Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Gli anarchici
contro il fascismo
L’8 settembre 1921 il quotidiano anarchico “Umanità Nova” pubblica un articolo
dell’esponente più prestigioso del movimento, Errico Malatesta, dal titolo significativo:
“Guerra civile”.
Nell’articolo, Malatesta delinea lucidamente i nuovi compiti che aspettano gli anarchici
italiani dopo la storica sconfitta del movimento delle occupazioni delle fabbriche, lanciando
la parola d’ordine della “resistenza organizzata” contro lo squadrismo fascista.
Questo lavoro ricostruisce le vicende della lotta degli anarchici contro il fascismo da quel
1921, anno di costituzione della prima opposizione organizzata al fascismo, quella degli
“Arditi del popolo”, al 1945, anno della “Liberazione” e della definitiva caduta del regime
fascista.
Giorgio Sacchetti
Gli anarchici contro il
fascismo
“Mussolini è un bucaiolo che manda la gente a letto senza cena”.
spesso relegate alle “conventicole”.
Il presente lavoro riassume ed integra saggi dell’autore, già pubblicati o in via
di pubblicazione, comprendenti singoli aspetti dell’argomento fra i quali: gli
anarchici sotto il fascismo “visti” attraverso le carte di polizia; il campo di
concentramento di Renicci; il contributo libertario alla Resistenza; i punti di
contatto con “Giustizia e Libertà”. Fonti queste che si aggiungono alle
innumerevoli testate giornalistiche consultate, pubblicate in Italia, all’estero e
clandestine e a quelle lettererarie in parte citate nella bibliografia essenziale
che conclude il lavoro.
In epoca di “revisionismi” è bene sottolineare come quello degli anarchici sia
da considerare un contributo, certo autonomo e originale, al grande
movimento di lotta di questo secolo non ancora concluso contro i miti negativi
del nazionalismo e del razzismo, contro tutti i “fascismi”.
Nella “guerra civile”
“Guerra civile” è il titolo di un articolo pubblicato da Errico Malatesta su
“Umanità Nova” (8 settembre 1921). E’ una messa a punto lucida sui compiti
storici degli anarchici italiani sull’onda delle sconfitte appena patite dal
movimento operaio, con le squadre fasciste che ormai si trovano nella piena
realizzazione dell’opera di così detta ‘profilassi sociale’ inaugurata già
all’indomani dell’occupazione delle fabbriche. La parola d’ordine è: attuare la
resistenza organizzata ma senza “mettersi a pari con chi noi consideriamo
fuori del consorzio degli uomini civili”. Su questo aspetto il vecchio militante
della Prima Internazionale è irremovibile: “Qualunque sia la barbarie degli
altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di progresso, il mantenere la
lotta nei limiti dell’umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più
di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà e per
assicurare la vittoria della causa nostra, che è la causa del bene di tutti”.
Malatesta, nell’affermare quindi il suo chiaro no ad una guerriglia riservata ai
professionisti della violenza, si fa piuttosto promotore di una vera guerra
sociale che contrapponga popolo a governo e lavoratori a capitalisti. “Ed il
fascismo scomparirà egli scrive quando vedrà che prepotenze non se ne
vogliono più subire..”.
Una organizzazione specifica nazionale, l’Unione comunista anarchica
italiana (Ucai, poi Uai) fondata a Firenze nel 1919, forte di circa 700 gruppi e
federazioni in rappresentanza di buona parte del movimento in Italia; la
direzione del Sindacato Ferrovieri e dell’Usi (Unione Sindacale Italiana),
mezzo milione di iscritti nel 1920, che si contrapponeva per il metodo
autogestionario e di azione diretta alla Confederazione generale del lavoro,
associazione culturale Hop Frog - Salerno
riformista; 66 testate fra periodici e numeri unici pubblicati complessivamente
nell’arco di tempo 1919’25, e un quotidiano, “Umanità Nova” diretto dallo
stesso Malatesta per oltre due anni: questo il biglietto da visita di una
componente importante della corrente rivoluzionaria del movimento operaio
nel nostro paese alla vigilia del fascismo. Con questo peso e nel contesto
della rapida affermazione squadrista, in un clima di caccia al sovversivo, si
era verificato un episodio dai risvolti molto gravi: l’attentato al teatro Diana di
Milano, una strage che avrebbe dovuto avere come obiettivo il questore.
Esecutori materiali tre giovani anarchici (strumenti inconsapevoli di una
provocazione?) che volevano protestare per la immotivata detenzione di
Malatesta, ridotto in fin di vita per uno sciopero della fame. Quella stessa sera
23 marzo 1921 quasi in contemporanea alla strage sono devastate dalle
squadre fasciste le sedi milanesi di “Umanità Nova”, dell’ “Avanti!” e dell’Usi,
mentre anche in altre parti d’Italia (specie dove il sovversivismo rosso non
dava cenni di flessione) si completa l’opera di ‘ripulisti’.
La prima opposizione organizzata allo squadrismo si realizza nelle formazioni
armate degli ‘Arditi del Popolo’ alle quali gli anarchici, caso unico nella
sinistra, danno appoggio ufficiale direttamente partecipandovi insieme a
militanti di base e quadri socialisti, comunisti, repubblicani, sindacalisti,
insieme a senzapartito, a cattolici ed excombattenti, con alcuni ufficiali
subalterni che danno un contributo organizzativo davvero notevole.
