribadiscono lidentit ne: la dea ora istruir Parmenide sulle opi-
del pensiero e dellessere che gi abbiamo nioni dei mortali. Resta da capire se queste
incontrato: la necessit di questa identifica- ultime coincidono senza residui col tentativo
zione, che non consapevolmente afferma- degli uomini stolti di parlare del non essere
ta o posta come esito di un ragionamento, e dunque non sono che il capitale errore,
bens accettata subito come un fatto ovvio, il peccato originale della filosofia, ovvero
personificata da una divinit chiamata costituiscono il lecito tentativo (pi o meno
Moira (che in greco significa destino). corretto a seconda che rispetti o no il prin-
4-7. I capitali versi in questione ci riporta- cipio di non contraddizione) di dar conto
no allinterpretazione del mondo dellopinio- delle apparenze.

4.2.7 La fisica delle apparenze


Con ci interrompo il mio discorso degno di fede e i miei pensieri
intorno alla verit; da questo punto le opinioni dei mortali impara 2
a conoscere, ascoltando lingannevole andamento delle mie parole.
Poich i mortali furono del parere di nominare due forme, 4
I Presocratici 27

delle quali una sola non dovevano e in questo sono andati errati ; ne
contrapposero gli aspetti e vi applicarono note
reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo 6
che dolce, leggerissimo, del tutto identico a se stesso,
ma non identico allaltro, e inoltre anche laltro [lo posero] per s 8
con caratteristiche opposte, la notte senza luce, di aspetto denso e pesante.
Questordinamento cosmico, apparente comesso , io te lo espongo compiuta-
mente, 10
cosicch non mai assolutamente qualche opinione dei mortali potr superarti.

DK 28 B 8, vv. 54-65; trad. it. cit. pp. 276-277, qui modificata

1-3. La Dea mantiene la promessa e tuata a un pi basso livello rispetto allessere,


spiega a Parmenide il presupposto su cui meritano che ne venga data ragione e biso-
sono fondate le opinioni dei mortali. gna farlo rispettando le generali regole della
4-5. I mortali, cercando di dar ragione ragione, ossia in chiave monistica. In questa
del divenire (il nascere e perire. . . del te- verace teoria del fallace (Calogero) noi
sto) e della molteplicit, hanno compiuto dobbiamo comunque rispettare il principio
unoperazione illecita: hanno fatto ricorso a fondamentale dellessere e ricorrere a una
un principio duale (si tratta delle due for- sola forma, che non produca opposizioni
me della r. 4) cui viene rivolta una critica e contraddizioni, dobbiamo cio assumere
per vero assai problematica e oscura fin dal un principio fisico non oppositivo.
punto di vista testuale. Infatti lespressione 2) La seconda interpretazione fa soste-
successiva (r. 5) pu essere resa secondo nere a Parmenide una cosmologia duali-
almeno tre diverse versioni: 1) di cui una stica: in altre parole, proprio per evitare di
[in particolare] non doveva nominarsi, ma costituire un aut-aut che, imponendo uno
laltra s; 2) di cui [delle due nozioni] una solo dei contrari, violerebbe il principio di
[sola] non doveva nominarsi, bens tutte e non contraddizione, il filosofo suggerisce di
due; 3) di cui non una doveva nominarsi, assumerli entrambi. Dal momento che qui
ovvero nessuna delle due. non propriamente dellessere si parla, ma
Su questo argomento la discussione solo delle apparenze, pu essere lecito ac-
tuttora aperta e le opinioni assolutamente cettare il modello pi diffuso e sviluppato
divergenti: 1) la prima traduzione presenta delle teorie fisiche dellepoca, quello dua-
un immediato problema poich, da un pun- listico, in particolare nella sua specie pita-
to di vista linguistico, lesistenza in greco del gorica. Anche qui tuttavia alcune difficolt
duale avrebbe portato Parmenide a usarlo si presentano: non si capisce infatti perch
se egli avesse inteso negare una (delle due) Parmenide, alla ricerca di una spiegazione
al fine di ammettere laltra (non fra molte, plausibile per le apparenze, lavrebbe rin-
ma appunto fra due), il che invece non ; venuta in un principio duale anzich in uno
inoltre non sarebbe del tutto convincente monistico che assai meglio si accorderebbe
per Parmenide assumere un principio deter- con la generale impostazione della sua dot-
minato dalla contrariet rispetto a un altro trina dellessere; inoltre i due contrari, seppu-
e cio subito esposto alla determinatezza re presi insieme, continuerebbero a negarsi
e alla negazione, poich noi apprendiamo lun laltro riproponendo la contraddizione.
dal testo che gli aspetti di queste due no- 3) Rimane la terza lettura: il passo inten-
zioni sono contrapposti e ciascuno dotato de in questo caso mettere in guardia i morta-
di note reciprocamente distinte. Al con- li dal praticare tutti i tipi di spiegazione di un
trario, sappiamo per certo che di ci che mondo, quello dellopinione, che in nessun
appartiene al campo dellessere dobbiamo modo pu esistere, essere pensato e detto.
poter dire solo che e non anche che non Il filosofo cio non tenta una fisica delle ap-
qualche cosaltro. Nondimeno le appa- parenze, ma protesta contro qualsiasi ten-
renze vanno spiegate in maniera plausibile: tativo di praticarla. Certo, in tal modo non
se godono di una qualche realt, seppure si- si sottrae Parmenide a una difficolt grave
I Presocratici 28

(ma anche le altre letture a nostro parere zione di questa cosmologia delle apparen-
non sono in grado di evitare contraddizio- ze: si tratta per vero, come ormai pi volte
ni): da un lato il filosofo, nellintendimento abbiamo sostenuto, del generale modello
rigido del suo principio di non contraddizio- dualistico a cui si erano ispirati molti dei pen-
ne, vieta di dire alcunch intorno al mon- satori precedenti, da Anassimandro ai Pita-
do dellopinione, ma poi non pu evitare gorici a Eraclito. chiaro che, a seconda
di incontrarsi con quello e di parlarne: tale del modo in cui sintende il passo che pre-
contraddittoriet rimane a nostro giudizio cede, si valuta questa cosmologia come
aperta e irrisolvibile, come dimostrano i suc- semplicemente riferita ovvero sostenuta da
cessivi tentativi, compiuti da Melisso e dai Parmenide: se il filosofo ammette e ricerca
Pluralisti, di riaccordare ragione (e principio una spiegazione plausibile delle apparenze,
di non contraddizione) ed esperienza. Inol- allora i due princpi del fuoco e della notte
tre non bisogna dimenticare che la dea sono effettivamente assunti; per i sostenitori
stessa che divide le cose in appartenenti al della terza lettura sopra esposta invece essi
campo dellessere e dellapparire, ricono- vengono qui riportati non asserendo sed re-
scendo e legittimando questultimo ambito, citando, cio semplicemente raccontando
sia pure in forma indiretta. un punto di vista diverso e avverso rispetto
6-11. Gli ultimi versi ci danno la descri- a quello parmenideo.

4.3 Zenone
Le argomentazioni zenoniane hanno dato filo da torcere non solo ad Aristotele,
che non risparmi a esse critiche aspre ma le cui confutazioni non sono mai apparse
risolutive, ma anche a filosofi della scienza nostri contemporanei come Grnbaum, i
quali hanno affrontato le aporie del discepolo di Parmenide avvertendone la sconcertante
modernit.

4.3.1 Linfinit un assurdo


Quanto allinfinit per la grandezza la mise in evidenza prima con la stessa
argomentazione. Dopo aver in precedenza mostrato che qualora lessere non 2

avesse grandezza neppure sarebbe [B 1], aggiunge: Se esiste, necessario


che ciascuna cosa abbia una certa grandezza e spessore e che in essa una parte 4

disti dallaltra. Lo stesso ragionamento vale anche della parte che sta innanzi:
anche questa infatti avr grandezza e avr una parte che sta innanzi. Questo 6

vale in un caso come in tutti i casi: nessuna infatti di tali parti sar lultima e
non possibile che non ci sia una parte a precedere laltra. Cos, se sono molti, 8

necessario che essi siano piccoli e grandi: piccoli fino a non avere grandezza,
grandi fino ad essere infiniti. 10

DK 29 B 2; trad. it. cit. pp. 303-4

1-3. La testimonianza, tratta dalla Fisica 3-10. Se lessere fosse molteplice, esso
di Simplicio, precede logicamente quella risulterebbe insieme infinitamente piccolo e
numerata da Diels come prima e che in- infinitamente grande. Piccolo, perch le uni-
vece la presuppone quanto al gioco del- t componenti, per essere veramente unit
le argomentazioni, come ormai pressoch cio semplici devono essere indivisibili
unanimemente si ritiene. Nel loro complesso, e tutto ci che ha una dimensione divi-
i due passi ci danno alcune delle critiche sibile. Quindi le singole parti di cui il molte-
zenoniane alla molteplicit e mostrano la plice composto devono essere inestese:
necessit che lessere sia uno e indivisibile. ma in questo caso la loro somma non po-
I Presocratici 29

tr che dare un risultato nullo e il molteplice ma tale processo va proseguito allinfinito (il
sar perci inesistente. Ma insieme tali parti corpo separatore sar a sua volta separato
saranno pure infinitamente grandi, poich da quelli che separa da ulteriori corpi e cos
per esistere devono possedere una qualche via), per cui una molteplicit finita di gran-
grandezza ed essere discoste dalle altre. La dezze sar al contempo una molteplicit
separatezza richiede che i corpi separati lo infinita di grandezze.
siano da una qualche entit, un terzo corpo:

4.3.2 La molteplicit non esiste


Una delle argomentazioni quella nella quale mostra che se c il molte-
plice, questo molteplice grande e piccolo: grande fino ad essere infinito in 2

grandezza, piccolo fino a non avere grandezza di sorta. In questa argomenta-


zione poi mostra che ci che non possiede n grandezza n spessore n massa 4

alcuna eppure esiste. Dice: Se infatti venisse aggiunto a un altro essere non
lo renderebbe per nulla maggiore. Difatti, non avendo esso grandezza alcuna, 6

quando venga aggiunto non possibile che nulla aumenti in grandezza. E


cos senzaltro ci che venne aggiunto non sarebbe nulla. Se poi quando venga 8

sottratto, laltro essere non diventer per nulla minore, e neppure, daltro canto,
quando quello venga aggiunto questo diventer maggiore, chiaro che non 10

era nulla n ci che venne aggiunto n ci che venne sottratto.


