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Organizzazione e crescita
Specializzazione e coordinamento

SOMMARIO

2.1

Specializzazione e
coordinamento

2.1 Le spinte verso la crescita 2.2 Il ciclo di vita delle organizzazioni 2.3
Specializzazione orizzontale e verticale 2.4 I meccanismi di coordinamento 2.5 I costi della specializzazione e del coordinamento 2.6 Progettare
lorganizzazione: microstruttura, macrostruttura e processi aziendali

Le spinte verso la crescita


Lorigine del problema organizzativo sta nella necessit, o quantomeno nellopportunit, di suddividere il lavoro tra persone differenti
al fine di migliorare lefficienza. La suddivisione del lavoro conduce
alla specializzazione degli operatori che in tal modo si concentrano e
appunto si specializzano solo su alcune attivit tralasciandone altre.
Naturalmente vi sono modalit e forme diverse di specializzazione,
cosa di cui parleremo in seguito. Daltra parte, maggiore la specializzazione, maggiore la spinta a ricercare le modalit pi efficaci
per garantire il coordinamento tra individui e tra aggregati di individui (le unit organizzative) che svolgono attivit specializzate, le quali costituiscono solo una frazione del complesso di attivit svolte dallorganizzazione.
Specializzazione e coordinamento sono dunque due fenomeni che
procedono di pari passo, due facce della stessa medaglia, che assumono importanza e criticit al crescere delle dimensioni dellorganizzazione.
Nelle imprese e nelle istituzioni di grandi dimensioni i problemi organizzativi sono maggiori e le soluzioni sono pi complesse. La crescita
richiede maggiore specializzazione e introduce problemi di coordinamento. Non possibile che tutti facciano tutto! In generale ci sarebbe fonte di confusione e di inefficienze; occorre suddividere il lavoro,
specializzarlo e coordinarlo. E pi lorganizzazione cresce, pi questa
tendenza fondamentale diviene irrefrenabile. Organizzazione e crescita sono dunque due fenomeni intimamente collegati: la crescita pone problemi organizzativi sempre nuovi e, daltra parte, senza unorganizzazione minimamente efficiente crescere impossibile.
Potremmo allora interrogarci sul perch e sul quando le imprese crescono di dimensioni. La questione complessa e non questa la sede
per trattare le teorie della crescita. Intuitivamente per facile ren-

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Spinte
alla crescita

Freni alla
crescita

Le unit
organizzative

dersi conto che, per le imprese dei pi svariati settori, esistono molteplici e potenti fattori di stimolo alla crescita: dallo sfruttamento delle
economie di scala alla ricerca delle sinergie tra business diversificati
(economie di scopo) che sono possibili nelle attivit finanziarie, di
marketing, di distribuzione, di ricerca e sviluppo e di produzione.
Inoltre, crescere spesso necessario per poter poi accedere ai mercati finanziari e alle forme di finanziamento pi evolute (ad esempio
attraverso la quotazione borsistica). Ancora, essere grandi serve per
attrarre le risorse umane pi qualificate che sono invogliate da opportunit professionali che solo le imprese maggiori possono offrire.
Infine, come spinta alla crescita non bisogna sottovalutare anche
lambizione personale di imprenditori e manager, non solo attirati
da maggiori profitti potenziali, ma certe volte, e in misura anche pi
grande, semplicemente desiderosi di potere e di contare di pi nella
business community e nella societ civile.
Naturalmente esistono anche forze che si oppongono alla crescita.
Se le tecnologie del settore non sono particolarmente sofisticate e le
economie di scala non giocano un ruolo significativo (ad esempio
nel settore tessile e in quello della meccanica), le imprese talvolta
scelgono deliberatamente di rimanere piccole. Una motivazione frequente la ritrosia dei piccoli imprenditori ad aprire laccesso al capitale nel timore di perdere il controllo della propria azienda. Altre
volte vi il timore di perdere la flessibilit e lagilit che le piccole dimensioni talvolta sembrano garantire meglio. In luogo delle grandi
imprese possono allora affermarsi reti collaborative di piccole imprese. Tuttavia, al di l di queste considerazioni sul piccolo possibile,
magari anche bello, resta pur vero che la dinamica di crescita, laddove possibile, comunque prevalente.
Il punto di partenza della nostra riflessione dunque semplice: le imprese in generale tendono a crescere di dimensione; mentre le imprese
piccole hanno organizzazioni semplici, poco specializzate, con meccanismi di coordinamento prevalentemente informali, le imprese pi
grandi hanno inevitabilmente organizzazioni pi complesse con una
maggiore specializzazione del lavoro, ruoli e mansioni differenziati,
meccanismi di coordinamento sofisticati e variegati. Con la crescita le
organizzazioni tendono ad articolarsi in unit organizzative. Le unit
organizzative sono strutture relativamente autonome che raggruppano
individui che svolgono attivit collegate e che rispondono a un unico
capo. Sono piccole organizzazioni nellorganizzazione. Consideriamo
la filiale di una banca: i diversi impiegati svolgono mansioni differenti
sportello, ufficio titoli, evasione di pratiche di finanziamento, concessione di mutui ecc. e tutti rispondono al Direttore di filiale. un microcosmo organizzativo con legami sociali e interazioni molto pi frequenti al suo interno che con il resto dellorganizzazione. La banca nel
suo complesso composta da decine o centinaia di simili unit organizzative alle quali si aggiungono le unit organizzative centrali, ad esempio lufficio legale o lunit per lo sviluppo dei sistemi e delle applicazioni informatiche. Similmente unazienda industriale spesso strutturata in funzioni la produzione, lufficio tecnico per la progettazione,

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lufficio marketing e vendite, lufficio acquisti. A sua volta la funzione


produzione pu essere articolata in reparti o linee di produzione, specializzati in specifiche operazioni e tecnologie (i reparti) o dedicati a
specifici prodotti (le linee). Si tratta di organizzazioni con livelli di aggregazione multipli, dove le unit pi piccole vengono riunite in unit
di dimensioni superiori. Maggiore la dimensione dellorganizzazione
pi articolata e complessa la struttura organizzativa formata da unit
organizzative via via pi numerose e diversificate. Al crescere delle dimensioni il concetto di specializzazione trascende la sfera individuale e
si applica alle unit organizzative che sono aggregati di individui.
Consideriamo due esempi differenti dal panorama delle grandi multinazionali: Panasonic (Caso 2.1) ed ENI (Caso 2.2).

CASO

2.1

Panasonic (Matsushita): la crescita diversificata


Matsushita Electric Industrial Co., Ltd, meglio conosciuta al grande pubblico come Panasonic, uno dei maggiori produttori mondiali nei settori dellelettronica, con un catalogo di oltre 15.000 prodotti. Il gruppo opera attraverso diversi marchi molto noti Panasonic, National, Technics, Quasar, JVC e altri ancora. Nel 2006 il fatturato consolidato stato di 77,2 miliardi di dollari (circa 60 miliardi di euro). La dimensione dellorganizzazione imponente:
328.000 dipendenti distribuiti in 650 societ operative che fanno capo a sei grandi aree di
business: 1) AVC (audio-visual chain), che include i business dei prodotti di telefonia fissa e
mobile, i prodotti per la fotografia, la ripresa e la riproduzione, i car stereo e i navigatori; 2)
Home appliances, che include tutti i segmenti degli elettrodomestici e degli apparecchi di illuminazione; 3) Components and devices, che raggruppa semiconduttori, display, batterie,
componenti elettronici e motori elettrici; 4) Matsushita Electric Works, che include impianti,
cablaggi e dispositivi elettrici e soluzioni integrate per gli edifici e le abitazioni (PanaHome);
5) JVC (Victor company of Japan), il noto marchio per audio e video di alta gamma e professionali; e, infine, 6) Business diversificati, che include lelettronica industriale, i sistemi di automazione e di saldatura.
Lo spettro di prodotti, servizi e tecnologie dunque vastissimo. I mercati e i clienti sono
molto diversificati e includono settori di consumo e settori industriali. Il gruppo opera in
tutto il globo ed articolato in 7 macroregioni: Giappone (headquarter); Cina e Nordest
Asia; Sudest Asia e Oceania; Europa; Nord America; Sud America; Russia, Asia centrale, Medio Oriente e Africa. Inoltre, ciascuna struttura operativa afferente a una delle sei grandi aree
di business dotata di unit proprie di ricerca e sviluppo, di marketing e vendite e di produzione. Nel corso della sua storia quasi centenaria, Matsushita cresciuta costantemente diversificandosi. Fondata a Osaka nel 1918 da Konosuke Matsushita, lazienda inizi la produzione di prese e altro materiale elettrico, cavalcando lo sviluppo e lelettrificazione del Paese.
Nel corso degli anni Venti la Matsushita port sul mercato diversi prodotti innovativi ad
esempio il ferro da stiro elettrico, le lampade per bicicletta alimentate a batteria e gli apparecchi radio , iniziando una diversificazione di prodotto accompagnata dallaffermazione
del marchio National. Sebbene i prodotti raramente fossero delle novit in senso assoluto,
Matsushita seppe cogliere il potenziale di massa raggiungendo immediatamente elevati volumi e costi molto contenuti che rendevano i prodotti accessibili al pi vasto pubblico. Il
fondatore stesso, che ebbe uninfanzia sullorlo dellindigenza, sintetizz questa vocazione
in un celebre passaggio di un discorso pubblico del 1932: La nostra missione come produt-