L’associazione viene ufficialmente costituita il 27 giugno 1921 ed i suoi
postulati investono, non soltanto i temi della difesa delle strutture del
movimento operaio dall’aggressione fascista, ma anche le grandi questioni
del pane, del lavoro e della libertà. “Umanità Nova” sostiene e si fa portavoce
di questo movimento armato (che fra l’altro dispone di organi di stampa
saltuari: “L’Ardito del Popolo”, “L’Avanguardia Sociale”), influenzato sì
inizialmente da ambienti combattentistici già interventisti, ma che si pone in
sostanza come il continuatore dell’esperienza di base delle guardie rosse dei
tempi dell’occupazione delle fabbriche. “L’unico partito che non sconfessò gli
Arditi del Popolo fu il partito anarchico. Però malgrado le proibizioni degli
esecutivi i plotoni più baldi inquadrarono moltissimi giovani comunisti,
repubblicani e socialisti. Nel suo inizio l’organizzazione degli AdP, specie nei
suoi capi, lasciò dei dubbi. Ma la zavorra venne eliminata”. E’ la conferma di
Giuseppe Mingrino, uno dei fondatori, socialista sconfessato il cui partito si
trova già impegnato nel ‘patto di pacificazione’ con i fascisti. Anzi l’Uai in
forma ufficiale (consiglio generale, 1415 agosto 1921) esprimerà la propria
posizione di “simpatia e riconoscenza” all’associazione per la sua opera di
difesa delle libertà proletarie, auspicando per essa l’immunità da ogni
infiltrazione borghese e di continuare nelle sue scelte ancora in autonomia dai
associazione culturale Hop Frog - Salerno
partiti politici. Quanto al Partito comunista d’Italia e ai suoi organi dirigenti,
dopo una prima moderata simpatia per il movimento, esso passa ad una
dichiarazione, nel solco della impostazione bordighiana, di estraneità e di
quasiostilità. Ma la matrice anche libertaria di questo genere di ‘arditismo’
antifascista risulta evidente sia dalla collocazione politica di molti aderenti che
di quella dei promotori. Il comandante militare Argo Secondari, seppure
circondato da diffidenza, è considerato anarchico per quanto ‘sui generis’; il
repubblicano Vincenzo Baldazzi è intimo amico ed unanimemente ritenuto
‘figlio politico’ del vecchio Malatesta. Quanto alla diffusione del movimento sul
territorio nazionale possono essere prese senz’altro in considerazione quelle
località che risultano sia dalle fonti di polizia che da un elenco di gruppi
costituiti reso pubblico in occasione di una sottoscrizione per la madre
dell’ardito Nicola Lolli, ucciso dai fascisti a Monterotondo in cui figurano:
Roma, Alessandria, Ancona, Brindisi, Colle Val d’Elsa, Iglesias, Lecco,
Macerata, Campobasso, Isernia. Queste località naturalmente si
aggiungerebbero ad altre più conosciute per episodi eclatanti di resistenza
armata in tutta l’Italia centrale, in Puglia, Emilia, Liguria e Piemonte, spesso
con una sorprendente coincidenza con le zone a consolidata tradizione
anarchica e/o sindacalista rivoluzionaria. I maggiori successi militari sono
ottenuti sul campo a Roma, Bari, Sarzana e soprattutto a Parma nelle mitiche
giornate dell’agosto 1922. La consistenza del movimento ammonterebbe,
secondo dati approssimati per difetto del ministero dell’interno a quasi 5.600
armati all’ottobre 1921. Ma in questo periodo siamo già nella fase calante a
causa della concomitante azione di forze di polizia e camicie nere. Mentre il
comandante Secondari si dimette clamorosamente dall’associazione a causa
dei ripetuti contrasti con Baldazzi e Mingrino, il prefetto di Roma impone lo
scioglimento immediato del direttorio nazionale del movimento e dal quel
momento sopravviveranno solo nuclei clandestini scollegati fra loro, se pure
talvolta attivissimi come nelle giornate parmensi.
Al momento della marcia su Roma i locali di “Umanità Nova” sono devastati e
incendiati, la rotativa e la linotype resi inservibili. Malatesta settantenne si
trova, al Trionfale dove abitava, testimone della benevolenza di carabinieri e
guardie regie nei confronti dei fascisti. Nella sua corrispondenza con Luigi
Fabbri egli riferisce delle numerose minacce di morte ricevute, ma scrive
anche: “Passo spesso innanzi alla loro sede, traverso i loro gruppi e nessuno
mi dice niente. E’ avvenuto che quando ne ho incontrato qualcuno da solo mi
ha fatto il saluto militare! Non alla romana!”. L’analisi malatestiana sul primo
fascismo parte dall’assunto che non vi può essere riscossa materiale senza
prima una rivolta morale. Le violenze e i delitti fascisti semplicemente
suscitano il desiderio di vendetta degli offesi e non quella generale
associazione culturale Hop Frog - Salerno
La chiusura di “Umanità Nova” I primi attentati contro Mussolini Le
leggi speciali
Le fortune del fascismo, una volta costituitosi in partito politico e quindi nella
fase iniziale di consolidamento del regime, sono strettamente correlate alla
soppressione violenta di ogni forma di opposizione attraverso l’uso combinato
e complementare alle azioni squadriste di magistratura e forze di polizia. I
decreti sulla stampa in vigore dal 1924 e la legislazione speciale per la difesa
dello Stato, che fanno seguito alla costituzione della Milizia Volontaria di
Sicurezza Nazionale, sanciranno poi una situazione di fatto, ormai conseguita
in massima parte con altri mezzi.
