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1. Premessa
La normativa sulle banche e le istituzioni finanziarie rappresenta da sem-
pre un contesto in veloce evoluzione. Ogni nuova generazione di regole in-
duce, da parte degli intermediari, una reazione uguale e contraria rivolta a
minimizzare limpatto degli aspetti maggiormente sfavorevoli per la loro red-
ditivit e flessibilit dazione; ci pu accadere per esempio attraverso lin-
novazione di prodotto, lo spostamento delloperativit in giurisdizioni parti-
colarmente favorevoli o lesternalizzazione di attivit o rischi presso interme-
diari vigilati in modo meno stringente. Una simile reazione, a sua volta, rende
necessario un ripensamento della normativa, e cos via. La manutenzione
delle regole rappresenta dunque unattivit tuttaltro che eccezionale ma con-
tinuativa e, per cos dire, immanente al processo di produzione della norma-
tiva sugli intermediari finanziari.
Allinterno di questo contesto, la crisi finanziaria del 2007-2009 e la suc-
cessiva crisi dellEurozona hanno rappresentato un ulteriore, prepotente sti-
molo al ripensamento della cornice regolamentare. Ne sono originate inno-
vazioni normative profonde, i cui costi potenzialmente molto elevati ren-
dono necessaria e urgente unanalisi degli effetti economici delle riforme at-
tese per i prossimi anni e delle diverse alternative oggi in discussione.
Si tratta di una sfida avvincente per qualunque ricercatore che ami con-
frontare i propri studi con la realt, nel tentativo di comprendere meglio i fe-
nomeni economici e forsanche di mettere la propria preparazione al servizio
della comunit, contribuendo per quel tanto o poco che gli possibile al
disegno di regole pi razionali, meno costose e pi efficaci.
Questo lavoro getta uno sguardo per forza di cose rapido e incom-
pleto a due grandi cantieri normativi attualmente aperti in materia di
Andrea Resti
NUOVE REGOLE SU CAPITALE E LIQUIDIT:
SPUNTI DI RIFLESSIONE E DI RICERCA
BANCA IMPRESA SOCIET / a. XXXII, 2013, n. 2

Relazione al seminario ADEIMF tenuto a Bologna in data 8 febbraio 2013.
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intermediazione bancaria, provando a tratteggiare alcuni possibili contributi
che lo studio delleconomia degli intermediari finanziari pu recare al di-
battito. In particolare il 2 fornisce un inquadramento generale delle prin-
cipali innovazioni recentemente introdotte o attualmente in discussione, il
3 affronta il tema dei coefficienti di patrimonializzazione collegati agli attivi
ponderati per il rischio, il 4 discute brevemente la normativa in materia di
liquidit delle banche e i criteri di inclusione dei titoli di Stato tra gli attivi
liquidi obbligatori, il 5 conclude.
2. La normativa sulle banche dopo la crisi: indietro tutta, ma dove?
Anche se queste due finalit possono convivere, non v dubbio che sta-
bilit e crescita rappresentino obiettivi in qualche modo antinomici per un
sistema finanziario, e per chi chiamato a regolarlo. La stabilit suggerisce,
per esempio, un uso moderato della leva finanziaria, un modello di interme-
diazione incentrato su attivit tradizionali e relativamente semplici, un livello
dei tassi di mercato monetario tale da non incentivare oltremodo la crescita
dei prezzi delle attivit finanziarie. La crescita induce a privilegiare linnova-
zione, a riconoscere una pi ampia latitudine operativa agli intermediari (an-
che attraverso lo sviluppo di prodotti e pratiche operative innovative), a so-
stenere con abbondante liquidit le fasi di debolezza dei mercati.
Il passaggio dallAccordo di Basilea del 1988 (Basel Committee on
Banking Supervision 1988) allemendamento sui rischi di mercato del 1996
(Basel Committee on Banking Supervision 1996), cos come lintroduzione
nel 2004 della riforma comunemente nota come Basilea 2 (Basel Committee
on Banking Supervision 2004), hanno indubbiamente modificato il trade-off
tra stabilit e crescita a vantaggio del secondo obiettivo: le banche venivano
infatti incentivate a investire su modelli interni di gestione del rischio e in
cambio le si autorizzava ad accrescere la leva ponderata per il rischio, dun-
que la redditivit del capitale e la capacit di erogare credito alleconomia.
Dopo la crisi finanziaria, nel dicembre 2010 il Comitato di Basilea ha
concordato la riforma nota come Basilea 3 (Basel Committee on Banking Su-
pervision 2010a), successivamente emendata in alcuni aspetti non secondari,
e da poco approvata dal Parlamento europeo
1
. Tale accordo ha certamente
spostato il cursore in direzione opposta, imponendo alle banche ulteriori re-
quisiti patrimoniali e di liquidit e rendendo sensibilmente meno redditizi al-
1
In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dellUnione, il testo reperibile
sul sito internet del Parlamento europeo (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.
do?type=TA&language=EN&reference=P7-TA-2013-114).
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cuni comparti di attivit (come la negoziazione in contro proprio o la stipula
di contratti derivati over the counter) giudicati particolarmente vulnerabili al
rischio sistemico.
