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VOLUME SECONDO
CONDANNATA
E ALTRE STORIE
Sean MacMalcom
Stampato e venduto
da Lulu.com
A Daniela M. G. G. M.
La saga
MIDDA’S CHRONICLES
Volume primo
Il tempio nella palude (e altre storie)
MIDDA’S CHRONICLES 5
Introduzione
Caro lettore,
Altri quattro racconti – C’è chi dice che la prima volta sia la più
difficile. E, in verità, nell’organizzazione di questo secondo volume, molto
impegno posto nel corso della realizzazione del precedente mi ha concesso
di agire con incedere più sicuro, confidente con scelte di formato, grafica,
impaginazione et similia che non hanno più preteso la mia attenzione, non
in maniera tanto stressante come era stata nel dicembre 2008. Ciò
nonostante, l’affanno della vita quotidiana, non mi ha consentito di
prestare fede alla promessa formulata fin da allora, quando annunciai con
eccessivo trasporto l’uscita del secondo tomo entro sei mesi, sebbene già
all’epoca tutto il materiale necessario fosse stato ormai pubblicato online,
all’interno del blog (http://www.middaschronicles.com/) che ospita il
moderno feuilleton qual è quest’opera, con le proprie pubblicazioni in
episodi a cadenza quotidiana. A ben dieci mesi di distanza dalla prima
uscita, comunque, Midda’s Chronicles ha finalmente avuto occasione di
trasferire ancora una volta le proprie storie, le proprie avventure,
dall’universo del digitale a quello più classico della carta, in un secondo e,
spero, entusiasmante appuntamento con la donna guerriero già
protagonista di ben cinque racconti nella precedente raccolta.
In questo tomo, di quasi cento pagine più cicciotto del precedente,
quattro saranno le avventure nelle quali Midda Bontor dovrà porre il
proprio impegno. Quattro storie fra loro autonome, nel classico stile già
presentato in passato, e pur collegate, quali parti di un unico arco
6 Sean MacMalcom
narrativo, di una sola grande avventura, rendendo sempre più presente,
sempre più saldo, un concetto di continuità all’interno di questo nuovo
universo narrativo in costante crescita. Accanto al testo scritto, ormai
irrinunciabili, non mancheranno di offrirsi ai tuoi occhi altre quindici
tavole inedite a cura di Giuliana Lagi, le quali, in conseguenza del
successo riscosso in passato, si sono imposte come appuntamenti
irrinunciabili, atti a impreziosire, con il fine tratto che li contraddistingue,
questa stessa opera.
Sean MacMalcom
8 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 9
Sommario
Introduzione ...................................................................................................... 5
Sommario ........................................................................................................... 9
Condannata...................................................................................................... 11
I quattro cavalieri .......................................................................................... 159
La corona perduta......................................................................................... 315
Trent’anni dopo............................................................................................. 511
Condannata
Solo a quel punto, lady Lavero, come era stata identificata dai tre
uomini, riprese parola, tornando a volgere la propria attenzione verso la
mercenaria: «Io voglio te.»
«Non averne a male, ma i miei gusti sono differenti.» commentò
Midda, aggrottando la fronte a quelle parole, a quel desiderio così
ambiguamente presentato «E comunque non sei il mio tipo…» aggiunse in
un ovvio intento di scherno verso l’aristocratica, dove aveva comunque
compreso il reale significato della richiesta.
«Stupida, irriverente e presuntuosa.» rispose stizzita l’altra, storcendo
le labbra verso il basso come se, nonostante altri fossero i suoi intenti, quel
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rifiuto l’avesse lasciata indisposta, l’avesse contrariata e offesa nel suo
amor proprio «Se quel genere di attenzioni ti fossero da me rivolte, avresti
solo da esserne orgogliosa.»
«Degna sorella di tuo fratello, a quanto pare.» ironizzò con amarezza
la mercenaria, nel rilevare quell’evidente tara familiare che sembrava
accomunarli «Anche egli volgeva queste considerazioni verso tutte le
donne che piegava ai propri voleri, alle proprie violenze, al proprio
sadismo. E per questo è morto, straziato dalle sue stesse vittime, distrutto
da coloro che aveva dominato con assoluta fierezza di sé, colmo della
propria empia personalità.»
«Per i servigi che mi hai reso, con la morte di mio fratello, dovrei
ricompensarti e, di certo, non richiedere la tua punizione.» rispose lady
Lavero, sorridendo tranquilla «Non temere: ogni colpa ti potrà essere
condonata in virtù della fedeltà che deciderai di concedermi. E non mi
riferisco solo alle imputazioni più recenti, quanto piuttosto a quelle più
antiche, quelle per cui già hai avuto modo di subire delle amputazioni, se
non erro.» sottolineo in un sadico gioco di assonanze.
«Osservando la realtà da altri punti di vista però, con uno sguardo che
si riesca a spingere oltre alla versione ufficiale, anche nella Terra di
Nessuno esiste vita, sussiste almeno un insediamento, se così vogliamo
definirlo.» riprese serenamente, con una tonalità di voce appena inferiore
rispetto a quanto precedentemente pronunciato «Ricavato all’interno del
cratere di un vulcano ormai spento, sul limitare di tali confini, è infatti una
delle più grandi prigioni mai edificate dall’uomo, dove comunque
considerare l’intervento umano in tutto ciò sarebbe decisamente
improprio.»
«Per accedere a tale complesso, o per uscire da esso, è stata prevista
una sola via, costituita da uno strettissimo tunnel scavato nella pietra
lavica che attraversa il fianco del vulcano per giungere nella sua parte
centrale. A chiusura di simile accesso, a protezione per il mondo da coloro
che oltre tale soglia vengono segregati, sono irremovibili cancelli in pietra,
tanto pesanti che un intero esercito non potrebbe avere la forza di
smuoverli una volta che essi siano stati bloccati. Gli unici a poter agire su
tali accessi sono i custodi di quel luogo ignorato dal mondo intero: essi
tramandano il segreto della chiave di quel varco da epoche lontane, di
generazione in generazione, da padre in figlio, all’interno di una casta
privilegiata che mantiene gelosamente protetto tale arcano enigma come il
più prezioso dei tesori.»