I giornali anarchici, testate e tirature in quantità non trascurabili, subiscono la
stessa sorte che viene riservata a tutta la stampa che fa riferimento al
movimento operaio e socialista, ai popolari ed infine allo schieramento
democratico in genere. Le aggressioni avvengono in sequenza: prima tocca
agli organi quotidiani di battaglia militante è il caso di “Umanità Nova” e del
socialista “Avanti!” , infine ai periodici di riflessione culturale e di dibattito
teorico. La consistenza delle testate del movimento anarchico passa così da
28 nel 1921 a 3 nel 1926! La definitiva chiusura del giornale diretto da
Malatesta, passato da quotidiano a settimanale nell’agosto 1922, si verifica
alla fine del medesimo anno attraverso tappe precise: denunzie penali a
causa del contenuto di vilipendio degli articoli; pesanti contravvenzioni per
presunte irregolarità amministrative; tipografia devastata dall’intervento
fascista. L’atto finale è la denuncia da parte della questura di Roma contro
venti fra exredattori, corrispondenti, membri del consiglio di amministrazione
di “Umanità Nova” per correità in reati di tipo associativo, istigazione, ecc.. A
ciò si aggiunge il sequestro di tutto l’archivio di redazione e la confisca della
cassa del giornale. Una situazione analoga si verifica anche a La Spezia,
dove le camicie nere letteralmente distruggono la tipografia ed incendiano
l’amministrazione de “Il Libertario”, e a Pisa con “L’Avvenire Anarchico”. Con
Mussolini al governo si passa così quasi immediatamente ad una situazione
di semilegalità per ogni attività del movimento anarchico con un Comitato di
Difesa Libertaria promosso dalla Uai, per il soccorso alle vittime politiche ed
alle loro famiglie, che funziona a pieno ritmo. A Milano Carlo Molaschi
pubblica l’opuscolo “Spezzare le catene / Appello ai proletari d’Italia”, un
j’accuse contro il sistema carcerario e contro le sentenze di classe emmesse
dai tribunali nei grandi processi contro i sovversivi. Il testo conclude con un
perentorio invito a reagire a questa situazione “che, se ciò non facciamo già il
pane ci manca, presto a tutti ci mancherà la libertà”.
Per il 1923 si può effettuare una stima approssimativa della consistenza o
quanto meno della diffusione residua dell’anarchismo organizzato in Italia
associazione culturale Hop Frog - Salerno
in Francia. Affannosa la ricerca dei complici da parte del nuovo capo della
polizia, nominato per l’occasione, Arturo Bocchini. Parte della storiografia
anarchica Cerrito, Venza ha avanzato, con argomenti convincenti, l’ipotesi
che questo attentato fosse stato in realtà una azione preparata e concordata
fra Milano, Trieste, Carrara e Roma, addirittura con una riunione preparatoria
a Livorno. Vincenzo Baldazzi, leader dei repubblicani romani, fondatore degli
Arditi del Popolo e futuro capo della resistenza nella capitale, viene più tardi
condannato, pur senza prove, per aver aiutato il carrarese (fornendogli anche
una pistola, come confermerà più tardi). Baldazzi abitava fra l’altro al Trionfale
nel medesimo isolato di Malatesta. Le felicitazioni per lo scampato pericolo al
duce da parte di Pio XI e la richiesta perentoria dei fascisti di provvedimenti
legislativi idonei a prevenire questi attentati seguono l’avvenimento. Non
esistendo al momento la pena di morte Lucetti viene condannato
all’ergastolo; sarà liberato dagli Alleati nel 1943 e morirà subito dopo a Ischia
sotto un bombardamento. A quello di Lucetti segue, dopo un mese a
Bologna, il fallito attentato di Anteo Zamboni, quindicenne figlio di anarchici,
linciato sul posto. Oscuri i contorni di questo episodio. Gaetano Salvemini e
buona parte degli storici, pur senza prove attendibili, propendono per la tesi
del falso attentato messo in opera da estremisti fascisti per accelerare ancora
di più i tempi della svolta dittatoriale.
Altro strumento di repressione è il Confino di polizia per gli oppositori politici,
e quindi anche per gli anarchici, segnatamente nelle isole di Favignana,
Lampedusa, Lipari, Ustica, Tremiti, Ponza e Ventotene. In questi luoghi in
genere si gode di un regime non strettamente carcerario e di una, molto
relativa, libertà di movimento; tale però da non garantire sempre soggiorni
tranquilli ai confinati che, spesso, incappano o nel regolamento di disciplina
oppure in denunzie all’autorità giudiziaria. Dal momento del varo della
legislazione speciale fino alla caduta del fascismo saranno emessi a carico di
anarchici 667 provvedimenti dalle commissioni provinciali su un totale di
13361; in realtà il numero è senz’altro maggiore se vi si considerano anche
altri nominativi qualificati invece genericamente come ‘sovversivi’, ‘antifascisti’
o in modo impreciso comunisti. Le punte più alte si registrano in Toscana,
Lazio, Emilia Romagna. A Lipari, dove si trova confinato fra gli altri Luigi
Galleani, funziona da subito secondo quanto riferisce un confidente di
polizia “un gruppo anarchico che ha la sua sede all’hotel Belvedere”.
