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La Terra, terzo pianeta del Sistema Solare, non è statico ed immobile, ma attivo e dinamico. La sua
superficie si muove di alcuni cm all’anno, anche se tale movimento non è facilmente percepibile. Tra le
cause principali di questo movimento c’è il calore interno: le alte temperature presenti all’interno del
pianeta si manifestano durante l’attività dei vulcani situati sulla sua superficie. La Terra può essere
suddivisa in tre parti: atmosfera (gassosa), terra solida e idrosfera (liquida). Quest’ultima costituisce
circa i ¾ della superficie terrestre (oceani, mari, fiumi, laghi).
L’interno della Terra non può essere studiato direttamente. I pozzi più profondi scavati dall'uomo non superano i
15 chilometri, mentre il raggio terrestre ne misura circa 6.350! Siamo quindi costretti a basarci su ipotesi ricavate
da osservazioni indirette. La struttura e la composizione interna della Terra possono essere, per esempio,
dedotte dalle onde sismiche generate dai terremoti e dalle esplosioni. Tali onde indicano che il nostro pianeta
non è omogeneo ma consiste da tre strati principali (crosta, mantello e nucleo). Gli involucri sono separati tra loro
da superfici dette discontinuità, in corrispondenza delle quali le onde sismiche mutano il proprio comportamento.
Per esempio, la crosta e il mantello sono separati dalla discontinuità di Moho.
La Litosfera, formata dalla crosta e dalla parte superiore del mantello, è frammentata in molte placche rigide che
si muovono una verso l’altra. Il moto è generato dal materiale che costituisce la parte più interna del
mantello (Astenosfera): esso, essendo molto caldo, sale verso la superficie, si raffredda ed infine ridiscende nelle
zone più interne del mantello (si veda figura a lato). Questo movimento è molto lento (alcuni cm all’anno) ed
avviene per celle convettive, come quelle che si formano in una pentola d’acqua che bolle.
Le interazioni tra le placche litosferiche sono all’origine di tutta la dinamica della crosta terrestre come la formazione delle catene montuose,
la fuoriscita di lava con la conseguente espansione dei fondi oceanici (dorsali oceaniche), il riassorbmento del materiale da parte del
mantello nelle fosse (subduzione), i terremoti ed i vulcani. L’area Mediterranea è fortemente interessata dall’interazione tra le placche
Eurasiatica ed Africana. In Italia, in prossimità della Sicilia e della Calabria, la placca Africana sprofonda sotto quella Europea. E’ proprio
nelle vicinanze delle zone di contatto tra placche che si possono trovare i vulcani attivi (ad es. l’Etna, il Vesuvio ed i vulcani delle Isole Eolie)
e si possono verificare frequenti terremoti.
Sin dalle origini della Terra, le eruzioni vulcaniche non hanno mai smesso di agitare la superficie dei
continenti ed il fondo degli oceani. Il magma che alimenta i vulcani è un fluido complesso, composto da
una fase liquida (silice), da una gassosa (vapore d’acqua) e da una solida (cristalli). Esso si genera a
grandi profondità, grazie alle elevate temperature che fondono parzialmente la parte superiore del
mantello. Il magma risale verso la superficie a causa della sua minore densità rispetto ai materiali
circostanti. Una volta giunto nella crosta può stazionare all’interno di una camera magmatica od arrivare
direttamente all’esterno. Il magma arriva in superficie attraverso fessure od attraverso il classico condotto
cilindrico (camino vulcanico), la cui forma più classica è il cono con un cratere centrale e, in genere, dei
piccoli crateri laterali (vedi figura a lato). I vulcani “effusivi” (ad es. l’Etna) eruttano frequentemente ed
emettono grandi quantità di magma mentre i vulcani “esplosivi” (ad es. il Vesuvio) possono rimanere in
quiete anche per molte centinaia di anni ed eruttare solo per pochi minuti ma in maniera devastante.
Il Sistema Solare è costituito dal Sole e da tutti i corpi celesti che gli orbitano attorno, comprendenti i
pianeti, i satelliti naturali (come la Luna), le comete, gli asteroidi e i meteoroidi. Il Sole, al centro,
contiene la quasi totalità della massa del Sistema Solare e, per questo motivo, esercita un'influenza
gravitazionale che si estende ben oltre l'orbita di Plutone, fino ai limiti della grande nube di Oort, un
sistema che raccoglie più di 5 mila miliardi di comete e che si trova ad una distanza pari a 70 mila volte
la distanza Terra-Sole. I pianeti ruotano intorno al Sole su orbite ellittiche.
