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IL ‘GRANDE GIOCO’
MONDIALE di Giovanni ARMILLOTTA
L’assegnazione della World Cup 2010 al Sudafrica segue una
precisa logica di potere interna alla Fifa. Il Continente nero è e
sarà fabbrica di calciatori. La storia geopolitica dei Campionati
dagli albori ai giorni nostri, dei vinti e dei vincitori, quasi mai
meritevoli del titolo.
Così scossi come siamo, così pallidi per preoccupazione, troveremo
il tempo alla pace spaventata di prender fiato, mentre il suo respiro
corto rivela nuovi tumulti da iniziare in lontane spiagge remote.
William Shakespeare, Enrico IV
World Factbook, pubblicato il 28 gennaio 2010, Pretoria è al 25° posto, primo dei
paesi africani precedendo Egitto (26) e Nigeria (31) 1. Però se si calcola il pil-ppa
pro capite essa sprofonda all’83° posto (10 mila US$), alle spalle di Guinea Equato-
riale (23°, 36.100), Seychelles (47°, 19.400), Libia (60°, 14.600), Gabon (63°,
13.700), Mauritius (70°, 12.400) e Botswana (71°, 12.100) 2. Non solo. Nella crescita
reale del pil, il Sudafrica risulta al 143° posto (su 213) col -1,9%, precedendo i soli
africani: Gabon (161°, -2,8%), Seychelles (207°, -8,7) e Botswana (208°, -12,0%).
Laddove l’Etiopia è al 1° posto con +16,5%, il Congo (Brazzaville) è al 6° con il
7,5% eccetera 3. Quindi la parte meridionale del continente nero non è quel para-
diso occidentalizzato che la Fifa tenta di spacciare al mondo bianco. E mettiamoci
pure il diffuso terrorismo razzista fra poveri, che imperversa nel paese.
Fra le fondatrici Fifa (1904) – ben più ricche di quanto sia stato e sia oggi il Su-
dafrica – Francia, Svizzera, Svezia e Spagna, hanno atteso rispettivamente 34, 50,
54 e 78 anni per allestire un Mondiale; mentre Belgio, Danimarca e Paesi Bassi non
ci sono ancora riusciti. Gli inventori del football del resto, per vincere un Mondiale
hanno dovuto far anticamera per 62 anni e, ovviamente, dopo averlo organizzato
fra le mura amiche con un presidente Fifa nato a 160 chilometri da Wembley.
La storia dei Campionati mondiali non è un volume multicolorato con fotogra-
fie di calciatori entusiasti o disperati che corrono su prati verdi, su cui è scritto che
abbia vinto il migliore. Il pallone è la massima proiezione di potenza ed equilibrio
non trasferita al mestiere delle armi. La Fifa con il solo 4,05% dei praticanti rispetto
alla popolazione mondiale è potentissima, mentre l’Onu col 99,9% conta zero.
Ciò che è, lo si legge nella fase finale della World Cup, e quello che là capita
può accadere solo se è permesso. E vi assicuro che sono successe cose che, a ri-
gor di logica, sarebbero impossibili solo a pensarle, ma siccome sono avvenute,
e quindi irreversibili, le si dà per scontate facendo buon viso a cattivo… gioco.
Sui vergognosi Mondiali del 2002, che trasformarono Blatter in un tenn§
contemporaneo, dopo il fallimento del golpe fujimoriano atto a condurre in se-
mifinale i quattro continenti ci siamo soffermati altrove 4. Il flop del costrutto
blatteriano di globalizzazione perfetta comportò un vuoto di potere transizional-
coercitivo – concretizzatosi nel successivo quadriennio – che favorì la vittoria ita-
liana. Blatter non volle nemmeno partecipare alla cerimonia d’investitura degli
azzurri, perché quei Campionati non si conclusero come egli avrebbe voluto.
1. en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_GDP_%28PPP%29, 6/4/2010.
2. Ibidem.
3. Ibidem.
4. G. ARMILLOTTA, «Prolegomeni a una geopolitica dei Mondiali», Limes 4/2002, L’Arabia americana, pp.
2 265-270, temi.repubblica.it/limes/calcio-olimpiadi-e-sponsor/701, 6 aprile 2010.
IL SUDAFRICA IN NERO E BIANCO
L’aspetto assume pure contorni assurdi in quanto per la prima volta un piazzamen-
to è stato conferito ex post.
Nelle semifinali, Uruguay e Argentina batterono Jugoslavia e Usa con lo stesso
punteggio 6-1. Com’è noto la finalissima se l’aggiudicò la squadra di casa ai danni
di Buenos Aires (4-2), quindi il terzo posto doveva spettare alla Jugoslavia, essen-
do stata sconfitta da coloro che poi conquistarono il titolo mondiale, almeno stan-
do al regolamento olimpico – allora in vigore – in caso di mancata disputa della fi-
nale per il terzo e quarto posto.