Limpressione, peraltro che, a causa della pervasivit delle nuove regole
e del periodo di tempo relativamente breve in cui sono state messe a punto,
lo spostamento potrebbe non essere avvenuto lungo la frontiera efficiente
delle buone regole (cfr. fig. 1); se cos fosse, esisterebbero margini per miglio-
rare lefficacia della normativa di Basilea 3 in termini sia di stabilit che di
crescita. Questo certamente il caso per esempio dei coefficienti obbli-
gatori di liquidit presentati nel 2010 (Basel Committee on Banking Supervi-
sion 2010b) che, non a caso, sono stati oggetto di una profonda rivisitazione
nel gennaio 2013 (Basel Committee on Banking Supervision 2013) dopo che
da pi parti erano state sollevate perplessit sui loro possibili effetti indeside-
rabili e sulla correttezza metodologica di alcuni passaggi tecnici di calcolo dei
nuovi requisiti.
Due considerazioni rendono particolarmente opportuna la verifica dellef-
ficienza complessiva delle nuove regole e la ricerca di eventuali margini di
miglioramento. La prima la particolare ampiezza dellaccordo di Basilea 3,
che ha messo a punto un catalogo di innovazioni normative quanto mai va-
sto e ramificato. Ad esempio, in materia di rischio di mercato si introducono
il cosiddetto stressed VAR e lincremental risk charge, mentre il rischio di
controparte comporta ora la stima di un credit valuation adjustment e di una
misura stressata di Expected Positive Exposure; il requisito patrimoniale
si arricchisce di ulteriori cuscinetti (pensati per presidiare le fasi espan-
FIG. 1. Il trade-off tra crescita e stabilit e la frontiera efficiente: Basilea 1, 2 e 3.
Stabilit
Crescita
Basilea 2
Rischi di mercato
Basilea 1
Basilea 3
230
sive del ciclo creditizio e per trattenere parte degli utili generati dalla banca)
mentre il confine tra capitale azionario e debito si fa pi sottile alla luce delle
previsioni in materia di bail in
2
. evidente che un set di strumenti cos
ambizioso e variegato rende pressoch inevitabile il rischio che si producano
effetti indesiderabili legati allinterazione di meccanismi formalmente distinti,
ma in realt profondamente interconnessi.
La seconda considerazione riguarda il fatto che, successivamente al con-
seguimento dellaccordo di Basilea 3, lUnione europea ha messo in cantiere
ulteriori interventi normativi sul settore finanziario, tutti di grande spessore e
delicatezza. Pensiamo al nuovo regolamento sulle agenzie di rating del 2011,
alla direttiva EMIR, al rapporto Liikanen sulla riforma strutturale del sistema
bancario
3
. E facciamo ovviamente riferimento anche allambizioso progetto
di banking union
4
che interessa la maggior parte dei Paesi dellUnione (con
un nocciolo duro costruito attorno allEurozona), e che dovrebbe articolarsi
lungo tre direttrici (lintegrazione della vigilanza bancaria, la messa a punto
di standard comuni per la gestione delle banche in crisi, il disegno di un
fondo di garanzia dei depositi europeo) particolarmente impegnative e ricche
di implicazioni delicate.
Nei paragrafi successivi non si intende certo provare a dar conto di tutte
queste tematiche, ognuna delle quali nasconde ulteriori criticit tecniche e
giuridiche. Per amor di concretezza se ne sceglieranno due (il capitale e la li-
quidit) per fornire al lettore qualche esempio di come il disegno delle nuove
regole possa essere efficacemente supportato dalla ricerca economica.
3. Il requisito minimo di patrimonializzazione
Il nuovo accordo di Basilea 3 ha introdotto requisiti di patrimonializ-
zazione sensibilmente pi stringenti che in passato (cfr. Capitale ordinario
(common equity) 1). Il capitale ordinario (common equity, in pratica
capitale sociale e riserve), che in Basilea 2 doveva rappresentare come mi-
nimo il 2% degli attivi ponderati per il rischio, ora non pu scendere sotto
il 4,5%. A tale valore si deve aggiungere un ulteriore cuscinetto del 2,5%
2
Per bail in si intende la conversione del debito in azioni (con successiva possibilit di
abbattimento per perdite) alla vigilia di un possibile salvataggio statale (bail out). Lobiettivo
quello di imporre ai creditori della banca un costo anche pesante in caso di intervento
governativo, per evitare che facciano affidamento sul denaro dei contribuenti e riducano di
conseguenza il proprio impegno nel monitoraggio dei rischi in essere presso la banca debitrice.
3
High-level Expert Group on reforming the structure of the EU banking sector (2012).
4
Per unintroduzione critica ai temi della banking union, cfr. Carmassi, Di Noia e Micossi
(2012).
231
(capital conservation buffer) che le banche sono chiamate a costituire gra-
dualmente, attraverso laccantonamento di utili (per poi utilizzarlo a fronte
delle possibili perdite future). Il requisito minimo in termini di patrimonio
di base (detto anche Tier 1
5
) aumenta dal 4% al 6% (8,5% se si considera
il conservation buffer). Il requisito patrimoniale totale (capitale Tier 1 e Tier
2) resta teoricamente invariato, ma per effetto del gi richiamato conservation
buffer potrebbe di fatto raggiungere il 10,5%. Su tale valore potrebbero inne-
starsi due ulteriori correttivi di tipo macroprudenziale (pensati cio per ga-
rantire la stabilit complessiva del sistema creditizio, e non solo quella delle
singole banche); il primo (counter-cyclical buffer, variabile tra 0% e 2,5%)
potr essere imposto dalle autorit nazionali in caso di surriscaldamento
dellofferta di credito, il secondo (requisito per le istituzioni finanziarie con
rilevanza sistemica, o SIFIs) riguarder soltanto gli istituti di maggiori di-
mensioni (e potr, in teoria, raggiungere il 3% per le banche maggiormente
interconnesse con il resto del sistema finanziario).
