Sei sulla pagina 1di 22

La Terra: Cosa c’è sotto i nostri piedi

La Terra, terzo pianeta del Sistema Solare, non è statico ed immobile, ma attivo e dinamico. La sua
superficie si muove di alcuni cm all’anno, anche se tale movimento non è facilmente percepibile. Tra le
cause principali di questo movimento c’è il calore interno: le alte temperature presenti all’interno del
pianeta si manifestano durante l’attività dei vulcani situati sulla sua superficie. La Terra può essere
suddivisa in tre parti: atmosfera (gassosa), terra solida e idrosfera (liquida). Quest’ultima costituisce
circa i ¾ della superficie terrestre (oceani, mari, fiumi, laghi).

La Terra ha un diametro di 12.756 km. E’ costituita da materiali diversi,


distribuiti in cinque strati principali (vedi figura a lato). Il Nucleo Interno ha
un raggio di circa 1200 km ed è costituito da una miscela di Nichel e Ferro
allo stato solido. Il Nucleo Esterno ha uno spessore di circa 2300 km ed è
costituito da una miscela fluida di Nichel e Ferro. Il Mantello ha uno
spessore di circa 2800 km ed è costituito da materiale molto denso e per lo
più solido (per esempio rocce ricche di Magnesio e Ferro). La Crosta è
costituita da un sottile (7÷40 km) strato di rocce molto eterogenee e meno
dense di quelle sottostanti. La sua formazione e la sua evoluzione nel corso
dei tempi geologici ha determinato e condizionato la comparsa e l'evoluzione
della vita. L’Atmosfera è costituita prevalentemente da Azoto e Ossigeno.
Ha uno spessore di oltre 1100 km, ma circa la metà della sua massa è
concentrata nei primi 6 km!

L’interno della Terra non può essere studiato direttamente. I pozzi più profondi scavati dall'uomo non superano i
15 chilometri, mentre il raggio terrestre ne misura circa 6.350! Siamo quindi costretti a basarci su ipotesi ricavate
da osservazioni indirette. La struttura e la composizione interna della Terra possono essere, per esempio,
dedotte dalle onde sismiche generate dai terremoti e dalle esplosioni. Tali onde indicano che il nostro pianeta
non è omogeneo ma consiste da tre strati principali (crosta, mantello e nucleo). Gli involucri sono separati tra loro
da superfici dette discontinuità, in corrispondenza delle quali le onde sismiche mutano il proprio comportamento.
Per esempio, la crosta e il mantello sono separati dalla discontinuità di Moho.
La Litosfera, formata dalla crosta e dalla parte superiore del mantello, è frammentata in molte placche rigide che
si muovono una verso l’altra. Il moto è generato dal materiale che costituisce la parte più interna del
mantello (Astenosfera): esso, essendo molto caldo, sale verso la superficie, si raffredda ed infine ridiscende nelle
zone più interne del mantello (si veda figura a lato). Questo movimento è molto lento (alcuni cm all’anno) ed
avviene per celle convettive, come quelle che si formano in una pentola d’acqua che bolle.
Le interazioni tra le placche litosferiche sono all’origine di tutta la dinamica della crosta terrestre come la formazione delle catene montuose,
la fuoriscita di lava con la conseguente espansione dei fondi oceanici (dorsali oceaniche), il riassorbmento del materiale da parte del
mantello nelle fosse (subduzione), i terremoti ed i vulcani. L’area Mediterranea è fortemente interessata dall’interazione tra le placche
Eurasiatica ed Africana. In Italia, in prossimità della Sicilia e della Calabria, la placca Africana sprofonda sotto quella Europea. E’ proprio
nelle vicinanze delle zone di contatto tra placche che si possono trovare i vulcani attivi (ad es. l’Etna, il Vesuvio ed i vulcani delle Isole Eolie)
e si possono verificare frequenti terremoti.
Sin dalle origini della Terra, le eruzioni vulcaniche non hanno mai smesso di agitare la superficie dei
continenti ed il fondo degli oceani. Il magma che alimenta i vulcani è un fluido complesso, composto da
una fase liquida (silice), da una gassosa (vapore d’acqua) e da una solida (cristalli). Esso si genera a
grandi profondità, grazie alle elevate temperature che fondono parzialmente la parte superiore del
mantello. Il magma risale verso la superficie a causa della sua minore densità rispetto ai materiali
circostanti. Una volta giunto nella crosta può stazionare all’interno di una camera magmatica od arrivare
direttamente all’esterno. Il magma arriva in superficie attraverso fessure od attraverso il classico condotto
cilindrico (camino vulcanico), la cui forma più classica è il cono con un cratere centrale e, in genere, dei
piccoli crateri laterali (vedi figura a lato). I vulcani “effusivi” (ad es. l’Etna) eruttano frequentemente ed
emettono grandi quantità di magma mentre i vulcani “esplosivi” (ad es. il Vesuvio) possono rimanere in
quiete anche per molte centinaia di anni ed eruttare solo per pochi minuti ma in maniera devastante.

Per saperne di più:


•Tettonica a Placche e Geologia. A. Bosellini. Bovolenta Casati.
•Tettonica Globale. P.Kearey, F.J. Vine. Zanichelli.
•http://www.linguaggioglobale.com/linguaggioglobale.com_non_ssl/terra/
Il Sistema Solare e la sua origine