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tore creare abbondanza materiale, fornendo beni in quantit e a costi contenuti cos come
lacqua che sgorga dalle fontane pubbliche. Questo il modo attraverso il quale possiamo
sconfiggere la povert, portare un po di felicit nella vita delle persone e rendere il mondo
un posto migliore. Nel 1933 Matsushita rivoluzion lorganizzazione aziendale, introducendo le divisioni e un corrispondente sistema di management che diede forte autonomia
a queste aziende nellazienda. Ciascuna divisione era dotata di proprie funzioni di amministrazione, produzione, vendita, ricerca ecc. Verso la met degli anni Trenta lazienda inizi
una significativa espansione estera, una strategia allora inusuale. Nellimmediato dopoguerra la missione aziendale fu quella di contribuire alla rinascita del Paese distrutto dalla guerra
attraverso limmediata ripresa delle produzioni su vasta scala. Convinta che tale rinascita
dovesse passare attraverso lo sviluppo tecnologico, Matsushita arriv a siglare nel 1952 un
ampio accordo con Philips per la cooperazione nella ricerca e sviluppo. Questo passaggio
fondamentale segn lingresso dellazienda nel settore nascente dellelettronica. Nella seconda met degli anni Cinquanta la crescita fu impressionante: sospinta dalla domanda interna e dal potenziale di massa del mercato degli elettrodomestici, Matsushita quadruplic
il volume di affari e raddoppi quasi il numero di dipendenti in soli cinque anni. Contemporaneamente oper unampia diversificazione, introducendo la sua prima lavatrice (1951), il
televisore (1952), il frigorifero (1953), la radio portatile (1956), il condizionatore (1956) e il
registratore a nastro (1956). Forte di questi successi interni lazienda sbarc stabilmente negli Stati Uniti nel 1959. Verso la met degli anni Sessanta un periodo di stagnazione delleconomia giapponese caus seri problemi allazienda, che procedette a una ristrutturazione
delle unit commerciali e dei processi manageriali. Tuttavia ci non arrest la capacit innovativa e lulteriore diversificazione attraverso lintroduzione del tv color (1960), del fax
(1962), del forno a microonde (1966), del registratore a cassette (1967), del Varistor allossido di zinco, delle macchine a inserzione automatica dei componenti elettronici (1969). Negli
anni Settanta, Matsushita si afferm come colosso del settore elettronico vincendo la memorabile battaglia contro Sony per affermare lo standard di videoregistrazione VHS. Effettu
investimenti massicci nel settore elettronico stabilendo centri di ricerca avanzati negli Stati
Uniti. Acquis anche la divisione TV di Motorola. Nel 1982 entr come attore primario nel
mercato nascente dei cd player. Nel 1987, approfittando della svolta del governo di Pechino,
fu la prima corporation straniera a sbarcare in Cina attraverso una joint venture. Con lacquisizione di MCA (1990), Matsushita si diversific ulteriormente nel settore dellentertainement, ma nel 1995 ne cedette il controllo, ritornando a una sua vocazione pi prettamente
industriale. Gli anni Novanta videro per Matsushita una marea inarrestabile di nuovi prodotti e nuovi mercati: dal dvd ai telefoni cellulari, dai televisori al plasma ai notebook, dalle batterie ultrasottili al litio ai sistemi di navigazione per auto. Il processo di diversificazione e di
crescita, durato ottantanni, ha prodotto unorganizzazione dallenorme complessit, articolata in migliaia di unit organizzative, con uno spettro amplissimo di competenze tecniche e
gestionali e basata su meccanismi di coordinamento sofisticati.

CASO

Caso 2.1

2.2

ENI: la crescita correlata


Creata nel dopoguerra per dare al Paese lindipendenza energetica, e sviluppatasi grazie alle
straordinarie capacit di Enrico Mattei, ENI rappresenta oggi la prima impresa italiana per
capitalizzazione (circa 100 mld di euro allinizio del 2007). Ha oltre 73.000 dipendenti ed
presente in 70 Paesi. Nel 2006 ha riportato ricavi consolidati per oltre 86 mld di euro e un
utile netto di 9,2 mld di euro. Oggi uno dei giganti mondiali del settore energetico, concen-

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trato sul settore del petrolio e del gas naturale, ma attivo anche nella generazione dellenergia elettrica, nellingegneria e nelle costruzioni e nella petrolchimica.
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso ENI si notevolmente diversificata nella chimica con alterne fortune. A partire dagli anni Novanta si concentrata sul settore di elezione,
quello energetico (petrolio e gas) e in particolare sugli stadi a monte della filiera (upstream),
ovvero sullesplorazione e sulla produzione. La diversificazione appare dunque limitata, soprattutto in relazione alle dimensioni del gruppo, e comunque riguarda attivit strettamente
correlate tra loro, in ultima analisi legate al settore energetico. La crescita stata sostenuta
dallo sviluppo sui mercati internazionali, attraverso il tentativo riuscito di assicurarsi laccesso
alle maggiori fonti di greggio e di gas. Gi negli anni Novanta ENI concludeva accordi in Asia
centrale con diversi stati emersi dal disfacimento dellUnione Sovietica, al fine di assicurarsi
laccesso ai giacimenti di gas naturale, divenendo cos uno dei maggiori operatori nellarea.
Ancora recentemente, nel 2004, alla testa di una cordata internazionale si assicurata i diritti
di esplorazione e sfruttamento del pi vasto e promettente campo petrolifero in Arabia Saudita. Il 2006 lanno del grande accordo con Gasprom, che dar allENI laccesso al gas russo fino al 2035. Oggi il gruppo articolato in tre aree di business fondamentali: Exploration & Production, Gas & Power, Refining & Marketing. La struttura organizzativa del gruppo estremamente complessa e articolata su scala globale, con molteplici unit organizzative geograficamente disperse nei 70 Paesi in cui opera il gruppo e numerose funzioni centrali di staff per assicurare il coordinamento. Nonostante la crescita non abbia portato a una grande diversificazione e anzi si sia concentrata sul core business, la complessit organizzativa, il livello di specializzazione e il fabbisogno di coordinamento allinterno del gruppo sono notevoli.

I casi Panasonic ed ENI illustrano processi di crescita diversi, con motivazioni differenti: nel primo caso, diversificazione, economie di scopo
e affermazione nei settori tecnologici emergenti anche grazie a una
forte capacit innovativa; nel secondo caso, ricerca di economie di scala e conquista di posizioni competitive nel mercato globale, rimanendo concentrati sul settore energetico. In entrambe le organizzazioni la
complessit considerevole. Infatti, nel caso della multinazionale giapponese la grande diversificazione richiede strutture specializzate con
competenze e know-how molto diversi e risorse dedicate che non certo semplice coordinare. Nel caso ENI, lenorme scala delle operazioni
si presta a notevoli specializzazioni e la copertura geografica globale richiede strutture organizzative disperse, anche in questo caso con complesse problematiche di coordinamento. Questi due esempi illustrano
come, pur in presenza di motivazioni differenti, le potenti spinte alla
crescita implichino complessit organizzative crescenti.

2.2

Il ciclo di vita delle organizzazioni


Le organizzazioni, al pari degli individui, sono soggette a un ciclo di
vita. Dopo una o pi fasi di crescita inevitabilmente inizia il declino e,
spesso, la contrazione dimensionale che pu concludersi nellestinzione o nellincorporazione da parte di altre organizzazioni pi vitali. Il Caso 2.3 illustra una vicenda aziendale, quella della Bodin, lunga oltre 40 anni e che consente di capire meglio come, con la crescita

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e il necessario progredire della specializzazione, lorganizzazione si


modifica, emergono problemi nuovi e cambiano i meccanismi di base per il coordinamento.

