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Brani tratti da PLATONE, Opere, vol. IV, a cura di E. V. Maltese, Roma 1997.

[Il comunismo delle lites]


Innanzi tutto nessuno possieda sostanze proprie, se non quelle strettamente necessarie; in secondo
luogo nessuno abbia unabitazione e una dispensa in cui non possa entrare chiunque lo desideri [].
Vivano in comune partecipando ai banchetti pubblici come se fossero allaccampamento []. Anzi,
essi siano gli unici, tra tutti i cittadini, a cui non sia lecito maneggiare e toccare oro e argento
(Repubblica, III, 416d-417a, p. 187).
Le donne di questi nostri uomini siano tutte in comune, e nessuno conviva in privato con nessuno;
inoltre anche i figli siano comuni, e il padre non conosca il figlio, n il figlio il padre (Repubblica, V,
457c-457d, p. 253).
[La divisione in classi]
Pertanto queste due facolt, cos nutrite e messe veramente in grado di assolvere il loro compito grazie
alleducazione, domineranno sulla facolt concupiscibile, che in ogni uomo occupa la parte maggiore
dellanima ed per natura insaziabile di ricchezze; e la sorveglieranno per evitare che aumenti di
dimensioni e di forza rimpinzandosi dei cosiddetti piaceri del corpo e di conseguenze non compia il
proprio dovere, ma tenti di asservire al suo dominio ci che per nascita non le spetta e sconvolga tutta
quanta la vita della comunit (Repubblica, IV, 442a-442b, p. 231).
[Leguaglianza tra uomo e donna]
Nel governo della citt non c alcuna occupazione propria della donna in quanto donna,

delluomo in quanto uomo, ma le inclinazioni sono ugualmente ripartite in entrambi, e per sua natura
la donna partecipa di tutte le attivit, cos come luomo, pur essendo pi debole delluomo in ognuna
di esse (Repubblica, V, 455d-455e, p. 249).
[Il re-filosofo]
Se nelle citt [] i filosofi non diventeranno re o quelli che sono detti re e sovrani non praticheranno
la filosofia in modo genuino e adeguato, e potere politico e filosofia non verranno a coincidere, con la
necessaria esclusione di quelle che in gran numero ora si dedicano separatamente alluna o allaltra
attivit, le citt non avranno tregua dai mali, Glaucone, e neppure, credo, il genere umano
(Repubblica, V, 473c-473d, p. 283).
Poich sono filosofi coloro che sanno cogliere ci che sempre immutabile, mentre non lo sono
coloro che vagano nellinfinita variet del molteplice, chi di loro deve essere posto alla guida dello
Stato? (Repubblica, VI, 484b, p. 299)

[La paideia dei filosofi]


Arrivati a cinquantanni, coloro che si sono mantenuti integri e si sono particolarmente distinti in tutte
le attivit pratiche e in tutte le scienze dovranno essere condotti alla perfezione e costretti a volgere
verso lalto il lume dellanima e a guardare lessere in s che d luce a ogni cosa; e dopo aver visto il
bene in s, dovranno usarlo come modello per ordinare, ciascuno a suo turno, la citt, i privati cittadini
e se stessi per il resto della loro vita, dedicando la maggior parte del tempo alla filosofia. E quando
arriva il loro turno, dovranno impegnarsi nel travaglio della politica e del governo della citt pensando
di compiere unopera non bella, ma necessaria; cos, dopo aver educato altri concittadini e averli
lasciati al loro posto come guardiani, andranno ad abitare nelle isole dei beati (Platone, VII, 540a540b, p. 393).
[Il dominio della filosofia]
La citt fondata secondo natura sar nel suo complesso sapiente grazie alla sua classe e alla sua parte
pi piccola, quella che domina e comanda, e alla scienza che in essa risiede; e a quanto pare per
natura esiguo questo elemento, al quale tocca in sorte lunica scienza tra tutte che merita il nome di
sapienza (Repubblica, IV, 428e-429a, p. 205).
[Leugenetica]
Pertanto stabilirai per legge nella citt una medicina e unarte giudiziaria nelle forme che abbiamo
descritto, in maniera che si curino soltanto i cittadini validi nel corpo e nellanima e, quanto agli altri, i
medici lascino morire coloro che presentano difetti fisici, i giudici sopprimano coloro che sono guasti
e incurabili nellanima?
S, rispose questa la soluzione migliore per gli stessi sofferenti e per la citt. (Repubblica, III,
409e-410a, pp. 174-75).
Accoppiarsi disordinatamente o agire come capita cosa empia in una citt di persone felici, e i
governanti non lo permetteranno (Repubblica, V, 458d-458e, p. 255).
I maschi migliori devono unirsi il pi spesso possibile alle femmine migliori, e al contrario i maschi
peggiori alle femmine peggiori; e i figli degli uni vanno allevati, quelli degli altri no, se il gregge
devessere quanto mai eccellente. Ma nessuno, fuor che i governanti, deve sapere che avviene tutto
questo (Repubblica, V, 459d-459e, p. 256).
Autorit apposite, costituite da uomini o da donne o da entrambi [] prenderanno in consegna i
neonati [] e porteranno, penso, i figli degli uomini eccellenti allasilo, da alcune nutrici che abitano
in una zona appartata della citt; invece i figli degli uomini peggiori, e quelli degli altri eventualmente

nati con qualche malformazione, li terranno nascosti, come si conviene, in un luogo segreto e celato
alla vista (Repubblica, V, 460b-460c, p. 259).
[La corruzione dello Stato ideale]
Tutto ci che nasce si corrompe, neanche questa compagine rimarr in terno, e un giorno si
disgregher. E la disgregazione avverr cos: non solo le piante che hanno radici nella terra, ma anche
gli esseri viventi sulla superficie della terra sono soggetti alla fecondit e alla sterilit dellanima e del
corpo, quando le rivoluzioni periodiche concludono i movimenti ciclici []. Coloro che avete educato
come guide della citt, per quanto sapienti, non riusciranno a cogliere con la ragione applicata
allesperienza i periodi di fecondit e sterilit della vostra razza, i quali sfuggiranno al loro controllo;
perci talvolta genereranno figli quando non dovrebbero (Repubblica, VIII, 546a, p. 401).
[Contro la democrazia]
E anche la disgregazione della democrazia non provocata dallinsaziabile brama di ci che si
prefigge come bene?
E che cosa, secondo te, si prefigge?
La libert, risposi. In una citt democratica sentirai dire che questo il bene supremo e quindi chi
non libero per natura dovrebbe abitare soltanto l [].
A mio parere, quando una citt democratica, assetata di libert, viene ad essere retta da cattivi
coppieri, si ubriaca di libert pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano
del tutto remissivi e non concedano molta libert, accusandoli di essere scellerati e oligarchici.
S, disse, fanno questo.
E ricopre dinsulti, continuai, coloro che si mostrano obbedienti alle autorit, trattandoli come
uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia in privato e in pubblico i governanti
che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. In una tale citt non inevitabile
che la libert tocchi il suo culmine?
Come no?
Inoltre, mio caro, aggiunsi, lanarchia penetra anche nelle case private e alla fine sorge persino tra
gli animali (Repubblica, VIII, 562b-562e, p. 431).

Brani tratti da ARISTOTELE, Etica Nicomachea, a cura di C. Natali, Bari-Roma 1999.


[La giustizia]
Si detto che cosa lingiusto e che cosa il giusto; e, distinti questi, risulta chiaro che lagire
giustamente intermedio tra compiere ingiustizia e subirla, infatti la prima cosa corrisponde ad avere
troppo e la secondo ad avere troppo poco (Etica Nicomachea, V, 1133b, p. 195).
[Il regolo di Lesbo]
Ogni legge universale, ma su certi argomenti non possibile pronunciarsi correttamente in forma
universale. Quindi nei casi in cui necessario pronunciarsi in forma universale, e daltra parte non
possibile farlo correttamente, la legge tiene conto di ci che accade per lo pi, senza ignorare lerrore.
Ciononostante essa formulata correttamente, dato che lerrore non sta nella legge n nel legislatore,
ma nella natura della cosa: infatti la materia dellazione senzaltro di questo tipo. Quindi, quando la
legge si pronuncia in generale, e nellambito dellazione accade qualcosa che va contro luniversale,
giusto correggere lomissione, l ove il legislatore ha tralasciato il caso e ha sbagliato perch si
pronunciato in generale; correzione che lo stesso legislatore avrebbe proposto, se fosse stato presente,
e avrebbe formulato la legge, se avesse saputo. Quindi lequo giusto, ed migliore di un certo tipo di
giusto, non del giusto in assoluto, ma di quellerrore che ha come causa la formulazione assoluta. E
questa la natura dellequo, di essere correzione della legge, nella misura in cui essa viene meno a
causa della sua formulazione universale. Questa la causa anche del fatto che non tutto avviene in
base a una legge, cio del fatto che in certi casi non possibile stabilire una legge, e c bisogno di un
decreto particolare. Di ci che indeterminato anche la misura indeterminata, come il regolo di
piombo tipico del modo di costruire che hanno a Lesbo, infatti tale regolo si adatta ala forma della
pietra e non rimane saldo: allo stesso modo il decreto si adatta ai fatti ( Etica Nicomachea, V, 1137b,
pp. 215-16).
Brani tratti da ARISTOTELE, Politica, a cura di R. Laurenti, Bari-Roma 2000.
[La formazione dello Stato]
La comunit che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura la famiglia [] mentre la prima
comunit che risulta da pi famiglie in vista di bisogni non quotidiani il villaggio []. La comunit
che risulta di pi villaggi lo Stato, perfetto, che raggiunge ormai, per cos dire, il limite
dellautosufficienza completa: formato bens per rendere possibile la vita, in realt esiste per rendere
possibile una vita felice. Quindi ogni Stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime
comunit: infatti esso il loro fine e la natura il fine: per esempio quel che ogni cosa quando ha

compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia dun uomo, dun cavallo, duna casa.
Inoltre, ci per cui una cosa esiste, il fine, il meglio e lautosufficienza il fine e il meglio. Da queste
considerazioni evidente che lo Stato un prodotto naturale e che luomo per natura un animale
politico (Politica, I, 1252b-1253a, pp. 5-6).
[Difesa della propriet]
Due sono infatti le cose che portano gli uomini a preoccuparsi e ad amare: ci che proprio e ci che
caro: ora n luno n laltro possono trovarsi nei cittadini duno Stato cos governato (Politica, II,
1262b, pp. 36-37).
[Il dispotismo]
C unaltra forma di monarchia, come sono i regni di alcune popolazioni barbariche: hanno tutti
quanti un potere simili alle tirannidi, ma sono conformi alla legge ed ereditari giacch, avendo per
natura i barbari un carattere pi servile dei Greci, e gli Asiatici degli Europei, sottostanno al dominio
despotico senza risentimento. Per questo motivo dunque, tali regni sono di natura tirannica, ma stabili
per essere ereditari e conformi alla legge (Politica, III, 1285a, p. 102).
[Forme di governo pure e degenerate]
Quando luno o i pochi o i molti governano per il bene comune, queste costituzioni necessariamente
sono rette, mentre quelle che badano allinteresse o di uno solo o dei pochi o della massa sono
deviazioni []. Delle forme monarchiche quella che tiene docchio linteresse comune, siamo soliti
chiamarla regno: il governo di pochi e, comunque, di pi duno, aristocrazia (o perch i migliori hanno
il potere o perch persegue il meglio per lo Stato e per i suoi membri); quando poi la massa regge lo
Stato badando allinteresse comune, tale forma di governo detta col nome comune a tutte le forme di
costituzione politia []. Deviazioni delle forme ricordate sono, la tirannide del regno, loligarchia
dellaristocrazia, la democrazia della politia. La tirannide infatti una monarchia che persegue
linteresse del monarca, loligarchia quello dei ricchi, la democrazia poi linteresse dei poveri: al
vantaggio delle comunit non bada nessuna di queste (Politica, III, 12789a-b, p. 84).
[Il governo delle leggi]
preferibile, senza dubbio, che governi la legge pi che un qualunque cittadino e, secondo questo
stesso ragionamento, anche se meglio che governino alcuni, costoro bisogna costituirli guardiani
delle leggi e subordinati alle leggi []. Quindi chi raccomanda il governo della legge sembra
raccomandare esclusivamente il governo di dio e della ragione, mentre chi raccomanda il governo

delluomo, vaggiunge anche quello della bestia perch il capriccio questa bestia e la passione
sconvolge, quando sono al potere, anche gli uomini migliori (Politica, III, 1287a, pp. 108-09).
[La classe media]
Lo Stato vuole essere costituito, per quanto possibile, di elementi uguali e simili, il che succede
soprattutto con le persone del ceto medio. Di conseguenza ha necessariamente lordinamento migliore
lo Stato che risulti di quegli elementi dei quali diciamo formata per natura la compagine dello Stato.
E sono questi cittadini che nello Stato hanno lesistenza garantita pi di tutti: infatti essi non bramano
le altrui cose, come i poveri, n gli altri le loro, come fanno appunto i poveri dei beni dei ricchi, e
quindi per non essere essi stessi presi di mira e per non prendere di mira gli altri, vivono al di fuori di
ogni pericolo (Politica, IV, 1295b, pp. 136-37).

Brani tratti da Tommaso dAquino, a cura di O. De Bertolis e F. Todescan, Padova 2003.


[Come Dio aiuta gli uomini]
Il principio che spinge al bene dallesterno Dio, il quale ci istruisce mediante la legge e ci aiuta
mediante la grazia (Summa theologiae, 1.2, q. 90, p. 75).
[Definizione di legge]
E cos si pu sintetizzare la definizione della legge, la quale non altro che un comando della ragione
ordinato al bene comune, promulgato da cui incaricato di una collettivit (Summa theologiae, 1.2, q.
90, a. 4, pp. 87-89).
[La razionalit della legge]
Affinch la volizione di quanto viene comandato abbia natura di legge necessario che sia regolata
dalla ragione. E in questo senso vero che la volont del principe ha vigore di legge: altrimenti la
volont del principe, pi che una legge, sarebbe uniniquit (Summa theologiae, 1.2, q. 90, a. 1, p. 79).
[La lex aeterna]
Il piano stesso col quale Dio, come principe delluniverso, governa le cose ha natura di legge. E poich
la mente divina non concepisce nulla nel tempo, essendo il suo pensiero eterno, come insegna la
Scrittura, tale legge deve essere eterna (Summa theologiae, 1.2, q. 91, a. 1, p. 91).

[La lex naturalis]


Ora, poich tutte le cose soggette alla divina provvidenza sono regolate e misurate dalla legge eterna,
come si visto, chiaro che tutte le cose partecipano pi o meno della legge eterna, inquantoch dal
suo influsso ricevono uninclinazione ai propri atti e ai propri fini. Ora, fra tutti gli esseri la creatura
razionale soggetta alla divina provvidenza in una maniera pi eccellente, poich ne partecipa col
provvedere a se stessa e agli altri. Per cui anche in essa si ha una partecipazione della ragione eterna,
da cui deriva una inclinazione naturale verso latto e il fine dovuto. E questa partecipazione della legge
eterna alla creatura razionale prende il nome di legge naturale (Summa theologiae, 1.2, q. 90, a. 4, p.
95).
[La lex divina]
La legge eterna viene partecipata dalla legge naturale secondo la capacit della natura umana. Ma
luomo ha bisogno di essere guidato in maniera pi alta allultimo fine soprannaturale. E cos si ha una
legge divina positiva, mediante la quale la legge eterna viene partecipata in un grado pi alto ( Summa
theologiae, 1.2, q. 91, a. 1, p. 103).
[La corruzione della lex humana]
Una legge umana positiva in tanto ha natura di legge in quanto deriva dalla legge naturale. E se in
qualcosa contraria alla legge naturale, non pi legge, ma corruzione della legge (Summa
theologiae, 1.2, q. 95, a. 2, p. 179).
[Se si debba obbedire]
Le leggi possono essere ingiuste in due modi. Primo, perch in contrasto col bene umano precisato nei
tre elementi sopra indicati: o per il fine, come quando chi comanda impone ai sudditi delle leggi
onerose non per il bene comune, ma piuttosto per la sua cupidigia e per il suo prestigio personale;
oppure per lautorit, come quando uno emana una legge superiore ai propri poteri; oppure anche per
il tenore, come quando si spartiscono gli oneri in maniera disuguale, anche se vengono ordinati al bene
comune. Tali norme sono piuttosto violenze che leggi: poich, come dice s. Agostino, non sembra che
sia una legge quella che non giusta. Perci simili leggi non obbligano in coscienza; a meno che non
si tratti di evitare scandali o turbamenti, nel qual caso luomo tenuto a cedere il proprio diritto,
secondo lammonimento evangelico: Se uno ti costringer a fare un miglio, tu fanne con lui due; e a
chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. Secondo, le leggi
possono essere ingiuste perch contrarie al bene divino: come le leggi dei tiranni che portano
allidolatria, o a qualsiasi altra cosa contraria alla legge divina. E tali legge non vanno in alcuno modo

osservate, poich sta scritto: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Summa theologiae,
1.2, q. 96, a. 4, pp. 203-05).
Brani tratti da MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, a cura di C. Vasoli, Torino 1960.
[La struttura dello Stato]
Poich, come un animale ben disposto secondo la sua natura composto di certe parti proporzionate,
ordinate luna allaltra e che si partecipano mutuamente le loro funzioni in vista del tutto, cos anche la
citt costituita da certe parti di tal genere, quando ben disposta e istituita secondo ragione
(Defensor pacis, I, 2.3, p. 115).
[Le parti dello Stato]
Diremo dunque - come dice Aristotele nella Politica, libro VII, che le parti o uffici dello Stato sono di
sei specie, e, cio, lagricoltura, lartigianato, la milizia, la parte finanziaria, il sacerdozio e la parte
giudiziale o deliberativa (Defensor pacis, I, 5.2, pp. 123-24).
[La lex regia de imperio]
Il supremo legislatore umano [] fu ed e deve essere la totalit degli uomini [] o la loro parte
prevalente, nelle varie regioni o province. E poich questa potest fu trasferita dalla totalit delle
province o dalla loro parte prevalente al popolo romano, per il suo straordinario valore, questo popolo
ebbe ed ha lautorit di legiferare su tutte le province del mondo; e se il popolo ha trasferito lautorit
di legiferare al suo principe, dobbiamo dire similmente che il suo principe ha una tale autorit
(Defensor minor, XII, 1, p. 151).
[Atti comandati immanenti e transitivi]
Vi sono per delle altre azioni o passioni che vengono compiute da noi o accadono in noi per mezzo
dei nostri poteri appetitivi o conoscitivi. Alcune di esse sono dette immanenti [immanentes] perch
non passano in un soggetto diverso da chi le compie, n vengono esercitate mediante qualche organo
esterno o membro locomotorio; e di tal genere sono appunto i pensieri, i desideri, o le affezioni degli
uomini. Ma vi sono per anche delle altre azioni e passioni che vengono dette transitive
[transeuntes] perch sono opposte, sotto uno o sotto entrambi questi punti di vista, a quel genere che
abbiamo or ora descritto (Defensor pacis, I, 5.4, p. 126).
[Quali azioni siano regolabili dallo Stato]

