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I) L'istituzione comunale sorge in Italia nell'XI sec.

, laddove gruppi di cittadini o di abitanti del


contado si danno degli ordinamenti giuridico-politici autonomi, sottratti al controllo della feudalit
laica e/o ecclesiastica.
II) Nelle campagne vi possono essere Comuni signorili, nati dall'associazione di piccoli feudatari, e
Comuni rurali, sorti dall'iniziativa solidale di agricoltori emancipatisi dai vincoli del servaggio.
Tuttavia, i Comuni pi importanti sono quelli urbani. Nelle citt erano infatti confluiti molti
feudatari piccoli proprietari e molti servi della gleba (a quest'ultimi si prometteva la possibilit di
esercitare un mestiere liberamente scelto, di fare lasciti ereditari, ecc.): associandosi con la
precedente popolazione cittadina (borghesi, artigiani, professionisti), essi crearono delle
associazioni di popolo (Corporazioni o Arti) e di nobili (Consorterie), che costituirono la base
economica per fare delle rivendicazioni di carattere politico.
III) Origine del Comune. Il Comune un organismo statale (citt-stato) in cui si attuano forme di
autogoverno politico: esso ha un ordinamento repubblicano, in quanto la fonte del potere risiede
nell'assemblea popolare. L'esercizio dell'autogoverno collegiale e soggetto a pubblici controlli.
All'origine della formazione del Comune sta un atto associativo di natura privata, giurata e
volontaria, costituito per tutelare, inizialmente, solo gli interessi e diritti di ciascuno dei singoli
associati. Col tempo l'associazione, mirando a estendersi, forzatamente, a tutti gli abitanti della citt
o borgo, cominci ad esercitare funzioni pubbliche. Il patto comune e giurato di solito veniva
fissato in Carte o Statuti che avevano carattere obbligante per tutti i contraenti e costituivano il
fondamento giuridico-politico (costituzionale) del Comune, che stabilivano cio i limiti entro cui i
poteri della sovranit potevano essere esercitati. Questo soprattutto nell'Italia centro-settentrionale,
dove l'autorit dell'Impero germanico era pi formale che reale. Nell'Italia meridionale (normanna)
e nei paesi europei, ove le monarchie erano gi abbastanza forti, la rinascita della vita cittadina non
port a forme di autogoverno politico, ma solo a forme di emancipazione economica, di sviluppo
amministrativo e di affermazione di taluni diritti civili.
IV) L'autogoverno comunale. Nella societ feudale il governo signorile trovava la sua fonte
nell'atto d'investitura da parte del sovrano: l'autorit si giustificava solo se veniva riconosciuta
dall'alto. Viceversa, nella societ comunale l'autorit procede per investitura popolare, in quanto il
popolo chiamato a raccolta in assemblee periodiche. Fino all'XI sec. tali assemblee erano
convocate per compiti puramente amministrativi e consultivi dal vescovo-conte o dal signore del
contado. Nel Comune invece l'assemblea esercita poteri legislativi, deliberativi, elettivi (elegge i
supremi magistrati del potere esecutivo) e controlla l'esercizio dei poteri e l'amministrazione civile.
Vi quindi una sorta di democrazia politica, anche se col termine "popolo" va inteso solo il ceto dei
notabili, cio quei cittadini pi in vista nella vita civile e politica, per censo o ruolo sociale: i nobili
(magnati), cio i piccoli feudatari che avevano contribuito a fondare il Comune; il popolo grasso
(grande borghesia, industriale o commerciale, organizzata nelle Arti Maggiori), che a poco a poco si
sostituir ai nobili nel governo della citt. Il popolo minuto (media e piccola borghesia, artigiani,
organizzati nelle Arti Medie e Minori), insieme alla plebe-operai salariati, aspirava a partecipare al
governo della citt.
V) L'assemblea popolare e l'evoluzione del potere esecutivo. Si tende a suddividere la formazione e
sviluppo dell'assemblea popolare in due grandi periodi:

a) Periodo Consolare (sec. XI-XII) in cui il governo esercitato dai Consoli (da 2 a 20) che durano
in carica un anno e hanno il potere esecutivo, cio il comando delle forze di terra e di mare, per
assicurare l'ordine pubblico e la sicurezza della citt da minacce esterne: in questo periodo il gruppo
dominante di origine aristocratica; dal Consiglio Minore (detto Senato o Consiglio di Credenza),
composto dai capi delle famiglie pi importanti, preposto agli affari ordinari della vita pubblica:
esso assiste i Consoli e ne controlla l'operato; dal Parlamento (Arengo), cio l'Assemblea di tutti i
notabili e borghesi, che elegge i magistrati e tratta gli affari di maggiore importanza. Poich
troppo numeroso, il Parlamento si riunisce poche volte e in sua assenza funziona il Consiglio
Maggiore, composto dai soli cittadini aventi i pieni diritti politici. Questo Consiglio esercita sia il
potere costituente, in quanto emana lo Statuto cittadino, sia il potere legislativo, in quanto emana
tutta la legislazione ordinaria. Delibera anche sui problemi pi impegnativi e urgenti, decide della
pace e della guerra, cura le relazioni con gli altri Stati, controlla l'amministrazione generale
mediante apposite magistrature. Elegge i Consoli, i Podest, i Dogi, i Capitani del popolo, tutti i
supremi magistrati.
b) Periodo Podestarile (sec. XIII). Intorno alla met del sec. XII il governo collegiale dei Consoli
sostituito dal potere unico esercitato dal Podest, che in genere forestiero, incaricato per un anno.
La sua istituzione riflette l'esigenza della borghesia di allargare i propri poteri nei confronti del ceto
aristocratico. Sar infatti dalle continue discordie tra i partiti (aristocratico e borghese) che emerger
la necessit di un governo imparziale. Quindi, anche se l'organo di governo non pi collegiale
come quello dei Consoli, la base democratica della vita cittadina si estesa.
VI) Verso la met del XIII sec. il potere esecutivo evolve verso l'istituzione del Capitano del
popolo. L'alta e media borghesia, insieme al popolo minuto, organizza proprie compagnie di armati,
in citt e nel contado, e ne affida la direzione al Capitano del popolo, che esercita anche funzioni
giudiziarie e di polizia in difesa degli interessi popolari. Il Consiglio delle Arti (Priori, Anziani),
cio gli esponenti delle corporazioni artigiane, e il Consiglio del popolo (composto sempre di
elementi piccolo-borghesi) assiste il Capitano del popolo. In un primo momento coesistevano due
Comuni, uno (popolare) nell'altro (aristocratico), ma col prevalere del popolo grasso i due Comuni
si fonderanno nel nuovo Comune democratico-borghese. Non tutti i Comuni seguiranno questo
schema (a Venezia p.es. l'unico ceto dirigente fu quello mercantile-marinaro, che non ebbe mai
bisogno di lottare contro l'aristocrazia terriera. La lotta politica perci si svolse qui tra potenti
gruppi di famiglie all'interno di una classe omogenea. La struttura oligarchica della repubblica
veneta si manterr inalterata sino alla fine del '700).
VII) Le Corporazioni (o Arti). Erano associazioni di mestiere di carattere padronale, sorte verso la
met del XII sec., che univano in un solo corpo gli artigiani di un medesimo ramo industriale, con
esclusione dei salariati (solo in casi di grande attivit venivano assunti operai salariati). Le pi
importanti Arti erano quelle Tessili, ma anche quelle dei mercanti, banchieri, professionisti (medici,
avvocati...).. Esse tutelavano gli interessi di tutta l'Arte, regolando la produzione e il commercio in
modo da adeguarli al consumo, fissando i prezzi, i salari, le ore di lavoro, la qualit dei prodotti,
impedendo la concorrenza e cercando anche d'influire sulla vita politica. Chiunque voleva esercitare
un'arte-mestiere doveva iscriversi alla relativa Corporazione, prima come apprendista-garzone, che
lavorava gratis o con un minimo compenso, per imparare l'arte; poi diventava socio-compagno, e

assisteva il padrone dell'azienda, partecipando agli utili; infine poteva anche diventare maestro, cio
padrone di un'azienda.
CONSIDERAZIONI
I
L'esperienza comunale dei secoli XI-XIII fall in Italia non perch fu inaugurata dalla borghesia, ma
perch, dopo esserlo stato, fu dalla borghesia ostacolata nel suo naturale sviluppo democratico.
La borghesia cre le citt, ma poi le ampli e le fortific pensando soprattutto a salvaguardare i
propri interessi. Fu giusta la lotta contro i ceti nobiliari (laici ed ecclesiastici), viziati dal privilegio e
dall'abuso costante del potere, ma fu ingiusta la repressione dei ceti medio-piccoli.
Il passaggio dal Comune alla Signoria (o Principato) fu causato proprio dall'incapacit della
borghesia di essere democratica. Non che non fosse necessario allargare i confini (nonch
l'esperienza politica) del Comune, coinvolgendo i Comuni minori; che tale ampliamento doveva
avvenire nel rispetto dell'autonomia locale e non - come poi avvenne - fagocitando le realt sociali
ed economiche minori.
Lo stesso rispetto dell'identit locale sarebbe dovuto avvenire durante la transizione dagli Stati
divisi tra loro all'unit nazionale, alla fine dell'Ottocento. Questo perch ogniqualvolta si afferma
l'esigenza di un governo superiore, pi vasto e complesso, occorre salvaguardare, in modo
particolare, le necessit della sfera locale, gli interessi dei ceti pi deboli, altrimenti l'accentramento
si trasformer in una dittatura dei ceti pi forti.
II
IL PAPATO TRA COMUNI BORGHESI E IMPERATORI TEDESCHI
Si fatto un gran dire dei Comuni italiani sorti intorno al Mille. Gli storici han parlato di nascita
della democrazia borghese e della laicizzazione dei costumi.
E' tuttavia abbastanza singolare che i Comuni nascano senza essere intenzionati a riconoscere, se
non formalmente, alcuna autorit ad essi superiore. Inizialmente la chiesa li lascia fare, perch spera
d'averli dalla sua parte contro gli imperatori germanici, sempre desiderosi, per oltre tre secoli,
d'inglobare il Mezzogiorno nel loro impero: cosa che lo Stato della chiesa non poteva assolutamente
permettere, temendo di restare compresso in una morsa insostenibile.
Sembra che i Comuni si rendessero perfettamente conto di questo grave conflitto d'interessi tra
papato e impero (iniziato col sassone Ottone I, scoppiato col francone Enrico IV e trascinatosi fino
alla Bolla d'oro del 1356), e abbiano, in un certo senso, voluto approfittarne. I Comuni sono
ghibellini soltanto quando vi sono scontri politici diretti col papato (p.es. per competenze
territoriali), ma in genere le loro tendenze anti-imperiali sono sempre state molto esplicite. Come se
tra papato e Comuni vigesse un accordo di questo tipo: il papato aiutava ideologicamente e
politicamente i Comuni intenzionati a non riconoscere l'autorit dell'imperatore, se non

formalmente, e, in cambio, i Comuni aiutavano il papato a sconfiggere militarmente gli imperatori


che volevano annettersi il Mezzogiorno, invece che limitarsi a riconoscerlo come facente parte dello
Stato della chiesa.
Ma chi aveva insegnato ai cittadini fondatori dei Comuni a comportarsi in maniera cos
spregiudicata? Un atteggiamento del genere lo si vede, in effetti, sin dal loro sorgere, quando p.es.
pretendono di usare il contado circostante come una grande area da sfruttare economicamente. Gli
imperatori tedeschi (anche quelli che vogliono opporsi alla teocrazia pontificia) non vengono mai
apprezzati in Italia, se non da una ristretta minoranza di intellettuali, meno che mai quando vogliono
opporre alla teocrazia il loro cesaropapismo.
Le citt italiane sono nate sulla base di "Statuti" e di "giuramenti", ma il loro spirito "anarchico",
in quanto non tollerano poteri superiori, meno che mai quando questi poteri non sono disposti a
scendere a patti, a intavolare trattative; e la loro pratica politica ed economica decisamente
"imperialistica", in quanto le classi egemoni vogliono progressivamente dominare tutto il territorio
circostante e persino i Comuni pi piccoli. L'esperienza comunale vuole essere totalizzante: di qui i
continui conflitti tra poteri forti e poteri deboli, sia all'interno che all'esterno.
Tale arroganza i cittadini dei Comuni non potevano averla appresa che dalla stessa chiesa, la quale,
sin dai tempi di Carlo Magno, aveva rifiutato di riconoscere l'autorit del basileus bizantino e s'era
enormemente impegnata nel cercare di costituirsi come un vero e proprio "Stato", senza limitarsi ad
essere una semplice "chiesa di stato", come appunto quella orientale.
Il papato era diventato una carica ambita dall'aristocrazia romana e tutto l'alto clero godeva di
enormi privilegi: di qui il nepotismo e la simonia. Alla fine dell'alto Medioevo la corruzione era
generalizzata e i feudatari tedeschi pensarono fosse giunto il momento d'imporre, in nome d'una
maggiore seriet etica, il loro cesaropapismo, dimostrando ch'erano in grado di ereditare l'impero
carolingio, rovinato dall'anarchia feudale.
Tuttavia fecero i conti senza l'oste, cio senza tener conto che della corruzione dell'alto clero
italiano avevano pensato di avvalersi anche le classi mercantili e artigiane, le quali si costituirono
appunto come Comuni "borghesi", nei cui confronti il clero non poteva certo dirsi autorizzato a
bloccare sul nascere la ricerca d'un profitto economico meramente privato.
E che i livelli corruttivi fossero molto elevati dimostrato anche dal fatto che la cosiddetta "riforma
di Cluny", che fece scoppiare la lotta per le investiture ecclesiastiche, in s ben motivata, non ebbe
altro scopo finale che quello d'imporre a tutta Europa la "teocrazia", gi ben visibile sotto i
carolingi. Cio, sotto il pretesto d'una corruzione morale, si port il "papocesarismo" alla sua forma
pi estrema e assolutamente insopportabile.
In altre parole, alla crisi morale dell'alto clero secolare, il clero regolare pi intellettuale e
determinato impose una svolta autoritaria tutta politica, che sarebbe stata utilizzata non solo contro
il cesaropapismo dei germanici, ma anche contro le eresie (ovvero contro la libert di pensiero),
contro i movimenti riformatori, contro l'impero bizantino e gli islamici, contro le trib pagane del
nord-est dell'Europa.

