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Alcune mail trapelate a quanto pare a seguito di un attacco di hacker dallHadley Climatic Research Unit (CRU) presso la Britains University of East
Anglia e successivamente rese pubbliche hanno acceso un imponente dibattito
circa lo statuto della scienza in vista del vertice mondiale sul climate change che si
tenuto a Copenaghen nel 2009.
Talune di quelle mail, infatti, sembravano tradire la preoccupazione dei
mittenti che venissero diffusi dati contrari alla tesi del surriscaldamento globale, se
non addirittura rivelare lintenzione di manipolare quei dati.
Come risposta alle polemiche innescate da tale situazione, sullautorevole
rivista Science stata pubblicata una lettera redatta da numerosi scienziati su
Climate Change and the Integrity of Science, ove, tra laltro, si legge: There is
always some uncertainty associated with scientific conclusions; science never
absolutely proves anything. E ancora: Scientific conclusions derive from an
understanding of basic laws supported by laboratory experiments, observations of
nature, and mathematical and computer modeling. Like all human beings, scientists
make mistakes, but the scientific process is designed to find and correct them. This
process is inherently adversarialscientists build reputations and gain recognition
not only for supporting conventional wisdom, but even more so for demonstrating
that the scientific consensus is wrong and that there is a better explanation. Thats
what Galileo, Pasteur, Darwin, and Einstein did. But when some conclusions have
been thoroughly and deeply tested, questioned, and examined, they gain the status
of well-established theories and are often spoken of as facts.
La scienza, dunque, non offre certezze e il diritto deve abbandonare lidea
(sempre che essa valesse in passato) di essere un mero portavoce di una scienza
oggettiva. Anche a fronte dellincertezza, deve prefigurare soluzioni e modelli
decisionali.
Il rilievo importante, perch lapproccio a molti problemi ambientali richiede
lapporto essenziale della scienza, la quale non in grado di dare certezze assolute.
Pi in generale, la tecnica una componente essenziale della tematica
di cui ci stiamo occupando. La tecnica e la scienza, poi, sono in
continua evoluzione, sicch anche la percezione dei problemi
ambientali cambia nel tempo.
casi in cui una condotta pregiudica valori contigui, che in via di prima
approssimazione possiamo definire ambiente, sviluppo e salute.
Va pure rilevato il duplice atteggiarsi dellaggressione (delluomo
verso lambiente ma, anche, come esito del cambiamento climatico,
dellambiente sulluomo); vero che, molto spesso, laggressione
dellambiente nei confronti delluomo potrebbe essere giudicata
come leffetto di una precedente aggressione delluomo sulla natura;
tuttavia, proprio la gi citata difficolt di individuare un chiaro nesso
di causalit tra effetti e condotte e di individuare i responsabili finisce
per rendere questo aspetto non decisivo dal punto di vista giuridico. In
ogni caso, talora difficile considerare laggressione della natura come
conseguenza di un comportamento umano, sicch compito del diritto
anche quello di attutire e di gestire gli effetti collegati a cause su cui
non si pu incidere (si pensi ai terremoti o ai fenomeni di glaciazione).
Con riferimento a svariati problemi ambientali (quelli pi delicati),
si coglie lestrema difficolt di individuare un appropriato centro
decisionale. Lo Stato, la comunit internazionale, la politica, il sistema
giudiziario: tutti si contendono (o, paradossalmente, spesso cercano
di evitare lassunzione di questo compito) il ruolo di luogo deputato a
risolvere le grandi questioni ambientali.
Assai importante, infine, il tema delle asimmetrie informative, che
possono colpire chi danneggiato da un problema ambientale (si pensi
allinquinamento generato dalla grande industria) o il decisore (giudice,
amministrazione, politica). Spesso, infatti, le necessarie informazioni per
decidere o per provare un danno sono in possesso del danneggiante o,
comunque, non sono note a chi deve decidere.