DK 29 B 1; trad. it. cit. pp. 302-3

1-3. Largomentazione mostra lassurdit te (provvisoriamente) lesistenza di quanto


del molteplice: se lessere dotato di gran- poi intende negare e argomentando intor-
dezza, cio continuo o ancora divisibile (ter- no alla sua struttura logica mostra che ne
mini qui da intendersi come sinonimi), allora conseguono contraddittori esiti. La sua di-
molteplice a causa di questa divisione fesa indiretta: egli non parte affermando
in parti; ma se nulla uno (cio indivisibi- lassurdit delle tesi degli oppositori di Par-
le), mancher la materia o le parti di cui la menide, ma assumendole e sviluppandole
molteplicit fatta e neppure essa potr in base alla loro stessa logica mostra che
esistere. Spiega infatti Filopono: Se infatti non sono affatto pi ragionevoli delle appa-
lessere non fosse uno e indivisibile, ma ve- rentemente sconcertanti posizioni parmeni-
nisse diviso in una molteplicit, nulla sareb- dee. Questa tecnica sar definita dialettica
be propriamente uno (se infatti il continuo e ben descritta in un passo del Parmenide
venisse diviso sarebbe divisibile allinfinito); di Platone: S, o Socrate disse Zenone.
ma se nulla propriamente uno, neppure Ma tu allora non hai colto affatto la vera
molteplice, se vero che la molteplicit intenzione dellopera [. . .] Questo scritto in
costituita di pi unit (DK 29 A 21). realt una difesa del ragionamento di Par-
3-11. Il testo prolunga largomentazione menide contro coloro che impresero a met-
offerta sopra: se il molteplice fosse costituito terlo in ridicolo [. . .] Dunque questo scritto
da parti nulle quanto allestensione, allora si contrappone a coloro che affermano la
esse, aggiunte o tolte, lascerebbero inva- molteplicit e rende loro la pariglia e ancor
riata lentit di partenza. In conclusione noi pi, volendo mostrar questo, che lipotesi
ci troviamo con un molteplice finito che, se della molteplicit sbocca a conseguenze
tentiamo di spiegare la sua costituzione, ri- pi ridicole dellipotesi dellunit, quando le
sulta essere o infinito o nullo. Come si visto, conseguenze siano tratte opportunamente
Zenone parte da un presupposto differen- (DK 29 A 12). La dialettica la pi efficace
te rispetto al maestro: in principio ammet- tecnica confutatoria.
I Presocratici 30

4.3.3 Il movimento non esiste


Quattro sono i ragionamenti di Zenone intorno al movimento, i quali
mettono di cattivo umore quelli che tentano di risolverli. Il primo intende 2

provare linesistenza del movimento per il fatto che loggetto spostato deve
giungere alla met prima che al termine finale: ma questo ragionamento noi 4

labbiamo demolito nei discorsi precedenti. Il secondo il cosiddetto Achille:


questo intende provare che il pi lento, correndo, non sar mai sorpassato 6

dal pi veloce: infatti, necessariamente, linseguitore dovrebbe giungere prima


l dove il fuggitivo balzato in avanti; sicch necessariamente il pi lento 8

conserva una certa precedenza. Questo ragionamento appunto quello della


dicotomia, ma ne differisce per il fatto che non divide in due anche la grandezza 10

successivamente assunta. [. . .] Ma, in realt, falso ritenere che ci che precede


non venga raggiunto: infatti, solo fin quando precede, non viene raggiunto; 12

ma tuttavia esso viene raggiunto, purch si ammetta che viene percorsa una
distanza finita. Questi sono, intanto, i primi due ragionamenti: il terzo quello 14

pocanzi citato, che, cio, la freccia, nellatto in cui spostata, sta ferma. Ma
questa conclusione si ottiene solo se si considera il tempo come composto da 16

istanti; se questo non si ammette, non ci sar sillogismo. Il quarto quello


delle masse uguali che si muovono nello stadio in senso contrario a quello di 18

altre masse uguali, le une dalla fine dello stadio, le altre dal mezzo, con eguale
velocit. E con questo ragionamento egli crede nel risultato che la met del 20

tempo sia uguale al doppio. Il paralogismo sta nel supporre che una uguale
grandezza venga spostata con uguale velocit in un tempo uguale sia lungo 22

ci che mosso sia lungo ci che in quiete. Ma questo falso.


Aristotele, Phys., VI (9), 9, 239b 5-240a 4 = DK 29 A 25-28; trad. it. Aristotele, Fisica,
Laterza, Bari 1973, pp. 160-161

1-2. Lampia e fondamentale testimo- sa avversa per svilupparla fino a mostrar-


nianza aristotelica non ci consente di ren- ne la contraddittoriet proprio la tecnica
derci conto se gli argomenti di Zenone fos- confutatoria (o dialettica) di Zenone; pro-
sero solo questi quattro o se a essi se ne cedura elenctica che il filosofo trae dalle
accompagnassero altri: ma tant. dimostrazioni per assurdo della geometria.
2-5. Il primo argomento stato detto 14-17. Il terzo argomento quello della
della dicotomia, poich implica che un freccia. Per intenderlo dobbiamo scompor-
corpo mosso debba, per arrivare a destina- re il suo moto in istanti sempre pi brevi: nel-
zione, compiere met dello spazio comples- lunit minima di tempo la freccia, secondo
sivo, ma prima di giungere alla met deve Zenone, star ferma, come accadrebbe se
arrivare alla met di questa met e cos al- noi osservassimo i fotogrammi di una ripresa
linfinito. Di conseguenza esso non arriver della corsa della freccia. Lobiezione del fi-
mai. losofo contro il movimento consiste perci
5-14. Il secondo argomento detto lA- in questo: se il moto della freccia non che
chille e propone una linea di pensiero assai la somma di tanti istanti in cui essa sta fer-
vicina a quella del precedente, fatto sal- ma, tale moto risulter insussistente. Poich
vo qualche particolare tecnico. Non sussi- la freccia sempre uguale a s, essa non
ste la contraddizione da alcuni paventata pu essere pi avanti di dove attualmente
fra questo argomento e la conclusione di non sia. Inoltre dobbiamo rilevare che il fina-
quello della dicotomia per il fatto che esso le riferimento al tempo pu essere genuina-
assume il movimento, poich non dobbia- mente zenoniano, ma anche introdotto da
mo pensare che Zenone lo faccia sul se- Aristotele per preparare le proprie obiezioni
rio. Al contrario, lassunzione della premes- al filosofo.
I Presocratici 31

19-23. Il quarto e ultimo argomento sione letta da un altro punto di vista- che
detto dello stadio; vi troviamo due blocchi un tempo semplice sia doppio e viceversa.
che si muovono di moto uguale e contra- Qui per noi pi facile individuare la de-
rio rispetto a un terzo blocco fisso. Il primo bolezza del ragionamento, poich il filosofo
blocco mobile percorrer nella medesima confronta contemporaneamente il primo
unit di tempo uno spazio semplice rispetto blocco mobile con due diversi riferimenti,
al blocco fisso e doppio rispetto a quello mo- uno fisso e laltro a sua volta mobile, anche
bile (per il fatto che esso a sua volta si spo- se qualcuno ha inteso cogliere in questar-
sta in direzione contraria). A Zenone sembra gomentazione una intuizione larvale della
che il medesimo corpo percorra nello stesso relativit dei sistemi di riferimento (il che ci
tempo uno spazio semplice e uno doppio, pare affatto improbabile).
il che assurdo, ovvero - la stessa conclu-

4.4 Melisso
Quanto sia subito risultata difficile da accettare la lezione parmenidea lo si evince da
tutto lo sforzo del suo discepolo Melisso di salvare il molteplice, o meglio di riformare
il presupposto logico-ontologico parmenideo in modo da poter offrire una legittimazione
di quel mondo delle apparenze tanto forte da risultare alla fine irrinunciabile per gli
uomini: la stessa dea infatti non manca di parlarne nel poema. Ha luogo col nostro
autore lavvio del processo di liberazione dal monismo ed egli pu a buon diritto
essere riconosciuto come lanello di congiunzione col naturalismo successivo, quello dei
Pluralisti.
Dallaffermazione delleternit non puntuale ma temporale dellessere discende
una importantissima conseguenza per lontologia: lessere rispetta il principio di
non contraddizione non perch uno, ma solo perch indiveniente. Infatti Melisso,
introducendo una novit del tutto eterodossa rispetto alla dottrina di Parmenide,
consentirebbe lesistenza del molteplice e perci non lo reputerebbe pi contraddittorio
a patto che esso fosse indiveniente, ovvero possedesse la caratteristica immutabilit
dellessere: Se ci fossero molte cose dovrebbero essere cos come appunto io dico che
luno (DK 30 B 8). Ci che Melisso sente come assurdo pi di ogni altra cosa
lalterarsi, poich esso fa sorgere ci che prima non cera (e da dove viene?) ovvero
sparire ci che prima cera (e dove va?), mentre di per s la singola realt particolare non
gli appare pi contraddittoria. Ma quando poi egli effettua la sua ricerca, verificando
se nel mondo delle cose plurali alcune di queste possiedano limmutabilit, non ne
trova alcuna cos qualificata ed costretto a ritornare allesito parmenideo, ovvero ad
affermare lessere come unica realt esistente negando tale predicato a tutte le entit
che i sensi ci forniscono.
Dal punto di vista logico tuttavia tale suo essere non ormai pi quello parmenideo
e apre una strada che i Pluralisti perseguiranno con maggior fortuna in vista della
giustificazione della realt empirica. La soluzione sar pensare il divenire attestatoci
dai sensi come il disporsi in aggregati diversi da parte di una indiveniente realt e non
invece il commercio fra lessere e il nulla, come il modificarsi e non invece il nascere e il
morire.