La riforma gregoriana venne usata anche contro la simonia, cio la compravendita di cariche
ecclesiastiche, resa inevitabile dal fatto che, avendo rotto la chiesa romana la continuit nella
successione apostolica, nei confronti della chiesa ortodossa, e avendo imposto il primato del
pontefice in funzione anti-conciliare, diventava relativamente facile fare mercimonio delle cariche
ecclesiastiche (in questo i Sassoni, con l'istituzione dei vescovi-conti, non avevano fatto altro che
portare alle conseguenze pi logiche una prassi che a Roma era gi in vigore nei confronti dello
stesso pontefice).
Tuttavia nei confronti delle citt borghesi il papato mantenne un atteggiamento ambiguo: le puniva
soltanto quando si mettevano dalla parte dell'imperatore o quando ostacolavano i tentativi
espansionistici dello Stato della chiesa, ma per il resto l'intesa era abbastanza buona. La borghesia
infatti aveva capito che alla chiesa era meglio non chiedere una spartizione del potere politico,
almeno non nell'immediato, e neppure una riforma di tipo religioso (nel suo insieme la borghesia
non appoggi mai i movimenti pauperistici ereticali): il mercante, l'artigiano (poi imprenditori), il
libero professionista avevano soltanto bisogno di una certa libert d'azione economica, e su questa
la chiesa acconsent.
Il papato non poteva ancora sospettare che proprio in virt di questa libert economica, la
borghesia, un giorno, a partire soprattutto dalla riforma protestante, le avrebbe imposto uno scisma
irreparabile o le avrebbe comunque ridimensionato di molto i poteri politici ed economici.
Se non vi fosse stato lo scisma luterano, la chiesa romana, molto probabilmente, avrebbe convissuto
pacificamente anche con l'Umanesimo e il Rinascimento, che sicuramente erano molto pi laici di
Lutero e di Calvino, ma l'avrebbe fatto solo a condizione che la borghesia non provasse mai a fare
una rivoluzione anticlericale come quella francese del Settecento.
III
Il Comune stata una risposta borghese, e quindi sbagliata, alle contraddizioni antagonistiche del
feudalesimo. Cos come la Signoria stata un'altra risposta borghese - questa volta dei ceti medioalti - alle contraddizioni antagonistiche del Comune.
Poi venuto il Principato e infine lo Stato. Con lo Stato si avuto il massimo dell'illusione
borghese: l'equidistanza, la neutralit, l'interclassismo...
La differenza tra il Comune e lo Stato sta unicamente nella diversa "forza" della borghesia, la quale
forza, a sua volta, dipesa dalla diversa struttura dei mezzi produttivi.
Oggi assurdo voler tornare al primato del Comune - quale ente locale -, in contrapposizione agli
interessi dello Stato: la grande borghesia, che per commerciare ha bisogno di un territorio non solo
nazionale ma internazionale, non permetter mai a queste illusioni della piccola-borghesia di
concretizzarsi.
Il Comune potr avere un primato in sede amministrativa, ma non l'avr mai in sede politica, a
meno che con una guerra di vaste proporzioni non venga distrutta la compagine statale.

Oggi l'alternativa allo Stato capitalistico, che ha ingrandito a dismisura le contraddizioni


antagonistiche che caratterizzavano, in piccolo, l'esperienza comunale, non pu essere n un ritorno
al Comune, n la realizzazione di un ente pi grande dello stesso Stato (p.es. il comando imperiale
di un dittatore, come si verificato nel periodo nazi-fascista).
Un ritorno al Comune farebbe della nazione una facile preda degli Stati limitrofi o degli Stati che, in
questo momento, dominano la scena mondiale, a livello economico, politico e militare.
Viceversa, la creazione di un ente superiore, di una struttura sovranazionale non farebbe che
acutizzare le contraddizioni del capitalismo, anche se in un primo momento si avrebbe l'illusione di
un loro superamento. Il problema, in realt, quello di uscire da questa spirale perversa.
L'alternativa al capitalismo il socialismo democratico. Come questo socialismo vada realizzato,
soprattutto dopo il fallimento del socialismo amministrato, cosa tutta da verificare.
Alcuni princpi si potrebbero per si potrebbero considerare irrinunciabili:
1. primato del valore d'uso sul valore di scambio;
2. primato dell'autoconsumo sul mercato;
3. primato dell'autogestione sulla separazione del produttore dai mezzi produttivi;
4. primato del lavoro agricolo su quello industriale e commerciale;
5. tutela assoluta dell'integrit della natura;
6. primato della democrazia diretta su quella delegata;
7. primato delle autonomie locali sugli organi centrali;
8. difesa militare e poliziesca affidata al popolo e non a reparti specializzati;
9. unit di lavoro intellettuale e manuale;
10. uguaglianza dei sessi nel rispetto delle diversit;
11. unit delle scienze nel rispetto delle specificit;
12. libert di coscienza, di pensiero, di religione, di espressione artistica..., nel rispetto della libert
altrui.
LA LOTTA DELL'IMPERO CONTRO I COMUNI
FEDERICO BARBAROSSA (1152-1190)
I) Dopo la lotta per le investiture, le posizioni della Chiesa si erano consolidate, ma il declino
dell'Impero permise anche lo sviluppo, soprattutto in Italia, di nuovi organismi politici autonomi: i
Comuni, dove veniva emergendo una nuova classe sociale: la borghesia.
II) Con la morte dell'imperatore francone Enrico V (1125), che aveva firmato il Concordato di
Worms, si apr in Germania una lotta dinastica, durata circa 30 anni, fra i sostenitori della Casa di
Baviera (guelfi) e quelli della Casa di Svevia (ghibellini): questo imped agli imperatori
d'intervenire efficacemente nelle vicende italiane. Il compromesso fu raggiunto quando le due
grandi famiglie decisero di affidare a quella di Baviera il controllo di quasi tutta la Germania
settentrionale, mentre quella sveva avrebbe ottenuto, con Federico Barbarossa, la corona imperiale.

III) L'imperatore, attraverso una serie di legami feudali, poteva esercitare il suo dominio in
Germania, Italia, Borgogna, Boemia e altre regioni minori. A tale scopo per aveva prima bisogno
d'essere incoronato "sovrano dell'Occidente cristiano" a Roma. La "riconquista" dell'Italia diventava
cos inevitabile. E l'occasione si present quando il suo intervento venne richiesto da pi parti: 1)
dal papato, contro il Comune di Roma, che rivendicava una maggiore democrazia politica, e contro
i Normanni, che gli negavano la possibilit di influenzare politicamente il Sud; 2) dalle piccole citt
lombarde (Como, Lodi,,,), in lotta contro Milano, la quale mirava a estendersi sempre di pi, come
molte altre grosse citt (Firenze, Pisa...).
IV) Il programma politico di Federico I era il seguente: 1) ristabilire la sua autorit sulle citt
italiane, annullando la loro autonomia politica e quelle prerogative del potere sovrano (regale) di
cui esse si erano arbitrariamente impossessate (ad es. amministrare la giustizia, stipulare trattati
politici, esigere imposte e dazi, battere moneta, tenere degli eserciti, ecc.); 2) estendere il suo
dominio nell'Italia meridionale, cacciando i Normanni; 3) riaffermare la supremazia dell'Impero
sulla Chiesa.
V) Le discese del Barbarossa in Italia furono sei:
1) Durante la prima distrusse varie piccole citt, mentre a Roma dovette affrontare una rivoluzione
democratica capeggiata dal monaco Arnaldo da Brescia (Repubblica Romana). La Chiesa pretese, in
cambio dell'incoronazione imperiale, la cattura e l'esecuzione capitale del monaco. Cosa che,
quando avvenne, scaten nella citt dei tumulti antimperiali cos forti che costrinsero l'imperatore a
tornare in Germania. Intanto tra il papato e i Normanni si stipul un accordo a Benevento, in base al
quale il papa otteneva il riconoscimento della sua sovranit feudale sul regno e ne dava l'investitura
al sovrano normanno.
2) Nella seconda discesa, l'imperatore, in una Dieta a Roncaglia, impose a tutti i Comuni di
accogliere tra le loro mura i suoi rappresentanti (messi o podest) per l'esercizio dei diritti imperiali,
nel senso che i pi importanti poteri comunali potevano essere esercitati solo col consenso del
delegato imperiale (Costitutio de regalibus). La rivolta dei Comuni fu generale. Per tutta risposta
Crema e Milano vennero distrutte. Tuttavia, quando il Barbarossa cerc di estendere anche al campo
ecclesiastico il tentativo di riprendersi tutti i suoi poteri, il papato reag scomunicandolo. Nel
frattempo molti Comuni dell'Italia settentrionale si erano organizzati in due Leghe antimperiali
(veronese e lombarda), ottenendo l'appoggio del papato. Visto ci, l'imperatore prefer ritirarsi in
Germania.
3-4) La terza discesa si risolse in un nulla di fatto. Nella quarta, l'imperatore decise di evitare le citt
lombarde e di muovere direttamente verso Roma, al fine d'insediarvi un antipapa. Una grave
pestilenza scoppiata nel suo esercito lo obblig a tornare in Germania.
5-6) Le ultime due discese furono caratterizzate da vari trattati di pace. A ci l'imperatore fu
costretto dopo la totale sconfitta militare subta a Legnano (1176). Con la Pace di Costanza (1183), i
Comuni ottennero il riconoscimento dei loro diritti di giurisdizione, autogoverno, difesa e
coalizione, accettando, a loro volta, di dichiararsi formalmente dipendenti dall'Impero e di
vincolarsi ad alcuni obblighi fiscali. Nella sesta discesa, che fu la pi importante, il Barbarossa,

malgrado l'opposizione del papato, riusc a far sposare il figlio Enrico VI con Costanza d'Altavilla,
ultima erede legittima del regno Normanno di Napoli e Sicilia. Alla morte del Barbarossa (avvenuta
durante la terza crociata), Enrico VI riunir sotto la sua corona anche l'Italia meridionale. Egli
tuttavia morir a soli 32 anni, lasciando il trono di Germania e Sicilia al figlio di 3 anni, il futuro
Federico II.
VI) Conclusione
1) L'unico successo dell'Impero fu la conquista pacifica del regno Normanno, anche se nei confronti
del pur breve dominio di Enrico VI, le popolazioni meridionali furono piuttosto ostili, a causa del
suo autoritarismo e fiscalismo.
2) Il papato elimin completamente il diritto di conferma imperiale all'elezione del pontefice e si
riconcili col Comune di Roma, fissando in 2/3 il numero di voti necessari per eleggere il papa.
Dovette tuttavia rassegnarsi, almeno per un certo periodo di tempo, al fatto di non poter contrastare
l'Impero nell'Italia meridionale.
3) Indubbiamente, con la Pace di Costanza i veri trionfatori furono i Comuni dell'Italia
settentrionale. Il periodo successivo a questa pace fu decisivo allo sviluppo della civilt comunale
italiana. I maggiori centri urbani divennero Milano, Firenze, Genova e Venezia. L'Italia si avviava a
diventare un Paese molto forte economicamente. Tuttavia, la forza politica dimostrata nella lotta
contro l'Impero rischiava d'indebolirsi notevolmente se le citt pi grosse, invece di competere fra
loro in guerre commerciali per il dominio dei mercati esteri, non si fossero coalizzate per
determinare la formazione di una monarchia nazionale, come gi stava avvenendo in Francia e
Inghilterra.
I Comuni cittadini italiani nascono fra l'XI e il XII secolo, mentre lo sviluppo delle Signorie e dei
Principati avviene nella seconda met del Duecento, sfruttando la latitanza dei poteri centrali
(impero e papato).
Questi centri urbani, basati su leggi e statuti, cio su patti giurati, rivendicano autonomie e libert
sia nei confronti dei conti (che rappresentano l'impero), sia nei confronti dei vescovi (che
rappresentano il papato). Di regola la sede dei conti era nel contado rurale (il castello o la rocca),
mentre quella del vescovo era nello stesso Comune (sede diocesana).
Nella formazione dei Comuni l'elemento sociale prevalente quello borghese (inizialmente
artigiani, commercianti e professionisti, cui presto si aggiungeranno gli imprenditori di opifici,
soprattutto tessili, e i gestori dei settori finanziari), ma non rara la presenza della nobilt, specie
quella piccola, che ha accettato di trasferirsi in citt, lasciandosi coinvolgere in questa inedita
esperienza, che per quanto oligarchica fosse, presentava alcuni aspetti di democrazia politica
estranei alla mentalit feudale altomedievale, imperniata su due tipi di rapporti: quelli di sangue,
cio di discendenza aristocratica, e quelli di fedelt personale, relativi a dei meriti militari
riconosciuti da un nobile di alto grado, a partire dallo stesso sovrano (imperatore o re).
I patti comunali sono invece fra "uguali", firmati da tutti e depositati presso un notaio. Dalla
partecipazione democratica naturalmente vengono esclusi sia i contadini (la stragrande maggioranza
dei lavoratori) che gli operai, i quali per tenteranno a pi riprese di rivendicarla (vedi p.es. il
tumulto fiorentino dei Ciompi nel 1378).

