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Saggio introduttivo
(pp. 27-72, di cui non devono essere lette le pagine 30-34 (I. Sul testo greco), le pp.
38-43 (III. ZH come testo), in quanto gi trattate da Donini nel testo in esame in
modo pi semplice e chiaro)
FP per prima cosa spiegano nelle Considerazioni preliminari quali sono gli intenti che
hanno guidato il loro lavoro, e in particolare cosa c di nuovo rispetto ai lavori
precedenti relativi al libro Zeta.
(1) Il primo intento stato quello di risolvere tutte le difficolt pi serie che si trovano
in Zeta e che ne impediscono la comprensione. In effetti, gli autori hanno cercato (i) di
addentrarsi con la dovuta ampiezza in tutte le oscurit che il testo aristotelico presenta
(cosa che i commentatori precedenti non hanno fatto per impegno di brevit) e (ii) di
mostrare lintima coerenza della teoria della sostanza sviluppata da Aristotele in
Metafisica Z, rendendola comprensibile soprattutto in quei punti in cui essa non risulta
facilmente conciliabile con esposizioni analoghe contenute in altre opere, come ad
esempio le Categorie. Si ipotizza uno sviluppo delle posizioni aristoteliche, dalle
Categorie (ritenuta opera giovanile) a Zeta (opera forse pi matura).
(2) Il secondo proposito stato quello di ricavare dal testo di Z una concezione
ontologica non precostituita, ma che accettasse di fare i conti con altre interpretazioni
Questo volume comprende unintroduzione, una traduzione tedesca con testo greco a fronte, un ricco
commento. Noi useremo la traduzione dal tedesco di G. Reale che si trova nella traduzione italiana del
volume di Frede e Patzig, uscito per Vita e Pensiero nel 2001 (vedi testi indicati per esame).
aristoteliche avanzate in altri testi. Nel corso del lavoro, FP sono giunti a una
concezione opposta rispetto a quella classica tradizionale.
Concezione tradizionale:
Secondo questa interpretazione, Aristotele assegnerebbe il ruolo di realt compiuta
allindividuo concreto, mentre riserverebbe alluniversale la piena conoscibilit
scientifica, facendo cos consistere lousia dellindividuo in ununione di forma
universale e materia (che sarebbe cos la responsabile dellindividuazione),
Concezione FP:
FP, sostengono che questa non linterpretazione corretta per il libro Z, che invece
sostiene che la vera realt, lousia, la forma individua, che emerge nelle cose di cui
forma per poi scomparire, generandosi e corrompendosi senza che per sia soggetta ad
alcun processo di generazione e corruzione.
FP nel loro commentario hanno quindi privilegiato e commentato particolarmente
proprio quei passi di Z che sembrano deporre a favore della loro interpretazione, ma
anche quelli che possono essere presi come base dellinterpretazione opposta, quella
tradizionale2.
Il metodo adottato da FP consiste nel limitare al massimo luso della letteratura critica
moderna, per privilegiare la comprensione e spiegazione del testo. Questo perch gli
autori sono convinti che cercare di dominate la mole gigantesca della letteratura
secondaria impedisca in definitiva al lettore di comprendere realmente largomentazione
aristotelica.
Invece, gli autori hanno prestato particolare attenzione ai commentari antichi alla
Metafisica (quelli di Asclepio e di pseudo-Alessandro al libro Z)3, e ad alcuni moderni,
diventati classici. Oltre a questi testi, hanno considerato con attenzione le Notes on Z
recordered by M. Burnyeat and others, un testo pi o meno informale uscito da un
seminario tenutosi a Londra (e per questo motivo FP parlano di questo testo riferendosi
piuttosto ai partecipanti del seminario, detti i Londinesi), di cui FP condividono il fine
e il metodo, ma non linterpretazione di Zeta (cfr. p. 29). Per i Londinesi, infatti, Zeta
un testo aporetico, che indica diverse soluzioni senza privilegiarne alcuna.
Va notato che la tesi che afferma lesistenza di forme individue (vedi sopra, (2)) non
originale, come gli stessi autori rilevano, ma gi stata sostenuta da Albritton nel 1957,
e in certa misura da Lloyd nel 1981. FP ritengono invece originale il loro contributo a
uninterpretazione unitaria di Z.
Per quel che riguarda la traduzione, gli autori hanno cercato di essere il pi fedele
possibile allo stile argomentativo di Aristotele, usando come mezzo la riproduzione in
tedesco del greco goffo, oscuro e ambiguo di questo testo aristotelico. Questo per non
significa che abbiano adottato per i termini una sola traduzione, soprattutto per quei
2
Nota mia: si osservi che FP adottano linterpretazione di Alessandro di Afrodisia, cos come emerge
chiaramente in alcuni passi del suo commento a Metafisica Delta (es. 349, 6-16), passo riguardante la
teoria delle quattro cause, in particolare quella formale.