I sequestri di materiali propagandistici e l’intercettazione della
corrispondenza, compresa quella diretta ai confinati, denotano la sussistenza
di una fitta rete di contatti interni ed esteri. Temistocle Monticelli continua a
tirare le fila di questa ‘trama’ malgrado la sua condizione di ammonito politico.
Virgilio Mazzoni da Pisa, in perfetta triangolazione, mantiene rapporti con un
associazione culturale Hop Frog - Salerno
contro i soprusi fascisti e numerosi anarchici vengono per questo condannati
(Failla, Grossuti, Bidoli, Dettori e molti altri). A Ustica l’anarchico Arturo
Messinese prende a schiaffi il direttore della colonia che voleva obbligarlo al
saluto romano.
Molto numerosi sono gli anarchici costretti all’esilio, soprattutto in Francia. Fra
gli esponenti più conosciuti: Luigi Fabbri, Ugo Fedeli, Armando Borghi,
Alberto Meschi, Camillo Berneri. E in Francia prosegue lo scontro violento per
difendere l’ambiente dell’emigrazione dalle infiltrazioni fasciste, ma si
partecipa anche alle lotte operaie. Negli attentati cadono Nicola Bonservizi,
segretario del Fascio di Parigi, Carlo Nardini, vice console, don Cesare
Cavaradossi, sacerdote e funzionario del consolato. Alcuni anarchici,
desiderosi di rovesciare il fascismo in Italia attraverso un’immediata
insurrezione, rimarranno invischiati nella provocazione ordita da Ricciotti
Garibaldi. Questi, conosciutissimo per aver organizzato in guerra il corpo
volontari italiani delle Argonne, aveva infatti progettato una spedizione armata
in Italia coinvolgendo molti fuoriusciti. L’impresa però si era subito rivelata
come una montatura dei servizi segreti di Mussolini.
Ma la storia dell’anarchismo italiano esule in Francia traspare anche dalla
consistenza di periodici e numeri unici che esso edita oltralpe a partire dal
1923 fino al 1938, con code anche nel dopoguerra. Sono ben 58 le testate
anarchiche, stampate in Francia in lingua italiana, reperite da Leonardo
Bettini. La periodicità è, ovviamente, varia (raramente settimanale) ed
irregolare in alcuni casi. Tralasciando i temi tradizionali e ‘storici’ della
propaganda anarchica e le questioni organizzative del movimento (che sono
comunque presenti), preme segnalare alcuni dei fogli ‘specializzati’ e rivolti
maggiormente ai temi specifici dell’antifascismo: “La Voce del Profugo”,
direttore Meschi, giornale antifascista e di propaganda sindacale classista;
“Campane a stormo”, edito dopo l’assassinio di Matteotti a cura del Comitato
italiano d’azione e di propaganda antifascista e alla cui redazione partecipano
anche socialisti e repubblicani; il mensile di Marsiglia “Non molliamo”; “Lotta
anarchica” del 1930’31 sottotitolo: Per l’insurrezione armata contro il
fascismo , portavoce dell’Ucapi; la rivista “La Lotta Umana”. L’emigrazione
anarchica italiana è attiva e presente, in misura minore, anche in Belgio (con
stampa e iniziative pubbliche), in Inghilterra, in Svizzera. In quest’ultimo
paese però, dalle colonne del ‘Risveglio’ ci si esprime contro qualsiasi
ventilata ipotesi frontista e di coordinamento unico della lotta: “I gruppi, senza
confondersi e seguendo ciascuno il proprio cammino, possono convergere
tutti contro il fascismo [...] L’azione insurrezionale deve partire dai più diversi
punti della periferia e non da un centro, quasi sempre esitante e ritardatario”.
E’ una posizione questa ripresa nell’emigrazione americana, particolarmente
associazione culturale Hop Frog - Salerno
far smascherare un comitato nazionale di agitazione anarchica con sede in
Livorno, diretta emanazione della Concentrazione antifascista parigina; due
mesi dopo vengono così eseguite in quella città in contemporanea 23
perquisizioni ad altrettante persone da lui indicate tutti amici di Consani ma
l’esito è negativo. Allo stesso modo fallisce il tentativo dell’Ovra di inserirsi,
usando il nome di Schicchi, nella corrispondenza del Soccorso anarchico
internazionale.
