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COLLANA lavoro

studi e ricerche
67

Precari ieri e oggi,
quale il domani?
Prima indagine longitudinale
sui lavoratori flessibili
in Toscana

A cura di
Francesca Giovani
Il Rapporto di ricerca, affidato all’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Econo-
mica della Toscana), è stato coordinato da Francesca Giovani.
Pur essendo frutto di un lavoro comune, le parti di questo volume sono così ripartite: Fran-
cesca Giovani ha curato i capitoli 1, 4, 5, le conclusioni e l’allegato 2. Teresa Savino i capitoli
2, 7 e l’allegato 3. Michele Beudò il capitolo 6. Il capitolo 3 è stato curato da Emilio Reyneri
dell’Università di Milano Bicocca. Vanno attribuiti a Stefano Rosignoli l’allegato 1 e a Fran-
cesca Tallarico l’allegato 4.
L’indagine diretta ai lavoratori della Pubblica Amministrazione è stata coordinata da Teresa
Savino che si è avvalsa, per la conduzione di alcuni focus group, della collaborazione di
Giulia Marchetti.
L’indagine telefonica ai lavoratori dipendenti è stata effettuata da Eurema con il coordi-
namento di Roberta Pini che ha curato, insieme a Laura Vannucci, anche le elaborazioni
statistiche relative all’indagine (capitoli 4, 5 e 6).
Valentina Patacchini ha curato le elaborazioni statistiche relative all’Indagine ISTAT sulle forze
di lavoro (capitolo 2) e ai dati del Conto annuale del Personale negli Enti Locali (capitolo 7).
Al servizio editoriale dell’IRPET si deve l’allestimento del volume.
Un ringraziamento particolare va a tutti gli intervistati che hanno dedicato parte del loro tempo a
raccontarci la loro storia lavorativa e personale, rendendo possibile la realizzazione dell’indagine.

Precari ieri e oggi, quale il domani? : prima indagine longitudinale sui


lavoratori flessibili in Toscana / a cura di Francesca Giovani
(Lavoro. Studi e ricerche ; 67)

331.109455 (21.)
1. Lavoro temporaneo – Toscana 2. Occupazione – Toscana I. Giovani,
Francesca

CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa

Giunta Regionale

Direzione Generale
Politiche Formative, Beni e Attività Culturali
Area di Coordinamento
Orientamento, Istruzione, Formazione, Lavoro

Settore Lavoro e Formazione continua

ISBN 978-88-8492-491-9

© 2007 Regione Toscana


Presentazione

Lo studio commissionato all’IRPET dalla Regione Toscana


– Settore Lavoro e Formazione continua – offre un contributo co-
noscitivo di rilievo all’analisi del fenomeno del lavoro flessibile,
unendo all’esame dello scenario degli ultimi anni la rilevazione
‘longitudinale’ sull’evoluzione nel tempo della situazione dei lavo-
ratori temporanei. Ciò getta luce su un aspetto cruciale: nel me-
dio periodo, la capacità di stabilizzazione dei lavoratori flessibili è
risultata, finora, decisamente modesta, mentre la quota di perso-
ne che restano permanentemente bloccate in percorsi professio-
nali precari o che rifluisce nell’inattività è relativamente elevata,
in particolare per donne istruite, giovani, lavoratori over 50.
Negli anni recenti, infatti, complice la forte incertezza sulle
prospettive dell’economia, il ricorso a contratti a tempo determi-
nato o atipici ha teso a spostarsi da una prospettiva transitoria
(in grado di favorire l’accesso all’occupazione per alcune com-
ponenti deboli, contenere tempi ed entità della disoccupazione
e venire incontro a richieste di flessibilità delle imprese) verso
condizioni che tendono a determinare un ‘intrappolamento’ dei
lavoratori in condizioni di prolungata precarietà.
Accanto al segmento primario del mercato del lavoro, quello
dei lavoratori con contratti standard, sul mercato del lavoro si è
consolidato un segmento ‘secondario’ dal quale sono insufficien-
ti i passaggi a quello primario.
La Regione Toscana ha definito, per i prossimi anni, fonda-
mentali atti di programmazione mirati a rafforzare il complesso
del sistema occupazionale toscano:
• Il Piano di indirizzo integrato per istruzione, formazione e
lavoro per il quinquennio 2006-2010, approvato nel settem-
bre 2006 in Consiglio regionale, che prevede nel periodo un
investimento complessivo di miliardo e 119 milioni di euro
per interventi in tali settori.
• Il nuovo Programma Operativo Regionale del fondo sociale
europeo, che stanzia 666 milioni per il periodo 2007-2013.
In essi la Regione ha individuato nella lotta alla precarietà e
nell’attenzione ai diritti dei lavoratori atipici e temporanei uno
dei punti fondamentali della propria strategia di qualificazione

del lavoro e dell’occupazione. È evidente che i buoni risultati
quantitativi ottenuti nel passato recente sul versante dell’occu-
pazione e della disoccupazione, anche rispetto ai target di Li-
sbona e al lavoro delle donne, devono essere consolidati nella
direzione della stabilizzazione del lavoro temporaneo, nell’eli-
minazione delle sacche di precarietà, nella estensione delle tute-
le a tutti i lavoratori.
A partire dal 2006 è possibile contare su nuovi strumenti at-
tivati dalla Regione Toscana per contrastare la precarizzazione
del lavoro, che si aggiungono agli interventi strutturali dei Ser-
vizi per l’Impiego e dei sistemi di formazione, istruzione, orien-
tamento. Si tratta di fondi di finanziamento con funzioni di ga-
ranzia dei diritti dei lavoratori e di incentivi alle imprese che
riguardano, oltre all’occupazione femminile e all’anticipo per la
cassa integrazione per i lavoratori di aziende in crisi, incentivi
per la stabilizzazione dei lavoratori a termine: uno specifico fon-
do prevede incentivi per chi trasforma i contratti a termine in
contratti a tempo indeterminato. A settembre 2007, l’iniziativa
ha già registrato oltre 300 domande, di cui 225 finanziate con
circa 900mila euro di finanziamenti. L’efficacia del fondo sarà
ulteriormente potenziata unificandolo al fondo di sostegno al-
l’assunzione dei lavoratori in mobilità, che anch’esso risponde a
finalità di ricollocamento stabile nell’occupazione, con stanzia-
menti di 1 milione 400mila euro per ciascuno dei prossimi due
anni. Inoltre, si sta attualmente costituendo un fondo di garanzia
per i lavoratori atipici (collaboratori e figure analoghe), mirato
a favorire l’accesso al credito. Altri importanti elementi di sup-
porto per gli atipici sono compresi nelle misure di formazione
continua. È stato inoltre realizzato un progetto per garantire nel
territorio toscano la presenza di sportelli di supporto, consulen-
za e orientamento per i lavoratori atipici (progetto Prometeo),
andato a scadenza con la programmazione FSE 2000-2006. Con
un bando a procedura di evidenza pubblica dello scorso mese di
luglio sarà garantito il funzionamento degli sportelli fino al 30
giugno 2008. Una volta analizzate forme e modalità della nuova
programmazione FSE 2007-2013, potrà concretizzare un inter-
vento organico sul territorio regionale, anche in relazione alle
specificità locali, qualitative e quantitative, del lavoro atipico.

Gianfranco Simoncini
Assessore all’Istruzione,
alla Formazione e al Lavoro
della Regione Toscana

1.
Introduzione

1.1. Premessa

A circa quattro anni dall’entrata in vigore della Legge 30/2003


– impropriamente detta Legge Biagi, perché non include una
parte essenziale del modello di flexsecurity cui Biagi si ispirava,
quella diretta a rafforzare l’utilizzo di ammortizzatori sociali e a
rafforzare i servizi pubblici per l’impiego (Reyneri, 2005a) – è il
momento di tracciare un primo bilancio sugli effetti dell’appli-
cazione normativa, con la quale si è aperta la seconda fase della
flessibilizzazione del lavoro nel nostro paese (la prima è stata
introdotta con la cosiddetta Legge Treu, del 1997) rendendo la
nostra legislazione del lavoro una delle più flessibili di Europa.
La riforma partiva dall’assunto che un’ulteriore espansione
degli strumenti di flessibilità a disposizione delle imprese fos-
se una strategia vincente per fare crescere l’occupazione, ma a
guardare le statistiche ufficiali più recenti il mercato del lavoro
italiano sembra avere perso del tutto il dinamismo in termini di
job creation ancora presente nei primi anni del 2000. Sembra in-
fatti ormai evidente che stia finendo quello che è stato definito,
da Tito Boeri e Pietro Garibaldi (2006), “l’effetto luna di miele”,
che è stato associato alla introduzione di nuove forme contrat-
tuali flessibili, ovvero quella fase di transizione in cui l’organico
delle imprese aumenta perché al numero fisso dei lavoratori pro-
tetti si aggiunge un certo numero di lavoratori soggetti a minor
protezione; è in questa fase che l’occupazione cresce anche se il
prodotto non aumenta. Va tuttavia tenuto presente che si tratta
di un processo destinato a non perdurare, perché una volta che

le imprese avranno accumulato un certo numero di lavoratori
flessibili, e soprattutto se la fase congiunturale dovesse peggio-
rare, ci troveremo a fronteggiare l’effetto inverso, ossia una fase
di mancato rinnovo dei contratti non tutelati.
Il problema del rilevante numero di giovani (ma non solo)
coinvolti in questo processo di flessibilizzazione riguarda non
tanto gli ingressi con modalità flessibili nel mercato del lavoro
che nel giro di pochi anni si trasformano in lavori stabili (di tipo
autonomo o dipendente), quanto una lunga permanenza (o in-
trappolamento) in rapporti instabili che ha come conseguenza
costi umani ancora oggi spesso sottovalutati, che possono essere
riassunti nella difficoltà di progettarsi una vita e il rischio di non
avere a tempo debito una pensione dignitosa. Gli esperti hanno
infatti stimato che coloro che hanno lunghi percorsi di lavoro
con contratti instabili rischiano di avere pensioni nell’ordine del
30% del salario attuale (che risulta essere mediamente inferiore
a mille euro), rischiando quindi di trovarsi al di sotto della soglia
di povertà.
Se consideriamo che circa il 50% delle nuove assunzioni in
Italia avviene oramai con contratti a termine, e che il tasso di
conversione in contratti a tempo indeterminato è mediamente
basso (circa 10 punti in un anno), questo denota un alto rischio
di segregazione per i lavoratori assunti con tipologie contrattua-
li di questo tipo (Boeri, Garibaldi, 2006). Si rende quindi sempre
più necessario fornire delle tutele di base, che proteggano dalla
possibilità di avere delle carriere professionali discontinue come
un sistema efficace ed efficiente di ammortizzatori sociali che
consenta di garantire la continuità del reddito (perché i lavo-
ri di cui si parla sono discontinui), tutele di ordine sanitario e
anche degli strumenti di contrasto alla povertà come il reddito
minimo.
Un’altra questione riguarda le difficoltà che incontrano i la-
voratori flessibili a vedere riconosciute le competenze acquisite
nel momento in cui cambiano la propria posizione occupazio-
nale passando da un’azienda all’altra. Esiste infatti il consisten-
te rischio che i segmenti di carriera lavorativa già effettuati
con contratti atipici vengano praticamente disconosciuti sotto
il profilo della competenza professionale acquisita, con effetti
negativi sulla retribuzione e, ovviamente, sulla progressione di
carriera. Uno degli obiettivi da porsi è dunque quello di proget-
tare modelli dedicati al riconoscimento delle competenze “spen-
dibili” nel mercato del lavoro. Si impone, quindi, un più stretto
legame tra politiche del lavoro e politiche della formazione pro-

fessionale (ed anche scolastica) che miri a rafforzare i percorsi
dei soggetti più deboli.
Una ulteriore posizione di debolezza si registra per la com-
ponente femminile che indica, da un lato una minor forza sul
mercato del lavoro, dall’altro, il permanere di vincoli familiari
che gravano ancora sulle donne. Gli interventi per sostenere l’in-
serimento delle donne in occupazioni stabili o in attività indi-
pendenti, non possono prescindere da misure volte a ridurre il
peso del lavoro di cura e a renderlo compatibile con l’impegno
lavorativo, anche modificando l’organizzazione delle imprese.
L’elaborazione di nuovi sistemi di protezione sociale emerge
come una questione di cruciale importanza per la società futura
se si ha a cuore non soltanto la crescita dell’occupazione, ma
anche la coesione sociale, che rischia di essere incrinata da un
eventuale consolidamento della quota di lavoratori instabili per
la vita.

1.2. Alcune anticipazioni sul contenuto del Rapporto

Dato il presente quadro di riferimento, il lavoro che presen-


tiamo si è proposto di approfondire le cause, ma anche le conse-
guenze e le implicazioni della flessibilità nelle traiettorie e nella
qualità del lavoro di individui che hanno intrapreso un percorso
lavorativo caratterizzato da tipologie contrattuali “a termine”.
La novità della ricerca risiede proprio nella scelta metodologica
di partenza: ovvero seguire, tramite un’indagine di tipo panel,
nella loro carriera un gruppo di lavoratori “atipici” per cogliere
gli esiti che rapporti lavorativi di tipo flessibile hanno nel per-
corso di lavoro e nella vita dei lavoratori.
In particolare, nel Capitolo 2 viene presentata un’analisi di-
namica del lavoro flessibile in Toscana, con comparazioni a li-
vello nazionale ed europeo, che mostra come in Toscana, così
come per il resto del paese, sia cresciuta la quota complessi-
va dei lavoratori flessibili: dal 4,5% del 1993 al 12,5% del 2006,
dato, quest’ultimo, al di sotto del dato nazionale (13,1%) e del-
la media europea (14,4%); se a questo insieme aggiungiamo i
collaboratori tale quota supera il 15% del totale dei lavoratori
dipendenti. Ma non si può dire che le misure dirette a favorire
il ricorso a rapporti di lavoro più flessibili abbiano dato, nel-
l’ultimo periodo, un grande contributo alla crescita complessiva
dell’occupazione, che si è concentrata sulle donne adulte, per
le quali, più che la flessibilità del lavoro, ha avuto un ruolo ri-

levante l’incremento del lavoro dipendente a tempo parziale, in
forma stabile. Per i maschi adulti, e per i giovani in generale, si
è invece avuto un effetto di sostituzione, poiché ad un aumento
della percentuale di chi lavora in modo instabile si accompagna
una riduzione di chi lavora in modo stabile. Ciò che appare più
preoccupante è, comunque, l’aumento di coloro che lavorano
con tipologie contrattuali a termine tra le fasce adulte di uomini
e donne, che segnala come siano in crescita le probabilità di in-
trappolamento nella precarietà (Reyneri, 2005a).
Nel Capitolo 3 sono effettuate alcune osservazioni congiun-
turali che evidenziano come sulla dinamica del lavoro dipen-
dente instabile influiscano più fattori economici che normativi,
poiché è constatazione unanime che le numerose forme di la-
voro dipendente a termine introdotte dalla Legge 30/2003 (job
on call, lavoro occasionale, staff leasing, ecc.) abbiano avuto un
impatto occupazionale modestissimo. A questo proposito è stata
avanzata l’ipotesi che l’andamento dell’occupazione a termine
anticipi quello del prodotto interno lordo, che costituisce il prin-
cipale indicatore dello stato di salute di un sistema economico.
L’aumento dell’incidenza del lavoro a termine a partire dal 2004,
quindi, sarebbe dovuta al fatto che le imprese hanno ripreso ad
assumere anticipando la ripresa economica che si è verificata
dopo quattro anni di stagnazione (dal 2001 al 2005).
Nei Capitoli 4, 5 e 6 del rapporto sono contenuti i risultati di
un’indagine longitudinale, effettuata nei primi mesi del 2006, su
un campione di 900 individui, già intervistati nel 2004, che nel-
l’anno 2000 risultavano avere avuto un avviamento al lavoro con
una tipologia contrattuale instabile, avendo come scopo quello
di seguire nel tempo gli sbocchi occupazionali di questi lavora-
tori, per comprendere se l’esperienza della flessibilità è risultata
essere un ponte per una professionalizzazione e stabilizzazione
nel mercato del lavoro oppure una “trappola” verso la margina-
lità.
Il Capitolo 4 contiene un’analisi delle principali caratteri-
stiche dei 900 individui intervistati che appartengono a siste-
mi produttivi ritenuti rappresentativi degli articolati sentieri
di sviluppo della Toscana: Firenze (sistema urbano), il Mugello
(sistema turistico-industriale), Santa Croce (distretto industria-
le), Rosignano (sistema turistico) e Follonica (sistema turisti-
co-rurale). Le donne rappresentano il 66% del campione. L’età
degli intervistati è mediamente bassa (il 54% ha al massimo 35
anni) ma, se consideriamo che da più parti è dato per acquisito
che i lavori flessibili sono per lo più appannaggio delle giovani
10
generazioni in entrata nel mercato del lavoro, è degna di nota
anche una percentuale non irrilevante di adulti. Sono soprat-
tutto le donne ad essere presenti nelle fasce di età più elevate,
probabilmente in virtù di percorsi mediamente più precari di
quelli maschili grazie anche ad uscite dal mercato del lavoro in
particolari fasi del ciclo di vita (nascita dei figli, cura dei genitori
anziani, ecc.).
Nel Capitolo 5 l’attenzione è stata concentrata sulle traietto-
rie compiute dai soggetti nel mercato del lavoro, al fine di indivi-
duare quali siano le caratteristiche degli individui coinvolti e dei
loro percorsi che rendono più probabili esiti di professionalizza-
zione e di stabilizzazione nel lavoro dipendente o in quello auto-
nomo. L’indagine mostra in modo evidente come le probabilità
di stabilizzazione non aumentino in modo lineare con il passare
del tempo, anzi. Trascorso un certo numero di anni da un avvia-
mento al lavoro con tipologia contrattuale instabile (tre, quattro
anni) crescono al contrario le possibilità di rimanere invischiati
in quelle che sono state definite sequenze occupazionali di tipo
“job carousel” (Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005), caratterizzate
dal susseguirsi di diverse esperienze di lavoro e non lavoro, o
peggio ancora di uscire dalla condizione di occupato verso la
disoccupazione o l’inattività.
Il genere femminile, i “non più giovani”, i meno scolarizzati,
coloro che appartengono a sistemi locali “deboli”, dove le op-
portunità sono inferiori, sono risultati sicuramente coloro che
hanno le maggiori probabilità di restare intrappolati in un cir-
cuito di discontinuità caratterizzato da passaggi dentro-fuori il
mercato del lavoro.
Inoltre, diminuisce il già scarso numero di coloro che hanno
scelto la flessibilità lavorativa e cresce la quota di coloro che vi-
vono la flessibilità come un’esperienza subita (dal 61% all’82%),
perché costretti dalla carenza di altre opportunità offerte dal
mercato. Il fatto che la domanda di autonomia e di individualiz-
zazione dei rapporti di lavoro, proveniente dai lavoratori stessi,
non sia risultata rilevante, non deve sorprendere più di tanto, in
quanto i lavori di cui si parla sono in realtà atipici, nel senso di
“non standard”, non tanto nel contenuto, quanto nelle modalità
contrattuali. Sono, infatti, lavori che complessivamente si svol-
gono con modalità non troppo dissimili tra lavoratori stabili e
flessibili, come orari rigidi, mansioni ben definite, ecc.
Nel Capitolo 6 viene fornito un quadro delle condizioni di
lavoro di lavoratori flessibili che vengono confrontati con lavo-
ratori che hanno ottenuto una stabilizzazione nel mercato del
11
lavoro come dipendenti a tempo indeterminato o come lavora-
tori autonomi.
Qual è l’aspetto considerato più importante del proprio lavo-
ro? Stabilità dell’occupazione, autorealizzazione, stipendio/red-
dito sono le prime tre risposte date dai lavoratori senza distin-
zioni di rilievo tra le diverse tipologie contrattuali. Le differenze
tra i giudizi di stabili e instabili divengono invece rilevanti quan-
do andiamo ad analizzare gli aspetti ritenuti più soddisfacenti e
quelli ritenuti più insoddisfacenti. Gli autonomi sono in assoluto
più soddisfatti delle possibilità di autorealizzazione offerte dalla
loro attività, i dipendenti stabili e instabili hanno invece al pri-
mo posto i rapporti con i colleghi. Per gli stabili però al secondo
posto viene la sicurezza del posto di lavoro, che sta invece agli
ultimi posti della graduatoria dei flessibili, che risultano invece
maggiormente soddisfatti delle possibilità di autorealizzazione.
E gli aspetti più insoddisfacenti? Per i flessibili la sicurezza del
posto, per gli stabili (dipendenti e autonomi) il guadagno. Tra i
lavoratori flessibili non deve stupire il maggior grado di insicu-
rezza percepito dai lavoratori del settore pubblico (51%, contro
il 29% del privato e il 22% del terzo settore) che stanno ormai
da tempo vivendo una fase particolarmente critica, dati i blocchi
delle assunzioni e i tagli sul personale che hanno reso pratica-
mente irrealizzabile il raggiungimento di un posto a tempo inde-
terminato e sempre più difficoltoso il rinnovo degli incarichi.
Anche all’interno del gruppo dei flessibili, dunque, è evidente
l’esistenza di gradi diversi di insicurezza, che per taluni è oltre-
modo sofferta, e per altri continua invece ad essere considerata
un fattore meno importante di altri. L’elemento che appare di-
scriminante è la combinazione tra l’occupazione in impieghi a
scarsa gratificazione individuale e la percezione dell’incertezza
lavorativa che, mescolate insieme, determinano un forte desi-
derio di cambiamento in ambito lavorativo. Se la flessibilità si
coniuga invece con professioni congrue con il proprio livello di
scolarizzazione, accompagnandosi a percorsi professionali di
crescita e qualificazione, si registra una più netta resistenza al
cambiamento in direzione di lavori che siano meno attinenti ma
più stabili.
Una variabile importante, per comprendere quali siano le
condizioni oggettive del lavoro degli intervistati che lavorano
con tipologie contrattuali a termine, risulta essere la durata dei
rapporti di lavoro, in quanto avere un contratto che non offre
garanzie di continuità nel tempo può costituire un problema ri-
levante, che influisce sulla qualità della vita e sulle possibilità
12
di pianificazione di medio lungo-periodo (comprarsi una casa,
farsi una famiglia…). A questo proposito i risultati mostrano la
diffusione di contratti mediamente di breve durata (solo il 14% è
in possesso di un contratto valido per un anno o più) che risulta-
no particolarmente diffusi soprattutto tra le donne e coloro che
lavorano in settori sottoposti alla stagionalità del lavoro (agri-
coltura, alberghi e ristoranti).
Essere destinatari di un certo numero di contratti rinnovati
senza soluzione di continuità può essere un costo ritenuto accet-
tabile nel caso vi sia la prospettiva di una stabilizzazione ma, a
questo proposito, la percezione che gli intervistati hanno circa le
loro prospettive occupazionali future non è risultata ottimistica
(solo il 13% ritiene possibile il raggiungimento di un contratto a
tempo indeterminato), così come pessimistiche sono le previsio-
ni circa la possibilità di ottenere a tempo debito un trattamento
pensionistico adeguato (solo il 15% pensa che avrà in futuro una
pensione dignitosa).
Anche la situazione relativa ai redditi mostra una condizione
di svantaggio per quanto riguarda la componente di coloro che
vivono una situazione di instabilità. Il reddito mensile dei lavo-
ratori flessibili è infatti sensibilmente inferiore a quello di coloro
che lavorano a tempo indeterminato (circa la metà si colloca
in una fascia di reddito che non supera i 900 euro mensili). Le
donne, secondo un noto fenomeno di discriminazione di genere,
a tutti i livelli ricevono salari medi più bassi.
Ma quali sono le richieste in termini di tutele e garanzie che
vengono ritenute prioritarie per i lavoratori flessibili? La mag-
gioranza degli intervistati vorrebbe che fosse resa più sicura l’oc-
cupazione, incrementando il lavoro a tempo indeterminato, una
quota significativa ritiene fondamentale l’introduzione di tutele
certe per quanto attiene la malattia, la maternità, gli infortuni.
Rilevante anche la quota di coloro che segnalano la necessità
di prevedere livelli retributivi più elevati (monetizzando, in un
certo senso, le tutele di lavoro) che aggrega, sia tra i tipici che
tra gli atipici, maggiore consenso rispetto alla possibile intro-
duzione dell’indennità di disoccupazione, facendo emergere un
atteggiamento di implicita accettazione del “venire meno di un
quadro di stabilità” che non riguarda solo il mercato del lavoro,
ma anche l’organizzazione del welfare (Carrieri, Damiano, Ugo-
lini, 2005).
Nel Capitolo 7 viene inquadrata, dal punto di vista quantita-
tivo, la diffusione della flessibilità del lavoro nel pubblico impie-
go che evidenzia una crescita generalizzata in tutte le tipologie
13
di ente analizzate arrivando a rappresentare l’8% sul totale del
personale occupato negli Enti locali, in linea con la media na-
zionale. Nel capitolo sono, inoltre, presentati i risultati dell’in-
dagine qualitativa relativa ai percorsi, alle condizioni di lavoro
e alle prospettive future di lavoratori flessibili impiegati nella
Pubblica Amministrazione che rappresentano ormai una quota
sempre più consistente dei lavoratori atipici nella nostra regio-
ne, così come nel resto del paese.
L’utilizzo di tipologie contrattuali a termine ha infatti con-
sentito di compensare i vuoti di organico creati dal blocco delle
assunzioni nel pubblico impiego; questo meccanismo però è sta-
to fortemente messo in discussione dalla Finanziaria del 2006,
che ha ridotto notevolmente i margini per le amministrazioni
pubbliche imponendo tetti fortemente restrittivi alle spese del
personale.
Le circa cinquanta testimonianze raccolte nel corso dell’in-
dagine evidenziano una traiettoria contrassegnata da una fase
iniziale di forte entusiasmo e identificazione con l’ente pubblico
– che ha consentito a molti di svolgere un’attività ritenuta di
prestigio e coerente con gli studi svolti – ad una successiva di
forte delusione rispetto alle prospettive future di stabilizzazio-
ne e di crescita professionale. Dopo anni di impiego presso lo
stesso ente (mediamente almeno tre anni), svolgendo funzioni
essenziali per il funzionamento ordinario della struttura presso
la quale prestano servizio, la sensazione che hanno in molti è
quella di essere rimasti intrappolati in una condizione di pre-
carietà dalla quale diventa sempre più difficile uscire in quanto
l’investimento fatto ha consentito di sviluppare competenze e
professionalità che, in molti casi, sono spendibili solo nel pub-
blico o, ancor peggio, solo presso l’ente committente.
è ovvio che, in un mercato del lavoro in continua trasforma-
zione, destinato a divenire sempre più flessibile, o dove comun-
que è ormai presente una quota “strutturale” di nuove forme di
lavoro, l’attenzione deve necessariamente essere focalizzata su
un sistema di welfare, ancora fortemente legato al modello tradi-
zionale del lavoro dipendente a tempo indeterminato, che neces-
sita di essere rivisto non solo e non tanto in termini di garanzia
del posto, ma piuttosto in termini dinamici, di sviluppo di sen-
tieri professionali-lavorativi soprattutto per le categorie risultate
più deboli – che portino al raggiungimento di una posizione di
forza sul mercato e che proteggano dai rischi dell’instabilità.
Occorre quindi pensare ad interventi volti a promuovere op-
portunità, incidendo sul funzionamento del mercato del lavoro e
14
sui meccanismi tra domanda e offerta, in particolare attraverso
la messa a punto di politiche attive del lavoro, fondate essenzial-
mente sulla formazione professionale, l’orientamento, il soste-
gno alla formazione di lavoro autonomo, i servizi per l’impiego,
la creazione diretta di lavoro.

15
Parte prima

Il quadro regionale e nazionale


2.
Il lavoro flessibile in Toscana:
un quadro di sintesi

2.1. Più flessibilità, più occupazione?

Nel 2006 in Toscana su poco più di un milione di occupati,


i lavoratori con un contratto a termine sono circa 135mila. Nel
giro di quasi un quindicennio la quota complessiva dei lavora-
tori flessibili sul totale dell’occupazione dipendente si è quasi
triplicata, passando dal 4,5% del 1993 al 12,5% del 2006, dato
che ci pone comunque al di sotto della media nazionale (13,1%)
e di quella europea (14,4%) (Tab. 2.1 e Graf. 2.1).

Tabella 2.1. Occupati dipendenti. Toscana e Italia. 1997-2006. Valori assoluti in migliaia

% occupati a
Occupati Occupati TOTALE termine
temporanei permanenti OCCUPATI sul totale
occupati
Toscana Italia Toscana Italia Toscana Italia Toscana Italia

2006 135 2.213 940 14.639 1.075 16.852 12,5 13,1


2005 129 2.018 927 14.454 1.056 16.472 12,2 12,3
2004 118 1.909 896 14.209 1.014 16.117 11,6 11,8
2003 95 1.583 928 14.464 1.023 16.046 9,3 9,9
2002 87 1.563 920 14.286 1.007 15.849 8,6 9,9
2001 88 1.514 915 14.003 1.003 15.517 8,8 9,8
2000 92 1.530 889 13.601 981 15.131 9,4 10,1
1999 75 1.410 882 13.413 957 14.823 7,8 9,5
1998 69 1.249 867 13.299 936 14.548 7,4 8,6
1997 62 1.127 868 13.245 930 14.372 6,7 7,8
Variazione 2005-06 (V.A.) 6 195 13 185 19 380
Variazione 2005-06 (%) 4,7 9,7 1,4 1,3 1,8 2,3
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

19
Grafico 2.1. Incidenza dell’occupazione a termine sull’occupazione complessiva. Toscana.
1993-2006. Valori %

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Le donne si confermano la componente con una maggiore


probabilità di avere accesso ai lavori flessibili: tra queste ultime
l’incidenza del lavoro instabile è pari al 14,5% a fronte del 10,8%
rilevato tra gli uomini. A livello europeo, invece, l’occupazione
fixed term mostra differenze di genere meno accentuate, con una
percentuale del 15% per le donne e del 13,6% per gli uomini.
Se agli occupati dipendenti a termine vengono aggiunti an-
che i 34.785 collaboratori, la quota di lavoratori atipici sfiora i
170mila, pari al 15,3% sul totale dell’occupazione dipendente
in Toscana, al di sopra di Lombardia (12,2%), Veneto (13,4%),
Emilia Romagna (14,1%) e al di sotto della media nazionale
(15,5%).
Per quanto concerne l’analisi territoriale, il primo dato da
evidenziare è che la flessibilità del lavoro è un fenomeno che
negli ultimi anni si è diffuso in tutte le aree della Toscana, come
mostra la crescita, pressoché ininterrotta, dell’incidenza degli
occupati a termine sul totale dei lavoratori dipendenti nell’arco
di quasi un decennio in tutte le province toscane (Tab. 2.2).
Tuttavia la valutazione della quota di occupazione flessibile
nelle province rispetto alla media toscana evidenzia la persisten-
za di evidenti specificità territoriali.

20
Tabella 2.2. Dipendenti a tempo determinato sul totale dei dipendenti.
Province toscane. 1997-2005. Valori %

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Massa Carrara 8,4 9,0 8,2 9,7 9,7 10,7 11,3 11,1 11,0 11,7
Lucca 4,5 3,3 6,5 9,8 9,3 9,6 9,3 10,1 8,6 11,7
Pistoia 7,6 8,7 9,3 8,3 9,1 7,9 9,4 10,7 12,5 14,4
Firenze 5,5 6,1 6,2 7,9 6,7 7,0 7,3 11,0 11,5 11,3
Livorno 6,8 7,4 8,3 7,8 10,0 7,7 8,8 13,4 15,2 12,2
Pisa 7,5 8,7 6,4 10,2 6,0 8,7 10,9 11,6 10,1 10,3
Arezzo 6,1 12,1 7,8 9,4 8,1 8,2 7,2 11,5 11,9 12,9
Siena 9,7 7,4 9,8 11,2 10,5 10,0 9,6 14,6 16,3 16,0
Grosseto 11,4 13,0 13,7 14,7 17,1 12,9 10,3 16,0 19,4 18,5
Prato 8,7 9,2 10,0 9,5 8,9 9,6 14,1 9,1 11,7 12,7
Toscana 6,7 7,4 7,8 9,4 8,8 8,6 9,3 11,6 12,2 12,5
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Ma quanto la diffusione di rapporti di lavoro flessibili ha


contribuito alla crescita complessiva dell’occupazione? La Leg-
ge 30/2003, con la quale si è aperta la seconda fase della flessi-
bilizzazione del lavoro nel nostro paese (dopo il pacchetto Treu
del 1997), partiva dall’assunto che un’ulteriore espansione degli
strumenti di flessibilità a disposizione delle imprese fosse una
strategia vincente per fare crescere l’occupazione.
In Toscana le evidenze empiriche mostrano come le forme di
lavoro flessibile abbiano sostenuto la dinamica positiva dell’oc-
cupazione soprattutto nei primi anni ’90, quando a fronte di una
contrazione dell’occupazione stabile si è verificato un aumento
di quella temporanea. Dal 1997 al 2000 l’incremento ha riguar-
dato in maniera pressoché simile entrambe le componenti. Dal
2000 al 2002, grazie agli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo
indeterminato previsti dalla Legge Finanziaria del 2000, si è as-
sistito persino alla riduzione del lavoro temporaneo.
Tra il 2003 e il 2004 si rileva solo la crescita del lavoro a
termine, che tuttavia non riesce a bilanciare le perdite dell’oc-
cupazione standard. Nonostante sia necessario tener presenti le
modifiche della rilevazione nell’Indagine sulle Forze di lavoro ,


L’anno 2004 rappresenta una vera e propria cesura nell’Indagine nazionale
sulle forze di lavoro, con l’avvio di un nuovo metodo di rilevazione, che rende
particolarmente faticosa la possibilità di effettuare confronti negli ultimi due
anni. Le novità previste dall’Indagine continua, in particolare i nuovi criteri
di definizione dell’occupazione basati non più sull’autopercezione da parte

21
tuttavia tale dinamica è uno scenario plausibile, che potrebbe
dipendere sia dall’entrata a regime delle leggi sul lavoro atipi-
co, sia dagli effetti della congiuntura economica, assolutamen-
te negativa, che ha caratterizzato la nostra regione nel biennio
considerato.
Infine, a partire dal 2005 la dinamica dell’occupazione dipen-
dente torna ad essere positiva, con un contributo di entrambe le
componenti, ma soprattutto del lavoro standard (Graf. 2.2).

Grafico 2.2. Contributo alla crescita occupazionale in Toscana. 1993-2006.


Valori assoluti in migliaia

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Ulteriori elementi di riflessione possono derivare dalla valu-


tazione del diverso impatto della diffusione dei lavori atipici sui
livelli e sull’andamento dell’occupazione per genere e per classi
di età.
La flessibilità del lavoro è un fenomeno che avrebbe dovu-
to interessare soprattutto la componente giovanile (15-29 anni)
della forza lavoro in ingresso nel mercato del lavoro, ma l’occu-
pazione non sembra crescere in questa fascia di età (Tab. 2.3).

dell’intervistato, bensì su un dato fattuale (l’aver svolto almeno un’ora di la-


voro retribuito nella settimana precedente l’intervista per gli occupati), hanno
condotto ad una rivalutazione dell’occupazione.

22
Tabella 2.3. Tasso di occupazione per posizione lavorativa e classi di età in Toscana.
Maschi e femmine. 2000-2006
15-29 30-49
2000 2004 2006 2000 2004 2006
Maschi
Occ. temporanea 2,5 10,3 12,1 2,7 4,2 5,2
Occ. con contratti causa mista. 4,8 1,3 1,7 0,8 0,2 0,1
Occ. permanente 34,1 29,9 28,3 59,7 58,6 57,5
Occ. indipendente 12,7 12,0 10,3 31,3 31,5 31,6
TOTALE 54,2 53,5 52,3 93,7 94,4 94,3
Femmine
Occ. temporanea 4,6 12,3 14,2 4,6 8,8 9,3
Occ. con contratti causa mista. 3,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,1
Occ. permanente 26,6 24,6 22,6 45,3 46,7 50,2
Occ. indipendente 8,3 5,1 5,4 16,7 15,4 13,2
TOTALE 43,0 43,1 42,8 66,6 71,0 72,7
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Nel periodo 2000-2006, l’occupazione dei giovani maschi


è in diminuzione e tende a diventare sempre più instabile: la
componente permanente diminuisce di circa 6 punti percentuali
a fronte di una crescita altrettanto sensibile della componente
flessibile (+10 punti), di cui i contratti a fini formativi (quelli con
maggiori opportunità di trasformazione in rapporti di lavoro
stabili) rappresentano una quota minoritaria e decrescente nel
tempo. Per quanto riguarda i maschi adulti, si continua a verifi-
care un effetto sostituzione, poiché la debole crescita dell’occu-
pazione (inferiore a 1 punto percentuale) è dovuta a un aumento
del lavoro flessibile (di circa 3 punti) a fronte della diminuzione
del lavoro standard (-2%).
Al pari dei coetanei maschi, per le giovani donne toscane non
si rileva alcun evidente aumento nella partecipazione al mercato
del lavoro, con un tasso di occupazione che rimane sostanzial-
mente stabile attorno al 43%. La crescita occupazionale si veri-
fica tra le donne a partire dai 30 anni (+6%), con un contributo
sia di lavoro stabile che instabile.
Ciò che è preoccupante è che l’aumento degli occupati con
rapporti di lavoro a termine si verifichi non solo nelle fasi di in-
gresso nel mercato del lavoro, ma anche tra le fasce adulte, sia
donne che uomini, per le quali le probabilità di restare intrappo-
lati nella precarietà sono evidentemente più elevate e tendono a
crescere in funzione proprio dell’età e del periodo di permanen-
za in tale condizione.
23
Se a questa analisi aggiungiamo anche la tipologia di ora-
rio, è evidente come nella crescita occupazionale al femminile,
più che la flessibilità del lavoro, abbia avuto un ruolo rilevante
l’incremento del lavoro dipendente a tempo parziale, in forma
stabile. Come già sottolineato da Reyneri (2005a), tra le donne
adulte la crescita delle part-timers è particolarmente sostenuta,
in particolare nella sua componente a tempo indeterminato (+7
punti percentuali) (Tab. 2.4).

Tabella 2.4. Tasso di occupazione per posizione lavorativa, orario e classi di età in Toscana.
Femmine. 2000-2006
15-29 30-49
2000 2004 2006 2000 2004 2006

Dip. permanente full time 22,8 19,0 16,7 37,3 33,9 34,8
Dip. permanente part-time 3,8 5,7 5,9 8,0 12,8 15,4
Dip. temporaneo full time 5,3 9,0 8,5 2,8 5,5 6,2
Dip. temporaneo part-time 2,9 4,3 6,3 1,9 3,2 3,1
Indipendenti 8,3 5,1 5,4 16,7 15,4 13,2
TOTALE 43,0 43,1 42,8 66,6 71,0 72,7
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

2.2. L’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali

Uno dei tratti caratterizzanti la Legge 30/2003, e anche tra


i più dibattuti, riguarda l’ulteriore espansione degli strumen-
ti di flessibilità a disposizione delle imprese (come il lavoro a
progetto, a chiamata, lo staff leasing, i contratti di inserimento),
che possono, dunque, contare sull’esistenza di 40 diversi istituti
contrattuali.
A questo riguardo, purtroppo, non è possibile rilevare con
esattezza i cambiamenti avvenuti, dal momento che l’ISTAT non
ha previsto alcun aggiornamento del quesito relativo alle tipolo-
gie contrattuali dei lavoratori a termine e non è possibile indivi-
duare la collocazione degli occupati assunti con i nuovi rapporti
di lavoro (Tab. 2.5).

24
Tabella 2.5. Occupati a termine per tipologia contrattuale in Toscana per classi di età e
genere. 2004 e 2006. Valori %
Maschi Femmine
15-29 30-49 50-64 TOTALE 15-29 30-49 50-64 TOTALE TOTALE

2004
Contratto di formazione lavoro 15,7 6,0 1,0 10,6 10,1 4,3 4,6 6,8 8,3
Contratto di apprendistato 43,2 - - 22,9 29,3 - - 12,4 16,6
Contratto a tempo determinato 24,9 67,0 69,1 44,9 42,8 80,8 71,6 64,0 56,2
Altro tipo di contratto 5,4 15,9 16,3 10,4 6,5 8,8 19,6 8,8 9,4
Non sa 10,7 11,1 13,6 11,2 11,3 6,1 4,1 8,1 9,4
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

2006
Contratto di formazione lavoro 14,1 2,5 0,0 8,6 5,8 1,2 0,0 3,0 5,5
Contratto di apprendistato 33,2 1,3 0,0 18,4 25,4 0,1 0,0 10,2 14,0
Contratto a tempo determinato 45,3 82,8 92,9 63,4 62,0 92,4 92,3 80,3 72,5
Altro tipo di contratto 4,6 12,7 7,1 7,9 5,3 5,4 7,7 5,5 6,6
Non sa 2,7 0,8 0,0 1,8 1,6 0,9 0,0 1,1 1,4
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Il quadro fornito dai dati delle Forze di lavoro in Toscana


evidenzia tra il 2004 e il 2006 una pronunciata crescita dei con-
tratti a tempo determinato, che arrivano a rappresentare circa il
73% sul totale dei rapporti di lavoro atipici nel 2006, rispetto al
56% rilevato nel 2004; mentre il lavoro interinale continua a rap-
presentare un fenomeno marginale, coinvolgendo meno del 2%
dei lavoratori atipici. L’incremento della modalità più tipica dei
rapporti di lavoro a termine, ossia il tempo determinato, avviene
a scapito dei contratti di causa mista, per i quali si assiste ad
un considerevole ridimensionamento, imputabile in larga parte
alla diminuzione del ricorso alla formazione lavoro (dall’8% al
5%) e, in misura minore, anche all’apprendistato (dal 17% al
14%), che avrebbe dovuto rappresentare uno dei punti di forza
della riforma dal punto di vista dell’inserimento dei giovani nel
mercato del lavoro. Nella componente giovanile (15-29 anni), la


Il mancato decollo del contratto di apprendistato è imputabile ai ritardi nella
emanazione delle disposizioni applicative del D.Lgs 276/03 da parte delle Re-
gioni. La Toscana fa parte del ristretto gruppo di Regioni che hanno provve-
duto all’emanazione della disciplina regionale relativa all’apprendistato pro-
fessionalizzante, che risulta operante dal 1 Aprile 2005.

25
contrazione dei rapporti di lavoro con finalità formative è tale
che si verifica una sorta di effetto sostituzione di questi con il
più generico contratto a termine.
In diminuzione anche la categoria residuale delle altre tipo-
logie contrattuali e degli occupati che non hanno saputo indica-
re il loro tipo di contratto.
I risultati di indagini dirette alle aziende, condotte sia a livel-
lo regionale che nazionale, sopperiscono a tali lacune informa-
tive, indicando come la nuova normativa non abbia modificato
affatto il panorama di riferimento delle imprese nella scelta e
nell’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali. La prima indagi-
ne IRPET sulla flessibilità del lavoro in Toscana (Giovani, 2005)
ha evidenziato da parte degli imprenditori scarsi livelli di cono-
scenza della Legge 30/2003 (e delle novità in materia di istituti
contrattuali) e basse previsioni di utilizzo delle nuove forme di
lavoro flessibile.
Anche a livello nazionale l’indagine di Confindustria indica
per il 2004 un utilizzo più che marginale dei rapporti di lavoro
riconducibili alle nuove disposizioni normative, attribuito da un
lato alla scarsa conoscenza da parte degli imprenditori, dall’al-
tro all’assenza della necessaria disciplina di dettaglio, come nel
caso dello staff leasing (Guelfi, Trento, 2006; Centro Studi Con-
findustria, 2006).
In riferimento al lavoro parasubordinato, l’introduzione del-
la collaborazione a progetto era, nell’intenzione del legislatore,
lo strumento per far emergere le false posizioni di lavoro auto-
nomo e trasformarle in rapporti di lavoro subordinato.
In realtà analisi recenti basate su elaborazioni di dati INPS
mostrano come, a distanza di due anni dall’entrata in vigore del-
la Legge 30/2003 e dei relativi decreti attuativi, non solo non si
sia verificato un ridimensionamento del fenomeno, ma per mol-
ti collaboratori poco è cambiato dal punto di vista sostanziale
(IRES, 2005; NIDIL CGIL, 2005).
La maggioranza dei co.co.co. ha solo modificato la propria
denominazione, passando ad essere collaboratori a progetto,
ma i caratteri della loro prestazione lavorativa continuano ad
essere simili a quelli del lavoratore dipendente: in generale i col-
laboratori dichiarano di avere un unico committente, lavorano
prevalentemente presso la sede del committente, sono tenuti a
rispettare un orario di lavoro.
Assai rari sono i casi di stabilizzazione con un contratto a
tempo indeterminato, mentre rilevante è il fatto che in non po-
chi casi il collaboratore è stato indotto alla apertura della parti-
26
ta IVA. Al 2004 in Italia si contano quasi 300mila collaboratori
professionisti, cresciuti del 10% rispetto all’anno precedente,
soprattutto perché, dopo l’approvazione del decreto attuativo
della Legge 30/2003, è stato il datore di lavoro a chiedere loro di
aprire la partita IVA. L’indagine nazionale dell’IRES promossa
da NIDIL CGIL (2005) mostra come in generale i professionisti
con partita IVA non si differenzino dall’intero universo dei colla-
boratori: hanno una posizione molto simile a quella del lavora-
tore subordinato, lavorando per un unico committente, con una
presenza per lo più quotidiana presso la sede del datore di lavo-
ro. Alta è la percentuale di chi si percepisce un dipendente non
regolarizzato piuttosto che un libero professionista, tant’è che
l’apertura della partita IVA è vissuta prevalentemente come una
condizione imposta dal datore di lavoro o legata al tipo di pro-
fessione svolta, piuttosto che una scelta da parte del singolo.
Evidentemente l’obiettivo della Legge 30/2003 di eliminare le
irregolarità nell’uso delle collaborazioni, rendendo manifeste le
posizioni di falsa autonomia, è fallito e in non pochi casi i colla-
boratori non solo non sono riusciti ad ottenere un contratto di
tipo subordinato, ma con l’apertura della partita IVA si trovano
anche nella condizione di non godere più di quelle poche tutele
che la posizione di collaboratore garantiva, oltre a dover sop-
portare maggiori oneri fiscali derivanti dalla tenuta della partita
IVA.
Per quanto riguarda la Toscana, i dati delle Forze di lavoro
non mostrano livelli diversi rispetto al quadro nazionale. Al 2006
i collaboratori risultano poco più di 35mila, pari al 3,1% sul totale
dell’occupazione dipendente, lievemente al di sopra del dato me-
dio nazionale (2,8%). Dopo la flessione registrata nel 2005 (quan-
do i collaboratori sono diminuiti da circa 37mila a 33mila), nel
2006 il dato riprende a crescere.
Per quanto concerne le modalità di lavoro, anche nella no-
stra regione i dati ISTAT evidenziano un’occupazione a carattere
prevalentemente dipendente: l’88% lavora per una sola azienda,
il 79% lavora presso la sede del datore di lavoro, il 58% non
decide l’orario di lavoro. La monocommittenza, il lavoro pres-
so l’azienda e l’accettazione di un orario di lavoro prestabilito
riguarda circa la metà dei collaboratori. Il 39% ha un contratto
inferiore a dodici mesi.
Osservando il percorso nell’ultimo anno, ovvero l’attuale
condizione di coloro che un anno prima risultavano occupati
come co.co.co., si osserva che nel 2006 un’ampia maggioranza
dei collaboratori lo era già l’anno precedente (76%), immagi-
27
nando che la principale transizione sia stata da collaboratore
coordinato e continuativo a collaboratore a progetto. Solo il 3%
si è stabilizzato con un impiego a tempo indeterminato, il 3,5%
è un dipendente con un contratto a termine, il 2% ha avviato
un’attività autonoma. Degno di nota il fatto che oltre il 15% de-
gli ex co.co.co. oggi non lavora, perché disoccupato (6%) oppure
perché uscito dal mercato del lavoro e entrato nella condizione
di inattività (9%) (Tab. 2.6).

Tabella 2.6. La condizione professionale o non professionale al 2004 e al 2006 di coloro


che un anno prima erano occupati come collaboratori coordinati e continuativi. Toscana.
Valori %
2004 2006

Dipendente a tempo indeterminato 3,3 3,4


Dipendente a tempo determinato 3,5 3,5
Collaboratore 84,1 75,6
Autonomo 0,4 2,2
Disoccupato 2,8 6,0
Inattivo 5,9 9,3
TOTALE 100,0 100,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro

Se confrontiamo i dati 2004 e 2006, contrassegnati dalla pro-


gressiva entrata a regime delle nuove previsioni normative, si
evidenzia un peggioramento delle opportunità occupazionali
complessive dei collaboratori: la conferma dello status di colla-
boratore rimane l’esito decisamente più probabile, anche se in
diminuzione (da 84% a 76%); rimangono stabili le transizioni
al lavoro dipendente, sia standard che a termine; in lieve cresci-
ta l’ingresso in percorsi di autoimprenditorialità, all’interno dei
quali, sarebbe opportuno valutare quanti siano i lavoratori che
effettivamente svolgono la propria professione in condizione di
autonomia.
Rilevante è semmai la crescita di quanti sono usciti dal mer-
cato del lavoro (dal 6% al 9%) e di quanti sono alla ricerca di una
nuova occupazione (dal 3% al 6%).