Si assiste dunque a un significativo irrobustimento degli argini patrimo-
niali posti a tutela della stabilit delle istituzioni bancarie, che ha natura sia
quantitativa (dall8% di Basilea 2 si potrebbe in teoria salire al 16% per una
grande banca sistemica nelle fasi di surriscaldamento del ciclo) che qualita-
tiva (viene potenziata la componente di common equity limitando il ruolo de-
gli strumenti patrimoniali ibridi, che in passato venivano assimilati al patri-
monio ma durante la crisi hanno sovente mostrato rigidit analoghe a quelle
dei titoli di debito). Sempre sotto il profilo qualitativo, inoltre, va registrata
una serie di nuove deduzioni obbligatorie (per esempio a fronte di crediti per
imposte anticipate, o di risorse patrimoniali riconducibili agli azionisti di mi-
5
Il Tier 1 dato dallinsieme delle passivit sostanzialmente assimilabili a capitale, in
quanto non prevedono scadenza n comportano un diritto patrimoniale inderogabile alla
distribuzione di dividendi o cedole. Gli strumenti patrimoniali computabili nel Tier 1 (ma
diversi dal common equity) possono prevedere unopzione di rimborso esercitabile dalla banca
(ma non dagli investitori) con lassenso delle autorit di vigilanza.
TAB. 1. Come cambia il requisito patrimoniale delle banche con Basilea 3
Basilea 2 Basilea 3
Capitale ordinario (common equity) Min 2% 4,5%
Conservation buffer (CB) 0-2,5%
Totale (con CB) 7%
Capitale Tier 1 Min 4% 6%
Totale (con CB) 8,5%
Capitale (Tier 1 + 2) Min 8% 8%
Totale (con CB) 8% 10,5%
Requisiti macro-prudenziali Counter-cyclical buffer 0-2.5%
SIFIs 1-3%
232
noranza delle controllate) che pure concorrono a rendere pi puro e affi-
dabile il patrimonio di vigilanza richiesto agli intermediari
6
.
Tutti i requisiti ora ricordati sono espressi in percentuale degli attivi pon-
derati per il rischio, e cio della somma delle diverse tipologie di investimenti
in essere presso la banca, ognuna pesata per un coefficiente che ne esprime
la rischiosit. Tali coefficienti sono di norma dettati dalle autorit, ma le ban-
che di medie e grandi dimensioni possono calcolarli, previa autorizzazione,
tramite i propri modelli interni. Basilea 2 ha sensibilmente ampliato i margini
di flessibilit riconosciuti agli intermediari, includendo anche il credito (oltre
al portafoglio di trading) tra le aree di attivit per cui consentito lutilizzo
di coefficienti generati internamente; in materia Basilea 3 non ha operato par-
ticolari correzioni.
stato tuttavia rilevato
7
come il coefficiente di ponderazione per il ri-
schio medio (dato dal quoziente tra attivi ponderati per il rischio e attivi non
ponderati) assuma valori assai eterogenei presso i singoli istituti (cfr. fig. 3) o
Paesi europei. Ci resta vero anche a livello di specifici segmenti di attivit
(cfr. la fig. 3, che si concentra sui soli mutui residenziali).
Tale fenomeno pu certamente essere dovuto a cause del tutto legittime,
visto che lobiettivo di Basilea 2 era proprio quello di far s che i requisiti
patrimoniali delle singole banche risultassero coerenti con leffettiva rischio-
sit del loro portafoglio di investimenti, dunque potenzialmente diversi tra
6
Cfr. Resti e Sironi (2011) per ulteriori dettagli.
7
Cfr. ad es. Cannata, Casellina e Guidi (2012) e i riferimenti ivi contenuti.
FIG. 2. Coefficiente di ponderazione medio per un campione di banche europee.
Fonte: Cannata, Casellina e Guidi (2012).
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
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2
%
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loro. Nondimeno, appare singolare che la riduzione del coefficiente medio
sia proseguita durante la crisi finanziaria (quando la maggiore rischiosit del
credito avrebbe dovuto spingere verso un aumento del risk weights). Se ne
ha un esempio nella figura 4, che mostra la variazione delle ponderazioni (in
punti percentuali) intervenuta tra la fine del 2008 e la fine del 2010 per un
campione di banche britanniche, distinguendo tra le principali tipologie di
attivi. Se vero che in alcuni casi la riduzione della rischiosit media pu
essere spiegata da processi di ricomposizione del portafoglio (si pensi ai titoli
sovrani, dove determinate esposizioni speculative possono essere state cedute
per effetto di un fenomeno di flight to quality), risulta meno comprensibile la
dinamica sperimentata da aziende (corporate) e piccole imprese (SME),
che evidenziano un calo del rischio nonostante lintonazione certo non be-
nigna del ciclo reale.
evidente che leventuale utilizzo opportunistico delle ponderazioni per
il rischio da parte delle banche (magari assecondato da talune autorit di
vigilanza nazionali al fine di aiutare il sistema bancario domestico nel difficile
compito di irrobustire il patrimonio di vigilanza in una fase negativa del
ciclo) avrebbe effetti dirompenti per la credibilit di Basilea 3 e, pi in ge-
nerale, dellintera architettura di vigilanza basata sui modelli interni. Si tratta
dunque di un tema di grande interesse per chi desidera contribuire, con la
propria attivit di ricerca, allefficacia delle regole e della loro applicazione.
Un approccio scientifico al fenomeno appare peraltro raccomandabile alla
luce del fatto che esso probabilmente il risultato di svariate concause. In
particolare, una semplice fotografia dassieme del problema (come quella of-
FIG. 3. Coefficiente di ponderazione medio dei mutui residenziali.