La questione, divenuta annosa, del fronte unico contro il fascismo e, più in
generale, delle alleanze nel periodo di transizione, viene definita a Parigi, nel
1935, in un “Convegno d’intesa degli anarchici italiani emigrati in Francia,
Belgio e Svizzera” a cui partecipa lo stato maggiore dell’anarchismo italiano
con Camillo Berneri, Enzo Fantozzi, Umberto Marzocchi ed altri. “Distruggere
l’impalcatura dello stato fascista è l’obiettivo contingente ed impedire che
domani, dietro le spalle di un governo provvisorio pseudorivoluzionario, si
affermi un governo di restaurazione demosocialliberale o una dittatura
bolscevica”. Le risoluzioni del convegno prevedono la possibilità di una “libera
intesa” con Giustizia e Libertà, sindacalisti e repubblicani di sinistra nel segno
forse delle comuni matrici teoriche ispirate a laicismo, insurrezionalismo,
pluralismo, autonomia del movimento operaio, federalismo. Esse sanciscono
anche la formalizzazione della rottura ormai nei fatti con i comunisti (esclusi i
gruppi dissidenti) e con i socialisti (esclusa la minoranza massimalista).
A seguito del convegno parigino sono poste in essere proposte immediate di
azioni quali: la costituzione di un comitato libertario che procuri le armi ai
volontari che dovranno rientrare in patria a condurre la lotta armata contro il
fascismo; la presa di contatto diretta e gli accordi definitivi con i compagni
dell’interno; la redazione di manifestini contro la guerra d’Etiopia peraltro già
sollecitati dall’Italia.
Nel medesimo periodo vengono rinvenuti (ma altri arriveranno a destinazione)
ancora in un treno proveniente dalla Francia 14 involti contenenti tre tipi di
manifestini: “Dichiarazione degli anarchici al proletariato italiano”; “Contro la
guerra ed il fascismo”; “Alle forze rivoluzionarie italiane”. Il testo di
quest’ultimo in particolare firmato: L’Intesa Rivoluzionaria Italiana non privo
di riferimenti all’anarchismo storico, richiama comunque direttamente per il
linguaggio usato e per le conclusioni al movimento di ‘G.L.’. Gli altri due tipi di
manifestini a firma: Gli Anarchici proscritti ricalcano invece posizioni
politiche già note e cioè che l’abbattimento del fascismo sarà inseparabile
dalla fine del regime capitalista e dello Stato, e quindi che la successione, il
passaggio alle forme repubblica, costituente e dittatura proletaria sono
nient’altro che un inganno.
Le notizie che arrivano dalla Spagna nel corso del 1936 infiammano gli animi.
associazione culturale Hop Frog - Salerno
La rivolta popolare contro i generali fascisti spinge molti fra gli anarchici
italiani residenti in Francia ad accorrere a Barcellona e ad aggregarsi nelle
colonne della CNTFAI. Con la parola d’ordine “oggi in Spagna, domani in
Italia” si formerà di lì a poco, con il concorso di giellisti e repubblicani, la
Colonna italiana, sezione Ascaso della CNTFAI, sulla base di accordi
sottoscritti da Berneri, Mario Angeloni e Carlo Rosselli, ciascuno per la sua
parte politica. La contraddizione fra guerra antifascista e rivoluzione sociale e,
soprattutto il rifiuto della militarizzazione da parte degli anarchici italiani
porteranno allo scioglimento della stessa colonna. L’epilogo tragico si
consuma nel contrasto irreparabile fra alcune delle forze antifasciste in
campo, in particolare con i ‘governativi’ comunisti staliniani che si rendono
responsabili degli assassinii di Berneri e Barbieri.
In Italia intanto l’Ovra registra informali ‘riunioni di combriccole anarchiche’ fra
operai delle fabbriche del nord, nelle osterie dei quartieri popolari nelle grandi
città, e incontri di anarchici conosciuti con rappresentanti di ‘G.L.’ e del partito
repubblicano, continua ad annotare gli spostamenti poco chiari degli elementi
sospetti.
Per il 1938 i prefetti di Mussolini segnalano una perdurante presenza
organizzativa del movimento specie in Sicilia e in Toscana, ad esempio a
Piombino, ed inoltre che “esistono in Italia, e funzionano in collegamento tra
loro gruppi anarchici in specie a Torino, Trieste, Livorno, Roma e Genova; la
fonte principale degli aiuti finanziari parrebbe l’America del Nord”.
Gli ultimi terribili anni del regime fascista, i primi della nuova guerra mondiale,
vedono gli anarchici italiani prostrati a causa della gravissima sconfitta subita
in Spagna. In Francia sono in parte ridimensionate le vecchie strutture
dell’esilio antifascista ora maggiormente orientate al soccorso del popolo
iberico. Nell’interno in molte località, in seguito alle recenti ondate di arresti e
invii al confino, le attività cospirative e di propaganda hanno subìto un
rallentamento e soprattutto sono tagliati in gran parte i contatti con l’estero ed
a livello nazionale. Il capo della polizia valuta per il 1939 come ancora vigenti
pochissimi canali di comunicazione anarchica con l’estero: dalla provincia di
Belluno con Ginevra; da Firenze e dal Valdarno con Marsiglia; dalla provincia
di Livorno con New York e con la Francia; da Roma con Parigi.