CASO

Bodin
2.3

Bodin
Le origini e lidea imprenditoriale
Nel 1955 Edmondo Bodin, classe 1930, eredit dal padre, prematuramente scomparso, un
piccolo laboratorio tessile in provincia di Milano che produceva nastri tessuti di seta e raso
per la corsetteria femminile. Le attrezzature consistevano essenzialmente in due vecchi telai
a navetta per la produzione di nastri continui e in un rozzo orditoio manuale.
Nel laboratorio oltre a Bodin erano impiegate due lavoranti.
Il processo era veramente semplice. Le bobine di filato che il Bodin acquistava da alcune
grandi filature nel Biellese venivano preparate manualmente dalle lavoranti per formare le
rocche di ordito che alimentavano i telai a navetta. Il nastro continuo che usciva dai telai veniva ogni tanto tagliato e avvolto manualmente su appositi rocchetti dalle due lavoranti. Il
prodotto finito veniva cos consegnato ai clienti che erano soprattutto produttori di corsetteria femminile.
Lorganizzazione era del tutto informale, non esisteva alcuna chiara suddivisione dei compiti tra le due lavoranti e, sebbene una fosse pi esperta e precisa, entrambe partecipavano a
tutte le operazioni del processo: lorditura, la tessitura a telaio, la preparazione dei rocchetti
di nastro e linscatolamento. Lo stesso Bodin passava molto tempo in laboratorio e contribuiva anche alle stesse operazioni manuali. Per il resto del tempo, al volante della sua Fiat
1100, percorreva avanti e indietro le strade della pianura con il bagagliaio pieno di nastri da
consegnare ai clienti e con la speranza di acquisire nuove commesse.
Alla fine degli anni Cinquanta gli affari per non andavano granch bene. La moda femminile stava rapidamente cambiando e la corsetteria stava cadendo in disuso. Edmondo Bodin,
giovane e ambizioso, vedeva con chiarezza la crisi dei suoi clienti e cap che sarebbe stata
anche la sua. Ed ebbe unidea: le etichette tessute! Negli anni del boom economico la pianura padana si andava riempiendo di fabbriche e laboratori tessili, dalla maglieria alle confezioni. Tutti i capi avevano bisogno di etichette, dapprima solo per identificare le taglie, successivamente per qualificare la composizione dei tessuti e le specifiche di lavaggio e per rappresentare il marchio. Se Bodin avesse trovato il modo di tessere un nastro continuo sul
quale le diciture fossero rappresentate in un colore di contrasto, non avrebbe dovuto fare altro che tagliare il nastro tra una dicitura e laltra per avere tante etichette uguali.
Bodin non era un ingegnere e non aveva nemmeno finito di studiare, costretto a prendere in
mano il laboratorio alla morte del padre. Ma era molto ingegnoso. Recuper testi e dispense
di tecnologia tessile. Varc le Alpi, and in Svizzera e in Germania dai grandi produttori di
macchinari tessili (Sulzer e Benninger) e scopr che la tecnologia che faceva al caso suo esisteva gi: la macchina jacquard!
Questa macchina pu comandare lalzata dei fili di ordito sul telaio, a seconda dei vuoti o
dei pieni incontrati su un cartone perforato opportunamente predisposto. A ogni battuta del
telaio le navette recanti il filato per la trama passano sopra o sotto i singoli fili di ordito, a seconda del fatto che il cartone perforato consenta o meno lalzata del filo di ordito. Se il colore della trama e quello dellordito sono in contrasto, ad esempio ordito bianco e trama nera,
il tessuto risultante riporta un motivo (scritta o disegno) in nero sul fondo bianco. Infine, il
cartone ripiegato su se stesso e cucito a forma di cingolo consentiva di tessere sequenzial-

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mente la stessa etichetta sullordito per migliaia di volte. Inoltre, su un singolo telaio si potevano affiancare fino a 30 piste di ordito.
Edmondo Bodin acquist una macchina jacquard, la mont, adattandola con laiuto di un
fabbro, su uno dei suoi telai e fece alcune prove. Cerano dei problemi tecnici e la macchina
si inceppava spesso. Ma il risultato era sorprendente. Una domenica mattina del 1960 Bodin port tutto fiero sua moglie Miranda a vedere il prodigio: un telaio sferragliante che vomitava trenta nastrini bianchi; sua moglie si chin, ne raccolse uno e lo osserv: era alto circa un centimetro e cera scritto Edmondo Bodin Edmondo Bodin Edmondo Bodin allinfinito. In un angolo una delle lavoranti, con un paio di forbici, stava tagliando uno di quei nastri in tante striscioline uguali con la scritta Edmondo Bodin.
La crescita degli anni Sessanta e Settanta
Nei mesi successivi, Edmondo Bodin, con alcune prove delle sue etichette, si present alla
porta di alcuni produttori di maglieria che stavano rapidamente crescendo. Si trattava di
aziende destinate a conoscere un grande sviluppo nei decenni successivi, marchi come Ragno, Liabel e Sarah Lee. Ebbe successo e acquis alcuni ordini di prova per piccoli quantitativi. Ben presto per gli ordini arrivarono pi massicci, per centinaia di migliaia di pezzi.
Ora il laboratorio non bastava pi. Bodin si indebit e acquist altri 2 telai, pi moderni, e altre macchine jacquard. Assunse altre 4 lavoranti e le affid alla pi esperta perch imparassero il mestiere. Le assegn la responsabilit di supervisionare il lavoro e di prendere le piccole decisioni quotidiane in laboratorio. In quella fase il lavoro era per abbastanza disorganizzato e non vi era una chiara attribuzione di compiti. Inoltre, i quattro telai sfornavano nastri continui senza sosta e spesso le lavoranti erano tutte impegnate a tagliare le etichette a
mano, lasciando i telai a se stessi, con inceppamenti frequenti che danneggiavano anche i
prodotti.
Nel 1964 Bodin, di ritorno da unimportante fiera tessile a Hannover, acquist una macchina americana per il taglio automatico delle etichette, il ripiegamento degli orli e la loro cucitura. Alle operaie non restava che inserire le etichette in apposite scatoline di cartone, pronte per la consegna.
Edmondo Bodin passava ormai la maggior parte del suo tempo a visitare i clienti che nel
frattempo si erano fatti pi esigenti. Richiedevano etichette sempre pi complicate e di altezze variabili. Assunse dunque due giovani appena diplomati da un noto istituto tecnico
con specializzazione tessile, con lo scopo preciso di affidare a uno i disegni delle etichette in
scala e allaltro la progettazione e la preparazione dei cartoni per le macchine jacquard. Pochi mesi dopo assunse un altro giovane diplomato per la manutenzione e la supervisione
tecnica delle macchine tessili.
Nel 1968 la dimensione del giro di affari lo spinse ad altri cospicui investimenti. Costru un
nuovo stabilimento, quadruplicando lo spazio coperto. Acquist altri telai, adesso ne aveva
ben 28, e soprattutto un nuovo orditoio che poteva tenere dietro alla capacit produttiva dei
telai.
Lazienda impiegava ora circa 35 persone. Non appena trasferitosi nella nuova sede Edmondo Bodin realizz che il modo informale e flessibile con il quale si era proceduto fino ad allora era fonte di problemi e disorganizzazione. Si rendeva conto che solo le operaie pi esperte erano in grado di svolgere tutte le attivit del ciclo di trasformazione, mentre le nuove assunte avrebbero dovuto impratichirsi in alcune specifiche fasi di lavorazione. Con laiuto dei
tecnici e degli esperti messigli a disposizione dalla Sulzer, organizz lazienda in 4 reparti
produttivi: orditura, tessitura, taglio e piega e confezionamento. Gli addetti furono suddivisi
e assegnati in modo permanente ai reparti. Furono sviluppati programmi di addestramento
mirati a far acquisire le capacit di uso delle macchine di ciascun reparto. Solo alcuni addetti
pi anziani conservarono una significativa polivalenza, ovvero le conoscenze e le capacit