8. Vantaggi e limiti.
Rispetto al modello privatistico, lo schema del command and control offre
taluni vantaggi.
Intanto, esso consente di organizzare una tutela dellambiente che
prescinde dalla soluzione di alcune delicate questioni: si pensi
allindividuazione dei responsabili, e della precisa localizzazione della
causa inquinante, nonch allaccertamento del nesso di causalit, la cui
prova spetta di norma al danneggiante.
Mentre negli altri strumenti spontanei sopra indicati i privati sono incentivati a
partecipare, ma non esiste alcun obbligo al riguardo, qui (con leccezione del CDMe
del JI: v. infra) lo spazio di scelta dei soggetti coinvolti si sposta a valle, nel senso
che essi sono comunque coinvolti nella protezione dellambiente e non possono
chiamarsi fuori dal sistema delineato dallordinamento.
Unultima differenza consiste nel fatto che il potere pubblico stabilisce
a priori (salvi i meccanismi del CDM e del JI) lentit dellinquinamento
tollerabile, sicch lo spazio per la dinamiche del mercato si apre a valle.
Lesempio pi famoso quello relativo al Protocollo di Kyoto, finalizzato a
ridurre lemissioni inquinanti nellatmosfera. Si tratta, in particolare, dei gas ad
effetto serra e, cio, di quei gas (in particolare lanidride carbonica), derivanti
soprattutto dalla combustione di combustibili fossili, che impediscono
lirradiamento dellenergia nellatmosfera, cagionando un surriscaldamento
del pianeta.
Anche in questo caso non viene meno il ruolo del potere pubblico, anche
se esso muta rispetto al command and control: pi nel dettaglio, vi un mix tra
tradizionale potest impositiva e dinamica di mercato.
A conclusione di un negoziato multilaterale condotto in seno
allIntergovernmental Negotiating Committee for a Framework Convention
on Climate Change, e sulla base delle evidenze scientifiche fornite dallIPCC
(Intergovernmental Panel on Climate Change, che un organismo consultivo
costituito congiuntamente dalla World Metheorgical Society e dal Programma
ambientale delle Nazioni Unite) nel 1992 stata adottata a New York la
Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici. Lo strumento
giuridico concreto collegato alla Convenzione il Protocollo aggiuntivo di
Kyoto, siglato nel 1997. La finalit del protocollo di Kyoto era quella di ridurre le
emissioni di gas serra del 5,2% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2012. Il modello
ha un antecedente nella modifica legislativa apportata nel 1990 al Clean Air Act
negli USA, che introdusse un sistema di negoziazione dei diritti di inquinamento
relativamente alle emissioni solforose. Tornando al Protocollo, va aggiunto
che esso non stato ratificato da importanti Stati (USA in testa, che ha ritenuto
troppo gravosi gli impegni in capo ai paesi industrializzati, laddove altri grandi
inquinatori Cina e India erano esclusi dallAllegato I, relativo appunto ai paesi
industrializzati), ma comunque entrato in vigore soltanto con la ratifica della
Russia (era, infatti, necessaria ladesione da parte di Paesi firmatari responsabili del
55% dellemissioni globali inquinanti relative allanno di riferimento).
Laccenno a queste difficolt consente di confermare che lambiente diviene
un tema sensibile anche nei rapporti globali tra paesi in via di sviluppo e paesi
industrializzati e, cio, nei rapporti tra Nord e Sud del Mondo, caricandosi di
valenze ideologiche, etiche e politiche. Non un caso che uno dei principi alla
base del Protocollo sia quello del Common but differentiated responsibilities, nel
senso che in due distinti Allegati sono indicati i Paesi industrializzati (destinatari di
obblighi pi gravosi) e quelli in via di sviluppo.
