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Mario Praz

La lezione delle rovine1


La teleologia della materia organica la morte, sicch ogni qualvolta una persona
medita sulla sua condizione di creatura, gli si presenta un'immagine delle rovine del
tempo: sono parole della conclusione dello studio di Laurence Goldstein su Ruins and
Empire, The Evolution of a Theme in Augustan and Ramantic Literature (University of
Pittsbourgh, 1977). Il tema dell'opera non il gusto per le rovine che si svilupp fin dal
periodo barocco, la cui estetica sostitui al principio dell'arrnonia quello del contrasto,
dal quale scaturiva il concetto, l'agudeza, e la categoria del bizzarro, onde si cominci
a introdurre nella pittura di paesaggio la rovina come contrappunto; il tema bensi
quello pi antico, il motivo dell'Et in Arcadia ego, della meditazione sulla fine di tutte le
cose di questo mondo, che prelude si alla sensibilit romantica, ma risale a pi antiche
origini. Gi Properzio si lamentava sulle rovine di Veio e sulla defunta grandezza di
questa citt: Heu Veii veteres, et vos tum regna fuistis Nunc intra muros pastoris
bucina lenti / Cantat, et in vostris ossibus arva metunt (Ahi antenati di Veio, e voi che
un tempo foste re Ora tra le mura il corno del pastore canta lento, e tra le vostre ossa mietono i campi, IV, 10; nelle altre elegie di questo libro il poeta celebra la Roma
splendidamente sorta dove erano una volta i pastori, ma non prevedeva anche lui che
un giorno quel che allora diceva di Veio sarebbe stato detto di Roma?).
Venanzio Fortunato nel VI secolo, e l'anonimo autore anglosassone della Citt diruta
cantarono nei loro versi la rovina delle citt e, primo fra gl'italiani, Petrarca tratt il tema delle rovine di Roma che Du Bellay riprese nel Cinquecento. Il carattere patriottico
dell'evocazione di Petrarca dette inizio a una tradizione che continu con Vincenzo da
Filicaia e Alessandro Guidi, e trov eco in Leopardi; e il tema era quello del rimpianto
per lo splendore passato e la meditazione sulla caducit delle cose umane; e il poeta
arabo Adi Ibn Zaid fu chiamato il poeta delle rovine perch tratt l'eterno soggetto dell'abi sunt qui ante me in mundo fuere [se ne sono andati coloro che prima di me furono nel mondo] sotto l'influsso ascetico del Vanitas vanitatum dell'Ecclesiaste; un soggetto, infine, di sermone religioso.
E tale ritorna in Thomas Browne: Sussistere nelle ossa e permanere piramidalmente
un calcolo di durata sbagliato ... Vane ceneri che son ricordate dai posteri solo come
emblemi di vanit, antidoti contro l'orgoglio, la vanagloria e i vizi che disennano. E ritorna nelle famose Notti (174245) di Edward Young, nei Pleasures of Meloncholy (Piaceri della malinconia, 1747) di Thomas Warton, che visita le rovine per mortificare il
suo amore per le cose terrene e invidia l'eremita che si pasce della vista delle rovine di
Persepoli. L'angolazione dello studio del Goldstein (come quella del nostro Giorgio
Melchiori nel trattare dei sonetti di Shakespeare in L'uomo e il potere, Einaudi, Torino
1973) squisitamente politica: studia il sentimento delle rovine come determinante
della prassi e della condotta in un periodo di espansione imperiale quale si ebbe in Inghilterra dal Settecento, e in America dall'Ottocento fino ai nostri giorni.
Particolare rilievo vien dato all'opera di un poeta minore del Settecento, John Dyer,
che in un lungo poema didascalico, The Fleece (Il Vello, 1757) raccomandava una forma perfezionata di pastorizia come cura pei mali sociali o spirituali: Il pastore s'innalza
in eminenza spirituale al di sopra dei ceti privilegiati e perfino al di sopra della regalit,
perch il pastore il vero maestro dei riti dell'atemporale, il vero padrone dei frutti
della natura e delle gioie della natura. (Si pensa a simile raccomandazione fatta oggi da
George Nelson Page, I figli della scimmia, Virginia Editrice, Roma 1977, e implicitamente da Pietro Citati in I frantumi del mondo, Rizzoli, Milano 1978). L'architettura e le
strutture sociali erette in pi delle necessit basilari dell'uomo cadranno in rovina o saranno sostituite; la semplice casa che l'uomo costruisce, i campi e gli animali a cui attende rappresentano le principali risorse sue proprie e del suo paese ... Il corso ruo1 [Scritto nel 1978, ora in: Studi e svaghi inglesi, Garzanti, Milano 1983, vol. II, pp. 178182].