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per operare in tutti i reparti e con tutte le macchine. Furono sviluppate procedure operative
che prescrivevano agli addetti che cosa fare esattamente, quale era la sequenza corretta delle operazioni da svolgere, che cosa fare in caso di inceppamento delle macchine, almeno nei
casi pi frequenti. Le procedure furono anche codificate in manuali di lavoro affinch vi
fossero riferimenti certi per tutti gli addetti e si potesse pi rapidamente rendere operativi i
nuovi assunti. Anche nellarea della progettazione il lavoro fu suddiviso e specializzato: 2 disegnatori preparavano in scala 30 : 1 i disegni delle etichette da produrre su unapposita carta retinata, mettendo in evidenza ogni singolo filato e il percorso in trama e ordito di ciascuna fibra; altri 2 addetti (i cartonisti) preparavano i cartoni perforati e i cingoli per le macchine
jacquard.
Lespansione della Bodin continu negli anni Settanta. Edmondo Bodin, sempre attento allinnovazione tecnologica, sostitu i telai pi vecchi con macchine nuove, che egli stesso
modific e adatt, arrivando a realizzare un prodotto di qualit superiore e tessuto con un
massimo di 20 colori differenti, mentre la tecnologia dei diretti concorrenti non riusciva a
gestire pi di 5 colori sulla stessa etichetta. In sostanza lazienda era in grado di realizzare,
accanto alle normali etichette a 2 o 3 colori, anche le cosiddette etichette multicolor, molto pi remunerative.
Forse ancora pi importante fu la scelta tecnologica nel reparto di taglio e piega. Bodin opt
per le macchine a taglio meccanico (a coltello), seguito dalla piega e cucitura degli orli liberi.
Questa tecnologia, sebbene costosa perch aggiungeva la fase di cucitura degli orli, consentiva di ottenere etichette qualitativamente perfette, di gran lunga superiori a quelle in cui le
operazioni di rifinitura finale venivano eseguite tramite la termosaldatura, allora prevalente
ma che lasciava il margine rigido, fastidioso soprattutto nei prodotti di maglieria.
Nel 1977, notando che le sue macchine di taglio e piega si inceppavano spesso, ne modific
una, pi per hobby forse, invertendo la sequenza di alcune operazioni.
Sped i disegni al fornitore americano che incorpor in modo stabile la modifica e in segno
di gratitudine gli regal una macchina nuova.
La complessit organizzativa e i primi segni della crisi
Verso la met degli anni Ottanta la Bodin era il leader nazionale nella sua nicchia di mercato, contava circa 50 addetti e 40 telai, con una produzione annua attorno ai 200 milioni di
pezzi. Il fatturato si aggirava sui 15 miliardi di vecchie lire (circa 8 milioni di euro). I clienti
della Bodin erano le principali industrie tessili e di confezioni prevalentemente concentrate
in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Canton Ticino, Tirolo e Savoia.
Gi da tempo Edmondo Bodin non era pi in grado di seguire questi mercati da solo. Aveva
assunto alcuni venditori e ingaggiato diversi agenti e, nel 1981, un responsabile commerciale.
La variet dei prodotti che gli venivano richiesti e le esigenze di personalizzazione dei clienti
crescevano senza sosta. Edmondo Bodin si rese conto che occorreva programmare con cura lattivit produttiva per limitare la confusione nei reparti e i ritardi nel processo produttivo. Assunse dunque un perito industriale con una specializzazione in pianificazione della
produzione, e che aveva gi un po di esperienza in unaltra azienda tessile. Gli affid il compito di programmare la produzione su base settimanale, ovvero decidere che cosa produrre,
su quali macchine e per quali clienti. I programmi di produzione venivano passati ai responsabili dei reparti e questi dovevano organizzare il lavoro come meglio ritenevano, purch alla fine della settimana i quantitativi richiesti fossero stati prodotti. La gestione miglior notevolmente e i ritardi diminuirono.
A quellepoca la struttura organizzativa della Bodin poteva essere rappresentata come nella
Figura 2.1. Lorganizzazione era ancora piuttosto semplice e il Bodin gestiva in prima persona la maggior parte delle unit organizzative, incluso il reparto tecnico (disegnatori e cartonisti) e i reparti di produzione.

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Figura 2.1

LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA BODIN


Presidente e Amministratore delegato (E. Bodin)

Amministrazione

Responsabile
commerciale

Reparto
orditura
(4)

Reparto
tessitura
(21)

Taglio
e piega
(4)

Confezionamento
(3)

Venditori (2)
Agenti (2)

Programmatore
della produzione (1)

Officina
(2)

Magazzino
(1)

Disegnatori
(2)

Reparto
cartoni
(2)

Impiegati (3)

Le unit organizzative riportano anche tra parentesi il numero di addetti.

Due anni dopo, nel 1983, introdusse una nuova organizzazione in fabbrica, anche sulla base
dei consigli di un consulente. Dopo molte incertezze, Bodin si risolse a specializzare una
parte della tessitura nella produzione delle sole etichette multicolor, dedicandovi i telai pi
sofisticati e le operaie pi esperte. Agli altri telai e agli altri addetti lasci la produzione delle
etichette standard. Da un lato egli si rendeva conto che specializzare una parte delle risorse
umane e tecnologiche sulla produzione pi complessa gli avrebbe consentito un maggiore
livello di servizio ai clienti (rapidit e puntualit) e anche una maggiore efficienza produttiva. Dallaltro per temeva di dover fare investimenti in nuove macchine e non sapeva se sarebbe stato effettivamente in grado di saturarne la capacit. Alla fine prevalse la logica della
specializzazione, che fu successivamente estesa anche al reparto di taglio e piega. In pratica
egli cre due linee di produzione completamente indipendenti e specializzate per prodotto.
Verso la met degli anni Ottanta lo scenario competitivo cambi rapidamente. La tecnologia
per la stampa a inchiostro delle etichette si svilupp notevolmente. Sebbene la qualit del
prodotto finito fosse nettamente inferiore, anche i costi di produzione lo erano. Alcuni clienti, a loro volta pressati dalla concorrenza dei produttori asiatici a basso costo, abbandonarono progressivamente la Bodin che cerc di reagire migliorando ancora la sua capacit di
adattamento e personalizzazione e la qualit delle sue etichette.
Verso lestinzione
Nella prima met degli anni Novanta la Bodin sopravvisse con difficolt alla crisi spaventosa dei suoi clienti, nei settori della maglieria e delle confezioni. Cos come, negli anni Sessanta, questi settori avevano trascinato la Bodin verso la crescita e il successo, allo stesso
modo ora ne stavano affossando le prospettive.
La Bodin aveva anche un problema organizzativo tipico della piccola impresa, quello delleccessivo accentramento decisionale. Edmondo Bodin, classico esempio di self-made man
italico, era sempre rimasto quello che era allinizio: un grandissimo lavoratore e un tecnico

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18 PARTE I ORGANIZZAZIONE
eccezionale che conosceva le sue macchine e i suoi prodotti come le sue tasche e che delegava poco ai suoi collaboratori. Era capace di piombare in reparto in qualunque momento
per interferire nella pi piccola decisione e, addirittura, per mettere egli stesso le mani su
una macchina.
Pensava che il suo prodotto fosse superiore. Guardava al cambiamento e alla concorrenza
aggressiva dei produttori di etichette stampate con un misto di superiorit e di nostalgia per
i tempi andati, quando si poteva lavorare bene. Prontissimo ad accogliere le esigenze di
clienti sofisticati, era poco incline a sviluppare approcci di marketing innovativi e anche a ripensare il suo business e le sue tecnologie. Non vedeva con favore alcune innovazioni fondamentali nelle tecnologie tessili come i telai ad ago e a getto daria, che aumentavano enormemente la velocit di lavorazione e la produttivit perch, a suo dire, peggioravano la qualit e limitavano le possibilit di realizzare etichette tessute complesse. Non ne acquist mai
nemmeno uno.
Fatto ancora pi emblematico, non cavalc la rivoluzione informatica, non introdusse i computer che, con le applicazioni CAD-CAM, gli avrebbero consentito di pilotare le macchine
jacquard via software, eliminando la costosa fase di preparazione dei cartoni.
Edmondo Bodin aveva due figlie. Gi alla fine degli anni Ottanta, si oppose decisamente a
che entrassero in azienda spingendole in ogni modo a fare altro. Nel 1999, stanco e sfiduciato sul futuro, decise di vendere. Tratt dapprima con un fondo chiuso che avrebbe voluto rilevare la sua azienda per fonderla con unaltra che operava prevalentemente nel settore delle etichette stampate. Si fece lidea non del tutto errata che le sinergie di cui gli parlavano gli acquirenti avrebbero portato al licenziamento della maggior parte dei suoi dipendenti. Prefer agire altrimenti. Visit personalmente tutti i suoi clienti e fornitori, con lo
scopo di trovare un nuovo impiego per ciascuno dei suoi dipendenti. Grazie alla reputazione che si era costruito riusc a ricollocare oltre 30 persone. Gli altri andarono anticipatamente in pensione o trovarono altri impieghi autonomamente. Liquid quindi lazienda,
vendendo i macchinari e cedendo il terreno. Oggi su quel terreno sorge una concessionaria di auto giapponesi.

2.3

Crescita e
frammentazione

Specializzazione orizzontale e verticale


Il caso Bodin si presta a molte considerazioni sullo sviluppo delle organizzazioni. Ci consente anzitutto di osservare come le diverse fasi del
ciclo di vita siano accompagnate da trasformazioni organizzative significative. Al crescere della dimensione si manifesta quella tendenza
inarrestabile che la frammentazione dei processi in attivit pi semplici, che vengono svolte da operatori differenti. In realt questo fenomeno spesso il frutto di un processo pi complesso. Consideriamo il
caso Bodin. Con la crescita degli anni Sessanta e Settanta Edmondo
Bodin si rende conto di dover meglio organizzare il lavoro, e con il
supporto dei fornitori di macchinari compie unanalisi dettagliata delle attivit, che porta a unorganizzazione basata sui reparti con attribuzioni di compiti limitati a ciascuno degli operatori. Il processo di specializzazione avviene dunque in due stadi, o meglio lungo due dimensioni. In primo luogo si realizza la separazione tra la progettazione del
lavoro e la sua esecuzione, nel senso che il chi fa che cosa e le modalit operative vengono stabiliti a priori da qualcuno che non necessariamente coincide con chi svolge il lavoro successivamente. Questo

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2. Organizzazione e crescita 19