I nove pianeti che compongono il Sistema Solare sono (al crescere della loro distanza dal
Sole): Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone.
Il più vicino, Mercurio, dista dal Sole soltanto 60 milioni di km; la Terra, invece, è situata
ad una distanza di circa 150 milioni di km, mentre Plutone, nel percorrere la sua orbita,
può arrivare ad una distanza di 6000 milioni di km.
I quattro pianeti più vicini al Sole – Mercurio, Venere, Terra e Marte - sono chiamati
pianeti terrestri perchè hanno tutti una superficie solida e rocciosa, mentre i quattro grandi
pianeti oltre l'orbita di Marte – Giove, Saturno, Urano e Nettuno – sono detti pianeti giganti
gassosi. Il piccolo (più piccolo della nostra Luna) e distante Plutone ha una superficie
solida ed è prevalentemente formato da ghiaccio.
Non è ancora completamente noto il meccanismo che ha dato origine al Sistema Solare.
Si ritiene che la nascita del Sistema Solare sia avvenuta circa quattro miliardi e mezzo di
anni fa. La teoria più accreditata per spiegare la formazione dei pianeti è detta Teoria
della Nebulosa Protosolare.
Montaggio di immagini planetarie prese da sonde della Nasa. Plutone non è mostrato poiché nessuna
sonda l'ha ancora raggiunto. Cortesia di NASA/JPL-Caltech.
http://echo.jpl.nasa.gov
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http://www.naic.edu
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I Pianeti Giganti: Giove e Saturno
Giove è il pianeta più grande e massiccio del Sistema Solare. Con un diametro di 140 mila km
potrebbe contenere al proprio interno oltre mille pianeti come la Terra. La composizione del pianeta
(prevalentemente idrogeno ed elio) è più simile a quella del Sole che a quella della Terra. In effetti
Giove è una stella mancata: la sua massa troppo piccola (1/70 di quella delle stelle più piccole) non ha
consentito l'innesco delle reazioni termonucleari, responsabili dell’accensione delle stelle (vedi
pannello Come nasce una stella). Ciò che noi vediamo di Giove è solo la sommità delle nubi che
avvolgono il pianeta, i cui colori sfavillanti sono prodotti da una miscela di gas velenosi.
Saturno, come Giove, è un grande pianeta gassoso costituito principalmente da idrogeno ed è
conosciuto principalmente per il fatto di essere circondato da un maestoso sistema di anelli. Saturno è
il pianeta meno denso del Sistema Solare: la sua densità è così bassa che galleggerebbe se venisse
immerso in acqua.
http://photojournal.jpl.nasa.gov
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http://www.atnf.csiro.au/research/solarsys/jupiter
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http://saturn.jpl.nasa.gov
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Catturando sussurri dallo spazio
A partire dagli anni '60 le agenzie spaziali americana ed europea hanno mandato sonde robot nello
spazio interplanetario per studiare da vicino tutti i pianeti del Sistema Solare con la sola eccezione di
Plutone, che si trova a una distanza troppo elevata. Questi affascinanti robot sono stati i nostri occhi e
le nostre orecchie nel loro viaggio verso i pianeti, trasmettendo verso la Terra meravigliose immagini e
informazioni scientifiche di immenso valore. Questi dati arrivano sotto forma di segnali radio così deboli
che possono essere captati solo dai più grandi radiotelescopi sulla Terra.
Deep Space Network (DSN) è il nome di una rete di radiotelescopi situati in California,
Australia e Spagna e gestita dalla NASA. La mappa a sinistra mostra i siti dei tre centri
DSN per le comunicazioni con le sonde spaziali ed evidenzia il numero ed il tipo di
antenne presenti in ciascuno di essi. La dislocazione delle antenne è fatta in modo da
compensare la rotazione terrestre così che una sonda interplanetaria è sempre visibile
da almeno una delle tre basi durante le 24 ore. Le comunicazioni con le sonde
interplanetarie sono molto più complesse di quelle con satelliti in orbita attorno alla
Terra a causa del fatto che le sonde si trovano a distanze enormemente maggiori. Il
segnale deve viaggiare per milioni o anche miliardi di km prima di raggiungere il
radiotelescopio. Tutto ciò è reso ancora più difficile dal fatto che il trasmettitore che invia
il segnale dalla sonda ha una potenza molto bassa, tipicamente intorno ai 20 watt, cioè
circa la stessa potenza della luce interna di un frigorifero! Inoltre, durante il suo tragitto
Cortesia di NASA/JPL-Caltech.
