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L'intrepido soldatino di stagno

fiaba di Hans Christian Andersen

C'erano una volta venticinque soldatini tutti fratelli, perch tutti fusi fuor
dallo stesso vecchio cucchiaio di stagno. Avevano il fucile in ispalla, la
divisa rossa e turchina, proprio bella, e tutti guardavano diritto dinanzi a s.
La prima cosa che udirono al mondo, quando fu tolto il coperchio della
scatola, fu il grido: Soldatini di stagno! Chi aveva gridato cos, battendo
le mani, era un ragazzo, e i soldatini gli erano stati regalati per natele. Egli
li mise tutti sulla tavola: ogni soldato era identico agli altri; soltanto, per
quello che era stato fuso l'ultimo, non era rimasto stagno abbastanza, e cos
gli era venuta una gamba sola; ma egli stava altrettanto saldo sull'unica
gamba, quanto gli altri, che ne avevano due; e fu appunto questo soldatino
che si distinse.
Sulla tavola, sulla quale si trovavano, c'erano molti altri balocchi; ma
quello che pi attirava lo sguardo era un grazioso castello di cartone. Dalle
piccole finestre, si poteva vedere dentro, nella sala. Dinanzi al castello,
certi alberelli erano piantati attorno ad un pezzettino di specchio, che
doveva raffigurare un limpido lago; e sul lago nuotavano specchiandosi
alcuni piccoli cigni di cera. Tutto questo era molto bello; il pi bello di
tutto, per, era una piccola signora, ritta vicino al portone aperto del
castello; anch'essa di cartone, ma con un vestito di velo leggerissimo, ed un
sottile nastrino azzurro sulle spalle, posto a mo' di sciarpa: nel mezzo del
nastro era appuntata una stellina lucente, grande come tutto il suo viso. La
signora arrotondava con grazia le braccia al di sopra del capo, perch era
una ballerina, e teneva un piede cos alto, per aria, che il soldato, non
vedendolo, credette che anche lei avesse una gamba sola.
Quella mi andrebbe bene per moglie! pens: Ma troppa
aristocratica per me: abita un castello, ed io non ho che una scatola, che
debbo dividere con altri ventiquattro compagni: non sarebbe casa per lei.
Voglio vedere, per, se mi riesce di fare la sua conoscenza. E si distese
quant'era lungo dietro ad una tabacchiera, che stava anch'essa sulla tavola.
Di l poteva osservare comodamente la bella donnina, che non si stancava
mai di starsene ritta su una gamba sola, senza mai perdere l'equilibrio.
Venuta la sera, gli altri soldatini di stagno furono riposti nella loro scatola, e
quelli di casa andarono a letto. Allora i balocchi incominciarono a giocare
per conto loro: un po' facevano arrivato l'ambasciatore, un po' il lupo e le
pecore, o la festa da ballo. I soldati strepitavano dentro alla scatola, perch
avrebbero voluto unirsi anch'essi al gioco, ma non riuscivano a sollevare il
coperchio. Lo schiaccianoci faceva le tombole, e il gessetto si sbizzarriva in
mille ghirigori sulla lavagna. Fecero un chiasso tale, che il canarino si dest
ed un il suo canto all'allegria generale, ma sempre in versi per. I soli che
non si mossero dal posto furono il soldatino e la ballerina. Essa rimase ritta
come un cero sulla punta d'un piede, con le braccia levate al di sopra del
capo; egli, altrettanto imperterrito sull'unica gamba, non le tolse un istante
gli occhi di dosso.
Batt la mezzanotte, e tac!... salt il coperchio della tabacchiera; ma non
c'era tabacco dentro, c'era un diavolino nero, perch era un balocco a
sorpresa.
Soldatino, disse il diavolo nero: A forza di guardare, ti consumerai
gli occhi!
Ma il soldatino fece come se non avesse udito.
S, aspetta domani, caro! ammon il diavolino.
Quando venne il mattino e i fanciulli si alzarono, il soldatino di stagno fu
posato sul davanzale della finestra, e, fosse il diavolo nero od un colpo di
vento, la finestra si spalanc a un tratto, e il soldatino precipit dal terzo
piano a capofitto nel vuoto. Fu una tombola tremenda: tese l'unica gamba
all'aria, e rimase a baionetta in gi, con l'elmo fitto tra le pietre del selciato.
La domestica ed il ragazzino corsero subito gi a cercarlo; gli andarono
vicino che quasi lo pestavano, e pure non riuscirono a vederlo. Se il
soldatino avesse gridato: Eccomi qui! l'avrebbero subito raccattato;
ma, essendo in divisa, non gli parve decoroso mettersi a gridare.
Incominci a piovere; i goccioloni, radi da prima, si fecero sempre pi fitti,
sin che venne un vero acquazzone. Quando spiovve, capitarono due
monelli.
Guarda, guarda! esclam l'uno: Un soldatino di stagno! Facciamolo
andare a vela!
Fecero una barchetta con un pezzo di giornale, ci misero il soldato e lo
vararono nel rigagnolo della via. I due ragazzi gli correvano appresso
battendo le mani. Cielo, aiutami! Che onde c'erano in quel rigagnolo e che
corrente terribile! La pioggia doveva proprio esser caduta a torrenti! La
barchetta di carta beccheggiava forte forte, e tal volta girava cos
rapidamente, che il soldato sussultava. Ma rimaneva intrepido, per, n
mutava colore; guardava sempre fisso davanti a s e teneva il fucile in
ispalla.
Improvvisamente, la barca scivol in un tombino; e l poi era buio pesto,
come nella sua scatola.
Dove sar mai capitato? pensava: S, s, quest' tutta opera del
diavolo nero. Ah, se ci fosse qui, nella barchetta, la donnina del castello, mi
sentirei tutto consolato, per buio che fosse!
In quella, sbuc un vecchio ratto, che nel tombino aveva la sua casa.
Hai il passaporto? domand il ratto: Fuori il passaporto!
Ma il soldato rimase muto e si content di tener l'arma ancora pi salda. La
barchetta seguitava, e il ratto dietro. Uh! come digrignava i denti, e come
gridava a tutti i fuscelli, a tutte le pagliuzze: Fermatelo! fermatelo! Non ha
pagato il pedaggio, non ha presentato il passaporto!
La corrente divenne sempre pi forte: il soldatino incominciava a veder
chiaro gi prima d'essere fuori del tombino; ma, proprio nel medesimo
tempo, sent uno scroscio tale, che avrebbe fatto tremare anche il cuore
dell'uomo pi valoroso. Figuratevi che il rigagnolo, appena fuori di quel
passaggio, si buttava in un largo canale con un salto altrettanto pericoloso
per la barchetta quanto sarebbe per noi la cascata del Niagara.
Oramai, il pericolo era cos vicino, che egli non poteva pi evitarlo. La
barchetta precipit; il povero soldatino si tenne ritto, alla meglio, perch
nessuno potesse dire d'averlo nemmeno veduto batter palpebra. La barca
gir su se stessa tre o quattro volte, si riemp d'acqua sino all'orlo, ed era
sul punto di calare al fondo: il soldato era nell'acqua sino al collo, e la barca
sprofondava sempre pi gi, sempre pi gi: la carta inzuppata era l per
sfasciarsi: gi l'acqua si richiudeva sopra il capo del soldato... Egli pens
allora alla graziosa ballerina, che non avrebbe mai pi riveduto, e un
ritornello gli rison agli orecchi:

Soldato, dove vai?


La morte incontrerai!

La carta si lacer ed il soldato cadde di sotto; ma proprio in quel momento,


un grosso pesce lo inghiott.
Allora s, che si trov al buio davvero! Si stava ben peggio l che nel
tombino, e pigiati poi... Ma il soldato rimase imperterrito, e, anche cos
lungo disteso, mantenne pur sempre il fucile in spalla.
Il pesce non si chetava un momento: correva qua e l con certi guizzi
terribili; alla fine, si ferm e parve traversato come da un baleno: e allora
qualcuno grid forte: Oh! il soldato di stagno!
Il pesce era stato pescato, e poi portato al mercato e venduto, ed era
capitato in cucina, dove la cuoca l'aveva aperto con un grande coltello.
Allora la cuoca prese il soldato con due dita a traverso il corpo e lo port in
salotto dove tutti vollero vedere quest'uomo meraviglioso, che aveva
viaggiato nel ventre d'un pesce. Ma non per questo egli mise superbia: fu
posto sulla tavola, e l... Davvero in questo mondo accadono cose
meravigliose!... Il soldatino di stagno si trov per l'appunto nello stesso
identico salotto di dov'era partito, si vide attorno gli stessi bambini, e vide
sulla tavola, tra gli stessi balocchi, lo splendido castello con la bella
ballerina, che se ne stava sempre ritta sulla punta di un piede ed alzava
l'altro per aria, intrepida anche lei. Il nostro soldatino ne fu tanto
commosso, che avrebbe pianto lacrime di stagno, se non gli fosse parso
vergogna. Egli la guard, ed essa guard lui, ma non si dissero nulla.
A un tratto, uno dei bambini pi piccini afferr il soldato e lo gett nella
stufa, cos, proprio senza un perch al mondo. Anche di ci doveva aver
colpa il diavolo nero della scatola.
Il soldatino si trov tutto illuminato e sent un terribile calore: egli stesso
non riusciva a distinguere se fosse il fuoco vero e proprio, o l'immenso,
ardente suo amore. Non gli era rimasto pi un briciolo di colore: fosse poi
conseguenza del viaggio o delle emozioni nessuno avrebbe potuto dire. La
ballerina lo guardava ed egli guardava lei; e si sentiva struggere, ma
rimaneva imperterrito, col fucile in ispalla. In quella, una porta si spalanc;
il vento invest la signorina, ed essa, volando come una farfalla, and
proprio difilata nel caminetto presso il soldato: una vivida fiamma... e poi,
pi nulla. Il soldato si strusse sino a diventare un mucchietto informe, e il
giorno dopo, quando la domestica venne a portar via la cenere, lo trov
ridotto come un cuoricino di stagno. Della bambolina non rimaneva altro
che la piccola stella, ma tutta bruciata, nera come il carbone.

Il gatto con gli stivali

fiaba di Perrault

Un mugnaio, venuto a morte, non lasci altri beni ai suoi tre figliuoli che
aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.

Cos le divisioni furono presto fatte: n ci fu bisogno dell'avvocato e del


notaro; i quali, com' naturale, si sarebbero mangiata in un boccone
tutt'intera la piccola eredit.

Il maggiore ebbe il mulino.

Il secondo, l'asino.

E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.

Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte cos
meschina.

"I miei fratelli", faceva egli a dire, "potranno tirarsi avanti onestamente,
menando vita in comune: ma quanto a me, quando avr mangiato il mio
gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisogner che mi rassegni a
morir di fame."

Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso,
gli disse con viso serio e tranquillo:
"Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che
trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e
dopo vi far vedere che nella parte che vi toccata, non siete stato trattato
tanto male quanto forse credete".

Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta
contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel
prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il
morto, nascosto dentro la farina, che fin coll'aver qualche speranza di
trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie.

Appena il gatto ebbe ci che voleva, s'infil bravamente gli stivali, e


mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne and
in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli.

Pose dentro al sacco un po' di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per


terra come se fosse morto, aspett che qualche giovine coniglio, ancora
novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola
di mangiare la roba che c'era dentro.

Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane


d'anni e di giudizio, che entr dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando
subito la funicella, lo prese e l'uccise senza piet n misericordia.

Tutto glorioso della preda fatta and dal Re, e chiese di parlargli.

Lo fecero salire nei quartieri del Re, dove entrato che fu fece una gran
riverenza al Re, e gli disse:

"Ecco, Sire, un coniglio di conigliera che il signor marchese di Carab", era


il nome che gli era piaciuto di dare al suo padrone, "mi ha incaricato di
presentarvi da parte sua".

"Di' al tuo padrone" rispose il Re "che lo ringrazio e che mi ha fatto un vero


regalo."

Un'altra volta and a nascondersi fra il grano, tenendo sempre il suo sacco
aperto; e appena ci furono entrate dentro due pernici, tir la corda e le
acchiapp tutte e due.

Corse quindi a presentarle al Re, come aveva fatto per il coniglio di


conigliera. Il Re grad moltissimo anche le due pernici e gli fece dare la
mancia.
Il gatto in questo modo continu per due o tre mesi a portare di tanto in
tanto ai Re la selvaggina della caccia del suo padrone.

Un giorno avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la


riva del fiume insieme alla sua figlia, la pi bella Principessa del mondo,
disse al suo padrone:

"Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna fatta: voi dovete
andare a bagnarvi nel fiume, e precisamente nel posto che vi dir io: quanto
al resto, lasciate fare a me".

Il marchese di Carab fece tutto quello che gli consigli il suo gatto, senza
sapere a che cosa gli avrebbe potuto giovare.

Mentre egli si bagnava, il Re pass di l; e il gatto si messe a gridare con


quanta ne aveva in gola:

"Aiuto, aiuto! affoga il marchese di Carab".

A queste grida, il Re messe il capo fuori dallo sportello della carrozza e,


riconosciuto il gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordin
alle guardie che corressero subito in aiuto del marchese di Carab.

Intanto che tiravano su, fuori dell'acqua, il povero Marchese, il gatto


avvicinandosi alla carrozza raccont al Re che mentre il suo padrone si
bagnava, i ladri erano venuti a portargli via i suoi vestiti, sebbene avesse
gridato al ladro con tutta la forza dei polmoni. Il furbo trincato aveva
nascosto i panni sotto un pietrone.

Il Re di ordine subito agli ufficiali della sua guardaroba di andare a


prendere uno dei pi sfarzosi vestiari per il marchese di Carab.

Il Re gli us mille carezze, e siccome l'abito che gli avevano portato in quel
momento faceva spiccare i pregi della sua persona (perch era bello e
benissimo fatto), la Principessa lo trov simpatico e di suo genio: e
bastarono poche occhiate del marchese di Carab, molto rispettose ma
abbastanza tenere, perch ella ne rimanesse innamorata cotta.

Volle il Re che salisse nella sua carrozza, e facesse la passeggiata con essi.

Il gatto, contentissimo di vedere che il suo disegno cominciava a pigliar


colore, s'avvi avanti; e avendo incontrato dei contadini, che segavano,
disse loro:
"Buona gente che segate il fieno, se non dite al Re che il prato segato da
voi appartiene al marchese di Carab, sarete tutti affettati fini fini come
carne da far polpette".

Il Re infatti domand ai segatori di chi fosse il prato che segavano.

" del marchese di Carab", dissero tutti a una voce perch la minaccia del
gatto li aveva impauriti.

"Voi avete di bei possessi", disse il Re al marchese di Carab.

"Lo vedete da voi, Sire", rispose il Marchese.

"Questa una prateria, che non c' anno che non mi dia una raccolta
abbondantissima."

Il bravo gatto, che faceva sempre da battistrada, incontr dei mietitori, e


disse loro:

"Buona gente che segate il grano, se non direte che tutto questo grano
appartiene al signor marchese di Carab, sarete stritolati fini fini come
carne da far polpette".

Il Re, che pass pochi minuti dopo, volle sapere a chi appartenesse tutto il
grano che vedeva.

" del signor marchese di Carab", risposero i mietitori.

E il Re se ne rallegr col Marchese.

Il gatto, che trottava sempre avanti la carrozza, ripeteva sempre le


medesime cose a tutti quelli che incontrava lungo la strada; e il Re
rimaneva meravigliato dei grandi possessi del signor marchese di Carab.

Finalmente il gatto arriv a un bel castello, di cui era padrone un orco, il


pi ricco che si fosse mai veduto; perch tutte le terre, che il Re aveva
attraversate, dipendevano da questo castello.

Il gatto s'ingegn di sapere chi era quest'uomo, e che cosa sapesse fare: e
domand di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza
passare cos accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza.

L'orco l'accolse con tutta quella cortesia che pu avere un orco; e gli offr
da riposarsi.
"Mi hanno assicurato", disse il gatto, "che voi avete la virt di potervi
cambiare in ogni specie d'animali; e che vi potete, per dirne una,
trasformare in leone e in elefante."

"Verissimo!", rispose l'orco bruscamente, "e per darvene una prova, mi


vedrete diventare un leone."

Il gatto fu cos spaventato dal vedersi dinanzi agli occhi un leone, che
s'arrampic subito su per le grondaie, ma non senza fatica e pericolo, a
cagione dei suoi stivali, che non erano buoni a nulla per camminare sulle
grondaie de' tetti.

Di l a poco, quando il gatto si avvide che l'orco aveva ripresa la sua forma
di prima, cal a basso e confess di avere avuto una gran paura.

"Mi hanno per di pi assicurato", disse il gatto, "ma questa mi par troppo
grossa e non la posso bere, che voi avete anche la virt di prendere la forma
dei pi piccoli animali; come sarebbe a dire, di cambiarvi, per esempio, in
un topo o in una talpa: ma anche queste son cose, lasciate che ve lo ripeta,
che mi paiono sogni dell'altro mondo!"

"Sogni?", disse l'orco. "Ora vi far veder io!..."

E nel dir cos, si cangi in sorcio, e si messe a correre per la stanza.

Ma il gatto, lesto come un baleno, gli s'avvent addosso e lo mangi.

Intanto il Re che, passando da quella parte, vide il bel castello dell'orco,


volle entrarvi.

Il gatto, che sent il rumore della carrozza che passava sul ponte-levatoio
del castello, corse incontro al Re e gli disse:

"Vostra Maest sia la benvenuta in questo castello del signor marchese di


Carab".

"Come! signor Marchese!", esclam il Re. "Anche questo castello vostro?


Non c' nulla di pi bello di questo palazzo e delle fabbriche che lo
circondano; visitiamolo all'interno, se non vi scomoda."

Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito
il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una
magnifica merenda, che l'orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che
dovevano venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel
castello, perch sapevano che c'era il Re.
Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carab,
al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che
aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse:

"Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi".

Il marchese, con mille reverenze, grad l'alto onore fattogli dal Re, e il
giorno dopo spos la Principessa.

Il gatto divent gran signore, e se seguit a dar la caccia ai topi, lo fece


unicamente per passatempo.

Godersi in pace una ricca eredit, passata di padre in figlio, sempre una
bella cosa: ma per i giovani, l'industria, l'abilit e la svegliatezza d'ingegno
valgono pi d'ogni altra fortuna ereditata.

Da questo lato, la storia del gatto del signor marchese di Carab molto
istruttiva, segnatamente per i gatti e per i marchesi di Carab.

Cenerentola

fiaba di Perrault

C'era una volta, in un paese lontano, un gentiluomo vedovo che viveva in


una bella casa con la sua unica figlia.
Egli donava alla sua adorata bambina qualsiasi cosa ella desiderasse: bei
vestiti, un cucciolo, un cavallo..... Tuttavia capiva che la piccola aveva
bisogno delle cure di una madre.
Cos si rispos, scegliendo una donna che aveva due figlie giovani, le quali,
egli sperava, sarebbero diventate compagne di giochi della sua bambina.
Sfortunatamente, il buon uomo mor poco tempo dopo, ed allora la
matrigna mostr la sua vera natura.
Era dura e fredda, e profondamente invidiosa della dolcezza e bont della
sua figliastra, perch queste qualit facevano per contrasto apparire le sue
due figlie, Anastasia e Genoveffa, ancor pi meschine e brutte.

Le sorellastre andavano riccamente vestite, mentre la povera ragazza era


costretta ad indossare un vestito semplice e grossolano, ed un grembiule, e
a compiere in casa tutti i lavori pi pesanti. Si alzava prima dell'alba,
andava a prender l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava, lavava e puliva i
pavimenti. Quando aveva finito di sbrigare tutti i lavori, per riscaldarsi era
solita sedersi vicino al camino accanto al carbone ed alla cenere. Perci
cominciarono a chiamarla Cenerentola.
La matrigna e le sorellastre dormivano in belle stanze, mentre la piccola
camera di Cenerentola era in soffitta, proprio sotto il tetto della casa, deve
vivevano dozzine di topi. Nonostante tutto questo, Cenerentola rimase
gentile e cortese, sognando che un bel giorno la felicit sarebbe arrivata.
Fece amicizia con gli uccelli che la svegliavano tutte le mattine. Fece anche
amicizia con i topi con cui divideva la soffitta, diede a ciascuno un nome, e
cuc loro dei minuscoli vestiti e cappelli. I topi amavano Cenerentola e le
erano grati, perch talvolta li liberava da una trappola o li salvava da
Lucifero, il malizioso gatto della matrigna.
Ogni mattina, Cenerentola, preparava la colazione per tutti gli abitanti della
casa: una scodella di latte per il gatto, un osso per il cane, avena per il suo
vecchio cavallo, granoturco e frumento per le galline, le oche e le anitre del
cortile. Poi portava al piano di sopra i vassoi della colazione per la
matrigna e le sorellastre Anastasia e Genoveffa. "Prendi questa roba da
stirare e riportala entro un'ora" ordinava Genoveffa. "Non dimenticare il
mio rammendo, e non impiegare tutto il giorno a finirlo!" la rimproverava
Anastasia. "Stendi il bucato e vai avanti col tuo lavoro" ordinava la
matrigna "Batti il grande tappeto della sala, lava le finestre, pulisci la
tappezzeria!" "Si Genoveffa. Si Anastasia. Si mamma" rispondeva
Cenerentola mettendosi al lavoro di buona lena.