28
3.
La flessibilità del lavoro
in Toscana: un confronto
con il quadro nazionale

3.1. Qualche osservazione congiunturale

In Toscana, come per tutta l’Italia, l’incidenza dei rapporti di


lavoro a termine sul totale dell’occupazione dipendente dal 2004
ha ripreso ad aumentare, dopo aver arrestato per qualche anno
la sua ininterrotta crescita dal 1993. Questo andamento confer-
ma quanto scarso sia stato l’impatto dei mutamenti normativi
sul mercato del lavoro (Reyneri, 2006). Quasi metà del fortissi-
mo incremento della percentuale di occupazione dipendente a
tempo determinato dal 1993 al 2001 è precedente al “pacchetto
Treu” del 1997 e alla riforma liberalizzante dei contratti a termi-
ne del 2001 segue addirittura una loro contrazione, almeno in
termini relativi. Neppure la decisa crescita dal 2004, in Toscana
un po’ maggiore che a livello nazionale, può essere attribuita a
modificazioni normative, poiché è constatazione unanime che
le numerose forme di lavoro dipendente a termine introdotte
dalla Legge 30/2003 (job on call, lavoro occasionale, staff lea-
sing, ecc.) hanno avuto un impatto occupazionale modestissimo
(Ministero del lavoro 2006b; Veneto Lavoro, 2006).
Sulla dinamica del lavoro dipendente instabile, che come è
noto interessa in misura molto maggiore le nuove assunzioni
dei giovani, è probabile influiscano più fattori economici che
normativi. A questo proposito è stata avanzata l’ipotesi che l’an-
damento dell’occupazione a termine anticipi quello del prodot-
to interno lordo, che costituisce il principale indicatore dello
stato di salute di un sistema economico, (Ministero del lavoro,
2006b). L’aumento dell’incidenza del lavoro a termine nel 2004
e nel 2005, quindi, sarebbe dovuto al fatto che le imprese hanno
ripreso ad assumere e precederebbe di alcuni mesi la ripresa
economica dopo quattro anni di stagnazione, dal 2001 al 2005.
L’andamento positivo della congiuntura economica a partire dai
primi mesi del 2006 sembra confermare tale ipotesi.
Tuttavia, a questo aspetto incoraggiante, se ne accompagna-

29
no altri di segno opposto per quanto riguarda l’ulteriore diffu-
sione dei lavori instabili, che sono ormai diventati la via princi-
pale seguita dalle imprese e dalle organizzazioni pubbliche per
assumere, in particolare i giovani al loro primo impiego. Uno
studio della Banca d’Italia (2006) ha mostrato che la quota delle
posizioni a termine (che comprendono anche le collaborazioni e
le prestazioni occasionali, oltre ai rapporti di lavoro dipendente
a tempo determinato) è molto più elevata tra i “nuovi assunti”,
cioè tra coloro che hanno trovato un’occupazione nei 12 mesi
precedenti l’indagine sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, e
che questa differenza è in netto aumento dal 2004 al 2006. Come
si può vedere dalla tabella 3.1, la quota dei neo-assunti con con-
tratto a termine è salita da poco meno del 39% del 2004 a quasi
il 45% del 2006, superando il 50% per i lavoratori con meno
di 30 anni. Se si escludono coloro che hanno trovato un’occu-
pazione indipendente, le assunzioni da parte delle imprese si
ripartiscono praticamente in parti eguali tra contratti a termine
e a tempo indeterminato, ma le assunzioni con rapporti perma-
nenti diventano sempre più minoritarie per i giovani sino a 29
anni, la maggior parte dei quali si può pensare al loro primo
impiego. L’incidenza del lavoro a termine è ovviamente molto
minore se si considera l’occupazione totale e per di più dal 2004
al 2006 cresce solo di un punto percentuale, ma di quasi quattro
punti per i giovani. Da questa fortissima differenza tra il flus-
so delle nuove assunzioni e lo stock dell’occupazione totale si
trae l’indicazione che una larga parte dei rapporti a termine sarà
successivamente trasformata in rapporti a tempo determinato,
ma su questo punto si tornerà più oltre riprendendo i risultati
dell’indagine longitudinale e quelli di altre elaborazioni sull’in-
dagine continua Istat delle forze di lavoro.
Tabella 3.1. Occupati per condizione professionale. Italia.
A tempo indeterminato A termine Indipendente
Non Non Non
Tutti occupati (b) Tutti occupati (d) Tutti occupati (f)
(a) 1 anno - (a) (c) 1 anno - (c) (e) 1 anno - (e)
prima (b) prima (d) prima (e)
2004
Tutti 62,9 39,0 -23,9 10,7 38,6 27,9 26,4 22,4 -4,0
Tra 15 e 29 anni 59,6 38,1 -21,5 23,7 46,4 22,7 16,7 15,5 -1,2
2005
Tutti 63,4 39,4 -24,0 10,8 40,5 29,7 25,8 20,1 -5,7
Tra 15 e 29 anni 59,5 37,2 -22,3 25,0 49,8 24,8 15,5 13,0 -2,5
2006
Tutti 63,0 35,5 -27,5 11,7 44,8 33,1 25,3 19,8 -5,5
Tra 15 e 29 anni 56,6 32,5 -24,1 27,4 50,5 23,1 16,0 17,0 1,0
Fonte: Banca d’Italia (2006) per il 2004 e il 2005, elaborazione da dati ISTAT per il 2006.

30
Peggiore dal punto di vista strutturale, ma congiunturalmen-
te in via di miglioramento appare la situazione dell’occupazione
in Toscana. Infatti, come mostra la tabella 3.2, costruita con gli
stessi criteri adottati dalla Banca d’Italia, tra chi ha trovato la-
voro nel corso dei 12 mesi precedenti l’indagine l’incidenza dei
rapporti a termine è molto più alta che non a livello nazionale
e cresce da poco più del 46% nel 2004 a quasi il 52% nel 2005,
ma diminuisce al 43% nel 2006, sia pure grazie solo alla ripresa
degli ingressi nel lavoro in proprio, che possono nascondere si-
tuazioni di occupazione dipendente precaria. Se si considerano
soltanto i giovani sino a 29 anni, la quota di assunti a termine
cresce da poco meno del 58% sino a sfiorare il 62%, per poi ri-
discendere al 56%. Se si escludono gli ingressi nell’occupazione
indipendente, la quota di assunti con rapporti a termine dalle
imprese supera nettamente il 60% e raggiunge addirittura il 70%
per i giovani.

Tabella 3.2. Occupati per condizione professionale. Toscana.


A tempo indeterminato A termine Indipendente
Non (b) Non (d) Non (f)
Tutti occupati - (a) Tutti occupati - (c) Tutti occupati - (e)
(a) 1 anno (c) 1 anno (e) 1 anno
prima (b) prima (d) prima (e)
Tutti 59,4 26,8 -32,5 10,7 46,4 35,8 30,0 26,8 -3,2
Tra 15 e 29 anni 54,7 21,3 -33,4 25,5 57,6 32,1 19,7 21,1 1,3
Oltre 29 anni 60,4 31,6 -28,8 7,4 36,6 29,2 32,2 31,7 -0,5
2005
Tutti 59,9 32,3 -27,6 11,0 51,7 40,7 29,1 16,0 -13,1
Tra 15 e 29 anni 52,5 26,2 -26,4 30,7 61,6 30,9 16,8 12,2 -4,6
Oltre 29 anni 61,3 37,0 -24,4 7,2 44,1 36,9 31,5 18,9 -12,5
2006
Tutti 59,7 29,8 -29,9 12,1 43,1 31,0 28,3 27,1 -1,2
Tra 15 e 29 anni
50,2 25,3 -24,9 31,1 56,1 25,0 18,7 18,6 -0,1
Oltre 29 anni 61,5 32,6 -28,9 8,4 35,0 26,6 30,1 32,4 2,3
Fonte: elaborazione su dati ISTAT.

Invece, la Toscana non presenta significative differenze dalle


medie nazionali per quanto riguarda l’incidenza dei rapporti a
termine sull’occupazione totale. Ne consegue che in Toscana è
molto più forte che non a livello nazionale lo scarto tra il flusso
dei nuovi assunti e lo stock degli occupati, come si può vede-
re dal confronto tra le colonne (d) - (c) delle tabelle 3.1 e 3.2:
le differenze ivi riportate oscillano in Italia dai 23 ai 30 punti
percentuali e in Toscana da 31 a quasi 41 punti percentuali. Ciò

31
dovrebbe indicare che in Toscana gli ingressi nell’occupazione
dipendente (per tutti, ma in particolare per i giovani) sono mol-
to più spesso instabili rispetto ai valori medi nazionali, ma che,
in compenso, più alta è la frequenza di una loro trasformazione
in posizioni stabili sicché l’incidenza dei rapporti instabili nel
complesso diventa simile a quella che si rileva a livello naziona-
le. Questa conclusione, tuttavia, va presa con prudenza, poiché
occorre considerare la diversa dinamica storica dei due valori
messi a confronto: l’incidenza dei rapporti a termine sul flus-
so dei nuovi impieghi è un dato annuo, che può variare veloce-
mente, mentre quella sullo stock dell’occupazione varia molto
più lentamente, perché è condizionata dal volume dei rapporti
di lavoro a tempo indeterminato stipulati in un passato anche
lontano. Quindi, se la Toscana avesse una maggiore “sedimen-
tazione” di rapporti permanenti contratti in passato, la sua più
elevata capacità di trasformare in stabili un più alto flusso di
ingressi instabili andrebbe ridimensionata. Siccome, però, tale
situazione è poco verosimile, non resta che constatare come la
Toscana attualmente si caratterizzi nel panorama italiano per
una più diffusa instabilità nell’ingresso al lavoro alle dipenden-
ze, compensata da una maggior frequenza delle trasformazio-
ni dei rapporti instabili in stabili. Solo il ricorso all’analisi dei
dati amministrativi sulla posizione degli occupati di fonte Inps
o Centri per l’impiego potrà confermare o smentire questa pecu-
liarità della Toscana rispetto al contesto italiano.

3.2. Le caratteristiche personali dei lavoratori instabili

Anche questa indagine mostra che i lavoratori flessibili in


Toscana presentano alcuni tratti personali che li caratterizzano:
sono molto più spesso donne, giovani che vivono ancora con i
genitori, mentre contraddittorio è il ruolo svolto dall’istruzione,
poiché le posizioni instabili sembrano più diffuse sia tra i meno
che tra i più istruiti. L’analisi descrittiva che pone a confronto le
caratteristiche dei lavoratori instabili con quelle dei lavoratori
stabili tende a “tipizzare” le due figure, facendo emergere degli
identikit delle persone che più probabilmente si trovano in una
posizione lavorativa flessibile o permanente. In questa analisi,
le diverse caratteristiche sono considerate insieme, perché non
è possibile distinguerle. Ad esempio, poiché i giovani sono più
istruiti degli adulti, non è possibile distinguere se il rischio di
lavorare in posizione instabile dipenda dalla giovane età o piut-
32
tosto dal più elevato livello di istruzione. Un approccio diverso
tende, invece, a separare l’impatto dei diversi fattori, isolandolo
da quello degli altri attraverso una particolare tecnica statistica,
la regressione logistica multinominale.
Per poter cogliere gli effetti di ognuna delle caratteristiche
personali sul tipo di lavoro svolto al netto di quelli delle altre
caratteristiche è, però, necessario vederli in modo relativo, cioè
considerando contemporaneamente due termini di riferimento:
una modalità della condizione di lavoro e una modalità per ogni
caratteristica della persona presa in esame. Per quanto riguarda
la modalità della condizione di lavoro (la nostra variabile dipen-
dente) è stato ovvio scegliere come termine di riferimento il la-
voro dipendente a tempo indeterminato in modo da far emerge-
re le caratteristiche di coloro che invece svolgono ognuna delle
altre forme di lavoro, da quella a tempo determinato alle colla-
borazioni, dal lavoro imprenditoriale e professionale a quello in
proprio (senza dipendenti) di carattere per lo più artigianale o
commerciale. Per ognuna delle caratteristiche personali è stata
scelta una modalità di riferimento: le femmine per il genere, la
classe di età 55-64 anni per l’età, la condizione di “altro parente”
per la posizione familiare e un titolo universitario per l’istruzio-
ne. Un simbolo negativo indica che una data modalità di una
caratteristica del lavoratore ha minori probabilità di essere pre-
sente rispetto alla duplice modalità di riferimento e un simbolo
positivo, invece, una maggiore probabilità, mentre il valore dei
coefficienti indica l’intensità della probabilità, negativa o positi-
va che sia.
I risultati di questa analisi condotta sui dati dell’indagine
continua Istat sulle forze di lavoro sono presentati nella tabella
3.3 per la Toscana nel 2004, nel 2005 e nel 2006 e nella tabella
3.4 per l’Italia nel 2005 e nel 2006, per poter avere un termine di
confronto.

33
Tabella 3.3. Modelli di probabilità di avere un’occupazione diversa dal rapporto di lavoro
dipendente a tempo indeterminato. Toscana.

2004 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio


determinato professionisti e coadiuvanti

Intercetta - 1,472 *** - 1,585 - 1,692 ** - 1,742 ***


Genere Maschio - 0,558 *** - 0,562 + 0,729 *** + 0,435 ***
Femmina 0,000 0,000 0,000 0,000
Classi di età 15-24 + 1,796 *** + 0,116 - 1,105 - 1,002 ***
25-34 + 0,711 - 0,752 - 0,376 - 0,735 ***
35-44 + 0,317 - 1,045 ** - 0,522 - 0,517 ***
45-54 - 0,278 - 1,678 *** - 0,722 *** - 0,717 ***
55-64 0,000 0,000 0,000 0,000
Posizione familiare Capofamiglia - 0,891 ** + 0,223 + 0,837 - 0,291
Coniuge - 0,469 + 0,215 + 0,426 - 0,030
Figli - 0,026 + 0,918 + 0,193 - 0,304
Altri parenti 0,000 0,000 0,000 0,000
Istruzione Licenza elementare 0,020 - 0,950 - 1,648 *** + 1,669 ***
Licenza media - 0,307 - 1,778 *** - 2,009 *** + 1,590 ***
Diploma e professionali - 0,396 - 0,995 *** - 0,989 *** + 1,050 ***
Università 0,000 0,000 0,000 0,000
Pseudo R-quadrato Numero casi 3.741
Cox e Snell 0,176
Nagelkerke 0,197
McFadden 0,086
* = significatività 10%, ** = significatività 5%, *** = significatività 1%.

2005 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio


determinato professionisti e coadiuvanti

Intercetta - 2,482 *** - 1,388 - 1,665 ** - 2,188 ***


Genere Maschio - 0,406 * - 0,447 + 0,847 *** + 0,428 ***
Femmina 0,000 0,000 0,000 0,000
Classi di età 15-24 + 2,671 *** + 0,777 - 1,261 - 0,559
25-34 + 1,179 *** - 0,362 - 0,704 * - 0,649 ***
35-44 + 0,743 - 0,919 - 0,482 - 0,475 ***
45-54 + 0,021 - 1,143 - 0,535 - 0,561 ***
55-64 0,000 0,000 0,000 0,000
Posizione familiare Capofamiglia - 0,170 - 0,689 + 0,622 - 0,183
Coniuge + 0,104 - 1,005 + 0,527 - 0,016
Figli + 0,327 - 0,138 + 0,219 - 0,211
Altri parenti 0,000 0,000 0,000 0,000
Istruzione Licenza elementare + 0,138 - 1,194 - 1,833 *** + 2,231 ***
Licenza media - 0,309 - 1,376 *** - 2,456 *** + 1,814 ***
Diploma e professionali - 0,274 - 0,446 - 0,877 *** + 1,458 ***
Università 0,000 0,000 0,000 0,000
Pseudo R-quadrato Numero casi 3.483
Cox e Snell 0,191
Nagelkerke 0,214
McFadden 0,094
* = significatività 10%, ** = significatività 5%, *** = significatività 1%.

34
Tabella 3.3 segue
2006 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio
determinato professionisti e coadiuvanti

Intercetta - 2,466 *** - 2,309 *** - 1,188 *** - 2,540 ***


Genere Maschio - 0,574 *** - 0,358 + 1,026 *** + 0,498 ***
Femmina 0,000 0,000 0,000 0,000
Classi di età 15-24 + 2,196 *** + 0,252 - 0,942 - 0,328
25-34 + 0,879 *** + 0,021 - 0,762 *** - 0,430 ****
35-44 + 0,135 - 0,203 - 0,364 * - 0,533 ***
45-54 - 0,128 - 1,493 *** - 0,408 * - 0,553 ***
55-64 0,000 0,000 0,000 0,000
Posizione familiare Capofamiglia + 0,355 - 0,129 - 0,140 0,091
Coniuge + 0,439 - 0,070 - 0,249 + 0,213
Figli + 0,904 ** + 0,347 - 0,759 * + 0,012
Altri parenti 0,000 0,000 0,000 0,000
Istruzione Licenza elementare + 0,396 - 1,375 * - 1,666 *** + 2,107 ***
Licenza media - 0,022 - 0,940 *** - 1,835 *** + 1,986 ***
Diploma e professionali - 0,326 * - 0,565 ** - 0,893 *** + 1,311 ***
Università 0,000 0,000 0,000 0,000
Pseudo R-quadrato Numero casi 3.593
Cox e Snell 0,190
Nagelkerke 0,212
McFadden 0,093
* = significatività 10%, ** = significatività 5%, *** = significatività 1%.

Tabella 3.4 Modelli di probabilità di avere un’occupazione diversa dal rapporto


di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Italia.
2005 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio
determinato professionisti e coadiuvanti

Intercetta - 2,107 *** - 1,968 *** - 1,955 *** - 2,311 ***


Genere Maschio - 0,412 *** - 0,589 *** + 0,916 *** + 0,457 ***
Femmina 0,000 0,000 0,000 0,000
Classi di età 15-24 + 1,979 *** + 0,330 - 1,771 *** - 1,018 ***
25-34 + 1,002 *** - 0,102 - 0,554 *** - 0,570 ***
35-44 + 0,612 *** - 0,592 *** - 0,237 *** - 0,459 ***
45-54 + 0,067 - 0,976 *** - 0,428 *** - 0,586 ***
55-64 0,000 0,000 0,000 0,000
Posizione familiare Capofamiglia - 0,335 *** - 0,241 + 0,698 *** - 0,102
Coniuge - 0,125 - 0,303 + 0,638 *** + 0,129
Figli + 0,224 * + 0,396 + 0,503 ** + 0,055
Altri parenti 0,000 0,000 0,000 0,000
Istruzione Licenza elementare + 0,705 *** - 1,198 *** - 2,482 *** + 1,953 ***
Licenza media - 0,335 *** - 1,542 *** - 2,311 *** + 1,581 ***
Diploma e professionali - 0,417 *** - 0,746 *** - 1,261 *** + 1,157 ***
Università 0,000 0,000 0,000 0,000
Pseudo R-quadrato Numero casi 63.881
Cox e Snell 0,163
Nagelkerke 0,184
McFadden 0,082
* = significatività 10%, ** = significatività 5%, *** = significatività 1%.

35
Tabella 3.4 segue
2006 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio
determinato professionisti e coadiuvanti

Intercetta - 2,265 *** - 2,028 *** - 1,955 *** - 2,303 ***


Genere Maschio - 0,437 *** - 0,539 *** + 0,887 *** + 0,489 ***
Femmina 0,000 0,000 0,000 0,000
Classi di età 15-24 + 2,116 *** + 0,383 *** - 1,610 *** - 0,776 ***
25-34 + 1,045 *** + 0,067 - 0,525 *** - 0,467 ***
35-44 + 0,629 *** - 0,613 *** - 0,279 *** - 0,399 ***
45-54 + 0,145 ** - 1,106 *** - 0,374 *** - 0,466 ***
55-64 0,000 0,000 0,000 0,000
Posizione familiare Capofamiglia - 0,230 ** - 0,211 + 0,670 *** - 0,107
Coniuge - 0,015 - 0,086 + 0,524 *** + 0,128 *
Figli + 0,380 *** + 0,459 ** + 0,462 ** + 0,016
Altri parenti 0,000 0,000 0,000 0,000
Istruzione Licenza elementare + 0,811 *** - 1,250 *** - 2,652 *** + 1,802 ***
Licenza media - 0,127 *** - 1,447 *** - 2,264 *** + 1,533 ***
Diploma e professionali - 0,411 *** - 0,980 *** - 1,365 *** + 1,041 ***
Università 0,000 0,000 0,000 0,000
Pseudo R-quadrato Numero casi 62.392
Cox e Snell 0,163
Nagelkerke 0,184
McFadden 0,082
* = significatività 10%, ** = significatività 5%, *** = significatività 1%.

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

Per ogni tipo di occupazione diversa dal rapporto di lavoro


dipendente a tempo indeterminato è quindi possibile mettere in
luce quali sono i maggiori fattori di rischio.
a) rapporti di lavoro dipendente a tempo determinato (compresi
quelli a fini formativi):
• genere: il rischio di svolgere tali lavori è nettamente più
alto per le donne;
• età: il rischio decresce progressivamente al crescere del-
l’età;
• posizione familiare: il rischio è nettamente meno elevato
per i capifamiglia e più elevato per i figli;
• istruzione: il rischio è nettamente più elevato per le perso-
ne meno istruite, ma discretamente più elevato anche per
i più istruiti.
b) rapporti di collaborazione (comprese le prestazioni occasionali):
• genere: il rischio di avere tali rapporti è nettamente più
elevato per le donne;
• età: il rischio è nettamente più elevato per i più giovani,
ma anche per chi ha più di 55 anni, ad indicare che po-
trebbe esservi anche una professionalizzazione di questa
condizione;
36
• posizione familiare: il rischio è meno elevato per i capi-
famiglia e più elevato per i figli, ma la significatività della
relazione è scarsa;
• istruzione: il rischio cresce progressivamente al crescere
del livello di istruzione. Fa eccezione la Toscana nel 2004,
ma anche in questo caso il rischio è di gran lunga più ele-
vato per i più istruiti.
c) imprenditori e professionisti:
• genere: la probabilità è nettamente più elevata per i maschi;
• età: la probabilità di essere imprenditori o professionisti è
più elevata per gli ultra-trentacinquenni e soprattutto per
gli ultra-cinquantacinquenni;
• posizione familiare: la probabilità è più elevata per i capi-
famiglia e in misura minore per i coniugi. Fa eccezione la
Toscana nel 2006, ma i coefficienti non sono significativi.
• istruzione: la probabilità è nettamente minore per i meno
istruiti, ma in Toscana è significativamente superiore per
chi ha la sola licenza elementare rispetto a chi ha la licen-
za media, ad indicare la persistenza di una fascia di im-
prenditori caratterizzata da uno scarso capitale umano.
d) lavoratori in proprio e coadiuvanti:
• genere: la probabilità di essere lavoratori in proprio o coa-
diuvanti è nettamente più alta per i maschi, sia pur meno
che per imprenditori e professionisti;
• età: il rischio è più elevato per gli ultra-cinquantacinquen-
ni e meno elevato per i più giovani;
• posizione familiare: nessuna significativa differenza;
• istruzione: il rischio decresce progressivamente al cresce-
re del livello di istruzione.
Il quadro che emerge non rivela fenomeni nuovi o inatte-
si, ma consente di mettere in luce i tratti che accomunano sia
le posizioni di lavoro instabile sia quelle indipendenti e i trat-
ti che invece li distinguono. In particolare, si può sottolineare
che i lavoratori flessibili se tendono ad assomigliarsi per genere
(femminile) e posizione familiare (figli), si distinguono in modo
abbastanza netto per età (tra i collaboratori vi è una discreta
presenza di ultra-cinquantenni) e soprattutto per livello di istru-
zione (i collaboratori tendono a esser molto più istruiti dei lavo-
ratori a tempo determinato). Da questo punto di vista la Toscana
presenta un modello di probabilità di svolgere lavori instabili,
così come indipendenti, del tutto simile a quello nazionale.

37
3.3. Transizione, intrappolamento ed effetto isteresi

La questione decisiva per valutare i lavori flessibili o instabili


è il ruolo svolto nella carriera lavorativa di chi li svolge: sono
“trampolini” verso posizioni più sicure oppure “trappole” da cui
non si riesce ad uscire se non verso la disoccupazione o l’inatti-
vità? Naturalmente la risposta può dipendere dalla prospettiva
temporale presa in considerazione, perché si può pensare che
per “transitare” verso una posizione stabile occorra trascorrere
un periodo di lavoro instabile più o meno lungo. È perciò neces-
sario adottare un approccio longitudinale al fine di rilevare la
situazione dei lavoratori per molti anni. L’indagine presentata in
questo volume è una delle poche che finora ha percorso questa
(costosa) strada, con risultati di grande interesse. Prima di ri-
chiamarli, ponendoli a confronto con quelli di altre analisi, può
essere utile presentare rapidamente gli esiti delle transizioni “a
breve termine” quali è possibile ora rilevare grazie alla nuova
indagine continua Istat sulle forze di lavoro. Lo scopo è anche
quello di “collocare” i processi di uscita dalle posizioni di lavoro
flessibili nel quadro generale dei processi di uscita da tutte le po-
sizioni lavorative, anche per ricordare su quali basi si giustifica
la contrapposizione tra lavori stabili e instabili.
La tabella 3.5 presenta per la Toscana la distribuzione delle
condizioni nel 2004 e nel 2005 di coloro che nell’anno precedente
erano occupati secondo quale era la loro posizione. Per avere un
termine di riferimento, nella tabella 3.6 è stata calcolata anche
la transizione dal 2004 al 2005 per l’Italia. Accanto alla classica
occupazione dipendente a tempo indeterminato, emergono altre
due posizioni molto stabili: gli imprenditori e i professionisti, e
i lavoratori in proprio e i coadiuvanti. In tutti e tre questi casi
la percentuale di permanenza da un anno all’altro nella stessa
posizione oscilla dal 94% al 98%. Si conferma, quindi, quanto
sia giustificata la decisione di includere i lavori realmente indi-
pendenti tra quelli stabili, anche se non sono altrettanto protetti
sul piano giuridico e contrattuale di quelli dipendenti a tempo
indeterminato.

Ma non bisogna dimenticare i vantaggi formali e informali del lavoro indi-




pendente, dalla possibilità di auto-gestire tempi e modi della prestazione la-


vorativa al reddito più elevato, raggiunto grazie anche alla diffusa elusione ed
evasione fiscale.

38
Tabella 3.5. Transizioni degli occupati nell’arco di un anno. Toscana.

Posizione Condizione nel 2004


occupazionale nel 2003 A tempo Tempo Collaboratori Imprenditori In proprio e In cerca Inattivi Totale
indeterminato determinato e professionisti coadiuvanti di lavoro

A tempo indeterminato 94,2 0,9 0,3 0 0,5 1 3,1 100,0


A termine 13,5 68,5 1,2 0,3 3,4 7,3 5,7 100,0
Collaboratori 10,2 3,7 81,3 0 0 1,5 3,2 100,0
Imprenditori e professionisti 1,4 0 0 95,4 2,3 0,5 0,4 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,7 0,3 0 0 94,7 1,3 2,9 100,0

Posizione Condizione nel 2005


occupazionale nel 2004 A tempo Tempo Collaboratori Imprenditori In proprio e In cerca Inattivi Totale
indeterminato determinato e professionisti coadiuvanti di lavoro

Dipendente indeterminato 93,5 1,3 0,1 0 2,5 0,9 1,6 100,0


Dipendente determinato 11,9 58,5 1,1 0,5 3,3 13,4 11,2 100,0
Collaboratore 3,8 11,9 68,0 3,7 0 4,2 8,4 100,0
Imprenditori e professionisti 0 0,3 0 98,0 1,3 0 0,4 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,3 0,2 0,1 0 95,9 1,6 1,8 100,0

Posizione Condizione nel 2006


occupazionale nel 2005 A tempo Tempo Collaboratori Imprenditori In proprio e In cerca Inattivi Totale
indeterminato determinato e professionisti coadiuvanti di lavoro

A tempo indeterminato 93,6 1,4 0,0 0,1 1,6 0,6 2,7 100,0
A termine 17,8 66,3 3,6 0,3 3,9 4,0 4,0 100,0
Collaboratori 2,0 1,9 86,9 0,0 2,6 0,0 6,7 100,0
Imprenditori e professionisti 1,0 0,0 0,5 94,6 1,9 0,3 1,7 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,7 0,1 0,4 2,1 92,8 1,3 2,7 100,0
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

Tabella 3.6. Transizioni degli occupati nell’arco di un anno. Italia.

Posizione Condizione nel 2005


occupazionale nel 2004 A tempo Tempo Collaboratori Imprenditori In proprio e In cerca Inattivi Totale
indeterminato determinato e professionisti coadiuvanti di lavoro

Dipendente indeterminato 94,3 0,8 0,1 0,1 1,9 0,9 1,8 100,0
Dipendente determinato 11,5 70,3 1,1 0,2 1,9 7,2 7,9 100,0
Collaboratore 5,0 4,6 78,2 0,9 1,5 5,2 4,6 100,0
Imprenditori e professionisti 0,4 0,4 0,3 97,4 0,4 0,3 0,9 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,6 0,5 0,1 0,1 95,8 0,7 2,2 100,0

Posizione Condizione nel 2006


occupazionale nel 2005 A tempo Tempo Collaboratori Imprenditori In proprio e In cerca Inattivi Totale
indeterminato determinato e professionisti coadiuvanti di lavoro

A tempo indeterminato 93,7 1,2 0,1 0,3 1,1 1,0 2,7 100,0
A termine 14,6 68,5 2,6 0,4 1,7 5,1 7,1 100,0
Collaboratori 4,7 5,9 75,4 1,7 3,8 2,8 5,7 100,0
Imprenditori e professionisti 0,6 0,4 0,4 94,4 2,6 0,4 1,1 100,0
In proprio e coadiuvanti 1,0 0,4 0,1 1,2 93,9 0,5 2,8 100,0
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

39
Invece, per i lavoratori a termine e i collaboratori non sol-
tanto le percentuali di permanenza nella stessa posizione sono
nettamente inferiori (dal 60% all’80%), ma soprattutto molto
più elevate sono le percentuali delle “uscite” dall’occupazione
verso la disoccupazione ed anche l’inattività, benché la presenza
di giovani sia molto maggiore, mentre le transizioni verso le po-
sizioni stabili, dipendenti o indipendenti, sono addirittura meno
frequenti di quelle verso l’inoccupazione. Limitare il periodo
considerato ad un solo anno porta a sovrastimare la criticità del-
l’instabilità dei lavori flessibili, perché nelle uscite verso l’inat-
tività sono comprese quelle verso il ritorno allo studio a tempo
pieno dei giovani e quelle delle donne che fanno lavori stagionali
non tutti gli anni. Tuttavia, colpisce che, sia pure nell’arco di un
solo anno, transitano verso posizioni stabili nel caso migliore
poco più del 15% dei lavoratori dipendenti a tempo determinato
e del 10% dei collaboratori.
In un’ottica congiunturale, la situazione dei lavoratori flessibili
in Toscana peggiora nettamente dal 2004 al 2005, poiché diminui-
scono le uscite verso i lavori stabili (dal 17,2% al 15,7% per i lavo-
ratori a tempo determinato e dal 10,2% al 7,5% per i collaboratori)
e aumentano quelle verso l’inoccupazione (dal 13% al 24,6% per
i lavoratori a tempo determinato e dal 4,7% al 12,6% per i col-
laboratori). Tuttavia, dal 2005 al 2006, mentre la situazione dei
collaboratori sembra peggiorare ulteriormente, soprattutto poiché
cresce molto l’“intrappolamento” in tale posizione (sino a sfiorare
l’87%), quella dei lavoratori a tempo determinato migliora, poiché
le uscite verso i lavori stabili aumentano nettamente (al 22%) e
quelle verso l’inoccupazione crollano (all’8%). Infine, se poste a
confronto con le medie nazionali, le possibilità di transizione dei
lavoratori flessibili in Toscana che nel 2005 erano peggiori soprat-
tutto per i lavoratori a tempo determinato, nel 2006 risultano mi-
gliori proprio per tale posizione lavorativa, mentre si aggrava an-
che in termini relativi la situazione dei collaboratori. Ciò sembra
in contrasto almeno in parte con l’ipotesi che in Toscana siano più
frequenti i passaggi da assunzioni instabili ad occupazioni stabili,
di cui si è detto, ma occorre tener conto del troppo limitato perio-
do di tempo preso in considerazione.
L’indagine longitudinale, invece, ha consentito di cogliere il
percorso dei lavoratori assunti con un rapporto di lavoro insta-
bile per un più lungo periodo di tempo, poiché li ha intervistati


Tra i collaboratori sono inclusi qui anche i prestatori d’opera occasionale. Ciò
spiega le (piccole) differenze con le elaborazioni presentate nella tabella 2.11.

40
dapprima quattro anni dopo l’assunzione e poi dopo altri due
anni. È stato così possibile rilevare un fenomeno simile all’iste-
resi, ben noto agli studi sulla disoccupazione. Infatti, il tasso di
stabilizzazione (cioè la percentuale di assunti con rapporti fles-
sibili che sono poi riusciti ad acquisire una posizione occupazio-
nale stabile, dipendente o indipendente), dopo aver raggiunto
il 42% in quattro anni, nei successivi due anni cresce ancora
soltanto di 6 punti percentuali, raggiungendo il 48% nei sei anni
complessivi del periodo analizzato dal momento dell’avviamen-
to ad un rapporto instabile. Un andamento simile è stato osser-
vato in Veneto per i lavoratori assunti con un contratto a tempo
determinato: il loro tasso di occupazione con contratti a tempo
indeterminato cresce rapidamente sino a sfiorare il 40% a tre
anni di distanza, poi quasi si arresta (Veneto Lavoro, 2006).
Dunque, la percentuale di lavoratori flessibili che “stabiliz-
zano” la propria condizione occupazionale non aumenta affatto
in modo lineare con il passare del tempo: per chi non è riuscito
a “stabilizzarsi” entro un certo numero di anni (tre-quattro, se-
condo queste prime indagini) le probabilità di farcela succes-
sivamente si riducono drasticamente e crescono invece quelle
di restar intrappolato nel “carosello” dei lavori precari o peggio
ancora di “uscire” dalla condizione di occupato verso la disoc-
cupazione o l’inattività.
Per spiegare come per i disoccupati la probabilità di trovare
un lavoro dopo alcuni anni non cresce più e anzi diminuisce,
creando una sacca di lungo-disoccupati molto difficilmente oc-
cupabili, si è fatto ricorso all’ipotesi dell’isteresi. Secondo tale
ipotesi, sarebbe proprio la lunga durata dello stato di disoccu-
pazione a ridurre le probabilità di ritrovare un lavoro, da un
lato perché una troppo lunga assenza dal lavoro rende obsolete
le competenze acquisite, dall’altro perché la stessa lunga durata
della disoccupazione costituisce un segnale negativo per l’im-
presa (se nessuno l’ha ancora assunto, perché devo farlo proprio
io?) e riduce la possibilità di ricorrere alle reti di relazioni sociali
grazie alle quali nella maggior parte dei casi si trova un lavoro. A
questa ipotesi se ne è contrapposta un’altra che sottolinea invece
la grande diversità delle caratteristiche dei disoccupati, per cui
quelli più “forti” per caratteristiche personali, professionali o
sociali ritrovano prima un lavoro, mentre quelli più “deboli” fin
dall’inizio non ce la fanno e cadono nella condizione di lungo-
disoccupati. La letteratura socio-economica su tale alternativa è
molto ampia e le conclusioni differiscono a seconda del concre-
to caso studiato.
41
Per vedere quale ipotesi si adatti meglio ai lavoratori instabili
occorrerebbe disporre di indagini longitudinali molto approfon-
dite, tuttavia qualche osservazione sia teorica sia empirica offre
interessanti spunti di riflessione. Innanzi tutto, l’ipotesi dell’ob-
solescenza delle competenze, la prima elaborata per sostenere
l’isteresi, non regge perché i lavoratori instabili sono occupati in
attività che dal punto di vista del contenuto professionale non
si distinguono da quelle svolte dai lavoratori stabili. Anche l’ob-
solescenza delle relazioni sociali può riguardare soltanto quelle
connesse alle reti familiari, le più usate per trovare il primo lavo-
ro, ma non certo quelle che si stabiliscono nel mondo del lavoro,
nel quale i lavoratori instabili sono pienamente inseriti. Soltanto
un curriculum eccessivamente pieno di rapporti di breve durata
può costituire un segnale negativo, ma non certo per l’impresa
che ha “sperimentato” il lavoratore avendolo impiegato a termi-
ne. Per contro, l’indagine longitudinale sulla Toscana sottolinea
che le maggiori probabilità di restare intrappolati sono connesse
a caratteristiche personali del lavoratore: il genere femminile,
il basso livello di istruzione, l’età non più giovane. Si potrebbe,
quindi, pensare che l’arresto del tasso di stabilizzazione dopo
alcuni anni non sia dovuto tanto a un fenomeno di isteresi nel
lavoro instabile, quanto piuttosto al fatto che i più “forti” sono
ormai riusciti a trovare un’occupazione stabile e quelli rimasti
ancora instabili sono i più “deboli”, che l’esperienza del lavoro
flessibile, spesso presso diversi datori di lavoro, non è riuscita a
rafforzare sul piano professionale.
Tuttavia, per giungere a conclusioni più fondate occorre te-
ner conto sia del fatto che i rapporti di lavoro flessibili non sono
eguali, sia delle diverse opportunità che il mercato del lavoro
offre. L’indagine longitudinale in Toscana, così come l’analisi di
dati amministrativi in un’altra regione (Veneto Lavoro, 2006),
conferma che l’esito dei contratti a fini formativi è molto miglio-
re di quello dei normali rapporti a tempo determinato. Quindi,
anche la diversa natura dei contratti flessibili dovrebbe essere
inserita come variabile interveniente nell’analisi dell’insieme dei
fattori che incidono sugli esiti occupazionali dei lavoratori fles-
sibili, ma ciò richiede di ampliare enormemente il numero di
casi da prendere in esame nell’indagine.
Infine, va sottolineato che l’indagine longitudinale introduce
nell’analisi del destino dei lavoratori flessibili un fattore troppo
spesso dimenticato: la natura della domanda di lavoro. Da un
lato, infatti, le differenze nel tasso di stabilizzazione risultano
connesse anche alla struttura economica dei sistemi locali; dal-
42
l’altro, per spiegare le difficoltà di stabilizzazione dei laureati
si fa riferimento alla scarsissima domanda di laureati da parte
delle imprese private e al blocco delle assunzioni nel pubblico
impiego, che costringe soprattutto le amministrazioni locali a
ricorrere anche per compiti ordinari alle varie forme di lavoro
flessibile, dai rapporti a tempo determinato (trimestrali e seme-
strali) alle collaborazioni, e all’appalto a società private o del ter-
zo settore di interi servizi. L’importanza dei lavoratori instabili
nel settore pubblico è un fenomeno largamente trascurato, cui
l’indagine presentata in questo volume dedica finalmente l’atten-
zione che merita.
Le amministrazioni pubbliche risultano il peggior datore di
lavoro flessibile. Infatti i soggetti pubblici, anche se più spesso
stipulano contratti di lunga durata, sono quelli più propensi a
reiterare tali contratti con gli stessi lavoratori, ormai senza dare
loro ragionevoli prospettive di stabilizzazione. Dopo molti anni
di rapporti di lavoro instabile, nel settore pubblico quasi nes-
sun lavoratore ritiene che sarà assunto a tempo indeterminato
allo scadere del contratto, mentre moltissimi pensano che sarà
loro rinnovato ancora una volta il contratto a termine. Se fino
a qualche anno fa un rapporto a termine era considerato la via
migliore per poi partecipare con successo ad un concorso che
assicurava un posto sicuro sino alla pensione, tra i precari della
pubblica amministrazione, soprattutto tra quelli con un più alto
livello di istruzione, si è ormai diffusa la sensazione di essere en-
trati in un tunnel senza sbocco, dal quale non è possibile uscire
anche perché il settore privato non offre prospettive adeguate
alle loro competenze e aspirazioni professionali. Buona parte di
una generazione di laureati entrati con entusiasmo nella pubbli-
ca amministrazione per svolgere i nuovi servizi di qualità, che
è sempre più chiamata a fornire, vive ora una situazione di cre-
scente frustrazione. Nell’affrontare la questione del lavoro flessi-
bile occorre tener conto anche di questo problema.

3.4. Una flessibilità sempre meno scelta e sempre più subita

Più in generale l’approccio longitudinale consente all’indagi-


ne sui lavoratori flessibili in Toscana di vedere come si modifica
col passare del tempo la percezione dell’incertezza lavorativa.
Dapprima, trascurando la dimensione diacronica, anche l’in-
dagine risponde alla domanda se alcuni dei lavoratori flessibili
accettano uno scambio tra precarietà occupazionale e gratifi-
43
cazione professionale facendo ricorso alla relazione che esiste
tra l’attività svolta e le aspettative lavorative (Fullin, 2004). Si
può distinguere, infatti, chi ha aspettative di transizione da chi
ha un percorso orientato. Alcuni svolgono occupazioni instabili
che non corrispondono alle proprie aspirazioni e mirano a tro-
vare un impiego più adeguato, oltre che più sicuro; mentre altri
apprezzano i contenuti del proprio lavoro e non intendono cam-
biare attività, anche se aspirano a svolgerla in forme più stabili.
Chi ha aspettative di transizione svolge un lavoro che non lo
soddisfa e tende a non identificarsi in esso, cercando di posti-
cipare o di costruire altrove la propria identità professionale e
sociale. Chi ha un percorso orientato, invece, è soddisfatto della
propria attività e spesso riesce a fondarvi la propria identità, a
prescindere dall’instabilità del rapporto.
Tuttavia, dopo alcuni anni di instabilità occupazionale, che
rende difficile la progettazione della propria vita familiare e re-
lazionale, anche per chi ha un percorso orientato viene meno la
propensione ad accettare lo scambio tra instabilità e qualità pro-
fessionale del lavoro. Perciò, anche per costoro l’instabilità occu-
pazionale diventa fonte di frustrazione e insoddisfazione. Il caso
più clamoroso è quello dei laureati che sono rimasti intrappolati
nel carosello dei rapporti a termine con le amministrazioni pub-
bliche. Rispetto alle prime ricerche sul “vissuto” dei lavoratori in-
stabili, condotte quando la diffusione del fenomeno era ancora
agli inizi, la situazione è ormai mutata. Anche qualora la loro per-
centuale fosse relativamente bassa rispetto a quanti hanno avuto
un’esperienza lavorativa flessibile, gli intrappolati cominciano ad
essere molti. E i loro orientamenti verso il lavoro non possono che
diventare sempre più negativi, così come diventano sempre più
critiche le loro prospettive personali, soprattutto per chi vive in
famiglie ove non vi sono lavoratori stabili, una condizione sempre
meno rara con il passare del tempo e il crescere dell’età, come
rivela ancora l’indagine longitudinale sui lavoratori instabili di
lunga durata. Va, quindi, crescendo il rischio che si formi una fa-
scia di lavoratori sui 35-40 anni, che non riescono a trovare alcun
motivo di soddisfazione nel lavoro in cui sono intrappolati, non
possono pensare di poter svolgere per i propri figli il ruolo che i
genitori hanno svolto per loro e per di più cominciano a prende-
re consapevolezza del grave futuro previdenziale che li attende.
Ben si comprende come i sentimenti di insicurezza si diffonda-
no in Italia al di là di quanto farebbe supporre la percentuale di
occupazione instabile, che è ancora inferiore alla media europea
(Accornero, 2006b).
44
Parte seconda
Le indagini dirette
4.
il percorso di ricerca

4.1. Il disegno della ricerca

Come è stato da più parti evidenziato, i lavori flessibili, ca-


ratterizzati da contratti atipici, rappresentano ad oggi un’impor-
tante componente dell’occupazione che riguarda non solo giova-
ni, ma anche uomini e donne con credenziali e livelli educativi
molto diversi tra di loro.
Diviene per questo necessario cambiare la tradizionale pro-
spettiva di analisi e considerare il lavoro come un flusso, invece
che come una posizione, concentrando l’attenzione sulle traiet-
torie compiute sul mercato del lavoro da soggetti che lavorano
con tipologie contrattuali flessibili, per individuare quali siano
le caratteristiche degli individui coinvolti (sesso, età, titolo di
studio, ecc.), e dei loro percorsi (tipologia contrattuale di par-
tenza, territori di appartenenza, ecc.), che rendono più proba-
bili esiti di professionalizzazione e di stabilizzazione nel lavoro
dipendente o in quello autonomo e, al contrario, quali siano gli
elementi di debolezza (scarsa scolarizzazione, formazione, ecc.)
che possono favorire percorsi di precarizzazione.
Obiettivo prioritario è stato quello di realizzare un’analisi
delle seguenti variabili: scelta volontaria versus scelta subita;
prospettiva transitoria versus “to be trapped”. Ovvero, gli elemen-
ti di instabilità insiti nella “società dei lavori” costituiscono una
“mobilità americana” attraverso i lavori, o una precarizzazione
del lavoro? E, in ogni caso, sono il trade-off della maggiore qua-
lità? Questi sono gli interrogativi che ci dobbiamo porre. Non si
può pensare che passare da un impiego all’altro sia un’operazio-
ne priva di costi per tutti, basti pensare alla discontinuità delle
carriere e alla bassa copertura previdenziale che sicuramente
segnalano la necessità di dare al welfare un profilo maggiormen-
te a misura delle nuove tipologie lavorative.
Al tempo stesso bisogna poter valutare anche le opportunità
offerte dalla flessibilità come la possibilità di connettere i “lavo-
ri” al ciclo di vita, ai bisogni della famiglia, ai ritmi della comu-
nità; l’estrema articolazione delle opzioni nel campo dei sistemi
47
orari; la possibilità di costruire profili nuovi dell’impiegabilità
attraverso i sistemi formativi.
L’indagine che qui presentiamo si è proposta quindi di se-
guire nella loro carriera un gruppo di lavoratori “atipici” per co-
gliere gli esiti che rapporti lavorativi di tipo flessibile hanno nel
percorso di lavoro e nella vita dei lavoratori.
A questo proposito, l’IRPET ha recentemente effettuato
un’indagine diretta (Giovani, 2005) su un campione di lavora-
tori appartenenti a sistemi economico locali ritenuti rappresen-
tativi degli articolati sentieri di sviluppo della Toscana: Firenze
(sistema urbano), Mugello (sistema turistico-industriale), Santa
Croce (sistema industriale aperto/distretto), Rosignano (sistema
turistico) e Follonica (sistema turistico-rurale). Le circa duemila
unità oggetto dell’analisi, intervistate con metodo CATI nel Di-
cembre 2003/Gennaio 2004, sono lavoratori che nell’anno 2000
risultavano avere avuto un avviamento al lavoro con una tipolo-
gia contrattuale instabile.
Prioritario obiettivo conoscitivo dell’indagine che presen-
tiamo è stato quello di ricontattare, a distanza di due anni, gli
stessi lavoratori per cogliere qual è la loro posizione nel mercato
del lavoro, e se questa è scelta oppure subita. Lo scopo di que-
sta rilevazione è dunque quello di seguire nel tempo i percorsi
lavorativi di lavoratori atipici, distinti per settore di attività e
sistema locale di appartenenza, per comprendere se le tipologie
contrattuali flessibili rappresentano un trampolino verso la sta-
bilizzazione nel mercato del lavoro o un intrappolamento nella
precarietà.
Le 900 unità oggetto dell’analisi (Cfr. Allegato 1) sono state
intervistate telefonicamente, con metodo CATI, nei primi mesi
del 2006. L’intervista (Cfr. Allegato 2) è stata focalizzata su alcu-
ni nodi tematici, in particolare sui percorsi della flessibilità, gli
esiti, i costi, le aspettative. Un’attenzione particolare è stata de-
dicata ai contenuti e alle condizioni di lavoro: tipologia dell’atti-
vità svolta, luoghi, tempi di lavoro, soddisfazione nei confronti
di vari aspetti del lavoro.
È stato, inoltre, indagato circa i possibili rischi di precariz-
zazione, facendo riferimento alle tutele di welfare e ai bisogni
espressi in termini di rappresentanza.

48
4.2. Le caratteristiche degli intervistati

Vediamo in primo luogo quali sono le caratteristiche del


campione, leggendole alla luce delle differenze tra i vari sistemi
di riferimento, avendo l’obiettivo di comprendere, nella fase suc-
cessiva di analisi, quali sono i punti di forza e di debolezza che
possono influenzare in senso positivo o negativo i percorsi dei
lavoratori flessibili.
Le donne rappresentano il 66% del campione. L’età degli in-
tervistati è mediamente bassa (Tab. 4.1): il 54,5% ha al massimo
35 anni; il 26% rientra nella classe che va dai 36 ai 45 e il 20% ha
oltre 45 anni di età. Sono soprattutto le donne ad essere presenti
nelle fasce di età più elevate (il 54% ha oltre 35 anni contro il
29,5% degli uomini).
Tabella 4.1. Classi di età per sesso. Valori %
Maschi Femmine Totale

Fino a 24 anni 9,6 4,1 6,0


25-35 60,8 42,2 48,5
36-45 17,9 29,6 25,7
Oltre 45 11,6 24,0 19,8
TOTALE 100,0 100,0 100,0

Come mostra la tabella 4.2, il livello di scolarizzazione è pre-


valentemente medio-alto (52% diplomati e 15% laureati); tra le
donne il livello di scolarizzazione medio è più basso (il 37% non
ha nessun titolo contro il 27% degli uomini).
Tabella 4.2. Livello di istruzione per sesso. Valori %
Maschi Femmine Totale

Basso 26,9 37,1 33,7


Medio 57,8 48,4 51,6
Alto 15,3 14,5 14,8
TOTALE 100,0 100,0 100,0

Per quanto concerne il livello di istruzione (Tab. 4.3), come


atteso, il sistema urbano di Firenze si caratterizza per il livello
più elevato di scolarizzazione (78% ha un titolo di studio medio-
alto (contro il 66% della media campionaria); di cui i 21% è in
possesso di laurea (contro il 15% del dato medio).

49
Tabella 4.3. Livello di istruzione per sistemi locali. Valori %
Rosignano
Firenze Mugello Santa Croce Follonica
Marittimo

Basso 21,7 36,1 45,3 45,9 31,9


Medio 57,5 47,2 48,1 43,1 51,8
Alto 20,7 16,7 6,6 11,0 16,3
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Legenda: Basso: nessun titolo; Medio: diploma; Alto: laurea

Anche a Follonica, sistema turistico, si evidenzia un livello di


scolarizzazione leggermente superiore alla media, (il 68% ha un
titolo di studio medio alto).
Nel Mugello il livello di istruzione è risultato solo leggermen-
te più basso rispetto alla media (il 64% ha un titolo medio-alto);
mentre a Santa Croce e Rosignano si rilevano livelli di scolariz-
zazione molto più bassi rispetto alla media (in entrambi i casi
una quota inferiore al 55% degli intervistati è in possesso di un
titolo medio-alto).

4.3. La condizione attuale

La maggior parte degli intervistati risulta essere nella condizio-


ne di lavoratore (70%); è in cerca di occupazione l’11%, casalinga
il 9%, studente il 7%, il rimanente è in altra condizione (in servizio
di leva/civile, inabile al lavoro, ritirato dal lavoro) (Tab. 4.4).

Tabella 4.4. Qual è attualmente la sua condizione professionale? Valori %


Maschi Femmine Totale

Occupato 79,1 64,9 69,7


In cerca di occupazione 9,6 11,4 10,8
Casalinga 0,0 13,5 8,9
Studente 9,0 6,6 7,4
In servizio di leva o in servizio civile sostitutivo 0,3 0,0 0,1
Lavoratore stagionale (al momento inoccupato) 1,0 1,5 1,4
Tirocinante/corsista/stagista 0,7 0,7 0,7
Altra condizione 0,0 0,9 0,6
Cassa Integrazione Guadagni/In mobilità 0,3 0,5 0,5
TOTALE 100,0 100,0 100,0

50
è soprattutto tra la componente maschile che una quota più
elevata di intervistati risulta occupata (79% contro il 65% della
componente femminile). Le differenze tra la componente ma-
schile e quella femminile sono imputabili soprattutto alla quota
significativa di donne uscite dal mercato del lavoro come casa-
linghe (13,5%).
Tra coloro che lavorano come dipendenti il 72% ha un con-
tratto a tempo indeterminato, il rimanente un contratto a ter-
mine.
Tra i lavoratori flessibili le tipologie contrattuali più utiliz-
zate sono il tempo determinato e le collaborazioni coordinate e
continuative (entrambe più utilizzate per la componente femmi-
nile); seguono quote marginali di lavoratori con contratti causa
mista (formazione lavoro e apprendistato) che riguardano pre-
valentemente la componente maschile (Tab. 4.5).

Tabella 4.5. Lavoratori dipendenti per tipologia contrattuale e genere. Valori %


Maschi Femmine Totale

Dipendente a tempo indeterminato 74,0 70,6 71,8


Dipendente a tempo determinato 15,0 18,6 17,3
Contratto con agenzia di lavoro interinale 0,0 0,3 0,2
Collaborazione coordinata e continuativa/ Collab. a progetto 4,5 6,1 5,5
Contratto di lavoro occasionale 0,0 1,4 0,9
Contratto di formazione lavoro 0,5 0,0 0,2
Contratto di apprendistato 2,5 0,6 1,3
Lavoratore stagionale 0,5 1,7 1,3
Altro 3,0 0,8 1,6
Totale 100,0 100,0 100,0

Il tipo di lavoro svolto (Tab. 4.6) per i maschi è prevalen-


temente di tipo operaio (55% contro il 34% della componente
femminile); tra le donne si registrano percentuali più elevate di
lavoro impiegatizio (44% contro il 27% dei maschi) e di com-
messe/cameriere/venditrici (17% contro il 10% degli uomini).
Bassa la percentuale di coloro che occupano posizioni dirigen-
ziali sia tra la componente maschile (6%) e ancor più tra quella
femminile (4%).

51
Tabella 4.6. categoria professionale per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale

Professioni medio alte 5,7 4,0 4,6


Impiegati 26,8 44,2 38,0
Venditori, commessi 9,8 16,8 14,3
Operai specializzati e non 55,2 33,9 41,5
Altro 2,6 1,1 1,7
TOTALE 100,0 100,0 100,0

I lavoratori autonomi rappresentano il 9,5% del totale degli


occupati e sono maggiormente rappresentati dalla componente
maschile (16% contro il 9,5% delle femmine).
Tra le donne sono presenti soprattutto libero professioniste
(52% contro il 34% degli uomini); mentre tra la componente
maschile prevalgono i lavoratori in proprio, ovvero consulenti,
assicuratori, rappresentanti (53% contro il 29%) (Tab. 4.7).