Per moderare gli eccessi degli atti che derivano dai poteri locomotori mediante la conoscenza e il
desiderio che abbiamo detto atti transitivi e che possono essere atti per il vantaggio o il danno di
qualcuno diverso da colui che li compie, e per lo stato della vita presente venne quindi
necessariamente istituita nello Stato una parte o ufficio mediante il quale fossero corretti e ridotti
alluguaglianza o alla giusta proporzione gli eccessi di questi atti (Defensor pacis, I, 5.7, p. 127).
[La legge]
Si pu considerare la legge [] secondo che per la sua osservanza venga dato un precetto coattivo
legato ad una punizione o una ricompensa da attribuire in questo mondo, o secondo che venga
tramandata per mezzo di un tale precetto; e solo quando considerata in tale modo viene chiamata
legge e lo propriamente (Defensor pacis, I, 10.4, p. 155).
[La sovranit popolare]
Diciamo dunque, daccodo con la verit e lopinione di Aristotele, nella Politica, libro III, capitolo VI,
che il legislatore, o la causa prima ed efficiente della legge, il popolo [ populus] o lintero corpo dei
cittadini [universitas civium] o la sua parte prevalente [valencior pars], mediante la sua elezione o
volont espressa con le parole nellassemblea generale dei cittadini, che comanda che qualcosa sia
fatto o non fatto nei riguardi degli atti civili umani, sotto la minaccia di una pena o punizione
temporale (Defensor pacis, I, 12.3, p. 169).
[La formazione della legge]
dunque cosa appropriata ed altamente utile che tutto il corpo dei cittadini affidi a coloro che sono
prudenti e sperimentati la ricerca,

scoperta ed esame delle regole, future leggi o statuti, che

concernono quanto giusto e vantaggioso per la societ, gli oneri o svantaggi comuni ed altre materie
simili []. Dopo che tali regole, che sono le future leggi, sono state scoperte ed esaminate
diligentemente, debbono per essere proposte a tutto il corpo dei cittadini riunite perch le approvi o le
respinga (Defensor pacis, I, 13.8, pp. 185-86).
[Subordinazione del potere esecutivo al potere legislativo]
Diciamo, secondo la verit e la dottrina di Aristotele nella Politica, libro III, capitolo VI, che il potere
effettivo di istituire o eleggere un governo spetta al legislatore o a tutto il corpo dei cittadini, cos
come gli spetta il potere di fare le leggi []. E similmente spetta al legislatore anche il potere di
correggere il governante o anche di deporlo, ove ci sia conveniente per il comune vantaggio
(Defensor pacis, I, 15.2, p. 195).

[Ges insegno la sottomissione alla legge dello Stato]


Basta dunque per il presente proposito che si mostri ed io lo mostrer per prima cosa che Cristo
stesso venne in questo mondo non per dominare gli uomini, n per giudicarli nel terzo significato di
giudizio [pene o premi in questo mondo], n per governarli temporalmente, ma piuttosto per esser
soggetto per quanto riguarda lo stato della vita presente; e inoltre volle tener lontani se stesso, i suoi
apostoli e discepoli e i loro successori, i vescovi o sacerdoti, da ogni tipo di tale potere coercitivo o
dominio mondano sia col suo esempio che con le sue parole di comando o consiglio. Ma io mostrer
anche che i principali apostoli, come veri imitatori di Cristo, agirono nello stesso modo e insegnarono
ad agire ugualmente anche ai loro successori; e inoltre, che tanto Cristo, che gli apostoli vollero essere
e furono continuamente sottoposti nella persona e negli averi alla giurisdizione coattiva dei governati
secolari, e che essi insegnarono e comandarono di far la stessa cosa a tutti gli altri cui essi predicarono
o scrissero la legge di verit, sotto pena di dannazione eterna (Defensor pacis, II, 4.3 pp. 272-73).
[Il fine del cristianesimo e il fine dello Stato]
Cristo non venne a questo mondo per disporre del potere temporale o carnale o del giudizio coattivo,
ma invece del regno spirituale o celeste; poich, invero, egli parlava e predicava quasi sempre solo di
questo regno []; mentre solo raramente parla del regno terreno ed anzi, quando lo fa, cinsegna a
disprezzarlo. Egli prometteva che nel Regno celeste avrebbe assegnato premi e pene secondo i meriti o
le colpe di ciascuno, ma non promise mai che lavrebbe fatto in questo mondo []. Invece, i
governanti o i giudici di questo mondo debbono agire nel modo opposto, osservando la giustizia;
perch debbono distribuire, in questo mondo, i premi a coloro che osservano le leggi e le pene a coloro
che agiscono male; e proprio facendo cos, agiscono giustamente (Defensor pacis, II, 4.6, pp. 276-77).
[La Chiesa cattolica eretica]
Invocando il suo giudizio se mentiamo, noi affermiamo dinanzi a Cristo che questi vescovi e quasi
tutti gli altri preti nei tempi moderni agiscono in quasi tutte le occasioni in modo opposto agli
insegnamenti dellEvangelo di cui pure essi predicano losservanza agli altri. Perch ardono di
desiderio per i piaceri, le vanit, i beni temporali e il dominio secolare, e perseguono e raggiungono
questi fini con ogni sforzo, ma non con mezzi giusti, bens agendo ingiustamente, in modo aperto o
nascosto. Laddove invece Cristo e gli Apostoli, suoi veri imitatori, disprezzarono queste cose, e
insegnarono a disprezzarle agli altri uomini, e specialmente a coloro che predicano agli altri il
disprezzo evangelico dei beni mondani (Defensor pacis, II, 4.3 pp. 272-73).

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Brani tratti da NICCOL MACHIAVELLI, Il Principe, a cura di G. Inglese, Torino 1995.


[I tipi di Stato]
Tutti gli stati, tutti e domini che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o
repubbliche o principati. E principati sono o ereditari, de quali el sangue del loro signore ne sia suto
lungo tempo principe, o sono nuovi. E nuovi, o e sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco
Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come el
regno di Napoli al re di Spagna. Sono questi dominii cos acquistati o consueti a vivere sotto un
principe o usi a essere liberi; e acquistonsi o con larme daltri o con le proprie, o per fortuna o per
virt (Il principe, I, 1-4, p. 7).
[Monarchia temperata e dispotismo]
Li esempli di queste dua diversit di governi sono, ne nostri tempi, el Turco e il re di Francia. Tutta la
monarchia del Turco governata da uno signore: li altri sono sua servi; e distinguendo il suo regno in
sangiacchie, vi manda diversi amministratori e gli muta e varia come pare a lui. Ma il re di Francia
posto in mezzo di una moltitudine antiquata di signori, in quello stato, riconosciuti da loro sudditi e
amati da quegli: hanno le loro preminenze, non le pu il re trre sanza suo pericolo ( Il Principe, VI, 57, pp. 25-26).
[Il male minore]
Bene usate si possono chiamare quelle [crudelt] se del male lecito dire bene, - che si fanno a uno
tratto, per la necessit dello assicurarsi: e di poi non vi si insiste dentro, ma si convertono in pi utilit
de sudditi che si pu. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, pi tosto
col tempo crescono che le si spenghino (Il Principe, VIII, 24-25, p. 61).
[Debolezza degli Stati italiani]
E se si considera quelli signori che in Italia hanno perduto lo stato ne nostri tempi, come el re di
Napoli, duca di Milano e altri, si trover in loro, prima, uno comune difetto quanto alle arme, per le
cagioni che di sopra a lungo si sono discorse; di poi si vedr alcuni di loro o che ar avuto inimici e
populi, o, se ar avuto il populo amico, non si sar saputo assicurare de grandi (Il Principe, XXV, 5, p.
160).

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[Il realismo politico]


Gli tanto discosto da come si vive a come si doverebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa,
per quello che si doverebbe fare, impara pi presto la ruina che la preservazione sua: perch uno uomo
che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene che ruini in fra tanti che non sono
buoni. Onde necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a potere essere non buono e
usarlo e non usarlo secondo necessit (Il Principe, XV, 5-6, pp. 102-03).
[Liceit della crudelt]
Debbe pertanto uno principe non si curare della infamia del crudele per tenere e sudditi sua uniti e in
fede: perch con pochissimi esempli sar pi pietoso che quelli e quali per troppa piet lasciono
seguire e disordini, di che ne nasca uccisioni o rapine; perch queste sogliono offendere una
universalit intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare. E in fra
tutti e principi al principe nuovo impossibile fuggire il nome di crudele, per essere gli stati nuovi
pieni di pericoli (Il Principe, XVII, 4-5 p. 109).
[Il pessimismo antropologico]
Rispondesi che si vorrebbe essere luno e laltro; ma perch e gli difficile accozzarli insieme,
molto pi sicuro essere temuto che amato, quando si abbi a mancare delluno de dua. Perch degli
uomini si pu dire questo, generalmente, che sieno ingrati, volubili, fuggitori de pericoli, cupidi del
guadagno; e mentre fai loro bene e sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e figliuoli, come
di sopra dissi, quando el bisogno discosto: ma quando ti si appressa, si rivoltono, e quello principe
che si tutto fondato in su le parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, ruina (Il Principe,
XVII, 9-10, p. 110).
[Le leggi e la forza]
Quanto sia laudabile in uno principe il mantenere la fede e vivere con integrit e non con astuzia,
ciascuno lo intende; nondimanco si vede per esperienza ne nostri tempi quelli principi avere fatto gran
cose, che della fede hanno tenuto poco conto e che hanno saputo con lastuzia aggirare e cervelli degli
uomini: e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la realt. Dovete adunque sapere
come e sono dua generazioni di combattere: luno, con le leggi; laltro, con la forza. Quel primo
proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perch el primo molte volte non basta, conviene
ricorrere al secondo: pertanto a uno principe necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo ( Il
Principe, XVIII, 1-4, p. 115).

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[Lastuzia e la forza]
Sendo dunque necessitato uno principe a sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe
e il lione, perch el lione non si difende da lacci, la golpe non si difende da lupi; bisogna adunque
essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi: coloro che stanno semplicemente in sul
lione, non se ne intendono. Non pu pertanto uno signore prudente, n debbe, osservare la fede quando
tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini
fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perch e sono tristi, e non la
osserverebbono a te, tu etiam non lhai a osservare loro (Il Principe, XVIII, 8-9, pp. 116-17).
[Essere e apparire]
A uno principe adunque non necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualit, ma bene
necessario parere di averle; anzi ardir di dire questo: che, avendole e osservandole sempre, sono
dannose, e, parendo di averle, sono utili; come parere piatoso, fedele, umano, intero, religioso, ed
essere: ma stare in modo edificato con lo animo che, bisognando non essere, tu possa e sappia
diventare il contrario. E hassi a intendere questo, che uno principe e massime uno principe nuovo non
pu osservare tutte quelle cose che per le quali gli uomini sono chiamati buoni, sendo spesso
necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carit, contro alla umanit,
contro alla religione. E per bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo che e venti
della fortuna e la variazione delle cose gli comandano; e, come si sopra dissi, non partirsi dal bene,
potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato (Il Principe, XVIII, 13-15, p. 118).
[Virt e fortuna]
Nondimanco, perch il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia
arbitra della met delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare laltra met, o presso, a noi.
E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che, quando si adirano, allagano e piani, rovinano li
arbori e li edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro
dinanzi, ognuno cede allimpeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare. E bench sieno cos fatti,
non resta per che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessimo fare provvedimento e con
ripari e con argini: in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o limpeto loro
non sarebbe n s dannoso n s licenzioso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la
sua potenza dove non ordinata virt a resisterle: e quivi volta e sua impeti, dove la sa che sono fatti
gli argini n e ripari a tenerla. E se voi considerrete la Italia, che la sedia di queste variazioni e
quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo ( Il
Principe, XVII, 4-8, pp. 162-63).

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[Il riscatto nazionale]


Non si debba adunque lasciare passare questa occasione, acci che la Italia vegga dopo tanto tempo
apparire uno suo redentore. N posso esprimere con quale amore e fussi ricevuto in tutte quelle
provincie che hanno patito per questi illuvioni esterne, con che sete di vendetta, con che ostinata fede,
con che piet, con che lacrime. Quali porte se li serrerebbono? Quali populi gli negherebberono la
obbedienza? Quale invidia se li opporrebbe? Quale italiano gli negherebbe lo ossequio? A ognuno
puzza questo barbaro dominio. Pigli adunque la illustre Casa vostra questo assunto, con quello animo
e con quella speranza che si pigliono le imprese iuste, acci che, sotto la sua insegna, e questa patria
ne sia nobilitata e, sotto e sua auspici, si verifichi quel detto del Petrarca , - quando disse:
Virt contro a furore / prender larmi, e fia el combatter corto, / che lantico valore / nelli italici cor
non ancor morto
(Il Principe, XXVI, 26-29, pp. 174-74).
Brani tratti da NICCOL MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di G.
Inglese, Milano 1999.
[Lo Stato misto]
E avengach quelli suoi re perdessono limperio per le cagioni e modi discorsi, nondimeno quelli che
li cacciarono, orinandovi subito due consoli che stessono nel luogo de Re, vennero a cacciare di Roma
il nome e non la potest regia; talch, essendo in quella republica i Consoli e il senato, veniva sol a
essere mista di due qualit delle tre soprascritte, cio di Principato e di Ottimati. Restavale solo a dare
luogo al governo popolare: onde, sendo la Nobilt romana insolente per le cagioni che sotto si diranno,
si lev il Popolo contro di quella; talch, per non perdere il tutto, fu costretta a concedere al Popolo la
sua parte, e dallaltra parte il Senato e i Consoli restassono con tanta autorit che potessono tenere in
quella republica il grado loro. E cos nacque la creazione de Tribuni della plebe, dopo la quale
creazione venne a essere pi stabilito lo stato di quella republica, avendovi tutte le tre qualit di
governo la parte sua. E tanto le fu favorevole la fortuna, che bench si passasse dal governo de Re e
degli Ottimati al Popolo [] nondimeno non si tolse mai, per dare autorit agli Ottimati, tutta
lautorit alle qualit regie, n si diminu lautorit in tutto agli Ottimati per darla al Popolo; ma
rimanendo mista, fece una republica perfetta (Discorsi, 1, II, 33-36, pp. 68-69).
[La Chiesa cattolica ha rovinato lItalia]
E perch molti sono dopinione che il bene essere delle citt dItalia nasca dalla Chiesa romana, voglio
contro a essa discorrere quelle ragioni che mi occorrono, e ne allegher due potentissime le quali

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secondo me non hanno repugnanzia. La prima che per gli esempli rei di quella corte questa provincia
ha perduto ogni devozione e ogni religione []. Abbiamo adunque con la Chiesa e con i preti noi
Italiani questo primo obligo, di essere divantati sanza religione e cattivi; ma ne abbiamo uno
maggiore, il quale la seconda cagione della rovina nostra: questo che la Chiesa ha tenuto e tiene
questa provincia divisa. E veramente alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta
alla ubbidienza duna republica o duno principe, come avvenuto alla Francia e alla Spagna. E la
cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine, n abbia anchella o una republica o uno
principe che la governi, solamente la Chiesa []. Non essendo adunque stata la Chiesa potente da
potere occupare la Italia, n avendo permesso che un altro la occupi, stata la cagione che non
potuta venire sotto un capo, ma stata sotto pi principi e signori, da quali nata tanta disunione e
tanta debolezza che la si condotta a essere stata preda, non solamente de barbari potenti, ma di
qualunque lassalta (Discorsi, 1, XII, 15-20, pp. 96-97).

Brani tratti da JEAN BODIN, I sei libri dello Stato, a cura di M. Isnardi Parente e D. Quaglioni,
Torino 1964-1997, tre voll.
[Definizione di Stato]
Per Stato si intende il governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto
ci che esse hanno in comune fra di loro (I sei libri dello Stato, I, 1, p. 159).
[Definizione di sovranit]
Insomma la sovranit il vero snodamento, il cardine su cui poggia tutta la struttura dello Stato, e da
cui dipendono i magistrati, le leggi, le ordinanze; essa il solo legame e la sola unione che fa di
famiglie, corpi, collegi, privati un unico corpo perfetto, ch appunto lo Stato []. Ma, oltre la
sovranit, a formare lo Stato concorre anche necessariamente qualcosaltro di comune e di pubblico: il
patrimonio comune, il tesoro pubblico, lo spazio di territorio occupato dalla citt, le strade, le mura, le
piazze, i templi, i mercati, gli usi, le leggi, le consuetudini, la giustizia, i premi, le pene, e tutte le altre
cose del genere, comuni o pubbliche o di ambi i tipi; senza niente di pubblico, insomma, non vi pu
essere Stato []. Rimane dunque definito che, come lo Stato un governo giusto che si esercita con
potere sovrano su pi famiglie e ci che loro in comune, cos la famiglia un governo giusto che si
esercita su pi sudditi soggetti allo stesso capo di famiglia, e su ci che a questo proprio ( I sei libri
dello Stato, I, 2, pp. 177-79).