Al momento dello scoppio della guerra il Comitato Internazionale di Difesa
Anarchica con sede a Bruxelles, composto da italiani, francesi, spagnoli,
tedeschi e belgi, pubblica uno speciale Bollettino plurilingue destinato anche
alla diffusione in Italia. Il contenuto del foglio, la cui redazione è attribuibile a
Mario Mantovani, risulta di impostazione prettamente pacifista e di
‘equidistanza’tra gli stati belligeranti.Esso si differenzia da ogni posizione di
adesione pura e semplice alla guerra antinazista espressa invece da alcuni
associazione culturale Hop Frog - Salerno
continua, con l’avvertenza perentoria alla sinistra rivoluzionaria che “chiunque
si illuda di turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito”, fanno
ulteriormente surriscaldare il clima di attesa impaziente fra i confinati. La così
detta ‘storia dei 45 giorni’, iniziandosi con il coinvolgimento in ambito
governativo di un comitato delle opposizioni antifasciste, vede per forza di
cose la parziale risoluzione della questione confino. Il capo della polizia
Senise invia un dispaccio urgente a tutte le direzioni delle colonie: “Prego
disporre subito scarcerazione prevenuti disposizione autorità PS responsabili
attività politiche escluse quelle riferentesi comunismo e anarchia”. I primi a
partire da Ventotene (dove è direttore Marcello Guida, futuro questore di
Milano nel 1969) dopo la compilazione delle liste distinte per gradi di
pericolosità politica, sono gli ‘antifascisti democratici’ e quelli di ‘G.L.’, dopo i
socialisti, infine i comunisti. Restano alla fine nell’isola circa 200 confinati
politici fra anarchici e cittadini italiani di origine slovena o croata. Ma il
dispaccio ministeriale che dispone la liberazione anche di questi ultimi coatti
giunge quando questi sono già stati ormai avviati al campo di
concentramento di Renicci d’Anghiari (Arezzo) uno dei peggiori d’Italia sia
per il numero di internati (in genere prigionieri di guerra slavi) che per i
comportamenti del personale di sorveglianza ove giungono dopo varie
peripezie il giorno 23 agosto. A questo punto gli anarchici sono rimasti in
sessanta circa. L’8 settembre i prigionieri chiedono in massa le armi per
opporsi all’occupazione tedesca e per tutto il giorno seguente si organizzano
comizi nei vari settori del campo. Nella rivolta rimane ferito Alfonso Failla. La
via della fuga di massa da Renicci, con i tedeschi alle porte, è dunque aperta
da questo episodio di ribellione.
A Firenze intanto, nella clandestinità, rivede la luce “Umanità Nova” già
soppresso dal fascismo, tiratura iniziale 1800 copie, destinata a
quadruplicarsi nei due anni successivi. Il primo numero esordisce con
l’editoriale: “Salute a Voi, o compagni d’Italia e di tutti i paesi; noi, dopo un
lungo e forzato silenzio, riprendiamo con immutata fede il nostro posto di
battaglia per la liberazione di tutti gli oppressi”.
Per tutto il 1944 gli anarchici d’Italia, pur nelle differenti situazioni locali e
talvolta in condizioni di estrema debolezza, impegnati nel movimento
partigiano, caratterizzeranno la loro azione nel senso dell’antifascismo
intransigente e della preparazione insurrezionale, della ricerca anche di
programmi da attuare nel concreto per la fase di transizione. Si pubblica così
un nuovo ‘programma minimo’ che denota, sull’onda della impostazione
berneriana del 1935, importanti punti di contiguità con il filone azionista
repubblicano e liberalsocialista. Non mancheranno comunque gli appelli “ai
socialisti onesti” ed alla collaborazione fattiva con la base del Pci.
associazione culturale Hop Frog - Salerno
Piombino operaia, centro siderurgico con una notevole tradizione libertaria e
sindacalista rivoluzionaria, è la protagonista di una sommossa popolare
contro i nazifascisti già il 10 settembre 1943. Fra i protagonisti
dell’insurrezione Egidio Fossi, Renato Ghignoli e Adriano Vanni; quest’ultimo
attivo poi nella resistenza in Maremma.
A Livorno gli anarchici sono tra i primi ad impadronirsi delle armi custodite
nelle caserme e nell’Accademia navale di Antignano al fine di rifornire le
bande partigiane. Inquadrati nei GAP e nella Divisione Garibaldi partecipano
ad operazioni di guerriglia nelle provincie di Pisa, Livorno e in Maremma.
Nell’opera di liberazione dei rastrellati e carcerati si distinguono fra gli altri
Virgilio Antonelli, a sua volta già confinato ed internato dal 1926 al 1941 quasi
ininterrottamente, e Giovanni Biagini.
Consistente e determinante l’apporto libertario nella resistenza apuana che
qui assume anche le caratteristiche di vera e propria guerra sociale. Sono
attive nella zona di Carrara formazioni partigiane libertarie,
complessivamente composte da oltre un migliaio di uomini, denominate:
“G.Lucetti”, “Lucetti bis”, “M.Schirru”, “Garibaldi Lunense”, “Elio”, SAP
“R.Macchiarini”, SAPFAI. Dopo l’8 settembre un gruppo di anarchici fra cui
Romualdo Del Papa guidano l’assalto alla caserma Dogali e spingono gli
alpini a disertare e ad aderire alla lotta partigiana. Nasce così la “Lucetti”
comandata da Ugo Mazzucchelli e che agisce nell’ambito della Brigata
Apuana. Alla fine del 1944 lo stesso Mazzucchelli, a seguito di un
rastrellamento che costa la vita a sei dei suoi uomini, ripara in Lucchesia
salvo poi rientrare prima dell’arrivo degli alleati a liberare Carrara con la sua
formazione “Schirru”. Fra i partigiani anarchici più conosciuti vi sono inoltre il
comandante Elio Wochievich, Venturelli Perissino, Renato Macchiarini, il
giovanissimo Goliardo Fiaschi, Onofrio Lodovici, Manrico Gemignani, i figli di
Mazzucchelli Carlo e Alvaro, Alcide Lazzarotti, ecc..