4.4.1 Linfinit dellessere


Sempre era ci che era e sempre sar. Infatti se fosse nato necessario che
prima di nascere non fosse nulla. Ora, se non era nulla, in nessun modo nulla 2

avrebbe potuto nascere dal nulla.


I Presocratici 32

Dal momento dunque che non nato ed e sempre era e sempre sar cos 4

anche non ha principio n fine, ma infinito. Perch se fosse nato avrebbe un


principio (a un certo punto infatti avrebbe cominciato a nascere) e un termine 6

(a un certo punto infatti avrebbe terminato di nascere); ma dal momento che


non ha n cominciato n terminato e sempre era e sar, non ha n principio n 8

termine. Non infatti possibile che sempre sia ci che non esiste tuttintiero.
DK 30 B 1 e B 2; trad. it. cit. p. 316

1-3. Nel passo leggiamo la pi nota con- lessere che viene quasi a coincidere con la
testazione di Melisso al suo maestro: secon- posizione dellex nihilo omne per la sua ac-
do questultimo lessere era sferico e finito, cettazione dellimprevisto, dellincondizio-
ma, a giudizio di Melisso, le caratteristiche nato, dellacausato): sia in Parmenide che
fondamentali che Parmenide stesso attribui- in Melisso in fondo assistiamo allaffermarsi
sce allessere contrastano con queste deter- di una mentalit causale nella spiegazione
minazioni. Se infatti niente pu sussistere al del tutto.
di fuori dellessere, niente pu costituire per 4-9. Queste righe presentano una linea
esso un limite, poich il non essere, non es- di ragionamento criticata fin dallantichit
sendoci, non pu svolgere alcuna funzione: (a cominciare da Aristotele, che vi individu
lessere risulta dunque infinito. In tal modo un vero e proprio errore) poich il filosofo
esso si estende illimitatamente allindietro e inizia attribuendo allessere linfinit nel tem-
in avanti e perci pu possedere un passato po allorch dice che non nato (r. 4), ma
e un futuro: la dimensione temporale, reci- poi slitta al piano spaziale deducendo che
samente negata da Parmenide, adesso non ha n principio n termine (r. 8): in
introdotta allinterno dellessere che assu- realt, per intendere lautentico significato
me la figurazione di una retta che si esten- dellespressione noi dobbiamo collocarci
de allindietro e in avanti. Lera e il sar in quella fase ancora aurorale del pensiero
non sono pi intesi come il prima e il do- quando spazio e tempo non erano cate-
po rispetto allessere, da ci viene dedotta gorie precisamente distinte e dove i termini
limpossibilit di una genesi e si passa co- convivevano in una dimensione unica. Anzi,
s dal presente alleterno. A ben guardare, in un altro luogo non riportato qui, Melisso
il meccanismo affatto parmenideo, dal riesce a dedurre tutti gli attributi dellesse-
momento che gi il maestro aveva asserito re secondo una linea di pensiero assoluta-
limpossibilit di unorigine del tutto dal nulla mente coerente e con una progressione pi
(rovesciando la pacifica, ingenua assunzio- chiara rispetto allo stesso Parmenide, dove
ne arcaica della presenza ab aeterno del- essi erano pi che altro enunciati insieme.

4.4.2 Unit del principio


Questo che abbiamo detto dunque massima prova che lessere soltanto
uno. Ma sono prove anche le seguenti. Se ci fossero molte cose dovrebbero 2

essere cos come appunto io dico che luno. Infatti, se c la terra e lacqua
e laria e il fuoco e il ferro e loro e una cosa viva e laltra morta e nera e 4

bianca e quante altre cose gli uomini dicono essere, se dunque tutto questo
esiste e noi rettamente vediamo e udiamo, bisogna che ciascuna di queste cose 6

sia tale quale precisamente ci parve la prima volta e che non muti n diventi
diversa, ma che ciascuna sempre sia quale precisamente . Ora noi diciamo di 8

vedere udire intendere rettamente. Invece ci sembra che il caldo diventi freddo
e il freddo caldo, il duro molle e il molle duro e che il vivente muoia e venga 10

dal non vivente e che tutte queste cose si trasformino e che ci che era e ci
che ora per nulla siano uguali; anzi che il ferro che pure duro, si logori 12

a contatto col dito, e cos loro e le pietre e ogni altra cosa che sembra essere
I Presocratici 33

resistente, e che allinverso la terra e le pietre vengano dallacqua. Cosicch ne 14

viene di necessit che noi n vediamo n conosciamo la realt. Perch non c


certo accordo in tutto questo. Mentre infatti diciamo che le cose sono molte ed 16

eterne e che hanno certi aspetti e resistenza, ci sembra che tutto si trasformi
e si muti da quel che ogni volta locchio ci fa vedere. chiaro dunque che 18

non rettamente vedevamo e che quelle cose non rettamente sembrano essere
molteplici; infatti non si trasformerebbero se fossero reali, ma ciascuna sarebbe 20

tale quale precisamente sembrava. Nulla infatti pi possente di ci che esiste


realmente. Ma se si trasforma, ecco che lessere per e il non essere nacque. Cos 22

dunque se ci fosse un molteplice esso dovrebbe essere tale quale appunto


luno. 24

DK 30 B 8; trad. it. cit. p. 319

1-8. Melisso muove da unammissione molteplice ma indiveniente, e ritorna alle


puramente ipotetica: se il molteplice esistes- posizioni ontologiche del suo maestro do-
se, esso dovrebbero essere come luno, ov- po averne comunque mantenuto la fon-
vero immutabile, escluso dal divenire come damentale tesi gnoseologica. Quando ve-
lessere parmenideo. Ma gi in questa ipo- diamo entit divenienti, crediamo di vede-
tesi la distanza da Parmenide importan- re entit realmente esistenti, ossia reali (r.
te e significativa, poich questultimo non 20): ma questo un errore, poich se ta-
aveva ammesso di principio n il diveniente li cose esistessero davvero non potrebbero
n il molteplice. Sembra invece che Melisso divenire.
potrebbe riconoscere piena dignit ontolo- 21-24. Che cosa allora esiste? Melisso
gica a un molteplice che fosse indiveniente. formula nuovamente la conclusione di Par-
Se cio rinvenisse in natura un principio fi- menide: soltanto lessere. Tuttavia ha di-
sico molteplice ma indiveniente, potrebbe schiuso una nuova possibilit, almeno sotto
ritenerlo a buon diritto essere e giustificare il profilo logico visto che essa non trova
grazie a esso il mondo empirico. invece riscontro su quello fisico: se ci fosse
8-14. Luomo ha una fiducia ingenua nei un molteplice tale e quale lessere (qui chia-
sensi, ma questi attestano incontestabilente mato luno), allora esso potrebbe essere
lesistenza del divenire. Ora, se la realt che ammesso. Mentre Parmenide aveva escluso
dai sensi risulta deve appartenere appunto nella stessa, totale misura, sia il molteplice
allambito dellessere, non pu venire a tro- sia il diveniente, Melisso fermo solo nella
varsi soggetta al divenire. La conclusione recisa negazione del secondo: il tempo che
del tutto parmenidea: le entit che i sensi fa mutare le cose le precipita nel nulla, ma
mostrano divengono, dunque non possono se vi fossero entit immutabili diverse, laf-
essere. fermazione secondo cui luna non sarebbe
14-21. qui formulata in termini esplici- laltra non viene pi precepita da Melisso
ti la tesi dellinaffidabilit della conoscenza come contraddittoria. Saranno i Pluralisti a
sensibile. Melisso dunque ha appurato che trasformare questa astratta prospettiva in
nel mondo empirico non c nulla che sia una nuova forma di naturalismo.
Capitolo 5

I fisici pluralisti

La concessione di Melisso sussiste, come abbiamo visto, su di un piano esclusiva-


mente logico. Sta ai Pluralisti inverare tale concessione nellambito fisico. Essi infatti
credono di ravvisare un principio costituito da pi elementi (le radici dellessere di
Empedocle, le omeomerie di Anassagora e gli atomi di Democrito) e dunque aprono
allammissione del molteplice, i quali elementi restano tuttavia in se stessi immutabili
come lessere parmenideo.
Lesperienza ha adesso un fondamento logico incontraddittorio perch la congerie
delle entit che lesperienza ci attesta e che sono soggette al divenire si ancora a degli
elementi stabili. Lammissione del divenire non contraddice pi Parmenide perch
non commercio fra lessere e il nulla, ma solo laggregarsi e il disgregarsi in forme
contingenti e diverse di elementi perenni e immutabili. In tal modo si salvaguardano le
istanze logiche parmenidee ma, al contempo, si mette fine allanatema sullesperienza: i
Pluralisti attuano cos il programma del .