Anche alla luce del grave limite, test ricordato, del Protocollo (che mira ad
affrontare in termini globali un problema globale, ma senza riuscire a coinvolgere
tutti gli inquinatori), si sono svolti numerosi negoziati successivi nellambito delle
Conferenze delle Parti della Convenzione, riunite annualmente. Si possono al
riguardo ricordare la Conferenza di Bali del 2007, la Conferenza di Copenaghen
del 2009 (dove il multilateralismo ha subito una battuta darresto, registrandosi un
accordo di soli cinque Stati), quella di Cancun del 2010 e la Conferenza di Durban
del 2011 (dove, con riferimento alla fase successiva alla scadenza del periodo
previsto dal Protocollo di Kyoto, fissata al 2012, si raggiunto un accordo non
vincolante di addivenire entro il 2015 ad un accordo vincolante da avviare ad
applicazione nel 2020). In seno alla Conferenza di Doha del 2012, infine, stato
siglato da alcuni Stati (e dalla UE) il c.d. Kyoto 2 (sostanzialmente estendendo le
regole del primo), vincolante fino al 2020.
Tre sono gli strumenti prefigurati dal Protocollo di Kyoto: Emission Trading,
Clead Development Mechanism e Joint Implementation.
Iniziamo a trattare dellEmission Trading, descrivendo in generale la filosofia del
Protocollo, che pu essere sintetizzata richiamando il principio del cap and trade:
fissazione di un tetto massimo alle emissioni e dinamica di mercato.
Lanalisi del meccanismo consente di elencare la pluralit di poteri, molto
incisivi, che sussistono in capo al soggetto pubblico.
Intanto, premesso che il Protocollo si applica ad alcuni settori industriali
tassativamente indicati (attivit energetiche, industria di prodotti minerari ecc.),
spetta al potere pubblico fissare un obiettivo complessivo e vincolante, quello della
quantit delle emissioni di gas serra da ridurre. Il mercato, qui, ancora assente e
la dimensione che emerge quella del dovere, anche se spesso, in modo sintetico,
il meccanismo viene ricordato parlando di mercato di quote che rappresentano un
diritto a inquinare. Le quote di emissione di gas a effetto serra, cio, possono anche
essere concepite come il diritto di inquinare fino al limite prefissato, ma, posto che
esso calcolato in modo da ridurre progressivamente linquinamento, al fondo vi il
vincolo a compiere sforzi finalizzati alla tutela ambientale.
La definizione dellobiettivo globale avvenuta nellambito del Protocollo di
Kyoto, ove le Parti contraenti si sono impegnate a ridurre le emissioni tra il 2008
e il 2012 del 5% rispetto ai livelli del 1990. Questo obiettivo globale, a cascata,
poi ripartito nelle varie aree e infine, in seno ai diversi settori interessati, tra gli
operatori: nellambito del Burden Sharing Agreement adottato a livello europeo
per il periodo 2008-2012, lUE ha assunto lobiettivo della riduzione dell8 %
dellemissione dei gas ad effetto serra rispetto ai livelli del 1990 e lItalia quello del
6,5 %.
In attuazione della disciplina, vi poi la ripartizione delle quote tra gli operatori,
la cui somma equivale alla quantit di inquinamento consentito.
Fino a questo punto, dunque, il sistema si caratterizza per la presenza di
tradizionali poteri impositivi: determinazione di obiettivi e ripartizione di quote.
Ulteriori poteri tradizionali sono rappresentati da quelli autorizzatori e
sanzionatori. Le attivit che comportano emissioni di gas ad effetto serra rientranti
nel campo di applicazione del Protocollo, infatti, non possono essere svolte in
assenza di unautorizzazione specifica.
Le imprese, al fine di rispettare gli obblighi (e, cio, di non inquinare in misura
maggiore rispetto alle quote che sono state loro distribuite), possono decidere
di ridurre le emissioni, ad esempio investendo nellinnovazione, ovvero, in
caso di emissioni superiori al consentito, di acquistare le quote da altri operatori
(evidentemente in base ad un calcolo costi-benefici). Ove, invece, si tratti di soggetti
particolarmente virtuosi (ove riescano, cio, a emettere un quantitativo di gas
inferiore al consentito), essi possono cedere le quote eccedenti o capitalizzarle,
accantonandole per gli anni seguenti.