«So che sei una provetta scalatrice, in grado di arrampicarti sulla
roccia di una montagna come sulle sartie dell’albero maestro di una nave
in piena bufera.» commentò con un accenno di reale ammirazione in
quelle parole, in una simile constatazione «Non credere, però, che da
quella prigione, da quelle carceri maledette, potrai mai trovare evasione:
perché al centro del vulcano, all’interno di quel cratere, ove è sito il vero
ambiente detentivo, le pareti si propongono troppo scoscese, troppo
inclinate verso l’interno e troppo elevate verso il cielo, in una distanza tale
da non permettere di intuirne il termine, di ipotizzare una seppur vaga
possibilità di sfida.»
MIDDA’S CHRONICLES 31
La Figlia di Marr’Mahew stava continuando a concedere alla
nobildonna la propria più completa attenzione, a offrirle il proprio
massimo interesse dove, nonostante molte fossero le nozioni delle quali
l’altra stava parlando a esserle già note, diverse risultavano essere le
sfumature su tale argomento mai rivelatele in precedenza dai propri
informatori. Sicuramente l’assenza di simili notizie non sarebbe dovuto
essere considerato conseguenza di un intento doloso rivolto a imporle
danno, ma derivante da semplice e giustificabile ignoranza: un segreto
pari a quello dell’esistenza di un simile luogo, del resto, era probabilmente
una delle informazioni più riservate e protette in tutta Kofreya, per le
ovvie responsabilità che esso comportava.
Così, nel desiderio di spaventarla, nella volontà di porle timori e di
farle rivalutare l’offerta di collaborazione, lady Lavero le stava rendendo
un grandissimo servigio, e interrompere tanta buona volontà di dialogo
verso di lei sarebbe stato un terribile errore.
I quattro cavalieri
«Molti sono coloro che su questa sabbia hanno combattuto. Molti sono
coloro che su questa sabbia hanno incontrato il proprio destino. Molti
sono coloro che su questa sabbia hanno potuto elevarsi verso il Fuoco
Eterno, in conseguenza del proprio valore, della propria forza, della
propria fede.»
«In tutti i regni meridionali il suo nome è entrato nel mito, cantato in
dozzine di ballate che ne descrivono la forza, il coraggio, l’indomabile
presenza!»
Il suo nome era lord Visga Veling, ultimo erede di una delle più
antiche e prestigiose famiglie nobili di tutta Gorthia, residente da sempre
presso la stessa città di Garl’Ohr.
Superato ormai il traguardo dei quarant’anni, umiliato dall’onta di
non riuscire ad avere un erede, aveva da lungo tempo rifiutato la presenza
di una sposa al proprio fianco, di una compagna fissa con cui dividere la
propria esistenza, non ritrovando alcun beneficio in una simile scelta
laddove nulla li avrebbe mai legati al di fuori di qualche momento di
piacere. E per tale ragione, egli preferiva ricercare tali momenti con il
maggior numero di concubine possibili, gorthesi e non, del resto
appoggiato completamente dalla legge del regno che non imponeva né
richiedeva alcuna forma di monogamia, subordinando altresì il ruolo
femminile a quello maschile. Il suo aspetto, nonostante la giovinezza si
fosse ormai allontanata, si proponeva ancora vigoroso, guerriero, con un
corpo ancora perfettamente scolpito nei propri muscoli, nelle proprie
proporzioni per quanto celato sotto una lunga veste di pelle e sotto un
pesante manto di pelliccia, quest’ultimo legato al collo da una grossa
catena d’argento. Il suo viso si offriva squadrato, con un naso corto e un
mento largo, due occhi castani dotati di un’estrema, intrinseca vivacità in
contrasto con una pelle chiara e corti capelli un tempo castani, ora più
sbiaditi, che si conformavano ai lati del volto stesso in due lunghe basette.
Sopra il capo, unico e prezioso ornamento, era una coroncina d’oro,
composta a riprendere le sembianze di una corona d’alloro, antico simbolo
di valore nella cultura gorthese, mentre, alle sue mani e ai suoi piedi,
erano strette fasciature l’unica protezione presente: entrambi tali segni si
donavano qual evidente retaggio d’un passato da combattente che non
desiderava fosse dimenticato, che non voleva potesse essere posto in
dubbio da alcuno.
MIDDA’S CHRONICLES 167
La sua attuale compagna, conosciuta solo pochi giorni prima e
rapidamente resa propria, era una splendida giovane donna straniera,
come la sua scura pelle sottolineava in maniera chiara e inconfondibile.
Presentatasi con il nome di Cila Gane, ella era giunta in città al seguito
del proprio fratellastro, un mercante kofreyota, lasciando ben presto il
proprio ruolo accanto al parente nel cedere alle lusinghe e alle offerte
concesse a lei da lord Visga. Lunghi capelli castani, raccolti in un’alta
coda, circondavano un viso delicato, incantevole, leggermente ovale, dove
due profondi occhi ugualmente castani e carnose labbra rosso sangue si
ponevano attorno a un naso sottile, elegante, aggraziato. Un’ampia
scollatura, nella sua veste violacea scendeva fino alle rotondità di due seni
non eccessivi ma sodi e assolutamente ricchi di eleganza, sopra i quali si
adagiava un prezioso girocollo in diamanti ad attirare ancor di più, se
necessario, lo sguardo verso tale desiderabile e desiderato punto
d’interesse. Nella forma di un stretto corsetto era la parte superiore
dell’abito, legato da molti lacci sul suo ventre e coprente appena esso e
parte delle braccia e spalle, lasciando libera, altresì, la predominanza della
schiena. In tal punto, osservandola con cura attraverso la lunga coda di
soffici capelli, si sarebbe potuta trovare la presenza di un meraviglioso
tatuaggio sulle scapole, a ritrarre un paio di ali piumate in posizione di
riposo. Scendendo più in basso, da fianchi larghi dopo una stretta vita, si
lasciava ricadere una fluente gonna completamente aperta nella propria
parte anteriore, per mostrare lunghe e tornite gambe, color della terra, e
lasciar intuire la presenza di un delicato perizoma a celarne le parti più
intime. Alle estremità inferiori di tale figura si proponevano, infine, due
sandali del medesimo colore violaceo dell’abito, che risalivano fino alle
sue ginocchia in un intreccio sensuale e invitante per uno sguardo
maschile, che mai si sarebbe stancato di posarsi su tale, meravigliosa,
presenza.
«Che cosa vuole fare?» domandò Cila, osservando con stupore, con
timore, forse con ammirazione l'ardire offerto dalla mercenaria, nel
spingersi in corsa in una chiara direzione, verso una decisa meta.