Generalmente la nobilt feudale di considerava una classe elitaria e assolutamente privilegiata, che
basava la propria ricchezza sul possesso delle terre, i cui lontani avi avevano acquisito con la forza
militare, sin dal tempo delle invasioni barbariche. Era una classe molto conservatrice, che viveva
sfruttando il lavoro dei contadini e che molto difficilmente permetteva il formarsi di attivit
mercantili che potessero minacciare il proprio prestigio o i propri patrimoni.
Tuttavia, sulla base di alcune condizioni, la borghesia riusc lo stesso a svilupparsi e, col tempo,
persino a imporsi sulla nobilt.

Anzitutto i commerci a lunga distanza non furono mai ostacolati dalla nobilt, e i mercanti,
acquisendo in oriente merci rare e pregiate, potevano arricchirsi, rivendendole a delle corti
facoltose, le quali, seppur disprezzassero la venalit dei mercanti e li giudicassero assai poco
onesti, non si facevano mancare nulla.

In secondo luogo l'ereditariet dei feudi, prima di quelli grandi (Capitolare di Quierzy
dell'877), poi di quelli piccoli (Constitutio de feudis del 1037), aveva posto fuori gioco tutti
quei soggetti, di origine nobiliare, che non avevano potuto fruire di questi privilegi e che si
trovavano pertanto disposti a collaborare con nuove figure emergenti, quali appunto i
borghesi.

In terzo luogo i Comuni sembravano essere, agli occhi della nobilt, l'alleato ideale per
rivendicare una grande autonomia territoriale contro le pretese centralistiche (sempre
fiscalmente esose) dei sovrani: non a caso i Comuni si sviluppano maggiormente l dove la
presenza imperiale o il sistema centralistico dei sovrani erano deboli.

Il Comune poteva servire per trovare una collocazione dignitosa anche a tutta quella pletora di
aristocratici rimasti esclusi dalle suddette successioni ereditarie e che, per questo motivo, finivano
con lo svolgere mansioni militari mercenarie, al servizio di qualche potente di turno in lotta contro
un altro potente che lo minacciava ai confini del suo feudo; oppure finivano con l'arruolarsi nelle
file dei crociati, o con l'esercitare funzioni di ordine pubblico al servizio di un papato intento a
perseguitare i movimenti ereticali che lo contestavano.
La nobilt, piccola o grande che fosse, era sempre armata, ma in un Comune, avendo cultura
sufficiente, poteva anche svolgere mansioni politiche, diplomatiche, giudiziarie o anche
semplicemente amministrative, con il solo obbligo di considerare il proprio status equivalente a
quello di un ricco borghese. Il Comune infatti nasce come associazione privata avente rilevanza
pubblica, che si affianca alle istituzioni dominanti del vescovo e del conte.
Generalmente quando il feudatario locale, nella sua residenza rurale, era molto potente, al punto che
impediva alla borghesia di esercitare una certa influenza sui contadini (invogliandoli p.es. a
trasferirsi in citt o a produrre per il mercato), era la stessa chiesa, rappresentata dal vescovo, che
favoriva lo sviluppo della borghesia, ricevendone in cambio ampie contropartite economiche.
L'unica figura di vescovo urbano, funzionario dell'imperatore (perch da questi nominato), fu quella
del "vescovo-conte", che per usc sconfitta dalla lotta per le investiture ecclesiastiche che il papato,
appoggiato dalla borghesia e persino dalla nobilt, condusse in maniera vittoriosa contro gli
imperatori.
Il papato era un'istituzione politica che non tollerava dei concorrenti laici, come appunto gli
imperatori, a meno che questi non si considerassero un semplice "braccio secolare" della chiesa.
Ecco perch, pur ponendosi nei confronti della borghesia come una sorta di "sovrano feudale", il
papato, in realt, aspirando a una propria indipendenza totale nei confronti dell'imperatore, era

disposto a scendere a compromessi con la stessa borghesia, permettendo a questa di svilupparsi


economicamente come meglio credeva, nella convinzione che, in questo gioco di reciproci favori, la
borghesia non avrebbe mai rivendicato un potere politico tale per cui quello della chiesa risultasse
minacciato.
L'esperienza comunale-signorile nata appunto come tentativo, riuscito, da parte della borghesia di
acquisire un'indipendenza economica in un contesto sociale in cui ancora:

dominavano i rapporti servili in campagna,

era molto forte il peso politico della classe nobiliare,

non si potevano mettere in discussione le prerogative politiche della chiesa, a meno che la
stessa borghesia non si alleasse esplicitamente con l'imperatore per compiere una battaglia di
tipo politico-ideologico, come avverr quando si confronteranno le due opposte fazioni dei
guelfi (filo-papalini) e dei ghibellini (filo-imperiali). Ma in genere la borghesia italiana, pur
essendo ideologicamente molto laica, assunse posizioni guelfe, preferendo l'alleanza con la
chiesa.
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In Italia mancata una riforma protestante analoga a quella tedesca e di altri paesi nord-europei
probabilmente perch tra borghesia e chiesa romana vi stata una politica di larghe intese in
funzione anti-imperiale. La borghesia non ha messo in discussione lo sviluppo politico del papato,
esattamente come il papato non ha interferito nello sviluppo economico della borghesia.
Solo quando la chiesa, dopo la riforma protestante tedesca, s' accorta che la borghesia italiana
voleva approfittarne per rivendicare un maggiore potere politico, il papato s' spaventato e ha
preferito scatenare la Controriforma con l'aiuto degli spagnoli di Carlo V, che fruivano di enormi
ricchezze depredate al continente americano.
Inoltre in Italia mancata una rivoluzione borghese analoga a quella francese del 1789, perch da
noi la nobilt non ha quasi mai ostacolato lo sviluppo economico della borghesia; anzi, ha cercato di
favorirlo tutte le volte che questo sviluppo le serviva contro il centralismo autoritario dei sovrani
imperiali.
La nobilt ha cercato seriamente di ostacolare la borghesia soltanto quando, insieme alla chiesa, ha
fatto nascere la Controriforma, ma si tratt pi che altro di una nobilt importata dalla Spagna, che
aveva praticamente occupato l'intera penisola. Il periodo che va dalla seconda met del Cinquecento
sino all'arrivo delle armate napoleoniche va considerato come il peggiore per gli interessi della
borghesia.
Insomma, ogni classe sociale, avente una funzione egemonica nella societ, guardava i rapporti con
le altre classi, parimenti egemoniche o semplicemente emergenti, cercando di sfruttare al massimo i
propri interessi. Tutta la storia italiana basso-medievale vede come protagonisti i nobili, il clero e la
borghesia, i quali, a seconda degli interessi in gioco, si alleano e si combattono tra loro.
L'obiettivo tuttavia resta sempre quello: vivere alle spalle del lavoro altrui. Nobili e clero sono
generalmente intenti a sfruttare i contadini, mentre la borghesia si concentra sugli operai, che altri
non sono che contadini usciti o scappati dai feudi, in cerca di fortuna entro le mura delle citt.

Quanto pi si sviluppano le citt borghesi, tanto pi le vecchie classi feudali vedono minacciati i
propri tradizionali poteri, anche se, nella fase iniziale di questo processo pensano di poterlo tenere
sotto controllo, senza tanti problemi.
La nobilt italiana, in particolare, non si rese assolutamente conto, salvo eccezioni, che l'aver
parteggiato per la chiesa, durante la lotta per le investiture, l'essersi opposta agli interventi militari
nella penisola da parte di Federico Barbarossa e al centralismo illuminato di Federico II di Svevia
(che gestiva l'impero dalla Sicilia), comporter poi l'impossibilit di creare in Italia uno Stato forte
sia contro le ambizioni di espansione territoriale che avevano Francia e Spagna, sia contro le pretese
totalitarie della chiesa romana, e sar la causa principale della mancata unificazione della penisola,
che negli altri paesi europei era s avvenuta contro le pretese egemoniche imperiali, ma per
affermare una sovranit di tipo nazionale.
La stessa borghesia italiana, cercando continuamente dei compromessi con la nobilt e la chiesa,
sar responsabile quanto loro della ritardata unificazione nazionale.
Il Medioevo cattolico-romano stato un periodo in cui s' cercato d'affermare con la forza (politicomilitare) un ideale religioso di vita, il pi possibile universale, e in questo tentativo vi sono stati
continui scontri tra forze opposte, tutte cristiane, che anche quando si appellavano a quell'ideale di
vita lo facevano soltanto per aumentare i propri poteri. La principale responsabile di questa continua
tensione politica stata la chiesa romana, che sin dall'inizio ha cercato d'imporsi come "Stato".
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Nella sua fase iniziale la borghesia europea sicuramente dinamica, perch deve potersi arricchire
in assenza di capitali e di terre; deve darsi da fare per acquisire denaro da investire. Di qui il primato
concesso, inizialmente, al commercio di lunga distanza, l'unico possibile, perch lontano dal
giudizio critico del villaggio, che vede il mercante come una persona disonesta. Il mercante trova in
oriente quei prodotti rari e pregiati che pu rivendere nelle corti principesche, ricavandoci un
notevole reddito.
Dai capitali accumulati con questo tipo di commercio, la borghesia pu ricavare quanto le basta per
fare investimenti produttivi in loco, sfruttando gli artigiani (cio separando dal contadino le sue
abilit artigiane e ovviamente specializzandole). L'illusione quella di offrire al contadino-artigiano
un reddito maggiore e quindi una maggiore libert personale.
Si tratta di una pratica economica connessa a un mutamento della mentalit religiosa, che si
laicizza: in luogo della provvidenza subentra la conoscenza o la competenza; in luogo della fede la
ragione; della dipendenza dall'autorit l'autonomia del singolo; della carit il risparmio e
l'investimento; della generosit l'interesse; dell'ingenuit il calcolo. E cos via.
Inizialmente i telai vengono gestiti direttamente nelle case dei contadini, che usano la materia prima
offerta dal mercante-imprenditore; poi si trasferir tutto in un opificio urbano, ed cos che nasce la
manifattura (prima sparsa, poi concentrata). La merce principale che fa guadagnare il mercante il
tessile.
Tuttavia, quando la borghesia s'arricchisce, tende a comportarsi come l'aristocrazia, cio a vivere di
rendita: solo che questa non pi in natura, in moneta. La manifattura viene preferita nella fase
iniziale, ma quando subentrano problemi dovuti a concorrenza o conflitti di classe, la borghesia
imprenditoriale tende a trasformarsi in borghesia finanziaria, ovviamente l dove possibile ch'essa
possa investire i propri capitali in attivit bancarie.

Non tutta la borghesia interessata o in grado di compiere questa trasformazione, ma quella che vi
riesce, smette d'essere dinamica, perch vuole usare i capitali per vivere di rendita sugli interessi
che percepisce dal credito. La Firenze del Trecento piena di grandi bancari, che prestano capitali
persino ai sovrani.
Questa borghesia non vede pi l'aristocrazia come un nemico, anzi cerca di scimmiottarla,
comprando titoli nobiliari, acquisendo usi e costumi, investendo i propri capitali in beni
immobiliari. I veri nemici sono diventati gli operai che protestano, che si alleano alla piccola
borghesia, agli artigiani di minor peso..., ma anche, indirettamente, i grandi debitori insolventi, che
rischiano di mandare in fallimento le banche.
Tra l'alta borghesia (industriale o finanziaria) e l'aristocrazia fondiaria s'instaura un rapporto di
reciproco interesse. L'aristocrazia ha tradizioni militari, ma anche di corte ( capace cio di fare
politica, amministrare la giustizia, curare i rapporti diplomatici, interagire con le autorit laiche ed
ecclesiastiche...): in una parola ha competenze di tipo extra-economico, che possono tornare utili
alla borghesia nella gestione della Signoria e poi del Principato.
Una parte della nobilt ha addirittura accettato lo stile di vita borghese, introducendo nei propri
poderi le figure del mezzadro e del fittavolo, trasformando gli arativi in prativi, al fine di produrre
lana grezza per le manifatture tessili. Questa nobilt intraprendente non ha alcun interesse ad
opporsi alla borghesia.
Il passaggio dalla citt-stato allo stato regionale, cio dal Comune alla Signoria, avvenuto a causa
delle contraddizioni tipiche della classe borghese, che non riesce ad essere "popolare" come
vorrebbe. Inizialmente il borghese sembra essere uno che parte dal nulla, sradicato dal contesto
comunitario del villaggio, con una mentalit nettamente individualistica: vuole emergere a tutti i
costi come singolo, legato per a una classe specifica, che, man mano che si arricchisce, rivendica
privilegi particolari, appunto "di classe".
La mentalit borghese quella affaristica, sconosciuta nelle campagne, sia perch i contadini sono
abituati a dipendere in toto dai loro signori e pagano la servit in derrate alimentari, e se anche le
pagano in moneta, non sono padroni delle loro terre, per poterci fare quello che vogliono; sia perch
i loro padroni sono abituati a vivere di rendita e non sono interessati a un surplus di prodotti
naturali.
Quando molti di questi proprietari feudali iniziano a pretendere una rendita in moneta o a
indirizzare la produzione delle loro terre verso il mercato (e non pi solo per l'autoconsumo), ecco
che diventano degli imprenditori agrari borghesi. La citt ha vinto pienamente sulla campagna.
Dal punto di vista strettamente economico la situazione del contadino non migliora affatto, anzi
tende a peggiorare, poich lo sfruttamento s'intensifica, seppure in altre forme e lui ha totalmente
perduto le garanzie fornite dall'autoconsumo. La sua situazione migliora solo se diventa padrone del
podere su cui lavora, ovvero se riesce ad acquistarne uno in seguito a una rivoluzione borghese che
espropria terre al clero regolare o a quei nobili militarmente sconfitti perch politicamente
controrivoluzionari, oppure a quei nobili che han dovuto vendere i loro beni perch rovinati dai
debiti.
Tuttavia, rispetto alla totalit dei contadini, quelli che diventano "borghesi" sono un'infima
minoranza. A tutti gli altri spettano solo lavori da operaio salariato o da militare di basso livello.

