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L’EDUCAZIONE COME RISORSA SOCIALE

Appunti della lezione del 6 luglio 2002 al Master


“Sviluppo Locale e Qualità Sociale”
Università degli Studi di Milano Bicocca
Facoltà di Sociologia
Cesare Moreno insegnante elementare coordinatore di un modulo del
Progetto Chance di Napoli
Risolvere problemi sociali o promuovere legami sociali?
C’è un percorso che ha portato chi ha continuato per anni ad
occuparsi della dispersione scolastica, a proporsi obiettivi di
generalizzazione crescente: dalla lotta alla dispersione scolastica
alla promozione del successo formativo, alla lotta all’esclusione
sociale, alla promozione dell’inclusione, alla promozione di cittadi-
nanza giovanile. Un raro momento di raccoglimento a
CHANCE: la lettura di un fatto di
Se questi cambiamen-
cronaca locale.
ti non sono solo nomi-
nali significa che sia-
mo passati da un’in-
terpretazione
puntiforme e patologi-
ca dei problemi ad
un’interpretazione
sistemica, generale e
propositiva. Il modo
inadeguato in cui una società si occupa delle giovani generazioni è
all’origine di una molteplicità di problemi che riguardano tutti i gio-
vani essendo l’appartenenza sociale in grado di determinare il grado
del disagio ma non la sua qualità.

Se la scuola sia un momento di promozioe della


cittadinanza e dei diritti o un momento di in-
quadramento sociale si intuisce già dal modo di
disporsi.