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[I limiti della sovranit]


Quanto per alle leggi naturali e divine, tutti i principi della terra vi sono soggetti, n in loro potere
trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli di lesa maest divina, mettendosi in guerra contro quel
Dio alla cui maest tutti i principi della terra devono sottostare chinando la testa con assoluto timore e
piena riverenza. (Bodin, I, 8, p. 361). Tuttavia il principe non pu derogare a quelle leggi che
riguardano la struttura stessa del regno e il suo assetto fondamentale, in quanto esse sono connesse alla
corona e a questa inscindibilmente unite (tale , per esempio, la legge salica) (Bodin, I, 8, pp. 367-68).
Il re non pu impossessarsi della propriet altrui e disporne senza il consenso del proprietario [].
Quando si sostiene che i principi sono signori di tutto, ci si vuol riferire a quella giusta signoria e a
quella giustizia sovrana che lascia a ciascuno la sua propriet e il possesso dei suoi beni (I sei libri
dello Stato, I, 8, pp. 399-400).
Brani tratti da BARUCH SPINOZA:
-

Etica, dimostrata secondo lordine geometrico, Torino 1992;

Trattato politico, a cura di P. Cristofolini, Pisa 1999;

Trattato teologico-politico, a cura di A. Dini, Milano 2001.

[Il diritto di natura]


A partire da qui dal fatto, cio, che la potenza per cui le cose naturali esistono e operano si identifica
completamente con la potenza di Dio ci facile intendere che cosa sia il diritto di natura. Infatti,
poich Dio ha diritto a tutto, e il diritto di Dio altro non che la sua stessa potenza in quanto la si
considera assolutamente libera, ne consegue che una qualsiasi cosa naturale ha dalla natura tanto
diritto quanta la sua potenza di esistere e di operare, dal momento che la potenza di qualsiasi cosa
naturale, grazie alla quale essa esiste ed opera, non altro che la potenza stessa di Dio, assolutamente
libera (Spinoza, Trattato politico, II, 3, p. 37).
Per diritto e istituto di natura non intendo altro che le regole della natura di ciascun individuo, secondo
le quali concepiamo qualunque cosa naturalmente determinata ad esistere e ad operare in un certo
modo. Per esempio, i pesci sono determinati dalla natura a nuotare, i grandi a mangiare i pi piccoli, e
perci i pesci per supremo diritto naturale si servono dellacqua e i grandi mangiano i pi piccoli.
certo infatti che la natura, considerata in assoluto, ha il supremo diritto a tutte le cose che pu, cio il
diritto della natura si estende fin dove si estende la sua potenza, e la potenza della natura la stessa
potenza di Dio, il quale ha il supremo diritto a tutte le cose. Ma, poich la potenza universale di tutta la
natura non altro che la potenza di tutti gli individui messi insieme, ne segue che ciascun individuo ha
il supremo diritto a tutto ci che pu, ossia che il diritto di ciascuno si estende fin dove si estende la
sua determinata potenza (Spinoza, Trattato teologico politico, XVI, p. 517).

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[Il contratto sociale]


ciascuno trasferisce tutta la sua potenza alla societ, la quale soltanto, perci, terr il supremo potere, a
cui ciascuno sar tenuto ad ubbidire o liberamente o per timore del supremo castigo []. Avendo fatto
questo senza riserve [] siamo obbligati ad eseguire perfettamente tutti i comandi della suprema
potest, per quanto comandi cose del tutto assurde (Spinoza, Trattato teologico-politico, XVI, p. 529).
Trovandosi dunque in questo stato naturale, dietro consiglio di Mos, del quale tutti avevano la
massima fiducia, gli Ebrei deliberarono di non trasferire a nessun uomo il proprio diritto, ma solo a
Dio, e senza esitare a lungo promisero tutti indistintamente ad una sola voce di ubbidire in assoluto a
Dio in tutti i suoi comandamenti e di non riconoscere altro diritto allinfuori di quello che Egli stesso
avesse stabilito tale per rivelazione profetica. E questa promessa o trasferimento del diritto a Dio
avvenne nello stesso modo con il quale sopra abbiamo concepito che avviene nella comune societ,
quando gli uomini deliberano di privarsi del loro diritto naturale, espressamente, infatti, con un patto e
con un giuramento (vedi Esodo, 24,7) si privarono liberamente, non costretti dalla forza n atterriti
dalle minacce, del proprio diritto naturale e lo trasferirono a Dio (Spinoza, Trattato teologico-politico,
XVII, p. 561).
[La democrazia]
Questo diritto della societ si chiama democrazia, la quale, perci, si definisce come lassociazione di
tutti che ha collegialmente il diritto a tutto ci che pu (Spinoza, Trattato teologico-politico, XVI, p.
529).
In esso [nel governo democratico], infatti, nessuno trasferisce il proprio diritto naturale ad un altro in
modo che in seguito non sia pi consultato, ma lo trasferisce alla maggior parte di tutta la societ della
quale membro; e in questo modo tutti rimangono uguali, come lo erano prima nello stato di natura
(Spinoza, Trattato teologico-politico, XVI, p. 533).
[Lo Stato etico]
Ma forse qualcuno penser che in questo modo noi rendiamo schiavi i sudditi, dato che si ritiene che
sia schiavo colui che agisce per comando e libero colui che asseconda la propria volont; il che non
vero in assoluto, poich, in realt, in sommo grado servo colui che trascinato dal suo piacere al
punto da non poter vedere n fare ci che per lui utile, e libero soltanto colui che vive con tutto
lanimo soltanto sotto la guida della ragione. Daltra parte, lazione per comando, cio lubbidienza,
toglie di sicuro in qualche modo la libert, ma non rende senzaltro schiavi: a far ci il motivo della
sua azione. Se il fine dellazione non lutilit di chi agisce, ma di chi comanda, allora chi agisce

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schiavo e inutile a se stesso; ma nellambito dello Stato e dellesercizio del potere, dove legge
suprema la salvezza di tutto il popolo, e non di chi comanda, colui che ubbidisce in tutto alla suprema
potest non deve essere detto schiavo inutile a se stesso, ma suddito. E perci massimamente libero
quello Stato le cui leggi sono fondate sulla retta ragione: qui, infatti, ciascuno, se vuole, pu essere
libero, cio deve vivere con tutto lanimo sotto la guida della ragione (Spinoza, Trattato teologicopolitico, XVI, pp. 531-33).
Luomo che vive secondo ragione pi libero nello Stato, dove vive secondo una decisione comune,
che in solitudine, dove obbedisce a se stesso (Spinoza, Etica, IV, 73, p. 212).
[Lassolutismo democratico]
Se per legge intendiamo il diritto civile, che trae vigore e garanzia da se stesso, e per trasgredire ci
che proibito dal diritto civile [] allora non vi ragione alcuna per dire che la cittadinanza
vincolata dalle leggi o che pu trasgredirle. Infatti le regole e le condizioni del timore e del rispetto,
che la cittadinanza tenuta a salvaguardare nel suo proprio interesse, non rientrano nel diritto civile
ma nel diritto naturale []. Il diritto civile dipende invece soltanto dalle decisioni della cittadinanza, e
questa, per mantenersi libera, non tenuta ad adeguarsi ad altri che a se stessa, n a considerare bene o
male se non ci che ha deciso essere bene o male per s (Spinoza, Trattato politico, 4.5, pp. 78-79).
[La libertas philosophandi]
Nessuno pu trasferire ad un altro il proprio diritto naturale, ossia la propria facolt di ragionare
liberamente e di giudicare qualunque cosa, n pu esservi costretto. Da qui, dunque, avviene che sia
ritenuto violento il potere esercitato sugli animi, e che la somma maest appaia recare offesa ai sudditi
e usurpare il loro diritto quando vuole prescrivere a ciascuno che cosa debba abbracciare come vero e
rifiutare come falso, e da quali opinioni lanimo di ciascuno debba essere mosso alla devozione verso
Dio. Queste cose, infatti, appartengono al diritto di ciascuno, diritto al quale nessuno, anche se
volesse, pu rinunciare []. Se, dunque nessuno pu rinunciare alla propria libert di giudicare e di
pensare ci che vuole, ma ciascuno per il massimo diritto di natura padrone dei propri pensieri,
segue che mai nello Stato si pu tentare, se non cono esito del tutto infelice, di fare in modo che gli
uomini, sebbene di opinioni diverse e contrarie, non dicano niente se non secondo quanto prescritto
dalle supreme potest; neppure i pi avvertiti, infatti, per non dire della plebe, sanno tacere. difetto
comune degli uomini far credere agli altri le proprie ragioni, anche se c bisogno di tacere: sar
dunque violentissimo quel governo nel quale si nega a ciascuno la libert di dire e di insegnare ci che
pensa, e, al contrario, sar moderato quello nel quale a ciascuno concessa questa stessa libert [].
Il fine dello Stato, dico non di cambiare gli uomini da esseri razionali in bestie o automi, ma, al
contrario, fare in modo che la loro mente e il loro corpo compiano nella sicurezza le loro funzioni che

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essi si servano della libera ragione, e non combattano con odio, ira o inganno, n si comportino lun
verso laltro con animo ostile. Il fine dello Stato, dunque, la libert (Spinoza, Trattato teologicopolitico, XX, pp. 649-53).
[Il cesaropapismo]
Prima voglio infatti mostrare che la religione riceve forza di legge soltanto dal decreto di coloro che
hanno il diritto di comandare, e che Dio non ha alcun regno particolare sopra gli uomini se non per
mezzo di coloro che detengono il potere. Inoltre, voglio mostrare che la pratica della religione e
lesercizio della piet devono essere adattati alla pace e allutilit dello Stato e, di conseguenza,
devono essere determinati soltanto dalle supreme potest, e che queste, perci, devono esserne anche
le interpreti []. Nessuno, se non per loro autorizzazione o concessione, ha il diritto e il potere di
amministrarle [le cose sacre], di eleggere i ministri di esse, di determinare e stabilire i fondamenti
della chiesa e la sua dottrina (Spinoza, Trattato teologico-politico, XIX, pp. 621-23 e 637).
[Elogio della libert olandese]
Affinch, poi, risulti che da questa libert non nasce alcun inconveniente che non possa essere evitato
dalla sola autorit della suprema potest, e che da questa sola gli uomini, sebbene pensino apertamente
cose contrarie, possano essere facilmente tenuti a freno perch non si rechino danno lun laltro, ci
sono molti esempi a disposizione. N ho bisogno di cercarli lontano. Ci sia da esempio la citt di
Amsterdam, la quale esperimenta i frutti di questa libert con suo grande vantaggio e con
lammirazione di tutte le nazioni. Infatti, in questa floridissima repubblica ed eminentissima citt tutti
gli uomini, di qualunque nazionalit e setta, vivono nella massima concordia, e per affidare i propri
beni a qualcuno si preoccupano soltanto di sapere se ricco o povero o se solito agire con lealt o
inganno. La religione o la setta, peraltro, non interessano loro per niente, perch queste non giovano
affatto per far vincere o perdere la causa davanti al giudice; e nessuna setta odiosa fino al punto che i
suoi seguaci (purch non rechino offesa ad alcuno, diano a ciascuno il suo e vivano onestamente) non
siano protetti dalla pubblica autorit dei magistrati e dalla guarnigionem (Spinoza, Trattato teologicopolitico, XX, pp. 665-67).
Brani tratti da THOMAS MORE, Utopia, Bari-Roma 2000.
[La nascita della propriet privata genera la povert]
Le vostre pecore - dissio [ Itlodeo a parlare, rivolgendosi ad un cardinale inglese ] che di solito
son cos dolci e si nutrono di cos poco, mentre ora, a quanto si riferisce, cominciano ad essere cos
voraci e indomabili da mangiarsi financo gli uomini, da devastare, facendone strage, campi, case e

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citt. In quelle parti infatti del reame dove nasce una lana pi fine e perci pi preziosa, i nobili e
signori e perfino alcuni abati, che pur son uomini santi, non paghi delle rendite e dei prodotti annuali
che ai loro antenati e predecessori solevano provenire dai loro poderi, e non soddisfatti di vivere fra
ozio e splendori senzessere di alcun vantaggio al pubblico, quando non siano di danno, cingono ogni
terra di stecconate ad uso di pascolo, senza nulla lasciare alla coltivazione, e cos diroccano case e
abbattono borghi, risparmiando le chiese solo perch vi abbiano stalla i maiali; infine, come se non
bastasse il terreno da essi rovinato a uso di foreste e di parchi, codesti galantuomini mutano in deserto
tutti i luoghi abitati e quanto c di coltivato sulla terra. Quando dunque si d il caso che un solo
insaziabile divoratore, peste spietata del proprio paese, aggiungendo campi a campi, chiuda con un
solo recinto varie migliaia di iugeri, i coltivatori vengono cacciati via e, irretiti da inganni o sopraffatti
dalla violenza, son anche spogliati del proprio, ovvero, sotto laculeo di ingiuste vessazioni, son
costretti a venderlo. Insomma, in un modo o nellaltro, vanno via quei disgraziati, uomini, donne,
mariti, mogli, orfani, vedove, genitori con bambini e con una famiglia pi numerosa che ricca, ch
lagricoltura richiede molte mani; vanno via, dico, dai loro noti lari abituali, senza trovar dove
ricoverarsi, gettando via a vil prezzo, una volta che cacciati bisogna essere, la loro povera roba che,
anche a poter aspettare chi la comprasse, non si venderebbe per molto. E una volta che in breve, con
landare di qua e di l, hanno speso tutto, che altro resta loro se non rubare, per essere di santa ragione,
si capisce, impiccati, o andar in giro pitoccando? Sebbeneanche in questo secondo caso vengono,
come vagabondi, gittati in carcere, perch vanno attorno senza lavorare. Vero che, per quanto essi si
offrano di gran cuore, non c nessuno che li prenda a servizio. Dove nulla si semina, nulla c da fare
pei lavori dei campi, a cui erano stati abituati. Un solo pecoraio o bovaro, se pure, sufficiente per
quella terra serbata a pascolo, mentre per coltivarla, per potervi seminare, occorrevano molte mani (pp.
24-25).
[Il comunismo come soluzione della povert]
Dove c la propriet privata, dovunque si commisura ogni cosa col danaro, non possibile che tutto si
faccia con giustizia e tutto fiorisca per lo Stato []. La sola e unica via alla salvezza dello Stato
dimporre luguaglianza []. Tanto io sono pienamente convinto che non possibile distribuire i beni
in maniera equa e giusta, o che prosperino le cose dei mortali, senza abolire del tutto la propriet
privata! Finch dura questa, durer sempre, presso una parte dellumanit che di gran lunga la
migliore e la pi numerosa, la preoccupazione dellindigenza, col peso inevitabile delle sue
tribolazioni (pp. 50-51).

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[Il valore delle cose]


[Gli Utopiani] si stupiscono che esista qualche mortale cui diletti lincerto splendore di una piccola
gemma, di una perla, quando pu contemplare qualche stella o anche lo stesso sole, o che ci sia
qualcuno s stolto da credersi pi nobile ai propri occhi per un filo di lana pi sottile, se vero che
questa stessa lana, per quanto sottile sia il filo che d, lha portata una volta una pecora, che pure con
ci rimasta sempre pecora (p. 80).
[Il comunismo in Utopia]
Ma torniamo alla vita in comune dei cittadini. Come ho gi detto, il pi anziano a capo della famiglia
e servono le mogli ai mariti e i figli ai genitori e in tutto i minori ai pi grandi. Ogni citt divisa in
quattro parti eguali, e al centro di ogni parte c il mercato di tutte le cose; quivi, in determinati locali
si portano i prodotti di lavoro di ogni famiglia e nei magazzini vengono ripartite separatamente le varie
specie di prodotti. Da qui attinge qualsiasi padre di famiglia tutto ci di cui lui o i suoi abbisognano e,
senza denaro, senza prestazione alcuna, ottiene tutto ci che chiede. E per qual motivo gli si dovrebbe
rifiutar qualcosa, quando c abbondanza di tutto non solo, ma non c paura che qualcuno chieda pi
del bisogno? E perch supporre che possa chiedere il superfluo chi sicuro che non gli mancher mai
nulla? (p. 70).
[La religione naturale]
Varie sono le religioni non soltanto attraverso lisola, ma anche per le singole citt, ch alcuni
venerano come dio il sole, altri la luna, altri unaltra delle stelle erranti. C chi riverisce non come dio
soltanto, ma anche come sommo dio, qualche uomo, la cui virt o gloria risplendette una volta. Ma
una parte, che la maggiore di gran lunga e insieme molto pi saggia, nulla di questo ammette, ma che
vi sia una divinit non conoscibile, eterna, immensa, inspiegabile, che supera la capacit
dellintelligenza umana, diffusa in tutto il suo universo pel suo influsso, non gi corporalmente:
questa che chiamano padre. A lui attribuiscono lorigine, la crescita, i progressi, le vicende, come le
vediamo, e la fine di tutte le cose, e non pongono ad altri onori divini (p. 115).
[Sulla tolleranza religiosa]
Certo, pretendere con la violenza e con le minacce che ci che tu credi vero sembri tale a tutti
ugualmente, un eccesso e una sciocchezza. Ch se poi una sola religione vera pi di tutte le altre, e
queste sono tutte quante senza fondamento, [Utopo] pur previde agevolmente che, a condurre la cosa
con ragione e moderazione, alfine la forza della verit sarebbe una buona volta venuta fuori da se
stessa per dominare []. Perci mise da parte tutta questa faccenda, e lasci libero ognuno di ci che
volesse credere, salvo che religiosamente e severamente viet che nessuno avvilisse la dignit della

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natura umana fino al punto da credere che lanima perisca col corpo o che il mondo vada innanzi a
caso, toltane di mezzo la provvidenza; e questa la ragione per cui credono che, dopo la vita presente,
per le colpe siano fissati dei tormenti e per la virt stabiliti dei premi, e chi la pensa diversamente non
va messo neppure nel numero degli uomini, come colui che abbassa la natura elevatissima dellanima
sua alla vilt del corpiciattolo delle bestie. Tanto sono lungi dal porre tra i propri concittadini chi, se la
paura glielo consentisse, non farebbe nessun conto di tutte le disposizioni e costumanze! Si pu infatti
dubitare che non cerchi di eludere segretamente e con astuzia le leggi pubbliche della patria, o di
abbatterle a viva forza, pur dobbedire in privato alla propria cupidigia, colui pel quale non c altro da
temere al di l delle leggi, non c pi da sperare al di l del corpo? Per tal motivo, se uno ha tale
temperamento, non lo si mette a parte di alcun onore, non gli si affida alcuna magistratura, non viene
preposto ad alcuna funzione pubblica (pp. 118-19).
Brani tratti da TOMMASO CAMPANELLA, La citt del Sole, Milano 1995.
[La casta dirigente]
un Principe Sacerdote tra loro, che sappella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo
capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano. Ha tre Principi collaterali:
Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potest, Sapienza e Amore. Il Potest ha cura delle guerre e delle paci e
dellarte militare []. Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dellarti liberali
e meccaniche []. Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine in modo che
faccin buona razza []. Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ch senza lui nulla si fa (pp.
30-33).
[Il lavoro nella Citt del Sole]
[I Solari] non tengono schiavi, perch essi bastano a se stessi, anzi soverchiano. Ma noi non cos,
perch in Napoli son da trecento milia anime, e non faticano cinquanta mila; e questi patiscono fatica
assai e si struggono; e loziosi si perdono anche per lozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente
guastano, tenendoli in servit e povert, o fandoli partecipi di lor vizi, talch manca il servizio publico,
e non si pu il campo, la milizia e larti fare, se non male e con stento. Ma tra loro, partendosi loffizi a
tutti e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro ore il giorno per uno; s ben tutto il resto imparare
giocando, disputando, leggendo, insegnando, camminando, e sempre con gaudio (pp. 47-48).