Siffatto meccanismo dovrebbe favorire le imprese pi efficienti; il deficit di quote
sanzionato, mentre il surplus di quote pu essere negoziato sul mercato.
E questo, infatti, il luogo in cui, a fronte della determinazione autoritativa
dellentit dellinquinamento tollerabile, si scambiano le quote e si forma il prezzo
(mentre, come gi anticipato, gli altri strumenti imposte e sussidi, ad esempio
sono caratterizzati dal fatto che il mercato determina non il prezzo, ma la quantit).
Ulteriori poteri pubblicistici sono quelli di controllo delle emissioni. In
particolare, onde verificare il rispetto dei limiti, le imprese debbono restituire ogni
anno un numero di quote pari a quelle ottenute, pena lirrogazione, ancora una volta,
di sanzioni amministrative. I gestori degli impianti, in particolare, sono tenuti a
comunicare la quantit effettiva delle emissioni nellanno precedente e a fornire una
serie di dati e informazioni tecniche.
Il Clean Development Mechanism e il Joint Implementation consentono ai
Paesi industrializzati di conseguire crediti di emissione realizzando progetti in
altri Stati, rispettivamente in via di sviluppo, non compresi nellAllegato I (ci
dovrebbe consentire la tutela dellambiente e, al contempo, lo sviluppo sostenibile
nei Paesi non dellallegato I, anche se spesso il vero obiettivo si rivelato essere
la produzione di crediti, piuttosto che il miglioramento dellambiente) e, in modo
congiunto con altri paesi dellAllegato I, nei luoghi economicamente pi vantaggiosi
(ad esempio nei Paesi dellex Unione Sovietica). Essi sono volontari, nel senso che
il soggetto decide se ed entro che misura utilizzarli (mentre, come abbiamo detto,
lEmission Trading Scheme vincolante nellan). Per altro verso, in questo caso
non si ha una determinazione a priori delle emissioni, mediante un tetto, ma una
verifica ex post, sulla base del progetto attuato, delle emissioni evitate e trasformate
in crediti. I crediti derivanti dal CDM sono detti Riduzioni certificate delle emissioni
(Certified Emission Reductions); la relativa riduzione delle emissioni computabile
nel territorio nazionale. Quelli derivanti dal JI si chiamano Unit di riduzione delle
emissioni (Emission Reduction Units) e sono rilasciate da parte del Paese che ospita
linvestimento a favore del Paese promotore. Crediti e unit, dunque, si convertono
in quote di emissione.
Non mancano le critiche mosse al sistema nel suo complesso.
Premesso che talune voci hanno fatto notare che linquinamento complessivo
non si sia ridotto in modo significativo dopo lentrata in vigore del Protocollo (e,
comunque, ci sarebbe legato alla crisi economica piuttosto che agli strumenti di
cap and trade), si sottolineato che il meccanismo troppo rigido e uniforme a
fronte di un problema complesso e in continua evoluzione come quello ambientale.
Esso, poi, ha un senso unicamente nei casi in cui linquinamento sia
territorialmente indifferente, proprio perch la sua attuazione pu comportare
una diminuzione globale delle emissioni, ma generare una concentrazione locale
dellinquinamento.
Il valore delle quote, inoltre, diminuito rispetto alle attese, sicch le imprese
sono incentivate ad acquistarle sul mercato piuttosto che a effettuare investimenti.
Infine, la possibilit di generare un inquinamento tollerabile si incorporata in
quote, beni mobili scambiati e anche gestiti da intermediari finanziari, verso cui si
sono trasferite ricchezze talora ingenti. Questa prospettiva, che trasforma in un una
dimensione finanziaria i problemi ambientali, pu certamente generare diffidenza.