5.1 Empedocle
Filosofo apparentemente meno ricco e nuovo rispetto agli altri esponenti del cosiddet-
to pluralismo e meno stimato nellantichit, Empedocle conosce oggi una rivalutazione
dovuta al riconoscimento dellinfluenza assai vasta che ebbe in ambito non tanto
filosofico in senso stretto, quanto culturale, religioso e letterario nel mondo romano.

5.1.1 I quattro elementi del principio


Empedocle pone quattro elementi, aggiungendo la terra come quarto, ol-
tre i tre gi detti [cio acqua, aria, fuoco]. Dice infatti che essi permangono 2

sempre identici e non divengono, fuorch per quantit e piccolezza, in unit


aggregandosi e da ununit separandosi. 4

DK 31 A 28; trad. it. cit. p. 339

1-2. Arduo stabilire le motivazioni per cui tali o, come diremmo oggi, primari (il che
quattro e proprio questi sono gli elementi ri- pare, seppure piuttosto oscuramente, con-
tenuti da Empedocle originari: stata avan- fermato da alcune testimonianze quali DK
zata lipotesi che si tratti di una derivazione 31 A 69a e A 92), n egli adeguatamente
dai quattro colori ritenuti allora fondamen- ne distingue caratteristiche e propriet (cfr.

34
I Presocratici 35

B 21, in cui tuttavia avanza qualche rilievo 2-4. Gli elementi originari rimangono im-
di carattere empirico a sostegno della sua mutati e questo laspetto eleatico di Em-
tesi). Singolarmente presi, questi elementi so- pedocle: anchegli non ammette infatti la
no gi riscontrabili in altri pensatori: lacqua contaminazione dellessere col nulla e dun-
in Talete, laria in Anassimene, il fuoco nei que il divenire va altrimenti spiegato. Esso
Pitagorici e in Eraclito, la terra nellelemento finisce per essere aggregazione e sepa-
freddo (notturno) della cosmologia par- razione di elementi originari in s sempre
menidea, ma certo non possiamo ritenere identici e di cui varia solo lo stato in relazio-
che egli li abbia sincretisticamente raccolti, ne agli altri, mentre non esistono il nascere
troppo diversi essendo il suo metodo e i suoi e il morire in senso assoluto. Come infatti
presupposti. invece sicuro e ampiamente asserisce B 17, ogni cosa mortale si forma
documentato che sia stato il primo a par- da elementi immortali. Scrive Empedocle:
lare di questa serie di quattro come di un Fanciulli! breve volo hanno i loro pensieri
tutto unitario, denominato nel suo insieme | essi credono che possa nascere ci che
: egli cos inaugura prima non era, | o che alcuna cosa perisca
quel gruppo di fisiologi che chiamiamo plu- e si distrugga del tutto (DK 31 B11, ma cfr.
ralisti, come invece sono stati definiti monisti anche B 12). Empedocle, seguendo Parme-
coloro i quali reputavano essere uno solo il nide, non ammette il divenire inteso come
principio. Questi elementi sono ovviamen- sorgere dal nulla o finire nel nulla, ma in base
te da considerarsi primi e non vi deriva- alla logica di Melisso lo riconosce come va-
zione reciproca delluno dallaltro, come ci riare dello stato di realt perenni, le quattro
attesta Aristotele (Gen. et corr., I, 8, 325 b). radici dellessere.

5.1.2 LAmicizia e la Contesa


Ed Empedocle fa un maggior uso delle cause che non costui [scil. Anassa-
gora], ma non ancora in maniera sufficiente, n in esse si ritrova quanto prima 2

gi stato stabilito: spesso in effetti per lui lamicizia separa, mentre la contesa
unisce. Quando infatti il tutto a causa della Contesa si distingue negli elementi, 4

allora il fuoco si riunisce in ununica massa e cos ciascuno degli altri elementi;
quando poi, a causa dellAmicizia, gli elementi si riuniscono di nuovo nelluno, 6

necessario che di nuovo si separino parti da ciascuno di essi. Empedocle,


a differenza di quanti lo precedettero, per primo introdusse la distinzione 8

allinterno della causa, ponendo non gi un unico principio del movimento,


ma altri due diversi e contrari. E ancora per primo disse che quattro sono gli 10

elementi considerati sotto la specie materiale.


DK 31 A 37; trad. it. cit. p. 343-4

1-7. Leggiamo qui da un lato la posizio- al modo di Eraclito (cfr. su questo la chia-
ne di Empedocle e dallaltro, indistricabil- ra testimonianza di Platone, Sofista, 242d).
mente connessa, la critica di Aristotele; dob- Il testo ci riferisce brevemente dei due pe-
biamo cercare, in sede interpretativa, di se- riodi estremi della cosmologia, quando la
pararle. Se infatti valutiamo questa testimo- Contesa e lAmicizia dominano.
nianza alla luce di B 17 (v. 1 sgg.) capiamo 7-11. Aristotele ci fa cogliere un aspet-
che per il nostro filosofo le cose risultano sia to che in Empedocle pare effettivamente
dallaggregazione che dalla separazione, presente, ancorch solo in nuce: mentre nei
ma non anche che ogni nascita perci il pensatori precedenti il principio svolgeva
perire di uno stato precedente come il mo- tutti i compiti riguardanti la genesi e la costi-
rire il formarsi contemporaneo di qualco- tuzione strutturale delle cose, ora troviamo
sa di nuovo. Questo non significa pertanto, distinti ci di cui le cose sono fatte, ossia la
come Aristotele scrive fraintendendo, che materia, da ci da cui le cose sono fatte,
Empedocle tenda a identificare i contrari ossia la causa.
I Presocratici 36

5.1.3 Il ciclo del cosmo


Duplice cosa dir: talvolta luno si accrebbe ad un unico essere da molte
cose, talvolta poi di nuovo ritornarono molte da un unico essere. Duplice 2

la genesi dei mortali, duplice la morte: luna generata e distrutta dalle


unioni di tutte le cose, laltra prodottasi, si dissipa quando di nuovo esse 4

si separano. E queste cose continuamente mutando non cessano mai, una


volta ricongiungendosi tutte nelluno per lAmicizia, altre volte portate in 6

direzioni opposte dallinimicizia della Contesa. <Cos come luno ha appreso a


sorgere da pi cose> cos di nuovo dissolvendosi luno ne risultano pi cose, 8

in tal modo esse divengono e la loro vita non salva; e come non cessano di
mutare continuamente, cos sempre sono immobili durante il ciclo. [. . .] Tutte 10

queste cose sono eguali e della stessa et, ma ciascuna ha la sua differente
prerogativa e ciascuna il suo carattere, e a vicenda predominano nel volgere del 12

tempo. E oltre ad esse nessuna cosa si aggiunge o cessa di esistere: se infatti si


distruggessero, gi non sarebbero pi; e quale cosa potrebbe accrescere questo 14

tutto? e donde venuta? e dove le cose si distruggerebbero, dal momento che


non vi solitudine [vuoto] di esse? ma esse son dunque queste [che sono], 16

e passando le une attraverso le altre, divengono ora queste ora quelle cose
sempre eternamente uguali. 18

DK 31 B 17, vv. 1-12 e 26-34; trad. it. cit. pp. 377-8

1-9. Il divenire inteso da Empedocle sostanze corporee (in questo momento non
come caratterizzato da un andamento cicli- si distingue ancora fra lastratto e il concre-
co: periodicamente le cose si raccolgono, to), mescolate alle altre cose (tanto poco
con moto progressivo, nellunit di un solo chiaramente il concetto di causa distinto
corpo, lo Sfero, e quindi subiscono un pro- da quello di sostanza); inoltre, entit definite
cesso, analogo e inverso, di disgregazione ma mescolate alle cose, non hanno assunto
raggiungendo la separazione assoluta. Le netta emancipazione rispetto alla concezio-
due forze che operano in questo processo ne del dio personale della mitologia dellet
iterantesi allinfinito sono, com noto, Ami- classica. Queste due figure non rappresen-
cizia e Contesa: non basta riconoscere che tano unallegoria dellaccadere naturale,
il divenire dovuto al rapportarsi in certe ma sono intese come davvero esistenti dal
forme degli elementi materiali, ma si deve filosofo. Il loro operato si svolge secondo una
anche chiarire perch ci avvenga. Lidea legge necessaria, espressa in differenti modi
non del tutto inedita, dal momento che, (la legge e divino decreto di DK 31 B 115, il
ad esempio, anche Anassimandro aveva giuramento o contratto inviolabile di B 30),
reso operante la capacit cosmogonica per cui Empedocle mostra di essere in pos-
dellinfinito attraverso un vortice ecc. Ma sesso di una peraltro non sempre chiara e
qui per la prima volta alla forza causale si adeguatamente generalizzata teoria fisica
riconosce esplicitamente una dignit pari di carattere deterministico.
alla materia che principio. Tuttavia Empe- 9-10. Lo sfondo parmenideo di tutta
docle non riconduce la dinamica della na- questa teoria del divenire viene a questo
scita e della morte a ununica causa, bens punto nuovamente espressa poich le cose
a due, ancora una volta per uno scrupolo di son dette insieme mutare a restare immobili
matrice eleatica: le cause hanno da essere nellintero ciclo delle trasformazioni.
originariamente diverse e ciascuna in pos- 10-18. La conclusione insiste sul carat-
sesso di una sua immutabile e non ambigua tere eterno e immutabile della totalit, che
natura (al pari dellessere parmenideo). Tali non ammette alcun rapporto fra essere e
forze vengono personificate come due enti- non essere, come abbiamo visto sopra.
t divine, ma sono quindi intese al modo di
I Presocratici 37

5.2 Anassagora
Grosse novit speculative sono presenti in questo pensatore che rovescia la tradi-
zionale impostazione della fisica sino a questo momento seguita da tutta la filosofia
presocraticica.