La crisi economica europea del XIV secolo anticip, in un certo senso, quelle che vari secoli dopo
sarebbero diventate le crisi cicliche, di sovrapproduzione, del capitale industriale.
La produzione commerciale era sostanzialmente iniziata con la nascita dei Comuni e aveva
coinvolto non solo i settori di lusso, ma anche il tessile, iniziando a sconvolgere l'economia agricola
basata sull'autoconsumo.
Questo tipo di produzione, basata sul primato del mercato, che si serviva di una manifattura sparsa e
centralizzata, influ enormemente sulle motivazioni che avevano scatenato le crociate, i cui esiti, per
quanto politicamente fallimentari, furono favorevoli allo sviluppo dei commerci con l'oriente.
La borghesia, nuova classe emergente, aveva saputo fare quattro cose importanti:
1. opporsi efficacemente alle rivendicazioni feudali degli imperatori tedeschi;
2. ridimensionare il potere dei grandi proprietari terrieri, sviluppando citt politicamente
autonome;
3. trovare un'efficace mediazione con gli interessi dell'alto clero cattolico;
4. appoggiare quei sovrani che, con ambizioni nazionali, erano disposti a favorire le attivit
mercantili e a riconoscere alla stessa borghesia un certo peso politico.
Il ceto borghese voleva arricchirsi velocemente e il prezzo delle contraddizioni del proprio sviluppo
voleva farle pagare soprattutto ai contadini e agli operai di citt.
Questa situazione idilliaca, per il capitalismo commerciale e proto-industriale (manifatturiero), con
ampi risvolti finanziari, in quanto la borghesia era diventata la principale fonte di finanziamento dei
grandi sovrani, ebbe un'improvvisa e inaspettata battuta d'arresto agli inizi del Trecento, cio
proprio nel momento in cui la grande borghesia voleva far pesare politicamente la propria
differenza da quella piccola e media, pretendendo che il Comune si trasformasse in Signoria.
Generalmente gli storici sostengono che la crisi del Trecento fu dovuta al fatto che la produzione
agricola non riusciva pi a seguire il ritmo troppo serrato della crescita della popolazione, che
raggiunse appunto la punta massima tra il 1280 e il 1300.
Tesi, questa, come si pu ben vedere, di tipo malthusiano, che assegna le maggiori responsabilit
non ai ceti proprietari di terre e capitali, ma a quelli che, non disponendo che della propria forzalavoro, non erano in grado di coltivare la terra con mezzi e metodi avanzati, disboscavano
selvaggiamente le foreste e, invece di andare a bonificare le terre paludose o di mettere a frutto
quelle incolte, preferivano tentare la fortuna nelle citt, salvo poi ritrovarsi in condizioni peggiori
delle precedenti.
Quando poi, come storici, si costretti ad ammettere che a partire dalla met del XIII secolo s'era
andata affermando la pratica delle recinzioni delle terre comuni (enclosures), per trasformarle in
pascoli, in modo da poter produrre la materia prima per le fiorenti industrie tessili (p.es. i landlord
inglesi per gli industriali delle Fiandre), si evita accuratamente di considerare questo fenomeno
come una delle principali cause della proletarizzazione dei contadini, che divenne massiva quando
da quelle "comuni" i nobili passeranno alle terre "private".

La ricchezza di un territorio dipende dal lavoro dei suoi abitanti, ma evidente che se questi
vengono espropriati dei loro mezzi produttivi, gli introiti dovuti a nuove metodiche di produzione
finiscono solo nelle casse dei proprietari, sicch anche se la ricchezza di pochi aumenta, quella
generale diminuisce enormemente.
La crisi del Trecento non arriv perch la popolazione aumentava pi della produzione agricola, ma
per ragioni del tutto diverse:
1. all'aumento della popolazione non corrispose in maniera adeguata una redistribuzione della
propriet della terra;
2. la forbice tra prezzi agricoli e prezzi artigianali-manifatturieri si allargava progressivamente
a danno del mondo rurale;
3. nelle campagne la conduzione della terra, a causa dei condizionamenti urbani, assumeva
sempre pi caratteristiche "mercantili", che venivano inevitabilmente a penalizzare il
tradizionale autoconsumo (la rendita si trasforma da naturale a monetaria; lo sfruttamento
intensivo della terra ne riduce la fertilit; l'introduzione delle monocolture aumenta la
dipendenza dai mercati; la trasformazione degli arativi in pascoli riduce il bisogno di
manodopera...);
4. le difficolt crescenti del mondo rurale a sopportare i ritmi crescenti del profitto
commerciale del mondo urbano, diminuirono notevolmente le capacit di assorbire la
produzione borghese, che divenne ben presto eccedente rispetto ai bisogni effettivi;
5. i costi proibitivi dell'amministrazione statale, ivi inclusi quelli militari, avevano indotto i
sovrani a chiedere enormi prestiti alla borghesia, una parte della quale aveva allestito istituti
bancari e finanziari, ma gli enormi debiti contratti rendevano spesso impossibile una loro
estinzione.
Purtroppo la crisi del Trecento non venne sfruttata adeguatamente dai contadini e dal proletariato
urbano. Tutte le rivolte infatti vennero soffocate nel sangue: p.es. il tumulto fiorentino dei Ciompi,
che pur dur dal 1378 al 1382, non riusc a impedire all'oligarchia di riprendersi il potere; la rivolta
francese detta Jacquerie, nel 1358, port soltanto a 20.000 morti tra gli insorti. Erano sicuramente
male organizzate e tuttavia esse sapranno anticipare le grandi insurrezioni contadine e urbane che
contrassegneranno tutta la storia europea dei secoli XVI-XVIII.
La stessa peste, degli anni 1347-50 (pi le successive ondate), che pur flagell enormemente le
popolazioni europee, non pu essere considerata un fattore in grado di spiegare la crisi economica
del Trecento. La carestia, p.es., era gi presente molti anni prima, e il morbo non si diffuse prima di
tutto tra le campagne, dove non lo si ricordava dai tempi della guerra greco-gotica del VI secolo, ma
nelle aree degradate delle citt, tra le popolazioni pi emarginate.
Il fatto che gli storici non possono accettare l'idea che uno sviluppo prodigioso del nuovo sistema
produttivo, basato sul valore di scambio, potesse improvvisamente conoscere un regresso di cos
gigantesche proporzioni; sicch fanno di tutto per attribuirne la causa non a fattori endogeni, interni
a tale sistema, ma a fattori esogeni, riguardanti il vecchio mondo feudale, ritenuto ancora troppo
immaturo rispetto alle esigenze dei nuovi tempi.
In molti manuali scolastici non ci si accorge neppure di una stridente contraddizione relativa alle
migliorie nel modo di gestire la produzione agricola: da un lato infatti si sostiene che lo sviluppo

impetuoso della borghesia fu anche dovuto al fatto che nelle campagne s'era introdotta la rotazione
biennale e triennale delle colture, si era migliorata notevolmente l'efficienza dell'aratro e dell'aratura
dei campi, si era diffuso l'utilizzo dei mulini a vento e ad acqua; dall'altro per, quando si deve
trovare una spiegazione all'inaspettata crisi trecentesca, si sostiene che i sistemi di coltivazione
erano troppo arretrati rispetto alle esigenze produttive della borghesia.
In altre parole, il progresso della tecnologia viene visto in maniera del tutto separata dai conflitti di
classe che favorirono quello stesso progresso, sicch quando subentrano le prime gravi crisi
strutturali dello sviluppo economico, gli storici non le addebitano ai conflitti di classe, ma alla
stessa tecnologia, il cui progresso viene ritenuto del tutto insufficiente.
Si addirittura attribuita la causa della crisi europea ai mutamenti climatici, che effettivamente
provocarono dal 1315 al 1317 pesanti allagamenti e alluvioni, e si sostenuto che tali mutamenti
possono essere stati generati dagli indiscriminati disboscamenti delle foreste da parte dei contadini.
Tuttavia, anche se vi sono stati disastri ambientali, questi non possono essere considerati una
"causa" della crisi economica, bens un "effetto", proprio perch il "disboscamento" in s che va
considerato un'espressione della crisi economica. E' incredibile che uno storico consideri "positivo"
il disboscamento quando p.es. esso serve per assicurare i mezzi di trasporto alla borghesia, e lo
consideri "negativo" quando invece viene utilizzato dai contadini per esigenze di abitabilit o di
mera sopravvivenza.
Non pu essere fatta ricadere sul mondo rurale la responsabilit dei disboscamenti e quindi dei
mutamenti climatici, quando all'origine di tali fenomeni vi erano pressioni economiche estranee agli
ambienti rurali. Condizioni atmosferiche sfavorevoli al mondo contadino vi sono sempre state
nell'alto Medioevo, ma le carestie erano semmai provocate dalle guerre. La singolarit delle carestie
del XIV secolo stava appunto in questo, ch'esse erano presenti in tempo di relativa pace. Le crociate
e la lotta per le investiture ecclesiastiche erano gi finite. E anche se fra Inghilterra e Francia era
scoppiata la cosiddetta "Guerra dei Cento anni", questa in realt fu vista dalla borghesia come una
ghiotta occasione da sfruttare per arricchirsi finanziariamente.
Tutte le guerre locali tra Comuni e Signorie, presenti in Italia nel XIV secolo, furono ben poca cosa
rispetto alle grandi invasioni barbariche dell'alto Medioevo, tant' che se si guarda la curva
demografica europea e italiana dall'VIII secolo agli inizi del XIV si noter che la popolazione era
triplicata.
Probabilmente le classi emergenti nel Trecento non riuscivano a capacitarsi della nascita di un
fenomeno senza precedenti storici, e cio il fatto che la fame invece di diminuire al crescere del
benessere progressivo della borghesia e dell'artigianato, andava aumentando. Quanto pi si
sviluppavano le citt, tanto pi le campagne finivano in miseria e tanto pi nelle citt andavano ad
allargarsi le fila dei diseredati privi di un vero lavoro, in grado di sopravvivere solo grazie ad
espedienti e all'assistenza pubblica, mentre tra le fila del proletariato manifatturiero, essendovi
un'eccedenza notevole di manodopera (quella ex-contadina rovinata dalla concorrenza), lo
sfruttamento era particolarmente intenso, con salari da fame. I salari si alzarono solo dopo l'arrivo
della peste, proprio a causa del decremento demografico.
La crisi del Trecento fu colossale non solo perch le carestie durarono pi di un secolo, ma anche
perch la peste si port via come minimo 1/3 della popolazione europea, e soprattutto perch la
borghesia non aveva sufficienti risorse per risolvere il fenomeno, inedito, della sovrapproduzione;
era infatti una borghesia priva di quegli immensi territori coloniali di cui potr disporre solo a
partire dal 1492.