La Fifa, intanto, s’è arrampicata sugli specchi per regalare il terzo posto agli
Usa. Se provate a visitare la pagina web della Federazione mondiale, dove è pre-
sentata l’edizione 1930 o sfogliate la sua pubblicazione ufficiale 5, noterete che è sì
riportato il terzo posto degli Usa, ma manca una sia pur minima motivazione di ta-
le ambìto piazzamento.
Nel frattempo, lo studioso belgradese Aleksandar Damir Jovanovi©, ha rinve-
nuto presso la Biblioteca nazionale di Belgrado, alcuni numeri dell’autorevole quo-
tidiano Politika, che gettano una nuova luce su quegli oscuri fatti. Li ha tradotti e
me li ha spediti. I numeri del 1° agosto, 5 e 7 settembre 1930, dimostrano che il ter-
zo posto era stato assegnato alla Jugoslavia. Inoltre il numero del 7, commentò l’e-
steso rapporto della Federazione di calcio della Jugoslavia sui fatti in questione che
rappresenta, ad oggi (con i predetti), l’unica documentazione coeva sulla vera clas-
sifica finale dei Mondiali 1930. Sul numero del 5 è scritto: «Così la classifica finale
per la Coppa del Mondo 1930 è: 1a Uruguay, 2a Argentina, 3a Jugoslavia e 4ª Usa».
portantissima assise l’intera pagina 7 del 9 agosto. Riportiamo i passi più salienti
del lungo articolo di Bora Jovanovi©: «A Montevideo i delegati dei paesi di Sud e
Nordamerica stanno svolgendo il proprio congresso, in cui si discute innanzitutto
il tema di creare una singola Federazione panamericana del calcio, per rendersi in-
dipendenti dalla Fifa. Il congresso non ha ancora chiuso i lavori, ma dalle tenden-
ze in atto è chiaro come tutti i delegati convergano sul fatto che la Confederazione
sudamericana del calcio si espanda e includa anche il Nord, fondando la Federa-
zione panamericana, dall’unione di tutte le federazioni americane. La rottura dei
vincoli con la Fifa è un’idea sostenuta da tutti gli Stati sudamericani, in specie dal-
l’Argentina, ma il congresso non è unanime. L’iniziativa trova l’opposizione dei
rappresentanti degli Usa, i quali non vedono di buon occhio la separazione delle
Americhe dall’Europa. Almeno per il momento».
Solo Washington non prese partito contro l’Europa. Una dottrina Monroe del
calcio sarebbe stata controproducente, in quanto le leve del pallone (contraria-
mente agli aspetti economico-militari) non risiedevano a nord bensì a sud del
Nuovo Continente, e in quel periodo il calcio – all’indomani dei clamorosi successi
riscossi alle Olimpiadi negli anni Venti – si stava imponendo quale sport egemone
a livello planetario. Quindi si evince che la Fifa per premiare l’interessata fronda
nordamericana ottriasse ai biancostellati il terzo posto, ai danni del neo-Stato jugo-
slavo. Fu Jules Rimet che volle ancora una volta porre una pietra miliare sull’im-
marcescibile ed eterna alleanza franco-statunitense 8. Però gli «alleati» piantarono
un coltello nella schiena del loro mentore, ignorandolo alle successive X Olimpia-
di di Los Angeles a causa dello «scarso interesse per il calcio [che] sconsigliò di di-
sputare il torneo olimpico in questa specialità» 9. Fu l’unica volta, sin dal 1920, che
il gioco del pallone si vide umiliato in tal fatta. Nel paese di baseball, pallacanestro
e football americano, il soccer non era gradito.
8. Cfr. l’istruttivo articolo di S. CONTRARI, «Asterix e Bush, una faza una raza», Limes, «L’Europa è un
bluff», n. 1/2006, pp. 175-182.
4 9. S. JACOMUZZI, Storia delle Olimpiadi, Torino 1976, Einaudi, p. 138.
IL SUDAFRICA IN NERO E BIANCO
vinto il torneo 10, quest’ultimo iniziato prima della disputa di Germania 2006 e con-
clusosi dopo – e non ispirato, nelle conclusioni giuridiche di piazzamento al rego-
lamento dei Mondiali coevi.
Per cui l’onere della prova spetta ai funzionari del calcio statunitense, i quali –
per avvalorare concretamente il presunto terzo posto – dovranno esibire docu-
menti validi che controbattano le tesi in argomento.