Dall'altra parte della citt c'era il palazzo reale. Un giorno il re convoc il


granduca Monocolao e gli disse: "E' tempo che il principe prenda moglie e
si sistemi!" "Ma vostra Maest" rispose il duca " deve prima trovare una
ragazza ed innamorarsi!" "Hai ragione" ammise il re. "Daremo un ballo ed
inviteremo tutte le fanciulle del reame. Dovr per forza innamorarsi d'una
di loro." Subito furono spediti gli inviti e il regale biglietto fu portato anche
nella casa di Cenerentola. "Un ballo! Un ballo! Andremo ad un ballo!"
gridarono Anastasia e Genoveffa. "Anch'io sono invitata" disse
Cenerentola. "C' scritto: 'Per ordine del Re, ogni fanciulla dovr
partecipare!". Le sorellastre risero all'idea di Cenerentola che andava ad un
ballo indossando il grembiule con una scopa in mano. Ma la matrigna, con
un sorriso sornione, disse che Cenerentola sarebbe certamente potuta
andare se avesse finito il suo lavoro e si fosse procurata un vestito decente
da indossare. "Se....." rise Anastasia "Se....." sghignazz Genoveffa. E
venne il gran giorno. Fin dall'alba le sorellastre furono indaffarate a
scegliere abiti, sottovesti ed ornamenti da mettere nei capelli, e non
parlarono che del modo in cui si sarebbero vestite per il ballo. Nel
frattempo Cenerentola fu tenuta pi occupata del solito, perch dovette
stirare le ampie gonne, sistemare le guarnizioni, annodare i nastri. Quando
venne la carrozza a prendere la matrigna e le sorellastre, Cenerentola non
aveva avuto neppure avuto il tempo di prepararsi. "Bene" disse la matrigna.
"Allora non verrai. Che peccato! Ma ci saranno altri balli!" Cenerentola sal
tristemente le scale buie e si affacci alla sua finestra illuminata dalla luna.
E guard mesta il palazzo lontano che risplendeva di luci.

All'improvviso, una candela venne accesa alle sue spalle. Cenerentola si


volt, e vide un bellissimo vestito da sera.
L'avevano cucito per lei gli uccelli ed i topi suoi amici, e lo avevano
decorato con pezzi di nastro e perline che avevano trovato in giro per la
casa. In men che non si dica, Cenerentola indoss il vestito e corse gi per
le scale, gridando: "Per favore, aspettate, vengo anch'io!" Anastasia e
Genoveffa si girarono: com'era bella! L'invidia le accec e... "Le mie
perle!" grid una. "Il mio nastro!" url un'altra e strapparono il vestito di
Cenerentola. Poi, soddisfatte se ne andarono. Disperata Cenerentola corse
in giardino e singhiozz: "E' proprio inutile. Non c' niente da fare!" Ma in
quel momento da una nuvola di polvere di stelle usc una donnina dalla
faccia tonda, avvolta in un mantello con cappuccio.

"Sciocchezze, figliola" disse con voce dolce. "Asciuga quelle lacrime: non
vorrai andare al ballo in questo stato!". Cenerentola smise di piangere e
chiese: "Chi siete?" "Sono la fata tua madrina e mi chiamo Smemorina"
rispose lo strano personaggio. "Non abbiamo molto tempo a disposizione.
Penso che per prima cosa tu abbia bisogno di una zucca." Cenerentola non
cap il motivo, ma obbed e raccolse una grossa zucca. La fata agit la sua
bacchetta magica verso di essa, e cant: "Salagadula, mencica bula,
bibbidi-bobbidi-bu...." la zucca si alz lentamente sul fusto, mentre i viticci
arrotolandosi si trasformarono in ruote: in un attimo divent una stupenda
carrozza. "Ora" disse la fata "abbiamo bisogno di alcuni topi".
Quattro piccoli amici di Cenerentola si presentarono di corsa, ed ancora
una volta la fata cant le parole magiche mentre toccava i topi con la sua
bacchetta. I topolini furono trasformati in quattro cavalli grigi pomellati che
furono subito attaccati alla carrozza. Poi la fata trasform il vecchio cavallo
di Cenerentola in un superbo cocchiere ed il cane Tobia in un elegante
valletto. "Ed ora tocca a te, mia cara" disse la fata Smemorina, toccando
Cenerentola con la sua bacchetta. Il vestito strappato divent uno splendido
abito di seta e da sotto la gonna spuntarono delle deliziose scarpette di
cristallo, le pi belle del mondo. Cenerentola non riusciva a parlare per
l'emozione. La fata allora spinse la carrozza e le raccomand di non
rimanere al ballo dopo la mezzanotte: se fosse rimasta un solo minuto di
pi, la carrozza sarebbe ridiventata una zucca, i cavalli topolini, il
cocchiere un vecchio cavallo ed il valletto un cane, e lei stessa si sarebbe
ritrovata vestita di stracci. Cenerentola promise e part felice verso il
palazzo reale. Quando arriv, il ballo era gi iniziato, e il principe, con aria
un p annoiata, stava facendo l'inchino alle duecentodecima e
duecentoundicesima damigella: le brutte sorellastre Anastasia e Genoveffa.
All'improvviso alz lo sguardo e scorse all'ingresso la pi bella fanciulla
che avesse mai visto. Come trasognato piant in asso le sorelle e si
avvicin a Cenerentola, la prese per mano e l'accompagn nella grande
sala, in mezzo a tutti. Per tutta la serata il figlio del re non ball con nessun
altra e non lasci la sua mano un solo minuto. Le sorellastre e la matrigna
non riconobbero Cenerentola e si rodevano d'invidia chiedendosi chi
potesse essere la bella sconosciuta.

Tutte le dame osservarono il suo abito e la sua pettinatura, e si ripromisero


di copiarli il giorno seguente. Il vecchio re sorrideva soddisfatto: il principe
aveva trovato la sposa dei suoi sogni. Passarono le ore. Quando l'orologio
del palazzo cominci a battere la mezzanotte, Cenerentola ricord la
promessa. "Devo andare" grid spaventata e, liberando la sua mano da
quella del principe, attravers il palazzo e scese di corsa lo scalone,
inseguita dal principe e dal granduca. Una scarpetta di cristallo le si sfil
correndo, ma lei non si ferm finch non fu in carrozza. L'orologio stava
ancora battendo l'ora quando la carrozza lasci il palazzo di gran carriera:
mentre oltrepassava il cancello, risuon il dodicesimo rintocco: carrozza,
cavalli, tutto spar ed al loro posto comparvero una zucca, alcuni topolini,
un cane, un vecchio cavallo e una fanciulla vestita di stracci. Tutto ci che
rimaneva di quella magica serata era la scarpetta di cristallo che brillava al
piede di Cenerentola. Il mattino seguente, il figlio del re comunic al padre
che avrebbe sposato solo la fanciulla che aveva perso la scarpetta al ballo.
Il granduca Monocolao fu incaricato di cercare la ragazza il cui piede
entrasse perfettamente nella preziosa scarpetta. Il granduca prov la
scarpetta a tutte le principesse, alle duchesse, alle marchese, a tutte le dame
del regno, ma inutilmente.

Arriv infine a casa di Cenerentola. La matrigna tutta eccitata, corse a


svegliare le sue pigre figlie. "Non abbiamo un minuto da perdere" grid.
"C' la possibilit che una di voi diventi la sposa del principe, se riuscir a
calzare la scarpetta di cristallo!" e le mand gi di corsa dal duca, con la
raccomandazione "Non deludetemi"! Poi segu Cenerentola, che era andata
in camera sua per rendersi presentabile al duca, e la chiuse dentro a chiave.
Nessun'altra doveva poter approfittare di un'occasione tanto fortunata.
Quando Cenerentola ud lo scatto della serratura, cap, troppo tardi, cos'era
accaduto. "Per favore, vi prego, fatemi uscire!" implor girando inutilmente
la maniglia. La matrigna si mise in tasca la chiave e se ne and
sogghignando. Non si accorse per che due topolini la seguivano, senza
mai perdere di vista la tasca in cui aveva messo la chiave. Nel frattempo
Anastasia e Genoveffa stavano discutendo sopra la scarpetta di cristallo, e
ciascuna affermava che era sua. La matrigna le osserv con attenzione
mentre cercavano senza successo di far entrare i loro piedoni nella
minuscola scarpetta. Non si accorse che i due topolini le sfilavano
silenziosamente la chiave dalla tasca e se la portavano via. Il granduca
riprese la scarpetta alle due sorellastre immusonite e si avvi alla porta per
andare nella casa seguente, quando Cenerentola, chiam dalle scale: "Per
favore Vostra Grazia, aspettate! Posso provare la scarpetta?" La matrigna
tent di sbarrarle il passo. "E' solo Cenerentola, la nostra sguattera." disse
al duca, ma egli la spinse di lato. "Signora, i miei ordini sono: ogni
fanciulla del regno!" La malvagia matrigna tent un ultimo trucco. Fece lo
sgambetto al servitore del duca che reggeva su un cuscino la scarpetta di
cristallo: la preziosa scarpina cadde per terra frantumandosi in mille pezzi.
"Oh terribile!" grid il duca. "Cosa dir il Re?" Allora Cenerentola mise
la mano nella tasca del grembiule. "Non preoccupatevi" disse "ho io l'altra
scarpetta" Il duca gliela calz, ed il piede naturalmente entr senza fatica.

Il quel momento apparve la fata Smemorina, che tocc Cenerentola con la


bacchetta magica. E tutti poterono constatare che era proprio lei la bella
sconosciuta che aveva conquistato il cuore del principe al ballo.
Cenerentola fu accompagnata al palazzo reale con la carrozza del re. L, fra
grandi feste ed al suono di tutte le campane del reame, Cenerentola spos il
suo principe. E da quel giorno vissero felici e contenti.