Il Sistema Solare è costituito dal Sole e da tutti i corpi celesti che gli orbitano attorno, comprendenti i
pianeti, i satelliti naturali (come la Luna), le comete, gli asteroidi e i meteoroidi. Il Sole, al centro,
contiene la quasi totalità della massa del Sistema Solare e, per questo motivo, esercita un'influenza
gravitazionale che si estende ben oltre l'orbita di Plutone, fino ai limiti della grande nube di Oort, un
sistema che raccoglie più di 5 mila miliardi di comete e che si trova ad una distanza pari a 70 mila volte
la distanza Terra-Sole. I pianeti ruotano intorno al Sole su orbite ellittiche.
I nove pianeti che compongono il Sistema Solare sono (al crescere della loro distanza dal
Sole): Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone.
Il più vicino, Mercurio, dista dal Sole soltanto 60 milioni di km; la Terra, invece, è situata
ad una distanza di circa 150 milioni di km, mentre Plutone, nel percorrere la sua orbita,
può arrivare ad una distanza di 6000 milioni di km.
I quattro pianeti più vicini al Sole – Mercurio, Venere, Terra e Marte - sono chiamati
pianeti terrestri perchè hanno tutti una superficie solida e rocciosa, mentre i quattro grandi
pianeti oltre l'orbita di Marte – Giove, Saturno, Urano e Nettuno – sono detti pianeti giganti
gassosi. Il piccolo (più piccolo della nostra Luna) e distante Plutone ha una superficie
solida ed è prevalentemente formato da ghiaccio.
Non è ancora completamente noto il meccanismo che ha dato origine al Sistema Solare.
Si ritiene che la nascita del Sistema Solare sia avvenuta circa quattro miliardi e mezzo di
anni fa. La teoria più accreditata per spiegare la formazione dei pianeti è detta Teoria
della Nebulosa Protosolare.

Montaggio di immagini planetarie prese da sonde della Nasa. Plutone non è mostrato poiché nessuna
sonda l'ha ancora raggiunto. Cortesia di NASA/JPL-Caltech.

In base alla Teoria della Nebulosa Protosolare, il Sistema Solare ha avuto


origine da un’immensa nube in rotazione, composta di gas (principalmente
idrogeno ed elio) e polvere. Circa 4.5 miliardi di anni fa questa nebulosa ha
iniziato a contrarsi formando un disco (del diametro di 10 miliardi di km) in
rotazione differenziale (ovvero il materiale vicino al centro ruota più velocemente
di quello più lontano, come accade in un mulinello). La contrazione del gas al
centro del disco ha originato il Sole. All’aumentare della distanza dal Sole la
temperatura della nube cala, e ciò permette, prima, l'aggregazione di particelle
di polveri e poi, a distanze maggiori, l’aggregazione di ghiaccio e polveri. E’ per
collisione di queste aggregazioni che si sono formati i pianeti.
Disegno schematico raffigurante il disco protoplanetrio
formatosi dalla nebulosa protosolare. Cortesia di: Dana Berry
(STSci)
L'utilizzo di telescopi sempre più sofisticati ha permesso di verificare le basi di
questa teoria sull'origine del Sistema Solare, cercando tracce di formazione di
sistemi planetari attorno ad altre stelle. L'immagine a sinistra mostra (in sezione) il
disco protoplanetario originato dalla rotazione della nebulosa primordiale attorno
alla stella Beta Pictoris. Il pannello superiore della figura mostra le regioni esterne
del disco protoplanetario, che si estende per circa 100 miliardi di km dalla stella
centrale. Un’ingrandimento della regione centrale del disco è mostrato, invece, nel
pannello inferiore. Le oscillazioni nel disco di polvere (indicate dalle frecce) sono
causate da instabilità gravitazionale nel disco prodotte dalla presenza di uno o più
Cortesia di Al Schultz (CSC/STScI), Sally Heap (GSFC/NASA), pianeti.
NASA.

Per saperne di più:


http://deepspace.nasa.jpl.gov

Vedi pannello “Come nasce una stella”


Il Sole
Il Sole, alla distanza di 150 milioni di km è la stella a noi più vicina ed ha diametro e massa
rispettivamente 110 volte e 330.000 volte quella della Terra. Il Sole si è acceso 4.5 miliardi di anni fa e
si spegnerà tra circa 5 miliardi di anni (vedi pannello Come vive una stella). La sua densità media è di
poco superiore a quella dell'acqua e può essere descritto come una sfera di gas a temperature
elevatissime, tenue e diffusa vicino alla superficie, e via via più densa procedendo verso il nucleo.
L'interno del Sole
Il Sole è costituito per circa il 90 % da idrogeno. Il nucleo è formato da elettroni e protoni ad
una temperatura di circa 15 milioni di gradi. Nel nucleo del Sole, ogni secondo, migliaia di
protoni collidono con altri protoni per formare nuclei di elio in una gigantesca reazione di
fusione nucleare che produce energia. Partendo dal nucleo (core nella figura a lato), l'energia
si propaga verso l'esterno per irraggiamento (radiation zone). In questa zona radiativa la
densità del plasma è molto elevata e la radiazione impiega circa 170.000 anni ad
attraversarla per intero. A questo punto la temperatura cala sotto i 2 milioni di gradi e il
plasma diventa troppo “freddo” e opaco per lasciar passare la radiazione. In questa regione,
detta convettiva, (convection zone) correnti di convezione trasportano bolle di plasma caldo
verso la superficie dove si raffreddano e quindi ridiscendono di nuovo, proprio come in una
pentola d'acqua messa a bollire sul gas. La superficie visibile del Sole è detta fotosfera
(photosphere) e ha una temperatura di solo 5800 gradi. Al di sopra della fotosfera si trova uno
strato sottile detto cromosfera (cromosphere), studiato alle lunghezze d'onda radio e
ultraviolette. Infine troviamo la corona, uno strato di plasma rarefatto e caldo con una
Cortesia di NASA/ESA temperatura di circa 2 milioni di gradi.
Campi magnetici nel Sole
Il campo magnetico del Sole è generato dai moti del plasma sotto la sua superficie, ed è
responsabile dell’attività solare, la quale si manifesta sotto forma di macchie solari (sunspots),
brillamenti (flare), espulsioni di massa coronale (coronal mass ejection, CME). Le macchie solari
sono zone relativamente fredde (circa 4000 gradi contro i 6000 gradi della fotosfera circostante),
spesso di dimensioni superiori a diversi diametri terrestri. Nella figura a destra in alto, all’immagine
ottica di un gruppo di macchie solari (in toni di grigio), sono sovrapposte immagini radio (in colore) a
diverse frequenze (5, 8 e 15 GHz) che permettono di evidenziare zone con campi magnetici più o
meno intensi: le regioni più scure sono quelle con temperatura più bassa e campo magnetico più
elevato.
Ogni 11 anni, il Sole raggiunge un picco di attività chiamato massimo solare, che si manifesta con
un elevato numero di macchie solari, brillamenti e CME. L'ultimo massimo è avvenuto nel 2001 ed il
prossimo sarà nel 2012. Nella figura a destra in basso sono riportati un grafico con il numero di
macchie solari osservate negli anni 1996-2002, e quattro immagini che evidenziano l'aumento
dell'attività della cromosfera all'avvicinarsi dell'epoca dell'ultimo massimo solare (2001).
I II Cortesia di SOHO Mission,
NASA/ESA
Cortesia di Lee et al. (1998),
Astrophysical Journal
501,853; SOHO Mission
NASA/ESA
La corona solare e i CME
IV La corona solare è osservabile direttamente da Terra solo durante le eclissi. Gli strumenti su satellite
III possono però creare una eclissi artificiale tramite il coronografo, strumento che permette di bloccare la
luce proveniente dal disco solare, evidenziando così le caratteristiche della corona. Il campo magnetico
è responsabile delle strutture ad arco che si protendono verso la corona. Infatti, quando il campo
magnetico diventa instabile, le linee di campo magnetico nelle macchie solari possono spezzarsi
producendo brillamenti osservabili nella banda ultravioletta e quindi espulsioni di particelle e campo
magnetico dalla corona che vengono chiamate CME. Durante questi fenomeni una massa pari a circa
un milione di tonnellate al secondo viene espulsa. La velocità del plasma espulso durante un CME può
raggiungere i milioni di km all'ora. I quattro pannelli nella figura a sinistra in alto riportano l'evoluzione
temporale di una macchia solare (I) che produce un brillamento (II) che successivamente dà luogo ad
un CME (III e IV). I diversi colori dei pannelli sono dovuti ai diversi filtri impiegati per l'osservazione,
mentre il cerchio tratteggiato delimita la regione occupata dal disco solare oscurato, nelle immagini
ottenute con il coronografo. La figura a sinistra in basso mostra un eccezionale doppio CME.