10. Almanacco illustrato del calcio, Modena, LXVI, 2007, Panini, p. 698.
11. K. RADNEDGE, op. cit., p. 16. 5
IL ‘GRANDE GIOCO’ MONDIALE
Nel 1958 per la prima e unica volta venne meno il patto non scritto che la
squadra europea debba vincere nel suo stesso continente. Il Brasile incassò il Mon-
diale non conquistato nel 1950, a spese degli svedesi, outsider e padroni di casa.
L’edizione del 1962 innanzitutto indusse numerosi quotidiani europei a do-
mandarsi come poteva un paese allora non all’altezza allestire un evento di sì tal
importanza. In realtà era stata la diplomazia brasiliana a pilotare le scelte sul Cile
onde evitare che l’Argentina si prendesse il compito. Il Brasile se lo aggiudicò
com’era nei piani, mentre l’Italia era già stata massacrata il 2 giugno dai padroni di
casa 12. L’arbitro era l’inglese Kenneth George Aston. Il Cile giunse terzo (!?), anco-
ra ai danni della Jugoslavia, arbitro… uno spagnolo.
Sui Mondiali 1966 e 1974 bastino le parole del brasiliano João Havelange, pre-
sidente della Fifa dal 1974 al 1998: «Inghilterra e Germania arrivarono in finale, co-
me voleva Sir Stanley Rous, l’inglese che a quell’epoca guidava la Fifa. In Germa-
nia fu la stessa cosa. Nell’incontro Brasile-Olanda, l’arbitro era tedesco, noi per-
demmo 2-0 e la Germania ottenne il titolo. Dovevano vincere i paesi ospiti» 13.
Nell’edizione di Messico 1970, da tutti ricordata per gli storici tempi supple-
mentari a esaurimento, il Brasile si ritrovò in finale, fra le mura amiche latinoameri-
cane, un’Italia sfatta. Fu una passeggiata contro avversari stanchissimi, non tecnica-
mente una partita.
Nel 1978 finalmente l’Argentina colse il momento giusto. La necessità di stabi-
lizzazione e consenso interni da parte della giunta sanguinaria del generale Jorge
Rafael Videla, unita al perfezionamento dell’Operazione Condor, con relativa be-
nedizione di Washington, segnarono l’evento. Si fece di tutto. Tra l’altro la sesta e
ultima partita del gruppo A (quello dei padroni di casa) e del gruppo 2 del secon-
do turno (sempre quello dei padroni di casa) erano disputate lo stesso giorno della
penultima, però alle 19:15 dopo che la quinta era iniziata alle 14:15 (gruppo A) e
16:45 (gruppo 2).
Del pari nel corso dei Mondiali spagnoli 1982, le ultime due partite di ogni gi-
rone eliminatorio (la terza giornata) non solo non si giocavano alla medesima ora,
ma nemmeno lo stesso giorno, così si dava modo alla coppia di compagini rimaste
– di cui una casualmente del Gotha-Fifa – la possibilità di fare e disfare. La Coppa
del Mondo iberica fu preceduta da eventi epocali: la vittoria della rivoluzione ira-
niana (16 gennaio 1979), l’invasione sovietica dell’Afghanistan (24 dicembre 1979)
e l’elezione di Ronald Reagan a presidente degli Stati Uniti (4 novembre 1980).
Com’è noto, l’Italia – braccio levantino di una Nato molto preoccupata – si
confermò un partner affidabile. L’affaire degli euromissili fu da noi esaminato agli
inizi del dicembre 1979, prevedendo le mosse sovietiche in Asia. Alla Camera dei
deputati, il presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, pose in evidenza come
l’ammodernamento, già avviato dall’Urss, dei sistemi nucleari a lungo raggio, con
la produzione e lo spiegamento progressivo dei missili SS-20 e dei bombardieri
12. Cfr. A. GHIRELLI, Storia del calcio in Italia, Torino 1972, Einaudi, p. 265.
6 13. Corriere dello Sport, 27/6/2008.
IL SUDAFRICA IN NERO E BIANCO
Backfire, avesse modificato l’equilibrio delle forze tra i due blocchi con particolare
riguardo al teatro europeo. Con tale preciso obiettivo – e prima ancora della presa
di potere di Reagan – fu adottata dal nostro governo la decisione di offrire il pro-
prio consenso al piano di ammodernamento nucleare, ossia alla produzione e al
successivo schieramento dei missili Pershing2 e Cruise. L’8 agosto 1981 il governo
Spadolini I approvò la decisione di destinare l’aeroporto Magliocco di Comiso (Ra-
gusa), quale base per i 112 missili Cruise, con i 28 lanciatori assegnati all’Italia dal
programma missilistico della Nato 14. L’esito del Mondiale 1982 è frutto della diplo-
mazia politica, combinata con quella sportiva che, allora, fra gli uomini della cosid-
detta Prima Repubblica e i funzionari federali, aveva personaggi di primissimo li-
vello che oggi ce li sogniamo la notte.