3
Nota mia: sotto il nome di Alessandro di Afrodisia stato trasmesso il commentario a tutti i libri della
Metafisica di Aristotele. Di fatto, il commentario autentico solo quello ai libri Alpha-Delta, mentre
quello ai libri Epsilon-Ny attribuito a Michele di Efeso, un autore bizantino dellXI secolo, che si fa
passare per Alessandro. Per questo sarebbe stato utile per FP consultare anche il commento ai libri Alpha,
Beta e soprattutto Delta, dal momento che l abbiamo indicazioni preziosi su alcune idee autenticamente
alessandriste, che si avvicinano alle loro (vedi supra, nota 2).
termini filosofici che non possono essere tradotti in un unico modo a causa della
polisemia insita in loro (si pensi al verbo leghein, che vuol dire dire, menzionare,
formulare, definire, ecc).
Infatti, lidea che sta alla base del lavoro di FP che ci si debba interrogare sul
significato delle parole guardando al contesto, e non soffermandosi sui singoli termini
(un principio che FP attribuiscono a Frege, logico tedesco della fine del XIX secolo,
eroe della filosofia analitica). Bisogna quindi fare attenzione alle proposizioni e alle loro
connessioni, pi che ai singoli termini.
Detto questo, FP pongono laccento sulla difficolt di tradurre espressioni che gi
abbiamo incontrato (pp. 36-37):
1) to ti en einai, che propongono di tradurre con che cosa significa essere questo4, che
va inteso in modo tale che significhi che cosa fa ad esempio di un uomo un uomo;
2) ti estin o to ti estin, che propongono di tradurre con che cosa qualcosa 5 o, quando
loggetto gi espresso, che cos6.
3) tode ti, che propongono di tradurre come un questo determinato7 (tode
dimostrativo; ti come specificazione);
4) ousia, invece, decidono di lasciarlo non tradotto (vedremo tra breve perch);
5) logos, tutte le volte che sta per logos di una cosa, viene tradotto con Formel,
appoggiandosi alla traduzione di Ross8 formula, intesa come una sorta di definizione
che per deve soddisfare alcune condizioni (ma Reale avverte che in italiano si
preferito tradurre con nozione, chiss poi perch).
Per quel che riguarda il testo di Zeta considerato come trattato, FP rilevano innanzitutto
come quasi tutti i libri della Metafisica costituiscono trattati separati con una loro unit.
Fanno eccezione i libri M e N (che costituivano un unico testo che venne separato per
motivi tecnici (editoriali?)) e i libri Z (Zeta) e H (Eta), perch appare chiaro a FP che
Eta fu scritto allo scopo di proseguire lindagine di Z. FP discutono lungamente la
questione (che ha alcuni punti problematici) e in modo abbastanza complesso (per una
spiegazione un po meno complicata, vedere Donini, Metafisica. Introduzione alla
lettura, Capitolo sulla sostanza, primo paragrafo: Composizione e cronologia di Z, H,
Q). Lessenziale che dalla loro discussione emerge che i libri Z e H costituivano,
assieme, linizio di un trattato sullousia sensibile, progettato probabilmente come
molto pi ampio. Detto questo, per, Z e H non costituiscono un testo unitario, ma
lasciano trasparire strati di composizione differenti. In particolare, ci sono due sezioni di
Z che sembrano (si tratta una volta di pi di congetture plausibili e non di certezze)
essere state inserite in un secondo tempo: i capitoli 7-9 e il capitolo 12. Si pensato che
queste inserzioni siano state fatte dallo stesso Aristotele, che le ha introdotte in maniera
provvisoria in un trattato (sulla sostanza) che doveva essere rivisto e reso pi organico,
oltre che pi ampio.
Quanto invece alla collocazione di Z nella Metafisica (pp.44-47, da leggere), ne
abbiamo gi discusso nella prima parte di questo corso (vedi dispensa La metafisica
antica I). FP discutono delle connessioni (1) tra i libri A, B, G; (2) tra G e E; (3) tra Z,
H, Q; (4) tra ZH e i libri M e N.
Qui fornisco solo le traduzioni di formule greche che vengono scritte senza traduzione:
p. 45: osper eipomen en tois protois logois = come abbiamo detto nei precedenti
discorsi; eiretai de en tois peri tes ousias logois = stato detto nei precedenti discorsi
sullousia; peri tes ousias = sulla sostanza; kathaper en tois peri ousias kai peri tou
ontos eiretai logois = come stato detto nei discorsi sulla sostanza e sullente.
Unosservazione che per mi pare interessante quella che FP (p. 46) fanno a proposito
di una tesi di W. Jaeger (leditore della Metafisica pubblicata da Oxford Clarendon
Press), il quale ha sostenuto che i libri Z, H, Q, non potessero originariamente far parte
della Metafisica di Aristotele poich si concentrano sulle sostanze sensibili. Questa tesi
presuppone che nella Metafisica Aristotele cerchi di caratterizzare la filosofia prima.
Ora, sostiene Jaeger, la filosofia prima aristotelica, nella sua forma originaria e
platonizzante, non era altro che una scienza delle sostanze sovrasensibili ed eterne,
ragion per cui non si riuscirebbe a collocare nella stessa filosofia prima uno studio
delle sostanze sensibili. Solo in una concezione posteriore, radicalmente mutata, di
filosofia prima, troverebbe posto una trattazione sulle sostanze sensibili.
FP ritengono infondata la tesi di Jaeger perch ritengono infondata lidea di una
metafisica originaria e di una redazione rinnovata e successiva della filosofia prima.