verso la Terra il segnale continua a perdere energia e quando arriva a destinazione ha
una potenza di un miliardesimo di miliardesimo di watt, ovvero 20 miliardi di volte
inferiore alla potenza necessaria a far funzionare un orologio da polso.
Accuratezza angolare (nanorad)
Per poter captare segnali così deboli le antenne riceventi sulla Terra devono essere
molto grandi e dotate di ricevitori estremamente sensibili con amplificatori raffreddati a
temperature di solo pochi gradi sopra lo zero assoluto (-273 gradi centigradi) al fine di
ridurre al minimo il rumore di fondo generato dall'equipaggiamento elettronico. Inoltre più
l'antenna è grande più è piccola la porzione di cielo che può vedere ad ogni puntamento
(come se noi guardassimo il cielo attraverso una cannuccia). Di conseguenza è
necessario che le antenne siano molto precise per poter trovare (inseguire come si dice
in gergo tecnico) una sonda di pochi metri di diametro a distanze di milioni di km. Le
antenne del DSN funzionano anche come trasmettitori di segnali ad alta potenza (circa
Il grafico in alto mostra come è migliorata negli mezzo milione di watt!). Questi segnali vengono mandati alla sonda per comandare
anni la precisione di 'inseguimento delle sonde l’accensione dei computer, l’attivazione degli strumenti e le correzioni di traiettoria. La
interplanetarie. La precisione ottenibile rete DSN è dedicata a tempo pieno all'inseguimento di satelliti e sonde interplanetarie;
attualmente è centomila volte migliore di quella tuttavia anche altre antenne, tra cui quelle italiane di Medicina (BO) e Noto (SR),
possibile 40 anni fa: oggi posiamo conoscere la partecipano saltuariamente a queste operazioni.
posizione di una sonda posta alla distanza del
Sole (1 A.U.=150 milioni di km) con una Sotto a sinistra: L'antenna di 70 metri presso il centro DSN di Goldstone (California).
precisione di circa 1 km. Sotto a destra: Veduta aerea del centro DSN di Canberra (Australia) con in primo piano
l'antenna di 70 metri e sullo sfondo le antenne di 32 metri. Cortesia di NASA/JPL-Caltech
Il modulo di
discesa Huygens
(parte dorata in
figura) viene
agganciato alla
sonda Cassini. La
sonda lanciata nel
1997, ha raggiunto
Saturno nel 2004.
Cortesia di
NASA/JPL-Caltech
Il gas interstellare e le nubi di polvere hanno in genere una temperatura molto bassa (vicina allo zero assoluto, pari a -273 gradi centigradi)
e per questo motivo non emettono luce visibile, ma radiazione infrarossa, millimetrica, e radio (vedi Pannello I meccanismi di emissione).
Tuttavia, a volte se ne può dedurre la presenza perché la polvere blocca la luce delle stelle retrostanti, creando zone oscure come quelle
che si vedono nella fotografia della Galassia (in alto) e nell’immagine del campo stellare (regione di cielo particolarmente densa di stelle) in
basso a sinistra. Altre nubi interstellari si rendono visibili invece riflettendo la luce di stelle vicine, come nell’immagine in basso al centro.
Se una stella molto calda è all'interno o vicina ad una nube interstellare, gas e polvere possono esserne scaldati fino ad emettere luce
visibile propria, come nel caso della Nebulosa della Laguna (in basso a destra).
Il processo di formazione delle stelle, precedentemente solo immaginato dai teorici, è stato fotografato per la prima volta dal Telescopio
Spaziale Hubble (HST) nel Novembre del 1995. In Figura 1 è mostrata una porzione della Nebulosa dell’Aquila, un agglomerato di gas e
polveri, in cui si ha intensa formazione stellare, situata nella costellazione del Serpente ad una distanza di circa 7000 anni luce. La zona
fotografata è occupata da una struttura oscura detta "proboscide", una colonna di gas molecolare misto a polveri, alle estremità della quale
sono visibili i cosiddetti globuli di condensazione, sedi della formazione stellare.