5.2.1 Le omeomerie sono il principio


Dal momento che Anassagora pone come princpi le omeomerie e Democri-
to gli atomi, infiniti per numero luno e laltro, indagando dapprima lopinione 2

di Anassagora, [Aristotele] ci indica anche il motivo per cui Anassagora giun-


to a tale supposizione e dimostra che lui deve dire che non solo il miscuglio 4

intero infinito per grandezza, ma anche ciascuna omeomeria, in quanto ha


allo stesso modo del miscuglio intero tutti i componenti e non solo infiniti, 6

ma infinite volte infiniti. A tale concezione Anassagora giunse perch riteneva


che niente si produce dal non ente e che ogni cosa si nutre del simile. Vedeva 8

infatti che tutto viene dal tutto, anche se non immediatamente ma secondo
un ordine (in realt dal fuoco laria, dallaria lacqua, dallacqua la terra, dalla 10

terra la pietra e dalla pietra di nuovo il fuoco e anche dando lo stesso cibo, ad
esempio il pane, molte cose e dissimili si producono, la carne, le ossa, le vene, i 12

nervi, i capelli, le unghie, le ali, e, se se ne d il caso, anche le corna, e in effetti


il simile si accresce mediante il simile). Perci suppose che fossero nel cibo e 14

che anche nellacqua, se di questa si nutrono gli alberi, ci fosse legno, corteccia,
frutta. Quindi diceva che ogni cosa mescolata in ogni cosa e che la nascita 16

avviene per separazione. [. . .] Vedendo dunque che da ciascuna di quelle cose


che adesso risultano dalla divisione tutte le cose si separano, ad esempio dal 18

pane la carne, lossa e il resto, quasi che in esso pane tutte le cose si trovino
nello stesso tempo e mescolate insieme, da ci egli supponeva che tutte le cose 20

fosser mescolate insieme prima della separazione.


DK 59 A 45; trad. it. cit. pp. 573-4

1-7. Anassagora non si accontenta del- zioni, linfinita variet delle realt empiriche
lunico principio dei monisti, ma neppure (avrebbe in questo caso potuto porne dieci,
della quadruplice radice dellessere di Em- venti, cento anzich infiniti), quanto per una
pedocle, come con chiarezza ci indica Sim- motivazione logica che ha Parmenide alla
plicio, autore di questa testimonianza; in un base. Il filosofo sente come contraddittorio
altro luogo della Fisica questi aveva infatti che qualcosa possa derivare da qualche
scritto: i princpi corporei [Anassagora] fe- cosa daltro: se cio una entit, poniamo
ce infiniti: infatti tutti gli omeomeri, come ac- della carne, derivasse come composto dal
qua o fuoco o oro, sono ingenerati e incor- combinarsi di altre sostanze che non sono
ruttibili, ma appaiono prodursi e distruggersi carne, deriverebbe da cose che non sono
solo mediante composizione e separazio- essa, cio dal suo non essere, il che vie-
ne, giacch tutti si trovano in tutte le cose tato dal principio parmenideo di non con-
e ogni cosa caratterizzata da ci che in traddizione; ogni cosa invece non pu che
essa predomina. Cos oro appare ci in cui derivare dalla sua stessa natura, deve ave-
c molto oro, anche se vi si trovano tutti re un principio distinto e a essa congenere
(DK 59 A 41). La ragione di natura con- come origine.
cettuale, non empirica. Infatti Anassagora Per conseguenza non soltanto nella ma-
non richiede un maggior numero di princ- teria originaria e unica c tutto, come nel-
pi perch reputa i quattro di Empedocle linfinito di Anassimandro ecc., ma anche
insufficienti a costituire, in differenti composi- in ogni singolo elemento delle materie che
I Presocratici 38

noi constatiamo nella nostra esperienza: co- e separazione di elementi eterni che, di per
me ci suggerisce il celebre frammento DK s, rimangono immutabili, essendo nel suo
59 B 6, in ogni [cosa] ci potranno essere intendimento (ancora una volta di chiara
tutte [le cose]. Tale singolo elemento, chia- matrice eleatica) vietato ogni rapporto tra
mato omeomeria per quanto vi siano lessere e il nulla.
seri dubbi sul fatto che tale espressione si 17-21. Il processo di formazione delle co-
possa far risalire allo stesso Anassagora, che se ha luogo come separazione dallorigi-
usa in suo luogo semi () oppu- naria unit detta migma (cfr. DK 59 B 13),
re lancor pi generico sostanze o cose secondo un principio nuovo rispetto a tutti
(), e non invece ad Aristotele gli altri pensatori che abbiamo fino a ora
perci dotato di una precisa connotazione incontrato. il filosofo stesso a esprimere il
qualitativa che rispecchia in pieno le carat- suo punto di vista su ci con queste parole:
teristiche che noi riscontriamo nella nostra Del nascere e del perire i Greci non hanno
esperienza quotidiana. una giusta concezione, perch nessuna co-
7-17. Lo spunto per questa considerazio- sa nasce n perisce, ma da cose esistenti
ne viene ad Anassagora dalla nutrizione: [ogni cosa] si compone e si separa. E cos
facilmente rilevabile che a noi, mangiando dovrebbero propriamente chiamare il na-
carne, crescono unghie e capelli, e dal mo- scere comporsi, il perire separarsi (DK 59 B
mento che tali nature non possono derivare 17). Ci consente ad Anassagora di salvare
dalla carne, che rispetto a loro altro, sia- il molteplice attribuendogli un tipo partico-
mo costretti a pensare che nella carne siano lare di divenire (che non contamina lessere
nascosti, cio contenuti in piccole quanti- col nulla) e al contempo di non violare il
t non percepibili, anche unghie e capelli. principio parmenideo, almeno nella sua pi
Come tutti gli altri pluralisti il filosofo intende liberale versione melissiana.
la nascita e la morte come aggregazione

5.2.2 Lintelligenza ordinatrice e il cosmo


Insieme erano tutte le cose, illimiti per quantit e per piccolezza, perch
anche il piccolo era illimite. E stando tutte insieme, nessuna era discernibile a 2

causa della piccolezza: su tutte predominava laria e letere, essendo entrambi


illimitati: sono infatti queste nella massa totale le pi grandi per quantit e per 4

grandezza.
Tutte le altre [cose] hanno parte a tutto, mentre lintelletto alcunch di 6

illimite e di autocrate e a nessuna cosa mischiato, ma solo, lui in se stesso.


Se non fosse in se stesso, ma fosse mescolato a qualcosaltro, parteciperebbe di 8

tutte le cose, se fosse mescolato a una qualunque. Perch in ogni [cosa] c parte
di ogni [cosa], come ho detto in quel che precede: le [cose] commiste ad esso 10

limpedirebbero di modo che non avrebbe potere su nessuna cosa come lha
quand solo in se stesso. Poich la pi sottile di tutte le cose e la pi pura: ha 12

cognizione completa di tutto e il pi grande dominio e di quante [cose] hanno


vita, quelle maggiori e quelle minori, su tutte ha potere lintelletto. E sullintera 14

rivoluzione lintelletto ebbe potere s da avviarne linizio. E dapprima ha dato


inizio a tale rivolgimento dal piccolo, poi la rivoluzione diventa pi grande e 16

diventer pi grande. E le [cose] che si mescolano insieme e si separano e si


dividono, tutte lintelletto ha conosciuto. E qualunque [cosa] doveva essere e 18

qualunque fu che ora non , e quante adesso sono e qualunque altra sar, tutte
lintelletto ha ordinato, anche questa rotazione in cui si rivolgono adesso gli 20

astri, il sole, la luna, laria, letere che si vengono separando. Proprio questa
rivoluzione li ha fatti separare e dal raro per separazione si forma il denso, 22

dal freddo il caldo, dalloscuro il luminoso, dallumido il secco. In realt molte


[cose] hanno parte a molte [cose]. Ma nessuna si separa o si divide del tutto, 24
I Presocratici 39

luna dallaltra, ad eccezione dellintelletto. Lintelletto tutto uguale, quello


pi grande e quello pi piccolo. Nessunaltra [cosa] simile ad altra, ma 26

ognuna ed era le [cose] pi appariscenti che in essa sono in misura massima.