Fonte: Elaborazioni su dati Riksbanken e Citi.
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ferta nelle figure precedenti) non consente di enucleare leffetto legato ad al-
cuni fattori oggettivi e in buona parte legittimi.
Pensiamo ad esempio alleterogeneit tra sistemi finanziari e normativi na-
zionali, che determina livelli di rischiosit differenti per le medesime classi di
attivit (ci accade ad esempio in Italia per effetto dei tempi lunghissimi del
contenzioso, che deprimono i tassi di recupero e giustificano ponderazioni
pi severe). Facciamo riferimento inoltre alle diverse scelte gestionali e stra-
tegiche poste in essere dai diversi istituti (in termini di appetito per il rischio,
composizione desiderata del portafoglio per fasce di rating, utilizzo di garan-
zie reali e personali), a fronte delle quali coefficienti identici per tutte le ban-
che sarebbero motivo di stupore.
Un ulteriore elemento rilevante, per spiegare leterogeneit delle pondera-
zioni, legato alladozione dei modelli di rating interni. noto infatti come nel
passaggio dai pesi standard a quelli calcolati in house si verifichi una riduzione
pressoch generalizzata dei risk weights
8
. Non chiaro tuttavia se tale compor-
tamento vada considerato patologico o se possa risultare sostanzialmente giu-
stificato. La normativa prevede infatti che ladozione dei sistemi di misura del
rischio interni avvenga su richiesta delle singole banche (previa validazione
da parte dellautorit); dunque normale che a chiedere di essere autorizzati
allimpiego dei propri modelli siano gli istituti che ritengono di poter rispar-
miare, in questo modo, un adeguato ammontare di capitale (mentre gli inter-
mediari che si attendessero un aggravio patrimoniale a seguito dellutilizzo di
sistemi interni eviterebbero, evidentemente, di chiedere lautorizzazione).
8
Cfr. ad esempio Mariathasan e Merrouche (2012).
FIG. 4. Variazione della ponderazione media (tra fine 2008 e fine 2010) per un campione di grandi banche
britanniche (Barclays, HSBC, Lloyds, RBS).
Fonte: Bank of England (2011).
Cartolarizzazioni
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Banche Imprese Ipotecari PMI Stati Altre
al dettaglio
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Una simile self selection bias era evidentemente presente ai regulator
quando questi meccanismi vennero definiti nellaccordo di Basilea 2 del
2000; si riteneva per che la maggiore precisione di un modello interno, ri-
spetto al sistema di ponderazioni semplificato deciso erga omnes nellapproc-
cio standard, recasse benefici tali da compensare una minore patrimonializ-
zazione complessiva a livello di sistema. Se dunque la riduzione degli attivi
ponderati connessa con lavvio dei sistemi interni rappresenta (rappresen-
tava?) un risultato atteso e per cos dire desiderato, essa andrebbe accet-
tata, in linea di principio, come un fatto positivo (salvo individuare situazioni
in cui il passaggio a metodologie proprietarie ha determinato uno sgravio pa-
trimoniale di entit ingiustificatamente elevata).
Detto questo, non c dubbio che la forte varianza evidenziata dai coef-
ficienti di ponderazione presso le singole banche e i diversi Paesi, anche per
uguali tipologie di attivit, possa rispondere anche a meccanismi indesiderabili.
Il pi pericoloso, a nostro avviso, dato da una possibile, sistematica di-
vergenza tra le prassi e i criteri di validazione del rating seguiti dalle diffe-
renti autorit di vigilanza nazionali. Un simile atteggiamento potrebbe origi-
nare da diversi fattori. Da un lato, considerato che la certificazione dei mo-
delli di risk management aziendali ha rappresentato unattivit inedita e non
codificata per i supervisor, non pu escludersi che siano stati i grandi gruppi
bancari locali a orientare, in qualche misura, le prassi di convalida adottate
dalle loro autorit di riferimento. Dallaltro, come accennato in precedenza,
non v dubbio che la crisi finanziaria abbia originato una difficilissima con-
giuntura, in cui alle banche veniva richiesto di rafforzare i coefficienti patri-
moniali senza ridurre eccessivamente lofferta di credito, e ci in presenza
di mercati finanziari assai esitanti a fornire nuovo capitale di rischio. In tale
contesto, ladozione di prassi di convalida pi concilianti avrebbe potuto
fornire (ha fornito?) uno strumento per quadrare il cerchio, rendendo possi-
bile un incremento apparente della capitalizzazione che non fosse eccessiva-
mente diluitivo per gli azionisti e restrittivo per leconomia
9
.
Nel complesso, lanalisi delle diverse motivazioni sottostanti leterogeneit
dei coefficienti di ponderazione per il rischio rappresenta un ambito di la-
voro in cui la ricerca pu dare un contributo di rigore metodologico e neu-
tralit di prospettiva, aiutando a evidenziare le possibili incongruenze del
panorama normativo corrente e a disegnare correttivi razionali, supportati da
un adeguato riscontro empirico.
9
Il rischio di prassi di vigilanza nazionali divergenti e in qualche caso non adeguatamente
conservative risulta rafforzato dalla cosiddetta regulatory capture (dal B 2006), che in
questo caso designa una situazione in cui il regulator, avendo espressamente approvato il
comportamento di un soggetto vigilato, fatica poi a prenderne le distanze, perch non desidera
smentire se stesso.