Specializzazione e
dimensione

Figura 2.2

aspetto della divisione del lavoro prende il nome di specializzazione


verticale. Essa trova il suo fondamento teorico in uno dei padri delle
teorie organizzative classiche, il gi citato F.W. Taylor, che postul la
necessit di un approccio scientifico e razionale allorganizzazione del
lavoro. Attraverso lanalisi dettagliata dei movimenti e dei tempi del lavoro, lapproccio taylorista si propone di semplificare e razionalizzare
le attivit, eliminando quelle inutili. La specializzazione verticale del lavoro dunque insita nellapproccio scientifico. Di fatto la separazione
tra progettazione ed esecuzione ne implica unaltra, gravida di conseguenze: quella tra esecuzione e controllo. Lambiente sociale di lavoro
viene a essere separato in due gruppi: coloro che eseguono il lavoro e
coloro che controllano loperato degli esecutori.
Il secondo stadio del processo di specializzazione, che porta a parcellizzare il lavoro attribuendo poche semplici attivit a ciascuno degli
operatori, prende il nome di specializzazione orizzontale. La specializzazione orizzontale porta con s il proliferare delle mansioni, ovvero delle diverse denominazioni degli insiemi di compiti attribuibili a
una singola persona (il concetto di mansione verr ripreso nel capitolo 4). Pi tali insiemi sono ristretti e includono compiti e competenze
limitati, maggiore sar il loro numero. La Figura 2.2 illustra un processo aziendale non specializzato in cui un unico operatore svolge
tutte le attivit e uno orizzontalmente specializzato, in cui le diverse
attivit sono svolte da persone differenti.
Il legame tra specializzazione orizzontale e dimensione immediato.
Ad esempio, in una piccola azienda sar facile trovare ununica mansione di responsabile dellamministrazione della finanza e del controllo di gestione, mentre in una grande azienda sar pi probabile
trovare tre mansioni distinte un responsabile dellamministrazione,
un responsabile della finanza e, infine, un responsabile del controllo. Questo legame stato anche dimostrato empiricamente da diver-

LA SPECIALIZZAZIONE DEI PROCESSI

Processo
non specializzato

Attivit 1

Attivit 2

Attivit 3

Risultato

Attivit 1

Attivit 2

Attivit 3

Risultato

Processo
specializzato

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20 PARTE I ORGANIZZAZIONE

Figura 2.3

LEGAME TRA DIMENSIONE E SPECIALIZZAZIONE

70
60

Numero mansioni

50
40
30
Imprese industriali tedesche
(Fonte: Kieser, 1973)
Imprese industriali e
di servizio inglesi (Fonte: Child, 1972)

20
10
0
0

500

1000 1500 2000


Numero addetti

2500 3000

se ricerche. La Figura 2.3 illustra come in diversi settori al crescere


della dimensione cresce la specializzazione misurata attraverso il numero di mansioni differenti rinvenute.

2.3.1

I vantaggi della specializzazione


Ma quali sono i vantaggi della specializzazione orizzontale? Dopo pi
di due secoli la pi efficace descrizione ancora quella, celeberrima,
della fabbrica di spilli di Adam Smith illustrata nel box seguente.

La fabbrica di spilli di Adam Smith


Gi nel 1776 Adam Smith nel suo famoso La ricchezza delle nazioni cos racconta lestrema divisione del lavoro (specializzazione orizzontale), osservando il modo in cui era organizzata la
produzione degli spilli in una manifattura allepoca della prima rivoluzione industriale inglese:
Un uomo tira il filo di metallo, un altro lo tende, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un
quinto lo arrota allestremit in cui deve farsi la testa, operazione che richiede due o tre operazioni distinte, collocarla unoperazione particolare, cos come pulire gli spilli e il disporli
dentro la carta.
Smith annota che una decina di uomini specializzati in una sola delle operazioni descritte
era in grado di produrre quasi 5.000 spilli al giorno. Se ciascuno di essi avesse dovuto svolgere tutte le operazioni necessarie in modo separato e indipendente, la produzione individuale avrebbe a stento raggiunto i 20 spilli al giorno, per un totale massimo di 200 spilli.
Una bella differenza con i 5.000 spilli producibili con la stessa manodopera, ma con la parcellizzazione del lavoro.

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2. Organizzazione e crescita 21
Pi
esperienza
e standardizzazione

Frustrazione
e alienazione

I rischi
delliperspecializzazione

Come mai la specializzazione orizzontale nella fabbrica di spilli ha


prodotto un cos forte aumento di produttivit? Vi sono diverse ragioni. Anzitutto la migliore abilit che loperatore consegue focalizzandosi su una sola operazione. La limitatezza e la ripetitivit dei
compiti favoriscono i processi di apprendimento locali. Gli operatori
specializzati cumulano un maggiore volume per le loro singole operazioni e per questa via maturano esperienza pi rapidamente, imparano a evitare gli errori e inoltre non perdono tempo nel passaggio
da unoperazione allaltra minimizzando i costi di attrezzaggio
(setup). Infine, la specializzazione orizzontale rende possibile il miglioramento dei metodi di lavoro e la standardizzazione dei processi
e pone le premesse per lautomazione delle operazioni, ovvero per la
sostituzione dellattivit manuale con quella svolta dalle macchine.
Infine, poich lelevata specializzazione orizzontale comporta compiti limitati e ripetitivi, essa richiede minori capacit e competenze, e
minore necessit di addestramento. Pertanto presumibile che un
processo altamente specializzato richieda forza lavoro meno qualificata e dunque meno costosa. Tuttavia, lelevata frammentazione delle mansioni fa perdere visibilit sui processi aziendali complessivi e
richiede la presenza di supervisori e coordinatori. Concentrare la capacit decisionale su un numero ridotto di persone riduce il fabbisogno di risorse umane pregiate (e costose) e dunque risponde anche
a un criterio di economicit dellorganizzazione. Si intuisce come la
specializzazione orizzontale e quella verticale, sebbene distinte, spesso si accompagnino e rinforzino i loro effetti.
Occorre per tenere presenti alcuni effetti negativi della specializzazione del lavoro. Leccessiva frammentazione dei compiti pu portare a quello che stato definito loperaio robotico, un lavoratore la
cui mansione cos limitata e ripetitiva da indurre demotivazione e
addirittura lalienazione. Tempi moderni di Charlie Chaplin ha reso
popolare e immortale la condizione delloperaio robotico, un ingranaggio nella macchina infernale della produzione organizzata scientificamente. E proprio in quel periodo, negli anni tra le due guerre,
diversi autori ad esempio Mayo documentarono la frustrazione,
lapatia, la depressione, lalienazione e persino lostilit dei lavoratori ultraspecializzati delle grandi fabbriche americane. Nel secondo
dopoguerra si poi progressivamente affermato un vasto movimento
in favore di una pi elevata qualit della vita lavorativa (quality of
working life) e in generale, molti hanno ravvisato che la specializzazione del lavoro si spinta spesso oltre i livelli richiesti dalla ricerca di
efficienza. Ma vi di pi. Infatti le istanze per uninversione di rotta
rispetto allestrema frammentazione dei compiti acquistarono maggiore concretezza allorch il management cominci a percepire chiaramente che lalienazione dei lavoratori poteva costituire una seria
minaccia alla produttivit. emersa cos lidea dellallargamento delle mansioni job enlargement ovvero di una riduzione della specializzazione orizzontale, e anche di un loro arricchimento job enrichment
attraverso un aumento dellautonomia e dunque con una riduzione della specializzazione verticale. Peraltro, esistono evidenze contrastanti sul fatto che i lavoratori preferiscano sempre e comunque com-

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22 PARTE I ORGANIZZAZIONE

piti pi ampi e meno ripetitivi. Sui fattori motivanti e lampiezza dei


compiti torneremo con maggior dettaglio nel capitolo 4.
In conclusione la specializzazione orizzontale del lavoro stata storicamente ampiamente perseguita allo scopo di aumentare lefficienza
attraverso uno o pi dei seguenti vantaggi:

maggiori economie di apprendimento;


minori costi di attrezzaggio;
maggiore standardizzazione e possibilit di automazione;
minor costo del lavoro.

Daltra parte sono ormai evidenti non solo gli effetti negativi delleccessiva specializzazione sullo stato psicologico dei lavoratori ma anche quelli sullefficienza complessiva dei processi aziendali.

2.4

I meccanismi di coordinamento
Al crescere della specializzazione, sia orizzontale sia verticale, il problema del coordinamento diviene pi pressante. Anche qui il caso
Bodin ci offre diversi spunti. In particolare ci consente di mettere a
fuoco i cinque meccanismi di base individuati da Mintzberg (1983)
attraverso i quali pu avvenire il coordinamento.