Riccidoro e i tre orsi

fiaba dei fratelli Grimm

C'erano una volta...


tre Orsi, che vivevano in una casina nel bosco. C'era Babbo Orso grosso
grosso, con una voce grossa grossa; c'era Mamma Orsa grossa la met, con
una voce grossa la met; e c'era un Orsetto piccolo piccolo con una voce
piccola piccola. Una mattina i tre Orsi facevano colazione e Mamma Orsa
disse: - La pappa e troppo calda, ora. Andiamo a fare una passeggiata nel
bosco, mentre la pappa diventa fredda. Cosi i tre Orsi andarono a fare una
passeggiata nel bosco. Mentre erano via, arriv una piccola bimba chiamata
Riccidoro. Quando vide la casetta nel bosco, si domand chi mai potesse
vivere l dentro, e picchi alla porta. Nessuno rispose, e la bimba picchi
ancora. Nessuno rispose: Riccidoro allora apr la porta ed entr. E l, nella
piccola stanza, vide una tavola apparecchiata per tre. C'era una scodella
grossa grossa, una scodella grossa la met e una scodella piccola piccola.
Riccidoro assaggi la pappa della scodella grossa grossa: Oh! E' troppo
calda! disse. Assaggi la pappa della scodella grossa la met: Oh! E' troppo
fredda! Poi assaggi la pappa della scodella piccola piccola: Oh ! Questa s
che va bene ! - E se la mangi tutta. Poi entr in un'altra stanza, e l vide
tre seggiole. C'era una seggiola grossa grossa, c'era una seggiola grossa la
met e c'era una seggiola piccola piccola. Riccidoro si sedette sulla
seggiola grossa grossa: - Oh! Questa troppo dura! - disse. Si sedette sulla
seggiola grossa la met: - Oh! Questa troppo molle! Poi si sedette sulla
seggiola piccola piccola: Oh! Questa s che va bene! E vi si sedette con
tanta forza, che la ruppe. Entr allora in un'altra stanza e l vide tre letti.
C'era un letto grosso grosso, c'era un letto grosso la met, e c'era un letto
piccolo piccolo.
Riccidoro si stese sul letto grosso grosso:
Oh! Questo e troppo duro! disse.
Provo il letto grosso la met:
- Oh! Questo e troppo molle!
lnfine prov il letto piccolo piccolo:
Oh! Questo si che va bene! sospir, e subito prese sonno. Mentre Riccidoro
dormiva i tre Orsi tornarono dalla passeggiata nel bosco.
Riccidoro e i tre orsi, illustrato da Arthur Rackham

Guardarono la tavola, e Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce
grossa grossa:
- QUALCUNO HA ASSAGGIATO LA MIA PAPPA .
Mamma Orsa grossa la met disse con la sua voce grossa la met:
Qualcuno ha assaggiato la mia pappa !
L'Orsetto piccolo piccolo disse con la sua voce piccola piccola:
- Qualcuno ha assaggiato la mia pappa e se l'e mangiata tutta!-

I tre Orsi entrarono nella camera accanto.


Babbo Orso grosso grosso guard la sua seggiola e disse con la sua voce
grossa grossa:
- QUALCUNO Sl E' SEDUTO SULLA MIA SEGGIOLA ! Mamma Orsa
grossa la met disse con la sua voce grossa la met: - Qualcuno si seduto
sulla mia seggiola !
E l'Orsetto piccolo piccolo grid con la sua voce piccola piccola:
- Qualcuno si seduto sulla mia seggiola e l'ha rotta!
I tre Orsi entrarono infine nella camera da letto.
Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce grossa grossa:
- QUALCUNO Sl E' STESO SUL MIO LETTO
Mamma Orsa grossa la met disse con la sua voce grossa la met: -
Qualcuno si steso sul mio letto !
Riccidoro e i tre orsi, illustrato da Arthur Rackham

E l'Orsetto piccolo piccolo grid con la sua voce piccola piccola:


- Qualcuno si steso sul mio letto, ed eccola qui!
La voce acuta dell'Orsetto piccolo piccolo svegli Riccidoro, e voi potete
ben immaginare come si spavent nel vedere i tre Orsi che la guardavano.
Balz gi dal letto, attravers la stanza di corsa, salt fuori dalla finestrella
bassa, e fugg via nel bosco tanto in fretta come mai le sue gambe l'avevano
fatta correre.

Hansel e Gretel

fiaba dei fratelli Grimm

C'era una volta...


un povero falegname che viveva in una casupola sul limitare del bosco.
L'uomo aveva due bambini, Hansel e Gretel, nati dalla sua precedente
moglie che era morta qualche anno prima. L'anno precedente aveva ripreso
moglie: ma la nuova moglie non sopportava i due figliastri. Erano tempi
duri e un giorno la moglie disse al padre di Hansel e Gretel: "Non abbiamo
pi niente da mangiare: porta i due bambini nella foresta ed abbandonali,
cos avremo due bocche da sfamare in meno". L'uomo, a malincuore
acconsent.

Hansel aveva sentito tutto, e sgusci non visto fuori, dove raccolse delle
pietruzze. Il giorno dopo il padre li accompagn nella foresta, e poco per
volta Hansel deposit per terra una pietruzza alla volta. Giunti in una
radura, si allontan con una scusa. Gretel era disperata, ma Hansel ritrov
la strada di casa grazie alle pietruzze.

Qualche giorno dopo, la matrigna ripropose la stessa cosa. Hansel risent di


nuovo, ma non pot prendere i sassolini. Il giorno dopo, sboccencell la
pagnotta che aveva in tasca lasciando delle briciole. Come l'altra volta fu
lasciato con la sorella in una radura, ma non pot trovare la strada di casa:
gli uccellini avevano mangiato tutto.

Con Gretel inizi a vagare per la foresta, mentre scendeva la notte. Ad un


certo punto giunsero in una radura dove c'era una casa tutta costruita di
marzapane, dolci, biscotti e cioccolato. Hansel e Gretel avevano fame e si
precipitarono a mangiarla. Ad un tratto usc una vecchietta, che disse loro:
"Ma non rimanete fuori, bambini! Entrate, entrate!"

Hansel e Gretel non se lo fecero ripetere: la vecchina sembrava gentile,


offr loro un pranzo succulento e un letto dove dormire. Ma il mattino dopo
rivel la sua vera natura: in realt era una strega, che aveva gi mangiato
molti bambini. Chiuse Hansel in una gabbia, per nutrirlo a dovere e farlo
ingrassare per poi mangiarlo e mise Gretel a fare i lavori pi umili. Hansel
che era astuto prese un ossicino di un pollo che aveva mangiato il primo
giorno: si era accorto che la strega non ci vedeva bene, per cui, quando
veniva a tastare le sue dita, lui le faceva sentire l'ossicino. La storia and
avanti per alcune settimane, poi un giorno la strega si spazient: "Vuol dire
che grasso o meno ti manger lo stesso!"

La strega chiese a Gretel di accendere il forno. La bambina lo accese ma


disse che non riusciva ad arrivare al piatto che era dentro il forno. La strega
si sporse nel forno per prendere il piatto e Gretel la spinse nel forno,
chiudendo la porta dietro. Poi Gretel liber Hansel e prima di andare via
trovarono tutti i tesori che la strega aveva accumulato. I due bambini si
diressero verso casa, dove grazie ai tesori della Casa di Marzapane non
soffrirono pi la fame e diventarono una delle famiglie pi ricche della
citt.

Pollicino

fiaba dei fratelli Grimm

C'era una volta...


un povero contadino, che una sera stava seduto presso al focolare e
attizzava il fuoco, mentre sua moglie filava. Disse: - Com' triste non aver
bambini! E' cosi silenziosa casa nostra! e dagli altri c' tanto baccano e
tanta allegria! - Si, - rispose la donna sospirando, - anche se fosse uno solo,
sia pur piccolissimo, non pi grosso di un pollice, sarei gi contenta; e gli
vorremmo un gran bene - Ora avvenne che la donna cominci a star male, e
dopo set-te mesi diede alla luce un bambino, perfettamente formato, ma
non pi alto di un pollice. Dissero: - E' quale ce lo siamo augurato e sar il
nostro caro figlioletto, - e, dalla statura, lo chiamarono Polli-cino. Non gli
lesinarono il cibo, ma il bimbo non crebbe; rimase quel che era stato fin dal
primo momento; ma aveva uno sguardo intelligente e ben presto si
dimostr un cosino svelto e giudizioso, che riusciva in tutto quel che
intraprendeva.

Un giorno il contadino si preparava ad andar nel bosco a tagliar legna; e


mormor: - Se ci fosse qualcuno che venisse a prendermi col carro! - O
babbo, - esclam Pollicino, - verr io! Fidatevi; arriver nel bosco a tempo
debito -. L'uomo si mise a ridere e disse:

- Com' possibile? Sei troppo piccolo per guidare il cavallo con le redini. -
Non fa niente, babbo; se la mamma vuol attaccarlo, io mi metto
nell'orecchio del cavallo e gli dico dove deve andare. - Be',
- rispose il contadino, - proviamo, per una volta -. Quando giunse l'ora, la
madre attacc e mise Pollicino nell'orecchio del cavallo, e il piccolo gli
gridava dove doveva andare: - Uh e oh! gi e arri! -E il cavallo si dirigeva
benissimo, come se ci fosse stato un cocchiere, e il carro se n'andava dritto
verso il bosco. Ed ecco, proprio a u-na svolta, mentre il piccino gridava
perch la bestia piegasse a sinistra, passaron di li due forestieri. - Gran Dio!
- disse l'uno: - che mai questo? c' un carro, e guida il cavallo un
carrettiere invisibile. - C' qualcosa che non va, - disse l'altro, - seguiamo il
carro e vediamo dove si ferma -. Ma il carro s'addentr nel bosco, proprio
dove spaccavan la legna. Quando Pollicino vide suo padre, gli grid

- Eccomi, babbo, son qui col carro; tirami gi - Il padre prese cavallo con la
sinistra e con la destra tir gi dall'orecchio il ~ figlioletto, che tutto allegro
si mise a sedere su una festuca. Quando i due forestieri videro Pollicino,
ammutolirono dallo stu-pore. L'uno tir l'altro in disparte e gli disse: -
Senti, quel cosino potrebbe essere la nostra fortuna, se lo faremo vedere, a
pagamento,in una gran citta': compriamolo! - Si avvicinarono al contadino
e dissero:

- Vendeteci l'ornino, lo tratteremo bene. No, - rispose- la radice del mio


cuore, non lo venderei per tutto l'oro I mondo -, Ma Pollicino, sentendo del
negozio, gli si era arram-picato su per le pieghe del vestito; si mise sulla
sua spalla, e gli sus-ssurr all'orecchio: - Babbo, vendimi pure, tanto
torner -, Allora il padre lo diede a questi due per una bella moneta d'oro. -
Dove vuoi metterti? - gli dissero. - Ah, mettetemi sulla tesa del cappello
-cos posso andar su e gi e guardarmi attorno senza rischio di cadere

-. L'accontentarono, e quando Pollicino ebbe preso con-gedo dal padre, se


ne andarono con lui. Camminarono fino al crepu-scolo; allora il piccino
disse: - Tiratemi gi, ne ho bisogno. Rimani pure l,- disse l'uomo che lo
portava sulla testa; - non importa-; anche gli uccelli ogni tanto lascian
cadere qualcosa. - No -disse Pollicino, - so quel che si conviene; tiratemi
gi, presto! -l'uomo si tolse il cappello e mise il piccino su un campo, lungo
la strada; e quello s'addentr un poco fra le zolle, strisciando e saltel-lando;
poi, d'un tratto, scivol in una tana di sorcio, che aveva ap-punto cercata. -
Buona sera, signori! andatevene pure senza di me! grid loro,
beffeggiandoli. Quelli corsero e frugarono coi bastoni nella tana, ma era
fatica persa: Pollicino strisciava sempre pi gi, e siccome fu ben presto
notte fonda, dovettero andarsene con la rabbia in corpo e con la borsa
vuota. Quando Pollicino s'accorse che se n'erano andati, sbuc di nuovo
fuori dalla galleria sotterra-nea