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Brani tratti da GABRIEL DE FOIGNY, La Terra australe, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, Napoli
1978.
[La societ anarchica]
Gli dissi che nel nostro paese eravamo persuasi che una moltitudine non poteva esistere senza ordine,
perch ci avrebbe provocato gran confusione; e lordine presupponeva per necessit un capo, al quale
gli altri erano obbligati a sottomettersi. Il vecchio, senza approfondire oltre i diversi modi di
superiorit stabiliti fra di noi, decise di spiegarmi una dottrina, della quale capii effettivamente il
senso, ma che non saprei spiegare con il vigore con il quale egli la enunci. Mi fece comprendere che
era proprio della natura delluomo nascere libero, che non si poteva sottometterlo senza farlo
rinunciare a se stesso; che assoggettandolo diventava peggio delle bestie, perch per gli animali, in
quanto destinati soltanto al servizio delluomo, la prigionia in qualche modo naturale. Ma luomo
non pu nascere per servire un altro uomo, perch il fine deve essere sempre pi nobile del suo effetto.
Si dilung, con tesi degne di ammirazione, per farmi comprendere che assoggettare un uomo a un altro
uomo significava assoggettarlo alla sua propria natura e renderlo in certo qual modo schiavo di se
stesso, il che implica una contraddizione e una estrema violenza. Mi dimostr che lessenza delluomo
consisteva nella sua libert e che volerla togliere, senza distruggerlo, significava volerlo far sussistere
senza la sua essenza []. La parola comando gli odiosa; egli fa ci che la sua ragione gli impone di
fare; la sua ragione la sua legge, la sua regola, la sua unica guida (pp. 143-44).
Brani tratti da THOMAS HOBBES:
- Leviatano, a cura di A. Pacchi, Bari-Roma 1989;
- De cive. Elementi filosofici sul cittadino, a cura di T. Magri, Roma 1999;
- Elementi di legge naturale e politica, Firenze 2004.
[Luomo non un animale politico]
La massima parte di coloro che hanno trattato delle repubbliche, suppongono, o pretendono, o
postulano, che luomo sia un animale atto per nascita alla societ, i greci dicono ; e su
questo fondamento edificano la dottrina civile []. Questo assioma, sebbene accolto da molti, falso;
e lerrore derivato da una considerazione troppo superficiale della natura umana (De cive, I, 2, p. 80).
[Definizione di libert]
Libert significa propriamente assenza di opposizione (per opposizione intendo impedimenti esterni
del movimento) e pu essere riferita non meno a creature irrazionali e inanimate che a creature
razionali []. Secondo questo significato proprio e universalmente accettato della parola, un uomo

23

libero colui che, nelle cose che capace di fare con la propria forza e il proprio ingegno, non
impedito di fare ci che ha la volont di fare. Ma tutte le volte che le parole libero e libert sono
riferite a qualcosaltro che non sia corpo, si compie un abuso; poich ci che non soggetto al
movimento non soggetto a impedimento (Hobbes, Leviatano, XXI, p. 175 ).
[Pessimismo antropologico]
Considero perci al primo posto, come uninclinazione generale di tutta lumanit, un desiderio
perpetuo e ininterrotto di acquistare un potere dopo laltro che cessa soltanto con la morte (Hobbes,
Leviatano, XI, p. 78 ).
[Uguaglianza]
La natura ha fatto gli uomini cos uguali nelle facolt del corpo e della mente che, bench talvolta si
trovi un uomo palesemente pi forte, nel fisico, o di mente pi pronta di un altro, tuttavia, tutto
sommato, la differenza tra uomo e uomo non cos considerevole al punto che un uomo possa da ci
rivendicare per s un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui (Leviatano, XIII, p.
99).
Sono uguali coloro che possono fare cose uguali luno contro laltro. Ma coloro che possono fare la
cosa suprema, cio uccidere, possono fare cose uguali. Dunque tutti gli uomini sono per natura uguali
fra di loro. La disuguaglianza ora presente stata introdotta dalla legge civile (De cive, I, 3, p. 83).
[Lo ius in omnia]
La natura ha dato a ciascuno il diritto a tutte le cose (cio nello stato di mera natura, prima che gli
uomini si vincolassero reciprocamente con dei patti, ciascuno poteva legittimamente fare qualsiasi
cosa nei confronti di chiunque altro; e possedere, usare, godere, di tutto ci che voleva o poteva) (De
cive, I, 10).
Da questa uguaglianza di capacit scaturisce unuguaglianza nella speranza di raggiungere i propri
fini. Perci, se due uomini desiderano la medesima cosa, di cui tuttavia non possono entrambi fruire,
diventano nemici e, nel perseguire il loro scopo (che principalmente la propria conservazione e
talvolta solo il proprio piacere) cercano di distruggersi o di sottomettersi lun laltro []. Da ci,
appare chiaramente che, quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in
soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che quella di ogni uomo
contro ogni altro uomo (Leviatano, XIII, pp. 100-01).

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[Approssimazioni storiche allo stato di natura]


Si pu forse pensare che vi sia mai stato un tempo e uno stato di guerra come questo, ed io credo che
nel mondo non si sia mai stato cos in generale; ma vi sono molti luoghi ove attualmente si vive in tal
modo. Infatti in molti luoghi dAmerica, i selvaggi, se si esclude il governo di piccole famiglie la cui
concordia dipende dalla concupiscenza naturale, non hanno affatto un governo e vivono attualmente in
quella maniera animalesca di cui ho prima parlato. Ad ogni modo, si pu intuire quale genere di vita ci
sarebbe se non ci fosse un potere comune da temere, dal genere di vita in cui, durante una guerra
civile, precipitano abitualmente gli uomini che fino a quel momento sono vissuti sotto un governo
pacifico. Ma qualora non fosse mai esistito un tempo in cui gli uomini isolati fossero in uno stato di
guerra gli uni contro gli altri, tuttavia in tutti i tempi, i re e le persone dotate di autorit sovrana sono,
a causa della loro indipendenza, in una situazione di continua rivalit (Leviatano, XIII, pp. 102-03).
[La legge di natura]
Una legge di natura un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione, che proibisce ad un
uomo di far ci che distruggerebbe la sua vita o che gli toglierebbe i mezzi per conservarla, o di non
fare ci che egli considera meglio per conservarla (Leviatano, XIV, p. 105).
[Le prime due leggi di natura]
un precetto, o una regola generale della ragione, che ciascuno debba cercare la pace [pax est
quaerenda] per quanto ha speranza di ottenerla, e che, se non in grado di ottenerla, gli sia lecito
cercare e utilizzare tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra. La prima parte contiene la prima e
fondamentale legge di natura che cercare e perseguire la pace []. Da questa legge di natura
fondamentale, con cui si comanda agli uomini di cercare la pace, deriva la seconda legge, che si sia
disposti, quando anche altri lo siano, a rinunciare, nella misura in cui lo si ritenga necessario alla
pace e alla propria difesa, al diritto su tutto (Leviatano, XIV, p. 106).
[Il contratto sociale]
Lunico modo di erigere un potere comune che possa essere in grado di difenderli dallaggressione di
stranieri e dai torti reciproci [] quello di trasferire tutto il loro potere e tutta la loro forza a un solo
uomo o a una sola assemblea di uomini (che, in base alla maggioranza delle voci, possa ridurre tutte le
loro volont a ununica volont). Il che quanto dire che si incarica un uomo o una sola assemblea di
uomini di dar corpo alla loro persona; che ciascuno riconosce e ammette di essere lautore di ogni
azione compiuta, o fatta compiere, relativamente alle cose che concernono la pace e la sicurezza
comune, da colui che d corpo alla loro persona; e che con ci sottomettono, ognuno di essi, le proprie
volont e i propri giudizi alla volont e al giudizio di questultimo. Questo pi che consenso o
concordia, una reale unit di tutti loro in una sola e stessa persona, realizzata mediante il patto di

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ciascuno con tutti gli altri, in maniera tale che come se ciascuno dicesse a ciascun altro: D
autorizzazione e cedo il mio diritto di governare me stesso a questuomo, o a questassemblea di
uomini, a questa condizione, che tu, nella stessa maniera, gli ceda il tuo diritto e ne autorizzi tutte le
azioni. Fatto ci, la moltitudine cos unita in una sola persona si chiama Stato, in latino civitas.
questa la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto (per parlare con maggiore rispetto), di
quel dio mortale al quale dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa
(Leviatano, XVII, pp. 142-43).
[Le prerogative dello Stato]
La somma di questi diritti di sovranit, cio luso assoluto della spada in pace e in guerra,
lemanazione e abrogazione di leggi, il giudizio e la decisione supremi di tutti i dibattiti giudiziari e
deliberativi, la nomina di tutti i magistrati e ministri, con gli altri diritti contenuti nella medesima,
rendono il potere sovrano non meno assoluto nello Stato, di quanto prima dello Stato ogni uomo fosse
assoluto in se stesso di fare o di non fare ci che egli pensasse buono (Hobbes, Elementi, II, 1.13, p.
124).
[Origine civile della propriet]
Poich [] prima della costituzione dello Stato tutte le cose erano di tutti, e non vi nulla di cui
qualcuno possa dire che suo, senza che qualsiasi altra persona, con lo stesso diritto, possa
rivendicarlo come suo [] segue che la propriet ha avuto inizio con gli stessi Stati, e che proprio di
ciascuno, quello che pu conservare grazie alle leggi e alla potenza dellintero Stato, cio grazie a
colui cui stato dato il potere supremo (De cive, VI, 15, pp. 138-39).
[Il potere sovrano inalienabile]
Non si pu credere che capiti che tutti insieme i cittadini, nessuno escluso, consentano contro il potere
supremo (De cive, VI, 20, p. 143).
Il potere si sostiene su un duplice obbligo dei cittadini: quello nei confronti dei concittadini, e quello
nei confronti di chi ha il potere. Dunque i cittadini, quale che sia il loro numero, non possono
legittimamente privare del potere chi lo detiene, senza il suo consenso (De cive, VI, 20, p. 144 ).
[Il potere sovrano assoluto]
Cosicch, sia in base alla ragione che alla Scrittura, appare chiaro, al mio intelletto, che il potere
sovrano risieda in un singolo uomo, come nella monarchia, o in unassemblea di uomini, come negli
Stati popolari o aristocratici - tanto grande quanto si possa immaginare che gli uomini possano farlo
(Leviatano, XX, p. 173).

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Nessuno [] pu obbligarsi verso se stesso. Infatti lobbligato e lobbligante sarebbero una stessa
persona; e poich lobbligante pu liberare lobbligato, lobbligarsi verso se stessi vano, perch ci si
pu liberare a proprio arbitrio []. Da ci risulta chiaro che lo Stato non tenuto alle leggi civili (De
cive, VI, 14, p. 138).
[Il potere sovrano indivisibile]
Questi sono i diritti che costituiscono lessenza della sovranit, nonch i segni dai quali si pu
riconoscere luomo, o lassemblea di uomini, in cui posto e risiede il potere sovrano. Questi diritti
sono infatti non trasmissibili e inseparabili []. Se non ci fosse stata allinizio unopinione, fatta
propria dalla maggior parte dellInghilterra, secondo cui questi poteri erano divisi fra il re, i lord e la
Camera dei Comuni, il popolo non sarebbe stato mai diviso e non sarebbe caduto in questa guerra
civile insorta prima fra coloro che erano in disacordo in politica, e poi fra coloro che avevano
discordanti opinioni in fatto di libert religiosa (Leviatano, XVIII, pp. 151-52).
[Riduzione della morale alla politica]
Da questa guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo consegue anche che niente pu essere ingiusto.
Le nozioni di diritto e torto, di giustizia e di ingiustizia non vi hanno luogo. Laddove non esiste un
potere comune, non esiste legge; dove non vi legge non vi ingiustizia []. Giustizia e ingiustizia
non sono facolt n del corpo n della mente []. Sono qualit relative alluomo che vive in societ e
non in solitudine (Leviatano, XIII, p. 103).
[La libert residuale]
Poich per non tutti i moti e le azioni dei cittadini sono determinati dalle leggi, n possono esserlo
per la loro variet, vi sono di necessit infinite cose che non sono comandate n proibite; ma che
ciascuno pu fare o non fare a suo arbitrio. Riguardo ad esse, si dice che ciascuno gode della sua
libert; e la libert deve venire qui intesa in questo senso: quella parte del diritto naturale che viene
concessa e lasciata ai cittadini dalle leggi civili (De cive, XIII, 15, p. 201).
[Unico caso di resistibilit al potere sovrano]
Se chi detiene il potere supremo comanda, con un suo proprio ordine, che qualcuno lo uccida, non si
tenuti ad obbedire, perch non si pu intendere che si sia concluso un patto a riguardo (De cive, VI,
13, p. 137).
[Contro la libert di coscienza]

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Nessuna legge umana intesa a obbligare la coscienza di un uomo, ma solo le azioni. Infatti poich
nessun uomo (ma solo Dio) conosce il cuore o la coscienza di un uomo, a meno che si estrinsechi
nellazione, o nella lingua, o in altre parti del corpo, una legge fatta a quel riguardo non avrebbe
effetto, poich nessun uomo in grado di discernere, se non attraverso la parola o altra azione, se tale
legge sia rispettata o infranta (Elementi, II, 6.3, pp. 158-59).
Unaltra cosa necessaria estirpare dalle coscienze degli uomini tutte le opinioni che sembrano
giustificare o fornire una pretesa di diritto ad azioni ribelli; come lopinione che un uomo non possa
fare nulla di lecito contro la sua privata coscienza; che chi ha la sovranit sia soggetto alle leggi civili;
che vi sia unautorit dei sudditi, che, se negativa, pu impedire la volont positiva del potere sovrano;
che qualsiasi suddito abbia una propriet distinta dal dominio dello Stato; che esiste un corpo del
popolo al di fuori di chi detiene il potere sovrano; e che si possa opporre resistenza a un sovrano
legittimo, sotto il nome di tiranno (Elementi, II, 9.8, p. 193).

Brano tratto da ROBERT FILMER, Il Patriarca, in J. LOCKE, Due trattati sul governo, a cura di L.
Payreson, Torino 1960.
[Il diritto divino dei re]
Quella signoria che Adamo ebbe per comando sul mondo intero e che i patriarchi possedettero per
diritto trasmesso da lui, fu ampia ed estesa come il dominio pi assoluto di ogni monarca esistito dalla
creazione in poi []. Pu sembrare assurdo sostenere che i re sono oggi i padri dei loro popoli,
poich lesperienza mostra il contrario. vero che non tutti i re sono padri naturali dei loro popoli, ma
tuttavia sono o possono considerarsi gli eredi prossimi di quei primi progenitori, i quali furono al
principio i genitori naturali di tutto il popolo, e sono loro succeduti, in base al diritto dei genitori,
allesercizio della giurisdizione suprema, e tali eredi non sono soltanto signori dei propri figli, ma
anche dei propri fratelli e di tutti coloro cheran soggetti ai loro padri (Filmer, Il Patriarca, pp. 45560).
Brani tratti da JOHN LOCKE, Due trattati sul governo, a cura di L. Payreson, Torino 1960.
[Contro Filmer]
Poich la sovranit di Adamo ci su cui, come su base sicura, il nostro autore fonda la sua potente
monarchia assoluta, maspettavo che nel Patriarca questo suo primo presupposto fosse dimostrato e
stabilito con tutta quellevidenza di argomenti che un simile principio fondamentale esige, e che ci da
cui dipende la validit dellargomentazione fosse accertato con ragioni sufficienti a giustificare la
baldanza con la quale stato assunto. Ma, in tutto il trattato, ben poco ho potuto trovare in questo
senso: la cosa vi assunta come ammessa senza dimostrazione (Primo trattato, II, 11, p. 77).