Per saperne di più:


http://sohowww.nascom.nasa.gov

Osservazioni Radar di Venere
Venere è stato in passato considerato come il “pianeta gemello” della Terra ed il migliore candidato per
ospitare forme di vita. La superficie del pianeta è oscurata da una fitta coltre di nubi che ne hanno
impedito lo studio diretto con i telescopi ottici. Le numerose sonde mandate su Venere e le
osservazioni radar da Terra e da sonde orbitanti hanno permesso di svelare il vero volto del pianeta.
Venere e la Terra sotto alcuni aspetti sono in effetti molto simili: Venere è solo leggermente più piccolo
della Terra (95% del diametro e 80% della massa terrestre); entrambi hanno pochi crateri da impatto
meteoritico, segno di una superficie relativamente giovane; la densità e composizione chimica dei due
pianeti sono simili. A causa di queste somiglianze si era pensato che sotto la coltre di nubi che riveste
il pianeta, Venere potesse essere un pianeta molto simile alla Terra e un candidato ideale per la
ricerca di forme di vita. Invece, studi più dettagliati hanno rivelato quanto diversi siano i due pianeti. La
pressione dell'atmosfera sulla superficie di Venere è 90 volte superiore a quella sulla superficie della
Terra (ovvero pari alla pressione che si avverte ad una profondità di 1000 m sotto la superficie degli
oceani). L'atmosfera è composta per la maggior parte da biossido di carbonio con nubi di acido
solforico di spessore di diversi km. L'alta densità dell'atmosfera produce un effetto serra che fa
superare i 480 gradi di temperatura alla superficie del pianeta (tale temperatura è sufficiente a fondere
il piombo). Di fatto la superficie di Venere è più calda di quella di Mercurio nonostante Venere si trovi
ad una distanza doppia dal Sole. La rotazione di Venere è molto lenta (1 giorno su Venere corrisponde
a 243 giorni terrestri) e retrograda (cioè il Sole sorge a ovest e tramonta ad est).
Immagine ottica di Venere ottenuta
dalla sonda Mariner. Copyright C.J.
Cortesia di NASA/JPL Caltech
Hamilton
Emisfero Emisfer
La tecnica del Radar Imaging Nord o Sud
La spessa coltre di nubi che ricopre Venere impedisce l’osservazione diretta
della sua superficie con i telescopi ottici. Fortunatamente le onde radio
possono attraversare lo strato di nubi e fornire una vera e propria fotografia
della superficie del pianeta, utilizzando la tecnica del radar imaging. Il radar
funziona essenzialmente come una fotocamera dotata di flash fornendo la
luce che illumina la zona che si vuole fotografare. In questo caso però si usa
un flash di onde radio. Con i più grandi radiotelescopi da Terra si possono
ottenere immagini radar di Venere con una risoluzione di poco più di un km.
Mappe radar con risoluzione di circa 100 m sono state ottenute dalle sonde
lanciate verso Venere e tra queste i risultati più eclatanti sono stati ottenuti
dalla sonda Magellano. Nella figura a destra in alto sono riportati i mosaici
degli emisferi nord e sud di Venere ottenuti con osservazioni radar da Terra e
dallo spazio. La risoluzione è di 3 km. Il codice di colori rappresenta variazioni
in altitudine della superficie del pianeta. Nella figura a destra in basso (in
bianco e nero) sono mostrati mosaici ad alta risoluzione (circa 100 m) di due
regioni di Venere, ottenuti dalla sonda Magellano : il primo mostra 3 grandi
crateri da impatto con diametri tra i 30 e 50 km, il secondo mostra esempi di
strutture ovali (corone) prodotte dall'affioramento di materia dall'interno del
pianeta.