I mondi slavo, bizantino, arabo e turco avevano impedito alla borghesia euro-occidentale di crearsi
un proprio dominio coloniale in oriente, salvo le eccezioni, geograficamente limitate, di Genova e
soprattutto di Venezia. La situazione collass proprio nel momento del suo massimo sviluppo, e da
questa crisi la borghesia riuscir a risollevarsi solo accentuando, internamente, il proprio monopolio
produttivo e l'assolutismo politico dei propri sovrani (dalle Signorie ai Principati), e solo dopo,
esternamente, aver sterminato le civilt precolombiane in America latina, e dopo aver occupato
alcuni punti strategici (scali portuali) lungo le coste africane e asiatiche.
Connesso allo sviluppo delluniversit si allinea lo sviluppo dell'istituzione cittadina per eccellenza,
nellItalia settentrionale, e cio: il Comune.
Nel rimescolarsi dei rapporti sino ad allora vigenti in tutti i campi, nel secolo XI, il Comune come
entit giuridica assume quella forma cos concreta che vedremo allargarsi a partire proprio dal
secolo XII.
Il Comune non ha una base territoriale vasta come le precedenti istituzioni ed appunto per questo
che pu sviluppare al suo interno, al meglio, tutte quelle attivit che man mano serviranno ad
ingrandire le mura della stessa.
Lattivit economica affidata alle corporazioni che la dirigono in maniera di solito impeccabile.
La popolazione vive allinterno delle mura senza troppi patemi, vi si possono trovare vecchi signori
feudali ridotti in povert e vecchi servi liberati, commercianti agiati e cavalieri senza terre, il
politico e lecclesiastico.
Le istituzioni giuridico-politiche del Comune cittadino sono un tratto caratteristico di quei secoli.
A seconda delle citt, possiamo trovare ordinamenti giuridici che sono al di l degli interessi
personali ed ordinamenti che, invece, non riescono a discernere linteresse pubblico dal privato.
Le prime norme scritte, dettate dallautorit imperiale, vanno a sostituire le vetuste consuetudini che
erano tramandate oralmente e sicuramente non erano esenti da contestazioni, qualora il caso da
giudicare fosse stato complesso.
Vediamo quindi che, in un certo senso, lintervento imperiale servito per dare una base solida allo
ius pubblico, pi di quanto troppo spesso non si voglia ammettere.
Proprio per questo motivo, alla oramai classica figura del notaio che interpreta a memoria le leggi,
subentra e sirrobustisce la nuova figura del giurista, come professionista che conosce il diritto
giustinianeo quanto quello ecclesiastico e traccia con sicurezza le sue teorie.
Anche se, a onor del vero, non dobbiamo dimenticare anche le altre figure del nuovo diritto come i
giudici, i consulenti, i procuratori, gli amministratori dei comuni, ecc. che, insieme ai primi,
formano la corporazione giuridica.
Tutti questi eminenti personaggi concorrono a far s che, in connessione con le vecchie strutture
feudali, si giunga ad un compromesso per lordinamento cittadino.

Lo sviluppo accelerato dei Comuni nel secolo XII, specialmente nella pianura padana, portatore di
nuovi e pi consistenti valori.
Anche le autorit ecclesiastiche, che sono ad esempio sede vescovile ma non detengono
possedimenti di origine comitale, sadoperano per lo sviluppo intenso dei Comuni, cosa che non
accade dove il vescovo ancora in possesso di territori vastissimi.
Ci sar poi il Comune che, per posizione e per funzione di guida, arriver a dominare una vasta
zona dinfluenza e a sottomettere altri piccoli Comuni dei dintorni (Milano e la sua provincia).
Le citt singrandiscono a vista e Milano arriva a sfiorare le centomila unit, togliendo cos ampi
spazi liberi allinterno delle mura per costruire nuovi edifici oppure allargando le mura stesse oltre
la cerchia primitiva.
Sorgono cos i primi palazzi pubblici (Palazzo del Comune, del Podest, ecc.) che danno
unimpronta diversa alla citt, non pi vista come solamente un centro mercantile di vasta portata,
bens come un centro dove si pu anche legiferare, con tanto di edificio adibito a tale scopo, non
pi, quindi, nella dimora di un signore o di un re, e questo senza dubbio un particolare importante
nella tematica di un concreto contesto giuridico.
A Bologna addirittura limperatore che appoggia le prime istituzioni cittadine per rendere meno
potenti il Vescovo o la Chiesa in generale, nelloramai cronico antagonismo che vede contrapposti,
su due fronti, potere temporale e potere spirituale.
In questo modo, ogni Comune si sviluppa in maniera differente luno dallaltro, servendosi ora della
chiesa ora dellimpero, senza mai escludere uno dei due, ai quali chiede aiuto in cambio della
propria fedelt.
Anche nel Comune, per, le qualit delle norme lasciano a desiderare, essendo utilizzate non
equamente nei confronti di tutti i cittadini, ma dando spazio ad interpretazioni personali quando si
tratta di persone eccellenti.
Proprio per questo motivo non si pu, certamente, parlare di potere pubblico da parte delle autorit
comunali in questo momento: ancora troppo si legati ad una concezione di tradizioni secolari di
potere personale.
Non tutte le persone che fanno parte della comunit sono soggette allordinamento giuridico. Chi
non soggetto a tale ordinamento, del tutto privato dogni tipo di partecipazione alla vita
pubblica, essenziale a quei tempi per essere considerato un cives.
I primi rappresentanti, diciamo cos legali, dallistituzione comunale, specialmente per quanto
riguardava le controversie con i vescovi o con i signori feudali del circondario erano i Consules, che
organizzavano leventuale lotta e i poteri di cui si circondano (militari, fiscali, amministrativi e
giudiziari), che gi da tempo non sono pi nelle mani del sistema ecclesiastico, in quanto non
vengono ritenuti conformi al magistero.

Il governo consolare in ogni modo in mano a ricche famiglie nobiliari, che detengono il potere in
maniera non dissimile dai dittatori illuminati, ed difficile trovare allinterno di unassemblea
civica ununit dintenti tra il popolo ed il console.
Pi spesso lunit frutto di manipolazioni e compromessi tra le varie fazioni della citt e ci
mostra, inequivocabilmente, com stato difficile per tutti concepire un organo collegiale, nel quale
si potesse trovare una qualunque forma di principio maggioritario sulle decisioni da prendere per il
bene della cittadinanza.
Capitava, molto speso, che la decisione fosse rimessa ad un esterno che nulla aveva a che fare con il
problema trattato, non dimenticando che il console generalmente non durava in carica per pi di un
anno.
Ci la dice lunga sulleffettivo potere che il console esercitava: questultimo era del resto portatore
di unindubbia diffidenza da parte delle grandi casate nobiliari della citt.
A coadiuvare i consoli troviamo normalmente un consiglio detto di credenza, perch chi ne faceva
parte era ritenuto un uomo degno di fede.
Anche i cives entrano a far parte di questorganismo nel momento in cui si sviluppa la prima parte
delle lotte tra limperatore germanico e i comuni lombardi, ma non certamente a scapito dei padroni
veri della citt che, nel contempo, aumentano il numero dei loro consiglieri a dismisura.
I Comuni, in realt, disponevano dellarengo o assemblea per dibattere i problemi inerenti
lordinamento comunale, e qui si prendevano delle decisioni che poi venivano ampiamente
codificate e redatte dopo essere state votate.
Per svolgere le mansioni istituzionali del Comune vengono creati degli uffici, se cos possiamo
chiamarli, dove la burocrazia del tempo s'industriava ad amministrare con oculatezza e si
destreggiava alla meglio, partendo dal presupposto che chi otteneva questo incarico doveva disporre
della propria casa come ufficio vero e proprio e doveva anche dar fondo a parte dei suoi mezzi
personali. Tale incarico era di durata non eccessiva e di solito era affidato ad un mercante, che
poteva ovviamente disporre di larghi mezzi finanziari e altres di unabitazione atta ad essere
utilizzata come ufficio.
DUE PROBLEMATICHE BASILARI NEI RAPPORTI TRA COMUNI ITALIANI E POTERE
IMPERIALE
Le proposizioni erano molte e sempre con argomentazioni forti, da trarre a freno anche il pi astuto
e preparato degli studiosi del tempo.
Innanzi tutto, bisogna porre il problema dicotomico sulla possibilit o meno di legiferare da parte
(nel nostro caso) dei Comuni dellItalia settentrionale e poi, susseguentemente, la seconda
dicotomia sul riconoscimento o meno del valore del diritto statutario sul diritto romano imperiale.

Si pu affermare che la seconda dicotomia sia assolutamente inscindibile dalla prima perch legata
alla sua piena affermazione (in caso contrario, avremmo avuto la piena potest imperiale senza la
valorizzazione del diritto statutario).
Il trattare queste questioni, da parte dei giuristi dellepoca, significava prendere una parte
importante nella contesa, perch non si trattava di dare solamente una risposta a delle richieste
particolari dellimperatore e dei Comuni italiani, ma di esprimersi compiutamente sui diritti di
sovranit o meno dellimperatore stesso sulle civitas.
Riteniamo anche opportuno chiarire che, in ogni modo, i Comuni non avevano alcuna intenzione di
venir meno alle loro qualit di federati imperiali, ma solo di ottenere una propria disciplina (e, a
questo proposito, essi si sono sempre mossi nel rispetto ed in osservanza del sistema imperiale
esistente).
I giuristi erano quindi chiamati ad elaborare delle soluzioni derivanti dal diritto romano stesso.
In sostanza, dovr essere lo stesso diritto romano a codificare efficacemente lo ius statuendi delle
comunit italiche e a creare una nuova situazione legislativa nellimpero stesso.
Gaio, con il suo Omnes Populi, dar un aiuto insperato nell'affrontare questa nuova situazione
giuridica, senza prescindere dal codice giustinianeo.
Attorno a questo libretto si cimentarono i pi importanti interpreti del diritto nellarco di tre secoli,
da Irnerio a Bartolo di Sassoferrato, accendendo dispute magistrali sulluso delle norme statutarie e
sui diritti acquisiti o meno dai Comuni italiani.
E proprio da questo frammento, passato cos prepotentemente alla storia seppure nella sua brevit,
che vogliamo partire per analizzare le problematiche inerenti al gi citato diritto di sovranit
dellimperatore sui comuni lombardi, o meglio settentrionali, e sulle dispute avvenute durante
limpero di Federico I detto il Barbarossa.
Riporto il frammento gaiano: Omnes populi, qui legibus ert moribus regentur, partim suo proprio,
partim communi omnium hominum iure utuntur. Nam quod quisque populus ipse constituit, id ipius
proprium civitatis: quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes
peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi que iure omnes gentes utuntut .
E palese e risulta evidente immediatamente come Gaio esprima chiaramente il diritto comune a
tutte le genti (in questo caso il popolo dellimpero) e un altro diritto proprio delle civitas: da qui, a
trarre che ogni citt poteva dotarsi di una propria legiferazione il passo era breve.
Era chiaramente ancor pi palese che questo principio era in netta contraddizione con quello
espresso nelle stesso codice giustinianeo e che diceva: leges condere soli imperatori concessum
est.

In tal modo spettava solo allimperatore interpretare le leggi e solamente a lui spettava lultima
parola sulle leggi da creare, a lui e solo a lui ci si doveva rivolgere e nessun altro aveva il potere di
farlo.
Qui espressa chiaramente la sovranit imperiale che pareva escludere, senza troppe discussioni ed
in modo assoluto, qualsiasi altra fonte produttiva che non fosse quella dellimperatore stesso.
Bisognava quindi superare questa difficolt non certamente priva dinsidie e di valori nascosti in
ogni circostanza, venuti alla luce dopo studi difficili e laboriosi.
LE ORIGINI E L'ESPRESSIONE GIURIDICA NELLA CONCEZIONE DELLO IUS COMMUNE
"Ius commune" signific un senso tipicamente medievale di intuire concettualmente la scienza
giuridica, per costruire e conciliare, all'interno di una comprensione logica e razionale, il diritto
romano dell'ordinamento universale e i vari diritti che si richiamavano agli ordinamenti particolari.
Tale espressione indic, quindi, il diritto romano imperiale concepito come elemento di un sistema
organizzato di fonti giuridiche coesistenti nel quale esso, come diritto generale e universale, si
coordinasse secondo certe regole ai diritti locali e particolari.
E' importantissimo a nostro giudizio capire le intensit, diciamo cos, concettuali dell'idea di ius
commune, perch su di essa si fonda tutto il sistema di diritto del XII secolo e cos si rende
indispensabile utilizzarla come strumento per comprendere un dato storico d'immensa portata, tanto
da far breccia nelle vicende delle nazioni annesse all'impero.
I giuristi italiani (glossatori e poi commentatori) si sono industriati a legittimare l'antico diritto
quale diritto vigente dell'impero e coordinarlo poi con le fonti locali, con stupefacente lavoro
dinterpretazione in senso moderno.
Facendo un passo indietro e tornando alle origini, il rapporto fra il diritto romano unum ius
dell'impero e la molteplicit dei diritti particolari entro l'impero stesso fu all'origine dello ius
commune.
L'ignoto autore delle Quaestiones de iuris subtilitatibus ci fornisce qualche osservazione
convincente in proposito.
Afferma infatti che in seno all'impero "discreti et loco et imperio populi diversa iure sectantur",
mentre precedentemente diceva che "quod quisque populus ipse sibi ius proprium est ispius
civitatis.Hinc evenit, ut multi populi non modo moribus, verum etiam scripte constituant sibi iura
legibus contraria".
Il quadro chiaro, il contrasto che nesce lampante, lo ius proprium degli ordinamenti particolari
in contrapposizione all'unum ius dell'impero gi di fatto esistente al tempo.
Il Galasso a tal proposito osserva che nella concezione giuridica medievale, l'unum ius si
contrappone al complesso degli iura propria di ciascun popolo e rappresenta lo ius commune, vale a