4-06-2009

Progettisti si diventa

tante del possente Tempo, che atterra l'elevatezza, abbatte la cima dell'olimpo, e innalza l'umile valle. Dov' la maest dell'antica Roma? ... Tutto perduto nella solitudine della rovina, l'orribile macello della guerra, la polvere della vana ambizione. Dyer
venne in Italia e detest Roma ( vero che ci si busc la malaria); ne scrisse un poema,
The Ruins of Rome: le rovine gl'ispirano il senso della vanit dell'ambizione; a Roma
violenza e morte essudano da ogni parte; sbarra gli occhi contemplando la cavea del
Colosseo quasi fosse il maelstrom; attraversare questo paesaggIo di rovine come
sprofondare nell'orrore del nulla. Il Tempo che tutto divora qui siede sul suo trono di
canute rovine. Il destino dell'Inghilterra nelle mani degli allevatori di greggi e dei
mercanti; e qui il Goldstein vede un influsso della politica whig che voleva scalzare non
solo il potere della monarchia, ma anche la manomorta dell'influenza perpetuata attraverso le grandi famiglie. Ma come James Thomson, l'autore delle Stagioni, Dyer professa lealt a due miti inconciliabili, quello di una pastorale et dell'oro, e quello dell'espansione dell'impero. Fin coll'elogiare le citt manifatturiere, Birmingham e Manchester, e colla speranza che, col crescente dominio dell'uomo sulle macchine, si ottenesse il benessere anche dei meno abhienti. Ma lo spettro delle rovine non l'abbandonava; al principio del Vello troviamo allusioni a Stonehenge, al Vesuvio, a Pompei ed
Ercolano.
Il Tempo, scrive lo Young, simile a Sansone, sradica i pilastri che sostengono il mondo e giace seppellito nelle vaste rovine della natura, e la tenebra di mezzanotte, la tenebra universale regna sovrana. Ogni momento chiude la tomba di quello che l'ha preceduto, ogni momento armato di falce. Per mantenersi in questo clima apocalittico
Young copriva le finestre del suo studio e ammucchiava teschi intorno a s quando
meditava o componeva. Questi poeti 'sepolcrali', Young e Blair, caldeggiavano il ritiro e
l'allontanamento dall'appetitivo mondo di Babilonia, e l'effettuavano sistemandosi in
confortevoli parrocchie la cui pastorale economia, squisitamente ritualizzata e convenzionale, non mancava di un valore intrinseco. Il carattere conservativo della letteratura
'sepolcrale' deve molto a questo desiderio di essere lasciati in pace. Un carattere conservativo che fece scrivere a Young anche versi che potrebbero figurare in un'antologia
dell'imperialismo inglese. L'esempio di Roma e la convinzione che il superbo impero
del commercio s'incammina verso una rapida fine fecero si che Oliver Goldsmith considerasse l'espansione coloniale inglese una impresa di estrema follia, e la lezione che la
storia romana insegnava a Gibbon era che l'umano progresso stato irregolare e vario,
infinitamente lento dapprincipio, e procedendo grado a grado con velocit raddoppiata, periodi di laboriosa ascesa sono stati seguiti da un momento di rapido declino. Anche per Wordsworth le rovine nel suo caso Stonehenge sono un emblema della Caduta; la poderosa cerchia di megaliti l'impressiona come il Colosseo aveva terrorizzato
Dyer, un luogo di sacrifici umani che serrava le vittime da ogni parte. Stonehenge
l'emblema del folle Leviatano inglese: il poeta paragona quel che si sa e s'intuisce di
quei tempi remoti con certi aspetti della societ moderna, e con calamit, specialmente
quelle derivanti dalla guerra; questi megaliti fanno la civilt e la violenza entit storiche
coeve. Anche Wordsworth pens di ritirarsi dal tumulto del mondo e dalle rovine della
storia tirannica, in un'oasi di tranquillit, Grasmere, e immagin che Pan lo consolasse:
Sii grato, tu, perch, se empie azioni straziano il mondo, qui c' la tranquillit. In un
primo tempo, come noto, Wordsworth aveva accolto con entusiasmo gl'inizi della Rivoluzione francese, scusandone anche gli eccessi, come quelli d'un fanciullo sfrenato
(e pensa a Ercole pargolo che strozza i serpenti). Volney, nelle Rovine (179I), nello spirito dell'illuminismo aveva opposto alla demolizione della Bastiglia, simbolo dei tiranni,
la nuova piramide che il popolo avrebbe costruito, la piramide ideale di una giusta legislazione. Ma Wordsworth s'accorse poi che la Rivoluzione, come il flagello delle locuste, impersonava il principio dell'espansione infinita e finiva con l'adottare il modello
imperiale che aveva prima deposto. Il poeta sogna (nel Prelude) d'incontrare un arabo
che reca una pietra e una conchiglia; quando il sognatore si accosta la conchiglia all'orecchio, ode un messaggio che pronostica la distruzione dei figli della terra per un
imminente diluvio: una visione apocalittica alla maniera di quelle dei poeti sepolcrali.
Di pi in pi nel corso degli anni Wordsworth fu affascinato dalle moli monumentali,
costruzioni simboliche investite, nella loro funzione di rovine, di una virt didattica di