«Sembra che abbia deciso di ingaggiare lotta contro gli orsi…» rispose
lord Visga, non staccando gli occhi dalla scena presentata, dallo spettacolo
loro concesso dall'ospite d'onore di quella serata.
Ormai la scelta era stata compiuta e da lì, dove si era spinta, ella non
avrebbe più potuto retrocedere, ritornare sui propri passi, sulle proprie
scelte. Spesso nell'umana esistenza, di fronte a un gesto forte, a
un'evoluzione anche ricercata, e pur non sempre prevista in ogni sua
sfumatura, l'animo mortale si ritrovava a rimpiangere la tranquillità
abbandonata, la perduta certezza dell'immobilismo di un tempo. Dove,
MIDDA’S CHRONICLES 175
però, il salto fosse già stato compiuto, tentare di arrestare il cambiamento,
di contrastare la spinta acquisita non avrebbe permesso il ritorno allo stato
precedente, alla serenità apparentemente perduta, lasciandosi altresì
trascinare in balia degli eventi, in un vortice non più controllato o
controllabile. In virtù di tale consapevolezza, fisica e metafisica, Midda
sapeva di non potersi ormai concedere di cambiare idea, di modificare la
propria tattica, la propria strategia: aveva votato in virtù di quella strada e
per essa avrebbe dovuto proseguire, ovunque si fosse ritrovata a giungere.
E se anche avesse errato in questo, se anche avesse fallito, forse avrebbe
avuto possibilità di riprendersi e di apprendere, in tale errore, un
insegnamento per il futuro, così come sempre nell'umana esistenza era
richiesto di fare.
Nell'enfasi del proprio attacco, nella forza dei propri gesti, nella
velocità della propria corsa, ella puntò i piedi per compiere un improvviso
salto in avanti, per gettarsi in aria. Nel contempo di tale azione, che la vide
dirigersi alla volta di uno dei tre orsi, la sua spada fu scagliata in un ampio
gesto rotatorio contro un secondo esemplare, imponendosi nel proprio
movimento simile più a un enorme pugnale che a un giavellotto, quale
altresì sarebbe stato ovvio si mostrasse. Così, dove la lunga lama dagli
azzurri riflessi si impegnò a penetrare il forte collo dell'animale,
affondando nelle sue calde carni, nel suo folto pelo, ella portò il proprio
corpo ad abbracciare quello del proprio obiettivo, della meta finale della
propria folle corsa, evitando per semplice sorte, per un destino fortuito il
movimento difensivo di una pesante zampa, per raggiungere quel collo.
Lasciandosi rotolare attorno a esso, la donna si spinse verso la schiena
dell'animale, per poter serrare con forza, con fermezza il proprio braccio
destro, metallico, attorno alla possanza della bestia, creando una morsa
con l'aiuto della mancina da cui esso non potesse liberarsi. E l'orso,
accorgendosi del tentativo offerto da lei, gettò verso il cielo un orribile
grido, un verso violento e rabbioso che riuscì a far scendere il silenzio
sull'intera Arena, rapita nell'osservare l'evoluzione di quel combattimento,
le conseguenze di quella lotta.
Il tempo parve bloccarsi nel contrasto fra la donna e la bestia, fra la
tecnica e la forza, fra la morsa e il tentativo di violarla, di evaderla. Per
l'orso non vi era possibilità di raggiungere la propria avversaria in quella
posa, e in questo esso tentava senza tregua di scuoterla da sé, dalla
propria schiena, imponendo su di lei la violenza di gesti disumani, che
avrebbero dovuto vederla volare a terra e divenire, in questo, vittima,
preda, un pasto per i suoi denti, trasformando il suo sangue in dolce
nettare per la sua gola riarsa. La mercenaria, però, non fu d'accordo con
simile desiderio, con tale tentativo, tenendosi salda all'avversario,
rinforzando la propria posizione nell'utilizzo delle gambe attorno al
176 Sean MacMalcom
quell'immane schiena, ben conscia della sorte che l'avrebbe altrimenti
attesa se solo avesse ceduto, se solo le sue forze fossero venute meno.
Come già in passato, in quella che era una mossa per lei nota, l'attesa fu
terribile, il confronto con l'animale apparve estenuante, feroce,
coinvolgendo non solo i muscoli del suo braccio sinistro e delle sue spalle,
ma ogni singola membra del suo corpo, obbligandola a tendersi con
dolore tale da renderle difficile non gridare, non dare sfogo verbale a tanta
sofferenza.
Ma la sua volontà, il suo impegno, trovarono la soddisfazione
ricercata, raggiunsero lo scopo prefisso nel momento in cui l'ossigeno
carente nei polmoni dell'avversario lo vide cedere, lo vide indebolire i
propri gesti, le proprie reazioni, fino a perdere controllo e coscienza nel
ricadere violentemente a terra. In tale atto, imprevedibilmente, l'orso
abbattuto non precipitò in avanti, come ella evidentemente era certa
sarebbe avvenuto, ma all'indietro e, nella rapidità di tale evento, Midda
riuscì a tentare la fuga e non a completarla, ritrovando la propria gamba
sinistra bloccata sotto il peso del proprio avversario. E davanti a lei, così in
trappola, il terzo orso si ritrovò deciso a compiere ciò per cui i propri
compagni erano morti.
Nel comprendere di non avere alternative di fronte all’immediato
attacco propostole dal terzo avversario, Midda limitò i propri movimenti a
quanto necessario per tentare di ridurre i danni, a ciò che doveva essere
compiuto per ritagliarsi una speranza di sopravvivenza. L’azione, allora,
fu così rapida, subitanea, che agli occhi degli spettatori dell’arena mostrò
semplicemente la violenza dell’animale abbattersi sul corpo indifeso della
donna guerriero, bloccata qual ella era sotto il peso della sua ultima
vittima, tanto impietoso, tanto rabbioso, da veder l’enfasi di quella zampa
sbalzare la creatura tanto fragile a suo confronto, con prepotenza, di
diversi piedi in lontananza, come una bambola priva di anima, uno
spaventapasseri senza consistenza. In conseguenza a quell’azione, ella
sembrò ricadere apparentemente morta, o forse solo svenuta, sulla sabbia
dell’Arena, rotolando ancora a lungo prima di arrestarsi, supina e scoperta
a qualsiasi nuovo attacco da parte dell’animale.