2.4.1

Risolvere
problemi
informalmente

Ladattamento reciproco
Nella fase pionieristica durante la quale si sviluppa lidea imprenditoriale i problemi organizzativi sono trascurabili. Il lavoro poco specializzato, lo stesso Edmondo Bodin interviene nellattivit operativa.
Il coordinamento del tutto informale, ma comunque efficace. Possiamo dire che ladattamento reciproco il primo e pi immediato
meccanismo di coordinamento. Gli operatori si accordano direttamente ogni volta che emerge un problema e modificano operazioni
e comportamenti per far s che il risultato finale del processo sia garantito. Le modalit sono innumerevoli: parlarsi direttamente per risolvere un imprevisto, convocare una riunione con tutti gli interessati per risolvere un problema, ma anche cogliere loccasione incontrando casualmente un collega ( leffetto coffee machine).
In questo senso ladattamento reciproco un meccanismo di coordinamento ex post, poich interviene dopo che un problema si presentato e ogniqualvolta compare. Esso non richiede dunque particolari sforzi di progettazione. Inoltre, con ladattamento reciproco il
controllo del lavoro e la discrezionalit restano nelle mani degli operatori. Ladattamento reciproco il meccanismo dominante nelle
piccole organizzazioni. Tuttavia, anche in organizzazioni complesse
e con elevati livelli di specializzazione, pur in presenza di altri meccanismi di coordinamento, esso gioca un ruolo fondamentale, soprattutto in presenza di incertezza e ambiguit.

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2. Organizzazione e crescita 23

Consideriamo lo sviluppo di una nuova versione di Windows da parte


di Microsoft. Si tratta di una situazione organizzativa ad alta complessit con il concorso di un numero enorme di persone distribuite in
varie parti del mondo nei ruoli di progettazione, di sviluppo e di test
del software. Vi una estrema specializzazione del lavoro e per garantire il risultato occorre fare ricorso a svariati meccanismi di coordinamento formali dei quali diremo fra breve. Nonostante lesperienza accumulata dai tecnici e da Microsoft come organizzazione
complessa, allinizio del processo nessuno ha la certezza assoluta di
come devono essere svolte le attivit. La conoscenza si accumula a
mano a mano che il processo avanza, anche attraverso tentativi che
poi si rivelano fallimentari. A fronte degli inevitabili problemi che
sorgono quando si testano i prototipi dei vari moduli, e quando si
assemblano i moduli stessi e si verifica lintero pacchetto nelle pi
svariate situazioni di uso, solo attraverso ladattamento reciproco
che i tecnici possono arrivare a un risultato stabile e soddisfacente.

2.4.2

Il mestiere
di capo

La supervisione diretta
Torniamo al caso Bodin. La fase di crescita degli anni Sessanta vede
un allargamento dellorganico. Con esso appare una prima specializzazione dei compiti. Il Bodin si dedica prevalentemente allattivit
commerciale, mentre una dipendente esperta si occupa di istruire le
lavoranti e di coordinarne il lavoro del laboratorio anche se a quellepoca la disorganizzazione era notevole e il blocco dellattivit frequente. La scarsa specializzazione, anche in una piccola struttura,
crea problemi. In questa fase lorganizzazione della Bodin non si basa pi solamente sulladattamento reciproco. Appare un secondo
meccanismo: la supervisione diretta. Una persona assume formalmente il ruolo di capo, e dunque la responsabilit del lavoro degli altri, decidendo di volta in volta che cosa essi devono fare e controllando gli esiti del loro lavoro. Questa la situazione della dipendente
anziana nel momento in cui lorganico del laboratorio cresce a 6
unit. La supervisione diretta non sostituisce ladattamento reciproco ma lo integra a un livello superiore. Interviene solo per i problemi
pi gravi oppure per anticipare e fissare a grandi linee chi fa che cosa. Una squadra di incursori che si addentra in territorio nemico
agli ordini di un comandante che decide di volta in volta che cosa
devono fare i suoi uomini, chi mandare avanti e a fare che cosa
un altro esempio di supervisione diretta che si innesta in un contesto
di adattamento reciproco, rappresentato ad esempio dal fatto che gli
incursori si coprono a vicenda e si coordinano informalmente. La supervisione diretta incontra un limite nel numero di persone che possono essere efficacemente coordinate da un solo capo. Il numero di
subordinati per capo pu anche essere molto variabile, ma non pu
crescere troppo, altrimenti il coordinamento fallisce, lasciando gli
operatori abbandonati a se stessi. il problema noto con il termine
di span of control, che verr ripreso nel capitolo 5. Cos come ladatta-

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24 PARTE I ORGANIZZAZIONE

mento reciproco, anche la supervisione diretta un meccanismo ex


post perch interviene contestualmente al problema o quando questo si gi manifestato in una situazione precisa.

2.4.3

Prevenire
i problemi

Progettare
il come

La standardizzazione dei processi


Con la crescita dimensionale adattamento reciproco e supervisione
diretta non bastano pi. Alla Bodin, nei tardi anni Sessanta la specializzazione del lavoro procede in modo pi spinto. Il laboratorio, che
ormai diventato una fabbrica, viene riorganizzato completamente,
creando reparti specializzati, ovvero aree nelle quali i lavoratori svolgono in modo ripetitivo un insieme ristretto di attivit, ad esempio la
tessitura, senza essere coinvolti nelle altre attivit del processo a monte, lorditura, e a valle, il taglio e il confezionamento. Loperaio in
tessitura deve far funzionare e controllare i telai e nulla gli chiesto
sulle altre fasi del processo e, al limite, nulla gli dato sapere. La specializzazione procede inarrestabile non solo in produzione, ma anche nelle attivit di progettazione, con lintroduzione dei disegnatori
e dei cartonisti che svolgono mansioni differenti. La supervisione
non pi sufficiente a garantire il coordinamento che viene invece
pensato a tavolino, progettato ex ante. I manuali di lavoro della Bodin
ne sono un esempio. Con laiuto esterno di consulenti e di analisti
del lavoro nel caso della Bodin i fornitori di macchinari il lavoro
viene suddiviso, progettato e normato a priori. Se la progettazione organizzativa accurata, il coordinamento garantito gi sulla carta e
il singolo lavoratore non deve preoccuparsene, deve solo eseguire
delle istruzioni, seguire delle procedure. Se le operazioni di orditura vengono eseguite correttamente, in modo conforme al manuale,
lordito sar pronto per la tessitura dellaltezza e lunghezza corrette, del filato del colore e del titolo voluti ecc. e questa potr procedere senza intoppi e senza che i lavoratori debbano interagire. La
standardizzazione dei processi dunque un potente meccanismo di
coordinamento. Essa previene i problemi, cerca di evitarli o di ridurli
al minimo. Fatta per stabilizzare il processo, la procedura standard
pu, entro limiti ristretti, gestire le variazioni in qualche modo prevedibili. Se il problema del tutto nuovo e dunque non previsto occorre per forza tornare alla supervisione diretta o alladattamento reciproco. Dunque, la standardizzazione dei processi incontra seri limiti
di applicazione nei contesti turbolenti, nei quali difficile o impossibile prevedere in anticipo le condizioni operative di svolgimento del
lavoro, come avviene in tutte le attivit innovative, ad esempio nello
sviluppo di nuovi prodotti, servizi e tecnologie o nelle fasi iniziali di
un nuovo business.
Consideriamo il caso McDonalds. un esempio di estrema standardizzazione dei processi di lavoro in un settore di servizio, la ristorazione fast food. Le norme prescrivono in modo rigido agli addetti come si prepara un hamburger; il processo prevede una forte specializzazione perch anche la semplice preparazione di un hamburger

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2. Organizzazione e crescita 25

coinvolge diversi operatori: chi taglia il pane, chi cuoce la carne (che
viene consegnata a ogni fast food locale gi preparata in dosi standard), chi frigge le cipolle, chi prepara insalata e pomodori, chi assembla il tutto e lo confeziona nel vassoietto di polistirolo. Il processo per cos dire industrializzato e replicato in migliaia di locali in
tutto il mondo, secondo un modello che adatta la catena di montaggio industriale a un settore di servizio come quello della ristorazione.
Il layout, ovvero la disposizione fisica degli addetti e delle attrezzature nella cucina, accuratamente studiato per massimizzare lefficienza e minimizzare i tempi morti e gli spostamenti, proprio come avviene nella progettazione delle fabbriche. Addirittura si utilizzano tecnologie di trasferimento automatico del materiale quali convogliatori e nastri trasportatori. La procedura prescrive anche come gestire i
piccoli imprevisti, ad esempio la mancanza di ingredienti. Naturalmente imprevisti maggiori, ad esempio le pesanti lamentele di un
cliente o un serio incidente sul lavoro di uno dei cuochi, possono essere gestiti solo attraverso la supervisione diretta del responsabile capo del locale. La standardizzazione dei processi tende a ridurre il
fabbisogno di supervisione diretta e di adattamento reciproco, anticipando i problemi di coordinamento.
Standardizzare significa agire in anticipo per stabilizzare e uniformare. Il principio non si applica solo al come fare standardizzazione
dei processi ma anche al che cosa fare standardizzazione dei risultati o degli output e al con quale conoscenza agire standardizzazione delle competenze.