Piuttosto, fin dallinizio, risultano per FP radicate nella filosofia prima aristotelica sia
la tendenza a visioni generali e gerarchizzate della realt, sia la conoscenza degli oggetti
divini supremi (vedi Alpha 2, 983a6-7, in cui Aristotele afferma che una scienza pu
essere divina in due modi (1) o perch posseduta dagli dei (2) o perch ha per oggetto
gli enti divini). Resta per corretto affermare che i libri Z, H, Q, portano in loro chiare
tracce di una precedente autonomia in qualit di scritto indipendente.
La dottrina del libro Zeta
Il nucleo tematico del libro Z la dottrina dellousia. Nellinterrogarsi sulla questione
dellousia Aristotele, come abbiamo gi visto, si pone di fronte ad una questione che gi
i predecessori avevano trattato, implicitamente o esplicitamente:
Z 1, 1028b2-7 (p. 139-40 trad. italiana di FP, fatta da Giovanni Reale, leggermente
modificata da me):
E in verit, ci che dai tempi antichi, cos come ora, costituisce leterno oggetto di
ricerca e leterno problema che cos lente?, questo: che cos lousia? (e alcuni
dicono che lousia unica; altri invece ne pongono molte, e di questi ultimi alcuni
sostengono che siano in numero finito, altri in numero infinito); perci anche noi,
principalmente, fondamentalmente e unicamente, dobbiamo esaminare il che cos?
di questo ente.
- Alcuni interpreti (vedi per esempio Pierre Aubenque, autore di un celebre libro su
Aristotele che si intitola Le problme de ltre chez Aristote, uscito nel 1962) hanno
inteso la frase ci che dai tempi antichi, cos come ora, costituisce leterno oggetto di
ricerca e leterno problema come una dichiarazione di impotenza e aporeticit a
proposito della filosofia. Lidea che la filosofia da sempre pone queste domande , cui
non potr dare una risposta definitiva. In realt FP sono pi ottimisti: fino ad oggi la
domanda sfociata in difficolt tutte le volte che stata posta. Con ci Aristotele non
vuole escludere la possibilit che, se posta correttamente (come ad esempio da lui),
possa essere risolta9.
- Che cos lente? Come sappiamo, questa domanda chiede sia di quali cose si pu a
buon diritto dire che esistono?, sia quali sono le caratteristiche essenziali-definitorie
delle cose che esistono?. Lo stesso vale per la domanda Che cos lousia?, che
quindi riguarda le cose che possono essere dette ousiai, nonch le caratteristiche
essenziali-definitorie del concetto di ousia. Come si vedr nel capitolo 3, il concetto di
ousia alquanto controverso; ma dalle spiegazioni fornite al termine di Z 2 e allinizio
di Z 3, si deduce che il libro Z dovr concentrarsi sulla domanda relativa al concetto di
ousia, ossia su quali sono i suoi caratteri definitori-essenziali10.
- Come di consueto, Aristotele guarda alla storia della filosofia come se anche i
pensatori precedenti avessero cercato la risposta alla sua stessa domanda, avvalorando
con ci largomento per cui unindagine sullente debba essere unindagine sullousia.
Un esempio analogo lo abbiamo visto a proposito delle quattro cause nel libro Alpha
della Metafisica. Parmenide e i Milesi (Talete con lacqua; Anassimandro con
lindeterminato (apeiron); Anassimene con laria) sono visti come sostenitori della tesi
secondo cui esisterebbe una sola ousia. A loro si contrappongono quei filosofi che ne
ammettono molte, rispettivamente quelli che ne ammettono un numero limitato (come
Empedocle con i 4 elementi), e quelli secondo cui esse sono limitate (come Anassagora
e le omeomerie; gli Atomisti).
Detto questo, il passo sui predecessori permette a FP di fare unosservazione sulla
traduzione di ousia con sostanza (p. 53) . In effetti, tradurre il termine con sostanza
(nel senso aristotelico), sarebbe fuorviante, poich evidente che n i Presocratici n
Platone si sono interrogati sulla sostanza intesa come la intende Aristotele.
Il concetto di ousia (anche nel senso che Aristotele sembra attribuire ai predecessori)
sembra indicare in primo luogo il concetto di quella realt che in senso primario, dal
cui essere dipende lessere di tutto il resto, e a partire dal quale quindi possibile
spiegare lessere di tutto il resto.
Ma sul che cosa vada inteso come ousia in questo senso, e su come il concetto si possa
esplicitare, le opinioni divergono.
Nel libro Delta della Metafisica (capitolo 8) Aristotele distingue due concezioni
dellousia e, di conseguenza, due modi diversi di intenderla;
1) da una parte, Aristotele designa come ousia quella realt che fa da sostrato a tutto ci
che esiste;
2) dallaltra, viene definito come ousia di unoggetto anche ci che vale come causa
dellessere quelloggetto (vedi 1017b15).