Figura 4 Figura 5
Nota: Nell’angolo in basso a sinistra delle figure è indicata la scala: la lunghezza della barra
corrisponde a 200 Unità Astronomiche (AU). 1 AU equivale alla distanza Terra - Sole, cioè 150
milioni di chilometri. Per le immagini di HST si ringrazia Space Telescope Science Institute.
Immagini dettagliate prese da HST (Figura 4) mostrano che i getti espulsi dalle protostelle possono essere molto ben collimati,
(probabilmente perchè confinati da un campo magnetico), seppure discontinui. Ciò indica che l’espulsione del gas è episodica, invece che
continua. Questi fenomeni forniscono informazioni importanti sul processo di formazione stellare.
La Figura 5 presenta due esempi di cosa succede quando i getti protostellari si scontrano con il mezzo interstellare circostante: da una
protostella (nascosta da polvere) vengono espulsi in direzioni opposte due getti. A seguito dell’impatto dei getti contro il mezzo interstellare
circostante, il gas si scalda e di consequenza emette radiazione (si vedano le formazioni gassose molto luminose alle due estremità dei
getti).
stella.
Durante gran parte della sua vita una stella genera energia tramite la fusione Sequenza
nucleare, trasformando idrogeno in elio. In questa fase, la posizione della stella nel principale
diagramma HR è sulla cosiddetta sequenza principale (indicata dalla linea curva). Sole
Stelle più massicce hanno tipicamente temperature e luminosità più elevate (si Nane bianche
veda la stella blu in alto a sinistra); stelle meno massicce, invece, hanno
temperature e luminosità più basse (stella rossa in basso a destra). Quando una
stella, verso la fine della sua vita, ha bruciato la maggior parte della sua riserva di
idrogeno, lascia la sequenza principale e passa rapidamente attraverso diverse fasi
evolutive. Figura 2 Temperatura (gradi)
Sole avrà trasformato tutto l’idrogeno nel suo nucleo in elio, comincerà a
planetaria
Supergigante contrarsi per effetto della gravità. Questa contrazione causerà un aumento
della temperatura interna della stella, e si creeranno così le condizioni per la
Nana Temperatura (gradi) fusione dell’idrogeno anche negli strati più superficiali. Il Sole allora si
bianca Gigante espanderà, lascerà la sequenza principale, ed entrerà nella cosiddetta fase di
rossa
gigante rossa. La temperatura interna continuerà a salire, finché comincerà a
Sequenza bruciare l’elio. Allora la luminosità del Sole aumenterà fino a 10000 volte quella
principale attuale (fase di supergigante). Successivamente, terminato il processo di
fusione, il Sole finirà per espellere il suo guscio esterno, perdendo una parte
significativa della sua massa (nebulosa planetaria). Il nucleo residuo diventerà
lentamente più freddo e meno luminoso, e il Sole si trasformerà in una
Figura 3 Temperatura (gradi) cosiddetta nana bianca (vedi pannello Come muore una stella). Tutto ciò
accadrà tra circa 5 miliardi di anni.
Stelle più massicce del Sole bruciano il loro combustibile nucleare più rapidamente e quindi Figura 4
hanno una vita più breve. Una stella 10 volte più massiccia del Sole vive non più di 100
milioni di anni. Stelle meno massicce del Sole possono risplendere anche per 20 miliardi di
anni.
Il Sole è una stella singola, ma circa la metà delle stelle della nostra galassia fa parte di un
sistema doppio o binario, cioè di una coppia di stelle orbitanti una intorno all'altra. Nel
pannello a sinistra di Figura 4 è rappresentato schematicamente un sistema doppio.
Su scale più grandi le stelle sono spesso raggruppate in ammassi, i quali possono essere
per esempio ammassi aperti (formati da stelle relativamente giovani e collocati all’interno
della Galassia) oppure ammassi globulari (composti da stelle molto vecchie e disposti in un
alone intorno alla Galassia). Il pannello a destra di Figura 4 mostra un ammasso globulare.
