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Dio, lesodo e il bene comune

Marco Fornerone
da Giovent Evangelica,n 211.

L'esodo un sovvertimento della realt, la creazione di una possibilit alternativa, che comincia cos
come il mondo con la parola, con il sovvertimento delle parole: al far entrare sotto la sua protezione
con cui il Faraone ammantava di magnanimit e significato salvifico le sue conquiste, viene opposto il
far uscire con cui Dio libera dalla schiavit il suo popolo Israele. Il linguaggio della propaganda
imperiale viene mutato nel suo contrario: il rifiuto, fondato nella sovranit del Dio d'Israele, di ogni
pretesa imperialista.
La grande narrazione dell'esodo invita continuamente al sovvertimento delle parole d'ordine con cui il
potere imperante cerca di imporre la propria come unica possibile descrizione della realt, per mantenerla
sotto il proprio controllo e imprigionarla in una stasi mortifera, proprio come il Faraone: Io non conosco
il Signore e non lascer affatto andare Israele (Es 5,2). Attraverso il loro sovvertimento, queste parole
possono invece diventare generatrici di una prospettiva alternativa, che orienti in modo nuovo la vita e la
convivenza sulla terra. Quella oggi da sovvertire la stessa parola di sempre del potere centrato su se
stesso, quella del pericolo-nemico che ne legittima l'esistenza e ne crea il mito salutare-salvifico. Quella
parola oggi si pronuncia crisi. Walter Brueggeman ha raccolto l'invito dell'esodo e, addirittura prima
che la crisi finanziaria esplodesse, scriveva: La pi grande delle crisi in cui ci troviamo quella del bene
comune, di quel senso di solidariet sociale che ci lega tutti a un destino comune. [Walter Brueggemann,
Viaggio verso il bene comune, Torino, Claudiana, 2011, p. 9. In questo articolo riprender, in modo pi o
meno libero, espressioni e concetti dallAutore.] Non la crisi economica il vero problema, il motivo
delle nuove almeno per l'ex-ricco occidente difficolt e sofferenze che ci troviamo davanti, ma quella
del bene comune. Questo passaggio di grande importanza, significa che ci che siamo chiamati a salvare
non il nostro sistema economico a prezzo del bene comune cio della sofferenza di alcuni, ma il bene
comune, anche e proprio a prezzo del nostro sistema economico. Con questo cambio di prospettiva
gi cominciato l'esodo dal regno di scarsit del Faraone, verso la pratica della socialit.
La Torah non si limita a descrivere il bene comune come orizzonte ideale dell'esodo, sul quale la
comunit avrebbe poi il compito di modellare le norme, ma pone delle norme pratiche, attuabili,
quotidiane, che rendono concreto quellorizzonte. Lungo la grande narrazione del cammino dell'esodo,
dalla liberazione (libro dell'Esodo) fino all'arrivo sul limitare della terra promessa che dovr essere il
paese della socialit (Deuteronomio), esse compaiono strategicamente posizionate all'interno delle tre
principali sezioni normative della Torah: nel libro del patto (Es 22,21-22; 23,9), nel legge di santit
(Lev 19,34; 25,38-43) e nel codice legale del Deuteronomio (10,19; 15,12-15; 24,17-22). Questi testi
presentano una medesima struttura: una norma di solidariet verso chi si trova in una situazione di nonautosufficienza economica, la cui ratio illustrata dalla memoria della schiavit in Egitto e della
successiva liberazione: Non calpesterai il diritto dello straniero o dell'orfano e non prenderai in pegno
la veste della vedova; ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di l ti ha liberato il Signore, il
tuo Dio; perci ti ordino di fare cos (Dt 24,17-18). Stabilendo delle norme, la solidariet non lasciata
alla buona volont: il diritto, che qui viene affermato, alla sussistenza e ad una vita dignitosa, diviene