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[Lo stato di natura e la legge di natura]


Per ben intendere il potere politico e derivarlo dalla sua origine si deve considerare in quale stato si
trovino naturalmente tutti gli uomini, e questo uno stato di perfetta libert di regolare le proprie
azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i limiti della
legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volont di nessun altro. anche uno stato
di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni giurisdizione reciproca, nessuno avendone pi di un altro
(Secondo trattato, II, 4, p. 239).
Lo stato di natura governato dalla legge di natura, che obbliga tutti: e la ragione, ch quella legge,
insegna, a tutti gli uomini, purch vogliano consultarla, che, essendo tutti uguali e indipendenti,
nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella salute, nella libert o nei possessi ( Secondo trattato,
II, 6, p. 242).
[Il diritto naturale alla propriet: superamento del primo limite biblico]
Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la
propriet della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e
lopera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli
trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cio unito
qualcosa che gli proprio, e con ci la rende propriet sua (Secondo trattato, V, 27, pp. 260-61).
[Il diritto naturale alla propriet: superamento del secondo limite biblico]
A che forse si obietter che se il raccogliere ghiande o altri frutti della terra, e cos via, crea un diritto
su di essi, un uomo pu accaparrarsene quanti ne vuole. Al che rispondo di no. La stessa legge di
natura che ci conferisce con quel mezzo la propriet, ce la limita anche. Dio ci ha dato
abbondantemente ogni cosa (I Tim.[oteo], VI, 17): questa la voce della ragione confermata dalla
rivelazione. Ma con quale limitazione Dio ce lha data? A godere. Di quanto si pu prima che vada
perduto far uso a vantaggio della propria vita, di tanto si pu col proprio lavoro istituire la propriet:
tutto ci che oltrepassa questo limite, eccede la parte di ciascuno e spetta agli altri. Nulla fu creato da
Dio per luomo onde vada perduto o distrutto (Secondo trattato, V, 30, p. 263).
E non strano, come forse pu parere a prima vista, che la propriet del lavoro riesca a superare la
comunit della terra, perch proprio il lavoro che pone in ogni cosa la differenza di valore (Secondo
trattato, V, 40, p. 270).
E cos siamo giunti alluso della moneta, cio a dire di qualcosa di durevole che si pu tenere senza
che vada perduto, e che per mutuo consenso si pu prendere in cambio dei mezzi di sussistenza per la
vita che sono utili, s, ma corruttibili. E come i diversi gradi di industria conferivano agli uomini

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possessi in proporzioni diverse, cos questa invenzione della moneta diede loro la possibilit di
accrescerli ed estenderli (Secondo trattato, V, 47-48, p. 275).
[I difetti dello stato di natura]
E perch tutti siamo trattenuti dal violare i diritti altrui e dal fare torto ad altri, e sia osservata la legge
di natura, che vuole la pace e la conservazione di tutti gli uomini, lesecuzione della legge di natura ,
in questo stato, posta nelle mani di ciascuno, per cui ognuno ha il diritto di punire i trasgressori di
questa legge, in misura tale che possa impedirne la violazione (Secondo trattato, II, 7, p. 243).
A questa strana dottrina, cio a dire che nello stato di natura ognuno ha il potere esecutivo della legge
di natura, non dubito che si obietter ch irragionevole che si sia giudice nella propria causa, che
lamore proprio render gli uomini parziali verso se stessi e i propri amici, e che, daltra parte,
unindole cattiva, le passioni e la vendetta li porteranno troppo oltre nel punire gli altri, e non ne
seguir se non confusione e disordine, e ch certamente per questo che Dio ha stabilito il governo
onde reprimere la parzialit e la violenza degli uomini. Concedo facilmente che il governo civile sia il
rimedio adatto aglinconvenienti dello stato di natura (Secondo trattato, II, 13, p. 247).
Il fine maggiore e principale del fatto che gli uomini si uniscono in societ politiche e si sottopongono
a un governo la conservazione della loro propriet, al qual fine nello stato di natura mancano molte
cose. In primo luogo manca una legge stabilita, fissa, conosciuta, accettata e riconosciuta, la quale per
comune consenso sia stata ammessa e riconosciuta come regola del diritto e del torto, e misura
comune per decidere di tutte le controversie []. In secondo luogo, nello stato di natura manca un
giudice conosciuto e imparziale []. In terzo luogo, nello stato di natura spesso manca un potere che
appoggi e sostenga la sentenza allorch sia giusta, e le dia la dovuta esecuzione (Secondo trattato, IX,
123-26, pp. 339-41).
[Tre tipi di potere]
La natura conferisce il primo di questi poteri, cio il potere paterno, ai genitori []. Un accordo
volontario conferisce il secondo, cio a dire il potere politico, ai governanti per il vantaggio dei loro
sudditi, onde garantirli nei loro possessi e nelluso delle loro propriet. E il rischio conferisce il terzo,
cio a dire il potere dispotico, ai signori, per il loro proprio vantaggio, sui coloro che sono privati di
ogni propriet. Chi consideri la diversa origine ed estensione e i fini differenti di questi vari poteri,
vedr chiaramente che il potere paterno rimane al di sotto di quello del magistrato di tanto di quanto il
potere dispotico eccede questultimo, e che il dominio assoluto, ovunque sia collocato, tanto lontano
dallessere un genere di societ civile, che cos incompatibile con essa come la schiavit
incompatibile con la propriet. Il potere paterno non sussiste che quando la minorit rende il figlio
incapace di amministrare la sua propriet, il politico quando gli uomini possono disporre della loro

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propriet e il dispotico su coloro che non hanno propriet alcuna (Secondo trattato sul governo, XV,
173-74, pp. 382-83).
[Subordinazione del potere esecutivo al potere legislativo]
Il potere esecutivo, quando non sia collocato in una persona che abbia parte anche nel legislativo,
evidentemente subordinato e responsabile verso di questo, e pu esser mutato e trasferito a piacimento
(Secondo trattato, XIII, 152, p. 364).
La prima e fondamentale legge positiva di tutte le societ politiche consiste nello stabilire il potere
legislativo []. Questo legislativo non soltanto il potere supremo della societ politica, ma rimane
sacro e immutabile nelle mani in cui la comunit lha collocato (Secondo trattato, IX, 134, p. 346).
[La teoria della sovranit popolare]
Poich il legislativo non che un potere fiduciario di deliberare in vista di determinati fini, rimane
sempre nel popolo il potere supremo di rimuovere o alterare il legislativo, quando vede che il
legislativo delibera contro la fiducia in esso riposta (Secondo trattato, XIII, 149, p. 361).
[Il potere si fonda sul consenso]
vero che il governo non pu sostenersi senza gravi spese, ed opportuno che chiunque partecipi
della sua protezione paghi, dei propri averi, una parte proporzionale per il suo mantenimento. Ma ci
deve sempre avere luogo col suo consenso, cio a dire col consenso della maggioranza, dato o
direttamente dai membri della societ o dai loro rappresentanti da essa eletti (Secondo trattato, XI,
140, p. 356).
[Lappello al cielo]
Quando il corpo del popolo, o un singolo uomo, privato del suo diritto, o sottost allesercizio di un
potere destituito di diritto, e non ha appello sulla terra, allora ha la libert di appellarsi al cielo, nel
caso chesso giudichi che la causa dimportanza adeguata (Secondo trattato, XIV, 168, p. 378).
Il legislativo dunque, ogniqualvolta trasgredisce questa norma fondamentale della societ, e, per
ambizione, timore, sconsideratezza o corruzione, tenta di porre in possesso proprio o in mani altrui il
potere assoluto sulle vite, libert e averi del popolo, con questa infrazione della fiducia perde il potere
che il popolo ha posto nelle sue mani per fini del tutto opposti; e questo potere ritorna al popolo, che
ha il diritto di riprendere la sua libert originaria, e provvedere, con listituzione di un nuovo
legislativo, secondo che ritiene opportuno, alla propria sicurezza e tranquillit, che fine per cui si
trova in societ (Secondo trattato, XIX, 222, p. 419).

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[La prerogativa]
Poich la prerogativa non se non il potere, posto nelle mani del principe, di provvedere al bene
pubblico nei casi che dipendendo da occorrenze impreviste e incerte, e che perci non possono esser
regolate con sicurezza da leggi certe e inalterabili, tutto ci che vien fatto manifestamente per il bene
del popolo e per stabilire il governo sulle sue basi genuine, e sar sempre, appunto, prerogativa
(Secondo trattato, XIII, 157, p. 371).
Brano tratto da MONTESQUIEU, Considerazioni sulla causa della grandezza dei Romani e della
loro decadenza, a cura di D. Monda, Milano 2001.
[Derivazione del costituzionalismo liberale dalla teoria dello Stato misto]
Il governo di Roma fu mirabile per il fatto che, fin dalla sua nascita, la sua costituzione fu tale per lo
spirito del popolo, per la forza del senato o lautorit di certi magistrati che ogni abuso di potere
sempre pot esservi corretto []. Il governo dInghilterra saggio, poich vi un organo [il
Parlamento] che lo controlla di continuo, e che di continuo controlla se stesso; e i suoi errori sono tali
da non durare mai a lungo ed essere sovente utili per lattitudine allattenzione che infondono nella
nazione (pp. 135-36).
Brani tratti da MONTESQUIEU, Lo Spirito delle Leggi, a cura di S. Cotta, Torino, 1952, due voll.
[La natura del governo]
Esistono tre specie di governi: il repubblicano, il monarchico, il dispotico []. Il governo
repubblicano quello nel quale il popolo tutto, o almeno una parte di esso, detiene il potere supremo;
il monarchico quello nel quale uno solo governa, ma secondo di leggi fisse e stabilite; nel governo
dispotico, invece, uno solo, senza n legge n freni, trascina tutto e tutti dietro la sua volont ed i suoi
capricci. Ecco ci che io chiamo la natura di ogni governo (II, 1, p. 66).
[Il principio del governo]
Fra la natura del governo e il suo principio esiste questa differenza: che la sua natura a farlo tale, ed
il suo principio a farlo agire. Luna la sua struttura particolare, laltro le passioni umane che lo fanno
muovere. (III, 1, p. 83).
[Il principio del governo repubblicano]
In una repubblica la virt una cosa semplicissima: lamore per la repubblica, un sentimento, non
una sequela di cognizioni; tanto lultimo quanto il primo cittadino lo possono provare. Il popolo,
quando stato dotato una volta per sempre di buone massime, le segue pi a lungo di coloro che

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chiamiamo uomini costumati. Di rado la corruzione comincia da esso. Spesso dalla mediocrit dei
propri lumi, esso trae un attaccamento maggiore per lordine stabilito. Lamor patrio conduce ai buoni
costumi, e i buoni costumi allamor patrio (IV, 2, pp. 115-16).
[Il principio del governo monarchico]
Il governo monarchico presuppone lesistenza di ranghi, preminenze, ed anche di una nobilt
originaria. Lonore, per sua natura, reclama distinzioni e preferenze: quindi il suo posto si trova in un
governo simile. Lambizione pericolosa in una repubblica, ma ha buoni effetti in una monarchia: essa
le d vita ed ha il vantaggio di non esservi pericolosa, perch facilmente ve la si pu reprimere [].
Lonore fa muovere tutte le parti del corpo politico, le lega mediante la sua azione stessa, ed ecco che
ognuno si dirige verso il bene comune, credendo di dirigersi verso i propri interessi particolari (III, 7,
pp. 91-92).
[La corruzione delle forme di governo]
Il governo aristocratico si corrompe allorquando il potere dei nobili diviene arbitrario []. Le
democrazie vanno alla rovina quando il popolo esautora il senato, i magistrati e i giudici, le monarchie
si corrompono quando si tolgono poco per volta le prerogative degli ordini e i privilegi delle citt. Nel
primo caso si va verso il dispotismo di tutti; nellaltro, verso il dispotismo di uno solo (VIII, 5, 6, pp.
213 e 215).
[La teoria del potere limitato]
una esperienza eterna, che ogni uomo, il quale ha in mano il potere, portato ad abusarne,
procedendo fino a quando non trova dei limiti []. Perch non si possa abusare del potere, bisogna
che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere (XI, 4, p. 274).
[I governi moderati]
Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo unito al potere
esecutivo, non vi libert, perch si pu temere che lo stesso monarca e lo stesso senato facciano leggi
tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi libert se il potere giudiziario non separato dal potere
legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo il potere sulla vita e la libert
dei cittadini sarebbe arbitrario, poich il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito col
potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa
persona, o lo stesso corpo di grandi o di nobili o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare
le leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni e quello di giudicare i delitti o le liti dei privati.
Nella maggior parte dei regni dEuropa il governo moderato, perch il principe, che detiene i primi

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due poteri, lascia ai sudditi lesercizio del terzo. Presso i Turchi, ove questi tre poteri sono riuniti nella
stessa persona del Sultano, vi regna un terribile dispotismo (XI, 6, pp. 276-77).
[La teoria della divisione dei poteri]
Esistono, in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che
dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile (XI, 6,
p. 275).
Brani tratti da JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Scritti politici, a cura di E. Garin, Bari-Roma 1997, tre
voll.
[Contro il progresso]
Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini associati, le
scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse pi potenti, stendono ghirlande di fiori sulle ferree
catene che li gravano, soffocano in loro il sentimento di quella libert originaria per cui sembravano
nati; li rendono amanti della loro schiavit, ne fanno, come si dice, dei popoli civili. Il bisogno elev i
troni; le scienze e le arti li hanno rafforzati (Primo Discorso, in SP, I, p. 6).
Oggi le scienze fioriscono, le lettere e le arti brillano tra noi; ma che beneficio ne ha ricavato la
religione? Domandiamolo alla folla dei filosofi che si fanno un vanto di non essere religiosi []. La
scienza si diffonde e la fede si sgretola. Tutti vogliono insegnare a bene operare, ma nessuno vuole
imparare; siamo tutti diventati dottori e abbiamo smesso di essere cristiani (Osservazioni di J.-J.
Rousseau di Ginevra a proposito della risposta data al suo Primo Discorso in SP, I, p. 43).
I nostri mali sono per la maggior parte opera nostra e li avremmo evitati quasi tutti mantenendo la
maniera di vivere semplice, uniforme e solitaria che ci era prescritta dalla natura. Se essa ci ha
destinati a esser sani, oso quasi affermare che lo stato di riflessione uno stato contro natura e che
luomo che medita un animale depravato (Secondo Discorso in SP, I, p. 146).
[Lo stato di natura]
Solo, ozioso e sempre vicino al pericolo, luomo selvaggio deve dormire volentieri e avere il sonno
leggero, come gli animali, che, pensando poco, quando non pensano, per cos dire, dormono sempre.
Poich si preoccupa quasi esclusivamente della propria conservazione, le sue facolt pi esercitate
devono essere quelle che hanno per oggetto principale lassalto e la difesa (Secondo Discorso in SP, I,
p.148).
La sua anima che nulla turba, si abbandona tutta al senso della sua esistenza attuale, senza nessuna
idea dellavvenire, per quanto prossimo possa essere, e i suoi progetti, limitati come le sue vedute, si

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estendono appena alla fine della giornata. Ancora oggi, tra i Carabi, il grado di previdenza questo: la
mattina vendono il loro letto di cotone, incapaci di prevedere che la notte successiva ne avranno
bisogno, e la sera vanno a piangere per ricomprarlo (Secondo Discorso in SP, I, p. 152).
In questo stato primitivo, non avendo n casa, n capanna, n propriet di alcun genere, ognuno
trovava riparo a caso, e spesso per una sola notte; maschi e femmine si univano fortuitamente, secondo
lincontro, loccasione e il desiderio, senza che la parola fosse un mezzo molto necessario per
esprimere le cose che avevano da dirsi; con la stessa facilit si lasciavano (Secondo Discorso in SP, I,
p. 155).
Errando nella foresta, senza mestiere, senza parola, senza domicilio, senza guerra e senza legami,
senza nessun bisogno dei suoi simili, come pure senza desiderio di danneggiarli, forse addirittura
senza riconoscerne individualmente nessuno, il selvaggio, soggetto a poche passioni, bastando a se
stesso, non doveva avere che i sentimenti e i lumi propri del suo stato, non doveva sentire che gli
autentici bisogni, guardando solo a ci che riteneva di avere interesse a vedere, mentre la sua
intelligenza faceva scarsi progressi, ma la sua vanit non ne faceva di pi. Se per caso giungeva a
qualche scoperta, non sapeva a chi comunicarla, tanto pi che non riconosceva neanche i propri figli.
Larte periva con linventore; non cera n educazione, n progresso, le generazioni si moltiplicavano
inutilmente, e, poich ognuna partiva dallo stesso punto, i secoli scorrevano in tutta la rozzezza delle
prime et; la specie era gi vecchia e luomo restava sempre bambino (Secondo Discorso in SP, I, pp.
168-69, corsivi miei).
[Il buon selvaggio]
Sembra a prima vista che gli uomini, in questo stato, non avendo tra loro rapporti morali di nessuna
specie o doveri riconosciuti, non potessero essere n buoni n cattivi, n avere vizi o virt (Secondo
Discorso in SP, I, p. 161).
Sento ripetere di continuo che i pi forti opprimeranno i pi deboli; ma mi si spieghi che si vuol
significare col termine oppressione. Gli uni domineranno con la violenza; gli altri gemeranno asserviti
a ogni loro capriccio: proprio ci che vedo accadere tra noi, ma non immagino come si potrebbe dire
lo stesso degli uomini selvaggi, a cui si durerebbe una gran fatica per far capire cos servit e cos
dominio []. La disuguaglianza nello stato di natura quasi impercettibile e non vi esercita quasi
nessuna influenza (Secondo Discorso in SP, I, pp. 170-71).
Con passioni cos poco impetuose e un freno cos salutare, gli uomini, pi feroci che malvagi [] non
erano soggetti a conflitti molto pericolosi. Non avendo fra loro alcuna specie di commercio, e non
conoscendo quindi n vanit n considerazione, n stima, n disprezzo, privi della bench minima
nozione del tuo e del mio e di una vera e propria idea di giustizia [] raramente avrebbero dato alle