Osservazioni radar di asteroidi che avvicinano la Terra


Tra Marte e Giove si trova una miriade di piccoli corpi rocciosi chiamati asteroidi. Poiché gli asteroidi
rappresentano un residuo del processo di aggregazione dal quale sono nati i pianeti (vedi pannello Il
Sistema Solare e la sua origine), si pensa che il processo di formazione di un pianeta intermedio tra
Marte e Giove sia stato inibito dal forte campo gravitazionale di Giove.
Gli asteroidi sono saliti negli ultimi tempi alla ribalta scientifica per la possibilità di urti catastrofici con
la Terra. Le osservazioni radar permettono di ottenere informazioni importanti sulle proprietà fisiche e
sulle orbite degli asteroidi, giacché hanno un'accuratezza molto migliore di quella ottenibile con le
osservazioni ottiche dei più grandi telescopi. Questa precisione è fondamentale per ricostruire le
orbite degli asteroidi e prevedere possibili rischi di impatto con la Terra. Diversi programmi della Nasa
e di altre agenzie spaziali sono dedicati allo studio e al monitoraggio degli asteroidi potenzialmente
Cortesia di S. Ostro, Caltech Institute of pericolosi. Nella figura a lato è mostrata l'immagine radar ottenuta dal radiotelescopio di Arecibo
Technology (Portorico, USA) dell'asteroide 1999 JM8. Questo asteroide ha un diametro di circa 3.5 km.

Per saperne di più:


http://www.jpl.nasa.gov

http://echo.jpl.nasa.gov

http://www.naic.edu

I Pianeti Giganti: Giove e Saturno

Giove è il pianeta più grande e massiccio del Sistema Solare. Con un diametro di 140 mila km
potrebbe contenere al proprio interno oltre mille pianeti come la Terra. La composizione del pianeta
(prevalentemente idrogeno ed elio) è più simile a quella del Sole che a quella della Terra. In effetti
Giove è una stella mancata: la sua massa troppo piccola (1/70 di quella delle stelle più piccole) non ha
consentito l'innesco delle reazioni termonucleari, responsabili dell’accensione delle stelle (vedi
pannello Come nasce una stella). Ciò che noi vediamo di Giove è solo la sommità delle nubi che
avvolgono il pianeta, i cui colori sfavillanti sono prodotti da una miscela di gas velenosi.
Saturno, come Giove, è un grande pianeta gassoso costituito principalmente da idrogeno ed è
conosciuto principalmente per il fatto di essere circondato da un maestoso sistema di anelli. Saturno è
il pianeta meno denso del Sistema Solare: la sua densità è così bassa che galleggerebbe se venisse
immerso in acqua.

Immagini radio a 2.2


GHz (a sinistra) e a 1.4
GHz (a destra) del
pianeta Giove. Copyright
CSIRO (2004).
Cortesia di G.A. Dulc, Y.
Leblanc, R. Sault, R.W.
Hunstead

Osservazioni radio di Giove


L'emissione radio di Giove fu scoperta casualmente nel 1955 da Franklin e Burke, e da allora è
stata studiata in grande dettaglio. L’emissione radio di Giove è la somma di due componenti:
radiazione termica proveniente dall’atmosfera “calda” del pianeta e radiazione di sincrotrone
prodotta da elettroni che si muovono ad altissima velocità nel campo magnetico di Giove (vedi
pannello I meccanismi di emissione). Le due componenti possono essere separate con
osservazioni radio a diverse frequenze, come si vede nelle immagini in alto, ottenute con il radio
interferometro Australia Telescope Compact Array. Nell’immagine a sinistra (ottenuta a 2.2 GHz
Immagine di Giove ottenuta dalla sonda domina l'emissione termica proveniente dal disco centrale; nell'immagine a destra (ottenuta a
Cassini da una distanza di circa 10 milioni di 1.4 GHz) questa componente è molto più debole e spicca invece la componente di sincrotrone..
km. Cortesia di NASA/JPL/ Space Science Quest’ultima è maggiormente concentrata lungo l'equatore del pianeta e si estende sino a
Institute
qualche raggio gioviano.
La sonda Cassini-Huygens e Saturno
A differenza di Giove, Saturno non è dotato di un campo magnetico sufficientemente forte da produrre radiazione di sincrotrone. La sua
emissione radio è quindi pura emissione termica, proveniente dal disco e dagli anelli (si veda figura in basso a destra).
Almeno 30 lune orbitano attorno a Saturno. La più grande, Titano, supera in dimensioni pianeti come Mercurio e Plutone ed è coperta da
una densa atmosfera ricca di azoto simile a quella della Terra alla sua origine.
La missione Cassini-Huygens è una collaborazione tra la NASA, l'agenzia spaziale europea (ESA) e l'agenzia spaziale italiana (ASI). La
sonda Cassini ha raggiunto Saturno nel luglio 2004. Il compito della sonda è di orbitare nel sistema di Saturno per diversi anni e
paracadutare il modulo Huygens verso la superficie del satellite Titano per cercare di studiarne, per la prima volta, la superficie.

A sinistra: Immagine di Saturno ottenuta dal


telescopio spaziale Hubble. Cortesia di NASA
and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

A destra: Immagine di Saturno ottenuta in


banda radio alla frequenza di 15 Ghz. Cortesia
di NRAO/AUI

Per saperne di più:


http://www.jpl.nasa.gov/solar_system/

http://photojournal.jpl.nasa.gov

http://www.atnf.csiro.au/research/solarsys/jupiter

http://saturn.jpl.nasa.gov

Catturando sussurri dallo spazio

A partire dagli anni '60 le agenzie spaziali americana ed europea hanno mandato sonde robot nello
spazio interplanetario per studiare da vicino tutti i pianeti del Sistema Solare con la sola eccezione di
Plutone, che si trova a una distanza troppo elevata. Questi affascinanti robot sono stati i nostri occhi e
le nostre orecchie nel loro viaggio verso i pianeti, trasmettendo verso la Terra meravigliose immagini e
informazioni scientifiche di immenso valore. Questi dati arrivano sotto forma di segnali radio così deboli
che possono essere captati solo dai più grandi radiotelescopi sulla Terra.