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Il motivo di questa evoluzione di concetti sta in una domanda che dovrebbe riguardare in genere gli interventi
sociali: quali sono le energie di legame in gioco? Se c’è una emergenza sociale come questa è legata alla vita di
ciascuno di noi? Quando parliamo di sociale non possiamo pensare che il problema riguarda l’altro, quasi che si
tratti di un malanno fisico, dobbiamo pensare che la cosa ci riguarda e che c’è qualcosa che riguarda la nostra
comune umanità che si trova in sofferenza.
I ragazzi che abbandonano la scuola non trovano adeguata accoglienza di qualche loro parte vitale. E questo
riguarda tutti, e sappiamo anche, attraverso esperienze familiari e personali, che esiste un disagio diffuso riguardo
alla scuola anche se solo in relativamente pochi casi questo disagio si manifesta in forme socialmente allarmanti.
Nel parlare dell’educazione come risorsa sociale lo facciamo quindi in relazione alla definizione, progettazione
realizzazione di interventi di promozione di cittadinanza giovanile
Cos’é sociale
Riparto quindi dalla definizione di sociale chiedendo cosa merita l’attributo sociale.
Sociale è un aggettivo qualificativo , attributo di una sostanza altra o è esso stesso sostanza e attività?
Definisco sociale è ciò che produce socialità, servono quindi verbi e sostantivi e non solo aggettivi.
Uso il sostantivo “Sociazione”. Sociativo è ciò che attiene ad un processo di sociazione. Sociare è il verbo che ci
servirebbe.
Sociazione è affine a speciazione: se speciazione è il processo di differenziazione che porta alla nascita di nuove
specie, sociazione dovrebbe essere il processo evolutivo che porta allo sviluppo di nuove forme sociali.
Nella speciazione processi di adattamento ambientale possono trasformarsi in differenze morfologiche significa-
tive, in comportamenti differenziati ed infine in trasformazioni stabili. La stabilizzazione della differenza avviene
quando una sottospecie non riconosce più i segnali comunicativi dell’altra. Forse dobbiamo stare attenti proprio a
questo e cioè che nuove formazioni sociali non chiudano i canali comunicativi con la società che le ha generate,
che una nuova organizzazione sociale sappia conservare attraverso la cultura la memoria delle sue forme origina-
rie.
Definisco quindi il processo di sociazione come un processo evolutivo di trasformazione delle relazioni umane.
Evolutivo perché c’è trasformazione nella crescita, perché i cambiamenti si stabilizzano in relazioni diverse.
Questa trasformazione si ripete in ogni generazione. Uno dei cardini è l’eterna trasformazione dalla fratrìa al
demos, dal legame di sangue al legame con il popolo. Questo legame venne definito nelle leggi per la prima volta
da Solone che stabilì a base del sistema elettorale il demos, che è poplo,
ma anche ‘sezione’, diremmo oggi “sezione elettorale”. In forma più
generale e astratta potremmo dire che la questione centrale è la
ptrasformazione dei modi dell’appartenenenza. Si tratta di una di quelle
trasformazioni che comportano la ristrutturazione dello scenario e non
solo un cambio all’interno di uno scenario dato. Non è trasformazione
dentro la stessa specie di rapporti, ma trasformazione da una specie al-
l’altra.
Eterna trasformazione perché radicata nella natura umana, nel processo
biologico che porta dalla dipendenza fisica dalla cura parentale alla ca-
pacità di badare a se stessi, alla capacità di collaborare con altri adulti
della specie. Nell’ansia di liberarsi delle origini naturali l’onnipotenza
di alcuni si è spinta fino alla nascita in provetta, tuttavia – al momento –
non sembra ancora potersi realizzare il sogno di nascere già adulti e mag-
giorenni, il problema della crescita è destinato ad essere al centro ancor
per molto.
La trasformazione delle relazioni dalla dipendenza alla indipendenza si
integra con lo sviluppo delle funzioni simboliche e le attività mentali: le
relazioni funzionali ed utilitarie evolvono in gesti simbolici. Molte tra- La posizione dell’apprendere:
sformazioni ruotano proprio intorno alla alimentazione: il seno da fonte essere nutriti e protetti consente
di nutrimento diventa fonte di rassicurazione; appoggiare la testa sul di rivolgere lo sguardo lontano,
petto di qualcuno diventa un modo di rievocare quel rapporto di prote- anche verso realtà preoccupanti.
zione. I legami da agiti diventano rappresentati e quindi più larghi ed
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estesi, così come più larga ed estesa diventa la capacità di collabora-
zione con gli altri.
La capacità di rappresentare e rappresentarsi, di legarsi nella mente e
non solo nei rapporti biologicamnete determinati è indissolubilmen-
te legato al processo di sociazione è il valore aggiunto specifico del-
l’agire sociale e della comunicazione: in origine ogni mezzo intellet-
tuale è apprestato per l’altro, afferma Vigotsky uno dei padri della
pedagogia attenta ai processi sociali. La capacità di rappresentare è
al tempo stesso lo strumento di ulteriore crescita sociale, consente il
“fissaggio” e sviluppi successivi. Educazione e sociazione sono due
movimenti dello stesso processo. E vorrei aggiungere che l’educa-
zione scolastica, quella che trasforma le acquisizioni di cultura an-
tropologica in specifiche discipline di pensiero, in concetti e parole
specializzate, ha un ruolo ineliminabile e senza di essa il processo civile rimane monco, si riducono le possibilità
di partecipazione ad una realtà che non è più raggiungibile solo attraverso l’esperire pratico ma lo è soprattutto
attraverso l’esperimento di pensiero. Ecco perché senza istruzione scolastica c’è una diminuzione della vita civile
di tutti, una perdita di partecipazione che ci costringe a una divisione di specie, a scavare fossati che rischiano di
dividere gli uomini da i non uomini e ci costringono a una perenne guerra di difesa. La pace si costruisce costruen-
do e mantenendo legami, sentendo vicino anche chi è fisicamente lontano. Se nell’Europa moderna abbiamo
potuto vedere troppe volte l’orrore della guerra di sterminio è perché per lungo tempo si sono scavati fossati. Se
nello sterminio gli emarginati e gli esclusi della cultura emergono come specialisti in macelleria è perché sono
stati a lungo sospinti fuori dell’umano, se la cultura viene vissuta con odio è perché la cultura non ha saputo
costruire legami. L’esclusione sociale è una colpa collettiva di una intera civiltà di una intera cultura e mai solo un
problema socio-economico.