Tabella 4.7. lavoratori autonomi per tipologia e genere. Valori %


Maschi Femmine Totale

Imprenditore 13,2 14,3 13,6


Libero professionista 34,2 52,4 40,7
Lavoratore in proprio 52,6 28,6 44,1
Coadiuvante nell’azienda di un familiare 0,0 4,8 1,7
TOTALE 100,0 100,0 100,0

Il settore di attività prevalente (Tab. 4.8), soprattutto per la


componente femminile, è quello del terziario (82% contro il 55%
per gli uomini), nelle sue varie componenti. Tra gli uomini, al
contrario, si registra una percentuale più elevata di quanti lavo-
rano nell’industria (41% contro il 16,5% delle donne).

52
Tabella 4.8. Settore di attività per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale

Agricoltura 4,1 1,7 2,6


Attività manifatturiere e Costruzioni 41,2 16,5 25,3
Commercio 12,4 16,0 14,7
Alberghi e ristoranti 4,6 10,8 8,6
Servizi alle aziende 21,6 10,5 14,5
Servizi alle persone 15,5 40,5 31,6
Altro 0,5 4,0 2,8
TOTALE 100,0 100,0 100,0

Per quanto riguarda la distribuzione dei settori di attività nei


sistemi locali (Tab. 4.9) si rileva una particolare concentrazione
del terziario nel sistema urbano di Firenze (complessivamente il
77%), dove le attività manifatturiere sono invece risultate meno
rilevanti rispetto alla media campionaria (21% contro il 25%).
Al contrario, nel distretto industriale di Santa Croce l’industria
ha in assoluto il peso più rilevante (40%). Nel sistema turistico
rurale di Follonica si riscontra, come atteso, una presenza supe-
riore alla media nell’agricoltura (9% contro il 3%) e negli alber-
ghi e ristoranti (11% contro il 9%), ma anche nell’industria (28%
contro il 25%), presumibilmente anche in virtù della vicinanza
del polo siderurgico di Piombino. Anche nel sistema turistico
di Rosignano Marittimo si rileva una presenza superiore alla
media di lavoro negli alberghi e ristoranti (15% contro il 9%)
e nell’agricoltura (5% contro il 3%), mentre più bassa rispetto
alla media campionaria la presenza nell’industria (23% contro
il 25%) e nei servizi alle imprese (10% contro il 14,5%). Nel Mu-
gello i settori di attività più rilevanti sono risultati i servizi alle
persone (28%) e le attività manifatturiere (24%).

53
Tabella 4.9. settore di attività per sistema locale. Valori %
Santa Rosignano
Firenze Mugello Follonica
Croce Marittimo

Agricoltura 0,0 4,0 0,0 5,1 8,7


Attività manifatturiere e Costruzioni 21,0 24,0 40,0 22,8 28,0
Commercio 18,3 17,3 6,2 13,9 13,0
Alberghi e ristoranti 6,7 6,7 3,1 15,2 10,6
Servizi alle aziende 19,6 17,3 20,0 10,1 8,7
Servizi alle persone 32,1 28,0 24,6 30,4 28,6
Altro 2,2 2,7 6,2 2,5 2,5
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

La numerosità media degli addetti delle aziende è bassa


(Tab. 4.10): il 38% lavora infatti in aziende con al massimo 10
addetti; il 28% in aziende tra 11 e 49 addetti e il 33% in aziende
dai 50 addetti in su. È soprattutto tra la componente femminile
che prevale la quota di coloro che lavorano in aziende di picco-
lissima dimensione (il 44% lavora in aziende con al massimo 10
addetti contro il 29% degli uomini).

Tabella 4.10. Numero di addetti azienda attuale. Valori %


Maschi Femmine Totale

Fino a 10 addetti 29,4 44,1 38,4


Da 11 a 15 addetti 12,4 11,5 11,8
Da 16 a 19 addetti 2,4 7,4 5,5
Da 20 a 49 addetti 17,1 7,4 11,1
Da 50 a 200 addetti 15,9 13,0 14,1
Oltre 200 addetti 20,6 10,7 14,5
Non so/non risponde 2,4 5,9 4,5
TOTALE 100,0 100,0 100,0

54
5.
I percorsi della flessibilità

5.1. Flessibilità del lavoro: scelta o costrizione?

Nell’analisi dei percorsi lavorativi intrapresi da soggetti con


occupazioni instabili è fondamentale la comprensione delle mo-
tivazioni per cui è stato scelto, o subito, un lavoro con modalità
contrattuali “a termine”. A questo proposito, è stata tracciata
una distinzione tra i percorsi scelti – tipici di soggetti per cui la
flessibilità è un modo di lavorare che consente maggiore autono-
mia, più flessibilità degli orari, un’opportunità di fare un’espe-
rienza formativa, oppure un modo per svolgere il lavoro deside-
rato – e i percorsi subiti – caratteristici di persone che aspirano a
un lavoro stabile e non lo hanno trovato.
Innanzitutto, degno di rilievo, che la stragrande maggioran-
za dei nostri intervistati, appartenga alla categoria di coloro che
lavorano con tali tipologie contrattuali perché non hanno avuto
altra scelta (82%). Il confronto con l’indagine precedente (Gio-
vani, 2005), in cui agli intervistati veniva domandato qual era
stata la motivazione che, negli anni 2000 e 2004 li aveva indotti
a lavorare con una tipologia contrattuale instabile, mostra in
modo evidente come la flessibilità sia stata maggiormente scel-
ta in una fase iniziale del percorso lavorativo e sia sempre più
subita da coloro che, trascorsi alcuni anni, permangono ancora
in tale condizione: al 2000 dichiarava di non avere avuto altra
possibilità il 54% degli intervistati e al 2004 il 61%.
È soprattutto la componente femminile a dichiarare di avere
subito un percorso lavorativo flessibile (84,5% contro il 76%)
evidenziando come il mercato del lavoro offra al genere femmi-
nile inferiori opportunità di impiego stabile (Graf. 5.1). Tale fe-
nomeno non deve necessariamente essere interpretato negativa-
mente – specie se lo si confronta con le uscite definitive dal lavo-
ro o le lunghe interruzioni che hanno caratterizzato le carriere
femminili delle generazioni precedenti – ma piuttosto come uno
strumento per mantenere nel tempo il capitale umano di donne

55
in particolari fasi del ciclo di vita legate ad esigenze di cura della
famiglia (figli piccoli, anziani, ecc.). Ovviamente, esiste anche il
rovescio della medaglia, che rimanda a percorsi femminili fatti
di “lavoretti” con contratti a termine, senza protezione in caso
di malattia e senza contributi pensionistici che, in presenza di
coniugi/conviventi breadwinner, in possesso di lavori più stabili
e redditizi, possono anche risultare adeguati, ma al tempo stes-
so essere particolarmente rischiosi data la crescente instabilità
dei legami familiari. Inoltre, le accresciute possibilità di potere
stipulare contratti di lavoro “non standard” può divenire per le
imprese un incentivo a non assumere stabilmente, soprattutto
donne, per non dovere sostenere l’eventuale peso di future ma-
ternità e assenze per cause familiari (Saraceno, 2002).
Tra l’esigua minoranza di coloro che dichiarano di avere scel-
to la flessibilità (18%), le motivazioni più segnalate sono risultate
essere di tipo strumentale: “perché era l’unico modo di svolgere il
lavoro desiderato” (44%); “per integrare il reddito familiare” (20%);
“per la flessibilità degli orari” (12%); “per fare un’esperienza forma-
tiva” (8%).
Il fatto che la domanda di autonomia e di individualizzazio-
ne del rapporto di lavoro proveniente dai lavoratori stessi non
sia stata rilevante (28%) non deve sorprendere più di tanto, in
quanto i lavori di cui si parla, che abbiamo visto essere rappre-
sentativi della gran parte dei lavori flessibili, sono in realtà atipi-
ci, nel senso di “non standard”, non tanto nel contenuto, quanto
nelle modalità contrattuali. Sono infatti lavori che complessiva-
mente si svolgono con modalità non troppo dissimili tra lavora-
tori stabili e flessibili, come orari rigidi, mansioni ben definite,
ecc. (cfr. Cap. 6).

Grafico 5.1. È stata una sua scelta lavorare con forme contrattuali a termine? Valori %

56
È ovvio quindi ipotizzare che, per coloro che non sono orien-
tati verso lavori di tipo dipendente, la vera alternativa possa es-
sere rappresentata dal lavoro autonomo tout court (Saraceno,
2002) oppure, in alcuni casi, dalle collaborazioni coordinate e
continuative, tipologia contrattuale formalmente al confine tra
l’autonomia e l’indipendenza, che però, coma mostra anche la
nostra indagine, spesso si svolgono in realtà con modalità del
tutto identiche a quelle dei lavoratori standard.
Osservando i dati disaggregati per genere (Graf. 5.2), tra le
donne si rileva una percentuale più rilevante di percorsi fina-
lizzati all’autonomia e flessibilità degli orari, mettendo in luce
come modalità lavorative flessibili possano rappresentare, so-
prattutto per il genere femminile, uno strumento per conciliare
tempi di vita e di lavoro.
Grafico 5.2. Perché ha scelto di lavorare con forme contrattuali flessibili? (risposta multipla).
Valori %

I dati disaggregati per livelli di scolarizzazione (Graf. 5.3)


evidenziano come il fatto di lavorare con contratti atipici diven-
ga sempre più strumentale con il crescere del titolo di studio,
sia per la componente maschile che per quella femminile. Per i
laureati e i diplomati sono infatti molto più elevate le quote di
coloro che dichiarano di non avere avuto altra scelta (rispettiva-
mente 86,5% e 83% contro il 76% dei senza titolo). Le particolari
difficoltà che incontrano coloro che sono dotati di più alti livelli
di scolarizzazione all’interno del nostro sistema economico re-

57
gionale sono notoriamente legate alla domanda di un sistema
produttivo di piccola e piccolissima impresa non in grado di as-
sorbire l’offerta di lavoro proveniente dai laureati e diplomati
dando luogo a livelli particolarmente elevati di job-mismatches
che segnalano un’allocazione inefficiente e un sottoutilizzo del
patrimonio umano.

Grafico 5.3. Non hanno scelto di lavorare con forme contrattuali flessibili per livello di
scolarizzazione. Valori%

Tali difficoltà sono evidenziate anche da coloro che dichiara-


no di lavorare con forme contrattuali non stabili per scelta: tra le
motivazioni dei laureati emerge infatti una quota più significati-
va di quanti dichiarano che in realtà la flessibilità è stata l’unico
modo per poter svolgere il lavoro desiderato (75% contro il 42%
dei diplomati e il 33% dei senza titolo).

I dati Excelsior, che attraverso indagini svolte dalle CCIAA forniscono le pre-


visioni di assunzione per le aziende toscane del settore privato, evidenziano,


a proposito, la scarsa domanda di laureati proveniente dal sistema produttivo
regionale. Fatto 100 il totale di manodopera richiesta, la domanda di laureati è
pari al 7%, a fronte di quote più significative di altre regioni come il Lazio e la
Lombardia (14%), e scarti significativi anche con Piemonte ed Emilia Romagna
(10%) e, in generale, un valore nazionale del 9%.

58
5.2. I percorsi dei lavoratori temporanei

Nel presente paragrafo esamineremo quali sono stati i per-


corsi dei lavoratori intervistati a partire dall’anno 2000.
Tra coloro che al 2000 risultavano instabili, nel 2006 si è sta-
bilizzato il 48% degli intervistati (41% con un contratto a tempo
indeterminato e il 7% come lavoratore autonomo); il 20% è an-
cora flessibile; il 14% è in cerca di lavoro; il 18% è uscito dalle
forze di lavoro (il 9 % come studente e il 9% come casalinga)
(Graf. 5.4).

Grafico 5.4. Flessibili al 2000 per condizione attuale. Valori %

Rispetto all’indagine del 2004 dove, a distanza di quattro


anni da un avviamento al lavoro instabile, avevamo rilevato un
tasso di stabilizzazione complessivo del 41% abbiamo un incre-
mento di trasformazioni a tempo indeterminato e/o autonomo
di 7 punti percentuali – il che significa un incremento medio
annuo di 3,5 punti, decisamente inferiore al periodo precedente
(oltre 10 punti medi annui) – e una percentuale più elevata di
transizioni verso la disoccupazione (+3 punti).


In questo paragrafo sono esclusi dall’analisi tutti coloro che, nel campione ini-
ziale, risultavano al 2000 aver un contratto a tempo indeterminato part-time, in
quanto oggetto dell’analisi è in questo caso l’instabilità del lavoro e gli effetti di
quest’ultima a distanza di 4 e 6 anni. Per lo stesso motivo sono stati esclusi tutti
coloro che sono risultati inabili al lavoro (3 individui) e pensionati (9) al 2006.

Nell’indagine precedente (Giovani, 2005), a distanza di quattro anni da un
avviamento con tipologia contrattuale instabile, risultava essersi stabilizzato
il 41% degli intervistati (il 36% degli intervistati con un contratto a tempo in-
determinato e il 5% con un’attività di tipo autonomo; il 24% risultava ancora
flessibile; l’11% era in cerca di lavoro; il 20,5% risultava uscito dalle forze di
lavoro.

59
Presumibilmente la causa di questa battuta di arresto
va ricercata, in periodi di permanenza troppo lunghi in una
condizione lavorativa instabile (mediamente 6 anni), che
hanno un’elevata probabilità di avere come esito un “intrap-
polamento” in carriere lavorative discontinue, interrotte e
instabili (Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005), come confermato
anche dalla crescita di sequenze occupazionali di tipo “job
carousel”, caratterizzate dal susseguirsi di diverse esperienze
di lavoro e non lavoro, condizione ulteriormente aggravata
da una fase economica sicuramente non positiva.
Come mostra il grafico 5.5, la componente femminile è risul-
tata complessivamente svantaggiata rispetto a quella maschile
sia nei percorsi di stabilizzazione verso un lavoro dipendente
(solo il 38% ha ad oggi un rapporto di lavoro a tempo indeter-
minato contro il 49% degli uomini) che autonomo (il 4% contro
il 12%). Inoltre, una quota più elevata di donne è alla ricerca di
lavoro (il 15% contro l’11% degli uomini), e il 14% è uscita dalle
forze di lavoro come casalinga.

Grafico 5.5. Flessibili al 2000 per condizione attuale e genere. Valori %

I percorsi di transizione per età (Graf. 5.6) mostrano come


sia più probabile rimanere intrappolati in percorsi precari per
gli ultra 35enni: tra il 2000 e il 2006 risultano infatti stabilizzati
con un lavoro dipendente o autonomo il 44% degli over 35enni
contro il 52% dei più giovani; tra gli adulti sono inoltre molto
più significative le quote di coloro che sono caduti nella disoc-
cupazione (18% contro il 10,5% dei più giovani) e di uscite dal
mercato del lavoro (18,5% di casalinghe contro il 2% della fascia
di età dei più giovani). Sono soprattutto le donne adulte a speri-
mentare i tassi più bassi di stabilizzazione (38%), le più elevate
probabilità di uscita dal mercato del lavoro (25% come casalin-
ga) e di disoccupazione (18%).
60
Grafico 5.6. Flessibili al 2000 per condizione attuale e per età. Valori %

Venendo poi al legame esistente tra livello di istruzione ed


esiti di stabilizzazione (Graf. 5.7) si evidenzia come al femminile
il valore dell’istruzione sia lineare: al più alto livello di istruzione
corrisponde la più alta probabilità di stabilizzazione (46%) do-
vuta in particolare alle più elevate probabilità di sperimentare
lavori in proprio (9,5% contro il 3% delle diplomate e l’1% delle
senza titolo).

Grafico 5.7. Flessibili al 2000 per condizione attuale e per livello di scolarizzazione. Valori %

Tale probabilità decresce per le diplomate (44%) e per i sog-


getti con bassa istruzione (37%). Queste ultime hanno le proba-
bilità più elevate di trovarsi in uno stato di inoccupazione: come
casalinghe (27%) o come disoccupate (18%) evidenziando come
per donne con bassa istruzione, impiegate in lavori di bassa qua-

61
lifica, sia più facile che la flessibilità si coniughi con percorsi
lavorativi di tipo “job carousel”. Le laureate sono invece coloro
che hanno un minor rischio di cadere nella disoccupazione e di
uscire dalle forze di lavoro, ma anche le probabilità più alte di
permanere nella flessibilità (36,5% contro il 16,5% delle diplo-
mate e il 19% delle senza titolo).
Per i maschi la relazione è esattamente opposta: ai titoli più
bassi corrispondono i più elevati tassi di stabilizzazione, mentre
i laureati sperimentano i livelli più bassi. Vediamo perché.
I maschi dal livello di scolarizzazione basso sono più stabiliz-
zati (68,5% contro il 63% dei diplomati e il 37% dei laureati), ma
bisogna ricordare che hanno un’età media più elevata e quindi
da più tempo permangono nel mercato del lavoro. In questo sen-
so un ruolo importante è stato svolto anche dal lavoro autonomo,
in quanto in questo gruppo troviamo in assoluto la quota più ele-
vata di coloro che si sono messi in proprio (16% contro il 10% dei
diplomati e il 9,5% dei laureati). I maschi non scolarizzati sono
anche coloro che sperimentano le maggiori probabilità di cadere
nella disoccupazione (18% contro il 7% dei diplomati e il 14% dei
laureati) a conferma di quanto percorsi a rischio possano verifi-
carsi soprattutto per figure di basso profilo.
Il risultato legato agli alti livelli di istruzione, che vede i
maschi laureati stabilizzarsi meno degli altri e permanere più
a lungo nella flessibilità (26% è ancora flessibile contro il 18%
dei diplomati e il 14% dei senza titolo), che a prima vista può
apparire controintuitivo, in realtà si inquadra pienamente nel-
le dinamiche occupazionali della forza lavoro istruita, che vede
i laureati sperimentare performance lavorative ascendenti nel
tempo e premianti nel lungo periodo, a partire però da livelli
iniziali anche inferiori a quelli dei soggetti meno istruiti.
Occorre a tal riguardo interrogarsi, infatti, da cosa dipenda
la maggiore permanenza dei laureati e delle laureate nella fles-
sibilità. Un aspetto che si lega a quanto appena ricordato può
dipendere, innanzi tutto, dall’età dei laureati che nel campione
da noi analizzato sono caratterizzati da un’età media piuttosto
bassa e quindi una bassa anzianità lavorativa che risulta spesa

I maschi senza titolo hanno un’età media di 37 anni contro 30 dei diplomati e


33 dei laureati. Anche le donne senza titolo hanno un’età più elevata rispetto
alle altre (42 anni contro 34 delle diplomate e delle laureate). In questo caso la
relazione è però diversa perché la donna, scarsamente scolarizzata e non più
giovane, tende maggiormente ad uscire dal mercato del lavoro come casalin-
ga.

62
prevalentemente nell’ambito del lavoro flessibile. Ma la perma-
nenza nella flessibilità può anche dipendere dalla volontà del
lavoratore in possesso di un elevato livello di istruzione: si per-
mane nell’ambito dei lavori flessibili per accumulare esperienze
in attesa di trovare il lavoro desiderato, magari coerente con il
livello di istruzione posseduto (Mele, 2005b). Una volta conse-
guito un dato livello di istruzione e quindi una volta formata una
data aspirazione professionale, non basta trovare un’occupazio-
ne, ma occorre che questa sia coincidente con quella desiderata
e quindi coerente con il livello di istruzione. In questo senso,
quindi, la flessibilità permette a tali soggetti di utilizzare moda-
lità contrattuali che consentono loro di accumulare esperienze
professionali nell’attesa di trovare il lavoro “scelto”10.
Una volta esaminata l’influenza delle caratteristiche indivi-
duali sui percorsi di transizione andiamo a verificare l’influenza
di variabili attinenti il tipo di attività svolto.
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali di partenza
(Graf. 5.8) è soprattutto la causa mista (formazione lavoro e ap-
prendistato), da sempre principale canale di ingresso dei giovani
nel mercato del lavoro, che ha avuto i migliori esiti dal punto
di vista della stabilizzazione, sia nel lavoro dipendente a tempo
indeterminato (il 50% contro il 39% di coloro che al 2000 aveva-
no un contratto a tempo determinato), sia dal punto di vista dei
percorsi di tipo autonomo (l’8% ha un’attività in proprio contro
il 6% del tempo determinato). È in cerca di lavoro il 10% di chi
aveva un contratto di questo tipo al 2000 (contro il 15% dei tem-
po determinato).
Particolarmente svantaggiata la situazione di chi risultava
avviato con un part-time flessibile che registra la più bassa per-
centuale di stabilizzazione nel lavoro dipendente (15%), la quota
più elevata di coloro che permangono nella flessibilità (38,5%

Come abbiamo visto nella nota precedente i laureati hanno un’anzianità mol-


to più bassa rispetto ai senza titolo ma uguale (nel caso della componente
femminile) o superiore (per quella maschile) rispetto ai diplomati. è evidente
però che il laureato rispetto al diplomato ha intrapreso mediamente percorsi
lavorativi più brevi.
10
Come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente tra quanti sono risultati
ad oggi ancora instabili, sono soprattutto coloro che hanno un’alta scolariz-
zazione a dichiarare di non avere avuto altra scelta (75% contro il 59% dei
diplomati e il 52% dei senza titolo) a conferma di come sia difficile soddisfare
le proprie aspettative per i laureati, in un mercato del lavoro come quello
toscano, fatto di piccola-media impresa, dove è particolarmente basso il fab-
bisogno da parte delle imprese di giovani usciti dall’Università.

63
contro il 19,5% della media campionaria) e una percentuale ri-
levante di disoccupati (23%). L’unico dato positivo per questa
categoria di lavoratori è la quota più significativa in assoluto
di coloro che hanno intrapreso un percorso di tipo autonomo
(15%).
Per quanto riguarda i percorsi di transizione secondo il set-
tore di attività avvenuti nel periodo 2004-2006, la tabella 5.1 ci
mostra come sia in particolare il settore delle attività manifattu-
riere/costruzioni quello dove le percentuali di esiti positivi, avve-
nute nell’ambito del settore di provenienza stesso sono risultate
più elevate (40% di dipendenti stabili e 4% di autonomi). Seguo-
no, a notevole distanza, i servizi alle imprese (24% dipendenti
stabili e 8% autonomi) e il commercio (28% dipendenti stabili).
A ruota vengono i servizi alle persone (21% dipendenti stabili e
2% autonomi) e gli alberghi e i ristoranti (21% dipendenti stabi-
li). È soprattutto in questo ultimo settore che è risultato partico-
larmente elevato il peso degli inoccupati (29%), a testimonianza
di come tale ambito di attività rappresenti, come noto, possibi-
lità di lavoro stagionale e quindi favorisca percorsi di instabilità
caratterizzati da frequenti entrate e uscite dal mercato del lavo-
ro, ma anche opportunità per i giovani o per le donne che non
hanno possibilità di lavorare continuativamente per tutto l’anno
(impegni scolastici, carichi familiari, ecc.)11.

Grafico 5.8. Tipologia contrattuale al 2000 per condizione occupazionale attuale. Valori %

11
L’esercizio non è stato effettuato per il settore agricolo perché caratterizzato
da numeri assoluti troppo bassi.

64
Tabella 5.1. Settore di attività al 2004 per condizione occupazionale attuale12. Valori %
Stabilizzati Autonomi
Altri
nello stesso nello stesso Inoccupati TOTALE
occupati
settore settore

Agricoltura 0,0 0,0 100,0 0,0 100,0


Attività manifatturie-
re e 40,0 4,4 46,7 8,9 100,0
Costruzioni
Commercio 27,6 0,0 51,7 20,7 100,0
Alberghi e ristoranti 21,4 0,0 50,0 28,6 100,0
Servizi alle aziende 24,0 8,0 68,0 0,0 100,0
Servizi alle persone 21,0 1,6 62,9 14,5 100,0
TOTALE 26,2 2,7 58,5 12,6 100,0

5.3. La flessibilizzazione nei diversi sistemi locali

Prioritario obiettivo conoscitivo dello studio che presentia-


mo è stato quello di analizzare i percorsi di transizione di lavo-
ratori flessibili al 2000, appartenenti a sistemi economico locali
rappresentativi dell’articolata struttura socioeconomica della
Toscana, per verificare se l’esperienza lavorativa flessibile ha
assunto per i singoli protagonisti un “ponte per una professio-
nalizzazione” o una “trappola” verso la marginalità e con quali
peculiarità a livello territoriale.
Abbiamo deciso di ragionare a livello di singolo sistema, ipo-
tizzando una sorta di autocontenimento di questi ultimi, in virtù
del fatto che i lavoratori appartenenti ai singoli sistemi locali al
2000, per la stragrande maggioranza, sono risultati ancora lavo-
rare e risiedere nelle stesse aree di riferimento.
Ma vediamo di seguito l’analisi per singolo sistema locale.

• Firenze (Sistema urbano)


Iniziamo la nostra analisi con Firenze, sistema urbano, ca-
ratterizzato da una struttura produttiva estremamente comples-
sa, fortemente specializzata in tutte le componenti del terziario,
ma che mostra anche elevati livelli di incidenza nelle attività
industriali (in particolare la meccanica, ma anche prodotti in

12
Dal calcolo sono esclusi gli inabili e i pensionati e tutti coloro che al 2004 non
lavoravano. Tra gli altri occupati sono inclusi tutti coloro che lavoravano in un
settore di attività diverso da quello del 2004 sia in modo autonomo chedipen-
dente (sia stabile che flessibile).

65
metallo, carta, stampa, editoria, chimica e farmaceutica). Area
che notoriamente offre ampie opportunità occupazionali alla
propria popolazione residente – e non solo, come confermano
gli ingenti flussi pendolari in ingresso – dove i livelli di scola-
rizzazione sono elevati ed in cui la quota di giovani disoccupati
appare inferiore alla media (Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati appartenenti al sistema
fiorentino possiede un livello di istruzione significativamente più
alto del totale (il 78% ha un titolo di studio medio-alto contro il
66% della media campionaria). Il settore di attività (Graf. 5.9)
è prevalentemente il terziario (77%) suddiviso in: commercio
(18%), servizi alle imprese (20%) servizi alle persone (33%) e al-
berghi e ristoranti (7%). Le attività manifatturiere sono meno ri-
levanti rispetto alla media campionaria (21% contro il 25,5%).

Grafico 5.9. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Firenze. Valori %

Dal punto di vista degli sbocchi occupazionali di coloro che


al 2000 risultavano instabili (Graf. 5.10), è il sistema che sembra
offrire le più elevate probabilità di stabilizzazione: il 57% degli
intervistati ha avuto un esito occupazionale positivo (contro il
48% del dato medio).
In linea con la media campionaria la quota di coloro che
sono rimasti flessibili (19%). Il 12% è in cerca di lavoro e una
quota molto più bassa rispetto alla media è sfociata nelle non
forze di lavoro (12% contro il 19%).
Degno di rilievo che nell’area si registri in assoluto il più alto
livello di donne stabilizzate (55% contro il 42% del dato medio),
ma anche il fatto che nel sistema urbano sia presente il minor
dislivello tra opportunità offerte alla componente femminile e a
quella maschile (i maschi stabilizzati sono il 50%, quindi 5 punti
percentuali in più rispetto alla componente femminile) contro
66
un dato medio che invece fa emergere un notevole svantaggio
per le donne (circa 19 punti percentuali). Nell’area urbana si
rileva inoltre la più bassa presenza di donne uscite dal mercato
del lavoro come casalinghe (5% contro il 14% del dato medio).

Grafico 5.10. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Firenze. Valori %

• Mugello (Sistema turistico industriale)


Il sistema del Mugello, identificato dai comuni che rientra-
no nell’ambito dei servizi all’impiego di Borgo San Lorenzo, è
caratterizzato da una discreta presenza turistica e residenzia-
le e da una rilevante consistenza del settore delle costruzioni e
dell’industria del metallo. I settori più rilevanti in termini oc-
cupazionali sono: le costruzioni, il commercio al dettaglio, la
fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, gli alberghi
e ristoranti, il commercio all’ingrosso, l’industria dell’abbiglia-
mento e le pelli, cuoio e calzature.
Si rileva un quota di lavoro regolare inferiore alla media to-
scana grazie al peso dell’agricoltura, del commercio e della rice-
zione turistica, settori caratterizzati da una regolarità inferiore
alla media e da un’elevata stagionalità.
L’indice di occupazione è leggermente superiore alla media
toscana, mentre la quota di giovani disoccupati sul totale è net-
tamente inferiore al valore regionale, grazie ad un precoce in-
gresso al lavoro della componente giovanile che, nonostante la
crescita dell’indice di istruzione, mantiene comunque valori più
bassi rispetto alla media regionale (Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati ha un livello di istruzio-
ne leggermente più basso del dato medio (il 36% ha un titolo di
studio basso contro il 34% della media campionaria).
I settori di attività prevalenti sono: l’industria (24%) e i servizi
alle persone (28%) (Graf. 5.11).

67
Dal punto di vista degli sbocchi occupazionali (Graf. 5.12) è
il sistema che, subito dopo l’area fiorentina, sembra offrire le più
elevate probabilità di stabilizzazione (51%); inoltre è il sistema
dove si rilevano le più basse possibilità di caduta nella disoc-
cupazione (7,5% contro il 14% del dato medio); in linea con la
media la quota di coloro che sono rimasti flessibili (19%).

Grafico 5.11. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Mugello. Valori %

Grafico 5.12. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Mugello. Valori %

Rispetto all’indagine del 2004 il Mugello è sicuramente


un’area che ha maturato migliori opportunità di stabilizzazio-
ne nel mercato locale del lavoro che si sono realizzate in modo
particolare per la componente maschile, che ha realizzato in as-
soluto la quota più elevata di occupati stabilizzati (73% contro il
61% della media). Per la componente femminile si registra inve-
ce un tasso di stabilizzazione notevolmente più basso di quello
maschile, ma in linea con la media campionaria (41%).

68
• Santa Croce (Distretto industriale)
Distretto industriale caratterizzato da una natura fortemen-
te industriale con specializzazione produttiva nel settore della
moda (concia delle pelli e del cuoio, calzature).
Tale area presenta livelli occupazionali elevati ed una quota
di giovani disoccupati nettamente inferiore alla media toscana.
Non sorprende, quindi, il basso livello di istruzione, tipico di
tutte le aree di piccola e media impresa dove la facilità nel tro-
vare lavoro anche con livelli di istruzione medio-bassi tende a
spiazzare la prosecuzione degli studi a vantaggio di un precoce
ingresso nel mondo del lavoro (Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati è ovviamente in linea
con le caratteristiche che abbiamo appena delineato dell’area:
ha un livello di istruzione significativamente più basso del totale
(il 45% ha un titolo di studio basso contro il 34% del totale).
Il settore di attività prevalente è quello dell’industria (40% con-
tro il 25,5% del totale) (Graf. 5.13).

Grafico 5.13. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Santa Croce. Valori %

Il distretto industriale di Santa Croce, che nell’indagine del


2004, insieme al sistema urbano fiorentino, era risultata una del-
le aree dove i tassi di transizione dalla flessibilità verso modalità
lavorative stabili risultavano più elevati, a distanza di due anni
risulta invece avere perso posizioni nelle opportunità di stabi-
lizzazione offerte ai lavoratori, presumibilmente a causa della
particolare fase di crisi attraversata dal sistema moda.
La stabilità del lavoro è stata raggiunta dal 51% degli inter-
vistati (che rimane comunque una percentuale che è al di sopra
della media campionaria, 48%), e, una quota in linea con la me-

69
dia risulta ad oggi disoccupata (14%). Una percentuale più bassa
rispetto alla media è rimasta flessibile (12% contro il 20%), ma
un quota più elevata rispetto alla media campionaria è uscita
dalle forze di lavoro (24% contro il 18%).
Le opportunità di stabilizzazione della componente femmi-
nile sono notevolmente più basse di quelle maschili, superiori
però rispetto alla media campionaria (45,5% contro il 42% del
dato medio) (Graf. 5.14).

Grafico 5.14. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Santa Croce.
Valori %

• Follonica (Sistema turistico rurale)


In questo sistema lo sviluppo turistico ha assunto forme sfu-
mate svolgendo anche una funzione di tipo residenziale basata
sulle seconde case. La caratterizzazione turistica risulta eviden-
te dall’importanza del settore terziario (in particolare commer-
cio e pubblici esercizi).
Tra i comparti produttivi non rientranti nella tipologia
dei servizi una quota ingente è rappresentata dalle costruzio-
ni, dall’industria chimica (in forte declino), e dal peso tut-
tora rilevante del settore agricolo. L’indice di occupazione si
presenta al di sotto della media, mentre quello relativo alla
disoccupazione giovanile presenta valori elevati. In notevole
crescita l’indice di istruzione che, comunque, si mantiene al
di sotto della media regionale. Il mercato del lavoro locale si
caratterizza inoltre per una quota leggermente superiore alla
media di lavoro non regolare imputabile principalmente alla
consistenza del terziario turistico e dell’agricoltura, settori in
cui, è noto, si riscontra solitamente un grado minore di rego-
larità (Bacci, 2001).

70
Il campione di lavoratori intervistati ha un livello di istruzione
significativamente più basso del totale (il 45% ha un titolo di studio
basso contro il 34% del dato medio). I settori di attività prevalenti
sono i servizi alle persone (28%) e l’industria (28%). Superiore ri-
spetto al dato medio la presenza nell’agricoltura (9% contro il 3%)
e negli alberghi/ristoranti (11% contro l’8%) (Graf. 5.15).

Grafico 5.15. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Follonica. Valori %

Dal punto di vista degli sbocchi occupazionali le probabilità


di stabilizzazione sono risultate inferiori alla media campiona-
ria (il 40% contro il 48%) e una quota molto più elevata rispetto
alla media è rimasta in una situazione di instabilità (46% contro
il 20%) (Graf. 5.16).
Si registrano inoltre differenze significative tra la componente
maschile e quella femminile: solo il 37% delle donne si è stabiliz-
zata contro il 62,5% degli uomini. Una quota significativamente
più elevata di donne risulta disoccupata (19% contro il 15%) e una
leggermente più alta rispetto alla media è risultata permanere nel-
la flessibilità (22% contro il 20%).

Grafico 5.16. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Follonica. Valori %

71
• Rosignano (Sistema turistico)
La forte vocazione turistica della zona è resa evidente dal-
l’importanza del settore alberghi e ristoranti. È necessario però
ricordare la tradizione industriale dell’area facendo riferimento
al polo chimico degli stabilimenti Solvay, attorno ai quali è cre-
sciuta e si è sviluppata l’omonima frazione di Rosignano Solvay.
Il settore della chimica che, pur presentando un’importanza su-
periore a quella assunta nel complesso della regione sta subendo,
ormai da tempo, un accentuato trend di ridimensionamento.
Altri settori importanti dal punto di vista occupazionale sono
il commercio al dettaglio e le costruzioni. L’indice di occupazio-
ne è inferiore a quello medio toscano, mentre quello relativo al-
l’incidenza di giovani disoccupati è decisamente al di sopra della
media. A ciò si accompagna un indice di istruzione leggermen-
te inferiore al dato medio toscano. Come nel caso di Follonica,
la significativa presenza del settore turistico e dell’agricoltura
determinano una presenza significativa di lavoro non regolare
(Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati ha un livello di istruzio-
ne significativamente più basso del totale (il 45,9% ha un titolo
basso contro il 34% del totale). Il settore di attività prevalente è
quello dei servizi alle persone (30%), seguito dalle attività mani-
fatturiere (23%). Superiore rispetto alla media la presenza negli
alberghi/ristoranti (15% contro l’8%) (Graf. 5.17).
Sicuramente è il sistema in cui sono risultate più basse le
possibilità di stabilizzazione del lavoro: solo il 29,5% degli inter-
vistati ha avuto un esito occupazionale positivo (contro il 48%
del dato medio). Più alte rispetto alla media campionaria anche
le quote di coloro che sono rimasti intrappolati nella flessibilità
(24% contro il 20%) e di quanti sono usciti dal mercato del lavo-
ro (31% contro il 18%).
Solo il 26% delle donne si è stabilizzata contro il 42% degli
uomini. Inoltre, tra le donne si registra la quota in assoluto più
elevata di uscite dalle forze di lavoro come casalinghe (25% con-
tro il 14% del dato medio) (Graf. 5.18). Nei mercati più deboli,
coerentemente con quanto avviene a scale territoriali più ampie,
è soprattutto la componente femminile ad apparire svantaggiata
e questo comporta un effetto scoraggiamento anche nella ricer-
ca del lavoro. Mentre infatti la quota di disoccupate è risultata in
linea con la media campionaria (15%), si registra in assoluto la
quota più elevata di casalinghe (25% contro il 14% della media
campionaria).

72
Grafico 5.17. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Rosignano Marittimo. Valori %

Grafico 5.18. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Rosignano Ma-
rittimo. Valori %

5.4. Le sequenze occupazionali

L’osservazione longitudinale dei percorsi tra occupazioni


garantite e non garantite è necessaria per la ricostruzione del-
le traiettorie e gli esiti delle forme di impiego non standard in
quanto è stato mostrato che carriere lavorative discontinue, in-
terrotte e instabili possono costituire un fattore di penalizzazio-
ne che accresce la probabilità di restare intrappolati in un cir-
cuito di successive occupazioni non standard (Barbieri, Fullin,
Reyneri, 2005).
Ma vediamo di capire meglio quali sono stati i percorsi delle
intervistate e degli intervistati tra il 2000, il 2004 e il 2006. Tra
coloro che al 2000 risultavano avere avuto un rapporto lavorati-
vo non standard e al 2004 risultavano essere caduti in uno stato
di disoccupazione oltre la metà (51%) risulta ancora disoccupa-
to; il 19% è tornato ad essere occupato di nuovo con modalità
flessibili; il 19% è occupato in modo stabile e l’11% è uscito dalle

73
forze di lavoro (il 7% come casalinga e il 4% come studente)
(Graf. 5.19).
Grafico 5.19. Flessibili al 2000 disoccupati 2004 per condizione attuale. Totale.
Valori %

L’analisi di genere conferma la minore probabilità da parte


della componente femminile di permanere nella disoccupazione
(il 53% è ancora disoccupata contro il 49% dei maschi) e le mag-
giori probabilità di uscita dal mercato del lavoro (il 10% è casa-
linga). Questo comporta, ovviamente, minori probabilità (Graf.
5.20) di stabilizzazione nel mercato del lavoro: sono occupate in
modo stabile il 15% delle donne contro il 24% dei maschi.
Grafico 5.20. Flessibili al 2000 disoccupati 2004 per condizione attuale e genere. Valori %

Vediamo invece gli esiti di chi, flessibile al 2000, risultava es-


sere nella stessa condizione al 20 04: il 46% è ancora flessibile; il
42% è occupato in modo stabile; il 9% è in cerca di occupazione
e il rimanente è uscito dalle forze di lavoro (Graf. 5.21).

74
Grafico 5.21. Flessibili al 2000 e 2004 per condizione attuale. Totale. Valori %

Anche in questo tipo di percorso si conferma un’evidente


svantaggio da parte della componente femminile che risulta es-
sersi stabilizzata solo nel 38% dei casi (contro il 50% di quella
maschile) (Graf. 5.22).

Grafico 5.22. Flessibili al 2000 e 2004 per condizione attuale e genere. Valori %

Tra coloro che invece al 2004 risultavano avere raggiunto


condizioni lavorative dipendenti e stabili la stragrande maggio-
ranza, sia della componente maschile che di quella femminile è
rimasta in tale condizione (88) (Graf. 5.23).

75
Grafico 5.23. Flessibili al 2000, indeterminati al 2004 per condizione attuale e genere. Valori %

Anche tra coloro che hanno intrapreso un percorso lavorati-


vo di tipo autonomo si rileva una quota maggioritaria di quanti
al 2006 sono risultati permanere nella stessa condizione lavora-
tiva, soprattutto tra la componente maschile (79% contro il 64%
delle donne) (Graf. 5.24).

Grafico 5.24. Flessibili al 2000, autonomi al 2004 per condizione attuale e genere. Valori %

Gli ultimi due gruppi sono invece rappresentati da coloro che


nel 2004 risultavano essere inoccupati come studenti o come casa-
linghe13. Per queste ultime l’avviamento al 2000 con una tipologia
contrattuale instabile ha rappresentato un momento di incontro
con il mercato del lavoro che nella stragrande maggioranza dei
casi si è interrotto (l’80% al 2006 è ancora in tale condizione) pre-
sumibilmente per mancanza di opportunità e/o per l’impossibilità
di conciliare i tempi di lavoro con quelli di cura (Graf. 5.25).

13
Per ovvi motivi dall’analisi che presentiamo sono esclusi coloro che al 2006
risultavano ritirati dal lavoro.

76
Grafico 5.25. Flessibili al 2000, casalinghe al 2004 per condizione attuale. Valori %

Nel caso degli studenti, invece, la flessibilità ha consentito,


nella gran parte dei casi di conciliare gli studi con esperienze
lavorative come evidenziato dalla maggior parte di coloro che al
2006 risultano ancora nella stessa condizione (59% dei maschi e
72% delle femmine) (Graf. 5.26).
Grafico 5.26. Flessibili al 2000 studenti al 2004 per condizione attuale e per genere

5.5. Riflessioni finali

La fine del posto fisso è un evento epocale che comporta


traiettorie più discontinue che, in alcuni casi, portano ad una
stabilizzazione nel mercato del lavoro (con un lavoro autonomo
o a tempo indeterminato), mentre in altri hanno come esito un
intrappolamento nella precarietà.
L’indagine, da questo punto di vista non sembra fornire un
quadro tranquillizzante: a distanza di 6 anni da un avviamento
al lavoro con tipologia contrattuale instabile le trasformazioni in
lavoro stabili riguardano meno della metà del campione (48%).
Siamo infatti di fronte ad una discreta persistenza di lavoratori

77
non stabili (20%), ad una riduzione dei passaggi al lavoro garan-
tito (un incremento medio annuo di 3,5 punti nell’ultimo biennio
contro gli oltre 10 punti medi annui dei quattro anni precedenti),
e ad una crescita delle uscite verso la disoccupazione (dall’11%
al 14%) che sembrano denunciare un aumento di coloro che non
riescono a transitare da un lavoro a termine verso un impiego
sicuro.
Nel biennio i più stabili sono risultati i lavoratori dipenden-
ti con contratto a tempo indeterminato (circa 90 su 100 sono
rimasti nella stessa posizione); seguiti dai lavoratori autonomi
(73 su 100). Molto diversi gli esiti dei lavoratori dipendenti con
tipologia contrattuali a termine che solo nel 42% dei casi han-
no avuto come esito una stabilizzazione nel mercato del lavoro
(37% a tempo indeterminato e 5% autonomo). Ancor più proble-
matiche le traiettorie di coloro che, a distanza di due anni da un
avviamento al lavoro con tipologia contrattuale instabile, sono
caduti in uno stato di disoccupazione; a distanza di ulteriori due
anni oltre la metà (51%) risulta ancora in cerca di occupazione.
Il quadro viene ulteriormente aggravato dal fatto che, rispet-
to all’indagine precedente, diminuisce il già basso numero di
coloro che hanno scelto la flessibilità lavorativa e cresce la quo-
ta di coloro che vivono la flessibilità come un’esperienza subita
perché costretti dalle logiche del mercato.
Sembrerebbe dunque che i percorsi di stabilizzazione
subiscano una battuta d’arresto, trascorsi periodi di perma-
nenza troppo lunghi in tale stato, come parrebbe conferma-
to anche dalla crescita di sequenze occupazionali di tipo “job
carousel”, caratterizzate dal susseguirsi di diverse esperien-
ze di lavoro e non lavoro (Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005),
che hanno un’elevata probabilità di avere come esito un “in-
trappolamento” in carriere lavorative discontinue, interrotte
e instabili.
Quali gli esiti per le persone coinvolte in traiettorie di questo
tipo?
L’indagine che presentiamo ha mostrato che i tassi di trasfor-
mazione sono molto diversi a seconda delle caratteristiche degli
individui e della tipologia di attività svolta. Le donne, i “non più
giovani”, coloro che hanno una bassa scolarizzazione, che vive
in sistemi produttivi “deboli”, risulta infatti complessivamente
avere intrapreso percorsi più precari, caratterizzati da ingressi e
uscite, nel mercato del lavoro.
Sembra dunque evidente che l’indagine non conforti la tesi
secondo cui i lavori atipici abbiano un effetto trampolino verso
78
il lavoro sicuro, soprattutto nei casi in cui si prolunghi oltre un
certo limite la durata e/o la sequenza di impieghi instabili nel
proprio percorso14.
Passare da un impiego all’altro non risulta un’operazione
priva di costi per tutti, basti pensare alla discontinuità delle car-
riere e alla bassa copertura previdenziale che sicuramente se-
gnalano la necessità di dare al welfare un profilo maggiormente
a misura delle nuove tipologie lavorative.
è forse questo il punto su cui dobbiamo ulteriormente ri-
flettere, cercando di immaginare un sistema di welfare univer-
salistico in cui chi intraprende un percorso di flessibilità possa
essere coperto da efficaci meccanismi di protezione dai rischi,
per far sì che il lavoratore involontariamente temporaneo non
debba soltanto accollarsi rischi, costi e persino penalità, come
mostrano stipendi percepiti mediamente più bassi dei lavoratori
maggiormente tutelati15.

14
Anche l’indagine l’Indagine longitudinale sulle famiglie italiane (Ilfi) mostra
che se si entra nel mercato del lavoro con una sequenza di impieghi atipici
diventa forte il rischio di intrappolamento in posti poco qualificati e a basso
salario.
15
Tra le varie proposte nel suo ultimo volume Accornero ben sintetizza alcune
fra le principali tutele che dovrebbero essere previste per i lavoratori instabili.
“A chi ha reiterato più impieghi temporanei nella medesima impresa si posso-
no accordare contribuzioni “figurative” per la pensione e un diritto di seniority
nelle assunzioni stabili. Si possono inoltre fissare – come in altri Paesi – dei
limiti alle reiterazioni del contratto. Si può garantire una piena esigibilità del-
le anzianità lavorative e delle credenziali assicurative maturate, anche ai fini
della “totalizzazione” dei contributi recentemente approvati. Si possono pre-
vedere un fondo per il mutuo casa a copertura delle garanzie bancarie, e dei
contributi per l’affitto di un’abitazione. Si possono uniformare le aliquote con-
tributive per tutti i rapporti di lavoro, come base materiale di una eguaglianza
delle opportunità previdenziali. Si può predisporre una copertura finanziaria
obbligatoria al di là delle singola durata contrattuale, per un’attività formativa
che aiuti lo sviluppo professionale e il riconoscimento delle competenze” (Ac-
cornero, 2006a).

79
6.
Le condizioni di lavoro:
lavoratori stabili e flessibili
a confronto

6.1. Condizioni, tutele e prospettive contrattuali

In questa sezione del rapporto ci occuperemo delle condi-


zioni di lavoro degli occupati definiti “non standard” (occupati
con un contratto diverso da quello a tempo indeterminato), e
in particolare delle opinioni espresse quanto alle forme contrat-
tuali, le tutele, gli orari e i contenuti del lavoro, confrontandole
con i giudizi resi dai lavoratori occupati a tempo indeterminato
e dagli occupati “autonomi”16.
Oltre all’indagine il più possibile sistematica delle condizio-
ni oggettive dell’attuale impiego, e delle rappresentazioni sociali
del lavoro che ne derivano, vi sono almeno due interrogativi cui
preme tentare di dare una risposta. Il primo è se esista un tra-
de-off tra flessibilità del lavoro e qualità delle sue condizioni. Il
secondo, speculare rispetto al precedente, è se i lavoratori un
tempo flessibili che hanno guadagnato la condizione di lavora-
tori stabili abbiano effettivamente riscontrato un miglioramento
nel lavoro, o se al contrario il raggiungimento del posto a tem-
po indeterminato abbia prefigurato il sacrificio di taluni aspetti,
sulla cui rilevanza sembra convergere sempre più l’universo dei
lavoratori, come per esempio la richiesta di un’occupazione con
maggiori gradi di autonomia e possibilità di autorealizzazione.
Il perseguimento di queste aspirazioni o valori, d’altronde,
non esclude che i lavoratori forniscano un giudizio nettamente
negativo circa quella dimensione della flessibilità che è quasi
unanimemente considerata la meno soddisfacente: la “preca-
rietà”. Così se, in questo paragrafo come nei seguenti, si rileva
tra gli intervistati con contratti temporanei una soddisfazione

16
I lavoratori definiti “autonomi” sono costituiti per più dell’80% da liberi pro-
fessionisti (in maggioranza donne) e lavoratori in proprio (prevalenti gli uo-
mini), oltre che da imprenditori (14%) e, in numero estremamente esiguo, da
coadiuvanti familiari (2%).

81
relativa per alcuni aspetti connessi all’employment (possibilità
di autorealizzazione e di apprendimento, autonomia), passando
ad un’ottica di life-cycle utility, di traiettorie di vita, si manifesta-
no invece i “costi umani” degli itinerari discontinui sperimentati
sul lavoro, anzi tra i lavori: la percezione dell’insicurezza dell’at-
tuale occupazione tende a vanificare la pur presente positività
dei contenuti del lavoro, e come fanno notare anche i curatori
dell’indagine Il lavoro che cambia, si fa stridente il contrasto tra
“contenuti del lavoro che migliorano e tutele che peggiorano”
(Carrieri, Damiano, Ugolini, 2005).
Gli intervistati presenti nel campione con contratti instabili
sono 143, pari al 23% del totale17. Entrando più nel dettaglio del-
le forme contrattuali, si tratta di una maggioranza di individui
assunti con un contratto a tempo determinato (68% del totale
dei lavoratori “non standard”), di una minoranza che dispone di
altre tipologie contrattuali di durata temporanea quali appren-
distato, lavoro interinale, contratto stagionale e formazione-la-
voro (il 10,5%), e di circa un quinto del totale che ha un contrat-
to come co.co.co. o di collaborazione a progetto18.
La disaggregazione per genere vede la prevalenza numerica
delle donne (68% del campione), confermando come occasioni
di lavoro instabile siano più frequenti per il genere femminile
che maschile (Tab. 6.1).

Tabella 6.1. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e genere.
Valori assoluti e valori %
Tipologia
Valori assoluti Valori %
contrattuale
Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
Dipendente a tempo
30 67 97 66,7 68,4 67,8
determinato
Collab. coord. e
9 22 31 20,0 22,4 21,7
cont./collab. a progetto
Altri contratti dip.
6 9 15 13,3 9,1 10,5
a termine (a)
Totale 45 98 143 100,0 100,0 100,0
(a) Altri contratti dip. a termine: comprendono interinali, contratti di formazione-lavoro,
di apprendistato e stagionali

17
Rimangono esclusi dalle elaborazioni qui presentate i lavoratori occasionali,
comunque numericamente irrilevanti nel campione.
18
Nel caso di più contratti si è fatto riferimento a quello principale (in partico-
lare per i collaboratori).

82
Il 43% dei lavoratori non standard è inserito nei servizi, il
16% nell’industria e nelle costruzioni, il 15% nei servizi alle im-
prese. Seguono alberghi e ristorazione (10%), commercio (9%),
agricoltura (6%) e altri settori (1%).
Rispetto al totale del campione, i flessibili risultano sottorap-
presentati nell’ambito del commercio e delle attività manifattu-
riere, e al contrario sovrarappresentati nel settore dei servizi alle
persone (Tab. 6.2).
Tabella 6.2. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e settore d’impiego.
Valori %
Agricoltura Attività Commercio Alberghi e Servizi alle Servizi alle Altro Totale
manifatturiere e ristoranti aziende persone
costruzioni

Valori assoluti
Tempo Indeterminato 6 115 67 33 57 110 14 402
Flessibili 8 23 13 14 22 62 1 143
Autonomi 7 16 10 4 13 7 2 59
Totale 21 154 90 51 92 179 17 604

Valori %
Tempo Indeterminato 1,5 28,6 16,7 8,2 14,2 27,4 3,5 100,0
Flessibili 5,6 16,1 9,1 9,8 15,4 43,4 0,7 100,0
Autonomi 11,9 27,1 16,9 6,8 22,0 11,9 3,4 100,0
Totale 3,5 25,5 14,9 8,4 15,2 29,6 2,8 100,0

Secondo la mansione, i flessibili sono leggermente sovrarap-


presentati nelle professioni medio-alte (7% contro il 4% degli
indeterminati) e in quelle impiegatizie (42% contro il 37%).
Di conseguenza, la loro presenza tra gli operai, specializzati o
meno, è inferiore rispetto a quella dei lavoratori standard (35%
contro il 44%) (Graf. 6.1).