Per stelle di massa superiore a 25 volte quella del Sole, neanche i neutroni riescono a fermare il collasso gravitazionale, e il nucleo è
destinato a diventare un buco nero, un’oggetto estremamente denso che esercita una attrazione gravitazionale così intensa da impedire alla
materia e persino alla luce di allontanarsi da esso (vedi pannello I Buchi Neri).
Immagini
Cortesia di NRAO/AUI e J. Hibbard
Il disco delle galassie a spirale contiene campi magnetici e particelle relativistiche. Il campo magnetico nelle galassie a spirale viene
amplificato nei bracci a spirale dove la materia viene compressa (vedi pannello Le Galassie a Spirale): in tali regioni l'intensità del campo è
pari ad alcuni microGauss (circa 1 milione di volte minore di quello al quale è sensibile una comune bussola). L'origine delle particelle
relativistiche è molto probabilmente legata ai processi di accelerazione di particelle che si attivano durante l'esplosione delle supernovae.
Quando gli elettroni relativistici orbitano nei campi magnetici emettono radiazione di sincrotrone. Tale emissione è molto intensa e può
essere rivelata dai radiotelescopi per studiare sia la distribuzione spaziale degli elettroni relativistici, sia i campi magnetici nelle galassie.
Le immagini sopra a destra rappresentano l'emissione radio della galassia a Spirale M 51 (pannello di sinistra) e la direzione delle linee di
campo magnetico nei bracci di spirale (pannello di destra).
Cortesia CSIRO
Nella maggior parte delle radiogalassie il processo di espulsione della materia e il suo
trasporto lungo i getti fino ai lobi radio può considerarsi continuo. Si osservano però
anche radiogalassie nelle quali questo processo sembra subire interruzioni, come se il
buco nero centrale si ‘spegnesse’ e venisse a mancare energia per accelerare le
particelle verso l’esterno. L’immagine a sinistra mostra un esempio. La radiogalassia
J0116-473 ha la classica morfologia doppia con due lobi giganti e un nucleo centrale. Tra
i due lobi però si osserva una struttura doppia più piccola (indicata dalle frecce), che si
ritiene sia stata prodotta da una fase attiva più recente seguita alla riaccensione del buco
nero centrale. Queste galassie in cui si osservano contemporaneamente fasi diverse e
successive della loro attività vengono studiate in dettaglio per capire come evolvono le
radiogalassie.
Immagini:
Cortesia NRAO
I buchi neri sono oggetti compatti nei quali tutta la materia è concentrata in un singolo punto entro cui
la massa non ha più volume ed il tempo si ferma. Attorno al buco nero si accumula materia formata da
polveri e/o stelle che, cadendo in esso, bruciano ed emettono raggi X e Gamma. Essendo però i raggi
X assorbiti dall’atmosfera della terra, è necessario l’utilizzo di satelliti per studiarne le proprietà.
Lo sapevate ?
Che i buchi neri si possono vedere per via della luce emessa
dalla materia che viene inghiottita attraverso il cosiddetto disco
di accrescimento (accretion disk nella figura a lato, pannello a
destra) e dalla materia che viene espulsa sotto forma di getto
(jets).
Cortesia CFA
La nascita dell'Universo è spiegata dal modello del Big Bang, secondo il quale diversi miliardi di anni fa
l'Universo che vediamo al giorno d'oggi era contenuto in una piccolissima regione di spazio, ed era
caratterizzato da temperatura e densità elevatissime. Grazie ad un processo di espansione, è passato
da quello stato compatto, caldo e denso, alla sua estensione attuale, e ad una temperatura e ad una
densità assai inferiori. Il Big Bang ha lasciato una traccia, che è arrivata fino ai nostri giorni. E' la
radiazione cosmica di fondo, o radiazione fossile, una emissione a bassissima temperatura, circa -270
gradi centigradi (cioè 2.73 Kelvin), che permea tutto il cielo in modo uniforme. La sua origine risale ad
un'epoca in cui l'Universo aveva solo mezzo milione di anni.