Una prima regola nello sviluppo e nella valutazione della qualità di un


processo di produzione sociale dovrebbe essere proprio questo: le rap-
presentazioni e le autorappresentazioni degli attori dei processi, dal co-
siddetto utente al dirigente o progettista dell’impresa. Nell’ottica che stia-
mo proponendo un processo sociale è anche e soprattutto un processo
educativo. Il modo in cui gli attori del processo si percepiscono e si rap-
presentano non è quindi un accessorio ma il centro del processo, perché
da nuove rappresentazioni derivano nuovi schemi d’azione e nuove mo-
dalità della relazione, nuovi modi dei sentimenti.
Appartenersi
L’appartenenza è un sentimento e come ogni altro sentimento non risiede
in uno specifico organo di senso, ma in tutto l’essere. Trasformazione
delle regole di appartenenza significa quindi trasformazione di sentimenti
e trasformazione dell’essere. La prima manifestazione dell’ap-
L’appartenenza è una modalità di condivisione dell’altro, un modo di partenenza é la reciprocità, la
condividere l’essere, di costruire una entità sovrapersonale, sociale. capacità di dare e ricevere doni. Il
bambino comincia molto presto
L’appartenenza di sangue presuppone una rappresentazione mentale dei con i suoi doni a segnalare la
rapporti basata sulle relazioni primarie di parentela e quindi schemi d’azio- propria partecipazione
ne in cui le prime ed uniche solidarietà e collaborazioni sono quelle del
legame familiare. Il legame di sangue è immutabile ed irreparabile, uni-
co ed esclusivo.
L’appartenenza sociale presuppone una rappresentazione mentale in cui prevalgono i legami costruiti, le coopera-
zioni stabilite, le amicizie nate dalle frequentazioni. Questo secondo tipo di legame è stato presentato da sempre
come antagonista al primo. Dalla tragedia greca alla teoria del “familismo amorale” la legge di sangue è contrap-
posta alla legge civile, della città. Il principio civico è stato presentato come principio della legge, della regola,
della maschia combattività, il principio familiare principio dell’anarchia, della vendetta, della femminea
irragionevolezza.
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Se guardiamo le cose in termini evolutivi invece la sociazione è un processo in cui ciò che è primigenio e primitivo
genera ciò che è secondario e derivato. La società civile affonda le sue radici nei legami di parentela, il pensiero
complesso nasce dalle emozioni elementari. Dobbiamo continuamente coltivare i nostri natali - gli dei Lari e
Penati – se vogliamo edificare su solide basi l’esistenza umana complessa.
Adottando questo punto di vista possiamo vedere l’appartenenza come un continuum con cerchi o confini sempre
più ampi: dalle relazioni prossime a quelle lontane. La solidità dei sentimenti di appartenenza prossimali determi-
na la solidità e la complessità delle appartenenze più complesse ed astratte. Io sono mio, io sono mia sono pietre
angolari dell’edificio sociale. Un gesto ribelle ed unilaterale, un grido spesso insultante, un’affermazione di orgo-
glio verso gli adulti che è contemporaneamente di differenziazione sessuale. Nella Bibbia si dice dell’Uomo: e
Dio lo creò maschio e femmina, e quando si ribellarono scoprirono anche la loro nudità, ossia la loro differenza.
Vivere senza radici non è una buona base sociale. Non si può essere cittadini del mondo se non si ha prima un
campanile. Non bisogna avere paura del radicamento locale, anzi bisogna sfidare il localismo fino a restituire a
ciascuno la sovranità di sé. Ciò di cui bisogna, da sempre, avere paura è il localismo ideologico, una costruzione
mentale che aliena l’appartenenza a sé in una appartenenza basata sul timore dell’altro, quella che indico sinteti-
camente come “la città delle torri” in cui la coesione non viene dalla condivisione di una comune storia ma
dall’esistenza di forti mura. Queste rappresentazioni sostanzialmente paranoiche sono all’origine di molte altre e
pericolose paranoie.
Il nostro primo lavoro è quindi restituire a ciascuno il senso di appartenersi, di essere sovrano dei propri pensieri
e padrone delle proprie azioni. E sono proprio gli adolescenti con la loro provocatoria improntitudine a lanciare il
doloroso grido di appartenenza. Sono proprio gli adolescenti emarginati a svolgere la critica più radicale a rappor-
ti sociali reificati, alienati nelle cose, rapiti dall’astratto regno delle pure idee, dei valori intesi come pure scelte
ideologiche. Il fatto è che la loro critica è spesso autodistruttiva perché si avventano contro il mondo e contro i
propri stessi limiti senza avere ancora la capacità di contenere la complessità dei sentimenti e delle relazioni
dentro rappresentazioni mentali adeguate.
Gli adolescenti oscillano continuamente tra inappetenza e voracità, tra desiderio di divorare il mondo in un bocco-
ne solo e nausea, timore di restare ingozzati da un mondo che vuole a forza riempirli di sé.
L’adolescenza non è una malattia giovanile, magari da lasciar sfogare come una malattia esantematica, che raffor-
za le difese immunitarie. Al contrario è un felice e doloroso processo di crescita - di cui troppi sono invidiosi -
che può dare la febbre così come lo può dare un allungamento improvviso del corpo (febbre di crescenza si chiama
a Napoli). Ma può essere vissuta e diventare malattia se gli adulti non sanno offrire in questo decisivo momento
il sostegno necessario a trovare una nuova configurazione e creare un nuovo scenario.
L’adulto forte non è quello che sa scontrarsi con l’adolescente, ma quello che sa offrire una rappresentazione forte
del mondo che il giovane va scoprendo e conquistando, quello che fa percepire che dopo le tempeste esiste co-
munque le quiete, esistono comunque porti sicuri. L’idea di dover accompagnare talora solo con lo sguardo il
giovane che deve con le proprie forse conquistare un nuovo mondo è l’idea di forza che noi proponiamo ai ragazzi,
l’idea di chi ti aiuta ad entrare e non l’idea di chi ti impone l’umiliazione dello strisciare carponi per entrare nella
“sua” città.
ACCOMPAGNARE