2.4.4

Progettare il
che cosa

La standardizzazione dei risultati


Il caso Bodin offre altri spunti di analisi dei meccanismi di coordinamento. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, lazienda si rende conto di dover cominciare seriamente a programmare le proprie attivit,
perch la sua capacit di rispondere per tempo ai clienti si sta deteriorando. Partendo dalle esigenze di consegna dei prodotti finiti ai clienti, si deve pianificare la produzione su base settimanale, allocando correttamente la capacit produttiva e arrivando a determinare i fabbisogni aggregati di materie prime e manodopera. Una risorsa specializzata viene dedicata a questo compito. Il normale processo di budgeting e
pianificazione , dal punto di vista organizzativo, un potente meccanismo di coordinamento: infatti ai responsabili dei vari reparti viene specificato il risultato che devono produrre in quantit e tipologia senza specificare come produrlo. In questo senso si parla di standardizzazione dei risultati e non dei processi. Il coordinamento garantito dal
fatto che, poich il risultato di un reparto a monte serve da input per
un reparto a valle, se esso viene assicurato (indipendentemente dal come), allora il reparto a valle potr operare correttamente e produrre a
sua volta il risultato richiesto. Anche questo meccanismo di coordinamento agisce a priori, come ogni forma di standardizzazione.
Negli anni Ottanta la Bodin introduce una significativa diversificazio-

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26 PARTE I ORGANIZZAZIONE

ne nella gamma dei prodotti, per seguire le esigenze del mercato.


Emerge allora una nuova forma di specializzazione non pi limitata alle fasi di un unico processo, ma che si applica a insiemi di processi. La
produzione e la progettazione delle etichette standard e di quelle multicolor vengono separate. Le risorse vengono specializzate non solo
sulla fase (attivit) del processo, ma anche dedicate in modo esclusivo
a un determinato processo con un certo tipo di output, in questo caso
prodotti differenti. in atto un processo di divisionalizzazione, ovvero di introduzione di strutture organizzative semi-indipendenti le divisioni dotate di mezzi tecnologici e risorse umane dedicate alloutput specifico. Torneremo su questo tema successivamente, nel capitolo
4, quando affronteremo le strutture organizzative di base. In questa fase la standardizzazione dei risultati si rinforza ulteriormente: occorre
pianificare in modo aggregato la produzione sulle due linee e aggregare i fabbisogni di filati per ottenere condizioni di acquisto pi favorevoli dai fornitori. Per gli operatori la standardizzazione dei risultati meno vincolante di quella dei processi. Lascia maggiore libert di azione,
poich ci che viene prefissato il risultato e non il modo in cui lo si
raggiunge. Con questa forma di standardizzazione, esecuzione e controllo non sono pi necessariamente separati e dunque il livello di specializzazione verticale tende a essere pi contenuto.

2.4.5

Fornire
il know-how
necessario

Il ruolo
della
formazione

La standardizzazione delle competenze


Il quinto e ultimo meccanismo di coordinamento la standardizzazione delle competenze. Essa consiste nellassicurarsi che gli operatori siano in grado di svolgere i compiti assegnati e di interagire tra loro sulla
base di competenze che hanno acquisito in precedenza. Come le altre
forme di standardizzazione, anche questa un meccanismo a priori.
Pensiamo a una sala operatoria di un grande ospedale dove unquipe
di chirurghi sta effettuando unoperazione difficile per la quale esiste
un protocollo standard (standardizzazione dei processi). Tuttavia, a
fronte di una complicazione improvvisa che mette a rischio la vita del
paziente, nessun manuale, nessuna regola pu risolvere il problema.
Anche la standardizzazione dei risultati scarsamente applicabile, perch difficile o impossibile determinare a priori quale deve essere il risultato. Daltra parte ladattamento reciproco da solo non basta e nemmeno la supervisione diretta. Occorre che le persone abbiano le competenze per agire e per interagire tra loro. Gli operatori hanno seguito
lunghi processi di formazione e addestramento. Hanno conseguito
una laurea in medicina e chirurgia e una specializzazione. Da studenti
hanno assistito diverse volte a interventi simili. Successivamente li hanno praticati decine o centinaia di volte, esponendosi a una vasta casistica e a innumerevoli imprevisti. probabile che oltre alla laurea abbiano seguito ulteriori corsi di aggiornamento. Tutto ci fa s che abbiano
delle competenze certificate a priori che dovrebbero metterli in grado
di agire e di coordinarsi tra loro in caso di necessit. Quando lospedale li ha assunti, lo ha fatto sulla base di competenze costruite in prece-

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2. Organizzazione e crescita 27

denza da qualcun altro, ad esempio luniversit, e certificate. La formazione lo strumento essenziale per la standardizzazione delle competenze, sia quella tradizionale, costituita dallistruzione universitaria
e dai corsi di formazione professionale, sia quella che gli individui possono acquisire successivamente attraverso la formazione aziendale o i
corsi di aggiornamento.
Anche nel caso Bodin possiamo rintracciare varie forme di standardizzazione delle competenze: quando vengono assunti i due diplomati dallistituto tecnico, rispettivamente per il ruolo di disegnatore
e per quello di cartonista, Bodin si aspetta che i giovani conoscano
gi il mestiere, grazie alla formazione che hanno ricevuto, e siano
perci in grado di coordinarsi pi facilmente nel processo di industrializzazione delle etichette. Quando egli assume un altro diplomato dal medesimo istituto per la manutenzione e la supervisione tecnica delle macchine tessili, si aspetta che ne risulti agevolato il coordinamento con la dipendente pi anziana in qualit di responsabile
della produzione. Ancora, quando viene selezionato il tecnico programmatore, Bodin si aspetta implicitamente che il coordinamento
tra i vari reparti derivante dalla standardizzazione dei risultati sia raggiungibile grazie alle competenze (standardizzate) del programmatore. Pi in generale quando le imprese ricercano e assumono personale con curricula precisi e in possesso di titoli di studio e di specializzazione specifici ingegneri progettisti, revisori dei conti, diplomati con un MBA (Master of Business Administration), legali ecc. stan-

Figura 2.4

LA CICLICIT DEI MECCANISMI DI COORDINAMENTO


Specializzazione
verticale e orizzontale

1. Mutuo
adattamento

2. Supervisione
diretta

Complessit
e dimensione
5. Competenze
standard

3. Compiti
standard

Turbolenza
4. Risultati
standard

Incertezza
Ince
rtezz a
e diversificazione

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28 PARTE I ORGANIZZAZIONE

Incertezza
crescente

2.5

no implicitamente assicurandosi un miglior coordinamento grazie


alla standardizzazione delle competenze.
Sebbene concettualmente distinti, i cinque meccanismi operano spesso contemporaneamente. Le organizzazioni di una certa dimensione
li utilizzano tutti, anche se le caratteristiche dellambiente competitivo e delle tecnologie spingono il management ad adottare maggiormente alcuni meccanismi piuttosto che altri (torneremo su questo
punto nel capitolo 6).
Mentre la standardizzazione dei processi e, in parte, quella dei risultati mirano a ridurre il fabbisogno di adattamento reciproco e di supervisione diretta, la standardizzazione delle competenze mira a rendere ladattamento e la supervisione pi efficaci, meno dispersivi o
meno onerosi. Guardiamo pi da vicino alle tre forme di standardizzazione: quella dei processi di lavoro, come si detto, restringe la discrezionalit degli operatori e si adatta a situazioni ripetitive, certe e
stabili nel tempo. Al crescere dellincertezza e della variet emerge la
standardizzazione dei risultati che rinuncia a prescrivere come fare, e
si limita a specificare il risultato, lasciando agli operatori maggiori
spazi di autonomia sul come realizzare il lavoro. Quando lincertezza
ancora maggiore risulta difficile persino specificare il risultato; ci si
affida dunque alle competenze degli operatori che sono state costruite e verificate in precedenza, nella speranza che questo produca
un risultato accettabile.
Esiste dunque una sorta di ciclicit dei meccanismi che a partire dal
pi semplice, ladattamento reciproco, al crescere di dimensione,
complessit e incertezza, vedono laffiancamento della supervisione
diretta e poi delle tre forme di standardizzazione, fino a quella delle
competenze, che paradossalmente, per funzionare, richiede nuovamente adattamento reciproco. La Figura 2.4 illustra questa ciclicit.