Poiché la luce viaggia ad una velocità finita, pari a 300.000 km/s, quando gli astronomi osservano
oggetti lontani, stanno guardando indietro nel tempo. La luce emessa dal Sole impiega otto minuti per
raggiungere la Terra, dunque guardando il Sole noi lo vediamo come era otto minuti fa. La maggior
parte delle stelle visibili ad occhio nudo dista dai 10 ai 100 anni luce da noi, quindi noi le vediamo
com'erano 10 – 100 anni fa. Si ritiene che l'Universo abbia circa 14 miliardi di anni, e per questo,
osservando oggetti posti a distanze via via maggiori, vediamo come essi erano milioni o miliardi di anni
fa. Così possiamo studiare come le stelle e le galassie sono cambiate durante l'espansione e
l’evoluzione dell'Universo. Le galassie più lontane che gli astronomi hanno osservato finora ci appaiono
com'erano una decina di miliardi di anni fa, cioè quando lUniverso aveva solo un terzo dell’età attuale.
Gli ammassi di galassie sono le strutture più grandi dell'Universo. Contengono migliaia di galassie,
legate tra loro grazie alla forza gravitazionale. Le galassie che li costituiscono presentano una grande
varietà di morfologie, dimensioni, luminosità, e contengono popolazioni di stelle che possono essere
molto diverse tra loro (vedi pannello Cosa sono le Galassie). Oggi si pensa che gli ammassi si formino
per accrescimento di strutture più piccole, come gruppi di galassie o anche galassie singole, grazie
all’attrazione gravitazionale reciproca.
Galassie ed ammassi di galassie hanno mutato il
loro aspetto al trascorrere del tempo cosmico in
seguito ai continui scontri e incontri reciproci, che
hanno luogo sotto l’effetto della forza di attrazione
gravitazionale.
Gli ammassi di galassie più giovani del nostro
Universo, ovvero quelli che si sono formati più
presto e quindi in un epoca più prossima al Big
Bang, hanno un aspetto molto filamentare e le
galassie sono ancora lontane le une dalle altre. Un
esempio è riportato a lato nel pannello di sinistra, in
cui è visibile un ammasso di galassie in via di
formazione. Le galassie all'interno dei cerchietti
azzurri sono parte dello stesso proto-ammasso, la
cui galassia principale è l'oggetto verde al centro
dell'immagine. Nel pannello a destra è mostrato un
ammasso di galassie più evoluto. Le due galassie
rosse vicine, nel centro gravitazionale
dell'ammasso, sono probabilmente in interazione e
col tempo diventeranno una unica galassia Cortesia di NASA, ESA STScI
massiccia. Rispetto al proto-ammasso mostrato a
sinistra, si nota una maggiore densità di oggetti
attorno alle due galassie centrali. Gli ammassi di galassie più vecchi sono caratterizzati dalla presenza di galassie
molto massicce situate nel loro centro gravitazionale. Un esempio è l'ammasso di
galassie di Perseo, rappresentato nella figura a sinistra.
Gli ammassi di galassie sono costituiti da diverse componenti fondamentali, quali
materia luminosa, gas intergalattico, campi magnetici, e infine materia oscura.
E’ interessante notare che la materia oscura è la componente più abbondante negli
ammassi, costituendo una frazione di circa l'80% (vedi pannello La Materia Oscura
nell'Universo).
La materia luminosa, solo ~5% di tutta la massa negli ammassi, è quella che
vediamo sotto forma di luce visibile, e ci dice come sono distribuite le stelle e le
galassie. Queste ultime, grazie alla loro forma, colore, distribuzione, ci danno
importanti informazioni sulla storia della formazione dell'ammasso in cui si trovano.
Gli ammassi di galassie sono permeati da un gas molto caldo, che si estende
approssimativamente sull’intera regione occupata dalle galassie dell’ammasso, e la cui
massa ammonta a circa il 15% della massa totale dell’ammasso. Questo gas
intergalattico ha temperature elevatissime, dell'ordine di decine di milioni di gradi, e per
questo motivo si trova in uno stato completamente ionizzato. Esso è rivelabile grazie
alla propria emissione termica chiamata Bremsstrahlung, che lo rende visibile nella
regione dei raggi X dello spettro elettromagnetico (vedi pannello I meccanismi di
emissione). La figura a destra è una impressionante immagine della distribuzione del
gas caldo (in viola) sovrapposta ad un’immagine a colori delle galassie dell’ammasso.
Come si vede, il gas permea la maggior parte dell'ammasso. Allontanandosi dal centro
dell'ammasso (regione centrale in viola chiaro) la densità del gas intergalattico
diminuisce e anche l'emissione cala (regione in viola scuro).
