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R. Descartes, Meditazioni metafisiche, trad. it. S. Landucci, Laterza, Bari, 2011, pp.69-75
Ma alla fine che ne concluder? Questo: che se in qualcuna delle mie idee ci fosse tanta realt
oggettiva che io sia certo che non possa darsi che in me ci sia altrettanta realt n formalmente
n eminentemente, e quindi che non possa darsi che la causa di tale idea sia io stesso, ne
seguirebbe necessariamente che nel mondo non ci sono soltanto io, ma esiste anche qualche altro
ente, che la causa di quellidea.
Cos non rimane che lidea di Dio, nella quale considerare se vi sia qualcosa che non possa
derivare da me stesso. Ora, per dio intendo una sostanza infinita, indipendente, sommamente
intelligente, sommamente potente, e dalla quale siamo creati sia io stesso sia tutto quanto daltro
esista [...]
Infatti in me c certamente lidea di sostanza per il fatto stesso che io sono una sostanza; per, dal
momento che sono finito, lidea di sostanza infinita non sarebbe in me se non mi venisse da una
sostanza che infinita lo sia effettivamente. E non a credere che io concepisca linfinito, anzich
con unidea vera, soltanto per negazione de finito, al modo in cui percepisco, per esempio, la quiete
e le tenebre per negazione del movimento e della luce; ch, al contrario, intendo chiaramente che in
una sostanza infinita c pi realt che non in una finita, e che di conseguenza, anzi, in me la
percezione dellinfinito precede in qualche modo quella del finito, vale a dre la percezione di Dio
quella di me stesso.