Grafico 6.1. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e mansione
professionale. Valori %

83
Solo per il 18% degli instabili la flessibilità del lavoro è stata
scelta (cfr. § 5.1), mentre nella stragrande maggioranza è subita
(82%), in particolare per le donne (+8% rispetto agli uomini)19.
D’altronde, come testimoniato dalla letteratura in materia, la
condizione di atipico20 nella gran parte dei casi è tale solo per la
diversa forma contrattuale, dal momento che sono la netta mag-
gioranza coloro che lavorano per un unico committente in ma-
niera pressoché continuativa, presso la sede di questo e in orari e
con mansioni ordinarie, dunque con un profilo lavorativo sostan-
zialmente assimilabile a quello di un dipendente subordinato.
La flessibilità è subita soprattutto dai lavoratori che lavorano
per soggetti pubblici, dove la quota di coloro che “non hanno
avuto altra scelta” raggiunge il 96%. Nel settore privato e nel
terzo settore questi sono rispettivamente il 75% e il 67% degli
intervistati, perciò, pur rimanendo largamente maggioritaria la
quota di quanti hanno “subito” la flessibilità, questa è significa-
tivamente inferiore a quella del settore pubblico.

• La durata del contratto


La prima informazione attinente alle condizioni oggettive del
lavoro che interessa esplorare è la durata del contratto in essere.
Escluse tipologie di brevissima durata, vale a dire inferiori a un
mese (che sono in numero irrilevante e riguardano “missioni” di
lavoratori interinali), il 39% degli intervistati dichiara di avere
contratti di durata annuale e il 33% afferma di avere stipulato
contratti di durata compresa tra i 4 e gli 11 mesi. Per il 13% i
contratti non superano i 3 mesi. Contratti di durata superiore
all’anno riguardano solo il 12% del totale.
Mentre la distinzione tra contratti da dipendente a termine
e collaboratori non fa emergere significative differenze quanto
alla durata21, è piuttosto la disaggregazione per genere (oltre che
per settore di impiego) a mostrare differenze anche molto mar-

19
Sebbene con risultati meno polarizzati, questo scenario è confermato anche
da una recente ricerca su scala nazionale dell’Isfol (2004): in questa la percen-
tuale di quanti affermano di lavorare con un’occupazione temporanea “per
mancanza di alternative”, infatti, è di poco oltre la metà.
20
Si usa questa espressione nella sua accezione ristretta, dal momento che l’uni-
verso degli atipici è ben più ampio di quello dei lavori “instabili”, o “flessibili”
(ISTAT, 2005).
21
Fatta salva una leggera tendenza a durate maggiori per i collaboratori, in par-
te attribuibile alla presenza di lavoratori stagionali e interinali nel gruppo dei
“dipendenti con contratti a termine”.

84
cate. Le donne hanno in genere contratti più brevi, e soprattutto
risultano da un lato nettamente sottorappresentate nei contratti
di durata superiore ai 12 mesi (sono in questa situazione il 22%
dei maschi e il 7% delle donne), e dall’altro sovrarappresentate
nei contratti di durata fino a 3 mesi (16% contro il 9%) (Tab.
6.3).
Tabella 6.3. Lavoratori non standard: durata del contratto in mesi per genere. Valori %
Durata Maschi Femmine Totale

Fino a 3 mesi 8,7 15,5 13,3


Tra 4 e 11 mesi 26,1 37,1 33,6
12 mesi 39,1 39,2 39,2
Oltre 12 21,7 7,2 11,9
Non risponde 4,3 1,0 2,1
Totale 100,0 100,0 100,0

Guardando alla durata per settore (Tab. 6.4), si nota che:


– nell’industria e nelle costruzioni sono relativamente di più i
contratti di durata molto breve, ma anche e soprattutto quel-
li di durata superiore all’anno, il doppio della media genera-
le. Si conferma così da un lato la tendenza all’uso di figure
esterne all’azienda per sostituzioni, picchi produttivi, o per
lo svolgimento di alcune fasi del lavoro presumibilmente a
minore qualificazione; e dall’altro la disponibilità a stabiliz-
zare più di quanto non accada in altri settori la forza-lavoro
alle proprie dipendenze, evidentemente considerata struttu-
ralmente necessaria anche nel lungo periodo;
– analoga tendenza, ma ancor più polarizzata, si riscontra nel
commercio: sono di più della media sia i contratti brevi che
quelli di durata maggiore (oltre l’anno);
– nella ristorazione e nelle strutture alberghiere, al contrario,
prevale di gran lunga la stagionalità delle occupazioni, e solo
una minoranza oltrepassa gli 11 mesi di durata. Anche in
agricoltura la maggior parte degli occupati non possiede un
contratto superiore agli 11 mesi di contratto, e in nessun
caso la durata è superiore ad un anno;
– il contratto di durata annuale è prevalente nel caso delle
aziende che offrono servizi alle imprese; è simile anche il ri-
sultato del settore dei servizi alla persona, salvo che per i
contratti di durata superiore all’anno, che è di poco inferiore
alla media.

85
Tabella 6.4. Lavoratori non standard: durata del contratto in mesi per settore. Valori %
Agricoltura Attività Commercio Alberghi e Servizi alle Servizi alle Totale
manifatturiere e ristoranti aziende persone
costruzioni

Fino a 3 mesi 12,5 17,4 23,1 28,6 13,6 6,5 13,3


Tra 4 e 11 mesi 62,5 30,4 23,1 42,9 18,2 35,5 33,6
12 mesi 25,0 26,1 30,8 28,6 50,0 46,8 39,2
Oltre 12 0,0 21,7 23,1 0,0 13,6 9,7 11,9
Non risponde 0,0 4,3 0,0 0,0 4,5 1,6 2,1
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Si è anche proceduto a elaborare l’informazione sulla durata


del contratto secondo la collocazione pubblica, privata o no-pro-
fit dell’occupazione: i risultati mostrano la maggiore propensio-
ne degli enti pubblici o parapubblici a stipulare contratti di du-
rata tendenzialmente maggiore (il 57% supera gli 11 mesi, 49%
il dato del settore privato), e contemporaneamente a contenere
il ricorso a contratti di breve durata (10% contro il 17%). Nel set-
tore privato, sono però leggermente più frequenti gli accordi di
durata superiore all’anno (13% i privati, 10% in organizzazioni
pubbliche).
Nel terzo settore si assume con contratti non particolarmen-
te brevi: sono assenti gli incarichi di durata inferiore ai 3 mesi;
nel 50% dei casi i contratti risultano di durata media; nel 30%
raggiungono i 12 mesi; infine per il 10% dei lavoratori di questo
settore si supera la durata annuale. La distinzione tra contratto
a termine e collaborazione non fa emergere significative diffe-
renze (Tab. 6.5).
Tabella 6.5. Lavoratori non standard: durata del contratto in mesi per soggetto pubblico/pri-
vato/no profit. Valori %
Durata Soggetto pubblico Soggetto privato Terzo settore Totale

Fino a 3 mesi 9,8 17,1 0,0 13,3


Tra 4 e 11 mesi 31,4 32,9 50,0 33,6
12 mesi 47,1 35,4 30,0 39,2
Oltre 12 9,8 13,4 10,0 11,9
Non risponde 2,0 1,2 10,0 2,1
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Ad una durata come si è visto tendenzialmente breve (an-


nuale o addirittura inferiore), si associa un certo numero di con-
86
tratti stipulati in successione con la stessa azienda: per il 29%, i
contratti accumulati con l’attuale committente sono più di tre,
e alcuni collaboratori denunciano anche 9-10 contratti. Il 35%
degli intervistati con assunzioni non standard risponde di avere
avuto 2-3 contratti con l’attuale committente, e un altro 35%
afferma di avere stipulato solo il contratto in essere.
L’analisi per genere mostra ancora una volta lo svantaggio
relativo delle donne, che sono molto più presenti dei colleghi di
sesso maschile tra coloro che indicano di avere avuto più di 3
contratti con la stessa azienda (22% degli uomini contro il 32%
delle donne) (Tab. 6.6).
Tabella 6.6. Lavoratori non standard: numero di contratti avuti complessivamente con
l’attuale committente (compreso quello in corso) per genere. Valori %
Numero contratti Maschi Femmine Totale

1 39,1 34,0 35,7


2-3 37,0 34,0 35,0
Oltre 3 21,7 32,0 28,7
Non risponde 2,2 0,0 0,7
Totale 100,0 100,0 100,0

La disaggregazione per settore pubblico/privato (e no-profit)


fa rilevare la propensione del settore pubblico nel procedere a
diversi rinnovi consecutivi. Mentre nel privato il 41% dei lavora-
tori flessibili sono al primo contratto con l’attuale committente,
o al massimo hanno avuto 2-3 rinnovi (42%) e solo una mino-
ranza fa rilevare un numero di contratti superiore a tre (11%),
nel pubblico la situazione è rovesciata. La maggioranza assoluta
degli intervistati afferma infatti di avere avuto più di tre inca-
richi con il medesimo committente (53%); nel 29% dei casi si
tratta invece della prima esperienza lavorativa con lo stesso e
per il 18% gli incarichi sono stati 2-3 (Tab. 6.7).
Tabella 6.7. Lavoratori non standard: numero di contratti avuti complessivamente con
l’attuale committente (compreso quello in corso), per soggetto pubblico/privato/no profit.
Valori %
Numero contratti Soggetto pubblico Soggetto privato Terzo settore Totale

1 29,4 41,0 22,2 35,7


2-3 17,6 42,2 66,7 35,0
Oltre 3 52,9 15,7 11,1 28,7
Non risponde 0,0 1,2 0,0 0,7
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

87
Nel terzo settore, infine, la maggior parte dei lavoratori ha ri-
cevuto 2-3 incarichi dall’attuale committente, e gli occupati che
hanno stipulato più di tre contratti risultano essere solo l’11%.
Neanche in questo caso l’essere titolare di un contratto di
collaborazione, anziché di un contratto a tempo determinato,
cambia in maniera significativa il numero di incarichi sotto-
scritti col medesimo committente.

• Le prospettive occupazionali
Essere destinatari di un certo numero di contratti rinnovati
senza soluzione di continuità può essere un costo ritenuto ac-
cettabile nel caso vi sia, tra gli altri incentivi, la prospettiva di
una stabilizzazione. Ma, a questo proposito, la percezione che
gli intervistati hanno circa le loro prospettive occupazionali fu-
ture non è risultata ottimistica; chiesto loro cosa prevedibilmen-
te succederà alla scadenza dell’attuale contratto, solo il 13% ha
risposto che sarà assunto a tempo indeterminato22.
Significativamente, questa risposta è stata fornita dal 22%
degli uomini e solo dall’8% delle donne. Ben il 57%, invece,
conta di veder rinnovato l’attuale contratto, nella medesima
forma oppure con variazioni non sostanziali. Il 15% prevede
la fine del rapporto di lavoro (anche in questo caso sono forti
le differenze di genere: 19% delle donne contro il 9% degli uo-
mini). L’8% dichiara la massima incertezza del proprio futuro
(“non so/non ho idea”) e solo il 2% cambierà lavoro per scelta
propria (Tab. 6.8).

22
Gli intervistati si dimostrano del resto buoni profeti: come mostra un’indagine
del Cnel (2004), nell’arco del triennio 1998-2001 (dunque un periodo più favo-
revole alla conversione dei contratti dei lavoratori flessibili in impieghi stabili,
anche grazie agli incentivi presenti in Finanziaria 2001), la sorte degli occupati
a tempo determinato è quantomeno contrastata, coincidendo in circa la metà
dei casi in itinerari lavorativi ascendenti (soprattutto al Nord), nella permanenza
nella condizione di instabilità per un quarto del campione, nell’uscita dal merca-
to del lavoro di circa 1 lavoratore su 10, nel passaggio al lavoro autonomo del 4%
degli occupati fixed terms, infine nel passaggio a lavori in nero nel 5% del totale.

88
Tabella 6.8. Lavoratori non standard: “Cosa pensa che le sarà proposto allo scadere del
contratto?” per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale

So già che non mi rinnoveranno il contratto 8,7 18,6 15,4


Mi sarà rinnovato il contratto attuale 32,6 45,4 41,3
Sarò assunto a tempo indeterminato 21,7 8,2 12,6
Per scelta cambierò lavoro 2,2 2,1 2,1
Avrò un nuovo contratto ma sempre a termine 17,4 15,5 16,1
Altro 6,5 3,1 4,2
Non so/Non ho idea 10,9 7,2 8,4
Totale 100,0 100,0 100,0

Complessivamente il 75% degli intervistati, con una leggera


prevalenza delle donne, afferma che nei prossimi 12 mesi svol-
gerà molto probabilmente ancora lavori con contratti non stabi-
li. Il 13% ritiene invece che potrà essere assunto con un tempo
indeterminato, e l’11% non riesce a formulare nessuna previsio-
ne (Tab. 6.9).

Tabella 6.9. Lavoratori non standard: “pensando ai prossimi 12 mesi, lei prevede di poter
svolgere un’attività lavorativa...” per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale

Sì, sempre con contratti non stabili 71,7 76,3 74,8


Sì, con un contratto a tempo indeterminato 17,4 11,3 13,3
No, nei prossimi mesi non ha intenzione di lavorare
2,2 0,0 0,7
(motivi di studio, famiglia..)
No, purtroppo non credo che troverò nuovi lavori 0,0 1,0 0,7
Non so 8,7 11,3 10,5
Totale 100,0 100,0 100,0

Disporre di un contratto a termine invece che di una col-


laborazione fa la differenza, ma non in un unico senso: tra i
collaboratori, sono infatti molti meno coloro che rispondono di
avere ottime possibilità di ottenere un’assunzione con contratto
a tempo indeterminato (il 3%) rispetto alle previsioni dei dipen-
denti con contratto a termine (15%). D’altra parte, tra questi ul-
timi, sono di più anche quanti denotano una assoluta incertezza
su ciò che potrà accadere alla scadenza naturale dell’attuale in-
carico (10% contro il 3% dei collaboratori).

89
Procedendo alla consueta disaggregazione per settore pub-
blico, privato o no-profit, emerge come solo nel settore privato
e nel terzo settore vi sia una quota di una qualche consistenza
degli intervistati che prevede di essere assunto, alla data della
naturale scadenza del contratto in essere, con un tempo inde-
terminato: rispettivamente, il 19% e l’11%. Nel settore pubblico,
invece, le prospettive di stabilizzazione si azzerano: solo il 2%
dei lavoratori interpellati dichiara che sarà assunto con un con-
tratto stabile.
Chi al contrario si dice ragionevolmente certo di non vedersi
rinnovato il contratto è il 12% dei lavoratori nel privato, il 15%
degli occupati nel pubblico, e ben il 44% degli assunti nel terzo
settore.
Il 67% dei lavoratori del settore pubblico prevede un rinnovo
del contratto; questa è anche la previsione del 53% dei lavoratori
presso soggetti privati, e del 44% del no-profit (Tab. 6.10).

Tabella 6.10. Lavoratori non standard: “Cosa pensa che le sarà proposto allo scadere del
contratto?”, per soggetto pubblico/privato/no profit. Valori %
Soggetto Soggetto Terzo Totale
pubblico privato settore

So già che non mi rinnoveranno il contratto 15,7 12,0 44,4 15,4


Mi sarà rinnovato il contratto attuale 66,6 53,0 44,0 57,4
Sarò assunto a tempo indeterminato 2,0 19,3 11,1 12,6
Per scelta cambierò lavoro 0,0 3,6 0,0 2,1
Altro 5,9 3,6 0,0 4,2
Non so/Non ho idea 9,8 8,4 0,0 8,4
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

• Gli aspetti retributivi


Tra le condizioni contrattuali dei lavoratori, sia flessibili sia
di altro genere, che interessa verificare vi è senz’altro anche l’in-
formazione relativa alla retribuzione23.
Dalle risposte fornite emerge la collocazione dei “non stan-
dard” in fasce di reddito tendenzialmente basse, sia in assoluto,
sia nel confronto con lavoratori stabili o autonomi.

23
è necessario ricordare che, nel caso dei collaboratori, non sono previsti né il
trattamento di fine rapporto né integrazioni usualmente associate ai rapporti
di lavoro a tempo indeterminato (mensilità ulteriori rispetto alle dodici an-
nuali).

90
Il 47% dei lavoratori flessibili guadagna meno di 900 euro
al mese (40% il dato medio di tutti gli intervistati), il 41% ha
uno stipendio compreso tra i 900 e i 1200 euro (in linea con il
totale), e soprattutto solo il 4% va oltre i 1200 euro, là dove la
quota degli standard in questa fascia di reddito è del 10% (14%
gli autonomi, 9% il dato medio) (Tab. 6.11).
Tabella 6.11. Intervistati per ammontare dell’ultimo salario netto mensile e tipologia
contrattuale. Valori %
Fasce di reddito Tempo Indeterminato Flessibili Autonomi Totale

Fino a 900 euro 39,0 46,9 25,4 39,5


901-1.200 euro 43,3 41,3 32,2 41,7
Oltre 1.200 euro 10,0 4,2 13,6 8,9
Non risponde 7,2 7,7 25,4 9,1
Totale 100,0 100 100 100

Nel confronto per mansione professionale tra lavoratori fles-


sibili e con contratti standard, risultano più sfavoriti coloro che
lavorano come impiegati e come operai, mentre tra i venditori
e i commessi la relazione è inversa e gli occupati con contratti a
durata temporanea sono complessivamente meglio retribuiti.
Nelle professioni medio-alte e nelle professioni impiegatizie,
lo svantaggio relativo degli atipici si risolve in uno schiaccia-
mento verso il basso delle retribuzioni superiori ai 1200 euro,
cioè la fascia di reddito del 47% degli occupati stabili e solo del
10% degli instabili.
Per chi è occupato come venditore/commesso o come ope-
raio, non si registra alcuna rilevante forbice retributiva. Va tut-
tavia sottolineata la scarsa incidenza di assunti con retribuzioni
alte, sia tra i flessibili che tra i lavoratori standard (Tab. 6.12).

Tabella 6.12. Lavoratori con contratti standard e flessibili: ammontare dell’ultimo salario
netto mensile secondo la tipologia contrattuale e la mansione professionale. Valori %
Fasce di reddito Professioni medio alte Impiegati Venditori, commessi Operai specializzati e non
Tempo Tempo Tempo Tempo
Fles. TOTALE Fles. TOTALE Fles. TOTALE Fles. TOTALE
indet. indet. indet. indet.

Fino a 900 euro 33,3 30,0 32,0 32,6 50,0 37,7 50,8 36,8 47,4 40,4 50,0 42,5
901-1.200 euro 20,0 60,0 36,0 45,6 40,0 44,0 39,0 52,6 42,3 46,0 34,0 43,4
Oltre 1.200 euro 46,7 10 32 14,3 3,3 11,1 3,4 5,3 3,8 5,7 4 5,3
Non risponde 0,0 0,0 0,0 7,5 6,7 7,2 6,8 5,3 6,4 8,0 12,0 8,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

91
La debolezza economica dei lavoratori temporanei, unita al-
l’incertezza del posto di lavoro, avvicina pericolosamente i lavo-
ratori instabili ad una condizione di “vulnerabilità sociale”, spe-
cie in assenza di reti familiari che funzionino da argine rispetto
al rischio di povertà.
Si tratta di un aspetto forse sottovalutato dagli studi in mate-
ria, salvo le tesi di alcuni autori che recentemente hanno posto
l’accento sulla relazione tra “società del rischio” e lavoro tempo-
raneo (Ranci, 2002; Fullin, 2003).
E invece, in un sistema di protezione sociale come quello
italiano che, contrariamente a molti degli altri contesti europei,
non prevede alcuna forma di protezione sociale o di reddito mi-
nimo (vuoi “di inserimento”, “garantito”, “minimo” o di “ulti-
ma istanza”) rispetto ai “vuoti” retributivi che inevitabilmente
costellano le carriere di buona parte dei lavoratori instabili, vi
sono alcuni categorie sociali per le quali si può a ragione parla-
re di “criticità” e “vulnerabilità”. Sono in particolare gli adulti
con contratti temporanei, ossia gli “intrappolati” nella flessibili-
tà, e i membri di famiglie senza alcun reddito stabile (Reyneri,
2005b).
E, a questo proposito, va detto che tra gli intervistati, le si-
tuazioni in cui entrambi i coniugi siano inquadrati con contratti
a termine sono tutt’altro che infrequenti. Nel 54% dei casi di chi
ha un contratto a termine, il coniuge ha un contratto a tempo
indeterminato, ma per l’11% (quasi il doppio della media gene-
rale) l’inquadramento contrattuale della persona cui si è legati
affettivamente è quello del tempo determinato; nel 23% del to-
tale il partner è in cerca di occupazione oppure non è attivo sul
mercato del lavoro (comprendendo chi ne è uscito perché rasse-
gnato all’impossibilità di trovare un’occupazione), e nel 12% dei
casi svolge un lavoro autonomo (Tab. 6.13).

Tabella 6.13. Intervistati secondo la tipologia contrattuale e la condizione lavorativa


del coniuge. Valori %
Occupato a tempo Occupato con Autonomo Inoccupato/ Totale
Tipologia contrattuale
indeterminato contratti a termine inattivo

Tempo indeterminato 60,5 5,8 15,1 18,6 100,0


Flessibili 53,6 10,7 12,5 23,2 100,0
Autonomi 42,1 5,3 36,8 15,8 100,0
Totale 57,5 6,9 16,2 19,4 100,0

92
• Le tutele del lavoro
Passiamo infine a valutare le tutele del lavoro in senso stret-
to, e in particolare i trattamenti pensionistici, cominciando col
dire che solo il 17% del totale degli intervistati pensa di poter
avere in futuro una pensione adeguata. La gran parte dei lavo-
ratori (54%) non crede in questa possibilità; tanti sono anche
coloro che dicono di non saper valutare (28%).
Sono soprattutto i lavoratori oggi flessibili a ritenere impos-
sibile avere in futuro una pensione adeguata (60%), seguiti dai
lavoratori autonomi. I lavoratori “standard”, infine, sono più
degli altri incerti sul proprio futuro previdenziale; un giudizio,
questo, sul quale pesano evidentemente le molte riforme (e an-
nunci di riforme) del sistema pensionistico (Graf. 6.2).

Grafico 6.2. “Pensa di avere una pensione adeguata per vivere quando smetterà di lavorare?”
per tipologia contrattuale. Valori %

All’interno del gruppo dei lavoratori flessibili, la differenza


tra l’opinione dei titolari di contratti di collaborazione, e coloro
che sono assunti a tempo determinato, è rilevante: i primi credo-
no all’adeguatezza del futuro trattamento pensionistico solo nel
7% dei casi, per l’84% si dicono convinti che questa possibilità
non si realizzerà e per il 10% si mostrano incerti. Più equilibrate
le opinioni dei lavoratori con contratto a termine, ma anche in
questo caso sono sempre una netta maggioranza coloro che non
credono di poter avere un giorno una pensione sufficiente per
vivere (53%). Gli incerti rappresentano ben il 30%, e chi fornisce
una risposta positiva il 19% (Graf. 6.3).

93
Grafico 6.3. Dipendenti con contratti a termine e collaboratori: “Pensa di avere una pensione
adeguata per vivere quando smetterà di lavorare?”. Valori %

La disaggregazione per classe di età mostra che al crescere


di questa sono in proporzione di più quelli che non credono alla
possibilità di una pensione adeguata. Su questo risultato pesa
probabilmente la preoccupazione dei lavoratori più anziani
quanto alla consistenza monetaria del trattamento pensionisti-
co di spettanza, evidentemente stimata come insufficiente.
In particolare, una sorta di effetto-soglia si riscontra oltre i
35 anni, salvo il fatto che i lavoratori in età mediana (36-45 anni)
si mostrano particolarmente incerti in materia (il 32% risponde
“non saprei”). D’altro canto, a rispondere di non saper fare una
previsione, sono – oltre ai lavoratori quarantenni – anche i gio-
vanissimi (con età inferiore ai 24 anni) (Graf. 6.4).
Grafico 6.4. “Pensa di avere una pensione adeguata per vivere quando smetterà di lavorare?”
per fascia di età. Valori %

Il 77% dei lavoratori dispone della previdenza pubblica come


tutela pensionistica, il 16% ha integrato quest’ultima con ver-
samenti volontari per la pensione integrativa, e il 9% ha infine
investito in fondi pensione. Si noti che l’11% degli intervistati,
probabilmente percependo talmente debole la propria posizione
pensionistica da ritenerla sostanzialmente inesistente, risponde
di non disporre di nessuna tutela (Tab. 6.14).
94
Tabella 6.14. Forme di tutela previdenziale di cui si dispone (risposta multipla) per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato

Previdenza pubblica 82,6 72,2 55,9 77,4


Fondi pensione 10,0 5,1 10,2 8,7
Previdenza privata individuale 14,7 16,5 30,5 16,6
Nessuna 6,7 15,8 25,4 10,8

Il confronto tra lavoratori stabili e temporanei indica che


i primi dispongono in misura maggiore sia di tutele derivan-
ti da fondi pubblici (83%, +10% circa rispetto ai flessibili), che
dell’attivazione dei fondi pensione (10%, +5 punti percentuali
rispetto ai lavoratori temporanei). Proprio i lavoratori con con-
tratti a durata limitata, d’altra parte, cercano evidentemente di
integrare, in misura superiore ai lavoratori con contratti a tem-
po indeterminato, la prevedibile esiguità dei futuri trattamenti
pensionistici mediante forme previdenziali individuali (16,5%);
si tratta comunque solo di una minoranza del campione di oc-
cupati con contratti non standard.
La “strategia” e il posizionamento previdenziale dei lavora-
tori autonomi è, rispetto alle altre due categorie di impiego esa-
minate, del tutto peculiare: se anche per questo gruppo la mag-
gioranza dispone di una forma di previdenza pubblica, anche se
in percentuale nettamente inferiore alla media (56% contro il
77%), nel medesimo tempo acquista una notevole consistenza il
ricorso alle forme di previdenza privata individuale, che copre il
30% circa degli intervistati con lavoro autonomo (+15% rispetto
al dato del totale dei lavoratori).
Approfondiamo ancora una volta la diversa situazione di
collaboratori e dipendenti a termine. Posto che la distribuzione
delle risposte è abbastanza simile, i collaboratori affermano di
ricorrere più dei lavoratori a tempo determinato ai fondi pensio-
ne e alla previdenza integrativa. Quanto al numero di intervista-
ti che risponde di non avere nessuna forma di previdenza, questi
sono il 14% dei dipendenti a termine, e l’8% dei collaboratori
(Graf. 6.5).

95
Grafico 6.5. Dipendenti con contratti a termine e collaboratori: forme di tutela previdenziale
di cui si dispone (risposta multipla). Valori %

Ma quali sono infine le politiche che nell’opinione dei lavo-


ratori si rendono necessarie per quei soggetti che hanno un con-
tratto temporaneo? La percezione delle possibili azioni di inter-
vento cambia solo leggermente secondo la tipologia contrattua-
le: sia per gli assunti stabili che per gli occupati flessibili, infatti,
le prime tre risposte sono: innanzitutto, l’incremento delle as-
sunzioni a tempo indeterminato (misura, questa, maggiormente
indicata dai flessibili); l’introduzione di tutele certe per quanto
attiene alla malattia, alla maternità o in caso di infortunio (mi-
sura indicata soprattutto dai lavoratori con contratto stabile);
quindi l’aumento della retribuzione intesa quale tutela in vista
di eventuali periodi di disoccupazione o per il miglioramento
della propria posizione pensionistica.
Quanto a quest’ultima policy, non è irrilevante notare che
essa attira maggiori consensi della possibile introduzione del-
l’indennità di disoccupazione; sembra emergere, cioè, una predi-
sposizione alla monetizzazione delle tutele del lavoro. Si confida
relativamente di meno nell’azione pubblica, e nello stesso tempo
si individualizzano le strategie di contrasto ai rischi connessi alla
perdita dell’occupazione o agli svantaggi dei trattamenti pensio-
nistici, in un atteggiamento di implicita accettazione del “venire
meno di un quadro di stabilità” che non riguarda solo il mercato
del lavoro, ma anche l’organizzazione del welfare (Carrieri, Da-
miano, Ugolini, 2005). La “scala delle preferenze” così ordinata
non è però pienamente condivisa dai lavoratori flessibili: sono
infatti meno coloro che indicano la necessità di livelli retributivi
più elevati (18% contro il 27% dei lavoratori standard) e con-
temporaneamente di più quanti ritengono fondamentale il rico-
noscimento dell’indennità di disoccupazione (16% contro il 6%)
(Tab. 6.15).

96
Infine, una minoranza dei lavoratori considera prioritario il
ricongiungimento dei contributi (13% circa per entrambi i grup-
pi); la formazione continua (più importante per i lavoratori stan-
dard che non per gli instabili: la segnalano il 12% dei primi con-
tro il 6% dei secondi); la presenza di agenzie di collocamento di
elevata qualità ed efficienza (9% degli stabili, 5% dei flessibili).
Tabella 6.15. “Quali sono secondo lei le politiche da attivare per i lavoratori a termine?” per
tipologia contrattuale (risposta multipla max. 2 risposte). Valori %
Tempo
Flessibile Totale
indeterminato
Incrementare il lavoro a tempo indeterminato 52,7 66,4 53,0
Ricongiungimento dei contributi 13,9 13,3 14,1
Tutele certe (malattia, maternità, infortuni) 30,1 20,3 25,7
Formazione continua 11,7 6,3 10,7
Indennità di disoccupazione 6,2 16,1 9,4
Buone agenzie di collocamento 8,7 4,9 7,4
Livelli retributivi più elevati (che permettano di
affrontare periodi di non occupazione, farsi una 26,6 18,2 24,4
pensione, ecc.)
Altro 2,2 2,1 2,9
Non so 3,5 2,8 3,6

La distinzione tra collaboratori e dipendenti a termine marca


differenze sostanziali nelle risposte su quali politiche debbano con-
siderarsi prioritarie. Ad esempio, se per entrambe le categorie di la-
voratori l’incremento dei contratti no fixed terms è la politica di cui
più si avverte la necessità, vi sono differenze sostanziali tra il giudizio
dei tempi determinati (70%) e quello dei collaboratori (55%)24. Risul-
ta invece relativamente meno importante l’aspetto retributivo: solo
il 9% dei collaboratori dà questa indicazione, che invece è ritenuta
molto importante dai dipendenti a termine (21%) (Tab. 6.16).

24
Da questa evidenza empirica emerge dunque l’esistenza, per i collaboratori, di
un’attitudine a concepire l’attuale inquadramento come un percorso orientato.
Come vedremo meglio più avanti, tuttavia, la variabile decisiva in tal senso è
quella temporale.

97
Tabella 6.16. Collaboratori e dipendenti a termine: “Quali sono secondo lei le politiche da
attivare per i lavoratori a termine?” (risposta multipla max. 2 risposte)
Collaboratori Dipendenti a
termine
Incrementare il lavoro a tempo indeterminato 54,8 69,6
Ricongiungimento dei contributi 22,6 10,7
Tutele certe (malattia, maternità, infortuni) 35,5 16,1
Formazione continua 9,7 5,4
Indennità di disoccupazione 22,6 14,3
Buone agenzie di collocamento 6,5 4,5
Livelli retributivi più elevati (che permettano di affronta- 9,7 20,5
re periodi di non occupazione, farsi una pensione, ecc.)
Altro 3,2 1,8
Non so 3,2 2,7

L’assenza di strumenti di tutela riferiti alla maternità e al ri-


schio di infortuni o malattie, rende urgente, agli occhi dei col-
laboratori, l’introduzione di politiche che prendano in carico
questi specifici aspetti (è l’opinione del 36% dei collaboratori,
e “solo” del 16% dei dipendenti a termine); l’accentuata insta-
bilità delle esperienze lavorative e la discontinuità dei percorsi
(più frequente l’alternanza tra periodi di occupazione e di disoc-
cupazione) si riflette nella richiesta di indennità che li tutelino
durante i periodi di non-lavoro (23% contro il 14% dei tempi
determinati); la debolezza della posizione pensionistica fa sì che
l’importanza del ricongiungimento dei contributi sia particolar-
mente “sentito” da questo gruppo di lavoratori più che dagli altri
(23% il dato dei flessibili, 11% i dipendenti con contratto a tem-
po determinato).
Le più recenti modifiche della normativa sul lavoro sono sta-
te apportate dalla Legge 30/2003, che ha proceduto all’insegna
di una sostanziale svolta in direzione di una maggiore flessibilità
nell’impiego.
Poiché essa incide anche sulle tutele dei lavoratori, chiudia-
mo questo paragrafo approfondendo quale sia il giudizio dato in
proposito da quest’ultimi.
Innanzitutto, una buona parte dei lavoratori non conosce la
Legge in questione 25. Si tratta del 40% del totale degli intervista-
ti, e nello specifico del 43% dei tempi indeterminati, del 32% dei
flessibili, del 41% degli autonomi (Tab. 6.17).

25
Così come avviene per le imprese che pure sono le principali beneficiarie del
provvedimento.

98
Tabella 6.17. “Come giudica la legge 30/2003 (cosiddetta Legge Biagi) sulla riforma del merca-
to del lavoro?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato

Non la conosce 42,5 32,3 40,7 39,7


Ha portato/sta portando miglioramenti
3,7 3,8 15,3 4,8
al mercato del lavoro
Manterrà invariata la situazione
6,5 12,7 6,8 8,1
occupazionale
Ha peggiorato/peggiorerà le condizioni
33,6 38,6 22,0 33,8
lavorative
La conosce ma non sa 13,7 12,7 15,3 13,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Il 34% dà un giudizio negativo: per questi la Legge 30 del


2003 porta ad un peggioramento della situazione occupaziona-
le. A dare una simile valutazione sono soprattutto quei lavora-
tori che sono più immediatamente coinvolti dalle innovazioni
introdotte, ossia i lavoratori instabili (39%).
L’8% degli intervistati, infine, considera la normativa in que-
stione ininfluente sulle condizioni lavorative (13% il dato dei
flessibili), e il 14% pur conoscendo il provvedimento non sa dar-
ne una valutazione; in quest’ultimo caso le opinioni dei lavorato-
ri non variano al variare della tipologia contrattuale.

6.2. Il tempo del lavoro

Nella scala valoriale con cui i lavoratori intervistati ordina-


no per grado di importanza i vari aspetti delle condizioni del
proprio impiego, l’orario di lavoro è giudicato meno rilevante
di altri (cfr. § 6.3). Tuttavia, se dall’ambito delle dimensioni ri-
tenute “più importanti” si passa all’individuazione delle sfere
maggiormente “soddisfacenti”, cresce il numero di coloro che
considerano l’orario, da un lato come il fattore che procura mag-
giori soddisfazioni (10% circa), e dall’altro l’elemento che meno
soddisfa dell’attuale condizione (14%, con punte fino al 20% tra
i lavoratori autonomi).
La rilevanza del tempo del lavoro si misura utilizzando
due criteri: con il primo, si mette a tema la conciliazione, tal-
volta del tutto funzionale (come nei part-timers volontari), tal-
volta difficoltosa, delle ore spese per l’impegno lavorativo con
quelle extra-lavorative (“quel che resta del giorno”, secondo la

99
puntuale definizione dell’ISFOL), ed anche il livello di rego-
larità/irregolarità delle ore lavorate nell’arco della settimana,
o del mese.
Con il secondo, si focalizza l’attenzione sul fatto che il tem-
po lavorativo può rappresentare una “gabbia mal tollerata dal-
la quale non si può fuggire” (Rampazi, 1989), di cui si soffre
il carattere eterodiretto dall’esterno, se si stenta ad identificarsi
con le attività normate dai tempi e dai ritmi lavorativi, non rite-
nendoli significativi per la propria esistenza. In questa prospet-
tiva, il tempo del lavoro è potenzialmente tempo di qualità, se
di qualità sono i contenuti del lavoro, perché questi esprimono
la relazione positiva tra individuo e organizzazione sociale, e il
sentimento di adesione del primo rispetto alla seconda attraver-
so i significati del lavoro (Elias, 1986).

Ma vediamo a quanto tempo corrisponde l’impegno di lavoro


per i lavoratori del campione. Innanzitutto, il 19% dei dipen-
denti occupati con contratto fixed terms lavora con un part-time.
In particolare si tratta del 21% dei dipendenti donne e del 14%
degli uomini: dunque la forbice tra maschi e femmine è meno
ampia di quella rilevabile in genere nelle occupazioni “standard”
(21% contro 46%). Tra i collaboratori, per i quali si è stimata
una soglia di massimo 25 ore settimanali per individuare un im-
pegno di lavoro part-time, si sale fino ad un significativo 45% di
lavoratori a tempo ridotto.
Riferendosi solo ai contratti a tempo determinato, il nume-
ro medio di ore lavorate nel caso di un part-time è pari a 19,6
ore settimanali; nel caso di un contratto full time è di 37,8. Solo
pochissimi dipendenti a termine lavorano oltre le 40 ore setti-
manali (5,4%, in linea con il numero di ore lavorate dai temi
indeterminati) (Tab. 6.18).

100
Tabella 6.18. Dipendenti “non standard” con contratto a termine full time/part-time. Valori
assoluti e valori %
Orario Valori assoluti Valori %

Dip. a tempo determinato


A tempo pieno 91 81,3
A tempo parziale 21 18,8
Totale 112 100,0

Collaboratori
A tempo pieno 14 45,2
A tempo parziale 17 54,8
Totale 31 100,0

• Le preferenze per il tempo pieno o ridotto


Tra quanti lavorano a tempo pieno, il 55% afferma che questo
era il suo desiderio (62% il dato dei lavoratori a tempo indeter-
minato), per il 31% è una scelta dettata da ragioni economiche
(non vi sono differenze tra lavoratori standard e non standard),
e solo pochi dichiarano di avere attivamente cercato un lavoro
a tempo parziale senza trovarlo (3%, si tratta esclusivamente di
lavoratrici di genere femminile).
Al binomio desiderio/necessità di lavorare a tempo pieno,
che sempre connota il tempo del lavoro tra aspirazione profes-
sionale e bisogno di risorse, fanno quindi riferimento le risposte
fornite dal 90% degli intervistati (Tab. 6.19).
Tabella 6.19. Dipendenti con contratto a termine full time per motivo del perché lavora a
tempo pieno. Valori assoluti e valori %
Valori Valori Confronto:
assoluti % % espresse da occupati
con contratti a tempo
indeterminato
Non ho trovato un lavoro part-time 3 3,3 3,0
Desideravo lavorare a tempo pieno 50 54,9 61,9
Ho bisogno di lavorare a tempo pieno/
28 30,8 30,4
per motivi economici
Il part-time avrebbe penalizzato la mia
5 5,5 2,2
carriera
Altro 4 4,4 2,6
Non risponde 1 1,1 0,0
Totale 91 100,0 100,0

Non può però dirsi lo stesso per chi è impiegato attualmente


con contratti part-time, che solo in circa la metà dei casi risulta
101
una tipologia d’impiego scelta oppure funzionale a necessità di
vario genere, come motivi di salute, esigenze di studio o di for-
mazione professionale, ecc.
Il 48% risponde infatti di non lavorare con un tempo pieno
solo perché non è riuscito a trovarne la disponibilità. In partico-
lare, questa è la risposta fornita dal 60% degli uomini (contro il
44% delle donne), mentre tra le donne il part-time risulta -in pro-
porzione all’altro sesso- necessario per prendersi cura dei figli o
dei familiari non autosufficienti, motivazioni che sono del tutto
escluse dagli uomini (Tab. 6.20).
Tabella 6.20. Dipendenti con contratto a termine part-time per motivo del perché lavora a
tempo parziale per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale Confronto:
% espresse
da occupati con
contratti a tempo
indeterminato
Perché non ha trovato un lavoro a
60,0 43,8 47,6 34,1
tempo pieno
Perché non desidera lavorare a
20,0 6,3 9,5 15,9
tempo pieno
Perché studia o segue corsi di
20,0 6,3 9,5 3,0
formazione professionale
Per problemi di salute/per pren-
0,0 18,8 19,0 41,7
dersi cura dei figli e dei familiari
Altri motivi 0,0 18,8 19,0 5,3
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

La percentuale di donne che, potendo disporre di un contratto


a tempo indeterminato, risulta invece avere scelto il part-time per
assolvere alla cura dei propri figli, è di fatto di più del doppio ri-
spetto alle dipendenti con contratto a tempo determinato. Con que-
sta tipologia contrattuale, cambiano notevolmente le motivazioni
dell’orientarsi sul part-time (e anche sul full time): diminuiscono
quanti lavorano a tempo ridotto per non avere trovato un impiego
a tempo pieno, e al contrario aumenta il numero di chi deliberata-
mente ha scelto di voler lavorare per un numero di ore limitato.
Per quanto attiene invece ai titolari di contratti di collabo-
razione, il tema dell’orario si pone nel senso della possibilità di
decidere in autonomia il proprio impegno lavorativo: la mag-
gioranza dei collaboratori può effettivamente stabilire come far
fronte al carico di lavoro assegnato (58%), mentre una quota
del 42%, dunque consistente, è tenuta a rispettare orari imposti
gerarchicamente. Gli uomini decidono autonomamente in un
numero maggiore di casi rispetto alle donne (Tab. 6.21).
102
Tabella 6.21. Collaboratori: autonomia sull’orario di lavoro. Valori assoluti e valori %
Valori assoluti Valori %
Decide autonomamente l’orario 18 58,1
Non decide l’orario 13 41,9
Totale 31 100,0

Per i dipendenti con contratto a termine, invece, l’orario di la-


voro è prestabilito in circa il 70% dei casi, oppure risulta flessibi-
le ma solo “entro certi limiti” (21%). Se l’orario è flessibile in gra-
do maggiore, questo accade soprattutto per esigenze dell’azienda
(5%). Va sottolineato anche che la flessibilità è minore rispetto a
quella dei lavoratori con contratti standard (Tab. 6.22).
Tabella 6.22. Dipendenti con contratto a termine: “Ha un orario di lavoro prefissato?”, per
genere. Valori %
Maschi Femmine Totale Confronto:
% espresse
da occupati con
contratti a tempo
indeterminato
Sì, ho un orario prefissato 67,6 73,3 71,4 65,2
In linea di massima devo seguire un
18,9 21,3 20,5 27,1
orario ma ho una certa flessibilità
Sono totalmente libero di scegliere
2,7 2,7 2,7 1,2
quando lavorare
Ho un orario flessibile che dipende
10,8 2,7 5,4 6,2
dalle esigenze dell’azienda
Altro 0,0 0,0 0,0 0,2
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

• Gli straordinari e gli orari “socialmente svantaggiati”


A tutti i lavoratori è stato chiesto anche se vi fosse un ricono-
scimento per il lavoro effettuato con ore di straordinario. Con-
centrandosi sugli occupati con contratto a termine, dall’indagine
emerge che: il 29% non svolge alcun tipo di lavoro straordinario
(30% i tempi indeterminati); per il 18% questo è assimilato a
“recupero ore” (9% il dato dei lavoratori standard); per circa la
metà lo straordinario è correttamente riconosciuto e retribuito
dall’azienda (47% per i dipendenti a tempo determinato, 55% i
lavoratori a tempo indeterminato); solo in una ristretta minoran-
za di casi (6%) il lavoro straordinario non è riconosciuto (senza
differenze in base alla tipologia contrattuale) (Tab. 6.23).

103
Tabella 6.23. Dipendenti con contratto a termine: “Gli straordinari le vengono riconosciuti?”
per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale Confronto:
% espresse
da occupati con
contratti a tempo
indeterminato

Sì, come recupero di ore 10,8 21,3 17,9 8,5


Sì, mi vengono pagati 54,1 44,0 47,3 55,0
No 5,4 6,7 6,3 6,7
Non faccio ore di lavoro straordinario 29,7 28,0 28,6 29,9
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

In assoluto, non emergono scostamenti rilevanti tra tempi deter-


minati e indeterminati, al pari di quanto si rilevava nella precedente
indagine sulla situazione dei lavoratori al 2004 (Giovani, 2005).
Esaminiamo infine, sempre con riferimento ai contratti da dipen-
denti a termine, come si svolge l’impegno lavorativo giornaliero tra le
diverse fasce orarie della giornata, e in particolare con quanta frequen-
za le modalità di svolgimento del lavoro coinvolgano anche la fascia
serale (dalle 20), notturna, e le giornate di sabato e domenica, ossia
orari definibili come “socialmente svantaggiati” perché svolti in giorni
o in parti della giornata abitualmente dedicate alla vita privata.
L’irruzione del lavoro in questi ambiti – abituale nelle produ-
zioni a ciclo continuo e in alcuni servizi di pubblica utilità, come
la sanità – sta caratterizzando settori lavorativi sempre più ampi,
provocando difficoltà di conciliazione tra lavoro e non lavoro
nella vita di un numero crescente di occupati (ISFOL, 2004).
Dalle risposte espresse dai lavoratori temporanei risulta che
è molto raro l’impiego per il lavoro notturno (il 91% dei lavora-
tori non è mai occupato in questa fascia) e, per la gran parte,
anche serale (78% coloro che hanno risposto di non lavorare
“mai” dopo le 20; l’11% ha risposto “saltuariamente” e solo per
il 12% del totale l’impegno in questa fascia della giornata è da
considerarsi come abituale). Questi risultati non si discostano
da quelli relativi ai tempi indeterminati, a differenza di quanto
accade per i festivi.
La giornata del sabato è “tempo di lavoro” per il 37% degli in-
tervistati atipici; in maniera saltuaria, lo è anche per un altro 14%
dei lavoratori. Quanti non lavorano mai di sabato sono quindi
“solo” circa la metà; si tratta di una percentuale superiore a quel-
la rilevata per gli assunti con contratto a tempo indeterminato, i
quali complessivamente lavorano di sabato nel 29% dei casi.

104
Quasi un lavoratore temporaneo su cinque, inoltre, lavora
abitualmente o più che abitualmente la domenica: anche in que-
sto caso il confronto con i lavoratori “standard” fa registrare un
certo svantaggio, anche se non di intensità eclatante, a sfavore
dei dipendenti a termine (Tab. 6.24).
Tabella 6.24. Dipendenti con contratto a termine: fasce orarie di lavoro serali/notturne
e festivi. Valori %
Orario Sempre Abitualmente Saltuariamente Mai Totale

Serale (Dalle 20 in poi) 4,5 7,1 10,7 77,7 100,0


Notturno 1,8 3,6 3,6 91,1 100,0
Sabato 26,8 9,8 14,3 49,1 100,0
Domenica 10,7 7,1 8,9 73,2 100,0

Il genere incide sugli orari di lavoro dei dipendenti tempora-


nei, ma con un impatto non univoco: gli uomini risultano mag-
giormente lavorare in parti della giornata usualmente riservate
al riposo (lavoro notturno e serale), mentre tra le donne cresce
la percentuale di coloro che lavorano nelle giornate di sabato e
domenica (Tab. 6.25).
Tabella 6.25. Dipendenti con contratto a termine, per genere: fasce orarie di lavoro
serali/notturne e festivi. Valori %
Orario Sempre Abitualmente Saltuariamente Mai Totale

Donne
Serale (Dalle 20 in poi) 4,0 5,3 5,3 85,3 100,0
Notturno 1,3 2,7 1,3 94,7 100,0
Sabato 29,3 6,7 13,3 50,7 100,0
Domenica 13,3 4,0 5,3 77,3 100,0

Uomini
Serale (Dalle 20 in poi) 5,4 10,8 21,6 62,2 100,0
Notturno 2,7 5,4 8,1 83,8 100,0
Sabato 21,6 16,2 16,2 45,9 100,0
Domenica 5,4 13,5 16,2 64,9 100,0

Incrociando infine il dato degli orari di lavoro “socialmente


svantaggiati” con il settore di impiego, risulta una fortissima dif-
ferenziazione secondo il tipo di lavoro svolto (Tab. 6.26).
I dipendenti a termine lavorano “sempre o spesso” in orario
serale, soprattutto se occupati nella ristorazione e nel turismo
(43%, contro una media dell’11%) e nel commercio (33%); in
misura nettamente inferiore, se il settore di impiego è l’industria
(costruzioni incluse), con un dato del 14%. Mai l’orario serale è
105
tempo di lavoro per chi è occupato in agricoltura, o nei servizi
alle imprese o alle persone.
L’orario notturno è soprattutto appannaggio – nuovamente
– del settore alberghiero e della ristorazione e dell’industria (14%
in entrambi i casi, la media generale è invece del 5%), ma anche del
settore dei servizi alle aziende (8%). Non risultano mai orari di que-
sto tipo nel commercio, in agricoltura o nei servizi alle persone.
Le giornate di sabato e domenica, che come si è visto vedo-
no impegnate relativamente di più le donne anziché gli uomini,
fanno riscontrare percentuali rilevanti il sabato nei settori del
“commercio” (78%, 37% la media generale) “alberghi e ristoran-
ti” (71%), e “servizi alle persone” (38%). Nettamente inferiore
alle media risultano i settori dei servizi alle imprese (8%) e, en-
tro una certa misura, delle attività agricole (25%).

Tabella 6.26. Dipendenti con contratto a termine, per settore: fasce orarie di lavoro
serali/notturne e festivi. Valori %
Orario Frequenza Serale Notturno Sabato Domenica
(dalle 20
in poi)

Sempre/spesso 0,0 0,0 25,0 0,0


Agricoltura
Saltuariam./mai 100,0 100,0 75,0 100,0
Attività manifatturiere Sempre/spesso 14,3 14,3 14,3 4,8
e costruzioni Saltuariam./mai 85,7 85,7 85,7 95,2
Sempre/spesso 33,3 0,0 77,8 33,3
Commercio
Saltuariam./mai 66,7 100,0 22,2 66,7
Sempre/spesso 42,9 14,3 71,4 64,3
Alberghi e ristoranti
Saltuariam./mai 57,1 85,7 28,6 35,7
Sempre/spesso 0,0 8,3 8,3 8,3
Servizi alle aziende
Saltuariam./mai 100,0 91,7 91,7 91,7
Sempre/spesso 2,1 0,0 38,3 12,8
Servizi alle persone
Saltuariam./mai 97,9 100,0 61,7 87,2
Sempre/spesso 11,6 5,4 36,6 17,9
Totale
Saltuariam./mai 88,4 94,6 63,4 82,1

La domenica, infine, non lavorano gli agricoli (0%), gli oc-


cupati nella manifattura (5%) e nei servizi alle aziende (ancora
8%); negli altri settori, invece, si registra un impiego tutt’altro
che irrilevante del lavoro nei festivi. è il caso del 13% degli occu-
pati nei servizi alla persone, del 33% nel commercio, fino al 64%
dei lavoratori del settore turistico e della ristorazione.