DK 59 B 1 e B 12; trad. it. cit. p. 602

1-5. Anassagora immagina che in ori- dosi separa inconsapevolmente il pesante


gine tutto esista mescolato e costituito da dal leggero, qui per separare il pesante
parti tanto piccole da rendere impossibile dal leggero che il vortice si mette in moto,
lidentificazione di alcuna qualit determi- seguendo un predefinito disegno.
nata. Da questa massa originaria (chiamata 13-27. Non diamo grande spazio alla
) come si passa alla precisa organiz- dottrina cosmologica di Anassagora, che
zazione del cosmo, qual il motivo per cui interess gi gli antichi meno di altri aspetti
ha luogo la separazione? del suo sistema, non presentando elementi
6-14. Il principio in questione devessere davvero nuovi rispetto ad altre cosmologie,
unitario come unico e coerente il mondo soprattutto quella di Anassimene, che ven-
che origina e devessere separato per poter ne subito riconosciuta come il suo pi diretto
conservare il suo potere su tutto, laddove antecedente. Basti ricordare che la forma-
se fosse mescolato avrebbe valore e ca- zione del mondo dovuta a un movimento
pacit paritetiche al resto e non varrebbe rotatorio prodotto dallIntelligenza in un pun-
come matrice di discernimento e di organiz- to determinato e poi propagatosi a tutta la
zazione. Esso viene chiamato , che noi massa materiale originariamente indetermi-
parafrasiamo con lespressione Intelligenza nata, da cui si distinguono in una prima fase
ordinatrice. le solite coppie di contrari: il raro e il denso, il
LIntelligenza organizzatrice pura, cio freddo e il caldo, loscuro e il chiaro, lumido
non composta, sempre uguale a se stessa, e il secco. Per effetto del moto rotatorio il
onnisciente nonch dotata di illimitato pote- denso e umido va al centro e il rado e cal-
re. La sua funzione centrale di essere forza do verso la periferia (cfr. DK 59 B 15), il caldo
cosmogonica che dispone il mondo (que- produce vapori, i vapori lacqua, questa la
sto non poteva essere frutto del caso, tanto terra e infine da essa la roccia. Il moto ro-
ordinato e armonico si presentava) secondo tatorio strappa alcune masse rocciose che
una modalit intelligente (per lo stesso moti- per il calore prodotto dal moto vorticoso di-
vo esso non poteva obbedire a una cieca vengono gli astri: tutto spiegato mediante
necessit naturale). Non del tutto chiaro una chiara progressione meccanica.
dai testi di Anassagora in nostro possesso se La teoria di Anassagora soffre cos di
egli intendesse poi tale Intelligenza come unambiguit di fondo, poich egli da un
entit per intero incorporea o soltanto come lato spinto ad attribuire un movente finali-
la pi fine materia reperibile: la sua intenzio- stico alloperato dellIntelligenza, ma dallal-
ne ci orienta verso la prima supposizione, tro, quando una spiegazione rigorosa viene
mentre le sue espressioni ci fanno inclinare richiesta e dove possibile, si affida assai
piuttosto per laltra alternativa; sappiamo pi volentieri a unorganizzazione meccani-
daltro canto come non fosse stata ancora cistica. Al pari degli Ionici rispuntano allora
concepita una opposizione netta fra il ma- vortici, forze centrifughe e centripete e via
teriale e lo spirituale. Inoltre lIntelligenza, da dicendo, della qual cosa gi Platone (Fedo-
un lato detta separata, informa di s tutte le ne, 97e sgg. = DK 59 A 47) e quindi Aristotele
altre cose e in esse contenuta in uguale (Metaph., A 4, 985a 18 sgg. = DK 59 A 47) si
misura. QuestIntelligenza organizza teleolo- dolsero, vedendo prima affermato un prin-
gicamente il cosmo: il che significa che se in cipio teleologico che condividevano e poi
Anassimandro ma solo un esempio: tutti quello stesso negato a favore di un cieco
i Presocratici sono deterministi a eccezione determinismo.
del nostro Anassagora il vortice muoven-
I Presocratici 40

5.3 Latomismo di Democrito


Di Democrito gi nellantichit era nota la sapienza vastissima (che solo in minima
parte trover testimonianza in questa sede); ma giova maggiormente porre lattenzione
sulla coerenza con cui egli elabor le sue conoscenze, deducendo dai fondamentali princ-
pi la fisica come lastronomia, letica al pari dellantropologia, segno della caratteristica
pretesa della filosofia alla totalit.

5.3.1 Gli atomi sono il principio


Analogamente, anche il suo [di Leucippo] discepolo Democrito di Abdera
pose come princpi il pieno e il vuoto, chiamando essere il primo e laltro 2

non essere: essi, infatti, considerando gli atomi come materia dei corpi, fanno
derivare tutte le altre cose dalle differenze degli atomi stessi. Le differenze 4

sono: misura, direzione, contatto reciproco, che quanto dire forma, posizione
e ordine. Essi ritengono infatti che per natura il simile posto in movimento 6

dal simile e che le cose congeneri sono portate le une verso le altre e che
ciascuna delle forme, andando a disporsi in un altro complesso, produce un 8

altro ordinamento; di modo che essi, partendo dallipotesi che i princpi sono
infiniti di numero, promettevano di spiegare in modo razionale le modificazioni 10

e le sostanze e da che cosa e come si generano i corpi; perci essi anche dicono
che soltanto per coloro che considerano infiniti gli elementi tutto si svolge in 12

modo conforme a ragione. Ed affermano che infinito il numero delle forme


negli atomi perch nulla possiede questa forma qui a maggior ragione di 14

questaltra: tale infatti la causa che essi adducono della loro infinit.
DK 68 A 38; trad. it. cit. p. 684

1-4. Scrive Aristotele in un fondamenta- 4-13. Come per Anassagora, anche per
le passo (da cui deriva questo di Simplicio): gli Atomisti lessere composto da unin-
Leucippo e il suo discepolo Democrito pon- finit di elementi: ma questi, a differenza
gono come evidenti elementi il pieno e il delle omeomerie, sono indivisibili e qualitati-
vuoto, chiamando luno essere e laltro non vamente indeterminati. Il moto degli atomi
essere, e precisamente chiamando essere il richiede il vuoto quale fondamentale condi-
pieno e il solido, non essere il vuoto e il raro zione e poich gli atomi, in quanto effettivi
(onde essi affermano che lessere non af- costituenti della realt, sono lessere, il vuo-
fatto pi reale del non essere, perch nean- to non pu che definirsi come il non essere;
che il vuoto <meno reale> del corpo), e ma entrambi, atomi e vuoto, sono condizio-
pongono questi [elementi] come cause ma- ni necessarie di quanto c e dunque tutti e
teriali degli esseri (DK 67 A 6). Qui alle novit due, a loro modo, sono essere. Il vuoto deve
per cos dire tecniche nellidentificazione di esistere alla luce del movimento, impossibile
un nuovo principio si affianca una posizione nel pieno dal momento che un corpo non
ontologica di assoluto rilievo: nonostante lo pu accoglierne un altro (impossibili sareb-
sfondo eleatico (gi constatato sia in Em- bero anche la rarefazione e la condensa-
pedocle sia in Anassagora), ha luogo con zione, la crescita). Lessere divisibile, pre-
la filosofia atomistica laffrancamento dal sentando lalternanza fra spazi pieni e spazi
divieto parmenideo del non essere, che si ri- vuoti, ma non allinfinito: se si potesse proce-
conosce dotato di una sua esistenza. Infatti il dere senza limite alla divisione, alla fine le
vuoto da un lato chiamato non essere, ma grandezze sarebbero nulle e si produrrebbe
dallaltro esiste come condizione del movi- cos lannientamento dellintero campo del-
mento (e precisamente dellinfinita caduta) lessere (esso, composto di grandezze nulle,
degli atomi. diverrebbe nullo).
I Presocratici 41

13-15. Non solo infiniti sono gli atomi: in- essi pi adatta di unaltra e in questo modo
finite sono anche le loro forme (tesi conte- risulta pi agevole spiegare linfinita variet
stata in seguito da Epicuro). Non c infatti delle cose composte dagli atomi stessi.
alcun motivo per cui una certa forma risulti a

5.3.2 La cosmologia atomistica


I mondi son infiniti e sono differenti per grandezza: in taluni non vi n
sole n luna, in altri invece sono pi grandi che nel nostro mondo, in altri 2

ancora ci sono pi soli e pi lune. Le distanze tra i mondi sono diseguali,


sicch in una parte ci sono pi mondi, in unaltra meno, alcuni sono in via 4

di accrescimento, altri al culmine del loro sviluppo, altri ancora in via di


disfacimento, e in una parte nascono mondi, in unaltra ne scompaiono. La 6

distruzione di un mondo avviene per opera di un altro che si abbatte su di


esso. Alcuni mondi sono privi di esseri viventi e di piante e di ogni umidit. . . 8

DK 68 A 40; trad. it. cit. p. 685

1-8. Cadendo gli infiniti atomi nello spa- turale e non a caso (Aristotele gli attribuisce
zio infinito a differente velocit, il moto vor- questultima opinione, ma sbaglia); analo-
ticoso che li contraddistingue li conduce gamente pensava Leucippo, lunico testo
a incontri e scontri che stanno allorigine compiuto del quale in nostro possesso ci di-
dellinsorgenza dei vari mondi. Atomi simili ce che Nulla si produce senza motivo, ma
avranno un comportamento simile e tende- tutto con una ragione e necessariamente.
ranno ad associarsi fra loro (come abbiamo Il suo meccanicismo in questo senso de-
letto sopra, in 6.1, rr. 6-8), ma laleatoriet terministico e lo conferma il frammento DK
degli urti produrr anche aggregati non per- 68 B 118, secondo il quale Democrito pre-
fettamente omogenei. I mondi in tal modo feriva trovare una sola spiegazione causale
sorti risulteranno del pari infiniti. che divenir padrone del regno dei Persiani.
Tutto il processo cosmogonico, pur non Questo assunto fallisce non tanto nei suoi
obbedendo ad alcuna logica intelligente o princpi, quanto nella sua concreta realiz-
teleologica come quella messa in campo zazione, perch di moltissimi accadimenti il
da Anassagora, non per questo casuale. filosofo non era poi in grado di identificare
Democrito ritiene che tutto abbia una cau- ed esibire la causa, cosicch sembra porli
sa e che perci si produca per necessit na- a caso.