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Praz ROVINE

memento mori. Le rovine di Lowther per lo fanno pensare alle tramontate glorie d'Inghilterra e sospirare: D'ora in ora si gonfia il torrente democratico, un verso che ci ricorda la famosa frase del Piacere di d'Annunzio, il grigio diluvio democratico odierno
che molte belle cose e rare sommerge miseramente, a proposito della decadenza dell'aristocrazia romana (non che d'Annunzio in questo caso plagiasse Wordsworth).
soprattutto la distruzione della verginit del Nuovo Mondo che confer un'eccezionale intensit alla visione dei cicli della storia, presentata in una serie di cinque quadri
(completata nel 1836) di Thomas Cole, emulo americano di John Martin, il pittore apocalittico inglese. La prima scena rappresenta lo Stato selvaggio in tutta la sua freschezza di mondo appena emerso dal caos, la seconda l'Epoca arcadica o pastorale con la
sua serenit, la terza scena l'Apogeo dell'impero con templi, palazzi e colonnati che
quasi nascondono la montagna all'orizzonte che il punto di riferimento di tutta la serie, come la luna lo nei due ultimi quadri della famoia serie Passato e presente del
vittoriano Augustus Egg che rappresenta la rovina d'una famiglia per l'adulterio della
moglie (si noti che in tutto l'Ottocento furono frequenti anche nella narrativa le storie
di una famiglia nel tempo, dai RougonMacquart ai Buddenbroks). Infine la Distruzione
dell'impero e la Desolazione dell'impero con la natura che riprende il sopravvento sulle
rovine. La transizione dalla fase arcadica a quella della gloria imperiale era osservata
con malinconia dal Tocqueville (Democrazia in America, Cappelli, Rocca San Casciano
1962): quest'idea di distruzione, questo concetto di prossimo e inevitabile cambiamento che a nostro parere d un carattere cosi originale e una bellezza cos commovente alle solitudini americane. Le si contemplano con un piacere velato di malinconia.
In un certo senso ci si affretta ad ammirarle. L'idea di questa grandiosit naturale e
selvaggia destinata a perire si mescola con le superbe immagini che la marcia della civilt fa sorgere. Ci si sente orgogliosi di essere uomini, e al tempo stesso si prova non
so che rimpianto pel potere che DIo ci ha dato sopra la natura. L'anima agitata tra
questi sentimenti contrari. Ma tutte queste impressioni che riceve sono buone e lasciano un segno profondo. Ma il poeta Bryant nel 1865 ammoniva circa l'Utility of trees (Utilit degli alberi), e inseriva una poesia in cui un indiano, lamentando lo scempio delle
foreste secolari, concludeva: Ma io scorgo un pauroso segno a cui gli occhi dell'uomo
bianco son ciechi: anche la sua razza potr svanire da qui come la mia e non lasciar
traccia, salvo sparse rovine e bianche pietre sui morti.

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