dire quell'unit da cui la molteplicit di questi diritti deriva, secondo il principio della filosofia
tomistica "omnis moltitudo derivatur ab uno".
Cos, anche attraverso il frammento di Gaio possiamo rintracciare alcuni elementi riguardo
l'espressione di ius commune.
Era il diritto delle genti, basato sulla "naturalis ratio" o patrimonio collettivo dell'intera comunit
umana, da cui si potevano distinguere gli iura porpria delle singole civitates, patrimonio anche
dello stesso diritto di Roma: "Omnes populi qui legibus et moribus regentur partim suo proprio
partim communi omnium hominum iure utuntur".
Il diritto romano diventa insomma nel concetto medievale ius commune, e in altre parole diventa
diritto universale emanato potenzialmente a favore delle esigenze dei comuni componenti la
cosiddetta "respublica christiana", ed il suo destino quello di dover servire tutte le popolazioni con
ordinamenti giuridici particolari.
In sostanza, l'impero e il suo diritto (ius commune) formano un tutto, a cui si collega in perfetta
subordinazione l'insieme dei diritti e degli ordinamenti di ogni singola unit dell'impero stesso (ius
proprium).
Concettualmente, potremmo definire questa situazione in tal modo: si presuppone l'esigenza di un
sistema normativo unitario in cui rientrino sia le norme comuni sia quelle particolari che sono una
deviazione delle prime.
Cos, il concetto dogmatico di diritto comune trae la sua giustificazione da un altro diritto che non
comune.
L'idea di diritto comune nasce quindi da un'esigenza universalistica fondamentale: l'impero romanocristiano e poi romano-germanico.
Il diritto comune presentato quindi come superiore a qualsiasi altro diritto, omnicomprensivo ed
universale, valido per ogni scopo ed ogni fine.
Indubbiamente questa una presentazione del diritto in veste sicuramente gerarchica, che postula
un sistema di fonti normative facenti capo alla ratio iuris communis, in cui il diritto comune la
sorgente donde derivano tutti i diritti particolari.
E' in posizione di preminenza gerarchica, cos collocato dai giuristi allo scopo di rendere ben chiara
la sua grandezza in un mare dordinamenti.
I RAPPORTI TRA LO IUS COMUNE E LO IUS PROPRIUM E LA CONCEZIONE
UNIVERSALISTICA MEDIEVALE
Tutti i rapporti fra ius comune e lo ius proprium sono edificati nei secoli dodicesimo e tredicesimo
dalla scienza giuridica in modo ordinato e, dato che sistituiscono vincoli che coordinano sia le fonti

di Giustiniano sia quelle relative ai diritti particolari, questi ubbidiscono a prefissati criteri
gerarchici di funzionamento.
Nonostante tutto questo sia pi che altro astratto e artificioso, tale costruzione originaria, resa da chi
studiava diritto, non stava nellestrinsecare i vincoli di coordinazione che li avviluppavano, come in
una subordinazione dello ius proprium allo ius comune, ma nellinserirsi in una pi vasta
operazione che potremmo definire culturale, nellambito degli sconvolgimenti etico-politici
dellepoca.
Si possono riconoscere le forze trainanti di questimpostazione culturale nella chiesa, nellimpero,
begli ordinamenti monarchici, nei comuni, nei feudi e nelle corporazioni: da loro trae forza e
progredisce limpalcatura giuridica medievale nelle sue varie forme.
Il diritto cos riflette sempre il sistema dei valori di una societ ed il concetto che questultima ha
della giustizia.
Lidea del diritto comune viene ad esprimere lunit suprema della legge universale che fungeva da
collegamento e conciliava la molteplicit complessa delle leggi particolari: si poneva allora come
naturale veste giuridica del pi alto ideale di giustizia e darmonia politica del medioevo.
Comprendiamo quindi perch si possa parlare di universalistico e particolaristico al tempo stesso e
come sia proprio la stessa frammentazione particolaristica a dar vita allidea universalistica.
In tutto il continente europeo, e in special modo in Italia, stava emergendo una molteplicit
impressionante di stati sovrani e di citt-stato che, sebbene legate allimpero, erano e volevano
essere indipendenti giuridicamente.
Cos il concetto, espresso fino ad ora, di diritto comune si lega e si collega al problema o meglio ai
problemi della pluralit degli ordinamenti giuridici che derivavano dallimpero stesso che a sua
volta, come abbiamo gi visto, era sorretto da una fortissima connotazione ideologica legata allidea
universalistica.
Il vincolo degli Stati era quello della cristianit unita, ma non quello dellubbidienza cieca e
assoluta allimperatore, quantunque essi, a differenza daltri Stati (come quelli dellItalia
meridionale), vivessero sempre come sudditi fedeli dellimperatore stesso.
Dobbiamo, quindi, far capo a questo modo di concepire lideologia nel medioevo se vogliamo
comprendere meglio la situazione venuta a crearsi (certamente cos lontana dai nostri schemi attuali
ma necessaria) e renderci conto dei motivi per cui lunum imperium, e il suo ideale, avesse ancora
ragione dessere in questo periodo storico mantenuto con vigore in maniera linda e netta.
Lideale universalistico era capace di sprigionare suggestioni altissime, sia di tipo religioso sia
culturale, fino ad esaltare e giustificare anche il modo datteggiarsi degli imperatori stessi che si
sono susseguiti sul trono di Roma, cominciando da Ottone I che nel 962 aveva annesso
automaticamente la corona del sacro imperium a quella tedesca.

Essi si dicevano discendenti diretti dei cesari romani e questo simbolismo era autentico per i valori
che esprimevano sempre, nella direzione di una tradizione formale e ufficiale.
Non a caso Federico I, formidabile avversario del papato e dei Comuni e rappresentante dellidea
imperiale nella sua forma pi consapevole e matura, appare fra i pi convinti sostenitori della
romanit del suo imperium ed il primo fra gli imperatori a denominarlo sacrum.
E, appunto, questo concetto dautorit dogmatica dimperium, che i giuristi medievali cercano di
esprimere utilizzando anche la plenitudo potestatis dei nuovi monarchi.
E' ancor pi significativo che questi ultimi non abbiano saputo dare nessun altro fondamento di tipo
teorico al loro potere e allesercizio di questo come regno proprio, al di fuori di quello teorizzato
cos adeguatamente al loro caso dalla base giuridica romanistica.
Tutto ci non imped, peraltro, di far s che i Comuni cittadini italiani usassero a loro volta le tesi
dei giuristi per rendersi autonomi ed indipendenti, con lo schema: universitas superiorem non
recognoscens, come dire che essi avevano titoli necessari ad esercitare nei loro possedimenti tutti
quei poteri del monarca e perci tantum iuris habet in territorio suo quantum imperatum in suo
imperio.
Si pu quindi intuire il collegamento tra il diritto comune, diciamo cos primitivo, e le nuove
ordinanze giuridiche scaturite dalle successive elaborazioni dottrinali giuspubblicistiche.
I GIURISTI MEDIEVALI DI FRONTE AI PROBLEMI FONDAMENTALI DEL DIRITTO
COMUNE
I giuristi medievali, affrontando il problema di far emergere un fondamento che in seguito pot
essere legittimato nellinsieme dei poteri che di fatto ciascun ordinamento, nella piena espressione
della sua autonomia, esercitava per autogovernarsi, gettarono il loro sguardo alla potest di emanare
norme giuridiche, che sembrava essere la pi importante tra le funzioni degli ordinamenti comunali.
In altre parole, il problema era quello di legittimare a pieni poteri le citt comunali, come padrone di
uno ius proprium, e a questo proposito si poteva parlare di problema teorico e politico allo stesso
momento.
Nelle Quaestiones de iuris subtilitatibus si poteva trovare qualche fonte riguardante
questargomento e precisamente quando si riconosceva lo ius proprium come preminente fra i poteri
di un populus: ut legem condat, conditam interpretatur.
Da qui, a capire il perch i Comuni italiani rivendicassero con tanta bramosia e gelosia la potest di
darsi statuti propri, il passo breve; questo anche se i detti statuti sarebbero andati contro lo ius
comune (applicandoli alla lettera) o non avessero seguito lo ius comune.
Fino a quasi tutto il XIII secolo resister questa situazione, nonostante il fatto che i pi valenti
giuristi cercassero sempre ed in ogni modo di esentarsi dallimporre lassoluta precedenza della
norma statutaria.

Anzi, ribaltando la situazione venutasi a creare, essi difendono la preminenza del diritto comune su
quello particolare, o meglio su quelle norme di diritto particolare che contrastano con il diritto
comune.
Lo spirito del sistema suggerisce loro una visione in cui il diritto dellimpero appare davvero
quellunum supremo ed universale che non implica la scomparsa dogni legge concorrente, ma al
quale tutti gli altri diritti devono coordinarsi e subordinarsi.
In verit, tutte queste chiarificazioni sul modo dimpiego dellespressione ius comune non si
possono certo esaurire in un modo cos semplice.
Ci che cinteressa ora vedere come, invece, non si esaurisce nel tempo medievale la portata
storica del concetto appunto di diritto comune.
La giurisprudenza medievale cerc di organizzare e coordinare sistematicamente tutte le fonti,
contrapponendo uno ius comune universale allo ius novum, in altre parole lassieme dei diritti
particolari.
Il complesso di queste coordinazioni, da parte dei giuristi, port ad una misura di ius vetus e ius
novum.
In sostanza, partendo da una rigorosa attivit dinterpretazione di dogmi giustiniani, attraverso non
facili elaborazioni, si raggiungeva uno spirito nuovo nelle fonti giuridiche dettate da una versione
diversa di veduta socio-culturale.
UNO SGUARDO AL SISTEMA UNIVERSITARIO MEDIEVALE
Si pu tranquillamente affermare che, con Irnerio, nasce la prima universit, intesa in senso
moderno, in Italia e sicuramente la prima in Europa, per gli studi giuridici.
Il nome che la Bologna medievale si guadagna di "citt dotta" (termine che rimarr indelebile anche
nei nostri giorni), lo deve appunto a tutta quellattivit peculiare e in continuo crescendo che Irnerio
ha impostato allinizio del XII secolo e che poi proseguita con i suoi diretti discepoli.
E chiaro, sin da ora, che la Scuola di Bologna sar sempre al fianco dellimperatore nelle dispute
giuridiche, proprio per laccentuarsi di quella peculiarit che si potrebbe chiamare elitarismo
scolastico e quindi dinserimento in quella fascia alta della popolazione che detiene il potere.
Questa affermazione permeata di unattenta visione dellimmagine che abbiamo dIrnerio, quando
insegna: egli non un oratore che pubblicamente spiega le sue teorie allinterno della sua
Universit, ma un oratore che raccoglie solamente quei discepoli o studenti pronti a recepire i
suoi insegnamenti in modo interessato ed attento, pronti a seguirlo ovunque e tendenzialmente
fedeli alla sua immagine.
Veniamo a vedere meglio come si prepara un corso medievale.

Il maestro svolge le lezioni prevalentemente nella sua dimora, cos da eliminare chiunque non sia di
suo gradimento.
In genere, questo contesto forma la cosiddetta comitiva, che altro non che linsieme degli studenti
con il loro proprio professore che li chiama familiarmente mei socii.
Non esiste nessuna formalit per poter partecipare al corso se non, beninteso, quella di pagare una
quota al maestro.
Lunico atto, diciamo cos formale, era quello dellesame finale per il giovane giurista in un luogo
pubblico, ove il laureando si poteva esibire in tutto il repertorio di diritto romano ed ecclesiastico.
Anche i programmi variavano da maestro a maestro e da alunno ad alunno, evidenziandone la
preparazione pi o meno specifica, denunciandone i limiti e le pretese.
Nei secoli XI-XII lItalia centro-settentrionale aveva visto svilupparsi il sistema comunale, con cui
la borghesia aveva progressivamente sottomesso, sul piano economico, il contado e buona parte dei
patrimoni ecclesiastici e feudali, costringendo gli aristocratici pi deboli a trasferirsi in citt,
prestando servizio militare nella milizia, oppure vendendo le terre ai nuovi ricchi e svolgendo
funzioni burocratiche (nobilt di corte), oppure occupandosi di commercio.
Il passaggio dai Comuni alla Signorie si verifica quando il sistema di vita borghese presenta
contraddizioni tali che la borghesia, tenendo in piedi le istituzioni tradizionali del Comune, avverte
di non essere in grado di affrontare. Di qui lesigenza di un governo forte, autoritario, che rendesse
puramente formale la funzione dei parlamenti locali ed eliminasse molte rigide norme del
corporativismo artigiano medievale, in virt delle quali simpedivano i facili guadagni. (1)
In particolare erano stati i minacciosi moti popolari urbani a impensierire la classe dirigente, che ad
un certo punto prefer sostituire lordinamento repubblicano con la dittatura di un tiranno, che
poteva essere un condottiero militare a capo di truppe mercenarie, un grande feudatario, un
popolano influente, un podest le cui mansioni erano state notevolmente ampliate e prolungate nel
tempo. Non era importante n il modo in cui realizzare il colpo di stato n la provenienza sociale
del tiranno, ma che si facessero gli interessi dei ceti pi elevati.
Le Signorie si formarono in un contesto politico dominato da due partiti prevalenti: guelfo (i cui
capi erano il papato e gli angioini) e ghibellino (i cui capi erano gli imperatori tedeschi). Sono
queste due autorit (papato e imperatore) che riconoscono il titolo di vicario (principe, duca,
marchese) a un signore di uno Stato territoriale, il cui potere diventa dinastico, ereditario, assoluto
(tutte le nomine nei ruoli di prestigio vengono fatte dallalto).
A questa trasformazione dei Comuni democratici in Signorie monarchiche contribu parecchio la
presenza delle compagnie di ventura, un sistema di eserciti mercenari pagati dai mercanti e dagli
imprenditori arricchiti. Gi allinizio del XIV sec. i condottieri di queste compagnie avevano
assunto un ruolo di primo nella vita italiana. Peraltro furono proprio le compagnie di ventura
interamente italiane che, con una crociata pontificia del 1366, eliminarono dalla penisola tutte
quelle di origine straniera (guasconi, bretoni).