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La cultura e i saperi sono quindi strumenti essenziali per contenere ire funeste, lutti ed entusiasmi, gioie e dolori,
pace e guerra, vita e morte. E si intuisce subito che sono veri e propri strumenti di terapia e prevenzione rispetto
ad ogni genere di sofferenza nella relazione.
La parola terapia spaventa, soprattutto quando si tratta della mente: abbiamo paura di essere vittime e attori di
intrusioni. L’etimologia di terapia ci dice che viene da therapon che è il servo-scudiero, e quindi servizio e cura
(agli dei con il culto, agli uomini con la cura, alle piante con la coltivazione). Qui dobbiamo intendere di fare da
scudieri, aiutanti, nel trovare nuove forme di equilibrio, fornire la materia solida con cui costruirsi una pelle più
grande, in grado di contenere un corpo – una mente – che cresce misteriosamente da solo.
La difficoltà specifica dei docenti di fronte agli adolescenti è che qui la cultura viene messa alla prova, che non
basta conoscere, ma è necessaria la maestrìa come in un processo di apprendistato. L’adolescente pesa e valuta
l’adulto in rapporto a ciò che è e non in rapporto a come si rappresenta o in rapporto al suo prestigio sociale. Così
le cose che dice sono valutate nello stesso modo. I nostri adolescenti ci gridano continuamente “chi sei!”, quale
diritto hai di parlarmi? La cultura viene messa alla prova, il docente che ‘rompe’ che esce fuori dalle regole che
egli stesso si è posto dimostra la falsità di ciò che dice. Attraverso la persona del docente l’adolescente saggia la
solidità dell’edificio culturale che gli viene proposto. La risorsa umana, gli operatori, in un progetto per adole-
scenti emarginati non è strumento di un contenuto altro, ma è essa stessa contenuto: il docente insegna ciò che è e
non ciò che sa. Per questo si elevano a potenza i motivi per cui la cura del benessere psichico e professionale dei
docenti e degli operatori tutti è il cuore del progetto. Nella documentazione che abbiamo fornito vedrete quindi
che le attività di ‘manutenzione’ della risorsa umana che comprendono la riflessione continua sugli aspetti psico-
logici e relazionali del lavoro, la produzione di idee e materiali didattici a partire dall’esperienza rappresentano
una quota importante del lavoro degli operatori.
Riti di pacificazione
Un altro aspetto importante nella costruzione dei legami sono
i riti.
Un altro modo di rappresentare l’eterno conflitto tra gli aspetti
umani primigeni e la socialità è l’immagine dell’”homo homini
lupus” ( uomo lupo per l’uomo) e dello Stato Leviatano che
tiene a bada le aggressività, dominando mantiene la pace. Ora
qui si è calunniato il lupo attribuendogli sentimenti umani de-
gradati. Ora invece è proprio il lupo e altri animali che sono
insieme sociali ed aggressivi che ci fornisce una risposta oppo-
sta a quella del Leviatano: i riti di pacificazione. La lotta per
gioco, i continui rituali di saluto e di cura della pelliccia, in
questi ed in altri animali sociali, cementano continuamen-
te i legami e rassicurano i membri della comunità che le
spaventevoli armi in dotazione non saranno mai rivolte
all’interno. La lotta per gioco è quindi una rappresenta-
zione condivisa – senza parole – di relazioni sociali paci-