Cortesia di NRAO
Getto
Coda
Getti
Getti
Lobi
Lobi Getti
ripiegati
Il fenomeno radiogalassia è generato dalla presenza di un buco nero massiccio, situato nel centro della galassia ottica (vedi pannelli I Buchi
Neri e Le radiogalassie), Alle frequenze radio, una delle conseguenze principali del buco nero centrale è la presenza di getti radio, che
possiamo visualizzare come dei canali simmetrici rispetto alla galassia, che trasportano plasma relativistico fino a distanze che possono
essere molto più grandi rispetto all'estensione della galassia stessa. L'aspetto di una radiogalassia dipende dall'ambiente nel quale si trova.
Le galassie che si trovano in un ambiente denso, come ad esempio un ammasso di galassie, di solito si muovono al suo interno ad alta
velocità (da qualche centinaio a oltre un migliaio di km/s); e questo moto causa delle deformazioni rispetto alla struttura radio simmetrica. Le
tre figure in alto raffigurano tre radiogalassie, il cui aspetto dipende dall'ambiente esterno. In tutti i pannelli le galassie ottiche sono
raffigurate in blu e l’emissione radio è rappresentata in rosso. La figura a sinistra riporta una radiogalassia classica, con getti simmetrici che
a grande distanza confluiscono in emissione diffusa formando strutture chiamate lobi. La figura al centro rappresenta una radiogalassia che
si muove a bassa velocità rispetto all'ambiente in cui si trova. Si nota che la radiogalassia ha perso la propria struttura simmetrica: i getti
sono piegati ed i lobi sembrano avvolgersi su se stessi. Il caso più estremo di questa sequenza è raffigurato nella figura a destra. Questa
galassia si muove ad elevata velocità rispetto all'ambiente circostante, e la radioemissione è completamente ripiegata indietro, formando
una lunga scia, che i radioastronomi chiamano coda. La direzione delle code ci dice qual'è la direzione del moto delle galassie, e questo è
importantissimo per ricorstruire l'evoluzione dinamica degli ammassi.
Cortesia di L. Feretti
Cortesia di California Institute of Technology, STScI
Dalla metà degli anni '90, osservazioni radio effettuate con i più moderni radio interferometri hanno rivelato
che gli ammassi di galassie sono permeati da emissione radio diffusa non associabile a singole
radiogalassie. Queste sorgenti estese sono chiamate aloni radio e testimoniano l’esistenza di campi
magnetici ed elettroni relativistici, distribuiti su scale molto grandi, confrontabili con le dimensioni
dell’ammasso. L'esistenza degli aloni radio è spiegabile attraverso il meccanismo di formazione degli
ammassi stessi, chiamato cluster merger. L'enorme quantità di energia gravitazionale liberata durante la
formazione degli ammassi di galassie è in grado di amplificare l'intensità dei campi magnetici esistenti
nello spazio intergalattico e di accelerare popolazioni di elettroni alle elevatissime velocità richieste per
poter dare luogo all’emissione di sincrotrone. Nella figura a sinistra è mostrata l'immagine ottica in falsi
colori dell'ammasso di galassie Abell 1914, a cui sono sovrapposti i contorni di emissione radio (in nero).
Cortesia di F. Govoni
In astronomia è possibile rivelare un corpo celeste attraverso l'osservazione diretta, oppure misurando
gli effetti che la sua presenza esercita su di un altro corpo. Si è così scoperta la cosiddetta materia
oscura, cioè materia invisibile che può essere rivelata solo grazie agli effetti gravitazionali che essa
esercita sugli altri corpi celesti. Di fatto la maggior parte (almeno l'85%) della materia contenuta nel
nostro Universo è materia oscura. Essendo così abbondante, essa è anche la principale sorgente di
forza gravitazionale del nostro Universo e pertanto ha giocato e gioca un ruolo importante nella sua
formazione ed evoluzione.
Gli ammassi di galassie sono uno dei principali indicatori di materia oscura. Dal
Cortesia di NASA (A. Fruchter), STScI (S. Baggett, Z. Levay)1930, infatti, sappiamo che le velocità delle galassie in ammasso sono molto
elevate, e che per non lasciare l’ammasso e disperdersi nello spazio, devono
essere trattenute da una forza gravitazionale maggiore di quella deducibile
dalla massa visibile nell’ammasso.