236
4. I nuovi requisiti sulla liquidit e i possibili limiti allinvestimento in titoli di
Stato
La normativa sul rischio di liquidit introdotta da Basilea 3 prevede tra
laltro che le banche detengano un volume di attivit liquide di alta qualit
(high quality liquid assets, HQLAs) tendenzialmente pari, o superiore, ai pos-
sibili deflussi di cassa che potrebbero verificarsi nei 30 giorni successivi in
presenza di uno scenario di mercato perturbato. In altri termini il quoziente
tra HQLAs e deflussi di cassa stimati (detto liquidity coverage ratio, LCR)
non potr scendere sotto il 100% quando la normativa sar pienamente en-
trata a regime
10
.
Nel breve-medio termine appare difficile immaginare una significativa ri-
composizione delle passivit bancarie (con uno spostamento verso forme di
provvista pi stabile) tale da ridurre i deflussi di cassa stimati. Ne consegue
che, per risultare in linea con queste nuove regole, le banche europee do-
vranno incrementare il loro portafoglio di attivit liquide di elevata qualit in
misura assai considerevole, e pari a svariate centinaia di miliardi di euro. A
tale incremento delle HQLAs farebbe giocoforza riscontro una parallela com-
pressione degli attivi illiquidi, a cominciare dagli impieghi alle imprese.
I costi associati allapplicazione del LCR si annunciano quindi come con-
sistenti, non solo per le banche (visto che la ricomposizione verso attivit di
alta qualit ridurr il tasso di rendimento medio dellattivo), ma anche per
leconomia reale. Questo non significa ovviamente che le nuove norme deb-
bano essere accantonate, visto che la crisi finanziaria del 2007-2009 ha dimo-
strato in maniera tangibile (per esempio in occasione del dissesto di Lehman
Brothers) i potenziali effetti distruttivi, su scala sistemica, di uninadeguata
gestione del rischio di liquidit.
tuttavia opportuno che, a fronte di costi consistenti, le regole di Basi-
lea 3 risultino efficaci e prive di effetti indesiderati. Questo significa che, ad
esempio, le regole in materia di selezione delle HQLAs devono essere messe
a punto con particolare attenzione, sincerandosi che il sistema di limiti e
scarti di garanzia presente nelle regole di calcolo del LCR sia coerente con le
evidenze ricavabili dallanalisi empirica.
In proposito, va detto che la definizione delle attivit liquide di elevata
qualit presente nella normativa non sembra del tutto coerente con lespe-
10
Nel gennaio del 2013 il Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria, prendendo atto
delle condizioni di liquidit perturbate in Europa e della necessit di evitare effetti recessivi
legati alle nuove normative, ha stabilito che il LCR debba essere superiore al 60% nel primo
anno di validit della nuova normativa (2015) per poi salire gradualmente al 100% negli anni
successivi (con incrementi di 10 punti percentuali ogni anno).
237
rienza e le necessit dei mercati europei, atteso che essa appare in qualche
misura ritagliata sul funzionamento dei mercati statunitensi.
In particolare, secondo le regole attualmente in discussione, il portafoglio
di HQLAs utilizzabile dalle banche per ottemperare al LCR includerebbe i
corporate bond (di imprese non finanziarie) con rating almeno BBB (certa-
mente pi diffusi sul mercato americano che in molti Paesi europei) mentre
consentirebbe solo un limitato riconoscimento specifico per titoli maggior-
mente vicini alle prassi di mercato europee come i covered bond (noti anche
come obbligazioni bancarie garantite, cedulas o Pfandbriefe) che verrebbero
assoggettati a significativi limiti di computabilit.
Verrebbero poi considerati perfettamente liquidi (e quindi computabili ad
libitum) i titoli emessi dallo Stato dove una banca assume il proprio rischio
di liquidit, cio di fatto i titoli di Stato domestici.
Una simile ipotesi pu risultare giustificata per Paesi, come gli Stati
Uniti, dove le banche centrali nazionali hanno conservato poteri di signo-
raggio, cio la libert di stampare moneta e di reperire le risorse necessarie
al rimborso del debito pubblico attraverso una tassa da inflazione. Risulta
invece scarsamente realistica per i Paesi dellEurozona, dove la politica mo-
netaria delegata a una Banca centrale sovranazionale indipendente dai go-
verni nazionali e i singoli emittenti sovrani possono risultare soggetti a rischi
di default non trascurabili, dunque anche a fenomeni di flight to quality e
crisi di illiquidit.
Le perplessit per la scelta di consentire una computabilit illimitata per
i titoli di Stato nazionali sono rafforzate dal fatto che tale classe di attivit
destinata a non essere soggetta ad alcun limite minimo di rating n ad alcun
limite massimo di concentrazione. Ci comporterebbe che, almeno in teoria, i
BTP a 30 anni potrebbero rappresentare il 100% degli HQLAs di una banca
con operativit in Italia.
Per capire se i titoli di Stato possano davvero esser considerati come in-
condizionatamente liquidi utile esaminare il comportamento del mercato
negli anni passati, non limitandosi alle fasi ordinarie, ma guardando in parti-
colare ai periodi di tensione
11
. A tal fine, pu essere utile riprendere i risul-
tati di un recente lavoro
12
basato su dati forniti da MTS e riguardanti 2.151
11
Il Comitato di Basilea definisce, infatti, le HQLAs come attivit facilmente liquidabili
sui mercati anche in periodi di tensione

(cfr. Basel Committee 2013, p. 7). Si noti che lo
stesso Comitato di Basilea, nel documento del 7 gennaio 2013 con cui sono state introdotte
le ultime modifiche al calcolo del LCR, ha fatto presente che necessario guardare alla
correlazione tra illiquidit di una certa classe di attivi e fenomeni di tensione generalizzata sul
mercato (the correlation between proxies of market liquidity and banking system stress is one
simple measure that could be used).