E' pericoloso camminar per i campi al buio, - disse, - cos' facile rompersi
il collo! - Per fortuna s'imbatt in un guscio di lu-maca, " Grazie al cielo, -
pens, - posso pernottare al sicuro", e ci entro'. Poco dopo, mentre stava per
addormentarsi, senti passare due uomini, uno dei quali diceva: - Come
faremo a pigliarci l'oro e argento del ricco parroco? - Potrei dirtelo io, -
grid a un tratto Pollicino. - Cos' stato? - esclam atterrito uno dei ladri: -
ho sentito parlare -. Si fermarono in ascolto e Pollicino torn a dire:

Portatemi con voi, vi aiuter. - Dove sei? - Cercate in terra e a-scoltate


donde viene la voce, - rispose. Finalmente i ladri lo tro-varono e lo
sollevarono. - Tu aiutarci, vermiciattolo! - dissero. Guardate, - egli rispose,
- entro dall'inferriata nella camera del parroco e vi sporgo quel che volete. -
Be', - dissero, - vedremo co-sa sai fare-. Quando arrivarono alla parrocchia,
Pollicino s'insinu nella camera, ma grid subito a squarciagola: - Volete
tutto quel che c' qui dentro? - I ladri dissero, spaventati: - Parla piano, non
svegliar nessuno -. Ma Pollicino finse di non aver capito e grid an-cora: -
Cosa volete? Volete tutto quel che c'? - L'ud la cuoca, che dormiva nella
stanza attigua, e si rizz a sedere sul letto, in a-scolto. Ma dallo spavento i
ladri eran corsi indietro un tratto; final-mente ripresero coraggio e
pensarono: " Quel cosettino vuol can-zonarci ". Tornarono e gli
susurrarono: - Adesso fa' sul serio e dc-ci qualcosa -. E di nuovo Pollicino
grid a squarciagola: - Vi dar tutto, porgete soltanto le mani -. La donna,
che stava in ascolto, l'ud distintamente, salt gi dal letto ed entr
inciampicando nella stanza. I ladri corsero via a precipizio come se
avessero il diavolo alle calcagna; ma la donna non riusc a veder nulla e
and ad accen-dere un lume. Quando ella torn, Pollicino, non visto, si
cacci nel fienile: e la donna, dopo aver cercato inutilmente in tutti gli
ango-li, alla fine and di nuovo a letto, credendo di aver sognato a occhi
aperti.

Pollicino si era arrampicato fra gli steli del fieno e aveva trova-to un bel
posto per dormire: voleva riposar fino a giorno, e poi tor-nare dai suoi
genitori. Ma lo aspettavano ben altre esperienze! Si, non mancan triboli a
questo mondo! All'alba la serva si alz per dar da mangiare alle bestie. Per
prima cosa and nel fienile, dove prese una bracciata di fieno, proprio
quello in cui dormiva il povero Polli-cino. Ma egli dormiva cosi sodo che
non se ne accorse e si svegli soltanto in bocca alla mucca, che se l'era
preso col fieno. - Dio mio!

- grid: - come ho fatto a cader nella gualchiera! - ma vide subito dove si


trovava. E che attenzione ci volle per non esser stritolato fra i denti! ma poi
dovette scivolar nello stomaco. - Nello stanzino han dimenticato le finestre,
- disse, - e non ci entra il sole, n ci portano un lume -. L'appartamento non
gli piaceva affatto e, quel che era peggio, dalla porta continuava a entrare
altro fieno e lo spa-zio si restringeva sempre pi. Alla fine, spaventato,
grid con quan-to fiato aveva in gola: - Non portatemi pi fieno! non
portatemi pi fieno! - La serva stava mungendo e quando senti parlare, sen-
za veder nessuno, ed era la stessa voce udita durante la notte, si spavent
tanto che sdrucciol dallo sgabello e vers il latte. Si pre-cipit dal
padrone, gridando: - Dio mio, reverendo, la mucca ha parlato! - Sei
impazzita! - rispose il parroco; tuttavia and in per-sona nella stalla, per
vedere che cosa ci fosse. Ma ci aveva appena messo piede, che Pollicino
grid di nuovo: - Non portatemi pi fie-no! non portatemi pi fieno! -
Allora anche il parroco si spavent, pensando che uno spirito maligno fosse
entrato nella mucca, e la fece uccidere. Fu macellata, ma lo stomaco, con
Pollicino dentro, fin nel letamaio. Pollicino avanzava a gran fatica, pure
riusc a farsi strada; ma proprio quando stava per metter fuori la testa, so-
pravvenne un'altra sciagura. Arriv di corsa un lupo affamato, che ingoi
tutto lo stomaco in un boccone. Pollicino non si perse d'ani-mo " forse il
lupo mi dar retta ", pens e gli grid dalla pancia:

- Caro lupo, io so dove puoi trovare un cibo squisito. - Dove? -chiese il


lupo. - In una casa cos e cos: devi introdurti nel doccione troverai
focaccia, lardo e salsiccia a volont -. E gli descrisse min-utamente la casa
di suo padre. Il lupo non se lo fece dire due vol-e: durante la notte entr
nella dispensa, passando a forza per il doccione, e mangi a sua voglia.
Quando fu sazio, volle andarsene, ma si era cos gonfiato che non pot pi
uscire per la stessa strada. proprio su questo aveva contato Pollicino, che si
mise a fare un gran baccano nel corpo del lupo, strepitando e strillando pi
che poteva. - Vuoi star zitto? - disse il lupo: - svegli i padroni. - Come-
rispose il piccino: - tu ti sei rimpinzato, e anch'io voglio spassarmela -. E
ricominci a gridare con tutte le sue forze. Final-imente suo padre e sua
madre si svegliarono, corsero alla dispensa guardarono dalla fessura.
Quando videro che c'era un lupo, si pre-cipitarono, l'uno a prender l'ascia,
l'altra la falce. - Stammi dietro,

-disse l'uomo, mentre entravano nella stanza, - se non l'uccido al primo


colpo, dgli addosso e fallo a pezzi -. Udendo la voce di suo madre,
Pollicino grid: - Caro babbo, son qui, son nella pancia del lupo

.il padre disse, pieno di gioia: - Dio sia lodato, abbiam ritro-vato il nostro
caro bambino -. E disse alla donna di metter via la falce, per non fargli
male. Lev il braccio e colp il lupo sulla testa, facendolo crollare a terra,
morto; poi cercarono un coltello e un pa-io di forbici, gli tagliarono la
pancia e tirarono fuori il piccino.

-Ah, - disse il padre, - quale cruccio abbiamo avuto per te! - S, babbo, ho
girato il mondo in lungo e in largo! grazie a Dio, respiro di nuovo aria
buona! - Ma dove sei stato? - Ah, babbo, sono stato in una tana di sorcio,
nl ventre di una mucca e nella pancia di un lupo: adesso rimango con voi.
- E non ti vendiamo pi, per tutto l'oro del mondo! - dissero i genitori,
baciando e abbracciando il loro caro Pollicino. Gli diedero da mangiare e
da bere e gli fecero fare dei vestiti nuovi, perch i suoi si erano sciupati in
viaggio.

Il pifferaio magico

fiaba tradizionale tedesca

C'era una volta la citt di Hamelin in Germania. Era una citt molto
graziosa, ma aveva due grossi difetti: i suoi cittadini erano molto avari e le
sue cantine piene di topi.
Di gatti neanche l'ombra perch, siccome qualcosina costavano ai padroni,
erano stati cacciati.
Fatto si che i topi diventavano tanti e tanti che non era pi possibile
vivere nella citt.
Si pens allora di far tornare i gatti scacciati, ma i topi li misero in fuga.
Era una vita beata la loro.
Ce n'erano di tutti i tipi: topi, t'opini, ratti, rattoni e per tutti c'era da
mangiare: nei granai, nelle cucine, dove c'erano molte forme di formaggio.
I poveri cittadini, non sapendo pi che fare, si rivolsero al loro sindaco, ma
anche quello pi che dire: - Cercher... Far... Non so... - insomma...non
faceva.
Ma ecco, che una mattina comparve in citt un ometto minuto tutto brio e
allegria che disse al sindaco: - Io vi liberer dai topi, ma voglio in cambio
mille monete d'oro.
Al sindaco la richiesta non parve esagerata e promise la ricompensa,
scambiando con l'ometto una bella stretta di mano.
L'ometto, allora, prese da un sacchetto che portava a tracolla un piffero e
diede due o tre zufolate. Subito i topi che erano nello studio del Sindaco,
nascosti qua e l, balzarono fuori e, quando l'uomo usc, lo seguirono.
Il pifferaio continu a suonare in strada e nugoli di topi lo seguirono
squittendo felici.
Nelle loro testoline vedevano montagne di formaggio tutte per loro,
vedevano dispense con ogni ben di Dio pronte ad essere saccheggiate.
- Tutto per voi, tutto per voi, bei t'opini! - prometteva la musica che li
attraeva e li affascinava.
E la marcia trionfale del suonatore continu: da tutte le case uscivano a
centinaia topi di tutte le dimensioni, di tutte le et: anche i pi saggi e i pi
furbi tra loro credevano a ci che la musica magica prometteva!
E la gente, affacciata alle finestre, appoggiata ai muri delle case guardava
esterrefatta e felice quella smisurata fila di roditori che seguiva il
suonatore.
- Se ne vanno! Se ne vanno! Ma possibile? Oh, che gioia! Che il cielo sia
benedetto!
Finalmente quando tutti i topi della citt furono riuniti dietro a lui, il
suonatore si avvi verso il fiume e le bestiole dietro, sempre pi affascinate
dalla musica magica. Il pifferaio entr ad un tratto nell'acqua e quelli
ancora dietro; avanz ancora finch fu immerso fino al collo e i topi lo
seguirono incantati e fiduciosi.
Egli allora si ferm in mezzo alla corrente e seguit a suonare e i topi per
un po' nuotarono e poi, siccome da lui non potevano allontanarsi finirono
per annegare tutti, nessuno escluso! Allora il suonatore usc dal fiume, si
scroll l'acqua di dosso e si rec dal sindaco per ricevere la dovuta
ricompensa.
Il sindaco, come lo vide entrare, arricci il naso e gli chiese: - Che vuoi tu?
- Essere pagato per tutto quello che ho fatto per la citt!
- Mille monete d'oro per aver suonato il piffero per poco pi di un'ora?
- Senza di me i topi avrebbero distrutto le vostre case!
- Ebbene io non ti d niente!
- Chiedi ai cittadini se sono del tuo parere.
Il sindaco si affacci al balconcino del municipio e chiese ai concittadini
quel che doveva fare e tutti furono d'accordo con lui, da quegli avaracci che
erano.
Il pifferaio allora amareggiato e molto arrabbiato minacci: - Vi pentirete
oh, se vi pentirete di quello che mi fate!
Usc in strada ed esegu una scala col flauto soffiando a tutte gote poi,
aiutandosi con le agili dita, emise dolcissimi suoni.
Tosto si videro teste di bimbi guardare gi dalle finestre, volgersi verso il
pifferaio, poi un ragazzino usc dalla casa e guard con entusiasmo l'uomo
che suonava.
A lui si unirono due, tre compagni e tutti guardavano come affascinati il
suonatore.
E questi non smise di suonare, anzi la sua musica divent pi dolce e
persuasiva e nella mente dei bambini faceva nascere visioni di citt tutte
balocchi, di citt tutte dolci, senza scuole, senza adulti che volevano
comandare ad ogni ora del giorno.
E la schiera ingrossava sempre pi e tutti i componenti erano felice e
ridevano, e tenendosi per mano cantavano seguendo sempre pi
affrettatamente il pifferaio.
Ed ecco i genitori rincorrere quella schiera di gioiosi figlioli che se ne
andavano con l'omino cos, come i topi che lo avevano seguito sino alla
morte!
- Non andate con lui! Tornate per carit! - gridavano disperati i padri e le
madri mettendosi a loro volta in fila.
Ma essi si stancavano da morire e non riuscivano a tenere il passo con i
loro figli che camminavano sognando cose meravigliose...
Il sindaco, chiuso nelle sue stanze, si strappava disperato i capelli.
Intanto il suonatore si avviava verso la grande montagna che si trovata
proprio alle spalle della citt.
I bimbi dietro cantavano: erano cos felici di seguire quell'omino che
nessuno li avrebbe distolti dal loro proposito.
Giunsero cos a met montagna: al suono del piffero questa si apr e tutti,
pifferaio in testa, entrarono nella fenditura che si richiuse ermeticamente
dietro l'ultimo della fila.
Ne rest fuori solo uno zoppetto che non era riuscito a camminare veloce
come i compagni.
I cittadini che giunsero sul luogo dopo qualche tempo, lo trovarono l che
piangeva disperato per non aver potuto raggiungere i suoi amici.
Dei bambini non c'era pi traccia e nessuno seppe mai ci che ne fosse
stato.