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ficate o sanate. I riti in cui gli oggetti della quotidiatità sono portati in un cerchio magico in cui assumono ruoli
simbolici, aiutano a costruire una buona socialità. C’è oggi un mito circa i ‘luoghi di aggregazione govanile’.
Intanto faccio notare che stando all’etimologia si tratta di luoghi di gregari e di greggi, ma soprattutto dico che gli
adulti devono lavorare per sviluppare riti sociativi e scambio di significati e non limitarsi ad accodarsi ad una
manifestazione giovanile che può anche essere solo una adunata di ‘orfani’, che va rispettata come risposta ad una
solitudine, ma non riproposta come soluzione efficace.
Di nuovo viene chiamata in causa la cultura: rito, gioco, poesia, musica, arte sono accomunati dalla costituzione
di un cerchio magico , spazio rappresentativo, che consente distanziandosi dal reale una sua rielaborazione in
schemi condivisi. Nel nostro progetto que-
ste attività istituiscono i luoghi in cui è
possibile esprimere l’integrità dell’essere,
la propria unicità. I vincoli e le regole pro-
prie delle arti e dei riti costituiscono gli ap-
poggi, che consentono a ciascuno di solle-
varsi dallo stato di cose presenti. Potersi
esprimere, potersi raccontare, poter raffigu-
rare i propri sentimenti sono momenti im-
portanti attraverso cui accogliamo i ragaz-
zi nella loro interezza rispettandone nel pro-
fondo l’essere. Attraverso queste manife-
stazioni gradualmente riesce ad emergere la parola come discorso, come filo che riannoda trame spezzate e
consente di tessere nuovo ordito. Questo uso dell’arte come spazio di mediazione possibile tra ciò che è unico
ed indicibile e ciò che può essere detto è una caratteristica comune a molti ‘progetti di strada’ anche in altre parti
del mondo.
Se l’arte ed i riti sospendono il reale ed il tempo consen-
tendo di riportare gli accadimenti dentro schemi che si
ripetono, la narrazione consente di trovare il filo a ciò
che di irripetibile c’è in ogni istante, dando un senso ed
una direzione al tempo che scorre. La storia e l’esegesi
degli eventi costituiscono il primo modo di costruire una
teoria, un ragionamento ”meta”, su ciò che facciamo.
Nelle moderne teorie dell’organizzazione questo viene
chiamato “comunità di pratiche” e consiste appunto nel
creare una tradizione fondata sulla narrazione e sulla con-
tinua ricostruzione della storia. La nostra comunità di
pratiche è forse una comunità estesa che include - o pre-

tende di farlo - anche i ragazzi, le famiglie, altri


operatori istituzionali in un processo che potreb-
be chiamarsi etnografico in quanto trasforma il
territorio da semplice aggregato umano o rete bu-
rocratica, in un ‘popolo’, etnia dotata di una sto-
ria e di coscienza di questa. Nelle feste, che rap-
presentano una costante del nostro lavoro, dopo
quattro anni abbiamo la sensazione che si stia co-
struendo una uova entità, che l’accumularsi di ge-
nerazioni di studenti e di loro familiari sta tra-
sformando queste da occasioni interne alla scuola
a occasioni sociali generali. Comunque questo è
il nostro augurio e lo scopo specifico del ‘pro-
getto sociale’.

Genitori ed allievi durante una assemblea a Chance


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E poiché abbiamo parlato di gioco colgo l’occasione per parlare della collusione. La collusione è uno dei rischi più
grandi nel lavoro con gli adolescenti. E’ giocare insieme per ingannare qualche altro: se stessi. E’ un modo di
essere seduttivi senza educare. Nella nostra ipotesi di lavoro, se docenti e operatori sono ‘contenuto’ del messag-
gio e non solo i latori di questo, ne consegue che la seduzione, il condurre a sé, costituisce un momento importante
della educazione, cioè del tirare fuori dallo stato di cose esistenti. Ma seduzione ed educazione vanno visti in
circolo che comprende anche l’educarsi ed il lasciarsi sedurre: far leva sulle energie proprie da parte dei ragazzi,
essere attratti ed affascinati dal come i ragazzi apprendono e crescono. In breve si tratta della reciprocità senza
della quale non c’è vera crescita. Nella collusione l’adulto finge, gioca ad essere giovane, e questo lo mette al
riparo dalla reciprocità, perché il dialogo nasce dalla diversità e nell’identità non c’è storia e non c’è relazione. Per
poter tenere sotto controllo questo processo abbiamo una complessa procedura di accettazione che consiste in una
prolungata osservazione ed analisi dei ragazzi in modo che il loro ingresso nel progetto sia il frutto di una ‘alleanza
‘ educativa con tutte le “parti buone” e non semplice “iscrizione” di un “caso diffcile”. Questo modo di lavoro
produce spesso il ‘miracolo’ di evasori i quali cominciano a partecipare al progetto con la quarta innestata:
vengono tutti i giorni, spesso in anticipo e poi chiedono di prolungare l’orario. (questo non significa che se ne
stiano “zitti, buoni e attenti”, anzi, ma significa che capiscono da subito che qui c’è spazio per loro.