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loro dispute un seguito cruento se il motivo pi rilevante fosse stato il cibo; ma ne vedo un altro pi
pericoloso, che mi resta da trattare (Secondo Discorso in SP, I, p. 165).
[La perfettibilit]
Il tratto specifico che distingue luomo dagli altri animali non dunque tanto lintelligenza, quanto la
sua qualit di agente libero []. C a distinguerli unaltra qualit molto specifica e cu cui non pu
esservi contestazione, e cio la facolt di perfezionarsi; facolt che, con laiuto delle circostanze,
sviluppa successivamente tutte le altre []. Sarebbe triste per noi trovarci costretti d ammettere che
questa quasi sconfinata facolt che ci distingue la fonte di tutti i malanni delluomo; che lo trae, nel
corso del tempo dalla condizione originaria in cui trascorrerebbe giorni tranquilli e innocenti; che
facendo sbocciare coi secoli la sua intelligenza e i suoi errori, i suoi vizi e le sue virt, lo rende a lungo
andare tiranno di se stesso e della natura (Secondo Discorso in SP, I, pp. 149-50).
[La nascita della propriet privata]
Il primo che, cintato un terreno, pens di affermare, questo mio, e trov persone abbastanza ingenue
da credergli, fu il vero fondatore della societ civile. Quanti delitti, quante guerre, quante uccisioni,
quante miserie e quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che strappando i paletti o
colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: Guardatevi dallascoltare questo impostore. Se
dimenticate che i frutti sono di tutti e che la terra non di nessuno, voi siete perduti. (Secondo
Discorso in SP, I, p. 173).
[La diseguaglianza]
Nel momento stesso in cui luomo ebbe bisogno dellaiuto di un altro; da quando ci si accorse che era
utile a uno solo aver provviste per due, luguaglianza scomparve, fu introdotta la propriet, il lavoro
divent necessario []. Alla coltivazione delle terre segu necessariamente la loro spartizione, e dal
riconoscimento della propriet derivarono le prime norme di giustizia []. Si lev tra il diritto del pi
forte e quello del primo occupante un perpetuo conflitto, che andava sempre a finire in duelli e
uccisioni. La societ in sul nascere fece posto al pi orribile patto di guerra ( Secondo Discorso in SP,
I, pp. 181-86).
[Il patto iniquo]
Il ricco, incalzato dalla necessit, fin con lideare il progetto pi avveduto che mai sia venuto in mente
alluomo []. Dopo aver esposto ai suoi vicini lorrore di una situazione che li armavi gli uni contro
gli altri [] invent facilmente speciose ragioni per trarli ai suoi scopi. Uniamoci, disse, per
salvaguardare i deboli dalloppressione, tenere a freno gli ambiziosi e garantire a ciascuno il possesso

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di quanto gli appartiene; stabiliamo degli ordinamenti di giustizia e di pace a cui tutti, nessuno
eccettuato, debbano conformarsi, e che riparino in qualche modo i capricci della fortuna sottomettendo
senza distinzione il potente e il debole a doveri scambievoli. In una parola, invece di volgere le nostre
forze contro noi stessi, concentriamole in un potere supremo che ci governi con leggi sagge,
proteggendo e difendendo tutti i membri dellassociazione [].. Tutti corsero alle catene convinti di
assicurarsi la libert [].. questa fu, almeno probabile, lorigine della societ e delle leggi, che ai
poveri fruttarono nuove pastoie e ai ricchi nuove forze, distruggendo senza rimedio la libert naturale,
fissando per sempre la legge della propriet e della disuguaglianza []. Se questo fosse il luogo di
entrare in particolari, potrei spiegare facilmente come [] dal seno di questo disordine e di queste
rivoluzioni il dispotismo, levando un po alla volta la sua testa ripugnante [] giungerebbe infine a
calpestare le leggi e il popolo e stabilirsi sulle rovine della repubblica []. qui lultimo sbocco della
disuguaglianza e il punto darrivo che chiude il circolo toccando il punto da cui siamo partiti ( Secondo
Discorso in SP, I, pp. 187-202).
[La prospettiva rivoluzionaria]
Luomo nato libero e ovunque in catene (Contratto sociale, I, 1 in SP, II, p. 83).
[Il contratto sociale]
[ necessario] trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la
persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia
che a s stesso e resti libero come prima []. Le clausole di tale contratto [] si riducono tutte a una
sola, cio lalienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunit [].
Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della
volont generale; e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto
(Contratto sociale, I, 6 in SP, II, pp. 93-4).
[Tutto dallo Stato]
In forza del contratto sociale luomo perde la sua libert naturale e un diritto senza limiti a tutto ci
che lo attira e che pu raggiungere; guadagna la libert civile e la propriet di tutto quanto possiede.
Per non ingannarsi a proposito di queste compensazioni, bisogna distinguere con cura la libert
naturale, che trova un limite solo nelle forze dellindividuo, dalla libert civile, che limitata dalla
volont generale, e il possesso che solo il frutto della forza, o il diritto del primo occupante, dalla
propriet che pu solo fondarsi su un titolo positivo (Contratto sociale, I, 8 in SP, II, p. 97).

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[Gli attributi della sovranit]


Dico dunque che la sovranit, non essendo che lesercizio della volont generale, non pu mai
alienarsi, e che il sovrano, essendo solo un ente collettivo, non pu essere rappresentato che da se
stesso; il potere pu s, essere trasmesso, ma non la volont (Contratto sociale, II, 1 in SP, II, p. 101).
La sovranit, per la stessa ragione per cui inalienabile, anche indivisibile (Contratto sociale, II, 2 in
SP, II, p. 102).
Come la natura d a ciascun uomo un potere assoluto su tutte le sue membra, il patto sociale d al
corpo politico un potere assoluto su tutte le sue (Contratto sociale, II, 4 in SP, II, p. 105).
[Lo Stato totalitario]
Se bene sapersi servire degli uomini come sono, molto meglio renderli quali si ha bisogno che
siano; lautorit pi assoluta quella che penetra nellintimo delluomo e che si esercita sulla volont
non meno che sulle azioni. certo che i popoli, a lungo andare, sono ci che il governo li fa essere
(Economia politica, in SP, I, p. 288).
Di qui si vede come non vi sia e non possa esservi nessuna specie di legge fondamentale obbligatoria
per il corpo del popolo, nemmeno il contratto sociale []. Il corpo politico o sovrano [] non ha
bisogno di garanzie verso i sudditi, perch impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi
membri []. Pertanto il patto sociale, per non ridursi a un complesso di formule vane, include
tacitamente il solo impegno capace di dar forza a tutti gli altri, e cio che chiunque rifiuter di
obbedire alla volont generale vi sar costretto dallintero corpo; ci significa solo che sar costretto
ad essere libero (Contratto sociale, I, 7 in SP, II, pp. 95-96).
[La volont generale]
Spesso c una gran differenza fra la volont di tutti e la volont generale; questa guarda soltanto
allinteresse comune, quella allinteresse privato che non che una somma di volont particolari; ma
eliminate da queste medesime volont il pi e il meno che si elidono e come somma delle differenze
resta la volont generale (Contratto sociale, II, 3 in SP, II, p. 104).
Quando nellassemblea del popolo si propone una legge ci che si chiede loro non precisamente se
approvano o no la proposta, ma se questa , o no, conforme alla volont generale che la loro volont,
ciascuno, votando, dice il suo parere in proposito; e dal computo dei voti si ricava la dichiarazione
della volont generale. Quando dunque prevale il lopinione contraria alla mia, ci prova solo che mi
ero sbagliato, e che credevo volont generale ci che non lo era. Se la mia opinione particolare avesse
si fosse imposta, allora avrei fatto cosa diversa da ci che volevo: e allora non sarei stato libero
(Contratto sociale, IV, 2 in SP, II, p. 175).

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[La democrazia diretta e plebiscitaria]


La sovranit non pu venire rappresentata, per la stessa ragione per cui non pu essere alienata; essa
consiste essenzialmente nella volont generale, e la volont non si rappresenta: o essa stessa, o
unaltra; non via di mezzo non esiste. I deputati del popolo non sono dunque e non possono essere suoi
rappresentanti, sono solo i suoi commissari; non possono concludere niente in modo definitivo.
Qualunque legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona nulla; non una legge. Il popolo
inglese si crede libero, ma in grave errore; libero solo durante lelezione dei membri del
parlamento; appena avvenuta lelezione, schiavo; niente (Contratto sociale, III, 15 in SP, II, p.
163).
Ci che si chiede loro [ai cittadini] non precisamente se essi approvano o no la proposta, ma se
questa , o no, conforme alla volont generale che la loro volont (Contratto sociale, IV, 2 in SP, II,
p. 163).
[La religione civile]
C dunque una professione di fede puramente civile di cui spetta al sovrano di fissare gli articoli, non
proprio come dogmi di religione, ma come sentimenti di socievolezza, senza cui impossibile esser
buoni cittadini o sudditi fedeli. Senza poter obbligare nessuno a credervi, pu bandire dallo Stato
chiunque non vi creda []. E se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi medesimi
dogmi, si comporta come se non ci credesse, sia punito con la morte; egli ha commesso il pi grande
dei delitti: ha mentito davanti alle leggi. I dogmi della religione devono essere semplici, poco
numerosi, enunciati con precisione e senza spiegazione o commento. Lesistenza della divinit,
potente, intelligente, benefica, previdente e provvida; la vita futura, la felicit dei giusti e la punizione
dei malvagi; la santit del contratto sociale e delle leggi; ecco i dogmi positivi. Quanto ai dogmi
negativi, li riduco ad uno solo, che lintolleranza: essa rientra nei culti che abbiamo escluso
(Contratto sociale, IV, 8, in SP, II, pp. 203-04).
Brani tratti da VOLTAIRE, Lettere filosofiche (1734), a cura di G. Pavanello, Milano 1987.
[dalla seconda lettera, Sui quaccheri]
Non avete dunque preti? gli chiesi. No, amico mio, rispose il quacchero e ne siamo lieti [].
Vorresti privarci di una cos felice distinzione? []. Noi non diamo denaro a uomini vestiti di nero
per assistere i nostri poveri, per seppellire i nostri morti, per predicare ai fedeli; questi santi doveri ci
sono troppo cari per affidarli ad altri (pp. 8-9).
[dalla quarta lettera, Sui quaccheri]

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Da allora quel paese venne chiamato Pennsylvania, dal nome di [William] Penn. Egli vi fond la citt
di Filadelfia, oggi tanto fiorente. Cominci con lo stipulare unalleanza con gli Americani suoi vicini
[i nativi americani]. lunico trattato fra quelle popolazioni e i cristiani che non sia stato rotto [].
Gli indigeni, invece di rifugiarsi nelle foreste, a poco a poco si abituarono a convivere con i pacifici
Quaccheri: costoro amarono questi nuovi venuti almeno quanto detestavano gli altri cristiani
conquistatori e distruttori dellAmerica []. Era uno spettacolo davvero nuovo quello di un sovrano a
cui tutti davano del tu, e a cui si parlava con il cappello in testa; quello di un governo senza preti, di un
popolo senza armi, di cittadini tutti eguali, se si eccettuano le dignit della magistratura, e di vicini
senza invidia (p. 16).
[dalla quinta lettera, Sulla religione anglicana]
Questo il paese delle sette. Un inglese, da uomo libero, va in Cielo per la strada che preferisce (p.
16).
[dalla sesta lettera, Sui presbiteriani]
Se in Inghilterra ci fosse una sola religione, si dovrebbe temere il dispotismo; se ce ne fossero due, si
taglierebbero la gola; ma ce n una trentina, e vivono in pace e felici (p. 16).
[dalla lettera ottava, Sul Parlamento]
La differenza pi essenziale fra Roma e lInghilterra, che depone totalmente a vantaggio di
questultima, che il frutto delle guerre civili a Roma fu la schiavit, e quello delle agitazioni in
Inghilterra, la libert. La nazione inglese lunica sulla terra che sia giunta a regolare il potere dei re
resistendo loro e che, un tentativo dopo laltro, abbia infine stabilito quel saggio governo in cui il
principe, onnipotente nel fare il bene, abbia le mani legate per fare il male, dove i signori sono grandi
senza insolenza e senza vassalli, e il popolo partecipa al governo senza confusione. La Camera dei Pari
e quella dei Comuni sono gli arbitri della nazione, il re larbitro supremo. I Romani erano privi di
questa bilancia: a Roma i grandi e il popolo erano sempre divisi, senza che ci fosse un potere mediano
in grado di conciliarli (p. 27).
[dalla decima lettera, Sul commercio]
Il commercio, che in Inghilterra ha arricchito i cittadini, ha contribuito a renderli liberi, e questa libert
ha esteso a sua volta il commercio; cos si costituita la grandezza dello Stato []. Non so chi sia pi
utile allo Stato, se un signore bene incipriato che sappia con precisione a quale ora il re si alzi, a quale
ora vada a dormire, e che si dia arie di grandezza facendo la parte dello schiavo nellanticamera di un
ministro, o un commerciante che arricchisca il proprio paese, che dal suo ufficio dia ordini a Surat e al
Cairo, e contribuisca alla prosperit del mondo (p. 16).

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Brani tratti da VOLTAIRE, Trattato sulla tolleranza (1763), a cura di L. Bianchi, Milano 2002.
[dal cap. VI, Se lintolleranza di diritto naturale o di diritto umano]
Il diritto allintolleranza dunque assurdo e barbaro: il diritto delle tigri, anzi ben pi orribile,
perch le tigri non si sbranano che per mangiare, mentre noi ci siamo sterminati per dei paragrafi (p.
62).
[dalla cap. XX, Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione]
Tale la debolezza del genere umano, e tale la sua perversit, che meglio per esso senza dubbio
essere preda di tutte le superstizioni possibili, a condizione che non siano causa di delitti, che vivere
senza religione []. Dovunque esiste una societ organizzata, una religione necessaria; le leggi
vegliano sui delitti conosciuti, e la religione sui delitti segreti (p. 137).
Brani tratti da VOLTAIRE, Dizionario filosofico (1764), a cura di M. Bonfantini, Torino 1995.
[dalla voce Etats, gouvernements. Quel est le meilleur ?]
Gli uomini sono ben di rado degni di governarsi da soli. Questa fortuna non pu toccare che a piccoli
popoli, nascosti in qualche isola o fra le montagne, come i conigli che si sottraggono agli animali
carnivori; ma alla lunga sono scoperti e divorati (p. 194).
[dalla voce Guerre]
Un genealogista prova a un principe che egli discende in linea diretta da un conte, i cui avi, tre o
quattro secoli fa, avevano fatto un patto di famiglia con una casata di cui pi non sussiste la memoria.
Questa casata aveva lontane pretese su una provincia, il cui ultimo possessore morto di apoplessia: il
principe e il suo consiglio concludono senza difficolt che quella provincia gli appartiene per diritto
divino. La provincia in questione, che a qualche centinaio di leghe di distanza, ha un bel protestare
che non lo conosce, che non ha nessun desiderio di essere governata da lui, che per dare leggi a un
popolo bisogna almeno avere il suo consenso: questi discorsi non arrivano nemmeno alle orecchie del
principe, il cui diritto incontestabile. Egli trova immantinente un gran numero di uomini che non
hanno niente da fare n da perdere; li veste di grosso panno blu a centodieci soldi il braccio, orla i loro
cappelli con un grosso filo bianco, fa fare loro evoluzioni a destra e a sinistra, e marcia verso la gloria.
Gli altri principi, che sentono parlare di questa bella impresa, vi prendono parte, ciascuno secondo il
suo potere, e ricoprono una piccola estensione di paese con pi assassini mercenari di quanti ne
abbiano mai trascinati al loro seguito Gengis-Kan, Tamerlano, o Bajazet.
Altri popoli, abbastanza lontani, sentono dire che ci si sta per battere, e che ci sono cinque o sei soldi
al giorno da guadagnare per quelli che vogliono essere della partita: si dividono subito in due bande,
come i mietitori, e vanno a vendere i loro servigi a chiunque voglia assoldarli.