A Lucca ed in Garfagnana, sui cui monti agiscono anche militanti pistoiesi e
livornesi, gli anarchici sono soprattutto presenti nella formazione autonoma
comandata da Manrico Ducceschi “Pippo”. Fra i partigiani libertari lucchesi
noti vi sono: Federico Peccianti, nella cui casa si riunisce il CLN; Luigi Velani,
aiutante maggiore nella “Pippo”.
A Pistoia agisce la formazione anarchica “Silvano Fedi” composta da 53
partigiani. Il primo gruppo di resistenza si costituisce ad opera di Egisto e
Minos Gori, Tito e Mario Eschini, Tiziano Palandri e Silvano Fedi.
Leggendaria la figura del giovane comandante da cui prende il nome la
banda, vittima di una imboscata dai contorni poco chiari (come testimonierà il
vicecomandante Enzo Capecchi) tesagli dai tedeschi su probabile
“delazione di italiani”. La stessa formazione, con Artese Benesperi alla testa,
associazione culturale Hop Frog - Salerno
è la prima ad entrare in Pistoia liberata.
A Firenze si costituisce, alle dipendenze del comando militare del Partito
d’Azione, una prima banda armata che agisce sul vicino monte Morello
comandata dall’anarchico Lanciotto Ballerini, caduto in combattimento
medaglia d’oro alla memoria. Al poligono di tiro delle Cascine sono fra gli altri
fucilati gli anarchici Oreste Ristori, settantenne già coatto nel 1894, e Gino
Manetti. In provincia di Arezzo gli anarchici sono presenti nella resistenza in
Valdarno, con un’attiva partecipazione anche ai CLN locali, ed in Valtiberina
con Beppone Livi “Unico” che assolve compiti di collegamento fra la
formazione ‘Bande Esterne’, i comitati di liberazione aretino e toscano, ad
Arezzo e a Firenze.
A Ravenna si ha una folta presenza libertaria nella 28^ Brigata Garibaldi e
rappresentanza adeguata nel CLN provinciale. La prima pattuglia partigiana
che entra in Ravenna liberata è comandata dall’anarchico Pasquale Orselli.
Notevole il tributo di sangue.
In provincia di Bologna e Modena gli anarchici contribuiscono alla
costituzione delle prime brigate partigiane a Imola con la “Bianconcini”, ed a
Bologna con la “Fratelli Bandiera” e la “7^ Gappisti”. A Reggio Emilia cade
fucilato Enrico Zambonini; un distaccamento della ‘Garibaldi’ prenderà il suo
nome. A Piacenza si ergono le figure di Savino Fornasari e di Emilio Canzi,
accomunati dal singolare destino di morire in incidenti stradali causati da
automezzi alleati. Canzi in particolare comanda tre divisioni e 22 brigate, per
un totale di oltre diecimila partigiani!
Le formazioni di La Spezia e Sarzana agiscono in stretto contatto con quelle
della vicina Carrara con due gruppi comandati dagli anarchici Contri e Del
Carpio. Renato Olivieri, già detenuto politico per 23 anni, e Renato Perini
cadono durante uno scontro a fuoco con i nazifascisti.
A Genova la presenza libertaria nella resistenza supera i 400 partigiani
(“Pisacane”, “Malatesta”, SAPFCL, SAPFCL Sestri Ponente), di cui 25
caduti in combattimento. Qui la Federazione Comunista Libertaria, fallita
l’ipotesi di Fronte Unico, deve affidarsi per la lotta armata unicamente alle
proprie forze.
Nella Torino industriale, particolarmente alla FIAT e durante l’insurrezione alle
‘Ferriere Piemontesi’, agisce la formazione anarchica denominata 33°
battaglione SAP “Pietro Ferrero”. Fra i caduti: Dario Cagno, fucilato per
complicità nell’uccisione di un gerarca, e Ilio Baroni, già ardito del popolo a
Piombino. Nell’astigiano si registrano invece presenze libertarie fra i
‘garibaldini’.
A Milano la lotta clandestina è iniziata da Pietro Bruzzi che viene subito
catturato ed ucciso dopo tortura dai nazifascisti. Gli anarchici dopo la sua
associazione culturale Hop Frog - Salerno
morte costituiscono le brigate “Malatesta” e “Bruzzi” forti di 1300 partigiani, in
un secondo momento inquadrate nelle formazioni “Matteotti” e che avranno,
sotto il comando di Mario Perelli, un ruolo di primo piano nella liberazione di
Milano. A Como opera la “Amilcare Cipriani”; in provincia di Pavia la 2^
Brigata “Malatesta”; mentre nel bresciano gli anarchici sono attivi in una
formazione mista G.L.Garibaldi.