106
6.3. La soddisfazione del lavoro

La soddisfazione espressa – nelle sue diverse dimensioni –


per l’attuale occupazione è stata indagata interrogando gli inter-
vistati principalmente su: la percezione del miglioramento/peg-
gioramento della propria vita lavorativa (anche nello specifico
di quali aspetti in particolare siano andati peggiorando/miglio-
rando) rispetto alla condizione di un anno prima; la congruenza
dell’attività svolta rispetto al percorso scolastico effettuato (ti-
tolo di studio); il giudizio di gradimento del lavoratore quanto
alle condizioni d’impiego (retribuzione, sicurezza del posto di
lavoro, orario eccetera), le possibilità di accesso al “sapere” pro-
fessionale, e ad un certo grado di autonomia nell’organizzazione
delle proprie mansioni; la rilevazione di quali aspetti del lavoro
siano considerati più importanti dai lavoratori.
Le elaborazioni hanno permesso di individuare alcune varia-
bili che costituiscono elementi discriminanti ai fini dell’analisi
sulla qualità del lavoro. Queste sono: l’attinenza del percorso
scolastico rispetto al settore e alle mansioni di impiego, anche
al di là del grado di scolarizzazione che comunque risulta an-
ch’esso un fattore condizionante; la stabilità contrattuale del-
l’occupazione; il grado di autonomia sul lavoro26; il settore di
impiego.
Questi elementi, come si vedrà, combinandosi l’uno con l’al-
tro configurano profili, o tipi, di approccio al lavoro, anche mol-
to differenziati.

• Qual è l’aspetto più importante del lavoro?


Questa è la domanda che è stata posta ai lavoratori intervi-
stati, i quali hanno risposto che è in assoluto la sicurezza del
posto di lavoro l’elemento di maggior importanza. Si esprime
così, infatti, ben il 41% del totale dei lavoratori. Sono soprattut-
to i lavoratori con contratti “standard” a indicare questo aspetto
(47%), seguiti dai flessibili (34%) e dagli autonomi (22%), per i
quali è piuttosto la possibilità di autorealizzazione – condizione
e effetto dei percorsi di imprenditorialità – ad essere segnalata

26
Vale a dire, il bisogno soddisfatto di stabilire con una certa libertà le condizio-
ni immediate del proprio lavoro, di determinare autonomamente la propria
condotta lavorativa (ISFOL, 2004) e, infine, lo “sganciamento” dall’autorità
aziendale gerarchicamente organizzata, che altre indagini mostrano esse-
re uno degli aspetti che più riduce la qualità percepita del lavoro, in special
modo nelle aziende di grande dimensione.

107
più degli altri fattori (66%). D’altro canto, l’autorealizzazione è
un aspetto tutt’altro che trascurato dai lavoratori dipendenti, dal
momento che compare come seconda risposta sia per gli assunti
a tempo indeterminato (15%) che per i flessibili (19%).
Per gli autonomi, il secondo fattore in ordine di importanza
è invece proprio la sicurezza del posto (22%). Per tutti i lavora-
tori, il terzo elemento è la condizione retributiva: lo segnala il
12% degli occupati standard, il 13% dei flessibili, e il 19% degli
autonomi.
Meno importanti di altri aspetti sono considerati, in ordine,
i rapporti con i colleghi e con i superiori (11%), la possibilità
di imparare cose nuove (4%), la possibilità di carriera (3%), il
prestigio sociale della professione (3%), infine l’orario di lavoro
(2%) (Tab. 6.27).
Tabella 6.27. L’aspetto della condizione di lavoro considerato “più importante” per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato
Sicurezza del posto di lavoro 46,5 34,2 22,0 41,0
Possibilità di carriera 1,7 4,4 3,4 2,6
Rapporti con i colleghi/superiori 11,4 10,8 6,8 10,8
Stipendio/reddito 11,7 12,7 18,6 12,6
Possibilità di autorealizzazione 14,9 19,0 35,6 17,9
Possibilità di imparare cose nuove 3,5 6,3 3,4 4,2
Orario di lavoro 1,2 4,4 3,4 2,3
Prestigio, stima degli altri 3,0 3,2 0,0 2,7
Non so 1,7 1,3 1,7 1,6
Tutti 3,7 3,2 3,4 3,6
Nessuno 0,5 0,6 1,7 0,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Gli aspetti maggiormente importanti del lavoro si risolvono


dunque tra stabilità dell’occupazione, aspirazioni all’autorealiz-
zazione e alla gratificazione personale, e consistenza della retri-
buzione, che in tutti i casi sono le prime tre risposte date dai la-
voratori al di là della tipologia contrattuale, come si può vedere
dal prospetto seguente (Tab. 6.28).

108
Tabella 6.28. Aspetti delle condizioni di lavoro: prime 3 risposte per numerosità per tipologia contrattuale
Tipologia Prima risposta Seconda risposta Terza risposta
contrattuale
“… il più importante”
Tempo indeterminato Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione Stipendio/reddito
Flessibili Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione Stipendio/reddito
Autonomi Possibilità di autorealizzazione Sicurezza del posto di lavoro Stipendio/reddito
“… il più soddisfacente”
Tempo indeterminato Rapporti con i colleghi/superiori Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione
Flessibili Rapporti con i colleghi/superiori Possibilità di autorealizzazione Possibilità di imparare cose nuove
Autonomi Possibilità di autorealizzazione Rapporti con i colleghi/superiori Possibilità di imparare cose nuove
“… il meno soddisfacente”
Tempo indeterminato “Nessuno” Stipendio/reddito “Non saprei”
Flessibili Sicurezza del posto di lavoro Stipendio/reddito Orario di lavoro
Autonomi Stipendio/reddito Orario di lavoro “Nessuno”

Le risposte fornite in particolare dai lavoratori flessibili si


concentrano, più di quelle date dai lavoratori assunti con con-
tratti standard, sulle aspirazioni alla gratificazione personale e
la qualità della professione. La sicurezza del posto di lavoro è
comunque indicata da circa un lavoratore temporaneo su tre.
Incrociando la variabile sicurezza/insicurezza percepita del
proprio lavoro con le risposte fornite circa gli aspetti che sono
ritenuti più importanti, emergono alcuni importanti risultati,
soprattutto per quanto riguarda i lavoratori flessibili.
In particolare, l’importanza assegnata alla sicurezza del po-
sto di lavoro è correlata inversamente rispetto alla percezione
della sua incertezza: tra i lavoratori flessibili che sperimentano
un posto di lavoro poco o per niente sicuro, sono relativamente
di più quanti hanno indicato questo aspetto delle condizioni di
lavoro come “il più importante” (39% contro il 31% dei lavora-
tori “sicuri” del posto”) (Tab. 6.29).

109
Tabella 6.29. L’aspetto della condizione di lavoro considerato “più importante”, per tipologia
contrattuale e grado di sicurezza percepita del posto di lavoro. Valori %
L’aspetto più importante Sicuro o abbastanza Poco sicuro o per niente
Tempo Flessibili Auton. TOTALE Tempo Flessibili Auton. TOTALE
indeterm. indeterm.

Sicurezza posto di lavoro 46,3 31,4 16,3 40,8 48,5 39,3 30,8 41,2
Possibilità di carriera 1,9 2,9 2,3 2,2 0,0 7,1 7,7 4,9
Rapporti con i colleghi/superiori 11,5 11,8 7,0 11,2 9,1 8,9 7,7 8,8
Stipendio 12,3 14,7 18,6 13,3 6,1 8,9 23,1 9,8
Possibilità di autorealizzazione 15,6 15,7 39,5 17,6 9,1 25,0 23,1 19,6
Imparare cose nuove 3,6 5,9 2,3 3,9 3,0 7,1 7,7 5,9
Orario di lavoro 0,8 5,9 4,7 2,2 6,1 1,8 0,0 2,9
Prestigio, stima degli altri 2,5 4,9 0,0 2,7 9,1 0,0 0,0 2,9
Non so 1,1 2,0 2,3 1,4 6,1 0,0 0,0 2,0
Tutti 3,8 3,9 4,7 3,9 3,0 1,8 0,0 2,0
Nessuno 0,5 1,0 2,3 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Sempre considerando le risposte dei lavoratori con contratti


temporanei, si rileva che alla percezione di una maggiore sicurez-
za del posto di lavoro si accompagna invece una più elevata consi-
derazione della qualità dei rapporti con colleghi e superiori (12%
il dato dei lavoratori più sicuri, 9% i più insicuri), dell’orario di
lavoro (6% contro il 2%), e della retribuzione (15% contro il 9%).
• Qual è l’aspetto più soddisfacente?
è il rapporto con i colleghi/con i superiori l’elemento rispetto
al quale i lavoratori (salvo gli autonomi) si dicono “più soddisfat-
ti” – così risponde circa il 24% dei lavoratori. L’unica eccezione è
rappresentata appunto dai lavoratori indipendenti, che indicano
questa risposta solo nel 12% dei casi. Il 19%, invece, dichiara
di trovare maggiormente soddisfacente la “possibilità di auto-
realizzazione” che l’attuale occupazione gli consente, con punte
tra i lavoratori autonomi (48%), e un certo consenso anche tra
i flessibili (23%), mentre tra gli assunti a tempo indeterminato
questo fattore sembra non pesare in misura così marcata (13%).
Piuttosto, quest’ultimi apprezzano la certezza del posto (19%),
esattamente al contrario – ovviamente – dei lavoratori con con-
tratto “non standard”, che non ne dispongono (3%). Anche tra
gli autonomi la sicurezza del posto di lavoro non è tra gli aspetti
che più si considera soddisfacente, dal momento che solo il 5%
lo indica come elemento di maggior soddisfazione dell’attuale

110
condizione lavorativa – vedremo in seguito perché.
Il 10% dei lavoratori standard e il 9% dei flessibili indica
anche l’orario di lavoro come fattore più soddisfacente; l’ora-
rio non è invece altrettanto considerato dagli autonomi (5%),
che mostrano piuttosto di apprezzare – così come fanno i fles-
sibili – le possibilità di apprendimento formale o informale (“la
possibilità di imparare cose nuove”), cioè uno degli elementi che
insieme alla formazione, consentendo lo sviluppo delle compe-
tenze personali, incrementa l’autopercezione della propria occu-
pabilità, ritenuta in misura crescente dalle giovani generazioni
una valida difesa per l’incertezza lavorativa, talvolta più efficace
delle tutele contrattuali (Tab. 6.30).

Tabella 6.30. L’aspetto della condizione di lavoro di cui si è “più soddisfatti” per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato

Sicurezza del posto di lavoro 19,2 2,5 5,1 13,6


Possibilità di carriera 2,7 1,9 1,7 2,4
Rapporti con i colleghi/superiori 24,6 25,3 11,9 23,6
Stipendio/reddito 5,7 7,6 3,4 6,0
Possibilità di autorealizzazione 13,4 22,8 47,5 19,1
Possibilità di imparare cose nuove 6,5 12,0 10,2 8,2
Orario di lavoro 10,4 8,9 5,1 9,5
Prestigio, stima degli altri 5,0 5,1 0,0 4,5
Non so 4,7 7,0 5,1 5,3
Tutti 4,0 3,2 6,8 4,0
Nessuno 3,7 3,8 3,4 3,7
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Tra i lavoratori temporanei, possono inoltre distinguersi


due differenti profili di approccio al lavoro, in base al grado
di congruenza dell’attuale occupazione con il titolo di studio
(Tab. 6.31).

111
Tabella 6.31. Lavoratori flessibili: l’aspetto del lavoro considerato “più soddisfacente” per
congruenza dell’attuale occupazione rispetto al titolo di studio. Valori %
Sì, molto Sì, ma solo No, per
Totale
attinente in parte niente

Sicurezza del posto di lavoro 0,0 3,6 4,4 2,5


Possibilità di carriera 3,3 0,0 1,5 1,9
Rapporti con i colleghi/superiori 20,0 28,6 29,4 25,3
Stipendio/reddito 1,7 10,7 11,8 7,6
Possibilità di autorealizzazione 33,3 21,4 14,7 22,8
Possibilità di imparare cose nuove 16,7 10,7 8,8 12,0
Orario di lavoro 6,7 10,7 10,3 8,9
Prestigio, stima degli altri 8,3 0,0 4,4 5,1
Non so 3,3 10,7 7,4 7,0
Tutti 3,3 3,6 1,5 3,2
Nessuno 3,3 0,0 5,9 3,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Se si esamina la relazione tra attinenza della mansione pro-


fessionale rispetto al percorso formativo e aspetti del lavoro
considerati “più soddisfacenti”, gli occupati che affermano la
maggiore congruenza del proprio lavoro rispetto a ciò per cui
hanno studiato, apprezzano più dei lavoratori con un percorso
per così dire “incoerente”, la “possibilità di autorealizzazione”
(33% contro il 15%), la “possibilità di imparare cose nuove” (ri-
spettivamente, 17% e 9%), il prestigio sociale (8% contro il 4%),
ed anche la possibilità di carriera (3% contro l’1%), nonostante
quest’ultima risposta sia in assoluto tra gli aspetti che meno sod-
disfano gli occupati non standard.
Viceversa, chi risponde “no, per niente” alla domanda sull’at-
tinenza del titolo di studio, è in proporzione più soddisfatto del
rapporto con i colleghi/superiori (29% contro il 20%), dell’orario
di lavoro (10% contro il 7%), dello stipendio (12% e 2%), e infine
anche della sicurezza del posto di lavoro (4% contro nessuno
degli occupati con una elevata congruenza).
Anche l’incrocio tra grado di scolarizzazione e aspetti di
maggiore soddisfazione del lavoro (con alcune eccezioni), fa re-
gistrare una divaricazione tra soggetti con titolo di studio più
elevato (che apprezzano in particolare le possibilità di carriera,
di autorealizzazione, e di apprendimento offerte dall’attuale la-
voro) e lavoratori con bassa scolarizzazione (per i quali al con-
trario sono aspetti maggiormente gratificanti la sicurezza del

112
posto di lavoro e i rapporti con i colleghi ed i superiori). Ne de-
riva l’impressione – come suffragato da altre elaborazioni – che
i lavoratori più istruiti, qualificati e con alle spalle un percorso
formativo coerente con l’attuale mansione, siano più attenti alle
opportunità di lungo periodo di una carriera per la quale hanno
studiato e che appare in grado di offrire loro una reale gratifica-
zione personale, piuttosto che agli aspetti “materiali” del lavoro.
I costi della flessibilità, di cui peraltro la stragrande maggioran-
za è perfettamente cosciente, sono in qualche modo “scambiati”
con il maggior valore delle aspirazioni individuali. In breve, con
i contenuti del lavoro.
Del resto, i lavoratori instabili sono anche il gruppo che fa
registrate in proporzione una maggiore attinenza dei contenuti
del lavoro rispetto ai titoli di studio (Tab. 6.32).

Tabella 6.32. Lavoratori con contratti “standard” e flessibili: congruenza dell’attuale


occupazione rispetto al titolo di studio per tipologia contrattuale. Valori %
Tipologia contrattuale  Sì, molto Sì, ma solo No, per Non Totale
attinente in parte niente saprei

Tempo Indeterminato 28,1 21,4 48,0 2,5 100,0


Flessibile 39,9 18,2 40,6 1,4 100,0
Totale 31,2 20,6 46,1 2,2 100,0

Infatti, il 40% degli occupati temporanei giudica “molto at-


tinente” al proprio lavoro il titolo di studio di cui è in possesso,
contro il 28% degli occupati con contratti standard. Contem-
poraneamente, sono in numero minore coloro che dichiarano
l’assoluta incongruenza degli stessi: il 41% dei flessibili, contro
il 48% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato.
Il questionario permetteva anche di analizzare se, adottando
un’ottica diacronica, le condizioni di lavoro fossero mutate nel
breve periodo. Queste, rispetto ad un anno fa, nell’opinione di
più della metà dei lavoratori flessibili sono rimaste complessi-
vamente stabili (54%), mentre per il 30% si è registrato un mi-
glioramento e, per una minoranza, un peggioramento (16%).
Rispetto alla media di tutti i lavoratori, tra i flessibili sono di più
quanti ritengono peggiorata la propria condizione (16% contro
l’11% complessivo) (Tab. 6.33).

113
Tabella 6.33. “Come considera la sua condizione lavorativa attuale rispetto a quella di un
anno fa?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo indeterminato Flessibile Autonomo Totale

Uguale 64,9 54,1 35,6 59,4


Migliore 27,1 30,4 44,1 29,6
Peggiore 8,0 15,5 20,3 11,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

In particolare, per i lavoratori flessibili sono migliorate so-


prattutto le condizioni salariali (31%), l’itinerario di crescita
professionale (28%), le possibilità di avere accesso ad iniziative
di formazione (25%) e il grado di autonomia con cui è svolto il
proprio lavoro (25%). D’altra parte, per ognuno di questi aspetti
come per gli altri su cui si richiedeva un giudizio, la maggioran-
za assoluta ritiene sostanzialmente inalterate le condizioni di
lavoro rispetto ad anno fa (Tab. 6.34).
Tabella 6.34. Lavoratori flessibili: “come giudica i seguenti aspetti della condizione lavorativa
rispetto ad un anno fa?”. Valori %
Migliorati Peggiorati Uguali Non so Totale

Le condizioni salariali 31,1 8,8 58,8 1,4 100,0


Possibilità di recupe- 18,9 7,4 71,6 2,0 100,0
ro/riposo
Continuità del lavoro/ 19,6 10,1 66,9 3,4 100,0
sicurezza dell’impiego
Possibilità di Formazione 25,0 3,4 64,2 7,4 100,0
Diritti sindacali 17,6 7,4 68,2 6,8 100,0
(Malattia, maternità,
paternità, ecc.)
Possibilità di crescita 27,7 8,8 58,1 5,4 100,0
professionale
Autonomia del lavoro 25,0 4,7 65,5 4,7 100,0
svolto

Viceversa, la certezza della continuità del lavoro è risultata la di-


mensione che si ritiene essere peggiorata in maggior misura, anche
se questo giudizio è dato “solo” da un lavoratore su 10, il che non
esclude peraltro che per il 70% di quanti affermano la sua sostan-
ziale “stabilità”, si tratti di una stabilità verso il basso, secondo una
dinamica di cronicizzazione, o intrappolamento, nella flessibilità27.

“Chi ha un lavoro a tempo indeterminato e vuole cambiarlo sarà soddisfatto


27

solo se quello nuovo è migliore, mentre chi ha un lavoro a tempo determinato


in scadenza sarà già soddisfatto se non è peggiore” (Accornero, 2006b).
114
• E il meno soddisfacente?
Passiamo agli aspetti che meno sono giudicati soddisfacen-
ti: innanzitutto, è da notare e valutare con molta attenzione il
fatto che la maggioranza relativa (20%) dei lavoratori risponda
che non c’è nessun aspetto dell’attività lavorativa che meriti la
definizione di “non soddisfacente” (sebbene siano tanti i “non
so”). Tuttavia questa valutazione è fortemente polarizzata tra
tempi indeterminati/autonomi da un lato (rispettivamente, 23%
e 19%), e flessibili dall’altro (“solo” il 13%).
Quest’ultimi si concentrano infatti sulla mancata certezza
del posto di lavoro, con una percentuale del 27% che è sensibil-
mente superiore a quella media (9%) (Tab. 6.35).
Tabella 6.35. L’aspetto della condizione di lavoro di cui si è “più insoddisfatti” per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo
Flessibile Autonomo Totale
indeterminato

Sicurezza del posto di lavoro 2,2 27,2 10,2 9,4


Possibilità di carriera 6,5 6,3 0,0 5,8
Rapporti con i colleghi/superiori 8,0 5,1 3,4 6,8
Stipendio/reddito 18,9 15,2 27,1 18,7
Possibilità di autorealizzazione 6,5 3,8 0,0 5,2
Possibilità di imparare cose nuove 2,7 1,3 0,0 2,1
Orario di lavoro 12,9 13,9 20,3 13,9
Prestigio, stima degli altri 2,0 3,2 6,8 2,7
Non so 14,4 7,0 10,2 12,1
Tutti 3,0 3,8 3,4 3,2
Nessuno 22,9 13,3 18,6 20,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

L’insieme degli intervistati lamenta secondariamente la scar-


sità della retribuzione, ritenuto il fattore “meno soddisfacente”
dal 19% di tutti i lavoratori, in special modo dagli autonomi
(27%) e, in misura inferiore, dai lavoratori con contratti stan-
dard (19%). Il dato relativo ai flessibili, che come abbiamo visto
hanno buste-paga mediamente più leggere degli altri lavoratori,
è ciò nonostante più basso (15%).

• L’incertezza del posto di lavoro


Al di là della minore o maggiore importanza conferita, la
percezione della sicurezza della propria occupazione è, come
abbiamo visto, un elemento che convoglia su di sé le maggiori

115
soddisfazioni come le insoddisfazioni. Nel caso dei lavoratori
flessibili, più di un terzo definisce la propria posizione lavorativa
“poco o per niente” sicura (33% degli uomini, 37% delle donne),
contro il 16,5% del totale di tutti i lavoratori (Graf. 6.6).

Grafico 6.6. “Ritiene che il suo posto di lavoro sia…” per attuale tipologia contrattuale.
Valori %

Quali sono le ragioni di questa incertezza? Nel caso dei lavo-


ratori flessibili, per l’80% la motivazione va ricercata nel contrat-
to di lavoro precario (nel caso dei collaboratori coordinati e con-
tinuativi la percentuale di questa risposta sale ulteriormente). Si
tratta di una percentuale doppia della media (pari al 45%), che
si discosta in modo marcato rispetto alle risposte fornite dagli
autonomi, per i quali le cause dell’incertezza sono identificate
nel fatto di “lavorare in un settore in crisi” (39%), e nella convin-
zione che “oggi nessun posto di lavoro è sicuro” (31%), e natu-
ralmente dalle risposte date dai lavoratori con contratti standard
a tempo indeterminato, per i quali l’insicurezza del posto di la-
voro coincide essenzialmente con i timori di un’eventuale crisi
di settore e/o aziendale28 (Tab. 6.36).

28
Secondo l’ISTAT, la probabilità di perdere il lavoro nell’arco di un anno di un
lavoratore con contratto standard è del 4%; per un lavoratore flessibile è del
14%.

116
Tabella 6.36. Lavoratori che hanno dichiarato “poco o per niente” sicuro il proprio posto di
lavoro per tipologia contrattuale e ragione dell’incertezza. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato

Lavoro in un settore in crisi 18,2 5,4 38,5 13,7


Lavoro in un’azienda in difficoltà 42,4 1,8 0,0 14,7
Ho un contratto di lavoro 0,0 80,4 7,7 45,1
precario
Oggi nessun posto di lavoro 18,2 10,7 30,8 15,7
è sicuro
Altro 21,2 1,8 23,1 10,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Tra i lavoratori flessibili, al contrario di quanto avviene tra


gli assunti a tempo indeterminato, si sentono meno sicuri gli
occupati del settore pubblico che non quelli del privato e del ter-
zo settore: rispettivamente, sono poco o per niente sicuri della
continuità del lavoro il 51% dei lavoratori del settore pubblico,
il 29% del settore privato, il 22% del terzo settore.
Tra gli occupati con contratti standard, pur nell’elevatissima
quota di coloro che giudicano del tutto o abbastanza sicuro il
proprio impiego (92%), vi sono delle differenze secondo il setto-
re: si sentono poco o per niente sicuri più degli altri i lavoratori
del privato (9%), quindi quelli dell’area del no-profit (6%), infine
i lavoratori pubblici (4%) (Tab. 6.37).
Tabella 6.37. “Ritiene che il suo posto di lavoro sia…” , per attuale tipologia contrattuale e
settore di impiego pubblico. Valori %
Settore Sicuro o abbastanza sicuro Poco o per niente sicuro Totale

Flessibili
Pubblico 49,0 51,0 100,0
Privato 71,1 28,9 100,0
Terzo settore 77,8 22,2 100,0
Totale 63,6 36,4 100,0

A tempo indeterminato
Pubblico 96,2 3,8 100,0
Privato 90,6 9,4 100,0
Terzo settore 94,3 5,7 100,0
Totale 91,7 8,3 100,0

117
Se, considerando ancora una volta i lavoratori flessibili, tor-
niamo ad analizzare le risposte rese alla domanda sugli aspetti
“meno soddisfacenti”, e distinguiamo quanti, al di là della posi-
zione contrattuale “temporanea”, affermano di essere comunque
moderatamente certi della continuità professionale, e quanti al
contrario percepiscono una grande incertezza a questo propo-
sito, l’ipotesi avanzata in precedenza di uno “scambio” tra sicu-
rezza del posto di lavoro/aspirazioni professionali e del percorso
lavorativo, va riesaminata.
Risulta infatti che ben il 54% degli “insicuri” del posto se-
gnala come elemento “più insoddisfacente” proprio la sicurezza
lavorativa, là dove i “sicuri” non indicano tale fattore se non nel
13% dei casi.
Anche all’interno del gruppo dei flessibili, dunque, è palese
l’esistenza di gradi differenti di insicurezza, che per taluni è ol-
tremodo sofferta, e per altri continua invece ad essere conside-
rata un fattore meno importante di altri.
Questa forbice così ampia consente di considerare “discrimi-
nante e sineddotica” per la nostra analisi la variabile “percezione
della sicurezza dell’occupazione” (ISFOL, 2004), e di distingue-
re, nel gruppo dei lavoratori instabili, i “flessibili” dai “precari”.
Tra queste due categorie, che indubbiamente disegnano per-
corsi professionali molto diversi nell’esito – più che nell’iniziale
approccio al lavoro – si dividono i lavoratori anche quando è
chiesto loro se vorrebbero cambiare occupazione.

• Vorrebbe cambiare lavoro?


In complesso, il 60% del campione di tutti i lavoratori inter-
vistati al di là della tipologia contrattuale, si dichiara soddisfatto
della propria condizione lavorativa, tanto da dichiarare di non
volerla cambiare, mentre il 25% vorrebbe cambiare lavoro e il
13% crede di non poter comunque trovare un’occupazione mi-
gliore di quella attuale.
Per gli occupati con contratti stabili (le cui risposte sono in
linea con il totale del campione), le ragioni del cambiamento
sono rappresentate innanzitutto dalla retribuzione, quindi da
lavori con maggiori possibilità di carriera e più formativi, ol-
tre che più gratificanti. Gli autonomi, invece, nonostante tutto
non sembrano aspirare ad un cambiamento (solo l’8% afferma
di voler cambiare, mentre quasi l’80% risponde di essere soddi-
sfatto).
Quanto ai lavoratori con contratti “non standard”, questi
sono più propensi degli altri, anche se non in misura molto mar-
118
cata, a desiderare un’altra professione (lo afferma il 29% dei fles-
sibili contro il 24% della media complessiva), e di converso a
dichiararsi meno soddisfatti dell’attuale occupazione (54% con-
tro il 60% di tutti i lavoratori). Tra chi ritiene di essere convinto
di non poter comunque trovare, al di là dei propri desideri, un
altro lavoro (il 15% dei flessibili, una percentuale in linea con
la media generale delle risposte di tutti i lavoratori), le donne si
trovano leggermente sovrarappresentate (Tab. 6.38).

Tabella 6.38. “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per tipologia contrattuale e sicurezza percepita del
posto di lavoro. Valori %
Sicuro o abbastanza Poco sicuro o per niente Totale
Tempo Fless. Auton. TOT. Tempo Fless. Auton. TOT. Tempo Fless. Auton. TOT.
indet. indet. indet.

Sì 22,5 24,5 7,0 21,6 51,5 37,5 15,4 39,2 24,6 29,1 8,5 24,2
No, sono soddisfatto 62,7 60,8 86,0 64,3 30,3 42,9 61,5 41,2 60,2 54,4 78,0 60,4
Non credo di poter trovare
13,2 12,7 7,0 12,5 15,2 17,9 23,1 17,6 13,4 14,6 11,9 13,6
un lavoro migliore
Non so 1,6 2,0 0,0 1,6 3,0 1,8 0,0 2,0 1,7 1,9 1,7 1,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

A fare pesantemente la differenza nelle risposte fornite circa


la volontà di cambiare occupazione o viceversa dirsi soddisfatti
(o rassegnati) all’attuale posto di lavoro, non è tuttavia tanto la
tipologia contrattuale di impiego, quanto – di nuovo – la certez-
za del lavoro.
Questa variabile infatti polarizza le risposte di tutte le cate-
gorie di lavoratori prese in considerazione, e non solo quelle dei
lavoratori flessibili: così, tra i tempi indeterminati il numero di
coloro che sono disposti a cambiare occupazione sale fino a ol-
tre la metà nel caso la sicurezza del posto di lavoro sia percepita
come bassa o nulla (per ragioni di crisi aziendali o di settore).
Analogamente, tra i lavoratori autonomi la percentuale – in sé
abbastanza bassa – di chi vuole cambiare, praticamente raddop-
pia tra gli insicuri. E, infine, tra i lavoratori flessibili, la forbice
tra sicuri e insicuri dell’attuale occupazione si allarga notevol-
mente: se i primi sono soddisfatti nel 63% dei casi, i secondi
lo sono soltanto per il 43% del totale; i “sicuri” sono rassegnati
all’idea di non poter trovare un lavoro migliore nel 13% del tota-
le, gli “insicuri” che danno questa risposta sono invece il 23%; e

119
soprattutto, sale la percentuale di coloro che, incerti sulla conti-
nuità dell’occupazione, affermano di voler cambiare (38% con-
tro una media del 29%).
Concentrandosi ancora sui flessibili, la volontà di cambiare
lavoro è positivamente correlata all’attinenza dei percorsi scola-
stici e formativi (se questa è maggiore, risulta più elevato anche
il desiderio di cambiare lavoro), e anche al titolo di studio. In
questa distribuzione delle risposte emerge infatti la maggiore
dinamicità sul mercato del lavoro dei soggetti più qualificati ed
istruiti, ed anche un “effetto intrappolamento” di quanti possie-
dono un basso grado di scolarizzazione, che più degli altri “non
credono di poter trovare un’altra occupazione”. Analogamente,
chi lavora con mansioni che risultano incoerenti rispetto al pro-
prio percorso formativo, non crede di poter reperire un lavoro
migliore (21% contro una media del 15%) (Tabb. 6.39-6.40).
Tabella 6.39. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per attinenza del titolo di
studio ai contenuti dell’attuale occupazione. Valori %
Sì, molto Sì, ma solo No, totale
attinente in parte per niente

Sì 25,0 21,4 35,3 28,8


No, sono soddisfatto di quello che ho 63,3 64,3 42,6 54,5
No, non credo di poter trovare un 10,0 10,7 20,6 14,7
lavoro migliore
Non so 1,7 3,6 1,5 1,9
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Tabella 6.40. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per grado di scolarizzazione.
Valori %
Basso Medio Alto TOTALE

Sì 26,8 24,7 40,0 29,1


No, sono soddisfatto di quello che ho 53,7 59,7 45,0 54,4
No, non credo di poter trovare un 19,5 11,7 15,0 14,6
lavoro migliore
Non so 0,0 3,9 0,0 1,9
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

I venditori e i commessi sono più propensi ad un cambio di


occupazione, seguiti dagli operai (specializzati e non), che più
che altro dichiarano di non poter cambiare lavoro, perché con-
vinti di “non riuscire a trovare un lavoro migliore”. I più restii a

120
mutare occupazione sono, com’era lecito attendersi, i lavoratori
classificati come appartenenti alle “professioni di medio-alto li-
vello”, e anche gli impiegati.
Naturalmente, la volontà di cambiare lavoro è anche inversa-
mente proporzionale alla retribuzione.
Ma la variabile maggiormente esplicativa della scelta tra pre-
ferenza per il posto attuale e volontà di cambiamento dell’attua-
le occupazione, è il settore di impiego.
Come si può osservare, i giudizi sono in questo caso estrema-
mente differenziati secondo il ramo di attività. Il 38% di chi lavo-
ra nel commercio e il 36% degli assunti nel settore dei servizi alle
imprese desiderano cambiare; questi risultati si spiegano tuttavia
con ragioni differenti. Tra i primi, infatti, pesa la congiunzione
orari di lavoro prolungati-scarsa gratificazione-retribuzione non
alta; per i secondi, il voler cambiare posto di lavoro è piuttosto
un segno di dinamismo e di apertura che non per caso è correlato
con livelli di scolarizzazione mediamente più alti.
Gli intervistati che vogliono cambiare lavoro sono in numero
nettamente più basso nei settori della manifattura, della ristora-
zione e del turismo, dei servizi alle persone (dove però molti sono
anche convinti dell’impossibilità di trovare un lavoro migliore).
L’elemento che appare discriminante, in realtà, è la combi-
nazione tra l’occupazione in un settore di impiego a scarsa gra-
tificazione individuale e la percezione dell’incertezza della con-
tinuità lavorativa; quest’ultima, in particolare, determina tra gli
occupati nei rami degli alberghi/ristoranti, delle attività mani-
fatturiere/costruzioni, e del commercio, un orientamento netto
al voler cambiare lavoro.
Mentre nei settori dove più si danno opportunità di qualifi-
cazione e di apprendimento29, vale a dire l’area dei servizi alle
imprese e alle persone, l’insicurezza del posto non sembra con-
dizionare oltremisura la volontà di permanenza in un’occupa-
zione che è sentita come propria, nei rimanenti settori30 il dop-
pio svantaggio di precarietà e bassa gratificazione professionale
rende inaccettabile l’idea dell’immobilità occupazionale, e per-
ciò si massimizza la propensione al cambiamento.
Così, negli occupati negli alberghi e nei ristoranti il 29% è
propenso a cambiare lavoro, ma tra gli incerti del posto la per-

29
Il maggior numero di lavoratori che ha svolto attività formative si ritrova nei
settori dei servizi alle aziende e alle persone.
30
Esclusa l’agricoltura, per l’irrilevanza statistica dei risultati.

121
centuale corrispondente sale al 100%; nel commercio, il 38%
in media vuole cambiare occupazione ma – di nuovo – tra chi
non è sicuro del posto le risposte di questo genere arrivano al
50%. Risultati analoghi si hanno per l’industria. Al contrario,
nei servizi alle imprese, la quota di lavoratori decisi a cambiare
occupazione sono il 36%, in linea con la percentuale di risposta
espressa dagli insicuri (34%), così come accade per gli assunti
nei servizi alle persone (26% il totale di chi vuole cambiare, 27%
il dato degli incerti) (Tab. 6.41).

Tabella 6.41. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per settore e incertezza del
posto di lavoro. Valori %
Attività manifatturiere e
Commercio Alberghi e ristoranti Servizi alle imprese Servizi alle persone
costruzioni
Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE

Sì 60,0 26,1 50,0 38,5 100,0 28,6 33,3 36,4 26,7 25,8
No, sono soddisfatto 20,0 60,9 50,0 38,5 0,0 64,3 66,7 54,5 46,7 54,8
Non troverò un lavoro migliore 20,0 13,0 0,0 15,4 0,0 7,1 0,0 4,5 26,7 17,7
Non so 0,0 0,0 0,0 7,7 0,0 0,0 0,0 4,5 0,0 1,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Ovviamente, l’aspirazione ad un cambiamento si risolve, dal


punto di vista contrattuale, nel desiderio di disporre di un con-
tratto a tempo indeterminato per la quasi totalità degli intervi-
stati con contratti di lavoro flessibile (Tab. 6.42).

Tabella 6.42. Lavoratori che desiderano cambiare l’occupazione: “Con quale tipo di contratto
vorrebbe lavorare?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo Indeterminato Flessibili Autonomi Totale

Un lavoro dipendente con un contratto a tempo indeterminato 79,8 91,3 40,0 82,0
Un lavoro dipendente a tempo non indeterminato 1,0 2,2 0,0 1,3
Un lavoro autonomo 9,1 2,2 20,0 7,3
Collaborazione coordinata e continuativa 1,0 0,0 0,0 0,7
Altro 7,1 0,0 0,0 4,7
Non so 2,0 4,3 40,0 4,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Come abbiamo visto, vi sono dei fattori precisi sui quali si


costruisce la soddisfazione del lavoro, e di contro anche degli
elementi che intervengono quali criticità. Per i lavoratori flessi-
122
bili in particolare, la soddisfazione dell’occupazione dipende dal
tipo di lavoro svolto, dalle possibilità di autorealizzazione e di
apprendimento che questo consente o meno.
Per mantenere inalterati quest’ultimi elementi, una parte dei
lavoratori temporanei sembra disponibile anche ad uno “scam-
bio tra la qualità del lavoro, che migliora gradatamente, e il
rapporto di lavoro, che resta temporaneo senza però diventare
-o essere necessariamente percepito- come precario” (Carrieri,
Damiano, Ugolini, 2005). Chiesto loro cosa sarebbero disposti a
sacrificare dell’attuale collocazione per avere un lavoro più sta-
bile, il numero di quanti non cambierebbero l’attuale lavoro per
un altro con un contratto stabile, è anzi rilevante: il 42% degli
occupati con contratto a tempo determinato, e il 32% dei colla-
boratori (Tab. 6.43).

Tabella 6.43. Lavoratori con contratto a tempo determinato e collaboratori: “per avere un
lavoro stabile lei sarebbe disposto a sacrificare qualcosa del suo attuale lavoro?”. Valori %
Dipendenti a termine Collaboratori

Sì 48,2 51,6
No 42,0 32,3
Non so 9,8 16,1
Totale 100,0 100,0

Gli aspetti che meno si è disposti a scambiare risultano pro-


prio il fare un lavoro che “offra opportunità di carriera” (solo
il 20% dei dipendenti a termine accetterebbe lo “scambio”, e il
13% dei collaboratori), o “opportunità formative” (il 15% dei
dipendenti a contratto e il 19% dei collaboratori), e la gratifica-
zione ricavata dalla propria occupazione (nessun collaboratore
accetterebbe questo scambio, il 32% dei lavoratori a termine lo
accetterebbe).
Il 48% dei dipendenti a termine e il 52% dei collaboratori,
invece, si dice disponibile, soprattutto rinunciando alla flessibi-
lità degli orari (rispettivamente, 37% e 44%), ma anche a minori
guadagni (33% e 44%) (Tab. 6.44).

123
Tabella 6.44. Lavoratori con contratto a tempo determinato e collaboratori: “Cosa sarebbe
disposto a sacrificare?”. Valori %
Dipendenti a Collaboratori
termine

Fare un lavoro con orari più rigidi 37,0 44,0


Guadagnare meno 33,3 44,0
Fare un lavoro meno gratificante 31,5 0,0
Fare un lavoro che non offra opportunità di carriera 20,4 13,2
Fare un lavoro che non offre opportunità formative 14,8 19,1
Altro 7,4 13,3
Totale 100,0 100,0

Vi sono tuttavia dei fattori che complicano la linearità di


questo asserto: nello schema riportato sotto si è tentato di rap-
presentarli, in parte riprendendo il diagramma proposto nella
già citata indagine di Carrieri, Damiano, Ugolini (2005).
Figura 6.1. Lavoratori flessibili: i limiti dello scambio

SODDISFAZIONE
TIPO DI LAVORO
DEL LAVORO

SETTORE DI IMPIEGO

DURATA DELLA PERMANENZA


NELLA FLESSIBILITÀ

CARRIERA E RETRIBUZIONE

ATTINENZA DEI PERCORSI FORMATIVI


CON IL LAVORO SVOLTO

In alcuni settori la flessibilità è rigettata con decisione quan-


do si combina con occupazioni che non si accompagnano a svi-
luppi professionali nel senso della crescente autonomia e quali-
ficazione.
Anche la permanenza temporale nella flessibilità oltre un
certo limite porta a non voler più sostenere lo scambio contratto
temporaneo vs. contenuti positivi del lavoro, a meno che non
intervengano significativi percorsi ascendenti nelle prospettive
di carriera o nella retribuzione.
Infine, la congruenza dei percorsi formativi e scolastici ri-
spetto all’occupazione svolta funziona come fattore di “resisten-
za” al cambiamento in direzione di lavori meno attinenti ma
più stabili, la cui valenza positiva, tuttavia, si perde nella durata
eccessiva dell’instabilità contrattuale.

124
6.4. Riflessioni finali

Dai risultati dell’indagine emerge innanzitutto che le condi-


zioni oggettive di lavoro degli occupati con contratti non stan-
dard sono mediamente peggiori di quelle dei lavoratori stabili, e
anche di quelle degli autonomi.
La durata dei contratti dei lavoratori flessibili è tenden-
zialmente non lunga (comunque per la maggior parte dei casi
inferiore all’anno), sia per i collaboratori che per i dipendenti
con contratto a tempo determinato; è preponderante, inoltre, la
prassi del rinnovo per un numero indefinito di volte del medesi-
mo contratto, soprattutto nella Pubblica Amministrazione.
Essere destinatari di un certo numero di contratti rinnovati
senza soluzione di continuità può essere un costo ritenuto accet-
tabile nel caso vi sia la prospettiva di una stabilizzazione. Ma, a
questo proposito, la percezione che gli intervistati hanno circa
le loro prospettive occupazionali future non è risultata ottimi-
stica; chiesto loro cosa prevedibilmente succederà alla scadenza
dell’attuale contratto, solo il 13% ha risposto che sarà assunto a
tempo indeterminato.
Nelle previsioni degli intervistati, dunque, il proprio futuro
lavorativo è ancora da flessibili, e ciò vale in particolare per i
collaboratori.
Sotto il profilo della remunerazione, i lavoratori non stan-
dard guadagnano mediamente meno degli stabili, e solo in rari
casi si collocano nelle fasce di reddito più alte. Incertezza pro-
fessionale, discontinuità del reddito e retribuzioni non elevate,
avvicinano pericolosamente almeno una parte degli occupati
flessibili ad una condizione di “vulnerabilità sociale” che non
riguarda solo il presente ma coinvolge anche la visione del futu-
ro: così, ben il 60% dei lavoratori temporanei immagina di non
poter disporre un giorno di una pensione adeguata per vivere, e
tale opinione sale fino all’84% tra i collaboratori.
Infine, i lavoratori temporanei lavorano in orari “socialmen-
te svantaggiati” più frequentemente degli occupati con contratti
di lavoro standard. In particolare, gli uomini risultano essere
impegnati sul lavoro in parti della giornata usualmente riservate
al riposo (lavoro notturno e serale), mentre tra le donne è mag-
giore il numero di coloro che lavorano nelle giornate di sabato
e domenica.
Per quanto attiene alle condizioni di lavoro delle donne, que-
ste fanno rilevare uno svantaggio relativo su più fronti: i loro
contratti sono ancora più brevi, le prospettive occupazionali
125
assai più incerte, gli stipendi risultano più bassi, il part-time è
meno diffuso che tra le lavoratrici stabilizzate.
Il quadro sin qui tracciato diviene ancora più significativo
considerando che il profilo dei lavoratori non standard si distin-
gue da quello degli occupati con contratto a tempo indetermina-
to per una maggiore scolarizzazione e una più elevata coerenza
dei percorsi scolastici e formativi rispetto all’attuale mansione
professionale.
Quest’ultimi elementi sono, insieme ad altri, all’origine delle
rappresentazioni del lavoro tipiche di questo gruppo di lavora-
tori. Se anche per gli instabili la sicurezza del posto di lavoro
è l’aspetto che si ritiene più importante (al pari di quanto af-
fermato dai lavoratori stabili), nello stesso tempo risultano par-
ticolarmente apprezzati aspetti quali la possibilità di autorea-
lizzazione, dell’apprendimento, delle opportunità di carriera, e
relativamente di meno le dimensioni più materiali delle condi-
zioni di lavoro (rapporti con i colleghi e con i superiori, orario,
retribuzione). Poiché questa scala valoriale è ancora una volta
positivamente correlata con il grado di scolarizzazione e la con-
gruenza dei percorsi professionali rispetto al titolo di studio, ne
deriva l’ipotesi che i lavoratori più istruiti, qualificati e con alle
spalle un percorso formativo coerente con l’attuale mansione,
siano mediamente più attenti alle opportunità di lungo periodo
di una carriera per la quale hanno studiato e che sia in grado di
offrire loro una reale gratificazione personale. I costi della flessi-
bilità, di cui peraltro la stragrande maggioranza è perfettamente
cosciente, sono in qualche modo “scambiati” con le aspirazioni
individuali. In breve, con i contenuti del lavoro.
Ciò non toglie che al di là della minore o maggiore importan-
za conferita, la percezione della sicurezza della propria occupa-
zione sia un fattore su cui si concentrano le maggiori insoddisfa-
zioni espresse dagli occupati temporanei. Anche tra coloro che
tra flessibilità e professionalizzazione “butterebbero giù dalla
torre” la prima anziché la seconda, si rileva infatti un’insoddi-
sfazione di fondo per l’instabilità occupazionale.
La flessibilità, perciò, è una condizione complessivamente
subita più che scelta, nonostante talvolta sia considerata ne-
cessaria per il raggiungimento delle aspirazioni personali. E la
dimensione in cui si muove quella quota dei lavoratori flessi-
bili che, pur incerti sulla continuità lavorativa, non desiderano
mutare il proprio status per ottenere più stabilità, è quella dello
scambio: attori razionali, se si vuole, ma non liberi professio-
nisti di se stessi che senza alcun contraccolpo, ed anzi con un
126
buon grado di spregiudicatezza, si spostano indifferentemente
da un impiego ad un altro (il successivo sempre migliore del
precedente).
L’incertezza del lavoro in particolare, permette di distinguere
al di là del comune inquadramento contrattuale nell’ambito del-
le occupazioni “instabili”, i flessibili dai precari. Per quest’ultimi,
la temporaneità dell’occupazione e la discontinuità dei percorsi
professionali risultano un tutto che condiziona negativamente
la soddisfazione per il proprio lavoro nel complesso; per quanti
invece sono prioritariamente alla ricerca di un lavoro che offra
gratificazione e possibilità di professionalizzazione, la flessibi-
lità è un aspetto del lavoro meno discriminante. Con un limite:
che la sua eccessiva durata nel tempo fa progressivamente ve-
nire meno la propensione allo scambio tra instabilità e migliori
contenuti del lavoro.

127
7.
Un approfondimento
qualitativo: la flessibilità
del lavoro nella Pubblica
Amministrazione toscana31

7.1. Introduzione

A partire dall’inizio del decennio scorso, la Pubblica Ammini-


strazione è entrata in una fase di profonda trasformazione. Con
l’approvazione del D.Lgs. n. 29/199332, si è avviato il processo
di “privatizzazione”, che ha tentato di avvicinarne la disciplina
a quella del lavoro subordinato nel settore privato, ponendo le
premesse per l’estensione anche agli enti pubblici delle formule
contrattuali flessibili già in uso nelle imprese.
Secondo i dati ricavati dal Conto Annuale dello Stato, ri-
sulta che nel triennio 2001-2003 le Pubbliche Amministrazio-
ni hanno attivato oltre 273mila contratti di lavoro flessibili
(a tempo determinato e formazione-lavoro) e circa 180mila
lavoratori “estranei all’amministrazione” (interinali e lavo-
ratori socialmente utili), ai quali vanno aggiunti i 173mila
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in
sensibile incremento tra il 2002 e il 2003 (+29%). Si tratta
di cifre rilevanti e tanto più significative se inserite in un
quadro complessivo di contrazione dell’occupazione a tempo
indeterminato (-1%), causata dalle politiche di blocco delle
assunzioni nel pubblico impiego.

31
L’indagine è stata realizzata nei primi mesi del 2006, all’indomani dell’appro-
vazione della Legge Finanziaria per il 2006, quindi l’analisi non tiene conto
delle misure di stabilizzazione per alcune categorie di lavoratori atipici nel
pubblico impiego previste dalla manovra finanziaria del 2007 e, per quanto
riguarda la Toscana, dalla Legge regionale n. 27 del 3 maggio 2007.
32
Il D.Lgs n. 29/1993, poi modificato dal D.Lgs n. 80 del 1998, dispone che le
pubbliche amministrazioni “si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di
assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi
sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”.

129
Le forme flessibili di lavoro si ritrovano in tutte le tipologie
di amministrazioni, con punte sensibilmente più elevate rispet-
to alla media (4,5%) nell’Università e nel comparto Regioni e
Autonomie locali, dove la quota di lavoratori a termine è pari
rispettivamente al 16% e al 14%.
Per quanto concerne la realtà degli Enti locali, nonostante
abbiano la facoltà di dimensionare e gestire le proprie risorse
umane, nell’ambito dell’autonomia organizzativa e normativa
attribuita dal D.Lgs. n. 267/2000, tuttavia negli ultimi anni Pro-
vince, Comuni e Comunità montane si sono trovati a rispettare
vincoli crescenti nelle dotazioni organiche imposti dal Governo
centrale, determinando un incremento nel ricorso a tipologie di
impiego non-standard.
La Finanziaria del 2006, però, con le stringenti limitazio-
ni previste per la spesa del personale33, potrebbe avere conse-
guenze negative sulla continuità lavorativa di questi lavoratori.
Taluni rappresentanti sindacali parlano di una riduzione tra i
90 e i 120mila nel triennio 2006-2008. Ovviamente, dal lato dei
lavoratori, la questione si pone in maniera grave in termini di
instabilità dei posti di lavoro; ma il problema diventa rilevante
anche per le stesse Pubbliche Amministrazioni in termini di pre-
carizzazione dei servizi rivolti ai cittadini: negli anni precedenti
l’ampio ricorso a queste tipologie contrattuali si è verificato in
molti casi non per esigenze specifiche e contingenti legate alla
realizzazione di un singolo progetto, ma per garantire lo svolgi-
mento ordinario delle funzioni essenziali – e quindi stabili – del-
l’Ente pubblico.
Alla luce di queste considerazioni, abbiamo ritenuto oppor-
tuno compiere un approfondimento specifico relativo ai lavora-
tori occupati nella Pubblica Amministrazione con contratti non
standard.
In questo capitolo, dopo aver inquadrato dal punto di vista
quantitativo la diffusione della flessibilità del lavoro nel pub-
blico impiego attraverso i dati del Conto Annuale del personale
degli Enti locali e della Regione Toscana (§ 7.2), riportiamo i ri-
sultati di un’indagine diretta svolta attraverso la realizzazione
di cinque focus group, che hanno coinvolto circa 50 lavoratori
impiegati presso Enti decentrati e agenzie collegate dell’area
fiorentina e pratese, di cui abbiamo cercato di analizzare non

33
Dal 2006 le amministrazioni pubbliche potranno ricorrere a forme di lavoro
non a tempo indeterminato, ma solo nel limite del 60% della spesa analoga
sostenuta nel 2003.
130
solo le problematiche relative al lavoro, ma anche le evidenti
implicazioni che la flessibilità determina nel vissuto quotidia-
no degli individui34 (§ 7.3).

7.2. Le dimensioni del lavoro flessibile nella Pubblica


Amministrazione toscana35

In un quadro generale caratterizzato da politiche occupa-


zionali restrittive, determinate sia dai vincoli stringenti intro-
dotti dalle Leggi Finanziarie a carico degli Enti decentrati, sia
dalle modifiche previdenziali volte alla posticipazione dell’età
pensionabile, una delle poche forme di movimento nell’ambito
del personale è rappresentata dal ricorso alle tipologie di lavoro
flessibile.
Complessivamente nel 2004 su poco meno di 38mila occupa-
ti negli Enti locali, i lavoratori a termine sono circa 3mila, pari
all’8% sul totale del personale, pressoché in linea con il dato ri-
levato a livello nazionale per il comparto Regioni ed autonomie
locali (7,8%).
I livelli minimi sono registrati nelle Comunità montane e nel-
le Amministrazioni provinciali (tra il 5% e il 6%), ma con tassi di
crescita significativi; nei Comuni l’8,3% dei dipendenti è impie-
gato con un contratto atipico; in Regione Toscana si passa dal
6% del 2001 all’8,5% nel 2004.
Nel quadriennio esaminato si osserva una crescita generaliz-
zata delle forme di lavoro flessibile in tutte le tipologie di ente
analizzate (a parte la flessione del 2002 registrata a carico delle
Amministrazioni comunali) (Tab. 7.1).
In generale la forma di impiego più diffusa è il tempo de-
terminato (89%); le forme di lavoro atipiche meno tradizionali
continuano a rappresentare un’esigua minoranza: modesto il
ricorso sia al lavoro interinale (6%), sia alla formazione lavoro

34
L’approfondimento relativo al settore pubblico fa parte di un percorso di ri-
cerca più ampio sulla flessibilità del lavoro in Toscana, avviato nel 2003 e
promosso dal Consiglio Regionale. La ricerca si è svolta agli inizi del 2004,
all’indomani dell’approvazione della Legge 30/2003, e in quell’occasione ha
coinvolto 100 collaboratori di vari enti pubblici, in particolare Regione e
Agenzie regionali, Autonomie locali, Enti ministeriali (cfr. Savino, 2005).
35
Questo paragrafo riprende parte del contributo “Flessibilità e stabilità del la-
voro negli Enti decentrati” in La finanza locale in Toscana, a cura di S. Loren-
zini (2006), IRPET, Firenze.