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Queste moltitudini si accaniscono le une contro le altre, non solo senza avere interesse nella faccenda,
ma senza neppure sapere di che si tratta. Si trovano cos tutto a un tratto cinque o sei potenze
belligeranti: ora tre contro tre, ora due contro quattro, ora una contro cinque, che si detestano
egualmente fra loro, si uniscono e si attaccano una per volta, tutte daccordo in un sol punto: fasi pi
male possibile. La cosa pi straordinaria di questa impresa infernale che ciascuno di quei capi
assassini fa benedire le proprie bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il
suo prossimo (pp. 237-39).
[dalla voce Inquisition]
Linquisizione , come si sa, uninvenzione ammirevole e del tutto cristiana per rendere pi potenti il
papa e i monaci e per rendere ipocrita tutto un regno []. Del resto si conoscono abbastanza tutte le
procedure di quel tribunale; si sa quanto esse siano opposte alla falsa equit e alla cieca ragione di tutti
gli altri tribunali delluniverso. Si imprigionati sulla semplice denuncia delle persone pi infami; un
figlio pu denunciare suo padre, una moglie il marito; non si mai messi a confronto con i propri
accusatori; i beni sono confiscati a profitto dei giudici: cos almeno linquisizione si comportata fino
ai giorni nostri. Vi in ci qualcosa di divino, perch incomprensibile che gli uomini abbiano
sopportato pazientemente questo giogo (pp. 261-65).
[dalla voce Miracles]
Nel linguaggio comune, chiamiamo miracolo la violazione delle leggi divine ed eterne. Che ci sia un
eclisse di sole durante il plenilunio, che un morto faccia due leghe di strada a piedi portandosi la testa
sotto il braccio, noi chiamiamo questo un miracolo. Parecchi fisici sostengono che in questo senso non
ci sono miracoli: ed ecco i loro argomenti. Un miracolo la violazione delle leggi matematiche,
divine, immutabili, eterne. Solo per questa definizione, una contraddizione in termini: una legge non
pu al tempo stesso essere immutabile e violata. Ma una legge, si osserva loro, essendo stabilita da
Dio stesso, non pu essere forse sospesa dal suo autore? Essi hanno laudacia di rispondere no: che
impossibile che lEssere infinitamente saggio abbia stabilito leggi per poi violarle. Egli potrebbe,
dicono, alterare la sua macchina soltanto per farla andare meglio; ora chiaro che, essendo Dio, ha
fatto questa immensa machina quanto migliore gli era possibile: se ha visto che ci sarebbe stata
qualche imperfezione risultante dalla natura della materia, vi ha provveduto fin dal principio; quindi
non cambier mai niente. Inoltre Dio non pu far nulla senza ragione; ora, quale ragione lo porterebbe
a sfigurare per qualche tempo la sua stessa opera? Per favorire gli uomini, si dice. Dunque, almeno per
favorire tutti gli uomini, ribattono costoro; perch impossibile concepire che la natura divina operi
per qualche uomo in particolare, e non per tutto il genere umano. E ancora, il genere umano ben poca
cosa: molto meno di un piccolo formicaio, a paragone di tutti gli esseri che riempiono limmensit.
Ora, non la pi assurda delle follie immaginare che lEssere infinito sconvolga in favore di tre o
quattrocento formiche su questo piccolo ammasso di fango il gioco eterno di quegli immensi congegni

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che fanno muovere tutto luniverso? []. Questi filosofi non possono risolversi a credere ai miracoli
operati nel secondo secolo. Testimoni oculari hanno un bello scrivere che quando il vescovo di
Smirne, san Policarpo, fu condannato al rogo e gettato tra le fiamme, udirono una voce dal cielo che
gridava: - Coraggio, Policarpo! Sii forte, mostrati uomo! e allora le fiamme del rogo si scostarono
dal suo corpo e formarono un padiglione di fuoco sopra la sua testa, e dal mezzo del rogo usc una
colomba; finalmente si fu obbligati a tagliare la testa a Policarpo. A che pro questo miracolo?
dicono gli increduli. Perch le fiamme hanno perduto la loro natura, e perch la mannaia del boia
non perse la sua? Perch mai tanti martiri sono usciti sani e salvi dallolio bollente, e non hanno potuto
resistere al filo di spada? Si risponde che la volont di Dio. Ma i filosofi vorrebbero aver veduto
coi loro occhi tutto ci, prima di credervi []. Sarebbe augurabile, ad esempio, perch un miracolo
fosse veramente appurato, che avvenisse in presenza dellAccademia delle Scienze di Parigi, o della
Societ Reale di Londra, e della Facolt di medicina (pp. 325-30).
[dalla voce Patrie]
Tale dunque la condizione umana: desiderare la grandezza del proprio paese significa desiderare il
male dei propri vicini. Chi volesse che la sua patria non fosse mai n pi grande n pi piccola, n pi
ricca n pi povera, sarebbe cittadino delluniverso (p. 345).
Brani tratti da DENIS DIDEROT, Scritti politici, a cura di F. Diaz, Torino 1967.
VOCI DELLENCYCLOPDIE
[dalla voce Autorit politica, vol. I, 1751]
Nessun uomo ha avuto dalla natura il diritto di comandare agli altri. La libert un dono del cielo, ed
ogni individuo della stessa specie ha il diritto di fruirne non appena dotato di ragione. Lunica
autorit posta dalla natura la patria potest; ma la patria potest ha dei limiti e nello stato di natura
cesserebbe non appena i figli fossero in grado di governarsi. Ogni altra autorit ha unorigine diversa
dalla natura. A ben guardare, si potr sempre farla risalire ad una di queste due fonti: o alla forza e alla
violenza di chi se ne impadronito, o al consenso di coloro che vi si sono assoggettati con un contratto
stipulato o presunto tra essi e colui al quale hanno deferito lautorit. Il potere acquisito con la
violenza una mera usurpazione, e dura solo finch la forza di chi comanda prevale su quella di
coloro che obbediscono; sicch se questi ultimi diventano a loro volta i pi forti e si scrollano di dosso
il giogo, lo fanno con altrettanto diritto e giustizia di chi lo aveva imposto. La stessa legge che ha
fondato lautorit, allora la distrugge: la legge del pi forte []. Il potere che deriva dal consenso dei
popoli presuppone necessariamente condizioni che ne rendano luso legittimo, utile alla societ,
vantaggioso per lo Stato, e che lo fissino e gli pongano dei limiti (pp. 503-04).
[dalla voce Gesuita, vol. VIII, 1765-66]

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Ordine religioso, fondato da Ignazio da Lodola, e noto col nome di compagnia o societ di Ges. Che
cos un gesuita? un prete secolare? un prete regolare? un laico? Un frate? Un uomo di
comunit? Un monaco? qualcosa di tutto questo, ma non solo questo []. In tutti i tempi hanno
fatto mistero delle loro regole, e non ne hanno dato mai totale e libera comunicazione ai magistrati. Il
loro regime monarchico; tutta lautorit risiede in uno solo. Sottomessi al dispotismo pi
intransigente nei loro conventi, i Gesuiti ne sono i fautori pi abietti nello Stato. Predicano ai sudditi
lobbedienza incondizionata ai sovrani; ai re, lindipendenza dalla leggi e lobbedienza cieca al papa;
riconoscono al papa linfallibilit e il dominio universale per poter, padroni di uno solo, esser padroni
di tutti (p. 616).
DAI COLLOQUI CON CATERINA II (1773, P.)
[dal cap. IV]
Ogni governo arbitrario cattivo; non faccio eccezione per il governo arbitrario di un padrone buono,
risoluto, giusto e illuminato. Questo padrone abitua a rispettare e ad amare un padrone, qualunque sia.
Toglie alla nazione il diritto di deliberare, di volere o di non volere, di opporsi, di opporsi magari al
bene. Il diritto dopposizione mi sembra, in una societ di uomini, un diritto naturale, inalienabile e
sacro. Un despota, fosse anche il migliore degli uomini, governando solo in base alla propria volont,
commette un delitto. un buon pastore che riduce i sudditi alla condizione di animali; facendo
dimenticar loro il sentimento della libert, sentimento cos difficilmente recuperabile una volta
perduto, procura loro una felicit di dieci anni che pagheranno con venti secoli di calamit []. Guai
al popolo in cui non rimane nessuna inquietudine, magari mal fondata, riguardo alla libert! Questa
nazione cade in un sonno dolce, ma un sonno di morte

(pp. 250-51).

DALLE OSSERVAZIONI SULLISTRUZIONE DELLIMPERATRICE DI RUSSIA AI DEPUTATI PER LA


ELABORAZIONE DELLE LEGGI

(1774 P.)

XXXIX. Ma se il potere legislativo e il potere esecutivo non possono essere separati, senza causare
confusione, ne deriva una di queste due conclusioni, o che bisogna sottomettersi al dispotismo, o che
lunico governo buono il democratico (p. 397).
APPELLO AGLI INSORTI AMERICANI (1778)
Dopo secoli di oppressione generale, possa la rivoluzione test verificatasi di l dai mari, offrendo a
tutti gli abitanti dEuropa un asilo contro il fanatismo e la tirannia, istruire chi governa gli uomini
sulluso legittimo della loro autorit! Possano quei valorosi Americani, che hanno preferito veder
oltraggiare le loro donne, sgozzare i propri figli, distruggere le proprie case, saccheggiare i campi,
incendiare le loro citt, che hanno preferito versare il proprio sangue e morire piuttosto di perdere la

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minima parte della loro libert, prevenire lo smodato accrescimento e la disuguale ripartizione della
ricchezza, il lusso, la mollezza, la corruzione dei costumi, e provvedere alla conservazione della
propria libert e alla durata del proprio governo! Possano ritardare, almeno per qualche secolo,

il

decreto pronunciato contro tutte le cose di questo mondo; decreto che le ha condannate ad avere una
nascita, un periodo di vigore, la decrepitezza e la fine! Possa la terra inghiottire quella tra le loro
province, che sar un giorno abbastanza potente e abbastanza insensata da cercare i mezzi di
soggiogare le altre! Possa in tutte quante o non nascere mai o morire immediatamente sotto la spada
del boia o il pugnale di Bruto il cittadino abbastanza potente un giorno, e abbastanza nemico della
propria felicit, da formulare il progetto di rendersene padrone! Pensino che il bene generale si fa
sempre solo per necessit, e che il momento fatale dei governi quello della prosperit, e non
dellavversit. Si legga nel primo paragrafo dei loro Annali: Popoli dellAmerica settentrionale,
ricordatevi sempre che la potenza da cui i vostri padri vi hanno liberato, padrona dei mari e delle terre
fino a poco fa, fu spinta sulla china della decadenza dallabuso della prosperit. Lavversit impegna i
grandi talenti, la prosperit li rende inutili, e porta alle pi alte cariche gli inetti, i ricchi corrotti, i
malvagi. Pensino che la virt cova spesso il germe della tirannia. Se un granduomo per molto tempo
a capo degli affari, vi diventa despota. Se ci resta poco, lamministrazione si indebolisce e langue sotto
una serie di amministratori comuni. Pensino che non sulloro, e nemmeno sulle quantit di braccia, si
regge uno Stato, ma sui costumi. Mille uomini, che temono per la loro vita, sono pi temibili di
diecimila che temono per la loro ricchezza. Ciascuno di essi tenga in fondo al campo, accanto al telaio,
accanto allaratro, il fucile, la spada e la baionetta. Siano tutti soldati. Pensino che, se nelle situazioni
che permettono di deliberare, il consiglio dei vecchi quello buono, nei momenti di crisi la giovent
abitualmente pi accorta della vecchiaia (pp. 503-04).
Brano tratti da CLAUDE-ADRIEN HELVTIUS, De lEsprit (1758), a cura di A. Postigliola, Roma
1994.
[dal cap. XVII] Arrivare al dispotismo facile. Raramente il popolo prevede i mali che una tirannia
affermata gli prepara. Se alla fine ne diventa cosciente, ci solo quando, ormai, oppresso sotto il
giogo, incatenato da tutte le parti, impotente a difendersi, non pu far altro che attendere tremante il
supplizio al quale lo si vuol ridurre. Incoraggiati dalla debolezza dei popoli, i principi si faranno
despoti. Non sanno che sollevano loro stessi sulla propria testa la spada che deve colpirli; che, per
abolire ogni legge e per ridurre ogni cosa in mano al potere arbitrario, necessario ricorrere
continuamente alla forza, e adoprare spesso la spada del soldato. Ma luso di simili mezzi, o rivolta i
cittadini spingendoli alla vendetta, o li abitua a poco a poco a non riconoscere altra legge che la forza
(p. 115).

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Brano tratti da CLAUDE-ADRIEN HELVTIUS, Delluomo (1769; p.: 1773), a cura di A. Postigliola,
Roma 1994.
[dalla sezione VIII, cap. I] Non vi alcuna societ in cui gli uomini possano essere uguali nelle
ricchezze e nella potenza. Ve ne una in cui tutti possano essere uguali nella felicit? ci che
esamino. Delle leggi sagge potrebbero indubbiamente operare il prodigio di una felicit universale.
Tutti i cittadini hanno una propriet, tutti sono in un certo stato di agiatezza, e possono, con un lavoro
di sette o otto ore, sovvenire ai propri bisogni e a quelli della loro famiglia? Sono tanto felici quanto
possono esserlo []. Una nazione composta da tutti i suoi cittadini, e la felicit pubblica linsieme
di tutte le felicit particolari (pp. 155-56).
Brano tratti da PAUL-HENRI THIRI BARONE DHOLBACH, voce Prete dellEnciclopdie (vol.
XIII, 1765: in DENIS DIDEROT, Scritti politici, a cura di F. Diaz, Torino 1967).
piacevole dominare sui propri simili; i preti seppero mettere a profitto lalta opinione originata nello
spirito dai concittadini; pretesero che gli dei si manifestassero loro; ne annunciarono i decreti;
insegnarono dogmi; prescrissero che cosa bisognava credere e che cosa bisognava rifiutare; stabilirono
che cosa piaceva o non piaceva alla divinit; emisero oracoli; predissero lavvenire alluomo irrequieto
e curioso, lo fecero tremare colla paura dei castighi che gli dei irritati minacciavano ai temerari che
avessero osato dubitare della loro missione, o discuterne la dottrina. Per instaurare con maggior
sicurezza il proprio dominio, dipinsero gli dei come crudeli, vendicativi, implacabili; introdussero
cerimonie, iniziazioni, misteri, la cui atrocit pu alimentare negli uomini quella tetra malinconia, cos
favorevole al dominio del fanatismo; allora sugli altari col a grandi fiotti il sangue umano; i popoli
soggiogati dalla paura, e inebriati dalla superstizione, non credettero mai di pagare abbastanza cara la
benevolenza celeste: le madri abbandonarono senza piangere i teneri figli alle fiamme divoranti;
migliaia di vittime umane caddero sotto il coltello dei sacrificanti; ci si sottopose a uninfinit di
pratiche futili e ributtanti, ma utili per i preti, le superstizioni pi assurde estesero e consolidarono del
tutto il loro potere []. Era difficile che uomini cos riveriti si tenessero a lungo nei limiti della
subordinazione necessaria al buon ordine della societ: il sacerdozio, inorgoglito del suo potere,
contese spesso i diritti della sovranit; i sovrani, assoggettati anchessi, come i sudditi, alle leggi della
religione, non furono abbastanza forti da reclamare contro le usurpazioni e la tirannia dei suoi ministri;
il fanatismo e la superstizione tennero il coltello sospeso sulla testa dei monarchi; il loro trono
tentenn non appena vollero reprimere o punire uomini consacrati, i cui interessi si confondevano con
quelli della divinit; resister loro, signific ribellarsi al cielo; toccarne i diritti fu un sacrilegio; volerne
limitare il potere, signific minare le basi della religione. Tali furono i gradi attraverso i quali i preti
del paganesimo innalzarono il loro potere (pp. 703-04).

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Brano tratto da CESARE BECCARIA, Dei delitti e delle pene (1764), a cura di F. Venturi, Torino
1994.
[dal cap. XXVIII, Della pena di morte]
Questa inutile prodigalit di supplicii, che non ha mai reso migliori gli uomini, mi ha spinto ad
esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Quale pu essere il
diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la
sovranit e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libert di
ciascuno; esse rappresentano la volont generale, che laggregato delle particolari. Chi mai colui
che abbia voluto lasciare ad altri uomini larbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della
libert di ciascuno vi pu essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ci fu fatto, come si
accorda un tal principio collaltro, che luomo non padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha
potuto dare altrui questo diritto o alla societ intera? Non dunque la pena di morte un diritto, mentre
ho dimostrato che tale essere non pu, ma una guerra della nazione con un cittadino, perch giudica
necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrer non essere la morte n utile n
necessaria, avr vinto la causa dellumanit []. Quando la sperienza di tutti secoli, nei quali
lultimo supplicio non ha mai distolti gli uomini determinati dalloffendere la societ [] non
persuadesse gli uomini, a cui il linguaggio della ragione sempre sospetto e inefficace quello
dellautorit, basta consultare la natura delluomo per sentire la verit della mia assersione. Non
lintensione della pena che fa il maggior effetto sullanimo umano, ma lestensione di essa; perch la
nostra sensibilit pi facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un
forte ma passeggero movimento. Limpero dellabitudine universale sopra lessere che sente, e come
luomo parla e cammina e procacciasi i suoi bisogni col di lei aiuto, cos lidee morali non si stampano
nella mente che per durevoli ed iterate percosse. Non il terribile ma passeggero spettacolo della
morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libert, che, divenuto
bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella societ che ha offesa, che il freno pi forte
contro i delitti []. Perch una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi dintensione che
bastano a rimuovere gli uomini dai delitti; ora non vi alcuno che, riflettendovi, scieglier possa la
totale e perpetua perdita della propria libert per quanto avvantaggioso possa essere un delitto: dunque
lintensione della pena di schiavit perpetua sostituita alla pena di morte ha ci che basta per
rimuovere qualunque animo determinato; aggiungo che ha di pi: moltissimi riguardano la morte con
viso tranquillo e fermo, chi per fanatismo, chi per vanit, che quasi sempre accompagna luomo al di
l della tomba; chi per un ultimo e disperato tentativo o di non vivere o di sortir di miseria, ma n il
fanatismo n la vanit stanno fra i ceppi o le catene, sotto il bastone, sotto il giogo, in una gabbia di
ferro, e il disperato non finisce i suoi mali, ma gli comincia []. Non utile la pena di morte per
lesempio di atrocit che d agli uomini. Se le passioni o la necessit della guerra hanno insegnato a

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spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbero aumentare
il fiero esempio, tanto pi funesto quanto la morte legale data con istudio e con formalit. Parmi un
assurdo che le leggi che sono lespressione della pubblica volont, che detestano e puniscono
lomicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dallassassinio, ordinino
un pubblico assassinio []. Che debbon pensare gli uomini nel vedere i savi magistrati e i gravi
sacerdoti della giustizia, che con indifferente tranquillit fanno strascinare con lento apparato un reo
alla morte, e mentre un misero spasima nelle ultime angosce, aspettando il colpo fatale, passa il
giudice con insensibile freddezza, e forsanche con segreta compiacenza della propria autorit, a
gustare i comodi e i piaceri della vita? Ah! diranno essi, queste leggi non sono che i pretesti della forza
e le meditate e crudeli formalit della giustizia; non sono che un linguaggio di convenzione per
immolarci con maggiore sicurezza, come vittime destinate in sacrificio, allidolo insaziabile del
dispotismo. []. Se mi si opponesse lesempio di quasi tutti secoli e di quasi tutte le nazioni, che
hanno dato pena di morte ad alcuni delitti, io risponder che egli si annienta in faccia alla verit,
contro della quale non vi ha prescrizione, che la storia degli uomini ci d lidea di un immenso pelago
di errori, fra i quali poche e confuse, e a grandi intervalli distanti, verit soprannuotano. Gli umani
sacrifici furono comuni a quasi tutte le nazioni, e chi oser scusargli? Che alcune poche societ, e per
poco tempo solamente, si siano astenute dal dare la morte, ci mi piuttosto favorevole che contrario,
perch ci conforme alla fortuna delle grandi verit, la durata delle quali non che un lampo, in
paragone della lunga e tenebrosa notte che involge gli uomini (pp. 62-69).
Brani tratti da GAETANO FILANGIERI, La Scienza della legislazione (1780-p.1791), edizione
critica, a cura di A. Trampus e altri, Venezia, 2003-04.
[dal libro I, Delle regole generali della scienza legislativa], vol. I
cap. XI: Bisognerebbe far un piccolo codice a parte delle vere leggi fondamentali, che determinassero
la vera natura della costituzione, i diritti e i limiti dellautorit di chiascheduno de tre corpi e non
ammettessero n interpretazione, n ambiguit. In questo codice vi dovrebbero essere soltanto le vere
leggi fondamentali, non gi quelle alle quali abusivamente si dato questo nome []. Allorch si
tratta di alterare, o di abolire, o di creare una legge fondamentale, non basti la pluralit de suffragi
[del Parlamento] per ammettere la novit che si propone dintrodurre nella costituzione, ma che si
debba richiedere la pienezza dei voti, per renderla valida e legittima (pp. 119-120).
cap. XII: Ecco come si fan nascere gli eroi: ecco come il celebre e virtuoso Penn, filosofo per
costume, uomo degno di vivere in que secoli ne quali gli uomini erano pi poveri, ma erano nel
tempo istesso pi grandi, legislatore che avrebbe oscurata la gloria di Licurgo e di Solone, se fosse