Il brutto anatroccolo

fiaba dei fratelli Grimm

Che bellezza, fuori, in campagna! Piena estate: il grano tutto giallo come
l'oro, l'avena verde; il fieno ammucchiato gi nei prati, e la cicogna dalle
lunghe gambe rosse che gli passeggia attorno, chiacchierando in Egiziano...
perch l'Egiziano la lingua che le ha insegnato mamma Cicogna. Di
l dai campi e dai prati, ecco i boschi folti e neri; e in mezzo ai boschi, i bei
laghi azzurri e profondi. Oh, fuori, in campagna, una vera bellezza!
Sotto al sole caldo, c'era una volta un vecchio castello, circondato da
profondi fossati; e dal muro di cinta gi gi sino all'acqua crescevano alte
le bardane, cos alte e folte, che un bambino sarebbe potuto star ritto sotto
alle foglie pi grandi. Pareva d'essere nel cuore della foresta, l sotto. E l
appunto stava un'anatra, nel nido, a covare i suoi piccoli; ma era gi quasi
annoiata, perch la faccenda durava da un pezzo, e ben di rado le capitava
qualche visita. Le altre anatre preferivano sguazzare lietamente nei fossati,
anzi che andarla a trovare e starsene sotto le bardane a chiacchierare con
lei.
Finalmente, un uuovo si apr, e poi un altro, e poi un altro:
Pip, Pip! fecero; e tutti gli anatroccoli, belli e vivi, misero fuori il
capo.
Qua, qua! fece la mamma. Qua qua! risposero i piccoli, e
scapparono fuori con tutte le forze loro, e cominciarono a guardarsi attorno,
tra le foglie verdi; e la mamma li lasci guardare quanto volevano, perch il
verde fa bene agli occhi.
Com' grande il mondo! esclamarono gli anatroccoli. Infatti, ora
avevano molto pi spazio di quando stavano chiusi nell'uuovo.
Credete che il mondo sia tutto qui ? disse la madre: Il mondo ben
pi grande: arriva, dall'altra parte del giardino, sino al podere del parroco;
l, io non ci sono ancora mai stata... Ci siete tutti? tutti uniti, per benino?
e fece per alzarsi: No non siete tutti: l'uuovo pi grosso sempre qui.
Quanto ci vorr ancora? Davvero che questa volta ne ho quasi abbastanza!
E si rimise a covare.
Dunque, come va? domand una vecchia anatra venuta a farle visita.
Va, che va per le lunghe con uno di questi uovi! disse l'anatra che
covava: Non ci si scorge ancora nemmeno una crepa. Ma bisogna tu veda
gli altri. Sono i pi bei anatroccoli ch'io abbia mai visto. Tutti il loro padre,
quel mariuolo, che nemmeno venuto una volta a trovarmi!
Lasciami vedere quest'uuovo che non vuole scoppiare, replic l'altra.
Bada a me, sar uuovo di tacchina. toccata a me pure una volta, e ti so
dire che ho avuto il mio bel da fare con quei piccoli: avevano una paura
dell'acqua... Per quanto chiamassi e sbattessi le ali, non ne venivo a capo.
Fammi vedere. S, s, un uuovo di tacchina. E tu lascialo fare, e insegna
piuttosto a nuotare agli altri piccini.
Oramai ci star un altro poco, rispose la mamma. Ci sono stata
tanto, che poco pi, poco meno...
Bont tua! fece la vecchia; e se ne and.
Finalmente, l'uuovo grosso si apr. Pip, pip! disse il figliuolo, e
scapp fuori. Era grande grande e bruttissimo. L'anatra lo guard bene.
terribilmente grosso, disse: Nessuno degli altri cos: fosse mai
davvero un piccolo tacchino ? Si fa presto a vedere. Ma nell'acqua ha da
andare, dovessi buttarcelo dentro io, dovessi!
Il giorno dopo, il tempo era magnifico: il sole splendeva caldo tra il verde.
Mamma anatra fece la sua comparsa al fossato con tutta la famiglia e salt
nell'acqua. Qua, qua! chiam; e l'uno dopo l'altro gli anatroccoli
saltarono dentro. L'acqua si richiuse sul loro capo, ma ben presto tornarono
a galla, e si misero a nuotare: le gambe si movevano da s, e tutti andavano
benone: anche il brutto anatroccolo grigio nuotava con gli altri.
No, non un tacchino, disse la mamma. Vedete come sa adoprar
bene le gambe, come fila diritto! Quello figlio mio. In fondo, non poi
brutto, a guardarlo bene. ! fece poi: Venite ora, e imparerete a
conoscere il mondo. Vi presenter alla corte; ma statemi sempre vicini, per
non farvi schiacciare, e guardatevi dal gatto!
E cos vennero nel cortile delle anatre. C'era un chiasso tremendo perch
due famiglie si disputavano una testa di anguilla, la quale poi tocc al gatto.
Vedete? cos va il mondo, disse mamma anatra, e si lecc il becco,
perch anche a lei sarebbe piaciuta la testa d'anguilla. Ed ora, via sulle
vostre gambe! disse: Cercate di andare avanti, e chinate il collo
dinanzi a quella vecchia anatra laggi. il personaggio pi ragguardevole
della corte. Ha sangue spagnolo nelle vene. Vedete? porta un nastrino rosso
alla zampa; e quello il pi grande sfarzo, la maggiore onorificenza che
possa toccare ad un'anatra. Significa che non la si vuol perdere, e che bestie
ed uomini debbono riconoscerla. Via, non tenete le zampe all'indentro! Un
anatroccolo per bene porta le zampe all'infuori, come il babbo e la mamma.
Cos, vedete? Chinate il collo, e fate: qua, qua!
E cos fecero. Ma le altre anatre, tutto all'intorno, li esaminarono, e dissero:
Vedete qua! Anche questa truppa ci cpita! Come se non fossimo gi
troppi! O che quel brutto coso grigio laggi! Non possiamo tollerare una
simile bruttura! E un'anatra gli piomb addosso, e lo becc sul collo.
Lasciatelo stare, disse la madre: Non fa male a nessuno.
S, ma cos grande e cos diverso dagli altri, disse l'anatra che
l'aveva morso, che bisogna le buschi.
Avete una bella famiglia, mamma anatra! disse la vecchia col nastrino
rosso alla zampa: Sono tutti bei figliuoli, eccetto quel povero disgraziato
l. Vorrei che poteste rifarlo.
Ahim, Eccellenza, questo non possibile! disse mamma anatra:
Non bello, ma di buonissima indole, e nuota magnificamente, come
tutti i suoi fratelli; starei quasi per dire che nuota meglio. Credo che col
tempo migliorer, o, almeno, finir di crescere. stato troppo nell'uuovo, e
per questo non venuto bene. E la madre gli batt sul dorso ed
incominci a lisciarlo. Del resto, continu, un maschio, e quindi
poco importa. Prevedo, anzi, che diverr robusto; se la cava gi abbastanza
bene...
Gli altri anatroccoli sono molto graziosi, disse la vecchia: Fate come
se foste a casa vostra; e se per caso trovate una testa d'anguilla, portatemela
pure.
E fecero infatti come se fossero a casa loro.
Ma il povero anatroccolo, ch'era uscito ultimo dall'uovo ed era tanto brutto,
s'ebbe i colpi di becco, gli assalti e le beffe delle anatre e dei polli.
troppo grande! dicevano tutti; e il tacchino, ch'era nato con gli sproni e
perci s'immaginava d'essere imperatore, si gonfi come un bastimento che
spiegasse le vele, fece la ruota, divenne tutto rosso nel capo e gli si
avvent. Il povero anatroccolo non sapeva che fare n dove scappare. Si
sentiva avvilito d'essere tanto brutto da servire di zimbello a tutta la corte.
Cos passarono i primi giorni, e poi and di male in peggio. Il povero
anatroccolo era scacciato da tutti, e persino i suoi fratelli gli usavano mille
sgarbi, e dicevano: Magari il gatto t'ingoiasse una buona volta, brutto che
sei! E la madre sospirava: Ah, fossi tu lontano le mille miglia! Le
anatre lo beccavano, i polli gli si avventavano e la ragazza della fattoria,
che veniva a portare il becchime, lo respingeva col piede.
Egli allora scapp davvero, e spicc il volo al di l della siepe; gli uccelli
fuggirono spauriti dai cespugli e s'alzarono nell'aria. Ecco qua: colpa la
mia bruttezza! pens l' anatroccolo; e chiuse gli occhi, ma continu
sempre a fuggire. E cos arriv alla grande palude, dove stanno le anatre
selvatiche; e l si ferm tutta la notte, perch era tanto stanco e tanto triste.
La mattina, le anatre si levarono e videro il nuovo compagno: Che razza
di contadino sei mai? domandarono; e l'anatroccolo si volse da tutti i
lati, e salut meglio che pot.
Sei di una bruttezza tremenda, dissero le anatre selvatiche; ma
questo a noi poco importa, pur che tu non prenda moglie nella nostra
famiglia. Povero disgraziato, pensava giusto a prender moglie!... Non
domandava altro se non che gli permettessero di occupare un posticino tra i
giunchi e di bere l'acqua dello stagno.
Era da due giorni nella giuncaia, quando vennero a trovarlo due anatre
selvatiche, o, per dir meglio, due anatroccoli. Erano usciti da poco
dall'uovo e perci erano un po' monelli.
Senti, camerata: sei d'una bruttezza cos perfetta, che sei quasi bello, e ti
abbiamo preso a ben volere. Vuoi venire con noi, e diventare uccello di
passo? Poco lontano di qui, in un'altra palude, abitano certe deliziose
anatrelle selvatiche, tutte signorine da marito, che sanno dire qua qua! con
un garbo, caro mio... L, tu pure potrai trovare la felicit, per brutto che tu
sia...
Pim, pum! A un tratto si sentirono certi tonfi... e i due anatroccoli caddero
morti nel canneto, e l'acqua divenne rossa di sangue. Pim, pum! rison di
nuuovo; e tutto lo stormo delle anatre si lev di tra' giunchi; e si sentirono
altri spari ancora. Era una grande caccia. I cacciatori stavano tutti appostati
intorno alla palude: alcuni persino appollaiati tra i rami degli alberi, che
sporgevano sopra il canneto. Il fumo azzurrino della polvere passava a fiotti
tramezzo ai rami oscuri, e si posava lontano, sull'acqua. I cani penetrarono
nella palude. Giunchi e canne si abbattevano da ogni lato. Che spavento fu
quello per il povero anatroccolo! Volgeva il capo, per nasconderlo sotto
l'ala, quando si vide dinanzi un terribile cane, grosso cos, con la lingua che
gli pendeva tutta fuor dei denti, e gli occhi che ardevano come carboni
accesi. Quando fu l, che con la coda quasi toccava l'anatroccolo, dischiuse
i denti aguzzi e... se ne and senza toccarlo.
Dio sia ringraziato! sospir quello: Sono tanto brutto che nemmeno
il cane vuol mangiarmi!
E cos rimase quatto quatto, mentre i pallini fischiavano tra le canne e gli
spari succedevano agli spari.
Soltanto tardi nel pomeriggio torn la quiete, ma il povero piccino non
osava ancora muoversi. Lasci passare molte ore prima d'arrischiarsi a
guardare attorno; poi, quanto pi presto pot, in fretta e furia, lasci la
palude. Correva correva, per campi e per prati; ma era scoppiato un