Quasi tutti i signori locali del XIV e XV sec. erano stati condottieri militari: i Malatesta, i Polentani,
i Gonzaga, gli Scaligeri, gli Estensi, i Montefeltro e alcuni Visconti.
Linstaurazione delle Signorie determin in generale laumento delloppressione fiscale, portando a
un ulteriore impoverimento delle masse popolari della citt e della campagna; e rafforz il
frazionamento dellItalia, poich i tiranni erano sovente in guerra tra loro per il dominio del mercato
estero e per la conquista di nuovi territori.
Tuttavia va detto che la borghesia non ama la frammentazione, ma l'unificazione, sicch non si pu
sostenere che l'unit nazionale fu impedita dal grande sviluppo delle citt bassomedievali. La
borghesia ama la semplificazione dei commerci e non la diversificazione dei pesi, delle misure,
delle monete, n pu apprezzare che le proprie merci siano sottoposte a molteplici dazi e dogane a
seconda dei territori che attraversano.
Se in Italia non avvenne l'unificazione nazionale nei secoli in cui si form quella di Francia,
Inghilterra, Spagna e Portogallo, non fu solo per colpa di una borghesia poco determinata, poco
risoluta. Se fosse dipeso esclusivamente da lei, essa avrebbe potuto realizzarla anche prima, visto
che i primi Comuni borghesi risalgono al Mille.
L'Italia comunale si seppe liberare dell'ingombrante presenza imperiale gi alla fine del XIII sec.
Se, dopo il dominio svevo, la chiesa non avesse chiamato gli Angioini, che occuparono tutta l'Italia
meridionale (ad eccezione della Sicilia, da dove gli isolani li cacciarono con l'aiuto degli
Aragonesi), e che protessero enormemente gli interessi del papato, che considerava il Mezzogiorno
un proprio feudo, probabilmente avremmo avuto l'unificazione nazionale prima che altrove. Nel
senso cio che le varie borghesie urbane avrebbero saputo trovare il modo di coesistere, riducendo a
un nulla il potere politico del papato, che in Italia ha sempre costituito la principale forza di tipo
feudale.
Prima degli Angioini infatti la Chiesa era spalleggiata dai Normanni, ma con l'acquisizione dei
territori meridionali da parte degli imperatori svevi, si aprivano scenari diversi dagli avvenimenti
che effettivamente accaddero. Gli Svevi avrebbero potuto benissimo realizzare l'unificazione della
penisola, eliminando lo Stato della chiesa, a condizione di cercare il consenso della citt: cosa che
per non fecero mai. Anzi, accadde proprio il contrario: fu il papato che riusc a ottenere il consenso
della borghesia in funzione antimperiale, scongiurando cos il proprio accerchiamento geo-politico.
Fu proprio in quel periodo che la Chiesa si vide costretta a cedere alla borghesia ampie prerogative
economiche, pur di scongiurare l'unificazione politica della penisola. La presenza angioina e poi
quella aragonese nell'Italia meridionale, unitamente a quella feudale dello Stato della chiesa,
segnarono il destino antiborghese nella met della penisola.
Quanto alla borghesia delle grandi citt, come Firenze, Pisa, Venezia, Milano e Genova, essa, non
avendo trovato in nessun sovrano feudale qualcuno che potesse davvero difenderla nei suoi interessi
economici, si accontent di poter esercitare liberamente i propri traffici commerciali, limitandosi sul
piano politico a sviluppare degli Stati di tipo regionale come appunto le Signorie e i Principati.

Cio la borghesia italiana non riusc a realizzare non solo alcuna monarchia nazionale di tipo
assolutistico o costituzionale, ma neppure uno Stato di tipo federale, in cui, pur in presenza di un
governo centrale, le varie realt locali fruissero di ampia autonomia politica, amministrativa ed
economica. Anzi, i vari Stati regionali erano perennemente in lotta tra loro, soprattutto quando
cercavano di espandersi geograficamente. E ognuno di loro, pur essendo forte economicamente,
cercava di appoggiarsi a forze straniere, quando ne avvertiva la necessit sul piano militare.
Questo per dire che l'unificazione nazionale avrebbe potuto sorgere anche dal basso, grazie alla
volont democratica della borghesia, che, per quanto "classista" fosse, era pur sempre pi aperta e
laica di quella clerico-feudale. Tale unificazione non fu certamente impedita dalla forte autonomia
cittadina, sia perch la borghesia, da un lato, aveva gi saputo difendersi dall'autoritarismo feudale
degli Svevi, sia perch, dall'altro, aveva gi saputo allargare le maglie ideologiche di una chiesa
che, volendo restare a tutti i costi "politica", era sempre pi costretta ad accettare vari compromessi
che ne limitavano gli spazi di manovra.
Alla borghesia non restava che il compito di unirsi come "classe nazionale", al fine di eliminare il
fardello dello Stato della chiesa e della presenza straniera nella penisola. Questa cosa per non
riuscir a farla, se non alla fine dell'Ottocento e grazie ad uno Stato regionale che non aveva
neppure caratteristiche e tradizioni italiane, bens francesi (anche nella lingua), uno Stato pi
autoritario che democratico, pi militare che economico, ma sufficientemente intelligente da capire
che, senza l'appoggio della borghesia, l'unificazione nazionale sarebbe stata impossibile, n avrebbe
avuto senso cercarla con l'appoggio di una potenza straniera, la quale, inevitabilmente, raggiunto
l'obiettivo, non si sarebbe certo fatta da parte.
I Savoia furono l'anello mancante di uno sviluppo borghese pi economico che politico e di una
presenza politica feudale che in Italia ostacolava un adeguato sviluppo economico borghese.
Quando capirono che con la borghesia italiana si poteva compiere l'unificazione politica,
rinunciarono all'alleanza con la Francia.
Firenze
Sui 90.000 abitanti di Firenze nel secolo XIV, solo 5-6 mila persone godevano dei diritti politici.
Essi eleggevano il governo della repubblica, il priorato o signoria, formato da sette uomini
capeggiati da un gonfaloniere di giustizia. Il governo fiorentino, servito dalle truppe mercenarie
comandate da condottieri, svolgeva una politica di conquista.
Fu dopo la repressione del tumulto dei Ciompi (1378) che venne instaurata la dittatura delle
famiglie pi ricche: Albizzi, Uzzano e Strozzi, e dal 1434 i pi importanti banchieri dItalia, i
Medici. Sfruttando gli insuccessi degli Albizzi nella guerra contro Lucca, Cosimo de Medici
ottenne che fossero cacciati dalla citt e divent di fatto il padrone dello Stato, che resse per 30 anni
(1434-1464).
Pur allontanandosi in sostanza dai metodi repubblicani di governo, Cosimo formalmente rimase
fedele alle forme repubblicane: sotto di lui la commissione governativa (o balia), i cui membri erano
scelti dallo stesso Cosimo, eleggeva per un quinquennio i funzionari pi importanti. Per nessun
provvedimento statale veniva reso esecutivo senza lapprovazione di Cosimo. I Medici sostituirono

la tassa personale con unimposta sul reddito, al fine di rovinare i loro concorrenti, diminuendone
limportanza politica, e avere il consenso della popolazione non abbiente.
Il carattere tirannico del governo dei Medici divenne chiaro sotto il nipote di Cosimo, Lorenzo il
Magnifico (1469-1492), con la completa sommissione alla sua volont della commissione
governativa dei Settanta. La corte di Lorenzo ostentava uno sfarzo mai prima visto (feste e tornei si
succedevano senza interruzione) e ospitava scrittori, poeti e pittori di chiara fama. Sfruttando la
propria posizione politica, i Medici si arricchirono per mezzo di grandi operazioni bancarie e il
saccheggio diretto dellerario statale. In politica estera essi si avvicinarono al papato, tanto che uno
dei figli di Lorenzo divent papa.
Venezia
Il potere in Venezia era esercitato dal patriziato cittadino, composto dai proprietari di terre, cantieri,
saline, tessiture, vetrerie, banche. Alla testa della repubblica era il doge, che esercitava il potere
esecutivo e comandava le forze armate. Il suo potere era molto limitato dal Gran Consiglio e dal
Piccolo Consiglio, composti dagli esponenti del patriziato. Lorganizzazione e larte della
diplomazia veneziana erano considerate le migliori in Europa.
Il principale avversario di Venezia fu Genova, per il controllo dei traffici nel Mediterraneo orientale
e la spartizione dellImpero bizantino, che si stava sfaldando sotto la pressione musulmana. Le
ostilit iniziarono verso il 1200 e terminarono solo con la caduta di Costantinopoli.
Tra gli ultimi decenni del XIV sec. e i primi del XV Venezia, guidata da una ristretta casta di
militari e mercanti, riusc a conquistare l'entroterra italiano, spostando il suo baricentro pi ad
occidente.
Alla fine del Trecento, per contrastare le mire espansionistiche del ducato di Milano, Venezia
assunse compagnie di mercenari guidate da famosi capitani di ventura come il Gattamelata (Erasmo
da Narni) o il Carmagnola (Francesco da Bussone), conquistando parte dei territori lombardi.
Nel periodo che va dal 1433 al 1454 i Visconti e poi gli Sforza furono costretti a riconoscere a
Venezia molti loro territori: con la Pace di Lodi (1454) Francesco Sforza riconobbe il confine
veneziano all'Adda a ridosso di Milano, dove rimase pressoch invariato per secoli.
All'apice della sua potenza, Venezia controllava gran parte delle coste dell'Adriatico, molte delle
isole dell'Egeo, inclusa Creta, e varie rotte commerciali nel Vicino oriente. Il territorio della
Repubblica nella penisola italica si estendeva fino al Lago di Garda, al fiume Adda ed anche a
Ravenna, da cui riusciva ad influenzare la politica delle citt della Romagna, allora sotto il dominio
pontificio.
All'inizio del XVI secolo la Repubblica veneta era una delle principali potenze europee e la
ricchezza dei traffici, l'abilit di diplomatici e comandanti militari e una buona amministrazione la
ponevano ad un livello superiore a quello di altri Stati del tempo.

L'allargamento territoriale della Serenissima entr in contrasto con l'idea espansionistica del
pontefice Giulio II, che convinse i francesi del re Luigi XII, e limperatore Massimiliano d'Austria a
formare unalleanza nel 1504 diretta contro la Serenissima, unalleanza che divenne quattro anni
dopo la Lega di Cambrai, che comprendeva anche il re Ferdinando II d'Aragona, lInghilterra, la
Savoia, Mantova e Ferrara, mentre Firenze rimaneva neutrale perch impegnata a piegare la
resistenza di Pisa.
Battuta dai nemici stranieri e italiani, abbandonata dai nobili e ricchi borghesi delle sue citt di
terraferma, i quali diedero le chiavi di tutte le citt ai francesi, la Repubblica fu duramente sconfitta
da questultimi, anche se poi contrattacc e riconquist Padova con l'aiuto del popolo, che non
tollerava il malgoverno imperiale di Massimiliano.
Il predominio francese sul nord Italia fu sentito come una minaccia da Giulio II, che sigill la pace
con i Veneziani e nel 1511 Venezia entr, con Inghilterra, Spagna ed Impero nella Lega Santa
promossa dal pontefice contro la Francia. La lega costrinse alla ritirata l'esercito francese, ma i
Veneziani, visto che Massimiliano reclamava il possesso dell'intero Veneto se la Repubblica non
avesse pagato un forte tributo annuo di 30.000 fiorini e 200.000 per l'investitura, si orientarono
verso la Francia per cacciare gli imperiali da Verona e dalla Lombardia Veneta, territori ancora sotto
il dominio imperiale.
Alla fine delle guerre d'Italia tra francesi e spagnoli, Venezia aveva consolidato il suo dominio
territoriale, ma si trovava circondata da potenze continentali (la Spagna nel Ducato di Milano,
l'Impero degli Asburgo a nord, l'Impero ottomano ad oriente), che le precluderanno ogni ulteriore
espansione. La Repubblica Veneta fu la pi lunga repubblica della storia italiana (circa 1100 anni):
per secoli una delle maggiori potenze europee.
Genova
Genova era governata dal patriziato cittadino insieme con laristocrazia feudale, anchessa
interessata al commercio marittimo. Era costantemente in lotta con Savona e periodicamente con
Venezia (questultima per il controllo dei traffici mediterranei orientali), e spesso combatteva contro
la Catalogna, per il controllo della Sardegna, della Corsica e dei traffici mediterranei occidentali.
Il momento di maggior splendore di Genova fu quando, nella battaglia della Meloria del 1284,
sconfisse la flotta pisana, dando inizio al declino economico e politico di Pisa.
Nel 1318 il governo della citt dichiar la propria dedizione a Roberto dAngi, re di Napoli e a
papa Giovanni XXII.
Il passaggio dal Comune popolare al Dogato perpetuo avviene nel 1339. Ma gi nel 1353 si verifica
la prima dominazione dei Visconti sulla citt. E nel 1396 vi la prima dominazione francese con la
Signoria di Carlo VI di Francia. La seconda dominazione dei Visconti sulla citt inizia nel 1421 e
termina nel 1436, ma riprende con gli Sforza nel 1463, durando, tra alterne vicende, sino al 1488.
Genova non ha mai avuto una famiglia davvero potente: le pi note furono Doria, Fregoso, Fieschi
e Adorno, perennemente in lotta tra loro. Il suo declino fu irreversibile dopo la caduta di