131
(5%). Tuttavia, nel periodo analizzato va rilevata la crescita nu-
merica di queste due tipologie contrattuali, in particolare nelle
Amministrazioni comunali, e soprattutto l’incremento della loro
incidenza rispetto al più tradizionale lavoro a termine; proba-
bilmente su questa evoluzione incidono i vincoli sulle nuove as-
sunzioni che dalla Finanziaria del 2002 gravano sui rapporti di
lavoro a tempo determinato, da cui invece rimangono esclusi i
lavoratori interinali: sul totale dei dipendenti atipici, i lavoratori
con contratti di formazione passano da meno dell’1% al 5% nel
2004, i lavoratori interinali da meno del 3% al 6% (Tab. 7.2).

Tabella 7.1. Lavoratori con contratti flessibili e totale dipendenti negli Enti locali e in Regione
Toscana. 2001-2004. Valori assoluti e valori %
Dip. con contratti flessibili TOTALE DIPENDENTI % flessibili sul totale

Province
2001 121 4.698 2,6
2002 203 4.993 4,1
2003 228 4.993 4,6
2004 322 5.118 6,3

Comunità montane
2001 19 538 3,5
2002 22 558 3,9
2003 29 595 4,9
2004 30 562 5,3

Comuni
2001 2.478 33.603 7,4
2002 2.157 33.056 6,5
2003 2.503 33.254 7,5
2004 2.671 32.238 8,3

Enti locali
2001 2.618 38.839 6,7
2002 2.382 38.607 6,2
2003 2.760 38.842 7,1
2004 3.023 37.918 8,0

Regione
2001 162 2.646 6,1
2002 176 2.803 6,3
2003 208 2.834 7,3
2004 248 2.917 8,5

Fonte: nostre elaborazioni su dati Conto Annuale del personale

132
Tabella 7.2. Lavoratori con contratti flessibili per tipologia di contratto negli Enti locali. 2001-
2004. Valori assoluti e valori %
Valori assoluti Valori %
Tempo Formazione Interinale Totale Tempo Formazione Interinale Totale
determinato lavoro determinato lavoro

Province
2001 111 0 10 121 91,7 0,0 8,3 100,0
2002 190 9 4 203 93,6 4,4 2,0 100,0
2003 216 12 0 228 94,7 5,3 0,0 100,0
2004 310 11 1 322 96,3 3,4 0,3 100,0

Comunità montane
2001 16 0 3 19 84,2 0,0 15,8 100,0
2002 17 0 5 22 77,3 0,0 22,7 100,0

133
2003 21 2 6 29 72,4 6,9 20,7 100,0
2004 24 3 3 30 80,0 10,0 10,0 100,0

Comuni
2001 2.407 15 56 2.478 97,1 0,6 2,3 100,0
2002 1.997 46 114 2.157 92,6 2,1 5,3 100,0
2003 2.217 119 167 2.503 88,6 4,8 6,7 100,0
2004 2.346 141 184 2.671 87,8 5,3 6,9 100,0

Enti locali
2001 2.534 15 69 2.618 96,8 0,6 2,6 100,0
2002 2.204 55 123 2.382 92,5 2,3 5,2 100,0
2003 2.454 133 173 2.760 88,9 4,8 6,3 100,0
2004 2.680 155 188 3.023 88,7 5,1 6,2 100,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati Conto Annuale del personale


Complessivamente nel quadriennio considerato la diminuzione
occupazionale nelle Autonomie locali è dovuta alla forte riduzio-
ne di dipendenti con contratti a tempo indeterminato nelle Am-
ministrazioni comunali, che solo in parte la crescita delle forme
atipiche di lavoro è riuscita ad attutire. Negli altri Enti il trend
positivo dell’occupazione sembra essere imputabile al contribu-
to del lavoro a tempo indeterminato, sostenuto in buona misura
anche dalla crescita del lavoro a termine (Graf. 7.1).
Grafico 7.1. Contributo alla crescita dei dipendenti negli Enti locali e in Regione Toscana.
2001-2004. Valori assoluti

Fonte: nostre elaborazioni su dati Conto Annuale del personale

L’analisi fin qui condotta non include le collaborazioni coor-


dinate e continuative, la cui rilevazione purtroppo, così come
quella degli incarichi di studio, ricerca o consulenza, sconta an-
cora molti limiti, in quanto il dato – laddove disponibile – fa ri-
ferimento esclusivo al numero di contratti attivati, senza alcuna
informazione sul numero di lavoratori coinvolti e sulla durata di
tali rapporti di lavoro.
Si ipotizza che le collaborazioni abbiano incontrato un no-
tevole favore tra le Amministrazioni pubbliche, che spesso ne
hanno usufruito ben oltre i limiti previsti per questa tipologia
contrattuale dalle norme speciali vigenti per il lavoro pubblico
(art. 7 comma 6 D.Lgs. n. 165/2001). Si tratta, infatti, di un con-
tratto che richiede pochi adempimenti e al quale non si applica-
no le norme in materia di accesso agli impieghi nelle Pubbliche
amministrazioni.
Per la sola Regione Toscana, l’unico ente per il quale dispo-
niamo dei dati relativi agli ultimi quattro anni, i contratti di col-
laborazione attivati nel 2004 sono oltre un centinaio, a fronte di
circa la metà rilevati nel biennio precedente. Complessivamente

134
la spesa sostenuta dall’amministrazione raddoppia nel giro di
un biennio, partendo da circa 800mila euro e attestandosi nei
tre anni successivi attorno a 1,8 milioni di euro, con un’inciden-
za sul totale del costo del lavoro che rimane sostanzialmente in-
variata nel triennio 2001-03 (1,6%), in lieve flessione nell’ultimo
anno di osservazione (1,2%).
Per quanto concerne gli Enti locali, complessivamente la
spesa sostenuta per l’attivazione di collaborazioni è pari a oltre
34 milioni di euro, in sensibile crescita nel quadriennio di osser-
vazione. Il trend positivo riguarda tutti i livelli di governo, sia in
termini di livelli di spesa, sia in termini di incidenza sul totale
del costo del lavoro (Tabb. 7.3-7.4).

Tabella 7.3. Spesa per collaborazioni coordinate e continuative negli Enti locali e in Regione
Toscana. 2001-2004
Var. %
  2001 2002 2003 2004 2004-2001

Province 3.747.274 4.722.606 5.603.263 6.270.084 67,3


Comuni 13.518.924 18.769.071 22.774.774 26.983.244 99,6
Comunità montane 496.289 539.552 900.278 1.047.894 111,1
Enti locali 17.762.488 24.031.229 29.278.315 34.301.222 93,1
Regione 832.363 1.750.560 1.822.692 1.735.613 108,5
Fonte: nostre elaborazioni su dati Conto Annuale del personale

Tabella 7.4. Incidenza della spesa per collaborazioni coordinate e continuative sul costo del
lavoro negli Enti locali e in Regione Toscana. 2001-2004
2001 2002 2003 2004

Province 3,0 3,2 3,7 3,5


Comuni 1,4 2,0 2,3 2,5
Comunità montane 3,3 3,3 4,3 4,8
Regione 1,6 1,6 1,6 1,2
Fonte: nostre elaborazioni su dati Conto Annuale del personale

7.3. I risultati dell’indagine

• L’ingresso da flessibile nella Pubblica Amministrazione:


l’opportunità della vita!
L’avvio della “carriera” di lavoratore flessibile, in generale,
non è mai risultato come frutto di una scelta di una particolare
condizione contrattuale da parte del soggetto, ma nella maggio-
135
ranza dei casi le persone si sono trovate a dover accettare tale
condizione, perché il mercato non offriva alternative e/o perché
per svolgere una certa professione non esistevano altre oppor-
tunità se non quella di lavorare con contratti atipici (Magatti,
Fullin, 2002; Giovani, 2005).
Tanto più vero nell’accesso al pubblico impiego dove, in as-
senza di concorsi per posti a tempo indeterminato, i contratti
atipici rappresentano l’unico modo per entrare in contatto con
la Pubblica Amministrazione.
La porta di accesso all’impiego nel settore pubblico, seppure
con rapporti di lavoro a termine, ha comunque rappresentato
per molti dei nostri intervistati il raggiungimento di un impor-
tante traguardo sotto molteplici punti di vista.
In primo luogo, perché l’occasione di lavoro è stata associata
alla protezione e alla sicurezza dell’impiego che, almeno fino a
pochi anni fa, il pubblico garantiva: il posto in una Pubblica Am-
ministrazione è stato visto come un ambito di lavoro regolare,
dove poter godere di tutte le forme di tutela e che, soprattutto
per le donne, poteva consentire di adottare strategie più agevoli
di conciliazione con le esigenze familiari. Di fronte all’opportu-
nità di intraprendere un percorso che si riteneva avrebbe porta-
to in poco tempo alla stabilità lavorativa, si era anche disponibili
a rinunciare a maggiori livelli retributivi che, invece, un impiego
analogo nel privato poteva garantire.

Per me entrare in questa amministrazione sei anni fa è stata


l’occasione della vita, una cosa veramente incredibile, una grossis-
sima opportunità e ne sono stata felice per molti anni. Per me era
veramente tanto. Mi sono fatta allettare dall’idea di rimanere nel
pubblico, perché comunque era una soluzione che non ti permet-
teva di guadagnare grandi soldi, ma sicuramente è più sicura del
privato (laureata in Architettura, 38 anni).

Inoltre, taluni hanno sottolineato il prestigio connesso al


lavoro in un ente pubblico: anche in presenza di occasioni di
lavoro a termine e con remote prospettive di assunzione, l’idea
di lavorare per una Pubblica Amministrazione, magari rilevante
sul territorio, ha rappresentato un’opportunità ugualmente at-
traente, soprattutto perché, come molti hanno evidenziato, in
questo settore hanno ottenuto la possibilità di svolgere un’atti-
vità coerente con il proprio titolo di studio. A questo proposito
bisogna ricordare come questi lavoratori svolgano spesso pro-
fessioni di carattere intellettuale e tecnico di medio ed elevato
136
livello: dalle professioni legate alle scienze umane (ricercatori,
docenti, formatori, archivisti, addetti stampa) a quelle tecniche
nell’ambito delle scienze fisiche (informatici, programmatori,
geometri, ingegneri, fisici, statistici) (Savino, 2005).
Sono “giovani adulti” (in genere trentenni), soprattutto don-
ne, che hanno studiato più a lungo rispetto alla generazione dei
padri. L’investimento in capitale umano comporta il desiderio di
svolgere un lavoro soddisfacente, sia in termini di attinenza del-
le competenze acquisite nella fase di formazione, sia in termini
economici e di prospettive di carriera. Questo si scontra con un
mercato del lavoro come quello toscano – caratterizzato da un
profondo squilibrio tra le caratteristiche dell’offerta (giovane e
altamente scolarizzata) e quelle richieste dalle imprese (attesta-
te su bassi livelli di qualificazione) – che offre poche prospettive,
soprattutto al femminile, per chi è in possesso di elevati titoli di
studio36.
In questo scenario la precarietà della propria posizione oc-
cupazionale è stata vissuta come inevitabile ed è stata percepita
persino come una condizione privilegiata, che, anche in assenza
di riconoscimenti sul piano economico e contrattuale, ha con-
sentito di ottenere una propria realizzazione professionale e
personale. Si tratta di una componente di lavoratori che, per
lungo tempo, è stata disposta ad accettare i costi delle condizio-
ni contrattuali, a patto di salvaguardare i contenuti, le modalità
di gestione e il riconoscimento sociale dell’attività svolta.

I miei amici, che si sono laureati con me e che ora lavorano


nel privato, mi dicono che sono fortunata, perché, anche se con
contratti così, lavoro in Comune; metti mano su cose molto im-
portanti, che un libero professionista non si sogna neanche di po-
ter fare. Indipendentemente dallo stipendiuccio mensile, si tratta
proprio di soddisfazione personale (laureata in Architettura, 34
anni).

Lavorare per un istituto che ha un nome, è un istituto serio.


Ha un prestigio e non è da poco che, anche se sei flessibile, puoi
lavorare in un ente importante. Mi piaceva, mi dava soddisfazione
(laureata in Scienze politiche, 36 anni).

36
Secondo i dati Excelsior relativi alle previsioni di assunzione per il 2005 da
parte degli imprenditori toscani, il titolo di studio meno richiesto continua a
essere quello universitario (7,6%) a fronte di una quota rilevante di occupazio-
ne potenziale per la quale è sufficiente l’obbligo scolastico (35%).

137
Io non ho chiaramente scelto di fare la collaboratrice coordi-
nata e continuativa. Avrei preferito essere una dipendente, avere
tutti gli oneri sociali dei dipendenti. Ma mi ero appena laureata
e trovare un lavoro di quel genere, che mi permetteva di sfruttare
la mia laurea in lingue, di conoscere i vari istituti europei, per me
era in quel momento lì una gran fortuna, e l’ho preso con grande
entusiasmo (laureata in Lingue, 38 anni).

Noi tutti facciamo un lavoro che ci piace molto. E quindi per


assurdo, pur essendo precari, siamo dei privilegiati. Almeno mi
sono sempre vista così. Subito dopo la laurea sono approdata al-
l’assessorato. Mi è piaciuto subito ed è quello che voglio fare da
grande. Da un certo punto di vista è stato un colpo di fortuna
(laureata in Scienze Politiche, 32 anni).

Solo in pochi hanno sottolineato come il loro ingresso nel


mercato del lavoro attraverso tipologie contrattuali atipiche sia
frutto di una scelta consapevole. Si tratta soprattutto di uomini,
impegnati in professioni tecniche (come l’architetto o l’ingegne-
re), maggiormente orientati verso un futuro da liberi professio-
nisti, che percepiscono il mercato come fonte di opportunità più
che di rischi. Apprezzano nella flessibilità del lavoro le opportu-
nità che offre di costruirsi un percorso autonomo, utilizzando
la propria professionalità, le proprie competenze e i contatti per
ottenere una posizione competitiva forte nel mercato. L’incarico
con l’Amministrazione pubblica è vissuto come uno dei tanti,
che non è destinato necessariamente alla stabilizzazione presso
l’ente.

La flessibilità per me è una scelta personale, non è stata una


imposizione. Mi sto sempre più indirizzando verso una professio-
ne del tutto individuale, quindi la flessibilità per me sarà il pane
quotidiano dei prossimi anni. La flessibilità è un bene che ci sia
per me, nel senso che il mio obiettivo è quello non di avere una
professione da dipendente. A me piace il mio lavoro, piace spaziare
nei vari rami nel mio settore, quindi stare un’ora in più o due ore
in più in ufficio non è un problema (laureato in Ingegneria, 27
anni).

Uno magari all’inizio della carriera ambisce al posto sicuro e all’in-


quadramento a tempo indeterminato. Io, invece, appena laureato, sono
entrato in una società, dove, dopo avere fatto un periodo di prova, ho
iniziato a gestire progetti. Gestire progetti significa tante cose, significa
138
tenere i rapporti con il committente, fare attività di elaborazione dei dati,
definire una linea strategica e quindi questo ti porta ad avere orari anche
non precisissimi Quello che sono riuscito a fare nella società poi l’ho mes-
so a frutto per i colloqui con gli enti pubblici. A livello professionale, mi
piace un sacco, perché poi mi organizzo i tempi, riesco a incastrare varie
cose, per cui non fai la stessa cosa tutti i giorni che vai al lavoro e non ti
passa mai e stai a guardare l’orologio. Faccio cose molto diverse, per cui
da questo punto di vista è perfetto (laureato in Geologia, 30 anni).

• Da flessibile a precario: la mobilità dei lavoratori nel pub-


blico impiego
La valutazione relativa al proprio percorso professionale,
che è emersa durante i focus group, nella maggioranza dei casi
non è affatto positiva. Le testimonianze dei lavoratori eviden-
ziano una traiettoria contrassegnata da una fase iniziale di forte
entusiasmo e di “innamoramento” per il lavoro svolto, oltre che
di identificazione con l’ente pubblico, ad una successiva di forte
delusione e disillusione rispetto alle proprie aspettative future di
stabilizzazione e di crescita professionale.
Dopo anni, in alcuni casi anche molti, impiegati presso lo
stesso ente, transitando di rinnovo in rinnovo in condizioni con-
trattuali e livelli di tutela diversi, la sensazione per molti è quella
di essere rimasti intrappolati.
Inizialmente l’instabilità è stata concepita come una risorsa,
nella misura in cui ha facilitato l’ingresso nel mercato del lavoro,
soprattutto in un settore come quello pubblico altrimenti non
accessibile, ha consentito processi di formazione e di acquisizio-
ne di competenze e, in alcuni casi, ha concesso elevati margini
di autonomia nella gestione del proprio lavoro. Ma alla lunga il
senso di libertà che questa condizione lavorativa può trasmette-
re ha teso a tramutarsi in una trappola, facendo emergere tutto
il peso dell’incertezza, anche alla luce del percorso compiuto,
delle prospettive future e delle fasi del ciclo di vita attraversate.
La percezione di non essere più a rischio di precarietà, ma di
essere completamente entrati in tale dimensione, ben evidente
nelle parole di questa collaboratrice, è paradigmatica dell’espe-
rienza di molti lavoratori ascoltati.

La flessibilità è stata un ottimo canale per entrare. E usi questo


termine: flessibile, flessibile, flessibile. Dopo tre anni usi più spesso
il termine precario, è proprio la sensazione che cambia. All’inizio
ho pensato che la flessibilità fosse un ottimo strumento e ne ho fat-
to anche una scelta consapevole. Ero contenta di essere flessibile,
139
ero contenta di non avere orari, ero contenta di non dovere rendere
conto a qualcuno se non al responsabile del progetto. Mi ha fatto
piacere ed è stata un’ottima esperienza. Però, dopo tre anni, uno
ha davvero bisogno di una prospettiva che dia un pochino di più
quella famosa sicurezza. Quando capisci che quella prospettiva si
allontana sempre di più e che probabilmente non arriverà mai, ti
senti, tutto ad un tratto, precario. Proprio quel vecchio precaria-
to… C’è nel pubblico e c’è nel privato, lo vedo dappertutto. Per me
è stato tremendo. Io lo vivo in questo periodo ed è molto destabiliz-
zante rispetto alle scelte che devi fare, o meglio che vorresti fare per
la tua vita privata (laureata in Scienze politiche, 36 anni).

Ma da dove deriva la sensazione di intrappolamento, che tra-


spare dai contributi di molti dei lavoratori interpellati?
Per molti l’attuale condizione contrattuale non è una si-
tuazione di passaggio, né tanto meno una forma di ingresso
nel mercato del lavoro. Si tratta di lavoratori che hanno alle
spalle percorsi mediamente lunghi nell’ambito del lavoro fles-
sibile (prevalentemente come collaboratori) e di rapporti du-
raturi (almeno tre anni) con l’ente presso il quale attualmente
sono impiegati. Sono lavoratori ben inseriti all’interno delle
organizzazioni degli enti committenti; hanno pochi margini
di autonomia nella scelta del luogo di lavoro, che in genere è
la sede del committente, e nella organizzazione del tempo di
lavoro. In genere svolgono funzioni essenziali per il funzio-
namento ordinario dell’ente presso il quale prestano servizio,
e in molti casi il loro impiego non è affatto determinato da
esigenze specifiche e contingenti, legate alla realizzazione di
un singolo progetto.
In molti casi, usufruendo di più rinnovi contrattuali, si sono
creati rapporti di lavoro duraturi, che hanno determinato per il
lavoratore (ma anche per l’ente) una continuità professionale.
Si tratta, tuttavia, di una condizione non assimilabile alla sta-
bilità, perché rappresenta spesso il prolungamento nel tempo
di una condizione vissuta e percepita come instabile. La lun-
ga durata è in questo caso un indicatore di intrappolamento in
una condizione, dalla quale diventa sempre più difficile uscire,
man mano che passano gli anni e si cresce dal punto di vista
dell’età anagrafica. Inoltre, la continuità del rapporto con l’ente
consente l’instaurarsi di una relazione con il committente, con
i colleghi, con l’intero ambiente lavorativo che alimenta la spe-
ranza del raggiungimento del traguardo: l’assunzione a tempo
indeterminato.
140
Forse è stata un po’ anche colpa mia, ma io mi sono sentita
ancorata all’ente, perché speravo… ma non soltanto io, anche i
miei dirigenti mi hanno fatto sperare che ci fosse un futuro in
questo percorso. Poi, di fatto questo futuro non c’è stato. Se anche
ora ci dovesse essere e dovessi entrare, è stato un tale calvario e a
questo punto non so se sarei soddisfatta più di tanto (laureata in
Architettura, 38 anni).

Io mi sono anche un po’ lasciata illudere dal dirigente con


cui lavoravo che mi diceva: “Guarda, non ti dico ora, ma nel
giro di breve tempo faremo i concorsi anche perché la struttura
ha bisogno di essere stabile”. E quindi io mi sono fermata anche
mentalmente e non ho cercato altro. Non sono andata a guardare
se c’erano concorsi per me o opportunità anche nel privato… A
un certo punto, però, arrivi a un punto che non sei più trasver-
sale. Nel momento in cui entri in un settore… Io ho 33 anni, mi
sono laureata nel 2000. Ormai è dal ’98 che lavoro tra una cosa e
un’altra. Questa cosa è spiazzante (laureata in Scienze dell’Edu-
cazione, 33 anni).

La sensazione di essere rimasti intrappolati emerge anche


nelle parole di coloro che ritengono di aver avuto delle carriere
bloccate, la concentrazione sul rinnovo del contratto spesso ha
fatto perdere di vista gli aspetti professionalizzanti del proprio
percorso di lavoro.

Il problema è che sono stata per sei anni nello stesso posto di
lavoro, dove non sono cresciuta professionalmente, dove ho fatto
dal primo giorno in cui sono entrata fino ad oggi, sempre il me-
desimo lavoro, affiancata sempre dalla medesima persona, senza
avere la minima possibilità di crescere. Sono rimasta la borsista di
sei anni fa. È stata una scelta che poi però è risultata penalizzante,
anche dal punto di vista professionale. È una cosa che mi pesa,
anche perché ho 38 anni e sono nell’età in cui potrei dare vera-
mente … e però, insomma, non ne ho neanche venti. Sono in un
momento per cui o do ora oppure… insomma, la vedo dura anche
mettersi in marcia per crescere. Mi sento ingessata, ecco (laureata
in Architettura, 38 anni).

L’investimento fatto ha consentito di sviluppare competenze


e professionalità che in molti casi sono spendibili solo nel pub-
blico o, ancor peggio, solo presso l’ente committente.
Il settore in cui ho fatto esperienza finora è spendibile nel pub-
141
blico; non c’è verso, nel privato non è spendibile. E devo dire che
è andata avanti un po’ per caso questa cosa, quando sei lì, poi
impari anche. Se dovessi spendermi da un’altra parte, io dovrei
ricominciare daccapo. Ma lo farò, sicuramente lo dovrò fare, mi
dovrò rimettere completamente in gioco. Il problema poi è che lo
puoi fare fino a una certa età, se lo fai a 24 anni, ci puoi stare,
ma a 30 o 32 anni la cosa diventa già più complicata (laureata in
Scienze della formazione, 27 anni).

In effetti è emersa anche la consapevolezza da parte di molti


di essere manodopera troppo qualificata per le richieste, inve-
ce, di basso profilo provenienti dal sistema produttivo regionale.
Nel tentativo, intrapreso in alcuni casi, di cercare un’altra occu-
pazione, rivolgendosi anche al settore privato, l’ostacolo dell’ele-
vata qualificazione è risultato particolarmente evidente.

Ho mandato curriculum, ho cercato, però non ho trovato nien-


te, niente… anche perché appunto le mie competenze da una parte
sono molto alte, ma anche molto specifiche, non c’è molto merca-
to in Italia per queste cose. Forse cercando all’estero avrei avuto
qualche possibilità in più però, per un motivo o per un altro, non
mi sentivo pronta a fare una scelta del genere. Il problema è che
siamo un po’ troppo qualificati per il mercato del lavoro ordinario.
Oltre che essere troppo qualificata, io sono anche troppo vecchia:
ho 38 anni e, quando vedi le domande, cercano personale anche
qualificato massimo trentacinquenne, massimo trentenne, ma an-
che ventenne (laureata in Lingue, 38 anni).

Anche io ho sempre tenuto d’occhio in maniera più o meno


continuativa gli annunci. Il problema è che sono arrivata a un
punto in cui ho una certa necessità di trovare qualcosa di alterna-
tivo e non trovo. Non trovo lavoro alternativo nei contenuti, per-
ché la ricerca si fa qui e si fa da altre poche parti. A questo punto
mi sono detta: qualsiasi lavoro pur di non stare a casa a girarmi
i pollici. Il problema è che ho mandato diverse domande, cercan-
do anche delle possibilità in cui potessi riciclare l’esperienza di
ricerca, e ho trovato veramente il vuoto, nessuno mi ha risposto.
Effettivamente il fatto di fare un lavoro particolare ti penalizza nel
momento in cui vuoi fare valere la tua esperienza da altre parti.
Anch’io sono laureata in economia e commercio, per cui bene o
male un contratto da segretaria o simile lo troverò probabilmente.
Non mi piace, ma a fronte di stare a casa e non avere altro, lo pren-
derò (laureata in Economia e commercio, 29 anni).
142
La scelta di indirizzarsi verso il pubblico impiego si è rivela-
ta per più ragioni controproducente rispetto alle aspettative di
stabilizzazione che in molti nutrivano inizialmente e, parados-
salmente, l’attuale percezione è quella di essere meno tutelati
rispetto a chi, invece, opera nel settore privato.
C’è la consapevolezza di un uso non certo virtuoso delle tipo-
logie contrattuali atipiche, soprattutto nel caso delle collabora-
zioni, che sono state attivate per colmare le lacune del personale
dipendente, per aspetti di convenienza da parte dell’ente (primo
fra tutti il minor costo), per svolgere attività non certo connotate
dal carattere della straordinarietà, e che sono state reiterate per
anni, alimentando nei lavoratori aspettative di assunzioni nel
breve periodo, che tuttavia non ci sono state e che, alla luce degli
attuali vincoli previsti dalle disposizioni nazionali a carico del
pubblico impiego, potrebbero non esserci ancora per un lungo
periodo.
Emerge, inoltre, la frustrazione di chi è consapevole di svol-
gere lo stesso lavoro e le stesse funzioni del dipendente, a fronte
di un’immeritata disparità nell’accesso a tutele e diritti.

Nel privato, c’è un discorso di costo aziendale: un co.co.pro.


gli costa la metà di un dipendente; quindi c’è una logica, ancorché
sbagliata, comunque c’è una logica aziendale. Nel pubblico è un
po’ prendere in giro le persone, perché la flessibilità va a sopperire
alle mancanze dell’organico, perché loro non possono assumere le
persone. Perché non ti prendono per la tua specificità, per le tue
competenze. Tu a partita IVA dovresti essere come un professio-
nista, invece no: loro hanno il vantaggio che possono avere delle
persone che lavorano il doppio di quanto lavora un dipendente
pubblico, che è inamovibile. L’handicap più grosso è comunque
che tutto questo è finalizzato al niente. Perché un domani i concor-
si sono aperti a tutte le persone e quindi non è da dire, aspetti un
concorso e poi c’entri anche te, non è vero (laureato in Economia
aziendale, 33 anni).

Il problema della Pubblica Amministrazione, quanto a mag-


giori tutele rispetto al privato, in realtà non è affatto vero per un
atipico, perché non ha neppure il rapporto diretto con il datore
di lavoro che ha libertà di assumere. Il dirigente del pubblico ha
sempre e comunque la scusa, il pretesto o anche concretamente è
vero che non ha il potere di assumerti. Inoltre, è certamente più
probabile che fallisca un’azienda privata piuttosto che un’ammi-
nistrazione pubblica; un’amministrazione non chiude però ti la-
143
scia a casa. Indipendentemente dal fatto che il tuo lavoro sia stato
indispensabile, che tu abbia reso una prestazione che nel privato
ti avrebbe dato gli estremi per fare una vertenza. Quindi, dal pun-
to di vista stretto della tutela, della maggiore garanzia che ti dà il
pubblico rispetto al privato, non è assolutamente vero (laureata in
Statistica, 35 anni).

La sicurezza la dà ai dipendenti a tempo indeterminato però


agli atipici no. Anzi io, avendo lavorato come co.co.co. per un pri-
vato, lì cioè veramente godevo di tutti i diritti di flessibilità, di
maggiore libertà e anche di professionalizzazione (laureata in Let-
tere, 35 anni).

• La stabilità, ma a quali condizioni?


La maggioranza degli intervistati ha avuto, fin da subito, un
percorso orientato verso il lavoro stabile: hanno apprezzato l’am-
biente di lavoro e il tipo di attività, vi hanno investito energie,
per lungo tempo non hanno pensato di cambiare lavoro, anche
di fronte ad offerte di lavoro a tempo indeterminato, nutrendo la
speranza di essere alla fine assunti presso l’ente come dipenden-
ti, conciliando così l’aspirazione alla stabilità con la possibilità
di realizzarsi professionalmente.

Una volta mi è capitato di avere una proposta di assunzione a


tempo indeterminato e l’ho rifiutata: era una casa editrice ed era
un lavoro di tipo amministrativo, una cosa molto amministra-
tiva. Io all’epoca – e ora mi viene da ridere – erano cinque o sei
anni che facevo la co.co.co. e speravo in una qualche sistemazio-
ne, ma… il lavoro che facevo mi piaceva, mi dava soddisfazione,
era stimolante e poi c’era lavoro sempre di più, voglio dire, perché
l’ente non deve assumere le persone che tutto sommato lavorano
bene, che sono riconfermate tutti gli anni? Quindi uno continua a
sperare che forse… (laureata in Lingue, 37 anni).

In passato, ho avuto l’opportunità di avere un contratto a tem-


po indeterminato, la famigerata assunzione. Era anche un lavoro
abbastanza attinente a quello che faccio, però ero appena arrivata
qui, mi piaceva l’ambiente, avevo tutta una serie di speranze e
anche di aspirazioni, di idee forse anche un po’ romantiche sul
tipo di lavoro, e non mi andava di rinchiudermi in una logica
aziendale in cui devi produrre, produrre, produrre per il profitto. E
quindi ho rifiutato anche se si era parlato di assunzione a tempo
indeterminato (laureata in Lingue, 38 anni).
144
Ma dopo un così lungo periodo vissuto nell’instabilità, molti
evidenziano la propria disponibilità a rinunciare ad alcuni van-
taggi del proprio attuale impiego in cambio di un posto di lavoro
stabile.
In primo luogo, la condizione di (apparente) privilegio in cui
si trovano per il fatto di svolgere un lavoro coerente con il pro-
prio percorso formativo e fonte di grandi soddisfazioni: in molti
sarebbero disposti a barattare la soddisfazione con la sicurez-
za dell’impiego, soprattutto tra le donne. Molti sono pronti a
scendere a compromessi, perché consapevoli delle forti barriere
all’ingresso nel settore pubblico determinate dal blocco delle as-
sunzioni degli ultimi anni, che rendono sempre più remota la
possibilità di accedere al posto sicuro, protetto e compatibile,
soprattutto per le donne, alla realizzazione di progetti familia-
ri. Varcata abbondantemente la soglia dei trent’anni, oltre alla
dimensione professionale, assumono centralità anche le possi-
bilità di realizzazione, fino a questo momento rimandate, nel-
l’ambito della sfera privata.

Se mi proponessero un posto con maggiore garanzia di sta-


bilità, sarei flessibile sul contenuto del lavoro. È chiaro che nei
miei sogni c’è il lavoro stabile e nelle cose in cui sono più forma-
ta, però penso che comunque la precarietà investa tutta la vita,
l’incapacità di fare progetti a lungo termine (laureata in Lettere,
30 anni).

Il mio lavoro mi dava una enorme soddisfazione, però ora lo


baratto volentieri con un po’ di stabilità, anche perché cerco di fare
delle scelte, noi siamo flessibili, ma il resto del mondo chiede altre
forme di garanzie stabili (laureata in Scienze politiche, 36 anni).

Due anni fa potevo fare anche un discorso del genere: non mi


interessa vendere niente a nessuno, voglio fare qualcosa che mi
piaccia, va bene anche se precario. Però più in là che vai con l’età,
le cose cambiano tantissimo, specialmente per una donna. Alla
fine dell’anno, quando al telegiornale ti elencano le cose per cui gli
italiani spendono la tredicesima, l’assicurazione della macchina,
il mutuo… e io pensavo: “Che fortuna io non ce l’ho tutte queste
cose, sì però non ho nemmeno la tredicesima!” Mi ricordo che
mi feci da sola questa battuta. Allora non aveva importanza per
me, poi ad un certo punto inizi ad averne abbastanza (laureata in
Scienze Politiche, 32 anni).

145
La stabilità non è sembrato essere un obiettivo desiderabile
sempre e comunque. Per alcuni intervistati la stabilizzazione è
una meta importante, per la quale tuttavia non rinuncerebbero
alla possibilità di svolgere un lavoro adeguato alle proprie com-
petenze e che sia fonte di soddisfazione.

Io non potrei fare un lavoro che non mi dà un senso di soddi-


sfazione nel fare qualcosa che mi piace. Poi mi ritroverò a dover
sfamare una famiglia e cambio idea, però, al momento, è più im-
portante sapere che per otto ore al giorno fai qualcosa che ti dà un
senso (laureata in Scienze della Formazione, 27 anni).

Se i contenuti del lavoro rappresentano un limite invalica-


bile, altri sono gli aspetti sui quali i lavoratori contratterebbero
per ottenere un impiego stabile: in primo luogo la flessibilità
nella gestione del proprio orario di lavoro.

Rispetto ai contenuti del lavoro non so se riuscirei a concedere


tantissimo. Lasciare la precarietà per un lavoro d’ufficio o di ra-
gioneria? Penso che non lo farei. Forse perché è una scelta che ho
fatto prima e non tornerei indietro. Rispetto alla situazione che
vivo ora, concederei il discorso dell’organizzazione degli orari e dei
tempi, quello sì. Penso sia inevitabile. Io sono abbastanza libero di
gestirmi il tempo come credo, quindi questa sarebbe la concessio-
ne che farei (laureato in Economia e Commercio, 35 anni).

Solo in pochi casi è emersa anche la disponibilità a trasferir-


si, come unica soluzione alla possibilità di proseguire il proprio
percorso lavorativo, che garantisca anche margini di crescita
professionale:

Il mio lavoro è fantastico, però se devo ragionare… vorrei fare


comunque un lavoro simile e per mantenere un’attività simile a
quella attuale dovrei spostarmi su un orizzonte non troppo lonta-
no… Roma, Milano…, però dentro a una struttura che mi prenda
ora e che mi dia la sicurezza di farmi salire nel giro di pochi anni
(laureato in Economia Ambientale, 31 anni).• Lavoratori preca-
ri e dipendenti a confronto: le relazioni nei luoghi di lavoro
Nonostante i lavoratori flessibili dichiarino di essere sostan-
zialmente soddisfatti delle relazioni con i dipendenti standard
nei luoghi di lavoro, comunque dalle testimonianze raccolte tra-
spare una generale consapevolezza dell’esistenza di una linea di
demarcazione piuttosto netta tra “loro” e gli “altri”.
146
Il discorso del rapporto fra i collaboratori e i dipendenti fissi
è delicatissimo. È proprio un discorso di prestigio, come dire, io
sono assunto… è un po’ un gioco all’esclusione. Gli assunti di fat-
to hanno una posizione diversa dalla nostra, soprattutto nel pub-
blico, dove vale la regola che, se sei assunto, non c’è verso di essere
buttato fuori (laureata in Scienze politiche, 36 anni).

I lavoratori a termine provano una sorta di deprivazione


relativa rispetto ai colleghi dipendenti, ponendo attenzione so-
prattutto al tema della disparità in termini di tutele e di livelli
retributivi.
In primo luogo, viene sollevata l’incapacità da parte del di-
pendente di comprendere il gap esistente tra la propria con-
dizione di lavoratore a tempo indeterminato nel pubblico, in
possesso dei massimi livelli di tutele e di garanzie, e quella del
lavoratore a termine, collocato, invece, nella cosiddetta periferia
dei diritti.
Uno degli ambiti di incomprensione è rappresentato dal livel-
lo retributivo che, come sottolineano ad esempio i collaboratori
coordinati e continuativi, nel loro caso è solo apparentemente
più elevato, perché non inclusivo di tutte le garanzie, di cui in-
vece possono usufruire i dipendenti (ferie, malattie, contributi
previdenziali ecc.).

È pesante doversi confrontare sempre con la persona che ti sta


accanto di scrivania, ci passi tutto il giorno e questa persona pensa
che te stai lì, fai la stessa cosa che fa lei e quella pensa che io guada-
gno tanti soldi. E sai questa idea non gliela levi. Però se loro hanno
il raffreddore, stanno a casa una settimana… Io sono venuta a lavo-
rare in delle condizioni… (laureata in Scienze politiche, 32 anni).

È difficile combattere con la mentalità del dipendente. Devi sta-


re costantemente a contatto con una persona che ha fatto un con-
corso e che, nella maggior parte dei casi, non fa un tubo dalla mat-
tina alla sera. Io ho una retribuzione pagata su undici mesi invece
che su dodici, questa è l’unica cosa che siamo riusciti a ottenere
in due anni di litigi e, secondo loro, io con questo mese mi pago le
ferie, quindi, il dipendente è convinto che io prenda più di lui. Ma
come? Non si rende conto che io mi pago tutto da sola? C’è questo
grosso divario di mentalità, con cui combatti tutti i giorni e mi
rinfacciano se ho preso mezz’ora per il pranzo. Mi dovrò pur cibare
anch’io, no? (laureata in Scienze della formazione, 27 anni).

147
In alcuni casi sono emerse situazioni di forte isolamento ri-
spetto ai colleghi, da cui scaturisce un diffuso senso di males-
sere di fronte alle difficoltà di ottenere un riconoscimento del
proprio ruolo e del proprio spazio lavorativo.

In tanti anni di lavoro non mi hanno mai trattata come una


dipendente, non mi hanno mai fatto sentire parte del gruppo. Mi
hanno sempre trattata come una persona giovane, per loro sono
sempre giovane, io e il mio collega ci chiamano “quei ragazzi”. Ba-
sta! Dopo dieci anni non puoi più trattarmi come la ragazzina che
è entrata con la borsa di studio, tutte le volte che arrivo mi sembra
sempre di essere quella che viene da fuori e non una di loro. Te sei
quello diverso, che domani non c’è più. Se al posto tuo viene un
altro, non c’è problema (diplomata, 33 anni).

Come ha rilevato Accornero (2000), in contesti di questo tipo


possono verificarsi rischi di divaricazione fra i lavoratori: da un
lato un nucleo più o meno ristretto di dipendenti stabili (i core
workers), dall’altro la manodopera temporanea (i contingency
workers), che tuttavia, spesso, non rappresenta un gruppo al
proprio interno omogeneo, composto da lavoratori con forme
contrattuali diversificate (tempo determinato, collaborazioni,
collaborazioni con partita IVA, borse di studio ecc.). La pluraliz-
zazione delle forme di lavoro produce, infatti, un’ulteriore seg-
mentazione della forza lavoro, non solo nei confronti dei lavora-
tori standard, ma anche all’interno dei lavoratori atipici stessi,
per cui il pericolo è che si venga a creare una situazione con-
flittuale tra lavoratori operanti in un stesso contesto lavorativo
sulla base di modalità contrattuali diverse, derivante da nuove
forme di gerarchizzazione basate sulla maggiore o minore sta-
bilità dei lavoratori.
L’altro aspetto rilevante è che nei contesti da noi analizza-
ti i lavoratori instabili spesso costituiscono la componente che,
nonostante l’atipicità delle condizioni contrattuali, contribuisce
oppure è persino responsabile del core business degli enti di
appartenenza, occupandosi prioritariamente dello svolgimento
delle funzioni ordinarie e stabili di tali organizzazioni, che in
molti casi altrimenti non verrebbero svolte.
L’approvazione della Legge Finanziaria per il 2006 è stato un
interessante banco di prova rispetto alla questione della tenuta
della coesione sociale nell’ambito del lavoro. Le stringenti limi-
tazioni per la spesa del personale imposte agli Enti decentrati
ha avuto, in alcuni casi, conseguenze negative sulla continuità
148
lavorativa della componente flessibile del personale, che, oltre a
vedere sfumare le aspettative di stabilizzazione attraverso l’as-
sunzione, ha rischiato – e tuttora rischia – anche in termini di
rinnovo del contratto e quindi l’opportunità di continuare a svol-
gere il proprio lavoro anche in qualità di collaboratore. Dire cosa
è successo dopo la Finanziaria non è cosa agevole, anche perché
non è stata individuata alcuna linea comune a livello regionale,
ma ciascun ente, a seconda della propria situazione interna, si è
organizzato autonomamente. Si riscontrano casi in cui si sono
effettivamente verificati mancati rinnovi dei contratti, in altri
casi l’intero personale dell’ente, tutti collaboratori, sono stati
mantenuti. In altri casi ancora le soluzioni individuate passano
attraverso procedure di outsourcing, con forti implicazioni in
termini di qualità e costi dei servizi, oltre che in relazione alle
condizioni dei lavoratori coinvolti.
A questo proposito emblematico è quanto verificatosi nel Co-
mune di Prato, all’indomani della presentazione delle disposi-
zioni contenuti nella Finanziaria.
Alla fine del 2005 la Giunta comunale ha approvato una deli-
bera in relazione ai provvedimenti relativi all’applicazione della
Legge Finanziaria per quanto concerne le spese per il personale.
Per rispettare il vincolo richiesto del taglio dell’1% delle spese
per il personale, l’Amministrazione pratese aveva ipotizzato una
manovra che fosse in grado di salvaguardare l’occupazione per
180 collaboratori, che integrano un organico insufficiente e infe-
riore rispetto a Comuni analoghi dal punto di vista delle dimen-
sioni demografiche, e la funzionalità dei servizi 37. La delibera
prevedeva un “patto di solidarietà” tra lavoratori, basato su un
piano di risparmi che sarebbero andati ad incidere sulla parte
variabile del salario dei dipendenti di ruolo (come ad esempio
l’accesso ai fondi di produttività), oltre a minori spese derivanti
dalla razionalizzazione dei servizi38.

37
“Tagliare l’1% delle spese per il personale – si legge nel comunicato dell’ufficio
stampa del Comune – è un’operazione di due milioni di euro, che avrebbe
comportato una riduzione drastica del personale precario. In pratica mandare
a casa i circa 180 co.co.co., con conseguenze gravi sui servizi e sulla funziona-
lità del Comune. Detto in altro modo sarebbero scomparse non poche sezioni
di scuola materna, pregiudicata l’attività dell’Assessorato alla multiculturalità
in una città a forte presenza di immigrati, ridotti i servizi informatici che or-
mai fanno girare la macchina comunale”.
38
Nel dettaglio si proponeva: la rinuncia da parte del personale di ruolo a 400
mila euro complessivi del fondo dei dipendenti, per i dirigenti a 50 mila euro;
la decurtazione del 10% per il funzionamento degli organi istituzionali. Al-

149
La proposta ha sollevato non poche reazioni da parte sia dei la-
voratori dipendenti che delle organizzazioni sindacali, che hanno
portato prima al congelamento della delibera, poi al ridimensio-
namento dell’entità finanziaria della manovra fino ad arrivare al-
l’esclusione del fondo di produttività nel concorrere ai risparmi. I la-
voratori flessibili di Prato interpellati sull’evento hanno sottolineato
un’evidente presa di distanza non solo da parte dei propri colleghi
dipendenti, ma anche delle stesse organizzazioni sindacali.
La vicenda è tanto più illuminante se teniamo presente il con-
testo di riferimento, ossia un’area distrettuale, dove il lavoro per
decenni è stato fonte di integrazione e il dialogo sociale prassi
consolidata nelle relazioni industriali. In particolare il metodo
concertativo ha rappresentato uno dei punti di forza del sistema
locale, soprattutto nei suoi momenti più difficili, che ha reso Pra-
to un modello di riferimento non solo per il dinamismo imprendi-
toriale, i livelli di crescita economica e di benessere, ma anche per
la qualità delle relazioni tra gli attori pubblici e privati nell’area.

Questo rapporto fra dipendenti e collaboratori mi ha colpito in


questi ultimi periodi. Con la Finanziaria c’è stata questa netta di-
varicazione fra chi è assunto e chi non lo è. La Legge praticamente
scaricava sui collaboratori tutte le crisi finanziarie e tutte le spe-
se. Nessuno chiaramente rinuncia ai diritti acquisiti, per quanto
riguarda lo stipendio, ma forse anche altro. E si è sentita la netta
divaricazione fra lo status di collaboratore esterno e quello di di-
pendente interno (laureato in Economia e Commercio, 35 anni).

Passare per i corridoi e vedere le persone che si girano e che


ti guardano male, come dire te mi stai rubando un euro. A noi è
successo così (laureata in Architettura, 34 anni).

Il mio punto di vista è che è molto difficile toccare dei privilegi


di chi già è assunto. È chiaro che scatena, io lo capisco benissimo,
che scatena delle enormi resistenze. Al tempo stesso, riconosco che
c’è un divario tra chi è collaboratore rispetto a un dirigente, ma
lo stesso fra un dipendente e un dirigente, ci sono delle differenze
che sono andate un po’ troppo verso il modello privato. In un ente
pubblico devi fare una cosa proprio grave, ma grave, grave, grave
per essere mandato via. Mentre in una azienda privata il dirigente

tre riduzioni potevano derivare dalla razionalizzazione sui servizi (300 mila
euro), dalla diminuzione dello stanziamento per le trasferte dei dipendenti
(120 mila euro), dal congelamento degli straordinari (50 mila euro), ecc.

150
che fa due cavolate, ciao ciao. Tu hai quei soldi lì, hai quei benefici
lì, però te li devi meritare fino in fondo, no? Io parlo in generale.
Credo che nel pubblico ci siano alcuni percorsi simili, però non
giustificati poi dal rendimento (laureato in Sociologia, 38 anni).

In generale dalle testimonianze raccolte non sembra emer-


gere un rapporto semplice tra i lavoratori flessibili e le organiz-
zazioni sindacali. Ad esempio, è significativo il fatto che, nel
raccontare le loro storie professionali e nell’esprimere le pro-
prie lamentele, i collaboratori non abbiano mai citato i soggetti
sindacali, né le categorie direttamente coinvolte, se non quando
direttamente stimolati in materia.

La principale difficoltà del sindacato nasce dall’esistenza nei


luoghi di lavoro di una stratificazione non solo tra le varie ti-
pologie contrattuali, ma anche tra le figure accomunate dalla
medesima condizione contrattuale (ma spesso con condizioni
di lavoro, posizioni sociali e aspettative diversificate), che rende
complicato individuare un solo modello di rappresentanza. Il
processo di differenziazione delle condizioni e delle esperien-
ze di lavoro porta spesso i lavoratori a percepirsi come soggetti
individuali, rendendo difficile l’identificazione con un gruppo e
ostacolando l’organizzazione di qualsiasi azione collettiva.

Quello che io ho rilevato è una grossa difficoltà da parte dei


comparti tradizionali del sindacato a entrare in contatto con que-
sto nuovo mondo. Non puoi tu, da sindacalista, andare a parlare
a un’assemblea di atipici con le stesse parole e con la stessa forma-
zione che hai quando ti rivolgi a delle persone che sono dipendenti
pubblici. È tutto un altro pianeta, il sindacalista che si deve rivol-
gere ai precari deve appunto ritornare all’Ottocento, in un certo
senso... Il sindacalista tradizionale può dire: “No, se io comincio
a fare gli accordi e comincio ad aiutare i precari, legittimo la pre-
carietà”. Questo è il nodo politico. È una cosa che in tasca non
ce l’ha nessuno, quale sia la strategia migliore per difendere i la-
voratori… se costruire, e in che modo costruire una rete di tutela,
rinforzando la condizione dell’atipico oppure fare una lotta fron-
tale per eliminare completamente… e con quali strumenti… per
eliminare completamente il problema del lavoro atipico (laureata
in Statistica, 35 anni).

Noi abbiamo gli interni comandati dalla scuola, gli assunti a


tempo determinato, i collaboratori che lavorano su progetto, quelli
151
che lavorano con partita IVA, i consulenti, gli stagisti. Quindi c’è
tutta questa galassia di figure che noi stessi facciamo fatica, nel
senso che certe volte vediamo delle facce nuove e ci chiediamo e
questo chi è? (laureata in Lingue, 38 anni).

La cosa più strana è che non abbiamo diritto nemmeno alla


definizione di categoria. Vorrei sapere cosa abbiamo in comune
noi con il povero pony express, eppure apparteniamo teoricamente
allo stesso gruppo. Non saremo mai una lobby. Non avremo mai
una massa critica, io penso che, in buona parte, nei lavori più
umili, non lo sanno neanche che ci sono dei diritti (diplomata,
44 anni).

Nonostante le difficoltà, è emersa una forte domanda di tu-


tele e garanzie, che dovrebbero compensare la preoccupazione
per la precarietà dei rapporti di lavoro e che costituiscono il ter-
reno ideale per lo sviluppo di azioni di tipo collettivo. Si tratta
di richieste relative ad una legislazione più protettiva in materia
di diritti, di tutele contrattuali relative alle retribuzioni e alle
condizioni costitutive del rapporto di lavoro, oltre che quelle di
maggiori prestazioni nel campo delle politiche sociali, in parti-
colare sul versante della maternità e della previdenza.

Il diritto a poter usufruire del periodo di malattia, la mater-


nità, l’indennità di disoccupazione nei momenti di stacco da un
contratto a l’altro. Se ho un contratto di ruolo, ho il diritto all’in-
dennità nel momento in cui passo da un contratto all’altro; e non
cambia la situazione se sono precaria. Anzi, a maggior ragione. Io
scendo a patti di avere un lavoro flessibile, di mettermi in gioco, di
poterlo cambiare o non averlo da qui a un anno… almeno vorrei
la parte acquisita dei diritti. Però ormai la flessibilità è di norma;
è diventata un sostituto contrattuale né più né meno, visto che il
lavoro che fai è lo stesso del tuo collega a tempo indeterminato, gli
orari che fai sono quelli. Allora diventa tutto equivalente, ad ecce-
zione dei diritti dei lavoratori (laureata in Lingue, 30 anni).

Io aggiungerei anche il riconoscimento della professionalità.


Nella Pubblica Amministrazione significherebbe il livello: te hai
lavorato a quel livello lì, e quindi non solo ricevi un’indennità di
disoccupazione adeguata al livello, ma attesto anche che tu sei in
grado di svolgere quel tipo di lavoro, per quel livello e questo ti può
facilitare nell’avere un contratto con un altro committente (lau-
reata in Lingue, 38 anni).
152
I diritti fondamentali sono la malattia, la maternità e anche un
po’ di ferie. E poi ci vorrebbe anche un minimo di diritto alla con-
tinuità, nel senso che ci vorrebbe un diritto ad avere una prelazio-
ne, nel caso in cui venga ripreso del personale per profili analoghi
al tuo. E poi ci vorrebbe il diritto a sapere non l’ultimo giorno di
contratto, anzi il giorno dopo che ti è scaduto, se ti verrà rinnova-
to. Non è una cosa dignitosa per un lavoratore (laureata in Fisica,
35 anni).

Il sapere qual è il giorno in cui riscuoti… a me non dispiace-


rebbe sapere quando riscuoto (laureata in Scienze Politiche, 32
anni).

E poi un ultimo elemento, e cioè che, secondo me, i lavori ati-


pici dovrebbero costare di più del lavoro a tempo indeterminato.
In questo modo voglio vedere come ci si mette (laureata in Lette-
re, 32 anni).