12
Cfr. Petrella e Resti (2013).
238
obbligazioni emesse da Stati nazionali europei
13
e istituzioni sovra-nazionali
europee negoziate nei mercati gestiti da MTS
14
(mercati domestici e Euro
MTS) nel 2006, 2008 e 2011. La scelta di questi tre periodi dettata dal de-
siderio di analizzare la liquidit del mercato sia in fasi distese (2006) che in
momenti di tensione (crisi di Lehman Brothers nel quarto trimestre 2008,
crisi dellEurozona nel secondo semestre 2011). I dati, con frequenza giorna-
liera, includono prezzi e midquote alla chiusura (anche sotto forma di yield
to maturity), bid/ask spread medio
15
, volume negoziato. Per ogni obbligazione
vengono inoltre rilevate duration, convexity, emittente, mercato di negozia-
zione, data di emissione, scadenza, cedola e rating.
Partendo da queste informazioni sono state calcolate, per ogni singolo ti-
tolo e trimestre, alcune misure di liquidit la cui evoluzione rappresentata
graficamente in figura 5 (dove le spezzate a tratteggio continuo indicano i va-
lori medi per tutti i titoli in un dato trimestre, mentre il tratteggio intermittente
denota una banda di confidenza pari a una deviazione standard). La batteria
di misure disponibili include il bid/ask spread (differenziale tra migliori prezzi
denaro e lettera), lindice di Amihud (che misura di quanto un certo volume di
scambi muova il prezzo), alcuni stimatori del bid/ask spread basati su prezzi
negoziati (misure di Roll, LOT, Holden, Effective Tick), la percentuale di gior-
nate di borsa aperta in cui non si registrano variazioni nel prezzo (zeroes) e
un ulteriore indice di liquidit dato dalla percentuale di giorni in un trimestre
in cui il bid/ask spread medio giornaliero considerato significativo da MTS e
per questa ragione viene archiviato nella base dati
16
.
Tutti gli indicatori segnalano due periodi di forte illiquidit associati al
dissesto di Lehman Brothers (quarto trimestre 2008) e allacuirsi della crisi
delleuro (secondo semestre 2011).
Poich ogni indicatore ha pregi e debolezze se confrontato con gli altri e
non possibile individuare aprioristicamente la migliore misura di liquidit,
si proceduto aggregando le singole misure in un indice robusto di illiquidit
(RoLiq) ottenuto attraverso lanalisi delle componenti principali. La distri-
13
Lunica eccezione significativa il Regno Unito, atteso che i relativi titoli sovrani
vengono scambiati sul mercato MTS da meno di due anni.
14
Le transazioni svolte su MTS non esauriscono gli scambi su titoli di Stato
dellEurozona (che anzi avvengono spesso over the counter cio fuori dai mercati organizzati);
tuttavia, le particolari modalit di funzionamento di MTS (e in particolare la presenza di
market maker che accettano di quotare continuativamente prezzi di acquisto e vendita entro
un certo differenziale massimo tra denaro e lettera) fanno s che tale mercato svolga un ruolo
significativo nel fornire liquidit agli operatori nelle fasi perturbate, che sono poi quelle
maggiormente importanti per la nostra analisi.
15
Il bid/ask spread medio diffuso da MTS si riferisce esclusivamente a osservazioni che
non superano 3 volte il basis point value.
16
Cfr. la nota 15.
239
FIG. 5a. Indicatori di liquidit dei titoli di Stato.
Media + / dev. standard
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0,1
I II
2006
Bid/ask spread
2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
1,6
1,2
0,8
0,4
0
0,4
I II
2006
Amihud
2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
0
0,2
I II
2006
Roll (mkt. adj.)
2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
0
0,2
I II
2006
LOT (FHT)
2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
240
FIG. 5b. Indicatori di liquidit dei titoli di Stato.
Media + / dev. standard
0,08
0,06
0,04
0,02
0
0,02
Effective tick
I II
2006 2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
I II
2006 2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
I II
2006 2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
I II
2006 2008 2011
III IV I II III IV I II III IV
4.000.000.000
3.000.000.000
2.000.000.000
1.000.000.000
0
1.000.000.000
2.000.000.000
Volume
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
Zero
1,2
0,8
0,4
0
0,4
Low-spread days
241
buzione empirica di RoLiq (cfr. fig. 6) appare connotata da una significativa
asimmetria positiva: ci conforme alle attese in quanto ad un numero elevato
di trimestri/titoli per cui si registrano condizioni di mercato distese, vi una
piccola porzione di casi associata a livelli di illiquidit estremamente elevati.
La tabella 2 riporta i risultati di unanalisi multivariata delle determinanti
dellilliquidit. Essa riporta le variabili esplicative utilizzate, i relativi coeffi-
cienti e la loro significativit statistica. Si noti che tutti i regressori sono stati
preventivamente standardizzati, cos che possibile confrontare tra loro i
coefficienti per comprendere quali siano i fattori maggiormente rilevanti. In
tutti e tre i modelli ivi rappresentati la variabile dipendente RoLiq. Le va-
riabili indipendenti sono la duration modificata, la PD implicita nel rating as-
segnato dalle agenzie
17
, una variabile dummy (on-the-run) che vale uno per
le emissioni completate da meno di un anno, lammontare emesso (preso in
logaritmo), una dummy pari a uno per le emissioni zero coupon e il qual-
ity spread di mercato. Questultimo indicatore dato dalla differenza tra
il rendimento sul mercato secondario delle emissioni di titoli corporate con
rating BBB e quello dei titoli con rating AAA; tale premio al rischio tende
ad aumentare nelle fasi di mercato perturbate (caratterizzate da una maggiore
avversione al rischio degli investitori e da fenomeni di flight to quality) ed
assumere valori pi modesti in condizioni di mercato distese. Oltre a essere
utilizzato come variabile esplicativa nel modello, viene anche trasformato in
una variabile dummy (stress) che assume valore uno se il quality spread
particolarmente elevato (oltre il terzo quartile). La dummy stress viene quindi
interagita (cfr. ancora la PDab. 2) con i restanti regressori.