temporale, ed a stento riusciva ad andare innanzi.
Verso sera giunse ad una misera capannuccia, ridotta in uno stato cos
deplorevole, che rimaneva ritta per non saper da qual parte cadere. Il vento
s'era fatto tanto furioso, che l'anatroccolo dovette accoccolarsi, per non
esser portato via. E la furia del temporale cresceva sempre. La povera
bestiola osserv che la porta, uscita dall'uno dei cardini, era sgangherata per
modo, che dalla fessura egli avrebbe potuto benissimo penetrare nella
capanna. E cos fece.
Nella capanna abitava una vecchietta, col suo gatto e la sua gallina; il gatto,
ch'essa chiamava Figlietto, sapeva far groppone, sapeva far le fusa, e
persino mandar scintille, quando, al buio, lo si accarezzava contro pelo; la
gallina aveva certe zampine, piccine piccine, e per ci si chiamava
Gambacorta; faceva le ova d'oro, e la vecchia le voleva bene come ad una
figlia.
La mattina si avvidero subito del forestiero; ed il gatto incominci a far le
fusa e la gallina a razzolare.
Che c'? domand la vecchietta, e si guard attorno; ma perch non ci
vedeva bene, prese l'anatroccolo per una grossa anatra. Ecco un buon
guadagno! disse: Cos, potr avere uova d'anatra. Pur che non sia un
maschio... Bene, staremo a vedere.
E cos l'anatroccolo fu preso a prova per tre settimane; ma uova non ne
venivano.
Il gatto era il padrone di casa e la gallina la padrona; anzi, parlando,
dicevano sempre: Noi e il mondo, perch tra loro due credevano
d'essere met del mondo, e la met migliore, naturalmente. All'anatroccolo
pareva, a dir vero, che si potesse anche avere un'opinione diversa; ma,
questo, la gallina non lo poteva tollerare.
Sai far l'uovo? domandava.
No.
E allora sta' zitto!
E il gatto domandava: Sai far groppone? sai far le fusa? sai mandar fuori
scintille?
No.
E allora tu non puoi avere opinioni, quando la gente savia ragiona.
L'anatroccolo se ne stava in un cantuccio ed era di cattivo umore. Senza
volere, pensava all'aria fresca, al sole, e gli veniva una tal voglia di tuffarsi
nell'acqua, una tale smania di nuotare, che alla fine non pot resistere e la
confid alla gallina.
Che ti salta in mente? esclam questa Non hai niente da fare; per ti
prendono cos strane voglie. Se tu facessi l'uovo o le fusa, vedresti che ti
passerebbero.
Ah, ma nuotare, che delizia! replicava l'anatroccolo: Che delizia
rinfrescarsi il capo sott'acqua, e saltar gi dalla riva per tuffarsi!
S, dev'essere proprio una bella gioia! disse la gallina ironicamente:
Diventi matto, ora? Domanda un po' al gatto, ch' il pi savio tra quanti io
mi conosca, se gli parrebbe un piacere saltare nell'acqua e nuotare! Di me,
non parlo... Domandalo, se vuoi, anche a Sua Eccellenza, la nostra vecchia
padrona. Pi savio di lei, non c' alcuno al mondo. Ti pare che le possa
venir voglia di nuotare, o di sentirsi richiudere l'acqua al di sopra del
capo?
Voi altri non mi capite! disse l'anatroccolo.
Se non ti si capisce noi, chi dunque t'ha a capire? Non vorrai gi essere
pi sapiente del gatto e della padrona. Di me, ti dico, nemmeno voglio
parlare. Non farmi lo schizzinoso, bambino; non ti mettere grilli per il capo.
Ringrazia il tuo Creatore per tutto il bene che ti ha concesso. Non sei
capitato in una stanza ben riparata, e in una compagnia, dalla quale non hai
se non da imparare? Ma sei un cervello sventato, e non c' sugo a ragionare
con te. A me, tu puoi credere, perch ti voglio bene; ti dico certe verit che
ti feriscono, ma da questo si conoscono i veri amici! Vedi d'imparare a far
l'uovo, a buttar fuori scintille e a far le fusa!
Credo che me n'andr a girare il mondo, disse l'anatroccolo.
Buon pro ti faccia! disse di rimando la gallina.
E l'anatroccolo se ne and. Si tuff nell'acqua, nuot; ma per la sua
bruttezza tutte le bestie lo scansavano.
Venne l'autunno: nel bosco le foglie diventarono gialle e brune: la bufera le
portava via, le faceva turbinare, e su, nell'aria, il freddo diveniva sempre
pi intenso. Le nubi pendevano gravi di gragnuola e di fiocchi di neve, e
sulla siepe c'era un corvo che faceva cra-cra dal freddo. Davvero che c'era
da gelare solo a pensarci! E per il povero anatroccolo furono tempi molto
duri.
Una sera il sole tramontava appunto in tutto il suo meraviglioso
splendore sbuc fuori da' cespugli uno sciame di grandi e magnifici
uccelli, cos belli come il nostro anatroccolo non ne aveva ancora mai
veduti; di una bianchezza abbagliante, con certi colli lunghi e flessuosi.
Erano cigni. Mandarono un loro verso speciale, allargarono le grandi
splendide ali, e volarono via da tutto quel gelo, verso paesi pi caldi, verso
mari aperti. Volarono cos alto, che il brutto anatroccolo prov dentro un
senso strano, mentre li guardava salire. Si mise a girare e a girare nell'acqua
come una ruota; allung il collo verso gli uccelli, e mand un grido cos
forte e cos curioso, ch'egli stesso n'ebbe paura. Non poteva cavarsi dal
cuore quei magnifici, quei beati uccelli: appena li ebbe perduti di vista, si
tuff gi gi sino al fondo, e torn a galla, ch'era quasi fuor di s. Non
sapeva come quegli uccelli fossero chiamati, n dove dirigessero il volo;
ma voleva loro un bene, un bene che non aveva ancora voluto a nessuno al
mondo. Non provava invidia: come gli sarebbe nemmeno passato per il
capo di desiderare per s una simile bellezza? Abbastanza sarebbe stata
felice, la povera brutta bestiola, se le anatre avessero voluto tollerarla!
E l'inverno si fece cos freddo, cos freddo!... L'anatroccolo doveva nuotare
e nuotare senza posa per isfuggire al gelo. Ma ogni notte il buco dove
nuotava si faceva pi piccino, sempre pi piccino. Era cos freddo, che la
superficie del ghiaccio scricchiolava. L'anatroccolo doveva agitare
continuamente le gambe, per impedire che il buco finisse di chiudersi.
Finalmente, si sent esausto, si abbandon l, senza muoversi pi, e cos
rimase, quasi gelato, sul ghiaccio.
La mattina dopo, per tempo, venne un contadino, e lo vide; s'accost,
spezz il ghiaccio con uno de' suoi zoccoli di legno, e port l'anatroccolo a
casa, a sua moglie; e l l'anatroccolo rinvenne.
I ragazzi provarono a giocare con lui. Ma egli credendo che volessero fargli
male, dalla gran paura vol nella secchia del latte, cos che tutto il latte
schizz per la stanza. La donna, disperata, batt le mani, e l'anatroccolo, pi
spaurito ancora, via, sul vaso dov'essa teneva in serbo il burro; e di l,
dentro la madia, in mezzo alla farina, e poi fuori di nuuovo, e su, in alto,
per la camera. Immaginatevi com'era conciato! La donna gridava e gli
correva dietro con le molle, i ragazzi saltavano per la casa, ridendo e
strepitando e facendo un chiasso indiavolato. Per buona sorte, la porta era
aperta; e l'anatroccolo pot mettersi in salvo, scappando a traverso ai
cespugli, sulla neve caduta di fresco; e l rimase, cos spossato, che pareva
fosse per morire.
Ma qui la storia diverrebbe proprio troppo melanconica, se vi avessi a
raccontare tutti i patimenti e la miseria, che l'anatroccolo dovette sopportare
in quel crudo inverno. Stava accoccolato tra le canne della palude, quando
il sole ridivenne caldo e splendente, e le allodole tornarono a cantare.
Venne una magnifica primavera, ed egli pot spiegare di nuovo le ali,
ch'erano divenute pi forti e lo reggevano ora molto meglio. Prima ch'egli
stesso sapesse come, si trov in un grande giardino, dove i meli erano in
piena fioritura, dove i lill spandevano un dolce odore, allungando le verdi
rame pendule sin sopra ai ruscelli ed ai canali che lo traversavano. Che
bellezza quel giardino! Che freschezza di primavera! E proprio dinanzi a
lui sbucarono di tra il fitto del fogliame tre splendidi cigni candidi, e si
accostarono nuotando: con le ali leggermente arruffate, venivano
scivolando agili e maestosi sull'acqua... L'anatroccolo riconobbe gli
splendidi animali e fu preso da una strana angoscia.
Voglio volare sin l, presso agli uccelli regali: mi morderanno e mi
faranno morire, per avere osato, io cos brutto, accostarmi ad essi. Meglio
ucciso da loro, che perseguitato dalle anatre, beccato dai polli, respinto
dalla ragazza della fattoria, per patire poi tutto quel che ho patito durante
l'inverno! E vol sino all'acque e poi nuot verso i candidi cigni, i quali
accorsero ad ali spiegate. Uccidetemi! disse la povera bestiola, e
chin il capo verso lo specchio dell'acqua aspettando la morte... Ma che
cosa vide mai nell'acqua chiara? Vide sotto di s la sua propria immagine; e
non l'immagine d'un brutto uccello tozzo e grigiastro, orribile a vedersi; ma
quella di un candido cigno.
Che importa l'esser nati nel cortile delle anatre, quando si esce da un uovo
di cigno?
Ora s, che si sentiva perfettamente felice, compensato di tutte le miserie e
le disgrazie passate. Ora egli comprendeva tutta la sua felicit, e sapeva
apprezzare lo splendore che si vedeva d'intorno. E i grandi cigni lo
circondavano e lo lisciavano col becco.
Vennero nel giardino alcuni bambini: gettarono pane e grano nell'acqua, ed
il pi piccolo grid: Uno di nuovo! ce n' uno di nuovo! E gli altri
bambini tutti contenti: S, ecco che n' venuto un altro! E batterono le
manine, e si misero a ballare, e corsero a chiamare il babbo e la mamma; e
buttavano pane e biscotti nell'acqua, e tutti dicevano: Il nuovo il pi
bello di tutti, cos giovane, cos maestoso... Ed i cigni pi vecchi
s'inchinavano dinanzi a lui.
Allora la timidezza lo prese: divenne tutto vergognoso, e nascose il capo
sotto l'ala; provava un certo che... non sapeva neppur lui quel che provava.
Era sin troppo beato; ma nient'affatto superbo, perch il cuore buono non
mai superbo. Pensava quanto era stato perseguitato e schernito; ed ora
sentiva dire da tutti ch'era il pi bello tra quei bellissimi uccelli! I rami di
lill si chinavano sull'acqua verso di lui; il sole splendeva caldo e lo
ristorava. Arricci le penne, allung l'esile collo e si rallegr dal profondo
del cuore: Non avrei mai sognata una gioia simile, quand'ero ancora un
brutto anatroccolo!