dovere per chi si trova in una situazione di benessere ed autosufficienza: Se, mietendo il tuo campo, vi
avrai dimenticato qualche covone, non tornerai indietro a prenderlo; sar per lo straniero, per l'orfano e
per la vedova, affinch il Signore, il tuo Dio, ti benedica in tutta l'opera delle tue mani. Quando scuoterai
i tuoi ulivi, non tornerai per ripassare i rami. Le olive rimaste saranno per lo straniero, per l'orfano e per
la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai a coglierne i grappoli rimasti; saranno per
lo straniero, per l'orfano e per la vedova (Dt 24,19-21). I limiti entro i quali poter disporre dei propri
beni vengono ridefiniti: la parte di essi che necessaria per il sostentamento del prossimo privo di mezzi,
diventa sua di diritto. Si potrebbe dire la tua propriet privata comincia dove finisce il bisogno del
prossimo. un nuovo sovvertimento, un nuovo movimento di esodo dall'ansia alla socialit, per mezzo
dell'abbondanza, [Bruggemann, cit., p. 30.] che cambia il modo di guardare ai beni, riconoscendo che
essi non sono un qualcosa da accaparrarsi egoisticamente in una situazione di scarsit, ma il segno
dell'abbondanza della benedizione di Dio, che si chiamati a condividere, allargare, moltiplicare: lo
fornirai generosamente di doni presi dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; lo farai partecipe
delle benedizioni che il Signore, il tuo Dio, ti avr elargito (Dt 15,14). I beni di cui si in possesso
diventano benedizioni comuni.
Concentriamoci ora sull'altra parte ricorrente di queste norme, la motivazione radicata nel ricordo della
liberazione dalla schiavit in Egitto, che non soltanto un argomento che fa leva sull'empatia, bench,
cosa importante da rilevare, sia anche questo: voi conoscete lo stato d'animo dello straniero, poich
siete stati stranieri nel paese d'Egitto (Es 23,9). Questo riferimento costante significa che il bene
comune il progetto che il Dio d'Israele mette in opera attraverso l'esodo, il suo vero fine. Dio libera gli
schiavi, li conduce in un paese di abbondanza, perch essi ne facciano il paese della socialit. Questa
corrispondenza tra il dono della liberazione e il dovere dell'osservanza della Legge in cui, come
vedremo, quelle di solidariet non sono semplicemente norme fra le altre ci che le Scritture Ebraiche
chiamano patto, altra parola sovvertita e sovversiva, dietro alla quale il gran re d'Assiria, analogamente
al Faraone, nascondeva le sue mire di conquista e oppressione verso Israele, e che qui significa invece la
libert vissuta sotto la signoria esclusiva del Dio d'Israele, che anche escludente qualsiasi oppressione,
tanto interna quanto esterna al popolo. Il patto definisce la libert e il possesso del paese come
condizionati. In modo un po' paradossale, la condizione che essi non siano limitati, tutti e tutte (nella
terna che significa le persone nel bisogno vi anche la vedova) devono essere liberi e poter godere dei
frutti del paese. Il dono del paese condizionato al fatto che esso sia utilizzato per ricercare il bene
comune. Solo a questo punto il cammino dell'esodo giunge a destinazione.
Il riferimento al ricordo della liberazione ha anche un'altra funzione, quella di mettere in evidenza queste
affermazioni e affermarne la portata. All'interno del canone la verit infatti disputata tra le diverse voci
che si esprimono al suo interno e la coerenza viene trovata non uniformando e annacquando le
significative nel senso di consistenti, evidenti tensioni, ma mettendole in dialogo, facendole cos
diventare portatrici di significato. Due voci in particolare rappresentano una contro-narrazione [Su
questo argomento, a cui qui posso soltanto accennare, si veda Brueggemann, pp. 52-64. Cfr. anche la sua
Teologia dellAntico Testamento, Brescia, Queriniana, 2002.] che cerca di normalizzare la narrazione
sovversiva dell'esodo. La prima la prospettiva monarchica, fondata sulla tradizione della promessa
incondizionata di una dinastia davidica ininterrotta (II Sam 7,15-16), slega il dono del paese dalle istanze
del patto e lo interpreta essenzialmente come il punto di partenza per una fascinazione faraonica, la
costruzione di un regno del tutto simile a quelli circostanti, anzich ad essi alternativo. La seconda, la
prospettiva sacerdotale condivide con quella del bene comune la collocazione nel canone (entrambe si
trovano nella Torah, di cui i testi sacerdotali coprono la maggior estensione) ed anche la teologia del patto