Ed in effetti molte di tali richieste hanno trovato spazio nel-


l’ambito di accordi che le organizzazioni sindacali sono riuscite
a stipulare in vari enti locali toscani, prevedendo, in assenza di
un quadro normativo nazionale di riferimento sul lavoro atipico,
il riconoscimento di retribuzioni equiparate a quelle dei dipen-
denti, degli anni di servizio prestati come collaboratori presso
Pubbliche Amministrazioni in caso di partecipazione a procedu-
re concorsuali, del diritto alle ferie retribuite, dei diritti sindaca-
li, delle tutele per maternità, gravidanza a rischio, allattamento,
adozione, malattia e infortunio, per le quali la copertura delle
spese avviene in molti casi attraverso l’attivazione da parte degli
enti committenti di apposite assicurazioni private.
Il problema che semmai è emerso dai nostri colloqui con i
lavoratori è, da un lato, la scarsa conoscenza di tali accordi, e
quindi la scarsa consapevolezza da parte dei collaboratori di es-
sere in possesso di diritti, che ad oggi sono esigibili; dall’altro,
l’assenza di forme di controllo sulla reale applicazione di tali ac-
cordi. Senza contare il fatto che esistono categorie di lavoratori,
per i quali alcune di queste tutele non sono affatto contemplate,
come i collaboratori con partita IVA, i collaboratori occasionali
o i titolari di borsa di studio.

Mi pare che qualche accordo ci sia anche a Prato.. ci dovreb-


be essere qualcosa (laureanda in Economia e Commercio, 29
anni).
153
Che io sappia, anzi diciamo che non lo so e questo dovrebbe
spiegare già molto del rapporto che c’è fra i precari e il sindacato
(laureata in Lettere, 35 anni).

Il problema grosso è che questi accordi sindacali dipendono


dalla buona volontà del singolo amministratore, perché quando
l’amministratore cambia, come nel nostro caso, può decidere di
strafregarsene. Questa è la considerazione che traggo dalla nostra
esperienza: forse ce li ridaranno in futuro questi diritti ora non ce
l’abbiamo (laureata in Fisica, 35 anni).

• Vivere flessibilmente
Nonostante le profonde trasformazioni degli ultimi decenni
del secolo scorso, il lavoro continua ad essere una dimensione
centrale nella vita di ciascun individuo, poiché da un lato ga-
rantisce la sopravvivenza e l’indipendenza economica, dall’altro
rappresenta il più efficace dispositivo di integrazione nella vita
adulta e nella società, il fattore che influisce maggiormente sul-
la stratificazione sociale, conferendo dunque identità sociale,
influendo sull’autostima individuale e sulla considerazione da
parte degli altri.
Pertanto parlare di flessibilità vuol dire introdurre questioni
che riguardano non solo la sfera del lavoro, ma tutte le dimen-
sioni della vita personale del singolo, e che toccano l’intera or-
ganizzazione della società. Una rilevante parte della letteratura
in materia si è concentrata proprio sull’analisi delle implicazio-
ni nel vissuto quotidiano dell’essere flessibile, sui rilevanti oneri
che i lavori instabili tendono ad imporre a carico dell’individuo,
della famiglia e della comunità (Gallino, 2001).
Nell’ambito della nostra indagine, il fenomeno della flessibili-
tà ha una precisa caratterizzazione generazionale, coinvolgendo
“giovani adulti”, che, proprio nella fase della vita caratterizzata
dalle scelte cruciali per il destino – non solo professionale ma
anche personale – vivono l’esperienza della flessibilità con l’in-
quietudine del futuro e l’incapacità di progettarne uno proprio.
Ciò che colpisce è che stiamo parlando non di lavoratori a quali-
ficazione medio-bassa, ma di soggetti con elevati titoli di studio,
che svolgono nella maggioranza dei casi professioni intellettuali
e tecniche con elevati livelli di specializzazione.
La precarietà dell’impiego e la percezione di importanti vin-
coli organizzativi ed economici connessi a tale condizione con-
tribuiscono a creare un contesto particolarmente difficile per
154
chi si trova a dover affrontare scelte importanti per il proprio
futuro.
Come è emerso dalle testimonianze raccolte durante i focus
group, molti continuano a vivere con i genitori, perché non han-
no un reddito sufficiente per pagare l’affitto o per comperare
la casa. Oppure, se usciti da casa, continuano a dover far ri-
ferimento alla rete familiare per affrontare la vita da soli o in
compagnia di un partner che, sempre più spesso, è anch’esso un
lavoratore temporaneo.
Anche decisioni meno importanti, ma che comunque si pre-
sentano nel corso della vita, come l’acquisto di un’auto o qual-
siasi altro acquisto con pagamento rateale, risentono in maniera
negativa dell’incertezza lavorativa.
Noi si vive in questo stato di limbo, per cui rimani figlio fino a
quaranta anni (laureata in Architettura, 38 anni).

Io sono andata via di casa e vivo attualmente da sola, però con


il grosso apporto dei miei genitori, perché altrimenti… Mi sostengo
quasi totalmente da sola, ma non totalmente. Non riesco ancora
(laureata in Scienze forestali, 35 anni).

Per la mia esperienza quotidiana la flessibilità pesa, pesa ec-


come. Non pesa nei primi anni. Ora, invece, a 36 anni, mi sta
cominciando a pesare parecchio. Il mondo intorno gira in ma-
niera opposta a come giro io e non ci capisco più niente. È un
po’ complicato. Bisognerebbe che anche tutte le altre cose comin-
ciassero ad allinearsi un po’; oppure, ancora meglio, mi auguro
che il prossimo Governo ci assuma tutti. Nelle scelte private per
me la flessibilità lavorativa ha pesato. Ad esempio, non mi sono
mai potuta permettere di pagare un affitto da sola, ma ho sempre
dovuto condividere con qualcun altro, come sto facendo ora; mi
pesa adesso che vorrei acquistare una casa, perché non so se mi
finanzieranno. Poi c’è tutta la richiesta della rete sociale che ti sta
intorno, la famiglia e così via… non ti senti mai completamen-
te autonoma e mai completamente libera. Mi pesa (laureata in
Scienze politiche, 36 anni).
Anche a me dà fastidio che noi si vada in una direzione e il
mondo vada da un’altra parte. Io non ho mai dovuto chiedere un
mutuo, però vorrei comprare una macchina, visto che ora vado a
piedi, e il finanziamento sarà un problema. Non so se me lo daran-
no, e non è un mutuo chiaramente. Devo fare affidamento ancora
su mio padre, perché se non firma lui non mi danno niente… Io
sono stata un anno in affitto in una casa e non ho potuto prender-
155
la io, perché la proprietaria ha voluto la firma di un genitore. Io
ho 27 anni! Non riesci a emanciparti. Questa flessibilità, parlando
di prospettive future, sicuramente è un handicap forte perché non
mi permette di vedere al di là del mio naso. A me sicuramente
pesa una cosa del genere (laureata in Scienze della formazione,
27 anni).
L’incertezza relativa al proprio percorso professionale, la
conseguente instabilità e/o inadeguatezza, della fonte di reddi-
to individuale, rappresentano in generale condizionamenti rile-
vanti sulle scelte di transizione dei giovani, tanto più rilevanti
soprattutto in presenza di un sistema di welfare di tipo famili-
stico (Esping-Andersen, 2002) come quello italiano, che esclude
strumenti di sostegno al reddito (sussidi per disoccupazione o
sociali, ma anche per studio e formazione). In presenza di un
sistema centrato sulla protezione del lavoratore subordinato
standard (in genere il capofamiglia, maschio e adulto), che non
prevede tutele collettive per i lavori non stabili, la strategia più
frequentemente adottata è rappresentata dal ricorso a dispositi-
vi di protezione per via familiare.
Fino a adesso si è dato per scontato che la famiglia costituis-
se il più efficace strumento di assorbimento dei rischi connessi
alla flessibilità, ma questo fino a quando?
In primo luogo, come hanno notato i nostri intervistati, non
necessariamente tutti i soggetti si trovano nelle condizioni di
poter usufruire delle rete familiare e, in tal caso, non esistono
protezioni alternative offerte dal sistema di welfare. Ma, ancor
più rilevante, è il fatto che non necessariamente tutti i soggetti
vogliano continuare ad essere figli fino a 40 anni, molti esprimo-
no il desiderio di affrancarsi dalla propria condizione di dipen-
denza dalla solidarietà delle generazioni adulte.
L’altro aspetto rilevante riguarda i progetti di fecondità; solo
in pochi hanno figli e nella maggioranza dei casi le coppie hanno
posticipato la decisione di avere figli con la prospettiva di otte-
nere una stabilità occupazionale ancora non arrivata.

Una che ha la partita IVA, un figlio non lo fa. Tutti mi chiedono


perché non faccio un bambino e io rispondo perché non so come
fare a fare un bambino… insomma non me lo posso permettere…
Non solo a chi lo lasci… Ma non è detto che una abbia una gravi-
danza perfetta che fino a nove mesi puoi andare a lavorare con la
pancia… C’è chi, al secondo mese, deve stare a letto e io non me lo
posso permettere (laureata in Scienze politiche, 32 anni).

156
Come donna, è fortemente penalizzante il fatto di aspettare la
stabilità per costruire una famiglia e fare un figlio. Io non ho figli.
Se potessi tornare indietro, probabilmente farei una scelta diversa.
Ritrovarsi a questa età e aver rinunciato a una cosa importante,
sinceramente è abbastanza grave. Ho un sentimento di rabbia nei
confronti di questa condizione che, per carità, in qualche maniera
mi sono anche scelta, nel senso che ho voluto continuare su que-
sta strada. Questa flessibilità lavorativa è stata fortemente condi-
zionante per me (laureata in Architettura, 38 anni).

È evidente come la carenza di tutele per maternità, parti-


colarmente accentuata nel caso delle collaboratrici con partita
IVA, rappresenta un forte condizionamento nella decisione di
avere un figlio, così come il timore di uscire da un mercato del
lavoro con poche opportunità adeguate e la possibilità, per nien-
te remota, di non riuscire a rientrarci dopo un’interruzione per
maternità.
In effetti, per le lavoratrici a termine, soprattutto per le col-
laboratrici, la maternità rappresenta una scelta difficile, perché
l’interruzione per maternità e il conseguente rallentamento nei
ritmi di lavoro implicano minori livelli reddituali, decurtazione
dei risparmi e soprattutto uscire dal giro, allontanarsi da quella
comunità professionale, da quella rete di rapporti che consento-
no la permanenza nel mercato del lavoro.
Anche se viene raggiunta una posizione forte all’interno del
settore di riferimento, si ha una professionalità elevata e ricono-
sciuta dai committenti, si intrattengono più rapporti di lavoro,
tuttavia la sicurezza economica deriva unicamente dalla capaci-
tà di lavorare, pertanto qualsiasi interruzione può far scivolare il
lavoratore in una condizione di estrema vulnerabilità.

Nel momento in cui io vorrò avere una famiglia e dei figli, que-
sta cosa della partita IVA potrà avere dei lati positivi, ma ne avrà
anche tanti negativi. La partita IVA mi potrà dare la possibilità di
fare il lavoro a casa, se fossi una partita IVA come dovrei essere…
Ma con la maternità… a parte che stai a casa e non becchi una
lira, ma una volta che esci da un circuito, poi non ci rientri (lau-
reata in Scienze della formazione, 27 anni).

Ma nella scelta di avere dei figli preoccupano anche le con-


dizioni con le quali si può affrontare il periodo successivo alla
nascita. La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita
rappresenta un problema pressante anche per chi, almeno in
157
teoria, dovrebbe avere la possibilità di usufruire di una flessibi-
lità oraria. Il problema in realtà è che il lavoro flessibile spesso
non ha un orario flessibile, perché è quello rigido del dipenden-
te, perché comunque è richiesta la presenza quotidiana, perché,
soprattutto in casi di collaborazioni con più committenti, in cer-
ti periodi richiede ritmi di lavoro intensi, che mal si conciliano
con le esigenze familiari quotidiane.

Il problema è che poi, quando diventi mamma, non hai più


tutto quel tempo da dedicare alle relazioni per trovare contatti e
nuovi lavori. A questo si sommano poi tutte le ansie del fatto che
comunque ci sono tante collaborazioni, perciò la tensione è co-
stante… e la maternità è stata un dramma… insomma, e se ti
ammali e succede qualcosa…(laureata in Statistica, 35 anni).

Come tutte le lavoratrici, diventa prioritario avere una rete


di supporto (genitori), che sopperisca alle carenze di offerta dei
servizi per l’infanzia (asili nido, scuole materne, centri ricrea-
tivi, ecc,) e alle rigidità di un sistema, in cui l’organizzazione
degli orari e dei tempi non è ancora tale da rispondere ad esigen-
ze di supporto sempre più articolate, flessibili e personalizzate
espresse dalle famiglie.
Di fronte ad un contesto di questo tipo i lavoratori flessibili
preferiscono spesso evitare di fare programmi di lungo periodo,
concentrandosi sul presente e ponendosi obiettivi di breve pe-
riodo, per avere una maggiore probabilità di raggiungerli. Que-
sto tipo di atteggiamento comporta anche il non fare i conti con
quello che sarà il proprio futuro, soprattutto in termini previ-
denziali, non tanto per una mancata presa di coscienza rispetto
al fatto che il proprio lavoro non garantirà un reddito adeguato
al termine della carriera lavorativa, ma piuttosto perché spesso
non possono permettersi di utilizzare parte della propria retri-
buzione da investire in fondi pensionistici integrativi.

La flessibilità è la condizione buona per vivere alla giornata


ma, se uno guarda con una prospettiva futura, allora crea dei
problemi. La flessibilità sembra un’esigenza diffusa nel sistema e
ovunque, poi, in realtà, uno individualmente regge il carico da
solo o comunque con le persone nella sua stessa situazione. Quan-
do vai in banca, il mutuo te lo negano. Se hai l’esigenza di affittare
una casa o una stanza in città devi sempre porti il problema di
quanto ti durerà ancora il contratto. Oltre a questi aspetti, quello
che mi preoccupa ancora di più è l’aspetto previdenziale. Se penso
158
a me fra trenta anni, mi vedo come un poveraccio. Non so come
potrò campare. Per ora ho il supporto di chi mi sta alle spalle e che
mi sostiene. Fra trent’anni, quando non hai più l’aiuto familiare,
sarai un problema sociale (laureato in Economia e commercio,
35 anni).

7.4. Riflessioni finali

Il reiterato blocco delle assunzioni imposto agli Enti decen-


trati dal Governo centrale attraverso le ultime Leggi Finanziarie,
a fronte di maggiori impegni e più ampie competenze conferite
ai livelli locali di governo nell’ambito del processo di decentra-
mento, ha determinato nel corso degli ultimi anni un progressi-
vo incremento della quota di lavoratori flessibili nella Pubblica
Amministrazione.
Le diverse forme di lavoro non standard (dal tradizionale
contratto a tempo determinato alla collaborazione coordinata e
continuativa) sono state utilizzate per colmare evidenti carenze
dell’organico, per garantire la funzionalità ordinaria degli enti,
oltre che per ampliarne i servizi per il cittadino, e ovviamente
per contenere la spesa del personale.
Tale trend ha subito una battuta d’arresto con l’ultima Legge
Finanziaria, che con l’imposizione di stringenti vincoli alla spesa
del personale, ed in particolare a tutte le tipologie contrattuali a
termine, ha determinato conseguenze negative sulla continuità
professionale di molti lavoratori, lasciandone disilluse non solo
le aspettative “massime” di stabilizzazione attraverso l’assunzio-
ne, ma anche quelle “minime” di rinnovo del contratto e quindi
lavoratore atipico.
La job insecurity, sempre più diffusa sia tra lavoratori dipen-
denti che autonomi (Accornero, 2006a; Carrieri, Damiano, Ugo-
lini, 2005), va a colpire anche un ambito che ha tradizionalmen-
te rappresentato i massimi livelli di tutela e sicurezza del posto
di lavoro: con la diffusione delle tipologie flessibili del lavoro,
l’immagine associata alla Pubblica Amministrazione appare
sempre più lontana da quella tradizionale del posto di lavoro
sicuro, protetto e, soprattutto per le donne, compatibile con le
esigenze di cura della famiglia.
È proprio dall’immagine tradizionale del pubblico impiego
che è partita la carriera professionale della maggioranza dei la-
voratori atipici da noi intervistati nell’ambito dell’indagine: la-
voratori giovani, con elevati livelli di scolarizzazione, con gran-
159
di ambizioni di realizzazione professionale, che hanno trovato
nell’ente pubblico la possibilità di svolgere attività coerenti con
la propria formazione, coniugata all’opportunità di vedere sod-
disfatte le proprie aspirazioni alla stabilità.
L’instabilità della propria posizione occupazionale è stata
vissuta inizialmente come una situazione di passaggio inevitabi-
le ed è stata persino percepita come una condizione privilegiata,
che, anche in assenza di riconoscimenti sul piano economico e
contrattuale, ha consentito di ottenere una propria realizzazio-
ne professionale e personale.
Si tratta di una componente di lavoratori che, per lungo tem-
po, è stata disposta ad accettare i costi delle condizioni contrat-
tuali, a patto di salvaguardare i contenuti, le modalità di gestio-
ne, il riconoscimento sociale dell’attività svolta, oltre che le pro-
spettive di inserimento stabile attraverso l’assunzione a tempo
indeterminato.
A distanza di qualche anno, in alcuni casi anche molti, sem-
bra essersi conclusa la fase iniziale di innamoramento per il
lavoro svolto, oltre che di identificazione con l’ente pubblico,
mentre prevale un sentimento di profonda insoddisfazione che
sfocia nell’amara constatazione della ristrettezza delle proprie
prospettive di stabilizzazione e di crescita professionale.
Se in passato il lavoro a termine nella Pubblica Amministra-
zione è stato utilizzato come un avvicinamento a tappe all’obiet-
tivo della stabilizzazione, adesso il legame precario con il posto di
lavoro sembra rappresentare una condizione di lunga permanen-
za. Infatti, in molti casi, usufruendo di più rinnovi contrattuali,
si sono creati rapporti di lavoro duraturi, che hanno determinato
per il lavoratore (ma anche per l’ente) una continuità professio-
nale. Si tratta, tuttavia, di una condizione non assimilabile alla
stabilità, perché rappresenta spesso il prolungamento nel tempo
di una condizione vissuta e percepita come instabile. La lunga
durata è in questo caso un indicatore di intrappolamento in una
condizione, dalla quale diventa sempre più difficile uscire, man
mano che passano gli anni e si cresce dal punto di vista dell’età
anagrafica. Inoltre, la continuità del rapporto con l’ente consente
l’instaurarsi di una relazione con il committente, con i colleghi,
con l’intero ambiente lavorativo che alimenta la speranza del rag-
giungimento del traguardo: l’assunzione a tempo indeterminato.
Ma la percezione di essere rimasti intrappolati è determinata
anche dalla consapevolezza da parte di questi lavoratori di aver
intrapreso un percorso professionale fortemente orientato, ri-
spetto al quale molto è stato investito in termini di risorse, tem-
160
po e dedizione, oltre che in termini di costruzione della propria
identità personale, un percorso tuttavia che ha caratteristiche,
competenze ed abilità che spesso lo rendono poco spendibile
al di fuori del settore pubblico o addirittura del singolo ente.
Pertanto, non solo rimangono irrealizzate e irrealizzabili, se non
per pochi, le prospettive di stabilizzazione, ma diventa anche
difficile rimettersi in gioco, spesso in età non così giovane (per
alcuni è stata superata abbondantemente la soglia convenziona-
le dei 35 anni di ingresso nell’età adulta), in un mercato del lavo-
ro come quello toscano caratterizzato da una domanda di lavoro
attestata su bassi livelli di qualificazione dei profili richiesti, con
conseguenti difficoltà di assorbimento dei soggetti in possesso
di elevati titoli di studio.
Tra le altre principali dimensioni di insoddisfazione dei lavo-
ratori intervistati, è emersa anche la frustrazione derivante dal-
l’immeritata disuguaglianza di trattamento rispetto ai colleghi
dipendenti, sia nel caso in cui svolgano le stesse attività, e ancor
più nel caso in cui ricoprano incarichi niente affatto straordina-
ri e non svolti da nessun altro.
Si tratta, infatti, di una forza lavoro che, seppure a termine,
è consapevole di essere una componente tutt’altro che marginale
per la Pubblica Amministrazione, vista l’entità e le caratteristiche
delle attività svolte, ma che si percepisce (e si trova) in un vuoto
di cittadinanza. La tipicità dell’attività svolta è, infatti, associata
all’atipicità della condizione contrattuale, che li relega nella con-
dizione di lavoratori di serie B, inclusi solo temporaneamente nel-
le tutele (come i lavoratori a tempo determinato), oppure esclusi
(parzialmente o totalmente) dalle principali tutele (come collabo-
ratori, titolari involontari di partita IVA, borsisti ecc.).
è emersa, a questo proposito, una forte domanda di tutele
e garanzie, che dovrebbero compensare la preoccupazione per
la precarietà dei rapporti di lavoro e che costituiscono il terre-
no ideale per lo sviluppo di azioni di tipo collettivo. Si tratta di
richieste relative ad una legislazione più protettiva in materia
di diritti, di tutele contrattuali relative alle retribuzioni e alle
condizioni costitutive del rapporto di lavoro, oltre che quelle di
maggiori prestazioni nel campo delle politiche sociali, in parti-
colare sul versante della maternità e della previdenza.
Un primo segnale positivo di accoglimento di tali richieste
è ravvisabile nel tentativo compiuto in varie amministrazioni
pubbliche toscane di ampliare ed integrare il sistema delle tute-
le per i lavoratori non standard attraverso la stipula di accordi
sindacali.
161
Ovviamente tali interventi a livello locale, dai quali non si
può prescindere, devono comunque far riferimento ad una revi-
sione del quadro normativo nazionale in materia di lavoro, che
conduca alla costruzione di un sistema di sicurezza sociale in
grado di rispondere al diffuso senso di precarietà collegato alle
trasformazioni introdotte nel mercato del lavoro. La garanzia
di una continuità di cittadinanza del lavoro (Accornero, 2006a)
passa attraverso il riconoscimento di una base minima di diritti
equivalenti per tutti i lavoratori e l’individuazione di strumenti
di tutela che rendano la flessibilità sostenibile, anche per chi ha
intrapreso percorsi lavorativi nel pubblico impiego.

162
Conclusioni

La prima indagine longitudinale sul lavoro flessibile in Tosca-


na mostra innanzitutto come la presenza del lavoro a termine sia
sempre più rilevante e diffusa in modo capillare in tutta la regio-
ne: dal 4,4% del 1993 al 12,5% del 2006, dato che si pone comun-
que al di sotto di quello nazionale (13,1%) ed europeo (14,4%).
Ma come valutare questa crescita? Quali gli esiti per le per-
sone coinvolte in traiettorie di questo tipo? Quale la qualità del
lavoro attivato? Queste le principali domande che il gruppo di
lavoro si è posto nelle varie fasi della ricerca. Ecco, in sintesi, le
principali risposte a tali quesiti.
La prima conclusione è che la diffusione di figure lavorative
atipiche non è cresciuta solamente tra le generazioni in ingresso
sul lavoro ma anche tra le fasce adulte di uomini e donne, segna-
lando come siano sempre più elevate le probabilità di rimanere
intrappolati nella precarietà.
Ma l’elemento fondamentale per valutare i lavori a termine è
comprendere se questi ultimi stiano segmentando il mercato del
lavoro in lavoratori di serie A e lavoratori di serie B, i primi con
il massimo delle tutele e garanzie, i secondi poco o per niente
protetti dal nostro sistema di welfare.
È stato per questo ritenuto cruciale, ed è la novità assoluta
di questo studio, adottare un approccio longitudinale al fine di
“seguire” la situazione di un gruppo di lavoratori, per un perio-
do di tempo di sei anni, con l’obiettivo di comprendere in che
misura i lavori temporanei finiscano per trasformarsi in occu-
pazioni stabili all’interno delle traiettorie dei singoli lavorato-
ri. L’indagine mostra in modo evidente come le probabilità di
stabilizzazione non aumentino in modo lineare con il passare
del tempo, anzi. Trascorso un certo numero di anni da un avvia-
mento al lavoro con tipologia contrattuale instabile crescono,
al contrario, le possibilità di rimanere invischiati in quelle che
sono state definite sequenze occupazionali di tipo “job carousel”

163
(Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005), con passaggi fra occupazioni e
stati occupazionali diversi, dentro e fuori il mercato del lavoro,
o peggio ancora di uscire dalla condizione di occupato verso la
disoccupazione o l’inattività. I principali risultati dell’indagine
non sembrano fornire un quadro tranquillizzante: a distanza di
sei anni da un avviamento al lavoro con tipologie contrattuali
flessibili le trasformazioni in lavori stabili riguardano meno di
metà del campione (48%).
Da evidenziare, inoltre, che nell’ultimo biennio si assiste ad
una riduzione dei passaggi verso il lavoro garantito (un incre-
mento medio annuo di 3,5 punti negli ultimi due anni contro
gli oltre 10 punti medi annui dei quatro anni precedenti) mo-
strando come per coloro che non sono riusciti a “stabilizzarsi”
entro un certo lasso di tempo si incrementino le probabilità di
rimanere intrappolati nel “carosello” dei lavori precari, o peggio
ancora di divenire disoccupati o inattivi.
Sembra dunque evidente che i lavori atipici non abbiano
avuto un effetto trampolino (verso il lavoro stabile) efficace allo
stesso modo per tutti e ovunque. Il rischio di intrappolamento è
risultato particolarmente elevato per le donne, i non più giova-
ni, i meno scolarizzati, coloro che vivono in sistemi locali poco
strutturati e dinamici, ma soprattutto nei casi in cui si prolunghi
oltre un certo limite la durata e/o la sequenza di impieghi insta-
bili nel proprio percorso.
La presenza di una frattura tra condizioni lavorative di lavo-
ratori stabili e instabili è risultata evidente sotto diversi punti di
vista. Innanzitutto la flessibilità risulta sempre di più una con-
dizione non scelta ma subita, nonostante talvolta sia considera-
ta necessaria per il raggiungimento delle aspirazioni personali,
in particolare per i lavoratori più istruiti, qualificati e con un
percorso congruente con l’attuale mansione. Ulteriori svantaggi
consistono in stipendi più bassi degli stabili e in lavori che si
svolgono più frequentemente in orari “socialmente svantaggia-
ti”.
Ciò che appare più drammatico però è il fatto che anche le
prospettive occupazionali future non siano giudicate in modo
ottimistico dagli intervistati, che dichiarano di non riuscire ad
intravedere un futuro diverso e migliore.
Emblematica, da questo punto di vista, la condizione dei
lavoratori instabili del settore pubblico dove i reiterati blocchi
alle assunzioni adottati per frenare il disavanzo pubblico hanno
generato una schiera di lavoratori precari che svolgono lo stesso
lavoro e le stesse funzioni dei dipendenti a fronte di un’immeri-
164
tata disparità nell’accesso a tutele e diritti. Dopo anni di impiego
presso lo stesso ente (mediamente almeno tre anni), svolgendo
funzioni essenziali per il funzionamento ordinario della struttu-
ra presso la quale prestano servizio, la sensazione che hanno in
molti è quella di essere rimasti intrappolati in una condizione
di precarietà dalla quale diventa sempre più difficile uscire in
quanto l’investimento fatto ha consentito di sviluppare compe-
tenze e professionalità che, in molti casi, sono spendibili solo
nel pubblico o, ancor peggio, solo presso l’ente committente.
A questo diffuso senso di scarsa fiducia verso il futuro lavo-
rativo si accompagnano anche le incertezze relative al welfare39:
solo una minoranza degli intervistati si aspetta infatti di percepi-
re in futuro una pensione adeguata. è ovvio che questa mancan-
za di prospettive può spingere all’insofferenza o all’abbattimento
alimentando un malessere sociale che influenza e condiziona i
comportamenti individuali e collettivi, frustrando gli stimoli a
intraprendere, ad affermarsi, a creare (Accornero, 2006a).
Ma che cosa possiamo fare per superare la divisione dei la-
voratori in serie A e B? Qual è la ricetta da seguire affinché i gio-
vani coinvolti (ma non solo), che rappresentano il motore della
dinamicità sociale, possano ritrovare quella risorsa che sappia-
mo essere indispensabile per lo sviluppo e l’avvenire della nostra
comunità, la fiducia?
Innanzitutto attivare una rete di protezione universale e de-
corosa che al tempo stesso non disincentivi lo sforzo di ricerca
del lavoro. Il concetto è quello di “welfare delle opportunità”, in
luogo del welfare della protezione passiva che viene dal passato.
I suoi capisaldi dovrebbero essere rappresentati dall’istruzione,

39
Il senso di precarietà e di sfiducia ha del resto le sue valide ragioni di esi-
stere. Nonostante sia trascorso un bel po’ di tempo da quando, nel nostro
paese, sono stati introdotti elementi di flessibilità riguardanti le modalità di
ingresso nel lavoro (varati dal centro-sinistra nel 1997 con il cosiddetto “pac-
chetto Treu” e ulteriormente ampliati dal successivo governo di centro-destra
con Legge 30 del 2003), non è ancora stata impostato un sistema di sicurezza
sociale che tuteli i lavoratori nei confronti dei cambiamenti introdotti. Una
delle caratteristiche peculiari del sistema di welfare italiano è infatti l’assenza
di una prestazione di tipo assistenziale che intervenga a sostenere il reddito
dei disoccupati quando termina il diritto a percepire le prestazioni di tipo
assicurativo. All’esigenza di una safety net di ultima istanza, si è risposto in
modo né equo, né trasparente estendendo eccessivamente la durata di alcune
prestazioni assistenziali (Cig e mobilità), la platea dei beneficiari di altre pre-
stazioni (pensioni di invalidità e pensioni agli invalidi civili), i requisiti per la
concessione di prepensionamenti, pensioni di anzianità, ecc.

165
dalla formazione professionale, dalle politiche attive del lavoro
e dell’occupazione. Solo accompagnando la proclamazione dei
diritti con l’erogazione di servizi per l’occupabilità, si può assi-
curare ai lavoratori la tutela e la valorizzazione del loro capitale
umano, e quindi la loro libertà negoziale, lungo l’intero arco del-
la vita lavorativa.
Bisogna, inoltre, ridisegnare la cittadinanza sociale, tramite
politiche che allarghino le possibilità di ingresso e di crescita dei
giovani nel mercato del lavoro, limitando la precarietà connessa
alla flessibilità, riattivando i meccanismi di promozione sociale,
abbassando le barriere di ingresso alle professioni e alle nicchie
protette della società, ampliando il reclutamento di giovani in
posizioni di responsabilità nelle invecchiate gerarchie della vita
politica, economica, sociale (Livi Bacci, 2005).
Solo così potremo dare vita a una società futura caratterizza-
ta da un ricambio generazionale più armonioso e una struttura
demografica più sostenibile dal punto di vista economico.

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178
Allegato 1
Costruzione del campione e piano di campionamento

Il campione di intervistati è stato ripreso da un precedente cam-


pione di lavoratori intervistati dall’IRPET tra Dicembre 2004 e
Gennaio 2005 che deriva dalla seguente procedura di campio-
namento.
Tramite l’analisi discriminante sono stati costruiti dei gruppi di
Centri per l’Impiego che abbiamo chiamato distretti, caratteriz-
zati da una forte omogeneità al loro interno ed eterogeneità tra
loro. All’interno di ciascun distretto sono stati selezionati singoli
Centri per l’Impiego che abbiamo convenzionalmente chiamato
sezioni (dal termine sezioni di collocamento).
Le sezioni rappresentative di ciascun distretto che sono state
selezionate sono:
– Firenze per il distretto numero 1.
– Mugello per il distretto numero 2.
– S. Croce per il distretto numero 3.
– Rosignano per il distretto numero 4.
– Follonica per il distretto numero 5.
La scelta di tali sezioni è stata in parte casuale, in parte motiva-
ta dalla disponibilità all’invio degli archivi necessari all’indagine
telefonica. La sezione estratta rappresenta, con una affidabilità
statistica dipendente dai risultati dell’analisi discriminante, tutti i
Centri per l’Impiego appartenenti al medesimo distretto.
A ciascuna sezione selezionata è stato richiesto l’archivio degli
avviati al 2000 relativo alle seguenti tipologie contrattuali:
– Avviati a tempo indeterminato.
– Avviati a tempo determinato.
– Avviati part-time.
– Avviati causa mista.
I campi richiesti sono stati i seguenti:
– Nome.
– Cognome.
– Sesso.
– Data di avviamento.
– Tipologia contrattuale.
– Numero di telefono.
– Comune di residenza.
– Codice fiscale.
– Data di nascita.

179
Il piano di campionamento utilizzato è di tipo casuale sempli-
ce stratificato in modo proporzionale con limitazione superiore
della numerosità campionaria negli strati. Le variabili di strati-
ficazione sono le seguenti:

• Sezioni (Centro per l’Impiego)


Da ciascuno dei 5 distretti ottenuti dall’analisi discriminante è
stato estratto un Centro per l’Impiego (Sezione): la variabile Se-
zione è dunque formata da 5 modalità che sono i 5 Centri per
l’Impiego estratti e precisamente:
– Firenze.
– Borgo San Lorenzo (Mugello).
– S. Croce.
– Rosignano.
– Follonica.

• Genere
Ovviamente rappresentato da 2 strati:
– Maschi.
– Femmine.

• Tipologie contrattuali
Sono state prese in considerazione 3 tipologie di contratti:
– Tempo determinato.
– Part-time (qualsiasi tipologia contrattuale).
– Causa mista (contratto di formazione lavoro e apprendistato).
Complessivamente, gli strati formati dall’intersezione delle tre
variabili categoriche, mostrati nella tabella 1, sono risultati 30,
per ciascuno è stato eseguita una estrazione casuale semplice
senza ripetizione con numerosità proporzionale alla dimensione
dello strato, ma limitata ad un numero massimo di unità cam-
pionarie pari a 100. La numerosità campionaria complessiva è
stata posta pari a 2000.

180
Tabella 1. Numerosità campionaria
Archivio Archivio
Pop. Pop. Archivio
Distr. Sezione Sesso Contratto Strati senza con Camp.
Distretti Sezioni totale telefono telefono

1 Firenze M Determinato 1 25.403 7.519 1.608 318 1290 100


1 Firenze M Part-time 2 3.303 1.270 709 152 557 100
1 Firenze M Causa mista 3 7.262 2.766 577 35 542 100
1 Firenze F Determinato 4 28.560 9.515 1.649 160 1489 100
1 Firenze F Part-time 5 8.943 3.316 1.864 192 1672 100
1 Firenze F Causa mista 6 5.701 2.587 451 41 410 100
2 Mugello M Determinato 7 17.178 1.433 128 19 109 38
2 Mugello M Part-time 8 2.020 144 52 5 47 17
2 Mugello M Causa mista 9 5.150 436 100 6 94 33
2 Mugello F Determinato 10 15.769 1.332 153 7 146 51
2 Mugello F Part-time 11 5.782 512 216 7 209 73
2 Mugello F Causa mista 12 3.006 240 74 2 72 25
3 S. Croce M Determinato 13 19.198 1.441 205 21 184 65
3 S. Croce M Part-time 14 2.824 175 28 3 25 9
3 S. Croce M Causa mista 15 9.440 626 111 8 103 36
3 S. Croce F Determinato 16 16.633 634 225 10 215 75
3 S. Croce F Part-time 17 6.965 198 134 5 129 45
3 S. Croce F Causa mista 18 6.324 249 102 4 98 34
4 Rosignano M Determinato 19 10.206 1.267 205 52 153 54
4 Rosignano M Part-time 20 1.851 429 104 20 84 30
4 Rosignano M Causa mista 21 3.625 692 158 28 130 46
4 Rosignano F Determinato 22 12.459 1.818 252 17 235 82
4 Rosignano F Part-time 23 4.731 1.132 400 50 350 100
4 Rosignano F Causa mista 24 2.938 544 171 12 159 56
5 Follonica M Determinato 25 7.068 1.403 1.524 281 1243 100
5 Follonica M Part-time 26 561 160 160 5 155 54
5 Follonica M Causa mista 27 2.103 367 350 15 335 100
5 Follonica F Determinato 28 5.679 1.271 995 39 956 100
5 Follonica F Part-time 29 1.966 471 628 26 602 100
5 Follonica F Causa mista 30 1.178 231 220 2 218 77

Le successive variabili della tabella 1 rappresentano le nume-


rosità complessive degli archivi per strato ed indicano relativa-
mente al 2000:
– La popolazione degli avviati per strato nei distretti da cui
sono stati estratte le sezioni (Pop. Distretti).
– La popolazione degli avviati per strato nei Centri per l’Impie-
go selezionati dai distretti (Pop. Sezioni).
– La popolazione che figura negli archivi dei singoli Centri per
l’Impiego (Archivio totale).
– La popolazione degli archivi dei Centri per l’Impiego per i
quali non è disponibile il numero telefonico (Archivio senza tele-
fono).
– La popolazione degli archivi dei Centri per l’Impiego per i
quali è presente un numero telefonico (Archivio con telefono).
– La numerosità campionaria per strato (Camp.).
181
Il coefficiente di riporto all’universo è stato determinato come
rapporto tra numerosità campionaria dello strato e numero dei
record dell’Archivio totale (che comprende tutti i record non
doppi con e senza numero telefonico). Dalla numerosità cam-
pionaria dipende la precisione o più tecnicamente parlando l’ef-
ficienza degli stimatori, tale efficienza può essere misurata in
molti modi, due tra i più diretti indici per misurare la bontà del-
le stime sono l’errore relativo percentuale della stima err% e l’er-
rore assoluto della stima ass. Se Θ è il parametro da stimare e Θ
è il suo stimatore indichiamo questi indici nel seguente modo:

err% = |Θ-θ| / θ
ass = |Θ-θ|

In genere l’errore relativo percentuale si può calcolare per le va-


riabili quantitative e l’errore assoluto per le variabili qualitati-
ve.

• Precisione della stima per le variabili quantitative


Quando si osservano, su un campione estratto da una popola-
zione, variabili quantitative è possibile per esse calcolare (sia
nel campione che nella popolazione) la media e la varianza di
tali variabili.
L’errore percentuale di una stima della media dipende dalla me-
dia della popolazione (µ), dalla varianza della popolazione (σ2)
e dalla numerosità campionaria (n), in base alla seguente for-
mula:

σ
 
 µ  1,96 ⋅ CV
err% = 1,96 ⋅ =
n n

Aggregando media e varianza nel coefficiente di variazione (CV),


si può vedere come cambia l’errore percentuale della stima al
variare appunto del coefficiente di variazione e della numero-

sità (Tab. 2). è chiaro che il parametro µ per calcolare l’erro-
re percentuale sia diverso da 0 altrimenti l’errore percentuale
dovrebbe essere sostituito dallo scarto assoluto, come misura
dell’efficienza dello stimatore.

182
Tabella 2. Errori % al 95% di confidenza
Numerosità/cv 0,1 0,4 0,7 1 1,3 1,6 1,9 2,2 2,5 2,8 3,1 3,4 3,7 4

20 4,4 17,5 30,7 43,8 57,0 70,1 83,3 96,4 109,6 122,7 135,9 149,0 162,2 175,3
40 3,1 12,4 21,7 31,0 40,3 49,6 58,9 68,2 77,5 86,8 96,1 105,4 114,7 124,0
60 2,5 10,1 17,7 25,3 32,9 40,5 48,1 55,7 63,3 70,8 78,4 86,0 93,6 101,2
80 2,2 8,8 15,3 21,9 28,5 35,1 41,6 48,2 54,8 61,4 67,9 74,5 81,1 87,7
100 2,0 7,8 13,7 19,6 25,5 31,4 37,2 43,1 49,0 54,9 60,8 66,6 72,5 78,4
120 1,8 7,2 12,5 17,9 23,3 28,6 34,0 39,4 44,7 50,1 55,5 60,8 66,2 71,6
140 1,7 6,6 11,6 16,6 21,5 26,5 31,5 36,4 41,4 46,4 51,4 56,3 61,3 66,3
160 1,5 6,2 10,8 15,5 20,1 24,8 29,4 34,1 38,7 43,4 48,0 52,7 57,3 62,0
180 1,5 5,8 10,2 14,6 19,0 23,4 27,8 32,1 36,5 40,9 45,3 49,7 54,1 58,4
200 1,4 5,5 9,7 13,9 18,0 22,2 26,3 30,5 34,6 38,8 43,0 47,1 51,3 55,4
220 1,3 5,3 9,3 13,2 17,2 21,1 25,1 29,1 33,0 37,0 41,0 44,9 48,9 52,9
240 1,3 5,1 8,9 12,7 16,4 20,2 24,0 27,8 31,6 35,4 39,2 43,0 46,8 50,6
260 1,2 4,9 8,5 12,2 15,8 19,4 23,1 26,7 30,4 34,0 37,7 41,3 45,0 48,6
280 1,2 4,7 8,2 11,7 15,2 18,7 22,3 25,8 29,3 32,8 36,3 39,8 43,3 46,9
300 1,1 4,5 7,9 11,3 14,7 18,1 21,5 24,9 28,3 31,7 35,1 38,5 41,9 45,3
320 1,1 4,4 7,7 11,0 14,2 17,5 20,8 24,1 27,4 30,7 34,0 37,3 40,5 43,8
340 1,1 4,3 7,4 10,6 13,8 17,0 20,2 23,4 26,6 29,8 33,0 36,1 39,3 42,5
360 1,0 4,1 7,2 10,3 13,4 16,5 19,6 22,7 25,8 28,9 32,0 35,1 38,2 41,3
380 1,0 4,0 7,0 10,1 13,1 16,1 19,1 22,1 25,1 28,2 31,2 34,2 37,2 40,2
400 1,0 3,9 6,9 9,8 12,7 15,7 18,6 21,6 24,5 27,4 30,4 33,3 36,3 39,2
420 1,0 3,8 6,7 9,6 12,4 15,3 18,2 21,0 23,9 26,8 29,6 32,5 35,4 38,3
440 0,9 3,7 6,5 9,3 12,1 15,0 17,8 20,6 23,4 26,2 29,0 31,8 34,6 37,4
460 0,9 3,7 6,4 9,1 11,9 14,6 17,4 20,1 22,8 25,6 28,3 31,1 33,8 36,6
480 0,9 3,6 6,3 8,9 11,6 14,3 17,0 19,7 22,4 25,0 27,7 30,4 33,1 35,8
500 0,9 3,5 6,1 8,8 11,4 14,0 16,7 19,3 21,9 24,5 27,2 29,8 32,4 35,1

Una volta estratto il campione, possiamo stimare l’errore per-


centuale commesso stimando preventivamente per la variabile
di studio il coefficiente di variazione utilizzato tramite la for-
mula:

^ S
2
CV =
X

• Precisione della stima per le variabili qualitative


Molte delle variabili sono variabili qualitative relative a doman-
de che richiedono€una risposta su k modalità. è importante in
questo caso poter stimare efficientemente la proporzione di cia-
scuna modalità nella popolazione. Lo stimatore di tale propor-
zione usualmente utilizzato è la proporzione campionaria:

∧ Y Numero di osse rvazioni che presentano l a modalità


P = n =
Numerosità camp ionaria

183
In questo caso non è possibile stimare efficacemente l’errore
percentuale della stima rispetto alla proporzione vera in quan-
to, essendo la proporzione vera un valore compreso tra 0 ed 1
può avvicinarsi anche molto allo 0 rendendo l’errore percentua-
le smisuratamente elevato (anche quando le stime sono buone).
In questo caso si calcola semplicemente lo scarto assoluto tra
stima e parametro. Considerando che la distribuzione della pro-
porzione campionaria è una Binomiale relativa con media p e
varianza p(1-p)/n e notando che tale distribuzione tende asin-
toticamente ad una normale lo scarto assoluto può essere calco-
lato nel seguente modo:

P ⋅ (1 - P)
ass = 1,96 ⋅
n

Nella tabella 3 si mostrano gli errori assoluti calcolati al variare


della numerosità e del parametro p.

Tabella 3. Errori assoluti al 95% di confidenza
Numerosità/p 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9

10 18,6 24,8 28,4 30,4 31,0 30,4 28,4 24,8 18,6


20 13,1 17,5 20,1 21,5 21,9 21,5 20,1 17,5 13,1
40 9,3 12,4 14,2 15,2 15,5 15,2 14,2 12,4 9,3
60 7,6 10,1 11,6 12,4 12,7 12,4 11,6 10,1 7,6
80 6,6 8,8 10,0 10,7 11,0 10,7 10,0 8,8 6,6
100 5,9 7,8 9,0 9,6 9,8 9,6 9,0 7,8 5,9
150 4,8 6,4 7,3 7,8 8,0 7,8 7,3 6,4 4,8
200 4,2 5,5 6,4 6,8 6,9 6,8 6,4 5,5 4,2
250 3,7 5,0 5,7 6,1 6,2 6,1 5,7 5,0 3,7
300 3,4 4,5 5,2 5,5 5,7 5,5 5,2 4,5 3,4
350 3,1 4,2 4,8 5,1 5,2 5,1 4,8 4,2 3,1
400 2,9 3,9 4,5 4,8 4,9 4,8 4,5 3,9 2,9
450 2,8 3,7 4,2 4,5 4,6 4,5 4,2 3,7 2,8
500 2,6 3,5 4,0 4,3 4,4 4,3 4,0 3,5 2,6
550 2,5 3,3 3,8 4,1 4,2 4,1 3,8 3,3 2,5
600 2,4 3,2 3,7 3,9 4,0 3,9 3,7 3,2 2,4
650 2,3 3,1 3,5 3,8 3,8 3,8 3,5 3,1 2,3

La variabilità massima si ottiene quando P = 0,5, dunque ass =


0,98/n. La seguente tabella mostra per diverse numerosità cam-
pionarie e diversi valori di p l’errore assoluto che si può commet-
tere nella stima della proporzione con la probabilità del 95%.

184
• Gli intervistati
L’Osservatorio longitudinale, nel suo primo anno di attività, si è
posto quindi l’obiettivo di re-intervistare soggetti colti all’inter-
no del campione di intervistati che al 2004 erano risultati ancora
flessibili o che invece erano all’epoca usciti dalle forze di lavoro
(esclusi i pensionati).
Prioritario obiettivo conoscitivo è stato quello di analizzare gli
sbocchi occupazionali di questi lavoratori per cogliere, a distan-
za di altri due anni, qual è la loro posizione nel mercato del
lavoro, e se questa è scelta oppure subita. Lo scopo di questa ri-
levazione (e delle successive) è dunque quello di seguire nel tem-
po i percorsi lavorativi di lavoratori atipici, distinti per settore
di attività e sistema locale di appartenenza, per comprendere se
le tipologie contrattuali flessibili rappresentano un trampolino
verso la stabilizzazione nel mercato del lavoro o un intrappola-
mento nella precarietà.
Nel campione è stato deciso di intervistare, come gruppi di con-
trollo, anche coloro che al 2004 si erano stabilizzati con un con-
tratto a tempo indeterminato o con un lavoro di tipo autonomo.
Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati gli esiti degli oltre 1.800 contatti
telefonici, avvenuti tra il 24 gennaio e il 13 febbraio 2006, che
hanno portato al risultato finale di 900 interviste.

Tabella 4. Esito numeri contattati


  VA %

Numero inesistente/sbagliato 127 7,0


Accetta intervista 900 49,3
Richiamare (è stata effettuata almeno 1 telefonata) 504 27,6
Rifiuta 109 6,0
Non è mai rintracciabile/Ha cambiato abitazione 147 8,0
Interotto 40 2,2
Totale 1.827 100,0

185
Tabella 5. Interviste realizzate per strato
Condizione al 2004 Universo Intervistati Incidenza %

Disoccupato 207 116 56,0


Casalinga 133 80 60,2
Studente 173 89 51,4
Tirocinante 8 3 37,5
Altra condizione non occupato 44 16 36,4
NON OCCUPATO 565 304 53,8

Dipendente a tempo indeterminato 752 351 46,7


Lavoratore autonomo 91 39 42,9
LAVORATORE STABILE 843 390 46,3

Co.co.co./a progetto 48 21 43,8


Interinale 4 2 50,0
Lavoratore stagionale 5 6 120,0
Socio lav. Coop. 12 4 33,3
Contratti occasionali 15 8 53,3
Formazione lavoro 17 4 23,5
Apprendistato 77 33 42,9
Lavori senza contratto 21 10 47,6
Altro occupato 19 9 47,4
Dipendente a tempo determinato 201 109 54,2
LAVORATORE FLESSIBILE 419 206 49,2

Totale 1.827 900 49,3

• L’intervista e il questionario
L’intervista, di tipo telefonico, con metodo CATI, è stata foca-
lizzata su alcuni nodi tematici, in particolare sui percorsi della
flessibilità, gli esiti, i costi, le aspettative. Un’attenzione partico-
lare è stata dedicata ai contenuti e alle condizioni di lavoro: ti-
pologia dell’attività svolta, luoghi, tempi di lavoro, soddisfazione
nei confronti di vari aspetti del lavoro. È stato, inoltre, indagato
circa i possibili rischi di precarizzazione, facendo riferimento
alle tutele di welfare e ai bisogni espressi in termini di rappresen-
tanza (vedi Allegato 2).

186
Allegato 2
Questionario

Nel 2004 ci risulta che lei fosse nella condizione di:


Inoccupato
Disoccupato
Casalinga
Studente
Lavoratore stagionale
Tirocinante
Altra condizione
Dipendente a tempo determinato
Co.co.co.
Interinale
Socio lav. coop.
Contratti occasionali
Formazione lavoro
Apprendistato
Lavori senza contratto
Altro
Lavoro autonomo
Dipendente a tempo indeterminato

Che durata aveva il contratto?


1-3 mesi
4-11 mesi
12 mesi
Più di 12 mesi
Non ricordo

In quale settore?
Agricoltura
Attività manifatturiere e Costruzioni
Commercio
Alberghi e ristoranti
Servizi alle aziende
Servizi alle persone
Non ricordo
Altro

187
Quale era la categoria professionale?
Dipendente come:
Dirigente
Direttivo/quadro
Impiegato intermedio
Operaio subalterno e assimilati
Apprendista
Lav. a domicilio per imprese
Autonomo come:
Imprenditore
Libero professionista
Lavoratore in proprio
Coadiuvante nell’azienda di un familiare
Socio di cooperativa

Quanti addetti aveva l’azienda per la quale lavorava (tutti i


lavoratori compresi titolari e soci)?
1-3
4-9
10-19
20-49
50-100
101-249
250 e oltre
Non ricorda

L’azienda per la quale lavorava era di proprietà prevalentemente:


Pubblica
Privata
Terzo settore (cooperative sociali, associazioni, volontariato,
fondazioni)

Nel 2000 era occupato con la seguente tipologia


contrattuale?
Tempo determinato
Formazione lavoro
Apprendistato
Tempo indeterminato

188
Da quando ha cominciato a lavorare quale genere di rapporto ha
intrattenuto prevalentemente?
Dipendente a tempo indeterminato
Tempo pieno
Part-time
Dipendente a tempo determinato
Tempo pieno
Part-time
Lavoro interinale
Tempo pieno
Part-time
Collaborazione coordinata e continuativa
Con partita IVA
Senza partita IVA
Socio lavoratore delle cooperative
Contratti occasionali
Formazione lavoro
Apprendistato
Lavoro autonomo
Lavori senza contratto
Con varie tipologie di contratto
Stagionale
Non ricordo/ non sa
Altro

Qual è attualmente la sua condizione professionale?