17
Si considera il rating assegnato da Standard & Poors, oppure da Moodys se il primo
non disponibile. Se entrambi mancano, si utilizza il rating assegnato da Fitch Ratings.
FIG. 6. Distribuzione di frequenza dellindicatore composito di liquidit (RoLiq) per i titoli societari.
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
-4 -2 0 2 4 6 8 10 12
242
Il modello (I) analizza limpatto medio sullilliquidit dei titoli di Stato
europei di determinate caratteristiche dei singoli titoli e dellintonazione
del mercato. I regressori maggiormente rilevanti nel determinare la liqui-
dit di un bond governativo risultano essere la duration modificata e il qua-
lity spread, seguiti dallammontare emesso, dalla dummy on-the-run e dalla
dummy zero coupon. Anche limpatto del rating (PD) appare statistica-
mente significativo. LR-quadro corretto risulta piuttosto elevato.
Il modello (II) verifica in che misura le variabili ora citate esercitino un
effetto aggiuntivo sullilliquidit in presenza di condizioni di mercato pertur-
bate (rappresentate dalla dummy stress, che come si detto vale uno ogni
volta che il quality spread si colloca oltre il 75
o
percentile della distribuzione).
interessante notare come le stesse variabili che risultano significative nelle
fasi ordinarie lo siano anche nelle fasi di stress, esercitando dunque un im-
patto pi che proporzionale sullilliquidit nelle fasi di mercato pi critiche.
Il modello (III), infine, tiene conto del fatto che, sul mercato MTS, i ti-
toli del Tesoro italiano potrebbero godere di una migliore liquidit, a parit
di altre condizioni, per ragioni legate al ruolo predominante dei titoli italiani
rispetto al volume totale negoziato sulla piattaforma MTS, che nata in Italia
e ha svolto un ruolo importante nel garantire un adeguato mercato secon-
dario al debito pubblico del nostro Paese. Si dunque voluto verificare se i
risultati del modello (II) fossero robusti rispetto allaggiunta di una dummy
(dummy IT) che tenesse conto delleventuale vantaggio strutturale, in ter-
mini di liquidit, delle emissioni della Repubblica. Le stime del modello (III),
che include la dummy IT, riconfermano integralmente i risultati del modello
(II) e risultano anzi migliorati limportanza del rating e la capacit daccosta-
mento complessiva della regressione (in termini di R-quadro corretto).
TAB. 2. Analisi multivariata dellilliquidit dei titoli di Stato
(I) (II) (III)
RoLiq RoLiq RoLiq
Intercetta 5.87*** 5.27*** 0.38
Duration modificata 1.38*** 1.19*** 1.17***
PD 0.10*** 0.10*** 0.24***
Dummy on-the-run 0.21*** 0.18*** 0.18***
Ammontare emesso (log) 0.39*** 0.35*** 0.10***
Dummy zero coupon 0.14*** 0.16*** 0.04
Quality spread 0.84*** 0.65*** 0.62***
Stress * Duration modificata 0.65*** 0.69***
Stress * Rating 0.11*** 0.29***
Stress * Dummy OTR 0.04 0.03
Stress * Ammontare emesso (log) 0.31*** 0.45***
Dummy IT 0.51***
R-quadro modificato 73% 77%
Totale osservazioni 3.154 3.154
243
Nel complesso i risultati della tabella 2 (avvalorati peraltro da ulteriori
analisi condotte sul medesimo database
18
) confermano il ruolo, come deter-
minanti della liquidit, di alcune variabili gi note in letteratura (come la du-
ration, la dimensione e let dellemissione, il rating), mostrando come esse ri-
sultino significative anche in una regione (lEurozona) e in un arco di tempo
(gli anni successivi allinizio della crisi) relativamente poco analizzati dagli
studiosi.
Linterazione tra i regressori e la variabile dicotomica stress suggerisce
che limpatto dei principali driver dellilliquidit maggiore nelle fasi di ten-
sione del mercato, producendo una sorta di compounding effect in base al
quale queste variabili agiscono in maniera pi che lineare durante tali fasi. In
altri termini, emerge che nelle fasi di mercato pi tese lilliquidit aumenta e
che tale variazione non uniforme ma dipende dalle caratteristiche dei sin-
goli titoli: leffetto della duration, ad esempio, sensibilmente pi forte in
presenza di un contesto sistemico perturbato.
Alla luce di simili evidenze, viene da chiedersi fino a che punto sia saggio
che il LCR ammetta nel computo titoli di Stato di qualunque durata (purch
domestici o dotati di un certo rating minimo) senza creare vincoli o incentivi
che inducano le banche a non prediligere sistematicamente le scadenze pi
elevate (che, in presenza di una yield curva normalmente inclinata pagano un
consistente premio su quelle pi brevi)
19
. Analogamente, visto il ruolo delle
PD nel modello della tabella 2, ci si domanda se sia davvero opportuno non
aver previsto alcun requisito minimo in termini di rating per i titoli sovrani
emessi dal Paese dorigine.