L’orso superstite, mantenendo con la propria possanza ancora a
distanza i felini, che ne stavano osservando il combattimento con interesse
ma senza indulgere nel tentare di intervenire in esso, si avvicinò alla
propria vittima, ora con apparente tranquillità, con curioso interesse,
privo di aggressività, privo di violenza, muovendosi su quattro zampe e
spingendo il proprio muso verso quella presenza immobile,
apparentemente morta. Quasi fosse incerto sulla strada da preferire, sulle
scelte da compiere, esso provò a sospingere con la punta del naso una
MIDDA’S CHRONICLES 177
gamba della donna, che in ciò si mosse per inerzia, senza un proprio
controllo, senza una propria intrinseca forza.
Senza ipocrisia Midda non avrebbe potuto negare di aver già ucciso
molti animali, oltre a ogni altro genere di creature mitologiche e di
avversari umani, nel proprio lungo passato di donna guerriero e di
mercenaria. Ma, nel momento in cui attaccare un animale per mangiarne
le carni o, semplicemente, per legittima difesa in un confronto paritario
nel suo naturale ambiente, sarebbe stato tranquillamente accettato da
parte sua e della sua coscienza, il pensiero della carneficina, del massacro
impostole da quei giochi a discapito di quelle fiere non la rallegrava, non
la rendeva soddisfatta di sé. Certamente non le erano state offerte
alternative, non aveva avuto possibilità di scelta, e di questo era
assolutamente consapevole, non volendo esser uccisa e non volendo fallire
in quella che era la missione assegnatale, ma nonostante tutto non avrebbe
potuto fare a meno di disprezzare l’organizzazione stessa di quei giochi
per averle imposto una simile prova. Invero, in cuor suo, ella non avrebbe
mai potuto negare di preferire uccidere uomini ad animali, valutando, del
resto non diversamente dai più nella realtà in cui era nata, era cresciuta e
viveva, minore il valore di un’esistenza umana rispetto a quella di una
bestia, di altresì nobile utilità e animo.
Purtroppo per lei, ormai, ella era in gioco e non si poneva parte del
suo carattere l'ipotesi rinunciare alla partita, tirarsi indietro da una sfida
soprattutto dove essa avrebbe potuto darle nuova prova del proprio
valore, della propria forza, del proprio coraggio. Roteando la spada
attorno a sé a ricercarne l'equilibrio, la Figlia di Marr'Mahew analizzò con
attenzione il nemico che le era stato proposto, cercando di comprenderne i
gesti, di seguirne la natura per scoprirne le debolezze e i difetti, i vantaggi
che avrebbe potuto ritrovare in un confronto con esso.
Il tifone, consumata la prima scarica infuocata, si mosse con passo
pesante, con gesti lenti e goffi, ad avanzare verso di lei e verso i felini, tutti
decisi a non impegnarsi in un confronto diretto con esso, tutti consci
dell'impossibilità di ingaggiare una lotta equa con un simile colosso. Le
sue lunghe braccia, così sproporzionate nel confronto con quel corpo in
un'ideale anatomico umano, si spostarono una alla volta nell’evidente
necessità di non lasciare gravare l’intero proprio peso solo sulle gambe, a
spazzare l'area davanti a sé, cercando in quei gesti, sicuramente forti di
una potenza incomparabile, di giungere a colpire un avversario, di
spingersi ad afferrare un nemico, per violarne l'integrità, distruggerne le
membra, le ossa.
Tutt'altro che strano apparve quel comportamento agli occhi della sua
spettatrice, dove ella, sebbene in assenza di uno specifico e edotto studio a
tal riguardo, era consapevole di come, tanto i tifoni quanto altre creature
simili, ottenessero il proprio fuoco non in virtù di una strana stregoneria,
al contrario rispetto a quanto ritenuto dalla maggior parte delle persone,
ma in conseguenza di una reazione fra due diversi elementi presenti nei
loro corpi, prodotti dai loro stessi organismi, in grado di dare vita a un
effetto incendiario. Tale conoscenza, in Midda, non era conseguenza di
nulla di più della propria personale esperienza, derivante da antichi
contrasti con un drago di fiume ucciso dopo un'aspra lotta proprio
sfruttando contro esso stesso quel suo potere, nel recidere, non senza
un'alta percentuale di fortuna, i condotti attraverso cui i liquidi reagenti
venivano incanalati fino alla sua gola e, conseguentemente, nel lasciarlo
bruciare nelle proprie stesse fiamme. Trattandosi, quindi, di una capacità
186 Sean MacMalcom
naturale e non di un potere sovrannaturale, la generazione del fuoco non
si concedeva mai, in quegli esseri, come inesauribile e costante: al
contrario, momenti di attesa più o meno lunghi erano sempre da essi
richiesti fra una fiammata e la successiva, in diretta proporzionalità anche
della potenza espressa all'ultimo attacco.
Per tale ragione, per quanto tutt'altro che sciolto o flessibile nei propri
movimenti, il tifone era costretto a tentare un'offesa fisica nei loro
confronti, in attesa del ritorno della possibilità di incenerirli. Dove tutto
ciò era chiaro per Midda, dove simili conoscenze la rendevano
assolutamente non inerme, non incerta di fronte a esso, la donna guerriero
non avrebbe mai potuto conoscere le effettive capacità, i reali tempi di
recupero dell’avversario fino a quando lo stesso non si fosse espresso con
un nuovo attacco incendiario al quale, se fosse sopravvissuta, avrebbe
potuto replicare con un reale controllo della situazione tale da poter
sperare di abbatterlo.
Alcuni fra i felini, per quanto impegnati come lei a non ingaggiare un
confronto diretto, non riuscirono a evitare i movimenti violenti del tifone,
venendo sbatacchiati da un lato all'altro dell'Arena, morendo sul colpo per
la forza dello stesso o, comunque, sopravvivendo temporaneamente con
lesioni tali da non permettere più alcun movimento, alcuna fuga dall'ira
della creatura. Anche Midda, più spesso di quanto non avrebbe preferito,
si ritrovò a dover scartare con agilità, con destrezza, i colpi nemici,
venendo solo sfiorata dallo spostamento d'aria causato da esso e, in ciò,
sospinta all'indietro ogni volta, al punto tale da rischiare di perdere
l'equilibrio.