I costi della specializzazione e del coordinamento


Specializzazione e coordinamento implicano vantaggi, ma anche costi. Dallanalisi dei costi possono venire utili indicazioni per capire fino a che punto spingersi nella specializzazione orizzontale e verticale. Consideriamo dapprima i costi di esecuzione complessivi di un
processo generico, intesi come la somma dei costi di esecuzione delle
singole attivit. Landamento dei costi di esecuzione in funzione della specializzazione orizzontale del lavoro rappresentato nella Figura
2.5a). Esso decrescente fino a una soglia di alienazione oltre la quale non si conseguono ulteriori riduzioni di costo e anzi si manifestano perdite di efficienza.
A fronte di tali riduzioni di costo, la specializzazione orizzontale del lavoro implica anche costi di coordinamento aggiuntivi. Ancora una volta il caso Bodin ci viene in aiuto. Come abbiamo visto, i primi meccanismi che compaiono sono ladattamento reciproco e la supervisione diretta. Nessuno dei due per senza costi. Ladattamento reciproco
comporta linterruzione frequente dellattivit con ovvie perdite di

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2. Organizzazione e crescita 29

Figura 2.5

COSTI DI ESECUZIONE E COSTI DI COORDINAMENTO

Costi di
esecuzione

a)

Soglia dellalienazione

Costi di
coordinamento

Specializzazione
orizzontale

b)

Standardizzazione

Specializzazione
orizzontale

Costi totali
del processo

c)

Costo
minimo

Livello di
specializzazione
ottimale

Specializzazione
orizzontale

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30 PARTE I ORGANIZZAZIONE

La piramide
gerarchica

produttivit. La supervisione diretta implica linserimento delle figure


dei capi che intervengono per prevenire e gestire i problemi di coordinamento. Considerando che un capo non pu controllare un numero eccessivo di persone subordinate, pi il lavoro viene suddiviso,
pi occorrono capi e, anzi, oltre un certo limite sono necessari capi
di capi per coordinare tra loro le attivit dei capi intermedi (middle
management). Si forma cos una struttura gerarchica piramidale a pi
livelli. Allaumentare della specializzazione del lavoro, la gerarchia
tende a proliferare in modo esponenziale e con essa i costi di coordinamento. Come abbiamo visto, i meccanismi di standardizzazione intervengono quando adattamento reciproco e supervisione diretta
non bastano pi. Da un punto di vista economico si potrebbe dire che
quando la gerarchia diviene troppo costosa diventa conveniente ricorrere alle varie forme di standardizzazione per ridurre il fabbisogno, e
dunque i costi, del coordinamento ex post. La Figura 2.5b) rappresenta
landamento dei costi di coordinamento in funzione della specializzazione orizzontale del lavoro.
In sintesi, possibile concludere che per un determinato processo
aziendale sia esso industriale (di trasformazione fisica), di distribuzione o di produzione ed erogazione di servizi,
allaumentare del grado di specializzazione orizzontale
diminuiscono i costi di esecuzione

per effetto di uno o pi dei quattro fattori citati in precedenza (economie di apprendimento, bassi costi di setup, maggiore standardizzazione e automazione, minor costo del lavoro). Viceversa,
allaumentare del grado di specializzazione orizzontale
aumentano i costi di coordinamento

per effetto di un maggior ricorso ai cinque meccanismi di base. Certamente il ricorso alla standardizzazione aiuta a mantenere limitati i
costi di coordinamento, ma non li elimina, come evidenziato nella Figura 2.5b. La Figura 2.5c sintetizza landamento dei costi totali di un
processo, dati dalla somma dei costi di esecuzione e di quelli di coordinamento: si tratta di una funzione con andamento a U. Esiste pertanto un livello di specializzazione orizzontale ottimale in corrispondenza del quale si hanno i minimi costi totali del processo. In generale tale livello ottimale non il massimo possibile, ed inferiore alla
soglia dellalienazione. Questo livello inoltre varia da caso a caso e
dipende da fattori quali la complessit dei compiti, la tecnologia e il
livello di automazione, le competenze degli operatori ecc. Molte imprese sovrastimano i benefici della specializzazione e sottostimano i
costi di coordinamento, di fatto specializzando eccessivamente il lavoro con effetti dannosi non solo sul benessere psico-fisico dei lavoratori, ma anche sulla produttivit.

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2. Organizzazione e crescita 31

2.6
Raggruppamento
e unit
organizzative

Individui,
strutture
e attivit

Progettare lorganizzazione: microstruttura,


macrostruttura e processi aziendali
Nei processi di crescita le organizzazioni tendono da un lato a suddividere il lavoro tra i loro membri e dallaltro a raggrupparli in unit
organizzative relativamente autonome e governate da un responsabile (il capo) al quale riportano tutti i membri dellunit. Lunit organizzativa lambito di esercizio dellautorit formale e dunque della
supervisione diretta come meccanismo di coordinamento. Nelle organizzazioni di una certa dimensione le decisioni e i processi aziendali per realizzare i servizi e i prodotti richiedono il concorso di unit
organizzative differenti. Il problema del coordinamento riguarda
dunque anche la macrostruttura. Occorre infatti far s che vi sia coordinamento tra le diverse unit e non solo tra gli individui allinterno
delle unit.
Assumiamo ora la prospettiva manageriale introdotta nel capitolo 1,
secondo la quale lorganizzazione un sistema sociale che pu essere
determinato almeno in parte dalle scelte dei manager. La progettazione organizzativa riguarda allora tre ambiti distinti, seppur fortemente interconnessi: la microstruttura, la macrostruttura e i processi
aziendali.
La microstruttura riguarda il complesso di scelte per determinare il
livello di specializzazione orizzontale e verticale delle mansioni individuali, per formalizzare in modo pi o meno dettagliato i compiti
che ciascuno deve svolgere, per individuare, infine, i meccanismi di
coordinamento necessari o pi efficaci tra le persone; la progettazione microstrutturale si incrocia con quella che pi propriamente
prende il nome di gestione delle risorse umane che prevede ad esempio la definizione dei meccanismi di ricompensa e di incentivo dei
singoli, lidentificazione dei percorsi di crescita e di sviluppo.
La macrostruttura linsieme di unit organizzative frutto del raggruppamento delle posizioni individuali; si tratta cio di scomporre
lorganizzazione in parti dotate di un certo grado di autonomia e sottoposte allautorit di un singolo individuo (il capo dellunit); per
ogni unit occorre determinare la dimensione (il numero di individui che ne fanno parte), il profilo di competenze dei membri, i confini e il raggio di azione (obiettivi e responsabilit), le eventuali sottounit contenute, e i meccanismi di coordinamento con le altre
unit che formano lorganizzazione complessiva.
Progettare la macrostruttura significa anzitutto individuare i criteri
di raggruppamento secondo i quali effettuare le aggregazioni degli
individui e pervenire in tal modo a una suddivisione del lavoro tra le
unit stesse. Si pensi ancora allesempio proposto in precedenza di
una tipica impresa industriale in cui le principali attivit (progettare,
vendere, produrre, acquistare) sono delegate ad altrettante funzioni,
che sono unit organizzative dotate di autonomia e finalit propria,
le quali eventualmente possono contenere unit di livello inferiore,
specializzate su un insieme di compiti pi ristretto. Il caso Bodin ci
ha illustrato una situazione simile: la funzione produzione che rag-

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32 PARTE I ORGANIZZAZIONE

gruppava tutte le risorse dedicate alla trasformazione fisica (e non includeva ad esempio quelle dedicate alla vendita) fu a sua volta suddivisa in reparti autonomi specializzati su alcune fasi del processo di
trasformazione (lorditura, la tessitura, il taglio e la piega, il confezionamento). Successivamente furono create nuove aggregazioni, le linee di produzione dedicate alle due tipologie di prodotto, utilizzando un criterio differente, non pi il tipo di tecnologia/operazione,
bens il tipo di prodotto realizzato.
Cos come il mansionario descrive la microstruttura, la macrostruttura nel suo complesso descritta formalmente dallorganigramma,
una rappresentazione delle unit organizzative che ne identifica la
dimensione, il responsabile e la collocazione nellorganizzazione, ovvero lunit di livello superiore della quale ogni singola unit fa parte
e le sue eventuali sottounit.
Infine, la dimensione pi avanzata della progettazione organizzativa
riguarda i processi aziendali, ovvero gli insiemi organizzati di attivit
e di decisioni, finalizzati alla realizzazione di output (prodotti, servizi, informazioni) effettivamente richiesti dai clienti (o dagli utenti) e
ai quali questi attribuiscono un valore ben definito. Il tema dei processi rilevante perch una buona progettazione degli aspetti strutturali (micro e macro) non garantisce da sola il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Le organizzazioni hanno bisogno di decisioni e
azioni, i processi appunto, che siano rapidi, efficaci e riconfigurabili
in risposta alle esigenze del mercato. Sia che si tratti di processi produttivi, amministrativi, o di innovazione occorre guardare allorganizzazione nel suo funzionamento reale e quotidiano come macchina che produce output di valore al di l dei mansionari e degli organigrammi. In senso lato la progettazione dei processi aziendali ha ancora a che fare con il coordinamento. Negli ultimi decenni lo sviluppo delle tecnologie informatiche e di comunicazione ha schiuso
grandi opportunit per riprogettare i processi aziendali e migliorarne lefficienza.
I prossimi capitoli affrontano in dettaglio questi temi. In particolare
il capitolo 3 approfondisce il ruolo degli individui nellorganizzazione
e dunque la microstruttura; il capitolo 4 analizza i criteri di raggruppamento della macrostruttura e le principali configurazioni che ne
derivano; il capitolo 5 affronta il tema pi avanzato della progettazione e gestione dei processi aziendali.

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