Deep Space Network (DSN) è il nome di una rete di radiotelescopi situati in California,
Australia e Spagna e gestita dalla NASA. La mappa a sinistra mostra i siti dei tre centri
DSN per le comunicazioni con le sonde spaziali ed evidenzia il numero ed il tipo di
antenne presenti in ciascuno di essi. La dislocazione delle antenne è fatta in modo da
compensare la rotazione terrestre così che una sonda interplanetaria è sempre visibile
da almeno una delle tre basi durante le 24 ore. Le comunicazioni con le sonde
interplanetarie sono molto più complesse di quelle con satelliti in orbita attorno alla
Terra a causa del fatto che le sonde si trovano a distanze enormemente maggiori. Il
segnale deve viaggiare per milioni o anche miliardi di km prima di raggiungere il
radiotelescopio. Tutto ciò è reso ancora più difficile dal fatto che il trasmettitore che invia
il segnale dalla sonda ha una potenza molto bassa, tipicamente intorno ai 20 watt, cioè
circa la stessa potenza della luce interna di un frigorifero! Inoltre, durante il suo tragitto
Cortesia di NASA/JPL-Caltech.
verso la Terra il segnale continua a perdere energia e quando arriva a destinazione ha
una potenza di un miliardesimo di miliardesimo di watt, ovvero 20 miliardi di volte
inferiore alla potenza necessaria a far funzionare un orologio da polso.
Accuratezza angolare (nanorad)

Per poter captare segnali così deboli le antenne riceventi sulla Terra devono essere
molto grandi e dotate di ricevitori estremamente sensibili con amplificatori raffreddati a
temperature di solo pochi gradi sopra lo zero assoluto (-273 gradi centigradi) al fine di
ridurre al minimo il rumore di fondo generato dall'equipaggiamento elettronico. Inoltre più
l'antenna è grande più è piccola la porzione di cielo che può vedere ad ogni puntamento
(come se noi guardassimo il cielo attraverso una cannuccia). Di conseguenza è
necessario che le antenne siano molto precise per poter trovare (inseguire come si dice
in gergo tecnico) una sonda di pochi metri di diametro a distanze di milioni di km. Le
antenne del DSN funzionano anche come trasmettitori di segnali ad alta potenza (circa
Il grafico in alto mostra come è migliorata negli mezzo milione di watt!). Questi segnali vengono mandati alla sonda per comandare
anni la precisione di 'inseguimento delle sonde l’accensione dei computer, l’attivazione degli strumenti e le correzioni di traiettoria. La
interplanetarie. La precisione ottenibile rete DSN è dedicata a tempo pieno all'inseguimento di satelliti e sonde interplanetarie;
attualmente è centomila volte migliore di quella tuttavia anche altre antenne, tra cui quelle italiane di Medicina (BO) e Noto (SR),
possibile 40 anni fa: oggi posiamo conoscere la partecipano saltuariamente a queste operazioni.
posizione di una sonda posta alla distanza del
Sole (1 A.U.=150 milioni di km) con una Sotto a sinistra: L'antenna di 70 metri presso il centro DSN di Goldstone (California).
precisione di circa 1 km. Sotto a destra: Veduta aerea del centro DSN di Canberra (Australia) con in primo piano
l'antenna di 70 metri e sullo sfondo le antenne di 32 metri. Cortesia di NASA/JPL-Caltech

Il modulo di
discesa Huygens
(parte dorata in
figura) viene
agganciato alla
sonda Cassini. La
sonda lanciata nel
1997, ha raggiunto
Saturno nel 2004.
Cortesia di
NASA/JPL-Caltech

Per saperne di più:


http://deepspace.nasa.jpl.gov

Non solo stelle…
Quando si guarda il cielo notturno, si ha l'impressione che lo spazio fra le stelle sia vuoto. Ma non è
così: lo spazio è pieno di gas e di polvere! Il gas è per la maggior parte composto da atomi e molecole
di idrogeno, mescolato con piccole quantità di altre sostanze, quali monossido di carbonio, ammoniaca,
metanolo e vapore acqueo.
La polvere interstellare consiste di piccolissime particelle di grafite o silicati (tipicamente di qualche
decimo di micron) mescolate con il gas. Gas e polvere nel loro insieme formano il cosiddetto Mezzo
Interstellare. Quest'ultimo ha una massa totale pari a solo il 10% di quella dell’insieme delle stelle nella
nostra galassia (la Via Lattea o Galassia), ma ha un ruolo fondamentale soprattutto nella formazione di
nuove stelle (vedi pannello Come nasce una stella).
Cortesia Lund Observatory

Il gas interstellare e le nubi di polvere hanno in genere una temperatura molto bassa (vicina allo zero assoluto, pari a -273 gradi centigradi)
e per questo motivo non emettono luce visibile, ma radiazione infrarossa, millimetrica, e radio (vedi Pannello I meccanismi di emissione).
Tuttavia, a volte se ne può dedurre la presenza perché la polvere blocca la luce delle stelle retrostanti, creando zone oscure come quelle
che si vedono nella fotografia della Galassia (in alto) e nell’immagine del campo stellare (regione di cielo particolarmente densa di stelle) in
basso a sinistra. Altre nubi interstellari si rendono visibili invece riflettendo la luce di stelle vicine, come nell’immagine in basso al centro.
Se una stella molto calda è all'interno o vicina ad una nube interstellare, gas e polvere possono esserne scaldati fino ad emettere luce
visibile propria, come nel caso della Nebulosa della Laguna (in basso a destra).