La pelle dell'avversario, nei momenti in cui ella ebbe occasione di
analizzarlo da vicino, richiamò alla sua memoria quella di un ippocampo,
lasciandole temere, in questo, che esso potesse godere di una simile
invincibilità epidermica, che quelle scaglie potessero contrapporsi anche al
filo ineguagliabile della sua spada, forgiata secondo antiche e perfette
tecniche. Nella reazione di una tigre, però, catturata e uccisa con violenza
dal mostro, ella poté intravedere gli artigli della stessa solcare la pelle del
proprio carnefice, quella superficie quasi argentata, danneggiandola: nulla
di mortale, certo, nulla di grave per esso, che probabilmente lo avvertì allo
stesso modo in cui ella avrebbe avvertito il graffio di un gattino, ma chiara
evidenza di una vulnerabilità, di una possibilità di essere sconfitto.
MIDDA’S CHRONICLES 315
La corona perduta
«Sei una donna in gamba… forse una delle poche persone che ho
sempre stimato, e sono sincera nel dirlo.» ammise Carsa, continuando
senza attendere la risposta dell’interlocutrice «Hai abilità e, soprattutto,
324 Sean MacMalcom
hai esperienza e se, in virtù di essa, la tua mente ha deciso di agire in un
certo modo, perdere tempo a addolorarsi di ciò è da stolti. E’ andato
perduto un tesoro di incalcolabile valore, è vero… ma evidentemente era
destino che ciò accadesse.»
«Non ne sono così sicura…» fece spallucce la donna «Ma su una cosa
hai ragione: è da stolti continuare a pensarci quando ormai non si può più
fare nulla per rimediare a quanto compiuto.»
«Questa è la Midda che ho imparato ad apprezzare!» sorrise l’altra,
annuendo vistosamente «Per quanto riguarda la missione, poi, non vedo
ragione di darsi per vinti. C’è stato un inconveniente, è vero, ma chi mai
aveva detto che sarebbe stata un’impresa semplice? Non stiamo forse
inseguendo una chimera?»
er uno scherzo della sorte, o forse per una divina decisione non
intelligibile a menti mortali, il ritorno di Midda alla città del
P peccato coincise esattamente con il giorno di Transizione fra
estate e autunno, risultando in questo estremamente simbolico,
anche per un luogo come Kriarya.
Se, infatti, per quella particolare capitale kofreyota, né le Transizioni
né il Capodanno avevano mai rappresentato qualche valore, dove la
popolazione di quelle terre, in vasta maggioranza costituita da assassini,
prostitute, mercenari e ladri, non aveva né avrebbe avuto alcuna ragione
di onorare gli dei o, peggio, il sovrano per la stagione o l’anno appena
concluso o per quelli che sarebbero presto iniziati, il proporsi del ritorno
di una figura come quella della mercenaria all’interno di quelle mura in
corrispondenza di quella particolare data posta fuori da ogni mese e fuori
da ogni stagione, non poté essere ignorato, non poté evitare di essere letto
nella metaforica chiave di un desiderio di rivalsa.
Oltre un anno era trascorso dalla sua partenza da quella capitale e
dalla sua particolare realtà, inversa a quella comune, eppure, in tale
sovversione, quasi più comprensibile della tanto sopravvalutata vita
civile, troppo ricca di ipocrisie e falsità, ormai assuefatta alle piccole e
grandi malizie da considerare normale e ben accetto il peggiore degli
insulti e, al contempo, da valutare come insostenibile una schietta
franchezza.
L’ultima volta che ella aveva fatto ritorno in Kriarya, a seguito di una
missione nella palude maledetta di Grykoo, per compiere un’impresa
ormai divenuta parte del mito, era stata a suo discapito coinvolta in una
spiacevole faida fra i signori locali, i “nobili” di quella capitale che a
differenza di qualsiasi altra città kofreyota non erano tali per meriti di
sangue, quanto la propria intrinseca forza, per la capacità di controllo e
gestione sull’essenza caotica di quel mondo particolare.
Un mecenate conosciuto con il nome di Bugeor e il titolo di lord, aveva
infatti tentato di sconvolgere gli equilibri esistenti all’interno della città,
chiamando al proprio servizio gli uomini della Confraternita del
Tramonto, una vasta organizzazione mercenaria operante in quasi ogni
provincia di Kofreya. In contemporanea a un simile gioco di violenza e di
potere, l’aspirante usurpatore aveva deciso di forzare la mano di Midda
attraverso il rapimento di una giovane fanciulla, sua protetta. Con tale
azione egli aveva sperato di poter sia ottenere i servigi della mercenaria
allo scopo di impossessarsi attraverso di lei di una proprietà di lord Brote,
uno fra i suoi principali rivali, sia mantenerla al di fuori dell’inevitabile
conflitto che sarebbe scoppiano non appena le sue mire sulla capitale
326 Sean MacMalcom
fossero state rese note agli altri signori. Inevitabilmente, però, egli aveva
scatenato l’esatta reazione opposta, spingendo la Figlia di Marr’Mahew
non solo a un ulteriore contrasto nei suoi confronti ma, anche, a schierarsi
in maniera aperta sul campo di battaglia.
Ma se, da un lato, ella aveva inizialmente affiancato e anche condotto
l’esercito misto formato dai mercenari agli ordini vari signori di Kriarya
nello scontro armato con la rappresentanza della Confraternita del
Tramonto lì stanziata, al fine di ottenere la liberazione dell’ostaggio,
dall’altro lato, non aveva assolutamente gradito che il suo destino potesse
essere gestito a tavolino senza porle un’interrogazione diretta, quasi ella
potesse essere accomunata a una qualsiasi mercenaria, a semplice carne da
macello. Pertanto, nel momento in cui la Confraternita, notando il rischio
di una grave sconfitta nel confronto con lei, aveva deciso di scendere a
patti concedendole la prigioniera, la donna guerriero si era
tranquillamente ritirata dalla battaglia, invitando tutti i propri compagni a
fare altrettanto nel descrivere come vano quello scontro. La battaglia,
come ella aveva avuto modo di conoscere solo molto più tardi, si era
comunque protratta e inevitabilmente conclusa con la vittoria della
Confraternita ma, nonostante tale successo, lord Bugeor aveva
saggiamente deciso di non osare troppo, lasciando pressoché inalterati gli
equilibri della città.
Nulla era pertanto effettivamente mutato all’interno di quelle mura
nel corso dell’ultimo anno.