Gi su che cosa si debba intendere come sostrato ultimo, le opinioni erano tuttaltro che
unanimi. Molti dei predecessori di Aristotele erano convinti che fossero gli elementi
materiali di cui sono composte le cose. Come poi sappiamo, Aristotele stesso stato in
un primo tempo convinto (vedi le Categorie) che il sostrato ultimo fossero gli individui
concreti, e che tutto il resto si dia solo in quanto inerente agli individui. Come abbiamo
gi visto, la giustizia esiste solo perch esistono uomini giusti, e la specie uomo esiste
solo perch vi sono uomini, che quindi rientrano in questa specie. Cos, gli individui
9
10
sono ci che in senso primario, mentre il resto (genere, specie, attributo) esiste solo in
quanto inerisce agli individui.
Analogamente, le opinioni divergevano anche riguardo a che cosa formi lessere ultimo
di un oggetto e quale ne sia la causa. Alcune di queste soluzioni vengono presentate in
Delta 8 e in Zeta 2 (vedi p. 140 trad. it. FP, fatta da Giovanni Reale). Ci che per ora
interessa che il che cosa significa essere questo (to ti en einai) e la forma (eidos?) in
quanto ousia dovrebbero rispondere a questo secondo tipo di problema (cfr. 1017b2122; b25-26).
Invece, quando la questione viene posta in Z, essa non viene posta in nessuno dei due
modi (n come sostrato; n come ci che costituisce la causa e lessere ultimo di un
oggetto). Alcuni sostengono che dapprima Aristotele si interroghi sullousia come
sostrato (capitoli 1-3), e poi , a partire dal capitolo 4, sullousia nel secondo senso, cio
sullousia delle cose. Ma FP non la pensano cos: piuttosto, ritengono che Aristotele si
interroghi sullousia, e che il sostrato e il to ti en einai (che cosa significa essere
questo), si presentino allinizio come risposte antagonistiche (FP rinviano a Zeta 3,
1028b32-36, dove Aristotele distingue quattro sensi di ousia, tra cui sostrato e to ti en
einai), per poi invece venire unite in un unico concetto (FP rinviano a 1029a2-3 (in cui
Aristotele suggerisce che sostrato viene detta in qualche modo la forma); a 1028a18-20
(in cui Aristotele dice che lousia quella realt rispetto alla quale tutto il resto pu
essere detto in quanto sua determinazione) e a 19028a11-12 (in cui Aristotele dichiara
che lousia il che cos di una cosa).
Il motivo per cui Aristotele coniuga in un unico concetto entrambe le concezioni di
ousia che entrambi, presi separatamente, non rendono ragione in maniera sufficiente
del concetto di ousia come essere in senso primario (cfr. Z 2).
Metafisica Z 2: le opinioni dei predecessori sullousia
Il primo capitolo si conclude con la domanda che cos lousia?, domanda che si pu
sdoppiare in due, anche se esse sono intimamente connesse: (a) quali cose che possono
essere dette ousiai? e (b) qual la definizione di ousia?. Cos, nel secondo capitolo,
Aristotele cerca di rispondere innanzitutto a (a)11, passando in rassegna tutti i tipi di
cose che si ritiene siano ousiai. Per lesattezza, parte da quelle cose che tuttiammesso
che le ousiai esistanoconcorderebbero nel ritenere tali (vedi 1028b8-13 (trad. Reale p.
140 punto (1) , modificata da me): sembra che la sostanza appartenga nel modo pi
evidente ai corpi. Per questo diciamo che sono sostanze gli animali, le piante e le parti
di essi, e che sono sostanze anche i corpi fisici, come il fuoco, lacqua, la terra e tutti gli
altri, nonch le cose che sono parti di questila luna e il sole).
In seguito, passa in rassegna quelle cose che vengono ritenute ousiai solo da determinati
gruppi di filosofi (1028b16-27, trad. Reale p. 140, punti (2) e (3)), per poi porsi
nuovamente la domanda (posta una prima volta in modo meno preciso in 1028b13-15)
su quali tipi di ousiai si debbano ammettere e quale sia il loro modo di esistere
(1028b27-31, tra. Reale p. 140, modificata da me: Pertanto occorre esaminare che cosa
sia esatto e che cosa non sia esatto in tutte queste affermazioni, e quali siano ousiai12e se
esistano o no alcune sostanze accanto a quelle sensibili, e quale sia il loro modo di
esistereMa a questo esame procederemo dopo aver detto, almeno in modo
provvisorio, che cosa sia la sostanza). Come si pu vedere, il capitolo si chiude con il
11
12
Aristotele13 elenca quattro possibili tentativi di risposta su quale sia lesatta accezione
del termine ousia, domanda formulata alla fine del secondo capitolo (1028b31-32, p.
140 tr. it. Reale (modificata da me): Ma a questo esame procederemo dopo aver detto a
grandi linee che cosa sia la sostanza). Potrebbe trattarsi (1) del che cosa significa
essere questo (to ti en einai), (2) delluniversale, (3) del genere; (4) del sostrato.
Ora, il capitolo 3 dedicato principalmente alla possibilit che lousia coincida con il
sostrato, i capitoli 4-12 alla possibilit che lousia coincida con il che cosa significa
essere questo, i capitoli 13-16 alla possibilit che coincida con luniversale (e
implicitamente con il genere), mentre il capitolo17 riconsidera infine la questione
dallinizio, concludendo che lousia forma. Ragion per cui, queste righe determinano
lo sviluppo successivo dellintero libro (ad eccezione dellultimo capitolo).