Di certo appare significativo il divario tra i risultati empirici (che condi-
zionano la liquidit dei titoli di Stato a una precisa griglia di caratteristiche)
e le regole di computabilit molto flessibili e generiche stabilite in Basilea 3.
E sorge il dubbio che, tra tutti i lobbisti che si sono seduti al tavolo delle
nuove regole per far valere le proprie ragioni, gli Stati siano risultati il pi
agguerrito ed efficace, al punto da pregiudicare la razionalit complessiva di
un tassello importante dei nuovi coefficienti di liquidit pur di conservare in-
tatto, nel breve periodo, lapporto del sistema bancario al collocamento del
proprio debito.
18
Cfr. ancora Petrella e Resti (2013).
19
vero che le norme in materia di portafoglio di trading creano gi un disincentivo a
detenere titoli a lungo termine, che richiedono un maggior patrimonio minimo a fronte del
rischio di mercato. anche vero, tuttavia, che il rischio di illiquidit generato dai titoli di
Stato a lunga scadenza cosa diversa e ulteriore rispetto a quello di mercato, e prescinde dal
fatto che i titoli siano stati collocati, sul piano contabile, nel portafoglio di mercato o in quello
di stabile investimento.
244
5. Spunti conclusivi
La crisi finanziaria del 2007-2009 e le forti tensioni sui titoli sovrani
dellEurozona nel 2011-2012 hanno fatto s che la fabbrica delle regole su-
gli intermediari finanziari conoscesse una stagione di sostenuta attivit. Man
mano che il senso di urgenza innescato dalla tempesta perfetta lasciava il
posto al sollievo per lo scampato pericolo, la determinazione a condurre in
porto rapidamente un portafoglio di riforme ambiziose e incisive ha lasciato
il posto a qualche ripensamento, peraltro non sempre inopportuno. Alle dif-
ficolt nel condurre a compimento nei tempi previsti le iniziative originaria-
mente messe in cantiere in risposta alla crisi (come Basilea 3, diffusa in forma
di bozza nel 2009 e divenuta legge, nellUnione europea, solo quattro anni
dopo) ha fatto riscontro un progressivo ampliamento degli ambiti di inter-
vento, che ha moltiplicato i progetti e i tavoli di discussione.
Per quanto riguarda lUnione europea, peraltro, la complessit cre-
sciuta sia in senso verticale (per effetto dellaffiancarsi, alloriginario nu-
cleo di provvedimenti inerenti capitale e liquidit, di nuove tematiche come
la vigilanza, la gestione delle crisi o la separazione tra banca dinvestimento e
credito commerciale) che orizzontale (perch alla gi giovane architettura
delle autorit di settore partorita dal rapporto de Larosire si vanno sovrap-
ponendo ulteriori livelli di intervento, imperniati sullEurozona e sulla Banca
centrale europea). La verifica dei prevedibili effetti di questa costruzione nor-
mativa complicata nella gestazione e nella struttura, tanto da richiamare alla
mente la Sagrada Familha di Gaud rappresenta un compito ineludibile. Lo
studio di costi e benefici attesi non pi solo un obbligo normativo
20
ma di-
venta un gesto di responsabilit e di buon senso. E non riguarda soltanto gli
effetti delle nuove regole, su cui si appunta per forza di cose lattenzione di
policy makers e studiosi, ma anche le conseguenze delle norme esistenti, il cui
impatto destinato a cambiare perch mutato il contesto di riferimento, e
dunque delle riforme mancate.
Una simile attivit di verifica dellappropriatezza e dellefficacia delle pro-
poste normative attualmente in discussione non pu tradursi tuttavia in un
mero esercizio quantitativo, in una semplice analisi dei dati empirici, seppure
condotta con tecniche robuste e sofisticate. infatti opportuno evitare di
soccombere allalone di oggettivit che emana dalle analisi numeriche (affer-
mando lha detto il modello, come negli anni 60 si chiosava lha detto
la tv) e non farsi scudo con la pretesa imparzialit di simulazioni e scenari
le cui conclusioni risultano di norma molto vulnerabili a piccoli cambiamenti
20
Dal 2002, come noto, la Commissione europea si imposta, come metodo di
lavoro, la conduzione di studi dimpatto su tutte le proposte di nuove misure regolamentari
(European Commission 2002).
245
nelle ipotesi di lavoro. Ed necessario accompagnare allo studio delle evi-
denze empiriche uno sforzo di generalizzazione, di immaginazione, che con-
senta di prevedere le vulnerabilit delle nuove regole a scenari nuovi e inat-
tesi, non solo a condizioni ambientali gi osservate in passato. Diversamente
si finisce per guidare guardando nello specchietto retrovisore, esponendosi a
urti tanto pi dolorosi quanto inattesi.
Le regole sono infrastrutture di cui un Paese ha bisogno per crescere,
proprio come le strade e gli aeroporti, proprio come il circuito finanziario
che trasporta risorse dalle unit in surplus a quelle in deficit lungo percorsi
quanto pi possibile avveduti ed efficienti. Di fronte allimmenso e inesausto
cantiere delle regole sugli intermediari bancari, che ha ricevuto nuovi e for-
tissimi stimoli dalla crisi finanziaria degli anni passati, credo che la comunit
scientifica, anche quella del nostro Paese, abbia davanti a s un compito di
cui farsi carico. Ha la responsabilit di sporcarsi le mani con la realt, ha la
capacit per farlo.
ANDREA RESTI, Universit Bocconi, dipartimento di Finanza, via Roentgen 1,
20100 Milano, andrea.resti@unibocconi.it.
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