«Per Lohr… ora inizio a comprendere come sei divenuta ciò che sei…»
commentò Howe, aggrottando la fronte «Anche Gorthia, con tutti i suoi
integralismi religiosi, sembra una terra accogliente rispetto a quanto
presentato all’interno di queste mura…»
«Ne sei proprio sicuro?» lo stuzzicò con malizia la mercenaria,
indicando appena con un cenno del capo un gruppo di prostitute in chiara
evidenza posto non lontano da loro.
«Ecco…» replicò l’uomo, cogliendo immediatamente quel
suggerimento «Diciamo che se vi ricorderete di passarmi a prendere
prima di ripartire, io potrei fermarmi qui…» continuò sorridendo, mentre
i suoi occhi sembrarono illuminarsi a quella vista «Se poi vi
dimenticherete di me, penso che non vi offrirò alcuna colpa dall’alto della
mia bontà d’animo…» concluse, iniziando ad accennare un paio di passi
nella direzione mostratagli.
Nel mentre di quel breve dialogo fra i quattro cavalieri, la vita attorno
a loro era ripresa imperturbata e imperturbabile per le vie della città del
peccato, dove quanto accaduto, lo scontro appena concluso, nulla di
nuovo o inatteso aveva proposto allo sguardo di coloro che lì abitavano.
Furti, uccisioni e stupri erano realtà assolutamente quotidiane in quelle vie
e chi fra di esse aveva accettato di cercare un senso alla propria vita ben
presto aveva dovuto anche confrontarsi con le stesse per non esserne
vittima.
Lord Brote. Come pronunciato da Carsa, tale era l’obiettivo che aveva
spinto la Figlia di Marr’Mahew a condurre la squadra, di cui era parte per
334 Sean MacMalcom
il corso di quella missione, fino a quella capitale della perdizione, nella
consapevolezza di come egli possedesse una chiave, prima non presa in
considerazione, utile a giungere alla risoluzione dell’enigma proposto loro
nella ricerca della corona perduta.
Da oltre un anno, dalla propria partenza da Kriarya, ella non aveva
avuto modo di incontrare il proprio mecenate, di lavorare al suo servizio,
ma i rapporti fra loro, era certa, non si sarebbero proposti diversi da quelli
a cui era abituata. Midda era sempre stata il tesoro più prezioso fra tutti
quelli che il signore in questione poteva farsi fregio di possedere e, anzi,
nell’evidenza che i propri diritti sulla donna non sarebbero mai stati
realmente assoluti, egli non mancava di proporre un’unione coniugale alla
propria mercenaria a ogni occasione possibile, conscio di quanto il proprio
potere, già forte e radicato nella città, sarebbe potuto essere decuplicato in
virtù di una simile e definitiva alleanza. Naturalmente, la donna guerriero
non aveva mai avuto interesse alcuno a vincolarsi in tal modo a lui, oltre a
non aver avuto neppure sentimenti di sorta nei suoi confronti se tali
sarebbero potuti essere in qualche modo influenti in tal senso. Ciò
nonostante il rapporto con il proprio principale mecenate si era sempre
offerto proficuo per entrambe le parti, assicurando a lei una fonte di
guadagno e di avventure praticamente illimitata e a lui una fonte di
potere, a diversi livelli, apparentemente inesauribile.
Nel rispetto di regole non scritte all’interno di quelle mura, la donna
non aveva alcun dubbio sul fatto che, entro poche ore, la notizia del suo
ritorno si sarebbe sparsa fino ai livelli più alti delle smisurate torri erette
nello stile kofreyota lì vigente, con forme alte e geometriche che al cielo
sembravano voler offrire le proprie bramose mire, e proprio per tale
ragione ella preferiva attendere con tranquillità il giorno seguente,
concedendo in tal periodo possibilità al proprio mecenate di apprendere
simile novella e di porsi in sua attesa, per la visita che usualmente
avveniva al mattino seguente di ogni suo ritorno nella capitale.
rpeggiando con i raggi del sole, la lama dagli azzurri riflessi della
Trent’anni dopo
Inutile era risultato lasciarli soli nella propria stanza, nella quiete delle
tenebre appena interrotte dal lieve bagliore di una luna parzialmente
visibile e dalle altresì scintillanti infinite stelle del cielo. Ovviamente una
speranza in tal senso si sarebbe dovuta ritenere quale d'obbligo,
nell’illusione di poter avere una volta successo, di riuscire a riportare
almeno una singola vittoria nei confronti della coppia di infanti.
Purtroppo così non era mai stato, né sarebbe ancora stato per molto
tempo.
Qualcuno, conoscendoli e frequentando la loro famiglia, si divertiva a
sostenere che i due avessero ereditato tale enfatizzata vivacità da loro
padre, il quale, un tempo marinaio, aveva girato il mondo in quasi ogni
direzione prima di trovare, entro i confini di quell’isola, una giusta
ragione per interrompere il proprio peregrinare, per porre alfine ancora
all’interno di una comunità, dando vita a una propria famiglia.
Indubbiamente nell'uomo era un’indole forte, decisa, carismatica, dove
512 Sean MacMalcom
egli, se avesse proseguito lungo la via del mare, sicuramente un giorno
non lontano avrebbe preso il posto del proprio capitano al comando della
nave sulla quale a lungo si era impiegato con passione e ardimento.
Quell'uomo, però, aveva scelto le certezze di una modesta casa, di una
stupenda moglie e, più tardi, di due meravigliosi bambini, al fascino
innegabile dell'avventura, forse conscio che prima o poi il mare avrebbe
inevitabilmente richiesto un pegno da parte sua, così come sarebbe
sempre stato nei riguardi della prole di quell'infinita e indomabile distesa
azzurra, di tutti coloro che lungo le sue sponde nascevano, vivevano e
morivano.
«Storia…» sussurrò quasi sottovoce uno dei due con tono remissivo, a
chiedere scusa.
«Bella storia…» incalzò l’altro, con medesimo sentimento.
«Ci sono tante belle storie: è difficile sceglierne una in particolare.»
riprese la nonna, iniziando a dondolarsi piano, con cadenza ritmica, nel
trascinare dolcemente con sé in tale movimento i due bambini, a conciliare
la loro tranquillità e il loro possibile riposo sulla morbidezza del loro letto
«Avete qualche preferenza in particolare? Volete che vi narri ancora delle
meravigliose avventure della Har’Krys-Mar? Oppure delle imprese di
vostro nonno Mab’Luk, quando insieme a mio padre, il vostro bisnonno
Lafra, hanno affrontato e sconfitto i terribili pirati?»