Costantinopoli, anche se notevole fu la sua trasformazione da potenza marittima commerciale a


potenza finanziaria.
Quando nel 1494 il re francese Carlo VIII scende in Italia, i genovesi appoggiano la politica
sforzesca e vengono sconfitti dai francesi, che nel 1499 inaugurano la seconda dominazione sulla
citt. Nel 1528, dopo che gli spagnoli avevano preso il sopravvento sui francesi per il controllo della
penisola italica, il doge Andrea Doria preferisce allearsi con Carlo V, chera Re di Spagna e
Imperatore del Sacro Romano Impero. Savona viene assoggettata a Genova e questultima nel 1528
torna ad essere una Repubblica indipendente e sovrana, in quanto il Doria rinuncia alla Signoria. Il
declino della Spagna sar fatale per le sorti di questa citt, che avr lultimo momento di splendore
nella seconda met del Cinquecento.
Milano
Milano, una delle pi grandi citt dItalia e dEuropa (oltre 100.000 abitanti), divent la capitale di
un grande ducato feudale, con la trasformazione delle istituzioni comunali in uffici ducali nel 1277,
allorch i Visconti (nobili ghibellini guidati dal vescovo Ottone) sconfissero i guelfi Della Torre,
andati al potere nel 1241 col titolo di Capitani del popolo. Scomparvero tutte le tracce della libert
cittadina comunale.
I Visconti ottengono il titolo di vicario imperiale nel 1311, dallimperatore Enrico VII di
Lussemburgo: il Principato nasce con Gian Galeazzo (1385-1402) che ottiene il titolo di duca
dallimperatore Venceslao di Boemia.
Nel 1450, quando Filippo Maria Visconti, morendo, si trov privo di eredi maschi, si ebbe un
tentativo di restaurazione dei poteri comunali (Repubblica Ambrosiana), che per viene soffocato
da Francesco Sforza, (comandante di una compagnia di mercenari al servizio dei Visconti),
avvalendosi del fatto che Filippo Maria gli aveva dato in sposa la propria figlia. Del nuovo casato
degli Sforza lesponente pi significativo sar Ludovico il Moro.
Il ducato praticava una politica bellicosa: si impossess di gran parte della Lombardia e mir a
espandersi vero est (ai danni della Repubblica veneta) e verso sud (ai danni di Genova, Piacenza,
Parma, Bologna, Pisa, Siena, Perugia, Lucca). Fu lalleanza militare di Firenze e Venezia a
ridimensionare le pretese dei Visconti e degli Sforza.
Nel corso della signoria di Ludovico il Moro, nel 1499 Milano diventa la prima delle signorie
italiane a cadere sotto gli attacchi della monarchia francese. Nella prima met del Cinquecento si
sviluppa la lotta per il predominio su Milano tra Francia da un lato e Asburgo d'Austria e Spagna
dall'altro. Prevale alla fine Carlo V con la battaglia di Pavia nel 1525 e nel 1535 Milano e il
territorio del ducato sono occupati dall'imperatore e inizia un periodo di 170 anni di dominazione
spagnola.
Ferrara
Nella prima met del Duecento Ferrara teatro di una lunga guerra tra due fazioni: luna era
capeggiata dalla famiglia guelfa dEste, che difendeva gli interessi dei feudatari del contado; laltra

era capeggiata dalle famiglie nobili ghibelline dei Salinguerra e dei Torelli, che difendevano gli
interessi dei ceti mercantili e che avevano come nemici il papato e Venezia, i quali riuscirono, nel
1240, con una potente coalizione antiferrarese, a mandare al potere gli Estensi. Il libero Comune di
Ferrara era vissuto per circa 150 anni.
Il marchese Azzo dEste, per diventare podest a vita, aveva dovuto far perdere alla citt, a tutto
vantaggio di Venezia, il ruolo di intermediaria dei traffici commerciali tra lItalia settentrionale e
lOriente. Ferrara veniva declassata a centro di approvvigionamento di materie prime a disposizione
delleconomia della stessa Venezia.
Alla morte di Azzo dEste il nipote Obizzo (1264-1308) diventa ufficialmente il primo signore della
citt, viene nominato dal papa Capitano generale e difensore dello Stato della Chiesa: il che
significava essere il capo dei guelfi dellItalia settentrionale. Egli si annette subito Modena e
Reggio, che appartenevano al Sacro Romano Impero, e tollera solo le corporazioni e le associazioni
utili al proprio Stato territoriale, dominando la citt con grande durezza.
Il successore di Obizzo ottiene il titolo di vicario dal papa. Tuttavia nella seconda met del
Trecento ha luogo la guerra coi Visconti per il possesso di Modena e Reggio e nel 1385 esplode
nella citt una rivolta antifiscale, che viene soffocata nel sangue.
Nel 1471 Ferrara diventa un ducato e quindi la signoria si trasforma in principato monarchico
nobiliare. Negli anni 1482-84 riesce a impedire dessere conquistata dallo Stato della Chiesa e dalla
Repubblica di Venezia, che in quelloccasione serano alleate. Tuttavia il destino di Ferrara fu
quello di diventare una provincia di confine dello Stato pontificio (1598), che la fece entrare in una
profonda crisi.
Stato della Chiesa
Lo Stato della Chiesa si presentava come un tipico Stato feudale capeggiato dal papa, che alla fine
del XIV secolo era ritornato in Italia dopo la temporanea residenza ad Avignone (1309-77). Il suo
ritorno fu caratterizzato da una serie di rivolte antipapali in molte citt italiane e dalla nascita del
grande scisma d'Occidente in cui i fautori del primato del concilio combatterono contro i fautori del
primato pontificio (1378-1417).
Regno di Napoli
Il regno di Napoli era governato dalla dinastia angioina, che nel 1443 venne soppiantata, in maniera
abbastanza complicata, da unaltra dinastia straniera: la casa dAragona. Successe che, in assenza di
eredi maschi, era salita al trono la nipote di Roberto d'Angi, Giovanna, sposata con Andrea,
fratello di Luigi, re d'Ungheria. I due coniugi, invece di unire le loro forze, avevano iniziato a
contendersi il primato sul regno, al punto che nel 1345 Andrea venne assassinato e del delitto fu
ritenuta responsabile proprio Giovanna. Ne segu un conflitto con il fratello dell'ucciso, che scese in
Italia con un suo esercito, costringendo Giovanna a fuggire da Napoli. Essa tuttavia pot farvi
ritorno perch aveva appoggiato il papa durante il grande scisma d'Occidente, ma venne assassinata
nel 1382 e il suo trono pass, per investitura dello stesso pontefice, al ramo di Durazzo della
famiglia angioina. Tuttavia quando nel 1414 sal al trono una nuova regina, Giovanna II, la

situazione si complic ulteriormente, in quanto alla sua morte, nel 1435, Alfonso V d'Aragona
(1396-1458) cerc di approfittarne per annettersi l'intero regno napoletano, trovando un insperato
appoggio da parte del duca di Milano Filippo Maria Visconti. Questo nuovo asse visconteoaragonese rimise in discussione gli equilibri politici stabiliti dalla pace di Lodi e permise ad Alfonso
d'Aragona di uscirne vincitore, riunificando nel 1443 nella sua persona le corone di Napoli e della
Sicilia.
Tratti tipici del napoletano erano larretratezza dellagricoltura e il predominio della servit della
gleba. Una grande quantit di mezzi veniva dissipata per mantenere il lusso sfarzoso della corte,
oppure veniva inghiottita dalle incessanti guerre, sia esterne che interne, contro i baroni meridionali
in lotta per lindipendenza.
Approfittando di questa complessa situazione, le compagnie bancarie fiorentine e veneziane che
servivano il re (prima francese, poi spagnolo), subordinarono ai propri interessi tutta leconomia del
regno, assumendo il diritto di riscuotere le imposte e il monopolio del commercio del grano. Tutto
ci rappresentava un peso assai gravoso per i contadini meridionali, sfruttati dalle prestazioni
gratuite di lavoro, dalle rendite fondiarie e dalle tasse di Stato.
Linizio della decadenza economica dellItalia
Nonostante la formazione di rapporti capitalistici, non era sorto in Italia un unico mercato
nazionale, il che ostacolava il loro ulteriore sviluppo. Nella campagna la manifattura aveva avuto un
incremento assai esiguo, e anche nei centri del commercio desportazione la manifattura era
applicata solo in alcuni settori dellindustria, soprattutto in quello tessile. Inoltre continuavano ad
esistere le corporazioni, cio una forma di produzione ancora feudale. Nelle manifatture si
impiegavano metodi di costrizione diretta, propri del modo di produzione del primo capitalismo:
salari bassissimi, vincolamento dei salariati allopificio, poteri giudiziari del padrone sulloperaio,
ecc.
Nel XV secolo vi fu un ristagno della produzione manifatturiera causato dalla concorrenza dei paesi
europei. Nellagricoltura il mezzadro, oltre alla met del raccolto, doveva consegnare al proprietario
una parte di prodotti sotto forma di donativi obbligatori. I mezzadri indebitati divennero ancor pi
strettamente dipendenti dai proprietari, che li costringevano a coltivare anche le terre padronali,
come nei rapporti feudali. Per la cattiva lavorazione del terreno il mezzadro poteva essere
condannato a versare una parte supplementare del raccolto, e talvolta veniva privato della terra.
Lampliamento del sistema della mezzadria ricevette forma legale in contrapposizione al lavoro
salariato libero, mettendo cos in grado i proprietari terrieri cittadini di avere a loro disposizione una
forza-lavoro costante e a buon mercato. Inoltre i proprietari limitarono lautonomia economica del
mezzadro, proibendogli di vendere il grano prima che il padrone avesse ricevuto la somma
dellaffitto, e obbligandolo a ricevere le terre e il bestiame da lavoro solo dal suo padrone. I
mezzadri che cercavano di fuggire venivano imprigionati.
In tal modo il processo della reazione feudale, iniziato in Italia nella seconda met del XV secolo,
significava non soltanto il ritorno alla servit della gleba, ma anche il mantenimento della
mezzadria, che prese forme oberanti.

Alle cause interne della decadenza economica dellItalia si unirono anche fattori esterni. Gi alla
fine del XIV secolo, il processo della lotta tra i vari Stati italiani venne complicato dagli
avvenimenti politici esterni, che determinarono serie conseguenze per lItalia. Alla fine del XV
secolo, in seguito alle grandi scoperte geografiche, e innanzitutto alla scoperta della via marittima
per lIndia e per lAmerica, che spost le vie del commercio mondiale sulle coste dellAtlantico,
lItalia perdette la sua importanza nel commercio mondiale.
In quello stesso secolo si formarono in Europa forti Stati centralizzati, ciascuno con una propria
industria manifatturiera in pieno sviluppo. Alla fine del XV secolo, la decadenza economica del
paese venne ulteriormente aggravata dalle invasioni straniere di Francia e Spagna.
Note
(1) Il compito primario di ogni corporazione di arti e mestieri era la difesa del monopolio
dellesercizio del proprio mestiere. Ogni corporazione tutelava la qualit dei propri manufatti:
infatti i regolamenti interni imponevano un rigido controllo sulluso delle materie prime, gli
strumenti di lavoro, le tecniche di lavorazione e gli standard qualitativi previsti. Esisteva anche il
principio delluguaglianza tra i soci, che in teoria doveva impedire azioni di concorrenza sleale tra i
membri della corporazione. In realt lo svolgimento delle attivit era vincolato a un ordine
gerarchico, che distingueva gli appartenenti alla corporazione in maestri (che possedevano le
materie prime e gli attrezzi e vendevano le merci prodotte nella propria bottega), apprendisti e
semplici lavoranti (garzoni), creando una notevole disparit economica tra gli iscritti. Le
corporazioni rivendicavano una competenza esclusiva nelle materie di loro competenza, come le
cause tra i membri e le infrazioni commesse verso i regolamenti. Ogni arte inoltre aveva un proprio
statuto ed era strutturata secondo vari organismi di rappresentanza, che col tempo tesero a diventare
sempre pi ristretti. Gli appartenenti alle Arti Maggiori erano imprenditori, importatori di materie
prime, esportatori di prodotti finiti, banchieri, commercianti e professionisti come giudici, notai e
medici; gli appartenenti alle Arti Minori erano tutti i maestri dopera e i loro lavoranti occupati nella
lavorazione del ferro, cuoio, legno, e nel settore alimentare in genere. Ci furono anche dei mestieri
che non raggiunsero mai la condizione di arte indipendente. Il popolo minuto (salariati) non
apparteneva a nessuna delle arti: solo quando si sollevava (come nel tumulto dei Ciompi del 1378)
riusciva a ottenere, a volte, la formazione di nuove Arti. Il coinvolgimento nella vita politica
cittadina delle Arti minori fu spesso ostacolato dalle Arti Maggiori. In Italia le corporazioni vennero
definitivamente abolite dal regime napoleonico.

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