Occupato
Non occupato
In cerca di occupazione
Casalinga
Studente
In servizio di leva o in servizio civile sostitutivo
Inabile al lavoro
Ritirato dal lavoro
Lavoratore stagionale (al momento inoccupato)
Tirocinante/corsista/stagista
Altra condizione
Non risposto

189
PER COLORO CHE LAVORANO

Tipologia e caratteristiche dell’attività lavorativa principale


Adesso le porrò alcune domande relative alle caratteristiche
del suo lavoro. Se R. svolge più di un lavoro consideri quello
principale, cioè quello a cui dedica più ore. Se svolge più lavori
ai quali dedica lo stesso tempo consideri quello che ritiene più
importante (maggior guadagno, stabilità del lavoro, ecc.)
Lei lavora come:

Lavoratore dipendente
A tempo indeterminato
Contratto di formazione lavoro sono scaduti
Contratto di apprendistato
Contratto a termine inquadrato in un contratto collettivo
Contratto con agenzia di lavoro interinale
Altro tipo di contratto a termine
Lavoratore con contratti di:
Collaborazione coordinata e continuativa senza partita IVA
Collaborazione coordinata e continuativa con partita IVA
Prestazione d’opera occasionale senza partita IVA
Prestazione d’opera occasionale con partita IVA
Autonomo come:
Imprenditore
Libero professionista
Lavoratore in proprio
Coadiuvante nell’azienda di un familiare
Socio di cooperativa

190
PER COLORO CHE LAVORANO A TEMPO
INDETERMINATO O IN MODO AUTONOMO

Il passaggio da un lavoro a termine ad un lavoro più


stabile (con contratto a tempo indeterminato o autonomo)
ha avuto costi o benefici?

Ha avuto dei costi


Ho dovuto rinunciare ad un lavoro più interessante
Guadagno meno
Ho meno tempo libero
Ho meno autonomia
Ho meno possibilità di carriera
Non ritengo affatto il lavoro attuale stabile
Altro

Ha avuto dei benefici


Ho un lavoro più interessante
Guadagno di più
Ho più tempo libero
Ho più autonomia
Ho più possibilità di carriera
Ho maggiori tutele (pensione, malattia, ferie, ecc.)
Altro

SOLO AI CO.CO.CO.

Lei lavora per una sola azienda e/o cliente o per più di una
azienda e/o clienti?
Per una sola azienda/cliente
Per più aziende/clienti

SE LAVORA CON PIÙ DI UNA PERCHé?


Non ho altra scelta
Mi garantisco una certa continuità del lavoro
Mi è utile per crescere professionalmente
Ho maggiore autonomia
Altro

191
SE LAVORA PER UNA SOLA PERCHé?
Non ho altra scelta
Ho scelto di lavorare per l’azienda che mi garantisce possibilità
di stabilizzazione futura
Ho scelto di lavorare per l’azienda che mi garantisce possibilità
di crescita professionale
Ho scelto il committente che mi garantiva di lavorare con più
autonomia
SE HA LA PARTITA IVA
La decisione di prendere la partita IVA
è stata una scelta sua
è stata una scelta imposta dall’azienda
Abitualmente decide dove lavorare o è tenuto a lavorare
presso l’azienda e/o il cliente?
Decide dove lavorare
Lavora presso l’azienda/cliente
SOLO PER COLORO CHE HANNO UN CONTRATTO A
TERMINE INCLUSI CO.CO.CO.
Qual è la durata complessiva in mesi dell’attuale
contratto?
Meno di un mese
N. mesi
Il lavoro è a termine perché si tratta di:
Periodo di formazione
Periodo di prova
Lavoro stagionale
Lavoro occasionale (comprese supplenze nella scuola o
sostituzione di un lavoratore)
Lavoro per la realizzazione di un progetto
Occupare un posto vacante (incarico a termine nella scuola,
nella sanità, ecc.)
Altro
Non sa
Di che tipo di contratto a termine si tratta?
Contratto di formazione lavoro
Contratto di apprendistato
Contratto a termine inquadrato in un contratto collettivo
Contratto con agenzia di lavoro interinale

192
Altro tipo di contratto

Quali sono le motivazioni che la inducono in questo


momento a lavorare con forme contrattuali a termine?
È una scelta
Non ho avuto altra scelta

SE È STATA UNA SCELTA


Perché ha scelto di lavorare con forme contrattuali
flessibili?
Per avere autonomia
Per la flessibilità degli orari
Perché era l’unico modo di svolgere il lavoro desiderato
Per integrare il reddito familiare
Per fare un’esperienza formativa

PER COLORO CHE HANNO più DI UN CONTRATTO


RIFERIRSI SEMPRE A QUELLO PRINCIPALE DAL
PUNTO DI VISTA DEL GUADAGNO E/O DELLE ORE
LAVORATE, O COMUNQUE A QUELLO CHE I. RITIENE
PIù IMPORTANTE.

Qual è la durata del suo ultimo contratto (in mesi)?

Quanti sono i contratti che ha avuto complessivamente con


l’attuale committente?
(Conteggiare anche contratti avuti diversi da quello in corso)

Pensando ai prossimi 12 mesi lei prevede di poter svolgere


un’attività lavorativa?
Sì, sempre con contratti non stabili
Sì, con un contratto a tempo indeterminato
No, nei prossimi mesi non ha intenzione di lavorare (motivi di
studio, famiglia..)
No, purtroppo non credo che troverò nuovi lavori
Non so

ORARIO DI LAVORO
Lei ha un contratto a tempo pieno o part-time?
A tempo pieno
A tempo parziale
Altro
193
SOLO PER I PART-TIMERS
Per quale motivo lavora part-time?
Perché non ha trovato un lavoro a tempo pieno
Perché non desidera lavorare a tempo pieno
Perché studia o segue corsi di formazione professionale
Per problemi di salute/ personali
Per prendersi cura dei figli
Per prendersi cura di familiari non autosufficienti
Altri motivi

PER COLORO CHE DEVONO PRENDERSI CURA DEI


FIGLI O DI FAMILIARI
Se avesse a disposizione dei servizi pubblici o privati
adeguati (per orari, vicinanza, personale specializzato, costi
del servizio, etc.) cui affidare la cura dei figli e/o dei familiari
vorrebbe lavorare a tempo pieno?
Sì, perché:
vorrei guadagnare di più
vorrei un lavoro più coinvolgente e impegnativo
Altro
No, perché:
penso che in ogni caso vorrei avere tempo per la famiglia
penso che in ogni caso vorrei avere tempo per me
Altro

SOLO PER COLORO CHE LAVORANO A TEMPO PIENO

Per quale motivo lavora a tempo pieno?


Non ha trovato un lavoro part-time
Desideravo lavorare a tempo pieno
Ho bisogno di lavorare a tempo pieno/ per motivi economici
Il part-time avrebbe penalizzato la mia carriera
Altro

194
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI E A TERMINE,
INCLUSI CO.CO.CO.

Il suo orario contrattuale quante ore prevede la settimana?

Gli straordinari Le vengono riconosciuti?


Sì, come recupero di ore
Sì, mi vengono pagati
No

PER TUTTI I LAVORATORI (anche autonomi)

Solitamente quante ore lavora?


< 21
21-27
28-35
36-39
40
Oltre 40
Non risponde

Ha un orario di lavoro prefissato?


Sì, ho un orario prefissato
In linea di massima devo seguire un orario ma ho una certa
flessibilità
Sono totalmente libero di scegliere quando lavorare
Ho un orario flessibile che dipende dalle esigenze dell’azienda

Modalità di svolgimento del lavoro


Sempre Abitualmente Saltuariamente Mai

Serale
(dalle 20 in poi)
Notturno
Di sabato
Di domenica

195
Lei è solito lavorare
Nel comune in cui risiede
In un altro comune della stessa provincia
In un’altra provincia della toscana
Fuori regione
Non ha un luogo abituale di lavoro

Per iniziare questo lavoro ha dovuto trasferirsi da un altro


comune?
Sì, da un altro comune della stessa provincia
Sì, da un’altra provincia
Sì, da fuori regione

Può descrivermi con precisione in che cosa consiste il suo


lavoro e dirmi il nome della sua professione?

Può dirmi la sua categoria professionale?

Dipendente come:
Dirigente
Direttivo/quadro
Impiegato intermedio
Operaio subalterno e assimilati
Apprendista
Lav. a domicilio per imprese

In modo autonomo come:


Imprenditore
Libero professionista
Lavoratore in proprio
Coadiuvante nell’azienda di un familiare
Socio di cooperativa

196
CARATTERISTICHE AZIENDA

Settore di attività
Agricoltura
Attività manifatturiere e Costruzioni
Commercio
Alberghi e ristoranti
Servizi alle imprese
Servizi alle persone
Altro
Non risponde

L’azienda dove lavora è di proprietà prevalentemente


Pubblica
Privata
Terzo settore (cooperative sociali, associazioni, volontariato,
fondazioni)

Numero di addetti azienda attuale


1-3
4-9
10-19
20-49
50-100
101-249
250 e oltre
Non risponde

Da quanti mesi è occupato nell’azienda in cui lavora


attualmente
Non più di 6 mesi
Da 7 a 12 mesi
Da 13 a 24 mesi
Oltre 24 mesi
Non risponde

SE AUTONOMO
In che anno ha cominciato questa attività?

197
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI, A TERMINE,
AUTONOMI

Attraverso quali azioni ha trovato il lavoro che svolge


attualmente?
(è possibile dare più modalità di risposta)
Iscrizione Centri per l’Impiego (ex Ufficio di collocamento)
Vincita di un concorso (pubblico o privato)
Iscrizione ad un’agenzia privata di collocamento o interinale
Tramite segnalazione al datore di lavoro da parte di parenti
Tramite segnalazioni di amici e/o conoscenti
Segnalazione a possibili datori di lavoro ottenuta tramite il
centro di formazione professionale o i centri di orientamento
professionale
Tramite tirocinio in impresa
Segnalazioni a possibili datori di lavoro da parte dei sindacati/
partiti
Ha risposto/messo inserzioni sui giornali o inviato curricula ad
aziende
Ha avviato un’attività in proprio
Si è inserito nell’azienda familiare
Ha cercato su Internet
Tramite la scuola
Altro

CONDIZIONI DI LAVORO
Come considera la sua condizione lavorativa attuale
rispetto a quella di un anno fa?
Uguale
Migliore
Peggiore

198
Ed ora esamini alcuni dei principali aspetti attinenti la sua
condizione lavorativa e ci dica se rispetto ad un anno fa sono

Migliorati Peggiorati Uguali

Le condizioni salariali
Possibilità di recupero/riposo
Continuità del lavoro/sicurezza dell’impiego
Formazione
Malattia/infortuni
Diritti sindacali
Maternità/paternità
Possibilità di crescita professionale
Possibilità di formazione
Autonomia del lavoro svolto

SOLO PER COLORO CHE HANNO UN CONTRATTO A


TERMINE INCLUSI CO.CO.CO.

Cosa pensa che le sarà proposto allo scadere dell’attuale


contratto?
So già che non mi rinnoveranno il contratto
Mi sarà rinnovato il contratto attuale
Sarò assunto a tempo indeterminato
Per scelta cambierò lavoro
Avrò un nuovo contratto ma sempre a termine

PER TUTTI I LAVORATORI ANCHE AUTONOMI

Dal 2004 ad oggi ha seguito qualche attività formativa, in


particolare:
Corso di formazione professionale

No
Quali?
Corso di formazione professionale organizzato e/o riconosciuto
dalla Regione
Corso finanziato dall’azienda o ente in cui lavora
Altro corso di formazione professionale
Altro tipo di attività formativa

199
SODDISFAZIONE NEI CONFRONTI DEL LAVORO

Il lavoro che svolge è attinente come contenuti al suo titolo


di studio?
Sì, molto attinente
Sì, ma solo in parte
No, per niente
Non saprei

Adesso le elenco alcuni aspetti considerati importanti per


l’attività lavorativa. Ci indichi quale è l’aspetto per lei più
importante; quello di cui si ritiene più soddisfatto e quello
di cui si ritiene più insoddisfatto

Più Più Più


importante soddisfatto insoddisfatto

Sicurezza posto di lavoro


Possibilità di carriera
Rapporti con i colleghi/superiori
Stipendio/reddito
Possibilità di autorealizzazione
(esprimere le proprie capacità)
Possibilità di imparare cose nuove
Orario di lavoro
Prestigio, stima degli altri

Ritiene che il suo posto di lavoro sia


Sicuro
Abbastanza sicuro
Poco sicuro
Per niente sicuro

200
Se poco o per niente sicuro, per quale ragione?
Lavoro in un settore in crisi
Lavoro in un’azienda in difficoltà
Ho un contratto di lavoro precario
Oggi nessun posto di lavoro è sicuro

Vorrebbe cambiare lavoro?


Si
No, sono soddisfatto di quello che ho
No, non credo di poter trovare un lavoro migliore

Che tipo di lavoro desidera?


Un lavoro dipendente con un contratto a tempo indeterminato
Un lavoro dipendente a tempo non indeterminato
Un lavoro autonomo
Collaborazione coordinata e continuativa

Sarebbe disposto a muoversi dal suo comune di residenza


se Le venisse offerto un buon lavoro?
No

In qualunque luogo, anche all’estero
Entro i confini nazionali
Entro i confini regionali
Entro un raggio che mi consenta di mantenere la mia residenza
attuale
Non so

201
SOLO PER COLORO CHE HANNO UN LAVORO A TEMPO
INDETERMINATO/AUTONOMO

Lei sarebbe disposto a scambiare la sicurezza di un posto


di lavoro sicuro per

Sì No Non so

Un lavoro più gratificante

Un lavoro che le consente maggiore flessibilità degli orari

Un lavoro che le offre maggiori guadagni

Un lavoro che le offre migliori opportunità formative

Un lavoro che le offre migliori opportunità di carriera

SOLO PER COLORO CHE HANNO UN LAVORO A


TERMINE

Per avere un lavoro stabile lei sarebbe disposto a


sacrificare qualcosa del suo attuale lavoro?
No

Guadagnare meno
Fare un lavoro meno gratificante
Fare un lavoro con orari più rigidi
Fare un lavoro che non offra opportunità di carriera
Fare un lavoro che non offre opportunità formative
Altro

202
PER GLI INOCCUPATI

Sta cercando un lavoro?



No, perché:
Penso di riprendere gli studi
Perché non vedo nessuna opportunità in giro
Perché non ci sono lavori adeguati alla mia preparazione
Per problemi personali
Per questioni attinenti alla famiglia (cura dei figli, anziani, ecc.)
Perché non sono interessato
Perché svolgo un lavoro stagionale

Da quanti mesi sta cercando lavoro?


Meno di 7 mesi
Da 7 a 12 mesi
Da più di 12 mesi
Non risponde

Che tipo di lavoro sta cercando prevalentemente?


(anche se ne sta cercando piu’ di uno indicare il principale/
preferito)
Un lavoro dipendente con un contratto a tempo indeterminato
Un lavoro dipendente a tempo non indeterminato
Un lavoro autonomo
Collaborazione coordinata e continuativa

Con quale tipo di orario vorrebbe lavorare?


A tempo pieno
Part-time
Senza preferenze

Sarebbe disposto a muoversi dal suo comune di residenza


se Le venisse offerto un buon lavoro?

In qualunque luogo, anche all’estero
Entro i confini nazionali
Entro i confini regionali
Entro un raggio che mi consenta di mantenere la mia residenza
attuale
Non so
No
Non sa
203
Negli ultimi sei mesi quale di queste azioni di ricerca ha
intrapreso?
Ha avuto contatti con i Centri Pubblici per l’Impiego (ex Ufficio
di collocamento)
Ha sostenuto le prove di un concorso (pubblico o privato)
Ha inviato una domanda per partecipare ad un concorso
pubblico
Ha avuto contatti con un’agenzia privata di collocamento o
interinale
Ha sostenuto un colloquio di lavoro (una selezione) presso
privati
Ha esaminato offerte di lavoro sui giornali
Ha cercato su Internet
Ha messo inserzioni o ha risposto ad annunci sui giornali
Ha fatto domande di lavoro e/o inviato il curriculum a privati
Ha chiesto a parenti, amici e conoscenti
Ha chiesto permessi, licenze, finanziamenti per avviare
un’attività
Ha cercato terreni, locali, attrezzature per avviare un’attività
Altro

In generale pensa nei prossimi anni per lei trovare il lavoro


desiderato sarà:
Molto difficile
Difficile
facile
Molto facile
Non so

Sarebbe disponibile a studiare (proseguire gli studi) per


ottenere il lavoro desiderato?

No
Non so

SE SÌ

Che tipo di studio/formazione ulteriore intenderebbe


intraprendere?
Proseguire studi scolastici (scuola secondaria, università…)
Corsi di formazione professionale
Esperienze di studio all’estero
Esperienze di formazione lavoro all’estero
204
Corsi di lingue straniere
Corsi di Informatica
Altro
Non so

SOLO PER COLORO CHE LAVORANO A TERMINE,


INCLUSI CO.CO.CO.

La Legge 30/2003 (cosiddetta Legge Biagi) sulla riforma


del mercato del lavoro
Non la conosce
Ha portato/sta portando miglioramenti alla sua condizione
lavorativa
Manterrà invariata la sua condizione lavorativa
Ha peggiorato/peggiorerà la sua condizione lavorativa

PER TUTTI ANCHE GLI INOCCUPATI ECCETTO I


FLESSIBILI

La Legge 30/2003 (cosiddetta Legge Biagi) sulla riforma


del mercato del lavoro
Non la conosce
Ha portato/sta portando miglioramenti al mercato del lavoro
(fatto crescere l’occupazione, dato maggiori tutele ai lavoratori,
ecc.)
Ha mantenuto invariate la situazione occupazionale
(l’occupazione non è cresciuta quantitativamente e non è
migliorata qualitativamente)
Ha peggiorato le condizioni lavorative

205
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI, A TERMINE,
AUTONOMI

Pensa di avere una pensione adeguata per vivere quando


smetterà di lavorare?

No
Non so

Di quali forme di tutela previdenziale dispone?


Previdenza pubblica
Fondi pensione
Previdenza privata individuale
Nessuna

Quali sono secondo lei le politiche da attivare per i


lavoratori a termine?
Incrementare il lavoro a tempo indeterminato
Ricongiungimento dei contributi
Tutele certe (malattia, maternità, infortuni)
Formazione continua
Indennità di disoccupazione
Buone agenzie di collocamento
Livelli retributivi più elevati (che permettano di affrontare
periodi di non occupazione, farsi una pensione, ecc.)

206
INFORMAZIONI SULL’INTERVISTATO

Sesso
Maschio
Femmina

Anno di nascita

Luogo di socializzazione, dove è vissuto prevalentemente


fino a 18 anni

Luogo dove vive attualmente

Con chi abita attualmente?


Da solo
Coniuge/ Convivente
Figli (Se si, quanti?) Età dei figli
Fratelli/Sorelle (Se si, quanti?)
Genitori, suoceri (Se si, quanti?)
Altri parenti (Se si, quanti?)
Amici, conoscenti (Se si, quanti?)

Escluso lei, quanti percepiscono regolarmente un reddito


(da lavoro o da pensione) nella sua famiglia?

Può dirmi il titolo di studio massimo conseguito?


Nessun titolo
Licenza elementare
Licenza media inferiore
Diploma di scuola media superiore
Maturità liceale
Liceo scientifico
Liceo classico
Liceo linguistico
Liceo artistico
Diploma di maturità (4-5 anni)
Istituto professionale
Istituto tecnico
Istituto magistrale
Scuola magistrale
Istituto d’arte
Diploma di qualifica (2-3 anni)
Istituto professionale
207
Scuola magistrale
Istituto d’arte
Diploma terziario non universitario (Accademia di belle arti,
Perfezionamento del conservatorio musicale, ecc.)
Diploma universitario
Gruppo scientifico (matematica, fisica, chimica, farmacia,
biologia, geologia)
Gruppo medico
Gruppo ingegneria
Gruppo architettura
Gruppo agrario
Gruppo economico-sociale (economia, scienze statistiche, scienze
politiche, sociologia)
Gruppo giuridico
Gruppo letterario (lettere, filosofia, lingue, psicologia, scienza
dell’educazione)
Gruppo educazione fisica
Altri diplomi universitari
Laurea triennale
Gruppo scientifico (matematica, fisica, chimica, farmacia,
biologia, geologia)
Gruppo medico
Gruppo ingegneria
Gruppo architettura
Gruppo agrario
Gruppo economico-sociale (economia, scienze statistiche, scienze
politiche, sociologia)
Gruppo giuridico
Gruppo letterario (lettere, filosofia, lingue, psicologia, scienza
dell’educazione)
Gruppo educazione fisica
Altro
Laurea quadriennale o specialistica
Gruppo scientifico (matematica, fisica, chimica, farmacia,
biologia, geologia)
Gruppo medico
Gruppo ingegneria
Gruppo architettura
Gruppo agrario
Gruppo economico-sociale (economia, scienze statistiche, scienze
politiche, sociologia)
Gruppo giuridico
Gruppo letterario (lettere, filosofia, lingue, psicologia, scienza
208
dell’educazione)
Gruppo educazione fisica
Altro

Condizione lavorativa del coniuge


Occupato a tempo indeterminato
Occupato flessibile
Autonomo
Non occupato

Può dirci, a quanto ammonta il suo ultimo salario netto


mensile (guadagno medio mensile per lavoratori in
proprio)? (Euro)
Fino a 500
501-700
701-900
901-1000
1001-1200
1201-1500
Oltre 1500
Non risponde

È iscritto/a ad un sindacato lavoratori?



No, perché:
Non le interessa
Pensa di farlo in futuro
Altro

209
Allegato 3
TRACCIA DEL focus group con i lavoratori
“a termine” della pubblica amministrazione

1. Percorsi ed esiti

Poiché uno degli obiettivi dell’indagine è quella di seguire le


traiettorie compiute da lavoratori flessibili nel mercato del lavo-
ro e cogliere gli esiti che esperienze di lavoro non stabili hanno
sui percorsi di lavoro ma anche sul vissuto personale, vi chiede-
rei di illustrare il vostro percorso professionale, evidenziando i
cambiamenti (tipo di lavoro, settore, tipologia contrattuale, mo-
tivazioni che vi hanno indotto a cambiare), eventuali periodi di
disoccupazione e/o uscite dal mercato del lavoro.

Qual è la vostra attuale condizione professionale? Ritenete che


sia provvisoria o definitiva?
State cercando un altro lavoro? Per quali motivi? Che tipo di
lavoro state cercando? Pensate che sia difficile trovare lavoro?
Quali sono i vostri progetti per il futuro? Che tipo di lavoro vor-
reste fare? Con quali modalità contrattuali?
Per quali aspetti del lavoro sareste disponibili a scambiare la
sicurezza del lavoro?

2. Vincoli e opportunità della flessibilità

In generale il lavoro tende ad essere oggi più flessibile e meno


garantito: cosa ne pensate?
Alcuni sostengono che la flessibilità crei occupazione. Quale è
la vostra opinione al riguardo alla luce anche della vostra espe-
rienza: ritenete che la flessibilità vi abbia agevolato nell’ingresso
e nella permanenza nel mercato del lavoro oppure avreste co-
munque lavorato e magari con un contratto a tempo indetermi-
nato?
Lavorare con un contratto di collaborazione rappresenta/ha rap-
presentato per voi un problema oppure può rappresentare/ha
rappresentato anche un’opportunità? Perché?
Proviamo a fare un elenco dei principali aspetti positivi e di
quelli negativi relativi alla condizione di collaboratore.

211
3. Le collaborazioni nella Pubblica Amministrazione alla
luce della Legge 30/2003 (Legge Biagi) e della finanziaria
2006

Uno degli aspetti della Legge 30/2003 che ha suscitato maggiore


interesse è stata l’introduzione della collaborazione a progetto.
Pensate che con l’introduzione del contratto a progetto vi siano
stati dei miglioramenti oppure no nella condizione dei collabo-
ratori?
Anche se la normativa non si applica al pubblico impiego, vi
sono state conseguenze nel vostro ente successivamente all’ema-
nazione della Legge?
La Finanziaria per il 2006 prevede disposizioni fortemente re-
strittive relative al ricorso alle collaborazioni da parte degli enti
pubblici. Quale è la vostra opinione in merito? Quale situazione
vi è stata prospettata nell’ambito del vostro ente di appartenen-
za? Quale sarà l’esito per la condizione vostra e, più in generale,
quella dei collaboratori della Pubblica Amministrazione?
Vi è stata chiesta la partita IVA? Pensate che vi sarà chiesta?

4. Diritti e rappresentanza

Ritenete di avere/aver avuto maggiori garanzie e tutele per il fat-


to di essere/essere stati co.co.co. nell’ambito della PA?
Molti enti pubblici toscani (comuni, province, regione, agenzie
regionali) hanno stipulato accordi con le organizzazioni sinda-
cali in riferimento alla questione dei collaboratori, in cui si pre-
vedono, tra le altre, iniziative per potenziare la formazione e la
qualificazione di questi lavoratori, convenzioni con assicurazio-
ni in caso di malattia, il riconoscimento del diritto ad un periodo
di riposo psicofisico, il riconoscimento professionale dei perio-
di di collaborazione per i concorsi ecc. Ne siete a conoscenza?
Esiste un accordo di questo tipo anche nell’ente presso il quale
lavorate/lavoravate? Ne avete usufruito? E/o vi siete mossi anche
autonomamente stipulando polizze assicurative, fondi pensione
ecc.?
Quali sono secondo voi i diritti che devono comunque essere
garantiti sempre ad ogni lavoratore, a prescindere dal tipo di
contratto?
Quali sono secondo voi le politiche da attivare nei confronti dei
lavoratori flessibili?
Vi siete mai rivolti alle organizzazioni sindacali? Per quali mo-
212
tivi? Avete all’interno del vostro ente una rappresentanza sinda-
cale?
Quale è la vostra valutazione relativa all’operato del sindacato
in merito alle tutele per i collaboratori e i lavoratori flessibili in
generale?

5. Condizione familiare e prospettive

Nella passata indagine, è emerso come la maggioranza dei colla-


boratori viveva con i propri genitori e solo pochi avevano assun-
to responsabilità familiari e, ancor meno, genitoriali.
Quale è la vostra condizione familiare? Il fatto di vivere in fami-
glia, di essere sposati/conviventi, di aver dei figli, di vivere da soli
rappresenta un vincolo, una risorsa, una protezione?
In quale misura l’instabilità lavorativa pesa/ha pesato sulle vo-
stre scelte personali (andare a vivere da soli, matrimonio/convi-
venza, acquisto della casa, fare figli….)?
Immaginate la vostra vita fra cinque/dieci anni? Che cosa cam-
bierà? Che tipo di lavoro svolgerete? Quale sarà la vostra con-
dizione familiare? Immaginate che il vostro tenore di vita sarà
uguale/migliore/peggiore?

213
Allegato 4
La legge 30/2003

Con la Legge 14 febbraio 2003, n. 30, nota anche come “Legge


Biagi” (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato
del lavoro) il Parlamento ha autorizzato il governo ad emanare,
nell’arco dei prossimi anni, alcuni decreti legislativi contenenti
misure volte a riformare il mercato del lavoro. Gli obiettivi e i
principi guida di questa riforma sono stati chiaramente indica-
ti nel “Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia” (ottobre
2002), e successivamente condivisi dalle trentanove organizza-
zioni sindacali e datoriali firmatarie del “Patto per l’Italia” (lu-
glio 2002). Al fine di dare attuazione a tali principi, recepiti dalla
Legge n. 30, è stato emanato il Decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, in vigore dal 24 ottobre 2003. Il Titolo I – “Disposi-
zioni generali” – si occupa di puntualizzare le finalità e il campo
di applicazione del D.Lgs. n. 276/2003 e di dettare le definizio-
ni di alcuni termini che vengono poi analiticamente esaminati,
istituto per istituto, dal decreto. Innanzitutto si precisa che non
rientrano nel campo di applicazione della riforma le pubbliche
amministrazioni ed il loro personale, per le quali si continuano
ad applicare le norme precedenti all’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 276/2003.
La normativa si “autodefinisce” attuativa delle direttive conte-
nute nella Legge delega (Legge n. 30/2003), ed espressamente si
colloca all’interno degli orientamenti comunitari in materia di
occupazione e apprendimento permanente e dichiara le proprie
finalità nell’aumentare l’occupazione e promuovere la qualità e la
stabilità del lavoro, nel rispetto delle disposizioni relative alla li-
bertà e dignità del lavoratore (di cui allo Statuto dei lavoratori)
e alle disposizioni sulla parità dei sessi. Le finalità enunciate dal-
l’articolo 1 si ispirano, quindi, alle indicazioni delineate a livello
comunitario, nell’ambito della cosiddetta “Strategia europea per
l’occupazione” e riguardano da un lato l’incremento dei livelli
occupazionali attraverso la creazione di un mercato del lavoro
efficiente e trasparente, dall’altro la necessità di introdurre nuo-
ve “misure” flessibili di svolgimento dell’attività lavorativa che
consentano di adattare l’organizzazione del lavoro ai mutamen-
ti dell’economia ed all’esigenza delle imprese di competere sul
mercato internazionale.
Si è ritenuto, inoltre, che attraverso l’introduzione di nuovi con-

215
tratti di tipo “flessibile”, imprese e lavoratori avrebbero potu-
to “scegliere” forme di attività che per modalità di esecuzione,
orario di lavoro o altre caratteristiche avrebbero dovuto meglio
adattarsi alle esigenze di ciascuno e favorire, quindi, l’ingresso
nel mondo del lavoro di persone che hanno bisogno di coniuga-
re i tempi lavorativi con quelli dedicati alla famiglia, all’appren-
dimento o ad altri scopi.
Vediamo ora più in dettaglio quali sono le novità introdotte dalla
riforma.

1. La somministrazione di lavoro

Il contratto di somministrazione di lavoro è un contratto me-


diante il quale un soggetto – somministratore – mette a disposi-
zione di un altro soggetto – utilizzatore – uno o più lavoratori che
prestano la propria attività nell’interesse e sotto la direzione ed
il controllo dell’utilizzatore stesso.
Come si può desumere si tratta di ipotesi in cui il tradizionale
rapporto tra datore di lavoro e lavoratore viene sostituito da un
più complesso rapporto “trilaterale” tra datore di lavoro/som-
ministratore, lavoratore e azienda utilizzatrice delle prestazioni.
Questo schema non è una novità in quanto già con il precedente
“pacchetto Treu” (Legge n. 196/1997) era stato legittimato il c.d.
lavoro interinale. Tuttavia il lavoro temporaneo era caratteriz-
zato da un’intrinseca transitorietà oltre che dal necessario riferi-
mento a casi specifici – previsti dalla legge e dalla contrattazione
collettiva – che ne consentivano la stipula.
Ora, invece, il contratto di somministrazione può essere stipu-
lato a termine (come avveniva con “vecchio” lavoro interinale) a
fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo, ma anche a tempo indeterminato (c.d. staff leasing)
nei casi tassativamente previsti dalla legge (salva l’apertura alla
contrattazione collettiva) ed elencati nell’art. 20, comma 3 del
D.Lgs. n. 276/2003. Si tratta, in linea di massima, di una serie
di attività che non costituiscono il “core business” dell’azienda e
che – sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276/2003 – sono state
spesso oggetto di appalti di servizi, con tutti i limiti di cui alla
Legge n. 1369/1960 (“divieto di interposizione di manodopera”),
legge la cui abrogazione (art. 85 comma 1) costituisce un altro
dato saliente dell’intervento riformatore. Lo scopo che si intende
perseguire attraverso l’introduzione di tali modifiche normati-
ve è quello attribuire al sistema produttivo nuove possibilità di
216
“esternalizzazione” di alcune attività e quindi di una maggiore
flessibilità ed elasticità della struttura dell’impresa.
In continuità con la previgente normativa sul lavoro interinale
risulta, invece, confermata la scelta di identificare in modo pre-
ventivo e non derogabile la “professionalità” dei fornitori di ma-
nodopera. Non si può trattare di imprese qualunque: sommini-
stratori di lavoro possono essere soltanto strutture aziendali, de-
nominate Agenzie per il lavoro, munite di apposita autorizzazione
e requisiti specifici previsti dalla legge. A tale proposito è il caso
di ricordare che, nel quadro delle novità introdotte dal D.Lgs. n.
276/2003 e riguardanti la disciplina del mercato del lavoro in ge-
nerale, le “Agenzie per il lavoro” si differenziano rispetto a quelle
di cui alla Legge n. 196/1997 (pacchetto Treu) per l’ampliamento
delle attività facoltizzate, non più limitate al solo lavoro interi-
nale, ma estese ad ogni forma di somministrazione di lavoro. Le
Agenzie per il lavoro sono soggetti che possono operare a tutto
campo, poiché, ottenute le necessarie autorizzazioni, potranno
svolgere attività di somministrazione a tempo indeterminato e
determinato, di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro
(collocamento), di ricerca e selezione del personale, di supporto
alla ricollocazione del personale (c.d. outplacement).

2. Il lavoro part-time

Uno degli obiettivi del D.Lgs. n. 276/2003 è quello di rendere più


flessibile la disciplina del lavoro a tempo parziale – già radical-
mente riformata dal D.Lgs n. 61/2000 e poi integrata dal D.Lgs.
n. 100/2001 – così da aumentare la diffusione di tale tipologia di
lavoro e incrementare l’occupazione femminile, dei giovani e dei
soggetti di età compresa tra i 55 e i 65 anni.
Si è ritenuto, infatti, che la precedente normativa rendeva diffi-
coltoso il ricorso al lavoro part-time a causa di numerose “rigidi-
tà” e “formalismi” nella stessa contenuti.
Il decreto legislativo non abroga né sostituisce integralmente la
previgente disciplina, limitandosi ad apportare alcune modifi-
che nell’ambito della preesistente struttura.
In particolare, è stato liberalizzato il ricorso al “lavoro supple-
mentare” (lavoro reso oltre l’orario concordato nel contratto
individuale ma entro il limite del tempo pieno): secondo la for-
mulazione originaria del D.Lgs. n 61/2000, il datore di lavoro
poteva ricorrere al lavoro supplementare soltanto “previo con-
senso dell’interessato” e unicamente nel caso in cui questa facol-
217
tà fosse prevista nel contratto collettivo applicato in azienda. La
nuova normativa permette espressamente al datore di lavoro di
richiedere il lavoro supplementare, anche in assenza di specifica
previsione nel contratto collettivo, a condizione che vi sia il con-
senso del lavoratore. A fronte, dunque, del consenso del dipen-
dente ed in assenza di specifiche disposizioni collettive pare che
il datore di lavoro possa ricorrere in modo del tutto illimitato al
lavoro supplementare, concordando con il lavoratore l’ammon-
tare della maggiorazione per l’ulteriore attività prestata.
Inoltre, la normativa oggi modificata aveva introdotto per la
prima volta la possibilità per il datore di lavoro di variare la di-
stribuzione dell’orario di lavoro a tempo parziale. Tale facoltà
era, però, subordinata al consenso del lavoratore, al riconosci-
mento a favore dello stesso di una maggiorazione economica,
a un preavviso di 10 giorni riducibile a 48 ore dalla contratta-
zione collettiva, il tutto nell’ambito dei limiti e delle condizioni
espressamente previsti dagli stessi contratti collettivi. Tutto ciò
unitamente al fatto che soltanto pochi contratti collettivi aveva-
no regolamentato tali clausole e al fatto che era espressamente
consentita la sola modifica della collocazione temporale e non
anche quella della durata della prestazione di lavoro, rendeva
estremamente difficile avvalersi delle c.d. clausole elastiche. La
nuova normativa cerca, quindi, di liberalizzare ulteriormente
l’utilizzo di dette clausole, operando, tra l’altro, una distinzione
tra clausole flessibili (che consentono di modificare la colloca-
zione temporale della prestazione lavorativa) e clausole elasti-
che (che permettono la variazione in aumento della prestazione
lavorativa).
Il D.Lgs. n. 276/2003 prevede, infatti, che il datore di lavoro può
concordare direttamente con il dipendente l’apposizione di tali
clausole anche in assenza di specifiche disposizioni dei contratti
collettivi e pur nel rispetto dei limiti previsti dallo stesso decreto
legislativo.
Ulteriori novità riguardano la trasformazione del rapporto di la-
voro part-time. Infatti, è ora possibile trasformare il rapporto di
lavoro da tempo pieno a tempo parziale a fronte di un accordo
scritto tra le parti convalidato esclusivamente dalla competente
Direzione provinciale del lavoro, senza più bisogno di assistenza
da parte di un componente della RSA (rappresentanza sindacale
aziendale). Viene, poi, abolito l’obbligo per il datore di converti-
re il rapporto di lavoro dei dipendenti a tempo parziale che aves-
sero fatto apposita domanda di trasformazione a tempo pieno,
in caso di nuove assunzioni (il c.d. diritto di precedenza).
218
3. Il lavoro ripartito

Il lavoro ripartito (c.d. job sharing) è una tipologia contrattuale


nata negli Stati Uniti d’America nel corso degli anni ’60 per far
fronte ad esigenze di flessibilità del mercato del lavoro.
In seguito lo job sharing si è diffuso in Europa (in particolare nel
Nord), dove la regolamentazione è, però, sempre stata soggetta a
vincoli rigidi ovvero ha rappresentato una soluzione alternativa
“difensiva” nel caso di crisi aziendale.
In Italia il lavoro ripartito, già previsto dalla contrattazione col-
lettiva del settore terziario, è stato disciplinato per la prima volta
dalla circolare ministeriale n. 43 del 1998 che, allo scopo di legit-
timare una prassi diffusa nel mercato del lavoro, ne riconosceva
la compatibilità con l’ordinamento italiano anche in assenza di
una disciplina specifica, rimandando a quella generale in ma-
teria di lavoro subordinato (nei limiti di compatibilità), ovvero
alla contrattazione collettiva.
Ora il D.Lgs. n. 276/2003 – Titolo V artt. 41/45 – definisce il la-
voro ripartito come “uno speciale contratto di lavoro mediante il
quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’uni-
ca e identica obbligazione lavorativa”. Pertanto, i contraenti sono
da una parte il datore di lavoro e dall’altra non un unico lavo-
ratore ma due: ciascuno di essi svolge una “quota di lavoro”,
ma resta direttamente e personalmente responsabile dell’adem-
pimento dell’intera prestazione. Ai prestatori di lavoro è inoltre
attribuita la facoltà di decidere, unilateralmente ed in qualsiasi
momento, di effettuare sostituzioni tra di loro, nonché di modi-
ficare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di
lavoro. In sostanza, i lavoratori sono liberi di determinare come
e quando ripartirsi la prestazione lavorativa, con il solo obbligo
di garantire l’esecuzione dell’intera obbligazione e di informare
il datore di lavoro (con cadenza almeno settimanale) dell’orario
cui ciascuno di essi è tenuto.
Il modello adottato dal legislatore nel disciplinare tale tipologia
contrattuale è quello di una sorta di regolamentazione quadro
della fattispecie, la cui definizione degli aspetti specifici è de-
mandata alle parti, non solo in sede di contrattazione collettiva,
ma anche e soprattutto come espressione della volontà dei con-
traenti (datore di lavoro e coobbligati).

219
4. Il lavoro intermittente

Il lavoro intermittente o a chiamata trova la sua origine nel-


l’esperienza statunitense, dove è particolarmente diffuso nel set-
tore terziario e della Pubblica Amministrazione.
In Europa il solo paese in cui ha trovato diffusione è l’Olan-
da dove assume la denominazione di “job on call” o “stand-by
workers”.
In Italia il primo approccio a tale figura contrattuale è stato
frutto della contrattazione collettiva; in seguito, pur in assenza
di una specifica disciplina, si è fatto ricorso a forme di lavoro
intermittente, soprattutto nel settore terziario, per sopperire a
esigenze temporanee e occasionali, estranee dal normale ciclo
produttivo, ovvero per sostituzione di personale.
Il D.Lgs. n. 276/2003 definisce il lavoro intermittente come quella
tipologia contrattuale nella quale il lavoratore si pone, a tempo
determinato o indeterminato, a disposizione del datore di lavo-
ro, il quale può usufruire della sua prestazione lavorativa “chia-
mandolo” di volta in volta a eseguire una determinata attività,
nel rispetto di un periodo minimo di preavviso (un giorno).
Il lavoro intermittente è caratterizzato da: “discontinuità o inter-
mittenza” delle prestazioni svolte dal lavoratore e la c.d. “inden-
nità di disponibilità” che compensa la disponibilità del prestato-
re di lavoro per il periodo concordato.
La finalità di tale tipologia contrattuale è, dunque, quella di sod-
disfare esigenze lavorative “temporanee”, come avviene per la
“somministrazione di lavoro” e per il contratto di lavoro a tempo
parziale.
Rispetto al primo, il lavoro intermittente si caratterizza per la
bilateralità del rapporto (nel lavoro interinale si ha un rapporto
trilaterale tra somministratore, utilizzatore, lavoratore). Si dif-
ferenzia, invece, dal part-time per l’assenza di una predetermi-
nazione del periodo lavorativo: nel lavoro a chiamata, infatti, la
disponibilità del dipendente è “continua” perché la prestazione
lavorativa richiesta è connessa alle necessità dell’assetto produt-
tivo o organizzativo ed è, quindi, assolutamente “incerta”.

5. Il lavoro a progetto

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.)


hanno rappresentato in questi ultimi anni un elemento di gran-
de flessibilità nel mercato del lavoro italiano.
220
Superando gli schemi tipici dei rapporti di lavoro subordinato,
infatti, essi hanno consentito a imprese ed enti pubblici di far
fronte a molteplici esigenze organizzative con costi più bassi e
procedure più facili da gestire.
Così nel corso del 2002 sono stati quasi due milioni e mezzo gli
iscritti all’apposita Gestione separata costituita presso l’INPS (ai
sensi dell’art. 2 Legge n. 335/1995) per tutti i collaboratori coor-
dinati e continuativi non coperti da altre forme di previdenza.
In questo contesto si inserisce la c.d. riforma Biagi, che si propo-
ne di rivedere la disciplina del lavoro “parasubordinato” (defini-
zione che ricomprende la generalità dei rapporti di collaborazio-
ne che si concretino in una “prestazione di opera continuativa
e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carat-
tere subordinato” ai sensi dell’art. 409 cod. procedura civile),
muovendo dall’intento di correggere l’uso ritenuto distorto che
di tale strumento era stato fatto “ in funzione elusiva o frodato-
ria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato” (così
si legge nel Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, pubbli-
cato nell’ottobre 2001).
Lo spirito “repressivo” della riforma si riflette, pertanto sul-
la nuova disciplina dettata dal D.Lgs. n. 276/2003, così che “i
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalen-
temente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui al-
l’art. 409, n. 3 c.p.c. (codice di procedura civile) devono essere
riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro
o fasi di esso” pena la loro trasformazione in rapporti di lavo-
ro subordinato a tempo indeterminato. Pertanto, la prestazione
del collaboratore non può più essere genericamente ricondotta
all’attività del committente o a un ramo di essa (ad esempio:
consulenza per lo sviluppo delle attività commerciali della so-
cietà committente), ma deve riferirsi a uno specifico progetto o
programma di lavoro o fasi di essi “determinati dal committente
e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del ri-
sultato” (ad esempio: sviluppo di uno specifico prodotto, imple-
mentazione di una particolare metodologia di lavoro).
Per quanto concerne la durata del rapporto essa dovrà essere
“determinata” o “determinabile” (art. 62 D.Lgs. n. 276/2003) in
relazione allo sviluppo del progetto; in mancanza di un termi-
ne preciso, quindi, i rapporti di collaborazione a progetto “si
risolvono al momento della realizzazione del progetto o del pro-
gramma o della fase che ne costituisce oggetto” (art. 67, comma
1). Vengono, inoltre, dettate una serie di disposizioni riguardan-
ti i requisiti di forma del contratto, la risoluzione del rappor-
221
to, la successione di contratti, le modalità di determinazione
del corrispettivo e infine i diritti e doveri del collaboratore. Di
particolare interesse, la disciplina dettata per le ipotesi di gra-
vidanza, malattia o infortunio. In tali casi il rapporto rimane
sospeso, senza erogazione del corrispettivo per tutta la durata
della sospensione. In caso di malattia o infortunio, tuttavia, la
sospensione del rapporto non comporta la proroga della durata
del contratto, che si estingue comunque alla scadenza prestabi-
lita. In caso di gravidanza, invece, è prevista anche una proroga
della scadenza pattuita per un periodo di 180 giorni.

6. Contratti a “causa mista” – apprendistato e contratto di


inserimento

Il nostro ordinamento riconosceva due schemi contrattuali


aventi contenuto formativo: il contratto di apprendistato e il
contratto di formazione e lavoro. Accanto ai due contratti di la-
voro subordinato sopra menzionati, dobbiamo segnalare anche
altre iniziative aventi contenuto formativo – che però non co-
stituiscono veri rapporti di lavoro – indirizzate esclusivamente
all’acquisizione di conoscenze da parte del lavoratore: i contratti
di inserimento in azienda senza retribuzione e a fini di tirocinio
formativo e di orientamento (c.d. stage), regolati attualmente
dall’articolo 18 della Legge n. 196/1997 e dal D.M. n. 142/1998.
Questo istituto non è stato intaccato dalla riforma anche se l’ar-
ticolo 60 del D.Lgs. n. 276/2003 inserisce una nuova tipologia di
“stage”, il tirocinio estivo di orientamento che va ad aggiungersi
ai tirocini già esistenti.
Per quanto riguarda, invece, l’apprendistato ed il contratto di
formazione e lavoro, la loro regolamentazione è stata oggetto di
rilevanti modifiche che muovono dall’intento di operare una più
netta distinzione tra la funzione formativa vera e propria e quel-
la di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro.

7. Apprendistato

Il contratto di apprendistato era disciplinato, sotto il profilo ge-


nerale, dagli artt. 2130-2134 del codice civile e, sotto il profilo
speciale, dalla Legge n. 25/1995 (modificata ed integrata da in-
terventi legislativi successivi). L’art. 2 della legge citata definisce
l’apprendistato come “uno speciale rapporto di lavoro, in for-
222
za del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire, nella sua
impresa, all’apprendista assunto alle sue dipendenze, l’insegna-
mento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica
per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’opera nella
medesima impresa”. In linea generale, al “vecchio” contratto di
apprendistato si applicavano le norme applicabili al rapporto
di lavoro subordinato che non fossero esplicitamente derogate
dalle leggi speciali.
All’interno della riforma sono rinvenibili tre tipologie di contrat-
to di apprendistato alle quali corrispondono specifiche finalità e
diversi limiti di età:
1) contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-
dovere di istruzione e formazione (per giovani che abbiano
compiuto 15 anni di età);
2) contratto di apprendistato professionalizzante con finalità di
acquisizione di una specifica qualifica attraverso formazione
sul lavoro e apprendimento tecnico-professionale (per sog-
getti di età compresa tra 18 e 29 anni);
3) contratto di apprendistato mirato al conseguimento di un
titolo di studio di livello secondario, ovvero di un titolo di
studio universitario, ovvero di un percorso di alta formazione
(per soggetti di età compresa tra 18 e 29 anni).
Al di là del rinvio alle Regioni per la regolamentazione prati-
co-operativa, si è comunque ritenuto che sotto un profilo gene-
rale la definizione di apprendistato resta quella fissata dall’art.
2, comma 1, della Legge n. 25/1995. Infatti l’art. 85 del decreto
legislativo abroga solo il comma 2 dell’art. 2 e l’art. 3 della Legge
n. 25/1995. Per il resto, tutte le norme sull’apprendistato riman-
gono in vigore, come specifica l’ultimo comma dell’art. 47, quan-
tomeno sino all’introduzione delle regolamentazioni regionali.

8. Contratto di inserimento

Il contratto di inserimento sostituisce integralmente il “vecchio”


contratto di formazione e lavoro (Cfl), che era stato introdotto
in Italia dalla Legge 19 dicembre 1984, n. 863. La natura del
c.f.l. era quella di un c.d. contratto a “causa mista”: compren-
siva cioè di un periodo di lavoro e di un periodo di formazione
e apprendimento. Si trattava di un contratto a tempo determi-
nato il cui fine doveva essere quello di favorire l’inserimento al
lavoro dei giovani. Le norme sul Cfl sono state successivamente
modificate e integrate da una serie di interventi normativi: Leg-
223
ge n. 113/1986, Legge n. 407/1990, Legge n.169/1991, Legge n.
451/1994; Legge n. 196/1997. Il limite di età, originariamente
fissato a 29 anni e poi elevato a 32, poteva poi essere aumentato
a discrezione regionale. In via preliminare è il caso di precisare
che il D.Lgs n. 276/2003 non contiene alcuna previsione esplicita
di abrogazione delle precedenti norme che disciplinavano il Cfl.
È comunque possibile dedurne un’abrogazione implicita, dalle
disposizioni contenute nella seconda parte dell’art. 86 comma 9,
dove si afferma che “la vigente disciplina in materia di contrat-
ti di formazione e lavoro trova applicazione esclusivamente nei
confronti della Pubblica Amministrazione”. L’art. 54 del D.Lgs.
n. 276/2003 definisce il contratto di inserimento come “un con-
tratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto indivi-
duale di adattamento delle competenze professionali del lavora-
tore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero
il reinserimento nel mercato del lavoro” di una serie di soggetti
specificamente individuati (art. 55). Con l’introduzione del con-
tratto di inserimento si è inteso, quindi, privilegiare l’elemento
dell’inserimento occupazionale piuttosto che la finalità formati-
va. Infatti, i soggetti che potranno ricorrere a questa figura con-
trattuale non sono più soltanto i giovani (fino a un certo limite
di età), ma tutti i soggetti elencati nell’art. 55 del decreto ovvero:
a) persone di età compresa tra i 18 e i 29 anni; b) disoccupati
di lunga durata da 29 fino a 32 anni; c) lavoratori con più di 50
anni di età che siano privi di un posto di lavoro; d) lavoratori che
desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano
lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi età residenti
in un’area geografica in cui il tasso di occupazione femminile
sia inferiore almeno del 20% di quello maschile o in cui il tasso
di disoccupazione femminile superi del 10% quello maschile f)
persone riconosciute affette da grave handicap fisico, mentale o
psichico.

224
Indice
Presentazione pag. 5

1. Introduzione « 7
1.1. Premessa « 7
1.2. Alcune anticipazioni sul contenuto del Rapporto « 9

Parte prima
Il quadro regionale e nazionale

2.
Il lavoro flessibile in Toscana: un quadro di sintesi « 19
2.1. Più flessibilità, più occupazione? « 19
2.2. L’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali « 24

3.
La flessibilità del lavoro in Toscana: un confronto
con il quadro nazionale « 29
3.1. Qualche osservazione congiunturale « 29
3.2. Le caratteristiche personali dei lavoratori instabili « 32
3.3. Transizione, intrappolamento ed effetto isteresi « 38
3.4. Una flessibilità sempre meno scelta e sempre
più subìta « 43

Parte seconda
Le indagini dirette

4.
Il percorso di ricerca « 47
4.1. Il disegno della ricerca « 47
4.2. Le caratteristiche degli intervistati « 49
4.3. La condizione attuale « 50

5.
I percorsi nella flessibilità « 55
5.1. Flessibilità del lavoro: scelta o costrizione? « 55
5.2. I percorsi dei lavoratori temporanei « 59
5.3. La flessibilizzazione nei diversi sistemi locali « 65

225
5.4. Le sequenze occupazionali « 73
5.5. Riflessioni finali « 77

6.
Le condizioni di lavoro: lavoratori stabili e flessibili
a confronto « 81
6.1. Condizioni, tutele e prospettive contrattuali « 81
6.2 Il tempo del lavoro « 99
6.3 La soddisfazione del lavoro « 107
6.4 Riflessioni finali « 125

7.
Un approfondimento qualitativo: la flessibilità del lavoro
nella Pubblica Amministrazione « 129
7.1 Introduzione « 129
7.2 Le dimensioni del lavoro flessibile nella
Pubblica Amministrazione toscana « 131
7.3 I risultati dell’indagine « 135
7.4 Riflessioni finali « 159

Conclusioni « 163

Riferimenti bibliografici « 167

Allegati
1. Costruzione del campione e piano di campionamento « 179
2. Questionario « 187
3. Traccia del focus group con i lavoratori “a termine”
della Pubblica Amministrazione « 211
4. La Legge 30/2003 « 215

226
Finito di stampare nel mese di Novembre 2007
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Pisa

per conto di Edizioni Plus - Università di Pisa

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