5.3.3 Le qualit sensibili


. . . dice Democrito, ritenendo che tutte quante le qualit sensibili, chegli
suppone relative a noi che ne abbiamo sensazione, derivino dalla varia ag- 2

gregazione degli atomi, ma che per natura non esistano affatto bianco, nero,
giallo, rosso, dolce, amaro: infatti lespressione per convenzione equivale, 4

per esempio, a secondo lopinione comune e a relativamente a noi, cio


non secondo la natura stessa delle cose, la quale egli indica con lespressione 6

secondo verit [. . .]. Cos tutti quanti gli atomi, essendo corpi piccolissimi,
non posseggono qualit sensibili, ed il vuoto uno spazio nel quale tali corpu- 8

scoli si muovono tutti quanti in alto e in basso eternamente o intrecciandosi in


vario modo tra loro o urtandosi e rimbalzando, sicch vanno disgregandosi e 10

aggregandosi a vicenda tra loro in composti siffatti; e in tal modo producono


tutte le altre maggiori aggregazioni e i nostri corpi e le loro affezioni e sensazio- 12

ni. Suppongono, poi, che i corpi primi siano inalterabili [. . .], anzi che neppure
possano subire per qualche forza esterna quelle modificazioni a cui tutti gli 14
I Presocratici 42

uomini (che traggono la loro scienza dalle sensazioni) li credono soggetti;


cio dicono, per esempio, che nessun atomo pu riscaldarsi o raffreddarsi, e 16

similmente disseccarsi e inumidirsi, e meno che mai diventare bianco o nero o,


in breve, ricevere alcunaltra qualit per qualsivoglia modificazione. 18

Democrito, che assegna una determinata forma atomica a ciascun sapore,


fa derivare il dolce dagli atomi rotondi e di discreta grandezza, lacre dagli 20

atomi di figura grande con asperit e con molti angoli e senza rotondit,
lacido o acuto come dice il nome stesso dagli atomi cauti, angolosi, a 22

curve, sottili e non tondeggianti; lagro invece dagli atomi tondeggianti, sottili,
angolosi e a curve; il salato, da quelli angolosi e di discreta grandezza, obliqui 24

e isosceli; lamaro, da quelli tondeggianti, aventi una curvatura uniforme e


piccola grandezza; il grasso, da atomi leggeri, rotondi e piccoli). 26

DK 68 A 49 e A 129; trad. it. cit. pp. 688-9 e 713

1-18. Il primo passo (che pure presen- mazione atomica: sono il peso, la durezza,
ta considerazioni di varia natura) ci impone la densit, che pure variano perch sono
due quesiti: 1) perch gli atomi non han- percepite come diverse a seconda del mo-
no qualit?; 2) perch noi percepiamo gli mento e della persona che le percepisce.
atomi come qualitativamente determinati? Altre qualit dipendono invece dallintera-
1) In virt delle note premesse parmeni- zione fra loggetto percepito e il soggetto
dee gli atomi devono risultare eterni, indivisi- percipiente e derivano dalla diversa confi-
bili, incorruttibili, immutabili, assolutamente gurazione dellapparato sensibile. In questo
semplici. Dal momento che essi incarnano caso gli Atomisti si trovano davanti al me-
semplicemente lessere, lo possono fare in ro fatto delle sensazioni e si rendono con-
un solo modo, o si arriverebbe allassurdit to che necessario giustificarlo in modo
di una molteplicit di esseri diversi (perci consequenziale rispetto alle loro premesse,
reciprocamente negantisi). Di conseguen- ma non riescono a dedurlo con rigore dalla
za latomo deve portare con s solo quelle struttura e dal comportamento degli atomi
caratteristiche per cui un corpo e non in- stessi. Questo ci mostra come gli Atomisti ab-
vece un determinato corpo: se un atomo biano cercato, pi di tutti gli altri pensatori
fosse bianco e un altro nero, luno non sareb- successivi a Parmenide, di accordare al me-
be laltro e verrebbero cos reintrodotte nel glio esperienza e ragione, esigenza che del
campo degli atomi (dellessere) la diversit resto esprimono in forma esplicita in alcuni
e la negazione (il non essere). Questo princi- luoghi.
pio daltro canto non va inteso in modo cos 19-26. Il secondo passo spiega come gli
radicale che davvero escluda la bench Atomisti cercassero di dedurre, scendendo
minima variazione: se per i motivi appena vi- fin nei minimi particolari, le singole sensazio-
sti le differenze qualitative sono negate, non ni dalla conformazione atomica. Le moti-
lo sono quelle quantitative, ovvero forma vazioni sono decisamente ovvie: atomi lisci
ordine e disposizione. produrranno effetti piacevoli sugli organi del
2) Se cos si caratterizzano gli atomi presi gusto e pertanto sapori gradevoli, laddove
di per s, come possiamo spiegare le diffe- atomi che, per la loro conformazione, pun-
renti caratteristiche qualitative con cui noi gono e graffiano avranno risultati negativi e
percepiamo i loro composti? Alcune delle cio sapori sgradevoli.
qualit dei corpi derivano dalla loro confor-

5.3.4 Lanima e la conoscenza


Alcuni ritennero lanima composta di fuoco; perch il fuoco tra tutti gli
elementi quello composto di particelle pi sottili ed il pi incorporeo; inoltre 2

esso possiede come propriet originaria quella di muoversi e di mettere in


moto le altre cose. Democrito poi ha trovato una soluzione ancor pi sottile, 4
I Presocratici 43

per spiegare perch [lanima] possiede ambedue queste propriet. Anima e


intelletto infatti sono la stessa cosa e questo elemento sarebbe composto di corpi 6

primi indivisibili e atto a produrre il movimento a cagione della piccolezza


delle particelle che lo compongono e della loro forma. . . 8

Leucippo, Democrito ed Epicuro affermano che la sensazione ed il pensiero


si producono via via che penetrano in noi idoli dallesterno; n luna n laltro 10

infatti possono sorgere in alcuno, indipendentemente dallidolo che entra in


noi. 12

DK 68 A 101 e A 30; trad. it. cit. pp. 706-7 e 659

1-5. Le caratteristiche che lanima de- riali dellanima, pur essa materiale. Dallaltro
ve presentare sono due: lincorporeit e la lato egli attribuisce al pensiero valore assai
mobilit. Quanto alla prima, chiaro che, maggiore, poich la percezione sensibile
in conseguenza del suo generale presup- da lui detta oscura e il pensiero per con-
posto materialistico, la filosofia atomistica ri- tro autentico; gli anche chiaro che i sensi
tiene anche lanima materiale e composta si fermano alla superficie e che solo lintel-
di atomi; nondimeno essa devessere quan- letto pu adeguatamente indagare su ci
to di pi lieve esiste. La mobilit altro non che per i nostri sensi troppo sottile, ovvero
che la sua forza vivificatrice e il pensiero lessenza atomica della realt. Democrito
rientra in questo ambito. Mescolati agli ato- coglie la continuit, ma anche evidenzia lo
mi materiali vi sono gli atomi dellanima, stacco fra lopinione e la scienza. Si legga
che pongono i primi in movimento secondo ad esempio il frammento DK 68 B 11: Vi so-
le diverse facolt e le loro rispettive sedi: il no due forme di conoscenza, luna genuina
cervello per il pensiero, il cuore per lira, il e laltra oscura; e a quella oscura apparten-
fegato per il desiderio ecc. Democrito mo- gono tutti quanti questi oggetti: vista, udi-
stra di considerare la differenza fra corpo e to, odorato, odorato, gusto e tatto. Laltra
anima, privilegiando la prima e deducen- forma la genuina e gli oggetti di questa
done una serie di insegnamenti morali: non sono nascosti [alla conoscenza sensibile od
si tratta di unassoluta eterogeneit di natu- oscura]. [. . .] Quando la conoscenza oscura
ra, ma semplicemente di una pur cospicua non pu spingersi ad oggetto pi piccolo
diversit di composizione atomica; ha ben n col vedere n colludire n collodorato
scritto Zeller che Lo spirito per lui, come n col gusto n con la sensazione del tatto,
per altri materialisti, il corpo pi perfetto (La ma <si deve indirizzar la ricerca> a ci che
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, ancor pi sottile, <allora soccorre la cono-
Parte I, Vol. V, La Nuova Italia, Firenze 1969, scenza genuina, come quella che possiede
p. 234). appunto un organo pi fine, appropriato al
5-8. Democrito non ha distinto netta- pensare>.
mente la percezione dal pensiero, tenden- 9-12. Il termine idolo () da in-
do a ricondurre il secondo alla prima: per tendersi qui nel senso etimologico di imma-
questo che tende a riportare lintelletto al- gine. Nel passo chiaramente affermata
lanima, poich sia la percezione che il pen- la matrice sensibile di ogni conoscenza.
siero non sarebbero che modificazioni mate-

5.3.5 Letica e la civilt


Dicono poi che gli uomini di quelle primitive generazioni, conducendo
una vita senza leggi e come quella delle fiere, uscivano alla pastura sparsi chi 2

di qua chi di l, procacciandosi quellerba che era pi gradevole di sapore


ed i frutti che gli alberi producevano spontaneamente. Erano continuamente 4

aggrediti dalle fiere, e lutilit apprese loro ad aiutarsi a vicenda; e, riunitisi in


societ sotto la spinta del timore, cominciarono a poco a poco a riconoscersi 6

dallaspetto. E mentre prima emettevano voci prive di significato e inarticolate,


I Presocratici 44

gradatamente cominciarono ad articolar le parole; e, stabilendo tra di loro 8

espressioni convenzionali per designare ciascun oggetto, ebbero a creare un


modo, noto a tutti loro, per significare tutte le cose. Ma poich simili raggrup- 10

pamenti di uomini si formarono in tutte le regioni abitate della terra, non ci


pot essere una lingua di ugual suono per tutti, poich ciascuno di quei gruppi 12

combin i vocaboli come capitava; ecco perch svariatissimi sono i caratteri


delle lingue e perch quei primi gruppi furono la prima origine di tutte le varie 14

nazioni. Quei primi uomini, dunque, vivevano in mezzo ai disagi, perch nulla
si era ancora trovato di quanto utile alla vita: erano ignudi di ogni vestimento, 16

non abituati ad avere unabitazione e ad usare il fuoco, del tutto ignari di


un vitto non selvaggio. Giacch, non avendo idea che si potesse conservare il 18

loro vitto agreste, non facevano punto provviste di frutti per leventualit del
bisogno: per cui, durante linverno, molti di essi morivano, e per il freddo, e per 20

mancanza di vitto. Ma non tard molto che essi, ammaestrati dallesperienza,


si rifugiarono dinverno nelle spelonche e riposero quei frutti cherano atti ad 22

esser conservati. Conosciuto poi il fuoco e le altre cose utili alla vita, poco dopo
si trovarono anche le arti e tutti gli altri mezzi che possono recar giovamento 24

alla vita in societ. Cos, in generale, maestro di ogni cosa agli uomini fu luso
stesso, rendendo familiare lapprendimento di ciascuna abilit a questo essere 26

ben dotato e che ha come cooperatrici per ogni occorrenza le mani e la ragione
e la versatilit della mente. 28

DK 68 B 5; trad. it. cit. p. 744

Il passo tratto da unopera di Ecateo di come gi in Senofane.