Il Principe ranocchio

fiaba dei fratelli Grimm

Nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re,
le cui figlie erano tutte belle, ma la pi giovane era cos bella che perfino il
sole, che pure ha visto tante cose, sempre si meravigliava, quando le
brillava in volto. Vicino al castello del re c'era un gran bosco tenebroso e
nel bosco, sotto un vecchio tiglio, c'era una fontana: nelle ore pi calde del
giorno, la principessina andava nel bosco e sedeva sul ciglio della fresca
sorgente; e quando si annoiava, prendeva una palla d'oro, la buttava in alto
e la ripigliava; e questo era il suo gioco preferito.

Ora avvenne un giorno che la palla d'oro della principessa non ricadde nella
manina ch'essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotol proprio nell'acqua.
La principessa la segu con lo sguardo, ma la palla spar, e la sorgente era
profonda, profonda a perdita d'occhio. Allora la principessa cominci a
piangere, e pianse sempre pi forte, e non si poteva proprio consolare. E
mentre cos piangeva, qualcuno le grid: - Che hai, principessa? Tu piangi
da far piet ai sassi.

Ella si guard intorno, per vedere da dove venisse la voce, e vide un


ranocchio, che sporgeva dall'acqua la grossa testa deforme. - Ah, sei tu,
vecchio ranocchio! - disse, - piango per la mia palla d'oro, che m' caduta
nella fonte.

- Calmati e non piangere, - rispose il ranocchio, - ci penso io; ma che cosa


mi darai, se ripesco la tua palla?

- Quello che vuoi, caro ranocchio, - disse la principessa, - i miei vestiti, le


mie perle e i miei gioielli, magari la mia corona d'oro.

Il ranocchio rispose: - Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua corona d'oro


io non li voglio: ma se mi vorrai bene, se potr essere il tuo amico e
compagno di giochi, seder con te alla tua tavola, mangiare dal tuo ptiattino
d'oro, bere dal tuo bicchierino, dormire nel tuo lettino: se mi prometti
questo; mi tuffer e ti riporter la palla d'oro.

- Ah s, - dissella, - ti prometto tutto quel che vuoi, purch mi riporti la


palla.

Ma pensava: Cosa va dicendo questo sciocco ranocchio, che sta


nell'acqua a gracidare coi suoi simili, e non pu essere il compagno di una
creatura umana!

Ottenuta la promessa, il ranocchio mise la testa sott'acqua, si tuff e poco


dopo torn nuotando alla superficie; aveva in bocca la palla e la butt
sull'erba. La principessa, piena di gioia aI vedere il suo bel giocattolo, lo
prese e corse via.

- Aspetta, aspetta! - grid il ranocchio: - prendimi con te, io non posso


correre come fai tu.

Ma a che gli serv gracidare con quanto fiato aveva in gola! La principessa
non l'ascolt, corse a casa e ben presto aveva dimenticata la povera bestia,
che dovette rituffarsi nella sua fonte. Il giorno dopo, quando si fu seduta a
tavola col re e tutta la corte, mentre mangiava dal suo piattino d'oro -
plitsch platsch, plitsch platsch - qualcosa sal balzelloni la scala di marmo,
e quando fu in cima buss alla porta e grid: - Figlia di re, piccina, aprimi!
Ella corse a vedere chi c'era fuori, ma quando apr si vide davanti il
ranocchio. Allora sbatacchi precipitosamente la porta, e sedette di nuovo a
tavola, piena di paura. Il re si accorse che le batteva forte il cuore, e disse: -
Di che cosa hai paura, bimba mia? Davanti alla porta c' forse un gigante
che vuol rapirti?

- Ah no, - rispose ella, - non un gigante, ma un brutto ranocchio.

- Che cosa vuole da te?

- Ah, babbo mio, ieri, mentre giocavo nel bosco vicino alla fonte, la mia
palla d'oro cadde nell'acqua. E perch piangevo tanto, il ranocchio me l'ha
ripescata; e perch ad ogni costo lo volle, gli promisi che sarebbe diventato
il mio compagno; ma non avrei mai pensato che potesse uscire da
quell'acqua. Adesso fuori e vuol venire da me.

Intanto si ud bussare per la seconda volta e gridare:

- Figlia di re, piccina, aprimi!

Non sai pi quel che ieri m'hai detto

vicino alla fresca fonte?

Figlia di re, piccina, aprimi!

Allora il re disse: - Quel che hai promesso, devi mantenerlo; va' dunque, e
apri -. Ella and e apr la porta; il ranocchio entr e, sempre dietro a lei,
saltell fino alla sua sedia. L si ferm e grid: - Sollevami fino a te.

La principessa esit, ma il re le ordin di farlo. Appena fu sulla sedia, il


ranocchio volle salire sul tavolo e quando fu sul tavolo disse: - Adesso
avvicinami il tuo piattino d'oro, perch mangiamo insieme.

La principessa obbed, ma si vedeva benissimo che lo faceva controvoglia.


Il ranocchio mangi con appetito, ma a lei quasi ogni boccone rimaneva in
gola. Infine egli disse: - Ho mangiato a saziet e sono stanco; adesso
portami nella tua cameretta e metti in ordine il tuo lettino di seta: andremo
a dormire.

La principessa si mise a piangere: aveva paura del freddo ranocchio, che


non osava toccare e che ora doveva dormire nel suo bel lettino pulito. Ma il
re and in collera e disse: - Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel
momento del bisogno.
Allora ella prese la bestia con due dita, la port di sopra e la mise in un
angolo. Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: - Sono
stanco, voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo padre.

Allora la principessa and in collera, lo prese e lo gett con tutte le sue


forze contro la parete: - Adesso starai zitto, brutto ranocchio!

Ma quando cadde a terra, non era pi un ranocchio: era un principe dai


begli occhi ridenti. Per volere del padre, egli era il suo caro compagno e
sposo. Le raccont che era stato stregato da una cattiva maga e nessuno,
all'infuori di lei, avrebbe potuto liberarlo. Il giorno dopo sarebbero andati
insieme nel suo regno. Poi si addormentarono. La mattina dopo, quando il
sole li svegli, arriv una carrozza con otto cavalli bianchi, che avevano
pennacchi bianchi sul capo e i finimenti d'oro; e dietro c'era il servo del
giovane re, il fedele Enrico. Enrico si era cos afflitto, quando il suo
padrone era stato trasformato in ranocchio, che si era fatto mettere tre
cerchi di ferro intorno al cuore, perch non gli scoppiasse dall'angoscia.
La carrozza doveva portare il giovane re nel suo regno; il fedele Enrico vi
fece entrare i due giovani, sal dietro ed era pieno di gioia per la
liberazione. Quando ebbero fatto un tratto di strada, il principe ud uno
schianto, come se dietro a lui qualcosa si fosse rotto. Allora si volse e
grid:

- Enrico, qui va in pezzi la carrozza!

- No, padrone, non la carrozza,

bens un cerchio del mio cuore,

ch'era immerso in gran dolore,

quando dentro alla fontana

tramutato foste in rana.

Per due volte ancora si ud uno schianto durante il viaggio; e ogni volta il
principe pens che la carrozza andasse in pezzi; e invece erano soltanto i
cerchi, che saltavano via dal cuore del fedele Enrico, perch adesso il suo
padrone era libero e felice.

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