Cortesia Anglo-Australian Observatory/Royal Observatory, Edinburgh

Il modo migliore per studiare gas e polveri


interstellari è osservarle alle lunghezze d'onda a
cui essi principalmente emettono e cioè dalla
banda infrarossa alla banda radio. Il cielo
cambia completamente aspetto in queste bande
spettrali, come si può notare osservando la
costellazione di Orione nelle due immagini a
lato. A sinistra vediamo la costellazione di
Orione in luce visibile (come la vediamo anche
con i nostri occhi), e praticamente si vedono
solo stelle. Nell'immagine a destra, ottenuta in
banda infrarossa, tutta la luce è invece emessa
OTTICO INFRAROSSO
dalla polvere interstellare, e le stelle sono
pressoché invisibili.
Cortesia NASA/IPAC

Per saperne di più:


•Più informazioni sull’”universo nascosto” sul sito http://coolcosmos.ipac.caltech.edu/cosmic_classroom/ir_tutorial/
•Il sito http://www.astro.rug.nl/ pdb/outreach.htm dà un’elenco molto ricco di siti divulgativi
• La postazione interattiva “I colori dello spazio” mostra come appaiono i corpi celesti nelle diverse bande dello spettro elettromagnetico
Come nasce una stella
Lo spazio tra le stelle non è vuoto, ma caratterizzato dalla presenza di nubi di gas e polvere (vedi
pannello Non solo stelle…). Le stelle si formano dalla condensazione progressiva di piccole regioni di
densità elevata dentro queste nubi oscure e fredde. La compressione sempre maggiore del gas in
queste regioni fa sì che si creino dei nuclei (o globuli) di condensazione, i quali diventano sempre più
caldi e compatti al loro interno, fino al punto in cui, nel centro del nucleo, ha inizio la combustione
nucleare dell'idrogeno. L'energia prodotta da questa reazione nucleare ‘accende’ la stella.

Il processo di formazione delle stelle, precedentemente solo immaginato dai teorici, è stato fotografato per la prima volta dal Telescopio
Spaziale Hubble (HST) nel Novembre del 1995. In Figura 1 è mostrata una porzione della Nebulosa dell’Aquila, un agglomerato di gas e
polveri, in cui si ha intensa formazione stellare, situata nella costellazione del Serpente ad una distanza di circa 7000 anni luce. La zona
fotografata è occupata da una struttura oscura detta "proboscide", una colonna di gas molecolare misto a polveri, alle estremità della quale
sono visibili i cosiddetti globuli di condensazione, sedi della formazione stellare.

I teorici hanno concluso che, durante il processo di


formazione stellare, la materia non cade liberamente
getto
sulla condensazione protostellare. Nelle prime fasi,
globuli
intorno alla condensazione centrale (la protostella) si
forma un disco (il disco di accrescimento). La materia
che cade dalla nube molecolare circostante si raccoglie protostella
dapprima nel disco; successivamente spiraleggia verso
la condensazione centrale. disco di
Paradossalmente il processo della formazione stellare, accrescimento
che è caratterizzato soprattutto dall’accrescimento, è
anche accompagnato da episodi di espulsione di gas in
direzioni perpendicolari al disco, lungo i cosiddetti getti.
Figura 1 La situazione è schematizzata nella Figura 2. Figura 2

Il telescopio HST ha ottenuto immagini spettacolari di entrambi questi fenomeni


Figura 3
(accrescimento ed espulsione). Il montaggio a sinistra (Figura 3) presenta 4 esempi
di dischi di polvere che circondano stelle molto giovani. Le stelle sono nascoste
dalla polvere, ma la loro luce viene riflessa dalle due facce del disco. Inoltre la loro
posizione si può intuire dalla direzione dei getti di materiale espulso (indicati in
verde). Si noti che i dischi che circondano le stelle sono probabilmente anche le
culle dei sistemi planetari. Ad esempio i pianeti del nostro sistema solare si sono
formati per condensazione in un disco di questo tipo 4.5 miliardi di anni fa (vedi
pannello Il Sistema Solare e la sua origine).

Figura 4 Figura 5

Nota: Nell’angolo in basso a sinistra delle figure è indicata la scala: la lunghezza della barra
corrisponde a 200 Unità Astronomiche (AU). 1 AU equivale alla distanza Terra - Sole, cioè 150
milioni di chilometri. Per le immagini di HST si ringrazia Space Telescope Science Institute.

Immagini dettagliate prese da HST (Figura 4) mostrano che i getti espulsi dalle protostelle possono essere molto ben collimati,
(probabilmente perchè confinati da un campo magnetico), seppure discontinui. Ciò indica che l’espulsione del gas è episodica, invece che
continua. Questi fenomeni forniscono informazioni importanti sul processo di formazione stellare.
La Figura 5 presenta due esempi di cosa succede quando i getti protostellari si scontrano con il mezzo interstellare circostante: da una
protostella (nascosta da polvere) vengono espulsi in direzioni opposte due getti. A seguito dell’impatto dei getti contro il mezzo interstellare
circostante, il gas si scalda e di consequenza emette radiazione (si vedano le formazioni gassose molto luminose alle due estremità dei
getti).

Per saperne di più:


•http//oposite.stsci.edu
•Il sito http://www.astro.rug.nl/ pdb/outreach.htm dà un’elenco molto ricco di siti divulgativi
Come vive una stella
La vita di una stella è governata dall'equilibrio fra due grandi forze contrapposte: la forza di gravità e la
forza prodotta dalle reazioni nucleari che avvengono nel nucleo stellare. La prima tende a comprimere
le parti esterne della stella verso il suo centro, mentre la seconda cerca di far espandere la stella. Le
due forze tendono a controbilanciarsi mantenendo la stella in una situazione di equilibrio, che durerà
per quasi tutta la sua vita. Quando questo equilibrio si rompe la stella muore (vedi pannello Come
muore una stella).
Gli astronomi usano due criteri per classificare le stelle. Il primo usa il colore della radiazione emessa
Figura 1 dalle stelle. Il colore dipende dalla temperatura: una stella calda (come Sirio) è bianco-azzurrognola,
mentre una stella più fredda (come Betelgeuse) appare rossa; una stella come il Sole emette
sopratutto luce gialla. La Figura 1 mostra un ammasso di stelle nel quale si notano stelle calde di
colore azzurro insieme ad altre, via via più fredde, di colore giallo oppure rosso.
Il secondo criterio usa la luminosità della stella. Esiste una relazione tra la luminosità e la temperatura
(o il colore) di una stella. Questa relazione è illustrata nel cosiddetto diagramma Hertzsprung-Russell
(o HR, Figura 2).
Come si vede in Figura 2 le stelle non sono
Supergiganti
distribuite a caso nel diagramma HR, ma
occupano delle locazioni precise, dette