Abdera, a noi giunta indirettamente perch 7-15. Il nome una propriet soggettiva
riportata in ampi stralci da Diogene Laerzio delle cose e dunque convenzionale (non
e da Diodoro Siculo. Tale scritto rielaborava dunque bens ) al pari di sapori,
la cosiddetta Piccola cosmologia, un lavoro odori ecc. Esso non rispecchia la cosa che
originale di Democrito dove si descriveva- nomina, ma una semplice etichetta a essa
no la formazione del nostro mondo, lorigine apposta e che funziona in virt dellaccor-
della vita animale nonch il sorgere della do fra gli uomini di usare lo stesso insieme di
civilt umana. Nonostante la serie impres- suoni per indicare lo stesso oggetto. LAtomi-
sionante di mediazioni nella trasmissione te- smo lunica scuola presocratica a soste-
stuale, talune informazioni genuine sembra- nere, in contrapposizione alla ben pi diffu-
no essere rimaste e questo stralcio possiede sa concezione naturalistica del linguaggio,
dunque una sua affidabilit. una concezione convenzionalistica.
1-7. Si noter innanzitutto come il cam- 14-28. La parte finale ricostruisce il de-
mino qui descritto che conduce dalla con- collo della civilt umana intorno alla fun-
dizione ferina alla convivenza civile e alla zione svolta dal fuoco, considerato come
cultura sia narrato senza far mai ricorso al sempre principio di ogni tecnica e di ogni
mito o alla fantasia. Se tuttavia la spinta al- cultura; lemancipazione dal mito si coglie
lassociazione naturale (deriva dal timo- nel privilegiamento del futuro sul passato,
re della r. 5), ci che ne viene per contro nellidea di un miglioramento progressivo
convenzionale; niente regalato agli uomi- che costituisce la storia stessa, ormai per
ni, non c alcun Prometeo, ma tutto otte- intero nelle mani degli uomini.
nuto gradualmente attraverso lesperienza,
Nota bibliografica

Di nessuno dei filosofi presocratici ci giunta direttamente una qualche


opera, tanto meno intera: come allora siamo informati sulle loro idee? Median-
te citazioni e testimonianze di terzi che riportarono passi delle loro opere e
parafrasarono il loro pensiero (non dimentichiamo inoltre che la cultura arcaica
prevalentemente orale). Noi chiamiamo questi ultimi dossografi in quanto
scrittori delle opinioni () altrui e comprendiamo sotto questa denomina-
zione filosofi di prima grandezza, storici della filosofia, semplici enciclopedisti
o eruditi: si va da Platone (IV sec. a.C.) a Simplicio (VI sec. d.C.).
Non bisogna credere che pi un reperto dossografico antico, pi fede
degno: ad esempio Platone, quasi contemporaneo di Democrito, spesso di-
stratto e mescola citazioni a parafrasi, laddove Simplicio, vissuto un millennio
dopo i Presocratici, fonte ricchissima e accurata (soprattutto per Parmenide,
Empedocle e Anassagora). Aristotele cita poco, ma spesso fa riferimenti anche
ampi ai punti di vista di altri pensatori. Teofrasto, che dopo di lui diresse
lAccademia, organizza laristotelismo in relazione alle filosofie precedenti, ma
si basa per lo pi sulla testimonianza aristotelica e non sente il bisogno di
verificarla sulle fonti. Daltro canto i nostri reperti dossografici sono prevalen-
temente di et assai tarda e perci redatti da studiosi che si fondavano a loro
volta su compendi precedenti, assai in uso in et ellenistica (talora di seconda
e anche di terza mano), ma che era impossibile verificare sugli originali.
Trascurando fonti minori e indipendenti, i principali dossografi sono 1)
Plutarco (filosofo accademico del II sec. d.C.); 2) Sesto Empirico (filosofo
scettico vissuto alla fine del II sec. d.C., che utilizza a sua volta fonti indirette
di et ellenistica); 3) Clemente Alessandrino (convertitosi al Cristianesimo e
vissuto a cavallo tra il II e III sec. d.C.); 4) Ippolito (del III sec. d.C., teologo
cristiano); 5) Diogene Laerzio (vissuto nel III sec. d. C., autore delle celebri
Vite dei filosofi, a loro volta derivanti da fonti ellenistiche); 6) Giovanni Stobeo
(del V sec. d.C., attento soprattutto alletica); quindi tutti i Neoplatonici, fino
allimportantissimo Simplicio.
Ma le cose sono in realt pi complicate tali da porre gravi problemi
ai filologi moderni per svariate ragioni: le citazioni sono indirette, non
esistendo nei codici antichi segni diacritici analoghi ai nostri due punti e
virgolette e perci a meno che non si tratti di versi, ma anche qui le cose non
sempre vanno lisce di difficile individuazione soprattutto nel caso di passi
brevi, inseriti di seguito nel testo del dossografo; ci significa che talvolta
assai arduo individuare i frammenti allinterno delle testimonianze. Inoltre
le citazioni venivano per lo pi fatte a memoria (era assai scomodo andare
in cerca nei testi soprattutto se si trattava dei pi antichi, redatti su papiri)

45
I Presocratici 46

e perci sovente inesatte, per non parlare di non infrequenti casi di erronea
attribuzione da parte di chi cita; infine il significato originale veniva spesso
deformato dallinserimento in un contesto affatto estraneo.
A causa della difficolt di identificare testimonianze su e frammenti di
pensatori presocratici, stato necessario un vasto lavoro di ricerca: il filologo
tedesco Hermann Diels (1848-1922) riuscito in unopera grandiosa di raccolta
e ordinamento che aveva conosciuto in precedenza solo parziali e insoddisfa-
centi tentativi. Egli pubblic a Berlino nel 1903 la prima edizione de I frammenti
dei Presocratici (includente anche i Sofisti), seguita da svariate altre: la quarta
edizione, datata 1922, ricevette anche da Walther Kranz (1884-1960) un essen-
ziale contributo, cosicch oggi lopera di cui sono uscite diverse altre edizioni
porta entrambi i nomi (il DK del nostro modo di indicare i frammenti). Il
lavoro di preparazione consistette nella raccolta delle testimonianze antiche,
nellindividuazione dei frammenti e nella selezione di quelli autentici, nella
scelta delle lezioni pi attendibili. Lordinamento, in quellopera, venne attuato
meccanicamente: dapprima le testimonianze sui Presocratici (contrassegnate
con la lettera A), quindi i frammenti (indicati dalla lettera B), infine le imitazioni
(collocate sotto la lettera C), in alcuni casi per organizzazione tematica, in altri
secondo lordine alfabetico dei dossografi. Loperazione non cos automatica
quanto pu sembrare, poich in certi casi opinabile la distinzione nel testo
stabilita fra testimonianza e frammento, ma in questa sede non possibile
entrare nella discussione dei meriti e dei limiti dellopera di Diels.
In italiano quella raccolta stata tradotta quasi per intero, a eccezione dei
passi di interesse puramente stilistico ove una versione non aveva alcun senso,
da studiosi diversi presso leditore Laterza di Bari nel 1969 (quindi ristampata)
col titolo I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni. Due
sillogi parziali sono: I presocratici. Frammenti e testimonianze, vol. I, a cura di
A. Pasquinelli, Einaudi, Torino 1958 (ristampata in seguito), bloccatasi al solo
primo volume per la morte del curatore; tale edizione, arricchita da intelligenti
note, pur fondata quanto al testo sul Diels-Kranz con taluni aggiornamenti, se
ne distacca perch propone un ordinamento tematico dei frammenti. Quindi: I
Presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle, a cura di A. Lami,
sempre basata sul Diels-Kranz ma con svariati aggiornamenti, limitata nella
scelta delle testimonianze ma col testo greco a fronte. I tre volumi de La sapienza
greca curati da G. Colli, pubblicati da Adelphi, Milano rispettivamente nel 1977,
1978 e 1980, presentano solo pochi pensatori (di quelli da noi considerati,
gli Ionici ed Eraclito) e si basano su unimpostazione del tutto peculiare,
teoreticamente impegnata ma non rigorosa sotto il profilo filologico. Infine I
Presocratici, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2006, versione integrale del
Diels-Kranz dovuta a diversi collaboratori con testo greco a fronte. Per quanto
riguarda le edizioni di autori singoli sono da seguire i testi della Fondazione
Lorenzo Valla, pubblicata da Mondadori di Milano (dove sono finora usciti
due volumi rispettivamente dedicati a Eraclito e a Empedocle) e soprattutto la
Biblioteca di Studi Superiori de La Nuova Italia di Firenze, dove troviamo tutti
i Presocratici maggiori in edizioni esemplari dal punto di vista della cura del
testo e rilevantissime per le introduzioni e il commento.

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