Così affronto il problema dell’accoglienza. Come


ben si capisce l’accoglienza è una dimensione
dell’essere, un modo di porsi di fronte ai ragazzi.
Anche in questo si insinua l’eterno conflitto con
cui abbiamo aperto: l’accoglienza è natura,
maternage, è debolezza, la norma è maschile, è
forte, è cultura: è scuola. Noi proponiamo una
idea di accoglienza che è il modo della inclusio-
ne sociale, ossia il modo di allargamento del cer-
chio di appartenenza, ossia un modo di allargare
la norma, di allargare le regole dell’appartenen-
za. Quindi proponiamo una norma accogliente. E
viceversa proponiamo un modo di riflettere e ra-
gionare su ciò che accade, un voler riportare ogni
cosa ad un discorrere comune che è un modo di
trasformare l’accoglienza in norma. Noi vedia-
mo queste polarità come parte di un processo
evolutivo sempre in atto e mai come momenti di “scontro tra civiltà”.

Così posso concludere dicendo che se voles-


simo sintetizzare tutto questo in una sola fra-
se, direi che l’attività educativa socialmente
produttiva è una attività di mediazione cultu-
rale tra le antropologie che sono vissute dagli
allievi e le antropologie dei diversi operatori
scolastici e sociali. Poiché generalmente si
ritiene che per il semplice fatto di essere nati
in un territorio siamo della stessa cultura ab-
biamo inventato un neologismo auto contrad-
dittorio o forse – proprio per questo - produt-
tivo: mediazione intraculturale.

Uno spazio di mediazione:


festa con le famiglie all’ombra dei tigli
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Evoluzione di un gesto funzionale.
La nutrizione bocca a bocca è una
tappa nello svezzamento dei cuc-
cioli.
Il bacio tra adulti è un gesto di
nutrizione accennato, una offerta di
cibo ritualizzata.

Qui a fianco una coppia ha appena


litigato: un cucciolo è arrampicato
sull’albero impaurito, un altro si
appiattisce sulla madre, la madre
stessa si avvicina pronta a ritrarsi
finché un bacio suggella la pace
fatta. La capacità dlela coppia di
mantenere legami anche al di fuori
dei periodi fecondi rappresenta un
pasaggio decisivo verso lo sviluppo
8 di una società complessa
Aquile che si scambiano cibo in
volo durante il corteggiamento

Nel corteggiamento l’offerta rituale di cibo è esplicita. Lo è tra le specie più diverse, dai pesci fino
agli umani. Mangiare nello stesso piatto è espressione proverbiale per designare una intimità profon-
da e totale. Il significato del bacio come promessa di completa unità è stato utilizzato per creare un
topos letterario: il bacio tra “nemici” La massima tensione emotiva deriva dal contrasto tra conven-
zioni sociali e schieramenti geopolitici con l’intimità del gesto. Ret Butler e Rossella O’hara in Via col
Vento, la contessa italiana e l’uffciale austriaco in Senso. Qui il fatto che ciascuno indosssi la propria
“divisa” - e divisa significa proprio ciò che serve a dividere - accentua uleriormente la tensione.

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La posizione dell’apprendere: è quella in cui, al sicuro tra braccia protettive e appoggiati al petto che
nutre, si può guadare, protetti, anche fuori di sé, anche realtà preoccupanti. La coesione e sicurezza
sociale, il senso di appartenenza svolgono nella vit adulta e per tutta la vita la funzione svolta nell’in-
fanzia da un seno nutriente e da una madre protettiva. L’educazione producendo legami e coesione
sociale ha la funzione fondmentale di predisporre ciascuno all’apprendimento per tutta la vita ossia
ad una crescita continua dei legami sociali.

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Cercare riparo sicuro presso il consimile
rappresenta una pulsione così forte, che in
assenza di una madre protettiva lo si fa con
i fratelli, con gli amici, infine con qualsiasi sostitu-
to; ciò qualche volta può aiutare ad affrontare
anche situazioni di intollerabile violenza. La
costruzione di situazioni di scambio, di
reciproca fiducia, di reciproco affidamento, è
un modo per sentirsi protetti anche
in situazioni in cui, per motivi psichici, perso-
nali, materiali, sociali, sia debole o inesisten-
te la cura partentale dei genitori naturali.

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