Luminosità (unità solari)


sequenze o rami. Ognuna di queste locazioni
corrisponde ad una certa fase della vita di una Giganti

stella.
Durante gran parte della sua vita una stella genera energia tramite la fusione Sequenza
nucleare, trasformando idrogeno in elio. In questa fase, la posizione della stella nel principale
diagramma HR è sulla cosiddetta sequenza principale (indicata dalla linea curva). Sole
Stelle più massicce hanno tipicamente temperature e luminosità più elevate (si Nane bianche
veda la stella blu in alto a sinistra); stelle meno massicce, invece, hanno
temperature e luminosità più basse (stella rossa in basso a destra). Quando una
stella, verso la fine della sua vita, ha bruciato la maggior parte della sua riserva di
idrogeno, lascia la sequenza principale e passa rapidamente attraverso diverse fasi
evolutive. Figura 2 Temperatura (gradi)

L’evoluzione di una stella come il Sole si può seguire in Figura 3. Quando il


Nebulosa
Luminosità (unità solari)

Sole avrà trasformato tutto l’idrogeno nel suo nucleo in elio, comincerà a
planetaria
Supergigante contrarsi per effetto della gravità. Questa contrazione causerà un aumento
della temperatura interna della stella, e si creeranno così le condizioni per la
Nana Temperatura (gradi) fusione dell’idrogeno anche negli strati più superficiali. Il Sole allora si
bianca Gigante espanderà, lascerà la sequenza principale, ed entrerà nella cosiddetta fase di
rossa
gigante rossa. La temperatura interna continuerà a salire, finché comincerà a
Sequenza bruciare l’elio. Allora la luminosità del Sole aumenterà fino a 10000 volte quella
principale attuale (fase di supergigante). Successivamente, terminato il processo di
fusione, il Sole finirà per espellere il suo guscio esterno, perdendo una parte
significativa della sua massa (nebulosa planetaria). Il nucleo residuo diventerà
lentamente più freddo e meno luminoso, e il Sole si trasformerà in una
Figura 3 Temperatura (gradi) cosiddetta nana bianca (vedi pannello Come muore una stella). Tutto ciò
accadrà tra circa 5 miliardi di anni.
Stelle più massicce del Sole bruciano il loro combustibile nucleare più rapidamente e quindi Figura 4
hanno una vita più breve. Una stella 10 volte più massiccia del Sole vive non più di 100
milioni di anni. Stelle meno massicce del Sole possono risplendere anche per 20 miliardi di
anni.
Il Sole è una stella singola, ma circa la metà delle stelle della nostra galassia fa parte di un
sistema doppio o binario, cioè di una coppia di stelle orbitanti una intorno all'altra. Nel
pannello a sinistra di Figura 4 è rappresentato schematicamente un sistema doppio.
Su scale più grandi le stelle sono spesso raggruppate in ammassi, i quali possono essere
per esempio ammassi aperti (formati da stelle relativamente giovani e collocati all’interno
della Galassia) oppure ammassi globulari (composti da stelle molto vecchie e disposti in un
alone intorno alla Galassia). Il pannello a destra di Figura 4 mostra un ammasso globulare.

Per saperne di più:


•http://astrolink.mclink.it/elementi.htm (Astrolink, sito italiano di divulgazione astronomica)
•http://www.physics.hku.hk/~nature/CD/regular_e/index.html
Come muore una stella
Le stelle nascono, evolvono e muoiono. Ciò avviene quando terminano il loro combustibile interno
(idrogeno) e si spengono. Senza più una sorgente di energia a controbilanciare la forza di gravità esse
collassano su se stesse. I tempi in cui tutto ciò accade dipendono dalla massa stellare, e possono
essere molto lunghi, fino a 20 miliardi di anni. Anche il modo in cui una stella muore, e ciò che rimane
dopo la sua morte dipendono essenzialmente dalla massa della stella stessa.