Il «biennio dei quattro imperatori» (10 novembre 1982-11 marzo 1985) con-
dusse al potere Mikhail Gorba0ëv. Gli attriti si stavano stemperando, mentre qual-
cuno presagiva una specie di pace kantiana in cui i cattivi diventassero buoni, e i
buoni restassero soli. Solo per il calcio fu davvero così. Il Mondiale (ri)messicano
1986 premiò l’Argentina che dalla sua aveva il più grande calciatore di tutti i tem-
pi: Diego Armando Maradona. A modesto parere di chi scrive la suddetta edizio-
ne e quella 2006 sono le uniche che hanno visto vincere realmente i migliori.
Continuiamo…
Siccome non volevamo esser meno dei brasiliani, con Italia 90 marcammo una
bella autorete: non riusciamo a vincerli in casa, nonostante toccasse a un’europea.
Maradona aveva già iniziato a indispettire terzi e a Roma la Germania si aggiudicò
la coppa con un rigore dubbio a sei minuti dalla fine, dopo che gli argentini si era-
no visti espellere Monzón al 65’. Il patto non scritto vincitore-continente si confer-
mava: ovviamente l’arbitro era messicano per dissipare dicerie, e la finale era la bis
di Messico 86: corsi e ricorsi… E furono ancora i rigori a stabilire che il Brasile ne-
gli Usa (1994) godesse del favore ambientale.
Si torna in Europa, nella Parigi di Walter Benjamin e del meno letterario e più
pratico mazariniano-sabaudo Michel Platini. La Francia, oltre a esaltare il fattore
campo che a noi non riuscì, dette una lezione di politica estera e alleanze, e umiliò
il Brasile con un pesantissimo 3-0, di gran lunga superiore a quel 5-2 che la Seleção
inferse agli svedesi quarant’anni prima (almeno con Liedholm, i Blågult per cinque
minuti restarono in vantaggio). Sui tornei 2002 e 2006 ci siamo già intrattenuti.
Conclusioni
Vi ho detto tutto, ed è noto pure che l’edizione del 2014 si disputerà in Brasile.
Dal 1978 il Sudamerica ha ceduto l’organizzazione a realtà emergenti sia calcistica-
mente che in via di sviluppo. Oggi si percepisce una diminuzione del potere con-
trattuale al di sotto del Tropico del Cancro per una serie di fattori. Con il solo 9,8%
dei calciatori tesserati al mondo, e con un più miserabile 4,8% delle federazioni
aventi diritto di voto in sede Fifa, non basta avere poco meno di un quarto dei pro-
fessionisti del pianeta per fare il bello e cattivo tempo come ieri. A ciò aggiungia-
mo pure l’abbandono di posizioni filo-statunitensi di alcune federazioni della zona
geopolitica, e comprenderemo che per le questioni decisionali occorrano i numeri
occidental-atlantici sommati ad altre cifre: i Mondiali tenuti negli Stati Uniti, in
Giappone-Corea e i prossimi in Sudafrica sono un chiaro sintomo. Il Sudamerica
non organizza un Mondiale da ben 32 anni, e dal 2006 ha meno squadre dell’Afri-
ca in una fase finale!
Da quando lo Zaire si beccò uno 0-9 nel 1974 ne son andate palle nella rete. Il
calcio brasiliano tutto piroette, svolazzi, tacchetti e gennarate, nonché il suo pateti-
co epigono atlantico, hanno stuccato non solo il mondo degli sportivi, ma innanzi-
tutto la Fifa. Un ballerino bravo lo trovi su un milione, non è conveniente cercarlo
e né produttivo mantenerlo. Al calcio di domani clown e fenomeni da baraccone
non servono, bensì gladiatori da arena romana. Fondere le quattro tradizionali
scuole danubiana, italiana, argentina e inglese con le doti delle grandi Nigeria e
Camerun 1990-2000. Questa è l’intenzione dei vertici mondiali, interessati all’Africa
non tanto per il bacino d’utenza – quasi triplo (sia pure più modesto economica-
mente a livello massivo) rispetto a quello sudamericano – ma quale potenziale fab-
brica di soldati del pallone.
Non chiedetemi chi lo vincerà il prossimo Mondiale: calcolatelo interpolando
i dati non facendovi sfuggire gli sponsor. Mi sia concesso tacere: non desidero
turbare il sonno e i sogni ai tifosi che fingono di non sapere che non trionferà il
migliore.
La geopolitica non è un gioco. È il gioco.
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IL SUDAFRICA IN NERO E BIANCO