I quattro modi dellousia (FP, p. 195).
Aristotele dichiara che alla domanda su cosa sia lousia si pu rispondere in molti modi:
perch poi ne elenca solo quattro? Presumibilmente, i filosofi erano concordi nel
ritenere che lousia fosse il che cos di una cosa (e in quanto tale, essa era stata
introdotta nel primo capitolo di Z, vedi 1028a13-14: Pur dicendosi in tanti modi,
chiaro che il primo significato di ente il che cos?, che significa lousia). Ma il
che cos di una cosa pu essere inteso in vari modi: come sua essenza (to ti en einai),
come sostrato di tutte le sue determinazioni, o anche come qualcosa di universale.
Questultimo si pu intendere nel seguente modo: qualcosa di totalmente universale,
cio un genere che, specificandosi mediante successive determinazioni, arrivi a formare
loggetto concreto, di cui il genere, quindi, costituirebbe il che cos. In ogni caso,
Aristotele ha laria di ritenere che quando i filosofi parlano dellousia, hanno in mente
una di queste quattro possibilit.
- traduzione di to ti en einai FP (cf p. 195): FP seguono linterpretazione secondo cui si
tratterebbe di una formula abbreviata di espressioni del tipo ti en to anthropo (dativo)
einai (che cosa significa per luomo essere uomo). En (imperfetto del verbo einai,
essere), viene qui inteso come un far riferimento al fatto che le determinazioni da
definire sono gi state stabilite in precedenza (si pensi per esempio, in italiano,
lespressione com che era il tuo nome?).
Il sostrato primo (FP, pp. 198-199)
Z 3, 1028b36-1029a3 (p. 141 Reale, leggermente modificata):
Il sostrato ci di cui vengono dette tutte le altre cose, mentre esso non viene detto di
alcunaltra. Perci, in primo luogo, di esso dobbiamo trattare: infatti, sembra che sia
ousia soprattutto il sostrato primo. E sostrato primo vien detta, in un certo senso, la
materia, in un altro senso la forma, e in un terzo senso, ci che risulta da materia e
forma.
Sulla definizione di sostrato abbiamo gi detto (cfr. dispensa della prima parte del corso,
pp. 24-26. Vedere anche i testi: Categorie 5; Metafisica Delta 8).
13
Cosa si intende per sostrato primo? Il sostrato primo il sostrato originario (a volte
Aristotele parla di sostrato ultimo: cfr. Delta 8, 1017b24). Parlare di sostrato originario
potrebbe essere inteso in tre modi.
(1) in 1029a15-16 (ousia il sostrato primo al quale ineriscono lunghezza, grandezza e
profondit) Aristotele parla come se lousia fosse ci cui primariamente ineriscono le
tre dimensioni. Lidea che sta dietro che per molti sono gli oggetti che potrebbero
fungere da sostrato se cos intesi. Prendiamo lesempio della statua: ci che fa da
sostrato alle tre dimensioni potrebbe essere sia la statua, sia il corrispettivo corpo
geometrico, sia la materia di cui costituita la statua. Occorrerebbe perci stabilire
quale di essi sia il soggetto autentico e primario delle tre dimensioni.
(2) Come si ricava soprattutto dalle Categorie, la relazione tra il sostrato e ci cui esso
fa da sostrato si lascia reiterare, col che non detto che ogni membro di tale catena
definibile come sostrato sia anche ousia. Ad esempio, si pu dire che la giustizia una
virt, e quindi fa da sostrato alla virt. Ma perch ci sia giustizia, e quindi anche virt,
necessario che la giustizia a sua volta abbia un individuo che le faccia da sostrato e del
quale essa si possa predicare. Dato che la serie delle predicazioni non pu proseguire
oltre lindividuo, proprio questo sarebbe il sostrato originario della virt, e quindi anche
ousia, il che invece non potrebbe valere per la giustizia se non in modo secondario. A
tale serie di predicazioni Aristotele pensa chiaramente anche in Z 3 (1029a23-24: tutte
le altre categorie, infatti, vengono predicate della sostanza, e questa, a sua volta, della
materia), oltre che nelle prime righe del passo che stiamo analizzando.
(3) porre la questione dellousia come sostrato equivale a porre la questione della cosa
in contrapposizione a ci che le si attribuisce, vale a dire di ci cui propriamente la
determinazione inerisce. Questa distinzione importante perch verrebbe spontaneo
identificare il sostrato delle determinazioni con loggetto empirico. Ma dato che questo,
in realt, include gi le proprie determinazioni, non potr fare loro anche da sostrato
(cfr. a questo proposito Donini, capitolo sulla sostanza, secondo paragrafo: la
concezione della sostanza in Z e H). Per questo motivo Aristotele, in a2-5, prende in
considerazione come sostrato solo forma, materia e loro unione. Solo essi si possono
considerare la cosa priva delle sue determinazioni: ci evidente per quanto riguarda
materia e forma prese separatamente, meno per quanto riguarda la loro unione. Tuttavia,
occorre tener presente che questa unione astratta, un concetto, teoretico, riferito
esclusivamente a ci che si compone di materia e di forma, e che non va identificato con
loggetto conoscibile attraverso lesperienza, il quale sussiste sempre e solo in
concomitanza con le sue determinazioni.