A Verona l’anarchico Giovanni Domaschi (11 anni di carcere e nove di
confino, due evasioni) fondatore del locale CLN, viene arrestato dai tedeschi
e deportato a Dachau dove muore.
In Friuli Venezia Giulia alcuni anarchici sono inseriti in formazioni comuniste
come la Divisione GaribaldiFriuli. A Trieste i collegamenti con i partigiani
sono tenuti da Giovanni Bidoli, poi scomparso nei lager tedeschi insieme a
Carlo Benussi, un altro anarchico friulano. Attivo anche Nicola Turcinovic che
ben presto però si trasferisce da Trieste a Genova dove continua a militare
nelle formazioni partigiane della FCL. Nell’alta Carnia, dove Italo Cristofoli
muore durante l’assalto alla caserma tedesca di Sappada, gli anarchici
contribuiscono alla costituzione di una Zona Libera autoamministrata.
“Le loro formazioni di combattimento ha scritto Cerrito in merito alla
partecipazione anarchica alla Resistenza rimangono legate al Partito
Comunista, al Partito Socialista, al Partito d’Azione. Nei CLN ai quali
partecipano con delegati qualificati non riescono mai ad imporre una linea
politica rivoluzionaria, un atteggiamento in qualche modo orientato in senso
libertario. Anche se essi non sono secondi a nessuno nella lotta armata
contro il nazifascismo, non riescono a superare il gradino di inferiorità
psicologica in cui li pone la loro carenza organizzativa e la mancanza di un
programma politico uniforme”.
Dopo la liberazione mentre al sud il movimento si trovava già ad un buon
livello organizzativo una volta costituita l’Alleanza Gruppi Libertari le
federazioni comuniste libertarie che man mano si erano costituite convocano
a Milano il primo convegno interregionale per l’alta Italia nel giugno 1945.
All’odg: l’unità sindacale e il tema ostico della collaborazione libertaria ai
CLN; la riorganizzazione del movimento giovanile e la convocazione di un
congresso costitutivo della FAI.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AA.VV., Atti della giornata di studi su L’Antifascismo rivoluzionario. Tra passato e presente,
Pisa 25 aprile 1992, BFS 1993;
AA.VV., Giornali anarchici della Resistenza 1943’45 / Gli anarchici e la lotta contro il
fascismo in Italia / Il fuoriuscitismo in Francia e Spagna , Ediz. Zero in Condotta, Milano
1995;
A. DADA’, L’anarchismo in Italia: fra movimento e partito. Storia e documenti dell’anarchismo
italiano, Teti editore Milano 1984;
associazione culturale Hop Frog - Salerno
I.ROSSI, La ripresa del movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al
1950, RL Pistoia 1981;
P.BIANCONI, Gli anarchici nella lotta contro il fascismo, Ediz. Archivio Famiglia Berneri,
Pistoia 1988;
G.CERRITO, Gli anarchici nella resistenza apuana, a cura di A.Dadà, Maria Pacini Fazzi
Editore, Lucca 1984;
M.ROSSI, “Avanti siam ribelli...” Appunti per una storia del movimento anarchico nella
Resistenza, BFS, Pisa 1985;
M.LAMPRONTI, L’Altra Resistenza. L’Altra Opposizione (comunisti dissidenti dal 1943 al
1951), Antonio Lalli Editore, Firenze 1984;
C.VENZA,Umberto Tommasini. L’anarchico triestino, ediz. Antistato Milano 1984;
L.CAVALLI, C.STRADA, Nel nome di Matteotti. Materiali per una storia delle Brigate Matteotti
in Lombardia, 19431945, Franco Angeli, Milano 1982,;
G.MANFREDONIA, Les Anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste, in
“Collection de l’Ecole francaise de Rome”, Roma n.94/1986;
M.R. BIANCO, Les anarchistes dans la Resistance, vol. 2, Témoignages 19301945, in
“Bulletin” C.I.R.A., Marseille, n.23/25 del 1985;
L. DI LEMBO, Il movimento anarchico a Firenze (192230), in “Città & Regione”, Firenze,
n.6/1980;
I.TOGNARINI (a cura di), Guerra di sterminio e Resistenza. La provincia di Arezzo 1943
1944, E.S.I., Napoli 1990;
L.BETTINI, Bibliografia dell’anarchismo, vol.1, tomi I e II, C.P. editrice, Firenze 19721976;
AA.VV., Italiani nella guerra di Spagna 1936/1938. Un contributo di libertà, in “Archivio
Trimestrale”, Roma, n.1/1982;
G. Manfredonia, La lutte humaine. Luigi Fabbri, le mouvement anarchiste italien et la la lutte
contre le fascisme, Editions du Monde Libertaire, Paris 1994;
“Bollettino del Museo del Risorgimento”, Bologna a. XXXV 1990 (Atti del Convegno di studi
su Armando Borghi nella storia del movimento operaio italiano e internazionale,
Castelbolognese, dicembre 1988);
“Almanacco Socialista”, Milano, Ed. Avanti!, 1962;
“ARivista anarchica” Milano, n.4/1973;
“Rivista Storica dell’Anarchismo”, Pisa, nn. 3 e 4 del 1995.