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nato venti secoli prima; ecco come il celebre Penn rese la Pensilvania (questa fortunata regione
dellAmerica, perch destinata ad obbedire ad un uomo che non abbandon la patria che per mostrare
i primi tratti di beneficenza e dumanit nel nuovo emisfero) rese, io dico, la Pensilvania la patria
degli eroi, lasilo della libert e lammirazione delluniverso. Egli vide che il grande oggetto della
legislazione di unir glinteressi privati co pubblici; egli vide che lunico mezzo per riuscire in
questintrapresa ne governi liberi, era di dare al popolo la distribuzione delle cariche; egli lo fece,
egli ottenne il suo fine, egli gitt a questo modo i primi fondamenti di una repubblica che oggi chiama
a s gli sguardi di tutta la terra; e i fasti della filosofia non lasceranno di rendere immortale la
memoria di un uomo che port per la prima volta la felicit nellAmerica, in un tempo nel quale
lEuropa tutta pareva congiurata per portarvi la strage e la miseria (p. 129).
cap. XIII: In un angolo dellAmerica, presso un popolo libero e commerciante, figlio dellEuropa,
ma che loppressione ha reso inimico della sua madre; presso questo popolo, io dico, sinnalza una
voce che ci dice: Europei, se per servirvi noi siamo venuti nel Nuovo Mondo, sappiate che oggi le
nostre ricchezze, e la cognizione di quelle che possiamo acquistare, non soffrono pi una servit
oltraggiosa, che pu essere permutata con una specie di libert che non tarder molto a metterci nello
stato di darvi la legge e che vi far un giorno pentire di essere stati gli artefici delle vostre catene
(pp. 139-40).
[dal libro II, Delle leggi politiche ed economiche], vol. 2
cap. VIII: [Nelle colonie inglesi dellAmerica settentrionale] una certa ricchezza universale, ripartita
saviamente colla prima distribuzione delle terre e dal corso dellindustria, moltiplica in esse il numero
de matrimonii, e come luna e gli altri si uniscono per conservare i costumi e la pubblica onest. La
prostituzione non ha potuto ancora allignare in quella felice regione, dove ogni uomo nello stato di
prendere una moglie e di mantenerla senza stento. Il libertinaggio, che sempre una conseguenza
della miseria, non ha potuto ancora ispirare a suoi felici abitatori il gusto per quelle delizie ricercate,
per que piaceri brutali, lapparato e il dispendio de quali consuma e stanca presso di noi tutte le
molle dellanima, ed eccita i vapori della malinconia dopo i sospiri della volutt. Gli uomini non vi
consumano in un celibato vizioso i migliori anni della vita []. Le donne sono ancora quali debbono
essere, dolci, modeste, compassionevoli, benefiche, dotate di tutte quelle virt che perpetuano
limpero delle loro attrattive. Ne boschi della Florida e della Virginia, dice Raynal, nelle istesse
foreste del Canad, si pu amare per tutto il corso della vita ci che si am per la prima volta, vale a
dire linnocenza e la virt, che non lasciano mai interamente perire la bellezza (pp. 80-81).

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cap. VII: Il mio fine di garantire la felicit de popoli e non loppressioni di un despota. Un principe
sempre armato pu divenire, quando vuole, il padrone assoluto dun popolo disarmato. Ma questo il
vero interesse dun principe? Unesperienza antica quanto la societ non ci ha forsi fatto vedere che
questo dominio assoluto, che questautorit senza freno e senza limiti, alla quale una gran parte de re
son pervenuti, o han cercato di pervenire; che questa onnipotenza dispotica, che lambizione dun
ministro offre al principe come lo scopo della sovranit; che ladulazione gli mostra come un dritto
incontrastabile; che la superstizione santifica e colloca sul trono in nome degli dei; che la stupidezza
de popoli degradati ha qualche volta applaudita e difesa, non altro che una spada a due tagli, sempre
pronta a ferire limbecille che la maneggia? (pp. 67-68).
[dal libro III, Delle leggi criminali. Parte prima. Della procedura], vol. III
cap. XVIII: Cosa la feudalit? una specie di governo che divide lo stato in tanti piccioli stati, la
sovranit in tante picciole sovranit; che smembra dalla corona quelle prerogative che non sono
comunicabili; che non ripartisce lesercizio dellautorit, ma divide, distrae ed aliena il potere istesso;
che spezza il nodo sociale invece di restringerlo; che d al popolo molti tiranni invece di un solo re; al
re molti ostacoli a fare il bene, invece di un argine per impedire il male; alla nazione un corpo
prepotente, che, situato tra il principe ed il popolo, usurpa i dritti delluno con una mano, per
opprimere laltro collaltra; che, in poche parole, mescolando in un istesso governo unaristocrazia
tumultuosa ad un dispotismo diviso, ci lascia tutta la dipendenza della monarchia senza lattivit della
sua costituzione, e tutte le turbolenze della repubblica senza la sua libert (pp. 174-75).
[dal libro III, Delle leggi criminali. De delitti e delle pene], vol. IV
cap. XXVIII: Come uomo io ho alcuni dritti, come cittadino ne ho degli altri. La societ mi assicura i
primi, e mi dona gli altri. Gli uni e gli altri divengono dritti sociali, subito che la societ, o li d o li
difende []. La vita, lonore, la propriet reale, la propriet personale, e le prerogative della
cittadinanza dipendenti, sono gli oggetti generali di tutti sociali diritti (p. 18).
[dal libro IV, Delle leggi che riguardano leducazione, i costumi e listruzione pubblica], vol. V
cap. LIII: Vi un tribunale chesiste in ciascheduna nazione, ch invisibile, perch non ha alcuno
dei segni che potrebbero manifestarlo, ma che agisce di continuo, e che pi forte dei magistrati e
delle leggi, de ministri e de re; che pu esser pervertito dalle cattive leggi, diretto, corretto, reso
giusto e virtuoso dalle buone; ma che non pu n dalle une, n dalle altre esser contrastato e
dominato. Questo tribunale, che col fatto ci dimostra che la sovranit costantemente e realmente nel
popolo, e che non lascia in certo modo di esercitarla, malgrado qualunque deposito che ne abbia fatto
tra le mani di molti o dun solo, dun senato o dun re; questo tribunale, io dico, quello dellopinione

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pubblica []. Vi un dritto comune ad ogni individuo di ogni societ; ci un dritto che non si pu n
perdere, n rinunciare, n trasferire, perch dipende da un dovere che obbliga ciascheduno in
ciascheduna societ []. Questo dovere quello di contribuire, per quanto ciascheduno pu, al bene
della societ alla quale appartiene, ed il dritto che ne dipende quello di manifestare alla societ
istessa le proprie idee, che crede conducenti, o ma diminuire i suoi mali o a moltiplicare i suoi beni.
La libert, dunque, della stampa, di sua natura fondata sopra un dritto che non si pu n perdere n
alienare, finch si appartiene ad una societ; ch superiore a tutte le leggi, perch dipende da quella
che le abbraccia tutte e le precede; che la violenza distrugge, ma che la ragione e la giustizia
difendono, e ci dicono daccordo che la legittima autorit delle leggi non pu avere maggiore
influenza sullesercizio di questo dritto di quella che sullesercizio di tutti gli altri, e per conseguenza,
che la loro sanzione non pu cadere che sulla persona di colui che ne ha abusato (pp. 359-62).
Brano tratto da La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti dAmerica, a cura di T.
Bonazzi, Venezia 2003.
Noi riteniamo che queste verit siano di per s evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e che
sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libert e al
perseguimento della felicit;
che per salvaguardarli vengono istruiti fra gli uomini i governi, i quali derivano i propri giusti poteri
dal consenso dei governanti;
che ogni qual volta una forma di governo tende a distruggere questi fini diritto del popolo
modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo, fondandolo sui principi e organizzandone i poteri
nel modo che gli paia pi conveniente a realizzare la propria sicurezza e felicit (pp. 71-3).
Brani tratti da ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, Il Federalista, a cura di G.
Sacerdoti Mariani, Torino 1997.
Lefficacia di alcuni principi che gli antichi non conoscevano per niente, o conoscevano in forma
imperfetta, la comprendiamo adesso. Lordinato riparto dei poteri in diversi rami, il sistema di
balances and checkes legislativi, il sistema di corti e di giudici che conserveranno la loro carica
finch terranno buona condotta, il sistema di rappresentanti del popolo nel legislativo eletti dal
popolo stesso tutte queste sono scoperte totalmente nuove, o che hanno compiuto in tempi moderni,
buona parte del cammino verso la perfezione []. Quando Montesquieu raccomandava un territorio
ristretto per le repubbliche, i modelli che aveva in mente avevano dimensioni molto pi limitate
rispetto a quasi tutti i nostri Stati []. Se, dunque, accettiamo come vere le sue idee sullargomento, ci

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troveremo di fronte allalternativa di rifugiarci subito nelle braccia della monarchia, o di dividerci in
una infinit di piccole repubbliche rivali, litigiose, tumultuose sventurate culle di discordie perenni, e
miserandi oggetti di piet e disprezzo universali []. Basti qui notare che secondo lautore pi
ampiamente citato in merito, quel principio riuscirebbe solo di ridurre la DIMENSIONE di alcuni tra i
pi estesi degli STATI MEMBRI dellUnione, ma non si pronuncerebbe contro un unico governo
federale che li comprenda tutti []. Lungi dallopporsi a ununione generale di Stati, Montesquieu
parla, anzi, esplicitamente di una REPUBBLICA FEDERALE come del mezzo per ampliare la sfera
del governo popolare e per coniugare i vantaggi della monarchia con quelli della repubblica [segue
lunga citazione da MONTESQUIEU, Spirito delle leggi, libro IX, cap. 1] (ALEXANDER HAMILTON, Il
Federalista, n. 9, pp. 78-80).
Lerrata opinione che vorrebbe limitare un governo repubblicano a un territorio ristretto stata
spiegata e confutata in saggi precedenti. Faccio qui notare soltanto che essa trova la sua origine e
diffusione essenzialmente nella confusione che si fa tra repubblica e democrazia, quando si applicano
alla prima ragionamenti tratti dalla natura della seconda []. Fatto che in una democrazia i cittadini
si adunano e si autogovernato direttamente, mentre in una repubblica creano corpi collegiali e si
governano per il tramite dei propri rappresentanti e delegati. Ne consegue che una democrazia
limitata a luoghi di piccole dimensioni, mentre una repubblica pu estendersi a grandi territori ( JAMES
MADISON, Il Federalista, n. 14, p. 99).
Brano tratto da EMMANUEL-JOSEPH SIEYS, Che cos il terzo stato?, in E.-J. SIEYS, M. DE
ROBESPIERRE, J. DE MAISTRE, Pro e contro la rivoluzione, a cura di A. M. Rao, C. Galderisi, E.
Rufi, Roma 1984.
In ogni sua parte la costituzione non opera del potere costituito ma del potere costituente. Nessun
potere delegato pu in alcun modo cambiare le condizioni della propria delega [La Costituzione]
riguarda soltanto il governo. Sarebbe ridicolo supporre la nazione anchessa vincolata dalle modalit o
dalla costituzione alle quali ha assoggettato i propri mandatari. Se per diventare una nazione avesse
dovuto attendere una forma positiva, non lo sarebbe mai diventata. La nazione si forma in forza del
solo diritto naturale. Il governo, invece, pu appartenere soltanto al diritto positivo []. Il governo
esercita un potere reale solo in quanto costituzionale; esso legittimo solo in quanto fedele alle
leggi che gli sono state imposte. La volont nazionale invece ha bisogno soltanto della propria realt
per essere sempre legittima, lorigine di ogni legalit. La nazione non solo non sottoposta ad una
Costituzione, ma non pu nemmeno esserlo n deve esserlo, il che equivale ancora a dire che non lo
(p. 181).

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Brano tratto da JEAN ANTOINE NICOLAS CARITAT DE CONDORCET, I progressi dello spirito
umano, a cura di G. Calvi, Roma 1974.
Giunger dunque il momento in cui il sole non illuminer pi sulla terra che uomini liberi che non
riconoscono altra guida che la ragione; in cui i tiranni e gli schiavi, i preti ed i loro schiocchi o ipocriti
strumenti non esisteranno pi che nella storia e nei teatri, in cui non ci si occuper pi di essi che per
aver piet delle loro vittime e di coloro che ne sono stati ingannati; per mantenersi, per lorrore dei
loro eccessi, in uninutile vigilanza; per riconoscere e soffocare sotto il peso della ragione i primi
germi della superstizione e della tirannia, se mai osassero riapparire! (p. 192).
Brano tratto da MAXIMILIEN ROBESPIERRE, La rivoluzione giacobina, a cura di U. Cerroni,
Pordenone 1992.
Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale allegoismo, lonest allonore, i principi alle
usanze, i doveri alle convenienze, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo per il
vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza allinsolenza, la grandezza danimo alla vanit, lamore
della gloria allamore del denaro, le persone buone alle buone compagnie, il merito allintrigo,
lingegno al bel esprit, la verit allesteriorit, il fascino della felicit al tedio del piacere voluttuoso, la
grandezza delluomo alla piccolezze dei grandi; e un popolo magnanimo, potente, felice a un popolo
amabile, frivolo e miserabile; cio tutte le virt e tutti i miracoli della repubblica a tutti i vizi e a
tutte le ridicolaggini della monarchia []. Ora, qual il principio fondamentale del governo
democratico o popolare, cio la forza essenziale che lo sostiene e lo fa muovere? la virt. Parlo
della virt pubblica che oper tanti prodigi nella Grecia e in Roma, e che ne dovr produrre altri,
molto pi sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virt che in sostanza lamore della patria
e delle leggi. Ma, dato che lessenza della repubblica, ossia della democrazia, luguaglianza, ne
consegue che lamore della patria comprende necessariamente lamore delluguaglianza []. Cos,
tutte le cose che tendono a eccitare lamor di patria, a purificare i costumi, a elevare gli spiriti, a
indirizzare le passioni del cuore umano verso linteresse pubblico, devono essere da voi adottate e
instaurate. Mentre tutte le cose che tendono a concentrare le passioni verso labiezione dellio
individuale, a risvegliare linteresse per le piccole cause e il disprezzo per quelle grandi, devono essere
da voi respinte o represse. Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ci che immorale
impolitico, tutto ci che atto a corrompere controrivoluzionario []. Al di fuori [della Francia]
tutti i tiranni vi circondano, allinterno tutti gli amici della tirannia cospirano: cospirano affinch al
crimine non sia tolta perfino la speranza. Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della repubblica,

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oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica devessere
quella di guidare il popolo con la ragione, e i nemici del popolo con il terrore. Se la forza del governo
popolare in tempo di pace la virt, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione ad un
tempo la virt e il terrore. La virt, senza la quale il terrore cosa funesta; il terrore, senza il quale la
virt impotente. Il terrore non altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso dunque una
emanazione della virt []. Si detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico. Il
vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo? S, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi
della libert assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota
governi pure con il terrore i suoi sudditi abbruttiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il
terrore i nemici della libert: e anche voi avrete ragione, come fondatori della repubblica. Il governo
della rivoluzione il dispotismo della libert contro la tirannia ( pp. 161-69).
Brani tratti da HANNAH ARENDT, Sulla rivoluzione, Milano 1999.
La rivoluzione americana rimase fermamente orientata verso linstaurazione della libert e la
fondazione di istituzioni durature: e a coloro che operavano in questa direzione nulla fu permesso che
trasgredisse il diritto civile. La rivoluzione francese fin dallinizio devi un tale orientamento, spinta
dallurgenza delle sofferenze del popolo; fu determinata da unesigenza di liberazione non dalla
tirannide ma dalla necessit, e fu realizzata dalla illimitata immensit della miseria del popolo e dalla
piet che questa miseria ispirava (p. 98).
Tutta la storia delle rivoluzioni passate dimostra oltre ogni dubbio che qualsiasi tentativo di risolvere
la questione sociale con mezzi politici conduce al terrore, e che il terrore porta le rivoluzioni al
fallimento (p. 120).
Dal punto di vista storico, la distinzione pi ovvia e pi decisiva fra la rivoluzione americana e quella
francese fu che leredit storica della rivoluzione americana era una monarchia costituzionale e
quella della rivoluzione francese un assolutismo che manifestatamene risaliva ai primi secoli della
nostra era e agli ultimi secoli dellimpero romano. Nulla in realt sembra pi naturale del fatto che una
rivoluzione sia predeterminata dal tipo di governo chessa rovescia; nulla perci appare pi plausibile
che spiegare il nuovo assoluto, la rivoluzione assoluta, mediante la monarchia assoluta che la
precedette, e concludere che quanto pi assoluto il sovrano, tanto pi assoluta sar la rivoluzione che
lo rovescia e lo sostituisce (p. 174).

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