Questi tre differenti aspetti sotto cui possibile parlare di sostrato ultimo non si
escludono a vicenda.
Perch Aristotele dice che la forma in un certo senso sostrato? Alcuni studiosi
ritengono che Aristotele qui operi una svista, ma egli ridice la stessa cosa in H 1, 1042
a28-29. E FP (vedi commentario p. 199-200) ritengono questa affermazione decisiva
per la concezione di ousia che Aristotele intende sostenere in Zeta. Proprio questa
affermazione permette infatti di fondere in uno solo i due concetti di ousia che si
14
Cos come lunghezza, larghezza e profondit, che sono quantit, e non le vere ousiai delle cose, come
pensano alcuni filosofiqui Aristotele allude ai platonici, vedi supra, Zeta 2, Le opinioni dei
predecessori.
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(b) Aristotele arriver ad affermare (capitoli 10 e 11, cfr. per esempio 1037a25ss, p. 157
trad. Reale) che la definizione sempre definizione della forma di una cosa proprio in
quanto non ne include la materia, di modo che anche per questa via non si pu dubitare
che per Aristotele forma e il che cosa significa essere questo coincidano.
Unaltra spiegazione del passaggio dal terzo al quarto capitolo pu essere la seguente:
Aristotele non d per scontata lidentit tra forma e to ti en einai, ma cerca di portare il
lettore a questa conclusione mediante la sua esposizione del to ti en einai e della
definizione, cosicch solo in un secondo momento emerger che questa esposizione non
altro che lesposizione della forma.
(c) Una terza possibilit che i capitoli 4-6 non siano stati originariamente composti in
questo contesto, e che poi Aristotele abbia voluto aggiungerli a Z 3, senza riuscire a
saldare la discontinuit.
(ii) 1029b13-1030a17 (pp. 218-220 FP):
Aristotele inizia ad affrontare la questione del rapporto tra sostanza e to ti en einai con
delle considerazioni loghikos (1029b13). Questo termine viene generalmente impiegato
da Aristotele per caratterizzare le indagini di tipo linguistico e concettuale rispetto a
quelle di tipo pi scientifico e sistematico. Il termine assume in tali contesti un
significato leggermente peggiorativo, ma ci non significa che egli voglia contestare
lutilit di tali analisi. Si intende piuttosto far presente che esse vanno completate
mediante riflessioni pi approfondite, sistematiche e scientifiche.
1029b13-22:
Lessenza di ciascuna cosasenza includerla nella definizione stessa):
La prima cosa che Aristotele intende chiarire che il to ti estin di una cosa ci che
quella cosa per se stessa (b13-14, dove ricorre la famosa formula aristotelica
kathauto, che viene tradotta con per se stesso o, come formula generale, per s).
Infatti, aggiunge Aristotele come esempio per chiarire quello che vuol dire, la tua
essenza non quella del musico, perch non sei per te stesso musico. Quindi, la tua
essenza solo quella che tu sei per te stesso (b14-16).
Ma, aggiunge Aristotele, non tutto ci che per se (kathauto) essenza: per esempio,
la superficie per se bianca, tuttavia, lessenza della superficie non consiste
nellessenza del bianco, e neppure nellunione delle17 due (cio, nellessere superficiebianca), perch, in questo caso, lessenza della superficie verrebbe presupposta (cio,
per definire lessenza della superficie-bianca, noi dovremmo gi aver definito lessenza
della la superficie), mentre la regola generale che per ciascuna cosa, la definizione
dellessenza (b20: logos tou ti en einai) esprime ci che la cosa senza introdurre la
cosa stessa nella definizione. Quel che Aristotele vuol dire con queste ultime parole
che per definire ad esempio la superficie, non si pu utilizzare n il nome n la
definizione di superficie, altrimenti si produrrebbe una circolarit.
Per capire cosa Aristotele vuol dire, dobbiamo ricordare che per se (kathauto) ha molti
significati (vedi Metafisica Delta 18, 1022a24-35; Analitici Secondi, II, 4, 73a34-73b25,
passi che per non coincidono interamente quanto alla distinzione dei significati).
In Metafisica Delta troviamo i due significati di per se che Aristotele utilizza qui:
17
Riga b18: Reale (p.142) traduce Inoltre, lessenza della superficie non consiste neppure nellunione
dei due termini. Intanto, la parola termini non c nel greco; inoltre, quello che Aristotele vuol dire
che la superficie non pu essere definita come superficie bianca, in quanto si farebbe gi uso di ci che va
definito.
13
(1) per se significa il to ti en einai di ciascuna cosa: per esempio, Callia per se la sua
essenza (1022a26-27);
(2) per se sono le cose che si trovano originariamente in una cosa, come per esempio
bianco nella superficie (1022a29-31).
(Per questi due significati, vedi anche Analitici Secondi, II, 4,73a35-73b3).
Quando Aristotele parla di per se, parla di attributi che appartengono ad un soggetto
necessariamente.
Nel primo esempio, un attributo appartiene necessariamente a un soggetto e ne
costituisce lessenza, espressa dalla definizione: se dico ad esempio che Callia uomo
per se, dico che uomo appartiene necessariamente a Callia e uomo rientra nella sua
definizione.