Un’evidenza più recente di materia oscura deriva dalle osservazioni con il
telescopio spaziale Hubble. Esse hanno portato alla scoperta dei cosiddetti
archi gravitazionali, fenomeno previsto dalla relatività generale di Einstein. Un
esempio spettacolare è riportato nella figura a sinistra. L’ammasso Abell 2218
agisce come una potente lente gravitazionale, che amplifica e distorce
l’immagine di galassie poste molto più lontano, le quali assumono una forma
Abell 2218 ad arco attorno alle galassie più massicce dell’ammasso. La quantità di massa
necessaria per produrre questo effetto di lente è molto maggiore della massa
visibile sotto forma di galassie e gas.
L'importanza di questo fenomeno è duplice. Oltre a rivelarci la presenza di massa oscura, permette anche di studiare galassie deboli e
lontane che, senza questo effetto di amplificazione, non sarebbero visibili con la strumentazione attuale.
Cortesia di MACHO Collaboration
Un'altra prova importante della presenza di massa oscura deriva dall’analisi della
rotazione delle galassie a spirale. Questo studio, iniziato attorno al 1970, si basa sul fatto
noto che queste galassie ruotano attorno al loro centro di massa, così come i pianeti
ruotano attorno al Sole, seguendo le leggi di Keplero: le diverse regioni delle singole
galassie ruotano con velocità che dipendono dalla loro distanza dal centro galattico
(rotazione differenziale, vedi pannello Le galassie a spirale) e dalla massa contenuta
all’interno dell’orbita che percorrono.Con grande sorpresa si è scoperto che le velocità di
rotazione misurate nelle zone più esterne delle galassie sono molto maggiori di quanto ci si
aspetta sommando la massa delle stelle e del gas. Un esempio è riportato nella figura a
destra in alto, che mostra la velocità di rotazione misurata a diverse distanze dal centro
(punti) e quella prevista (linea denominata disk) per la galassia a spirale NGC 3198. Per
spiegare le alte velocità nelle regioni più esterne si ipotizza l'esistenza di un alone di
materia oscura, il cui contributo segue la linea denominata halo. R
La materia oscura rappresenta un vero e proprio problema per gli astronomi. Non potendo
osservarla direttamente, non si sa da che cosa sia formata e si stanno formulando alcune T
ipotesi. Al momento si sono individuate due grandi famiglie di possibili costituenti: materia
oscura di tipo barionico e materia oscura non barionica. A sua volta la materia oscura non R
barionica può essere divisa in due famiglie: materia oscura fredda (Cold Dark Matter) e
materia oscura calda (Hot Dark Matter). La materia oscura barionica sarebbe materia T
ordinaria come la conosciamo, ma raccolta sotto forma di oggetti compatti molto massicci
la cui osservazione diretta è al momento impossibile o molto difficile. Esempi di questa R
famiglia sono stelle molto piccole, e oggetti compatti collassati quali le nane bianche, le
stelle di neutroni e i buchi neri (vedi pannello Come muore una stella). Purtroppo però non T
c'è prova che questi oggetti siano così abbondanti nell'universo da fornire tutta la massa
Cortesia di N. Wright
necessaria.
La materia oscura non barionica calda sarebbe costituita da particelle massive che viaggiano a velocità prossime a quella della luce (ad
esempio neutrini). Il problema principale che presenta tale ipotesi è che tale materia sembra aver bisogno di troppo tempo per aggregarsi a
formare le galassie. La materia oscura non barionica fredda rappresenta allo stato attuale l'ipotesi più accreditata. Tale materia potrebbe
essere costituita da particelle sub-atomiche massive che viaggiano ad una velocità molto minore di quella della luce (ad esempio il fotino o il
neutralino). Però nessuna di queste particelle è mai stata osservata fino ad oggi.
La presenza di materia oscura nell'Universo influenza profondamente sia la geometria che l'evoluzione dell'Universo stesso. Nella figura a
destra in basso sono riportate l'evoluzione del raggio dell'Universo (R) in funzione del tempo (T) e una rappresentazione grafica della
geometria dell'Universo nel caso chiuso, piatto ed aperto (dal basso verso l'alto, rispettivamente). Il nostro Universo continuerà ad
espandersi indefinitamente (caso aperto e piatto) o ricollasserà su se stesso dopo un certo tempo (caso chiuso) a seconda della quantità di
materia oscura presente nell'Universo stesso.