e il suo fondamento nella liberazione dalla schiavit, ma dissente sul contenuto dell'obbedienza, la sua
preoccupazione non infatti la giustizia sociale, ma la purit: Israele chiamato a corrispondere alla
santit di Dio con la perfezione cultuale. Se dunque esistono diverse voci discordanti, l'importanza delle
norme per il bene comune non viene relativizzata? Non forse arbitrario concentrarsi su una sola di
queste voci, per di pi sostenuta soltanto da una manciata di versetti? Cercher di mostrare che la risposta
a questi interrogativi si trova nei testi stessi, visti nel contesto del canone nel suo complesso.
Nella Torah, come si visto, il ricordo della liberazione compare come motivazione delle norme
analizzate sopra e dell'obbedienza al patto, ma non soltanto. Esso si trova anche strettamente legato
all'impronunciabile nome di Dio (YHWH). In particolare, lo ritroviamo nella prima delle dieci parole, che
sono molto di pi di semplici comandamenti come tradizionalmente ed erroneamente si dice e
rappresentano, nelle Scritture Ebraiche, la pi piena e diretta rivelazione di Dio, il punto di maggior
vicinanza di tutta la storia della relazione tra Dio e lumanit (questa affermazione sembrerebbe
contraddire o contraddetta da quella cristiana secondo la quale tale unica vicinanza invece avvenuta
in Ges Cristo, credo che il rapporto tra le due sia pi complesso ed anche pi interessante, vi accenner).
Qui Dio si presenta dicendo: Io sono il Signore [YHWH], il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese
d'Egitto, dalla casa di schiavit (Es 20,2 e Dt 5,6). Anche la tradizione sacerdotale, che parla
paradossalmente nel libro dell'Esodo, non pu tacerla e riporta la stessa formula. Quello della
liberazione non solo il ricordo di ci che Dio ha fatto, ma la pi prodonda e autorevole affermazione di
chi Dio . Il fatto che le norme per il bene comune abbiano come motivazione lo stesso riferimento,
conferisce loro un peso teologico decisivo nell'affermare che non pu esservi vera obbedienza a Dio, in
alcun ambito, senza (tradizione sacerdotale) o contro (tradizione monarchica) la solidariet, perch
significherebbe rivolgersi ad un altro dio, che non YHWH. La ricerca del bene comune non prima di
tutto un argomento dell'etica, ma il progetto che Dio ha per l'umanit e per il mondo.
Al di l della Torah, di questa traiettoria si faranno interpreti proprio in opposizione alla monarchia i
profeti (Isaia, Geremia, Osea e Amos, solo per citarne alcuni) e Ges, che infatti collega il suo discorso
sul denaro al divieto dell'apostasia (Mt 6,24; Lc16,13). Cristo non solo interpreta, ma addirittura incarna
quest'affermazione su Dio, in lui si rivela il Dio dell'esodo. L'indiscusso punto centrale di questa
rivelazione, la croce, che comprende la passione e la resurrezione, avviene nel tempo della Pasqua, in cui
Israele fa memoria dell'uscita dall'Egitto. La croce esodo, liberazione e sovvertimento della realt:
rivelazione che sovverte le idee umane su Dio, sfida al potere imperiale, liberazione dai poteri di morte.
La croce e il Sinai si corrispondono. E mettono al centro il bene comune che Dio desidera per il mondo.
[Bruggemann, cit., p. 7] La testimonianza al mondo di questa rivelazione affidata alla Chiesa nel gesto
rivoluzionario della Cena (cos come a Israele con Pesach), in cui ricorda e riceve nuovamente
l'abbondanza miracolosa che libera dalla logica della scarsit alla pratica della condivisione, al godimento
delle benedizioni comuni.

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