Nel secondo esempio, un attributo appartiene necessariamente a un soggetto senza per
costituirne lessenza: se dico che la superficie per se bianca, dico che bianco
appartiene necessariamente alla superficie (perch non esiste colore senza superficie)18,
ma ovviamente il bianco non rientra nella definizione di superficie19perch, come dice
Aristotele, lessenza della superficie non lessenza del bianco.
Quindi, Aristotele si concentra sul primo tipo di per se, quello che esprime un legame
necessario e definizionale. In seguito, presenta le difficolt nel definire i composti (tipo
superficie bianca o uomo bianco), proprio per arrivare a dire che solo lousia
semplice (tipo uomo) possiede in senso proprio una definizione, e quindi il to ti estin.
Questo anche il senso delle righe 1029b22-1030a2 (pp. 142-142 Reale, p. 221 FP):
Ma, poich ci sono compostinon certamente lessenza del bianco.
Questo brano, la cui interpretazione dettagliata solleva notevoli difficolt, sembrerebbe
avere allincirca il seguente significato: un caso come quello della superficie bianca,
cio un qualcosa che si compone di elementi derivanti da varie categorie, pu ripetersi
anche per altre categorie, cos che ci si deve porre la domanda se un composto di tal
fatta possegga un to ti en einai. Aristotele quindi fa lipotesi che un termine, per
esempio veste, significhi uomo bianco. Da un punto di vista linguistico non sussiste
alcuna differenza tra
veste =df uomo bianco20
e
uomo =df animale bipede.
Si sarebbe tentati di dire che veste (intesa come uomo bianco) non ha unessenza,
perch non riguarda quelle cose che si dicono per se (nel senso che uomo non per se
bianco). Anche se Aristotele mette in guardia da una risposta troppo affrettata (vedi
1029b29-1030a221), resta il fatto che lessenza di veste come uomo bianco non
essenza in senso vero e proprio.
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Oppure dico (secondo una seconda interpretazione) che superficie appartiene necessariamente a
colore (perch non esiste superficie senza colore).
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Mentre invece la superficie rientra nella definizione di bianco, in quanto il colore appare solo in una
superficie. Ma noi qui siamo impegnati a definire la superficie, non il bianco.
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df = definizione.
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Aristotele infatti ricorda che il non per se si intende in due sensi: 1) quando nella definizione di una
cosa viene aggiunto qualcosa alla cosa da definire (per esempio, volendo definire lessenza del bianco, si
fornisce la definizione di uomo bianco); 2) quando della definizione di una cosa viene omesso qualcosa
che la riguarda (per esempio, posto che la definizione di veste fosse uomo bianco, uno definisse veste
come ci che bianco). Ora, nella definizione di uomo bianco non si d nessuna di queste due evenienze,
quindi la questione resta aperta.
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Infatti:
1030a3-17 (p. 143 Reale (modificata!), pp. 222-224 FP):
solamente ci che alcunch di determinato (tode ti) essenza (to ti en einai); invece,
quando qualcosa viene predicato di qualcosaltro, allora non si ha un alcunch di
determinato (tode ti), per esempio, luomo bianco non ci che di fatto un tode ti22,
dal momento che il tode ti appartiene unicamente alle sostanze: cosicch il to ti en einai
appartiene solo a quelle cose la cui formula (logos) una definizione. Ora, non c
definizione quando il nome significhi la cosa stessa con una qualunque formula (logos)
(altrimenti, tutte le formule (logoi) sarebbero definizioni: infatti, ci sar nome per
qualunque formula, cosicch anche lIliade sar una definizione), ma qualora <sia
definizione> di qualcosa di primo: e si dicono prime le cose per cui qualcosa non
predicato di qualcosa. Quindi, non ci sar to ti en einai per nessuna delle cose che non
siano specie di un genere, ma <ci sar to ti en einai> solo di queste (queste infatti non
sembrano dette n secondo partecipazione, n come affezioni n come accidenti); ora, ci
sar una formula (logos) che esprime qualcosa di ciascuna delle altre cose, qualora esse
abbiano un nome, perch qualcosa appartiene a qualcosa, oppure una formula pi
precisa al posto di una formula semplice; non ci sar per n definizione n essenza.
Il ragionamento di Aristotele il seguente:
1) il to ti en einai (lessenza) si identifica con un alcunch di determinato (il tode ti);
2) ora, una formula come uomo bianco non esprime un reale tode ti, perch in essa
qualcosa viene predicato di qualcosaltro (mentre il tode ti appartiene solo alle sostanze,
in cui non c il predicare di una cosa unaltra cosa)23;
3) di conseguenza, il to ti en einai ci sar solo per le sostanze, cio per quelle entit il
cui logos che le esprime una definizione.