«Che Emdara vegli sul vostro riposo, concedendovi una notte ricca
d’incanto…» sussurrò, infine, sfiorandoli uno alla volta con un dolce bacio
a testa, in quell’augurio.
Incredibile: solo con tale termine sarebbe potuta essere definita Midda
Bontor, eroina di altri tempi, mercenaria di un passato lontano, donna che
Heska aveva avuto l’onore di conoscere.
Più di trent’anni erano trascorsi da quei giorni, dalle settimane
peggiori della propria intera esistenza, che ormai ella non sapeva se
ricordare con un velo di nostalgia, nel ripensare a tutte le persone, a tutti
gli affetti che all’epoca ancora le erano vicini, o con un fremito di terrore,
nel ricordare gli orrori a cui era stata sottoposta. L’immagine di lord
Sarnico, il suo aguzzino, rapitore e stupratore, ancora non l’aveva
abbandonata dopo tanto tempo, non aveva concesso libertà ai suoi sogni,
al suo riposo. Quel viso, così ricco di crudeltà, pieno di sé, probabilmente
l’avrebbe perseguitata fino all’ultimo dei suoi giorni. Fortunatamente,
però, accanto a tanto male si proponevano altre immagini, altri volti, da lei
amati, in un modo o nell’altro: Lafra, suo padre, Mab’Luk, il suo sposo,
MIDDA’S CHRONICLES 519
Cor-El, quasi una seconda madre, Midda, la sua liberatrice… molte
immagini, molte persone, tutte però ormai morte.
Sarnico era stato ucciso per sua mano, e di lui ovviamente non aveva,
né avrebbe potuto avere, alcun rimpianto a eccezione, forse, di non essere
riuscita a far perdurare più a lungo la sofferenza inflittagli nella propria
vendetta. Lafra, dopo molti anni vissuti in qualità di alcalde dell’isola,
aveva seguito i numerosi amici perduti nel quieto sonno eterno, morendo
dolcemente nella notte, senza dolore e senza rimorsi, forse nel modo
migliore per andarsene dal mondo dei vivi. Mab’Luk era stato, invece,
rapito dal mare, dalla divina e incontrollabile forza che, senza preavviso,
avrebbe potuto richiedere le vite dei suoi figli senza concedere loro alcuna
possibilità di opposizione: durante un viaggio per scopi commerciali verso
il continente, suo marito e i suoi compagni di viaggio avevano incrociato
una violenta e inattesa tempesta, che aveva spazzato la loro nave come
fosse stato un semplice guscio di noce. Cor-El, infine, aveva comandato
ancora per molti anni sulla propria Har’Krys-Mar, fino a quando,
coinvolta a suo discapito negli ultimi capitoli della guerra fra Y’Shalf e
Kofreya, si era ritrovata schierata sul fronte sbagliato, quello kofreyota.
Midda: fra tutte le persone a lei care l’unica con la quale meno tempo
aveva avuto occasione di trascorrere, pochi tumultuosi giorni che erano
stati comunque in grado di cambiarla per sempre, offrendo un nuovo
significato alla sua esistenza dove in lei sarebbe stato altrimenti solo il
desiderio di morte, di annientamento. La Figlia di Marr’Mahew era
scomparsa nel nulla trent’anni prima, durante una missione impostale
dalla medesima sorella di lord Sarnico, in un assurdo paradosso che non
le era mai stato concesso di comprendere, in quanto istintivamente solo
rancore avrebbe provato in modo naturale per qualsiasi parente di
quell’essere abietto e spregevole. Senza spiegazioni, senza ragioni, se non
quella di portare a termine una missione per cui non avrebbe avuto mai
ricompensa, ella si era sacrificata, affidando, secondo le cronache, il
proprio destino a un vortice di tenebra. E a Heska, improvvisamente
privata di quella figura di riferimento, di quell’icona tanto importante per
il proprio presente e il proprio futuro, l’unico ricordo, che era stato
concesso di avere, era stato quello della spada bastarda della stessa
mercenaria, forgiata da Lafra nel giorno della nascita della propria figlia, e
affidata a lei quale ricompensa per il servigio offerto loro. Quella lama,
520 Sean MacMalcom
meravigliosa, unica, che avrebbe dovuto rappresentare l’esistenza stessa
della giovane figlia del fabbro, a lei stessa era tornata per strane e traverse
vie, quasi a offrirle un silenzioso retaggio da parte dell’amica perduta,
dell’eroina leggendaria mai morta, eppure privata della possibilità di
vivere, a cui non avrebbe potuto evitare che sentirsi in eterno legata.
Se anche Lafra, Mab’Luk e Cor-El si proponevano ormai quali
personaggi straordinari nelle favole che offriva ora ai nipotini, Midda era
stata la prima a entrare nella leggenda, le cui meravigliose gesta, cantate
da molti bardi, erano da lei e dal marito state riproposte a Gaeli ancora
bimba.
Fortunatamente, però, dopo oltre due ore di follie in giro per quella
fiera, le energie infantili avevano iniziato a venir meno, richiedendo un
momento di sosta nell’abbraccio ristoratore dei propri parenti: i pargoli,
pertanto, ben volentieri si erano lasciati catturare nuovamente dalla madre
e dalla nonna, ormai esasperate per una giornata inevitabilmente troppo
lunga.
526 Sean MacMalcom
«Per favore… dimmi che anche io non ero così da bambina.» aggiunse
la giovane donna, rivolgendosi scherzosamente verso la madre, con
grottesco tono di supplica.
«Assolutamente no: le tue grida erano ancora più acute.» sorrise con
fare sornione Heska, scuotendo poi dolcemente il capo.
«Storie?!» domandò Thomar appoggiando le manine sul volto della
nonna, per invitarla a rivolgere a sé l’attenzione, a ignorare l’inutile e
dannoso fattore di distrazione offerto dalla madre «Storie… andiamo?»
ripeté, mostrando grandissimi e pietosi occhi, con quella tipica ruffianeria
di cui solo un bambino sarebbe capace.
«Sì… storie belle!» sottolineò Jarah, annuendo a quella proposta, nel
guardare però la madre, cercando con le manine i suoi lunghi capelli quasi
fossero delle redini.