Per stabilire ci che essenzialmente un tode ti, non si potr fare riferimento a due
realt diverse, di cui una ousia e laltra qualche cosa daltro, perch se cos fosse,
lousia dipenderebbe nel suo essere da qualche cosa daltro. Ora, siccome uomo
bianco richiede che si predichi qualcosa di qualcosa, tale espressione non indica n il
tode ti, e quindi neppure il to ti en einai. Quindi, conclude Aristotele (1030a11-12),
potr esserci essenza solo delle specie di un genere, perch queste, propriamente
parlando, non si predicano di altro (quindi in questo senso sono prime). Qui Aristotele
intende le specie derivate da una determinazione pi particolareggiata di un genere
mediante differenze specifiche, che, nella sua teoria, concorrono, appunto assieme ai
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generi, a definire essenzialmente una cosa (es. uomo = animale razionale). Aristotele
esclude che casi di questo genere manifestino una predicazione di qualcosa di qualcosa
daltro. Ed vero: infatti, mentre bianco si predica di uomo, razionale non si pu
predicare di animale (e in generale, le differenze specifiche non si possono predicare
dei generi), perch non tutti gli animali sono razionali.
Quanto allesempio dellIliade, come afferma Aristotele alla fine del capitolo (1030b810), si ha definizione non quando un nome significa una cosa attraverso una qualunque
formula, ma quando significa una cosa attraverso una formula determinata, nel senso di
una formula che esprime ununit in tutti i sensi di unit, non una semplice collezione o
giustapposizione (ununit puramente esteriore).
Iliade versi dellIliade contenuto dellIliade (il racconto).
Qui Iliade non esprime la definizione dellIliade, intesa questultima come insieme di
versi che raccontano delle vicende.
Sullunit in tutti i suoi sensi ritorneremo tra breve.
Nella sezione (iii) (1030a18-1030b3, pp. 143-144 Reale; pp. 226-30 FP) Aristotele
spiega che, in fondo, la definizione riguarda anche i termini che rientrano nelle altre
categorie, ma in modo solo secondario rispetto alla definizione della sostanza (per il
modo di derivazione pros en, che dipende strettamente da quello degli enti vedi
dispensa (La metafisica antica I, pp. 15-18).
1030a18-25:
O piuttosto, dovremo dire che la definizione e cos pure il che cos? delle cose
possono essere detti in molteplici significati () ma non in senso assoluto.
Aristotele richiama la teoria dell ente vista nel libro Gamma della Metafisica: cos
come appartiene a qualunque termine di qualunque categoria (la sostanza ; bianco
; 80 chili , ecc.), cos anche il che cos? significa la sostanza e il tode ti, la qualit,
la quantit, ecc. E cos come l appartiene in senso primario (protos) alla sostanza e
in senso derivato (epomenos) alle altre categorie, allo stesso modo, anche il che cos?
si dice in senso assoluto della sostanza e in senso derivato delle altre categorie. Infatti,
noi possiamo chiedere che cos? la qualit, e di conseguenza possiamo considerare
anche la qualit un che cos (cio, unessenza), ma non in senso assoluto.
Qui Aristotele sembra dire che qualunque termine rientrante in una delle categorie
diverse da quella di sostanza, dipende per il suo che cos, dal che cos della
sostanza (si pensi allesempio di bianco, la cui definizione richiede la presenza della
superficie).
1003a28-32:
ora, poich la prima questione <quella del che cos?> oramai chiara () o della
quantit.
Conseguentemente al fatto che il che cos? si dice in molti sensi, ma primariamente
della sostanza e secondariamente delle altre categorie, anche il to ti en einai (lessenza,
la risposta al che cos?) apparterr primariamente e assolutamente alla sostanza, e
solo secondariamente alle altre categorie.
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fuori del naso), ma Aristotele ha laria di dire che il problema si pone per tutte le altre
categorie: gli esempi forniti sono numero dispari e animale femmina.
Ma perch Aristotele pensa che il problema si ponga per tutte le categorie?
A causa proprio della teoria dellente in quanto ente che abbiamo studiato in precedenza
(cfr. dispensa La metafisica I, e riflessioni qui sopra). Qualunque accidente (affezioni,
potenze, azioni, propriet) perch sono le sostanze portatrici dellaccidente
(qualificate (potenzialmente o in atto), affette, che agiscono). In tal senso, anche il
che cos? degli accidenti (cio la loro essenza, il loro to ti en einai), dipende dal che
cos? in senso fondamentale e primario, cio quello della sostanza. Per definire
laccidente, allora, bisogner per Aristotele fare riferimento alla sostanza di cui si
predica. Cio, lessere dellaccidente presuppone qualcosa di diverso cui si tenuti a far
riferimento nella formula che ne esprime il significato.
Il capitolo VI (p. 243 FP) dedicato a stabilire che il to ti en einai di ciascuna cosa e la
cosa stessa coincidono. Esso si articola in cinque parti:
(i) nella prima parte Aristotele cerca di giustificare il porsi stesso della domanda
(1031a15-18);
(ii) poi, Aristotele si chiede quale sia la risposta per le cose che sono dette per accidente
(1031a19-28);
(iii) la parte principale del capitolo, (1031a28-1032a6), in cui Aristotele si pone la
domanda nel caso delle cose dette a partire da se stesse;
(iv) parte dedicata alla risoluzione delle obiezioni sofistiche al problema se Socrate e
lessere Socrate siano identici (1032a6-10);
(v) il capitolo si chiude con laffermazione lapidaria che ormai chiaro in che senso
ogni singola cosa e il suo che cosa significa essere questo coincidano o non
coincidano.
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