«No.» lo rimproverò quest’ultima, bloccandolo con un gesto rapido e
delicato «Niente capricci e niente capelli tirati… intesi?»
MIDDA’S CHRONICLES 527
«Ma storie…» ripeté il bimbo, dimostrandosi ormai sull’orlo della
disperazione per quell’ipotetico rifiuto, nel giocare una nuova mossa in
un’abile tattica volta unicamente a far cedere la madre.
«Andiamo, dai.» intervenne la nonna, rivolgendosi tanto alla figlia
quanto ai nipotini, prima che un momento di festa si potesse trasformare
nell’ennesimo dramma infantile-familiare «In fondo sarebbe un delitto
privarli di almeno una ballata in questa particolare giornata.»
«E sia.» acconsentì Gaeli, annuendo verso la madre «Però, poi,
andiamo a vedere come vanno gli affari di vostro padre…» aggiunse,
rivolgendosi ai due gemelli.
«Sì… papà bello…» sorrise adulatore Jarah, nel gettarsi in un enorme
abbraccio al collo della madre a ringraziarla di quel suo consenso.
Heska, invero, quasi non udì le parole rivolte dalla figlia nella propria
direzione, troppo assorta quale si ritrovò ora a essere nel seguire quelle
strofe, il canto del bardo che, stranamente, si era dichiarata intenzionata a
mostrare la vicenda già affrontata da molti sotto un punto di vista
MIDDA’S CHRONICLES 533
totalmente diverso, quasi non avesse voglia o interesse a indicare la figura,
anziché protagonista, di Midda in quella giornata.
L’ormai non più giovane figlia di Lafra socchiuse gli occhi nell’ascoltar
i nuovi versi, che alle sue orecchie si proposero fin troppo dettagliati,
troppo particolareggiati e, soprattutto, troppo sinceri per apparire quale
testo di una ballata. Una particolarità tipica nei miti, nelle leggende, e in
tutti i fatti narrati dai bardi, sarebbe sempre stato costituito, infatti, da un
senso dell’incredibile portato all’estremo, da un distacco completo,
assoluto dalla semplice realtà dei fatti, nella volontà di renderla più
avvincente di quanto non fosse già stata nell’enfatizzazione dei pericoli,
degli avversari, e nella volontà di farla apparire più romantica
nell’eliminazione di quasi tutti gli umani sentimenti non positivi, di quei
particolari sinceri e quotidiani che, comunque, sarebbero apparsi troppo
crudi in una narrazione. In quelle strofe e nelle successive, al contrario,
troppi dettagli fedeli della realtà si proposero all’attenzione degli
spettatori, a partire dalle cifre di quella storica giornata, tre navi, duecento
combattenti, settanta sopravvissuti, per proseguire con la narrazione
precisa del destino di ogni nave fuggita dall’isola e dei suoi occupanti.
Per un istante, Heska temette che certi segreti, condivisi fra lei, suo
padre Lafra e la stessa Figlia di Marr’Mahew, potessero essere posti sotto
la pubblica attenzione nel proseguo di quella musica, ponendo il suo
disonore di fronte alla figlia e ai suoi nipotini, oltre che a tutta l’isola in cui
era nata, cresciuta e, sperava, un giorno avrebbe potuto trovare in pace il
riposo della morte. Fortunatamente, però, per quanto citato, lord Sarnico
venne descritto solo nel proprio ruolo di avversario, nella propria
immagine più metaforica che fisica e, per quanto simile sviluppo sarebbe
stato più che logico, nelle premesse precedenti, ella non poté evitare che
avvertire quella scelta narrativa, quel cambio stilistico inatteso, come una
forma di rispetto nei propri confronti, quasi il bardo fosse a conoscenza di
ciò che ormai solo ella avrebbe potuto sapere e, in questo, si stesse
impegnando a non recarle danno. Dandosi per la terza volta, in un breve
arco di tempo, della sciocca, la donna cercò di razionalizzare i propri stati
534 Sean MacMalcom
d’animo di fronte alla rievocazione di quegli eventi spiegando a se stessa
di come alcuno avrebbe mai potuto tradire il suo segreto e che, per alcuna
ragione, né quel cantore né qualunque altro suo pari avrebbe potuto
conoscere i dettagli in merito alla sua prigionia presso la propria nemesi, il
carnefice, lo stupratore, il sadico figlio prediletto di Kirsnya.
Nella penultima strofa, in otto semplici versi che passarono quasi
inosservati all'attenzione della folla lì attorno, qualcosa tornò a colpire con
forza l’emotività della donna, ponendola di fronte a un ennesimo
particolare di cui nessuno avrebbe dovuto avere conoscenza.
ome nella maggior parte dei casi era solito avvenire, tanto nelle
La frase, però, morì sulle labbra di Heska nel momento in cui ella
individuò, all’interno della folla di potenziali clienti per il genero, la
MIDDA’S CHRONICLES 683
Ringraziamenti
Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 685
Prossimamente…
Privata di ogni ricordo del proprio futuro passato, Midda Bontor torna
alla propria quotidianità prima abbandonata, tutt’altro che dimentica
degli impegni, degli affari lasciati in sospeso. Per questo, accanto alla
consapevolezza della sola ragione per la quale ha accettato di asservirsi a
lady Lavero, nella volontà di ritrovare la Jol’Ange e il suo equipaggio, non
verrà meno per lei il peso del debito contratto nei confronti di lord Brote,
per soddisfare il quale ella dovrà condurre alla presenza dello stesso il
gioiello più prezioso e importante di tutto il regno di Y’Shalf.
Riuscirà la Figlia di Marr’Mahew a ritrovare gli amici dai quali è stata
separata? E quali pericoli l’attenderanno oltre i confini y’shalfichi?
MIDDA’S CHRONICLES
VOLUME TERZO
IL COLLEZIONISTA DI SASSI
E ALTRE STORIE
686 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 687
Non fingiamo di essere nulla di più di ciò che siamo, non ci arroghiamo il
diritto di ambire a nulla di più di ciò che la libertà di Internet ci consente
di cercare: non crediamo di essere grandi scrittori, non vogliamo cambiare
il mondo con ciò che scriviamo. Semplicemente seguiamo un interesse,
con passione e umiltà, accogliendo a braccia aperte chiunque voglia unirsi
a noi in questo cammino.
http://newwavenovelers.altervista.org/
688 Sean MacMalcom
Midda Bontor:
donna guerriero per vocazione,
mercenaria per professione.
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