Nebulose planetarie e nane bianche


Quando hanno esaurito l’idrogeno nel loro nucleo, e si trovano verso la fine della loro vita, le
stelle con massa fino a 8 volte quella del Sole, cominciano ad espellere lentamente il proprio
guscio esterno. In Figura 1 si vedono alcuni esempi di questi oggetti, chiamati nebulose
planetarie, osservate dal telescopio spaziale Hubble. Il gas espulso è prevalentamente idrogeno,
ma vi sono anche delle tracce di altri elementi, prodotti dalla fusione nucleare durante la vita della
stella.
Al centro della nebulosa rimane il nucleo centrale della stella, un residuo di piccole dimensioni,
ancora molto caldo, chiamato nana bianca. Questi corpi celesti hanno una massa paragonabile a
quella del Sole, ma sono molto più densi (in quanto sono cento volte più piccoli) e sono composti
prevalentemente da elettroni. Gli elettroni, avendo la medesima carica elettrica (negativa),
tendono a respingersi reciprocamente e ciò genera una pressione verso l’esterno in grado di
controbilanciare la forza gravitazionale. Il sistema è quindi stabile.
Col tempo il gas espulso si disperde nello spazio, e in questo modo il mezzo interstellare viene
arricchito con elementi chimici più pesanti dell’idrogeno. La nana bianca diventa lentamente
Figura 1 sempre più fredda perché perde calore per irraggiamento, finché resta solo un corpo scuro e
Cortesia di Space Telescope Science Institute inerte. Cortesia di NRAO e
di ESO, VLT
Supernovae, stelle di neutroni e buchi neri
Le stelle con massa compresa tra 8 e circa 25 volte quella del Sole hanno un destino diverso. Quando, dopo
qualche decina di milioni di anni, hanno consumato l’idrogeno nel loro interno, cominciano a bruciare i
prodotti della fusione: prima l’elio, poi il carbonio, l’ossigeno, il silicio. Ciò che resta è un nucleo di ferro. Se la
massa del nucleo supera 1,4 masse solari gli elettroni non riescono a controbilanciare la forza gravitazionale
e la stella comincia a contrarsi, aumentando la sua densità al punto che elettroni e protoni si combinano a
formare neutroni. Questo riduce ulterioramente il numero degli elettroni e di consequenza il collasso
accelera: in qualche secondo il nucleo passa da un raggio di qualche migliaia di chilometri a circa 5 km. Il
collasso si ferma solo quando la densità raggiunge valori elevatissimi e i neutroni diventano una specie di
fluido, in grado di resistere alla forza di gravità. Si parla allora di stella di neutroni, un oggetto assai più denso
delle nane bianche in quanto la sua massa, circa una volta e mezzo quella del nostro Sole, è tutta racchiusa
in un volume di alcuni chilometri di raggio. Il fatto che il collasso si fermi bruscamente genera un’onda d’urto
nel materiale circostante il nucleo centrale. A questo punto la stella espelle in modo esplosivo la maggior
parte della sua massa, dando origine a una supernova, un’esplosione caratterizzata da eccezionale
splendore: in pochi giorni viene emmessa l’energia che il Sole sprigiona in miliardi di anni!
In Figura 2 è rappresentata la Nebulosa del Granchio, ovvero l’inviluppo di gas in espansione rimasto dopo
l’esplosione di una supernova al centro; questi oggetti sono detti resti di supernovae. L’immagine in alto
mostra quest’oggetto nella banda radio, quella in centro nell’ottico. All’interno è presente una stella di
neutroni. Figura 2
Asse di rotazione Asse
magnetico Nel caso del Granchio la stella di neutroni emette impulsi regolari in banda radio, e pertanto è
chiamata pulsar. Le pulsar sono stelle di neutroni con un campo magnetico molto forte, nel quale
Terra
circolano elettroni di altissima energia, che emettono radiazione di sincrotrone (vedi pannello I
meccanismi di emissione) . Ai poli magnetici della stella le particelle vengono incanalate in un fascio
collimato molto stretto, indicato in giallo nello schema a lato (Figura 3). Se l’asse di rotazione della
stella non coincide con l’asse del campo magnetico, il fascio di radiazione, ruotando insieme alla stella,
spazza il cielo con un effetto analogo a quello di un faro. Se la Terra si trova lungo la traiettoria del
Figura 3 fascio, vediamo la sua radiazione arrivare a impulsi regolari.

Per stelle di massa superiore a 25 volte quella del Sole, neanche i neutroni riescono a fermare il collasso gravitazionale, e il nucleo è
destinato a diventare un buco nero, un’oggetto estremamente denso che esercita una attrazione gravitazionale così intensa da impedire alla
materia e persino alla luce di allontanarsi da esso (vedi pannello I Buchi Neri).

Per saperne di più:


•http://pulsar.ca.astro.it/ pulsar/ sito del gruppo italiano (a Cagliari) che studia le pulsar
•http://www.jb.man.ac.uk/ pulsar/Education/Sounds/sounds.html per ascoltare il suono di alcune pulsar!
•http://astrolink.mclink.it/elementi.htm (Astrolink, sito italiano di divulgazione astronomica)
Cosa sono le galassie
Le galassie sono i mattoni costituenti l'Universo: immensi sistemi costituiti da gas e polvere, che
possono contenere fino a diverse centinaia di miliardi di stelle, il tutto tenuto insieme dalla forza di
gravità. Le dimensioni delle galassie più grandi possono essere di circa 100 kpc (1 kpc = 1000 pc =
200 milioni di volte la distanza Terra-Sole), una distanza che alla velocità della luce può essere
percorsa in circa 300 mila anni. Malgrado il numero elevatissimo di galassie che oggi possiamo
osservare nell'Universo grazie ai grandi telescopi, la maggioranza di esse risponde ad una
classificazione morfologica relativamente semplice. Questo risultato è alla base del successo della
cosiddetta classificazione di Hubble (Figura 1).
Le galassie possono essere divise in due tipi fondamentali: le
Figura 1
galassie di tipo early type e le galassie di tipo late type.
La classificazione delle
Le galassie early type vengono a loro volta suddivise in galassie
galassie
Ellittiche ed S0 (o Lenticolari), mentre le galassie late type
possono essere suddivise in galassie a Spirale ed Irregolari,
secondo la loro apparenza morfologica (vedi figura 1).
Le galassie late type sono generalmente di colore blu, mentre le
Ellittiche galassie early type presentano tipicamente un colore rossastro. Il
Spirali
colore delle galassie dipende dal tipo di stelle che le abitano.
Spirali barrate Galassie blu sono tipicamente abitate da stelle giovani, ovvero
stelle massicce e calde, tipicamente di colore blu. Viceversa,
Lenticolari galassie rosse sono tipicamente abitate da stelle vecchie. Infatti le
stelle più longeve sono quelle di piccola massa e più fredde,
tipicamente di colore giallo-rosso (vedi pannello Come vive una
Irregolari stella) . Un’altra differenza importante tra galassie late type ed
early type è il contenuto di gas. Le prime sono ricche di gas e
polveri, mentre nelle seconde la quantità di gas freddo e polveri è
trascurabile o del tutto assente.
Le galassie Ellittiche hanno una caratteristica forma di ellissi via via più Figura 2b
schiacciata andando dal tipo morfologico E0 fino al tipo E7 (Figura 1). Figura 2a
La loro luminosità è massima al centro della galassia e decresce
dolcemente verso l’esterno, fino a che la luce della galassia stessa
tende a confondersi con quella dello spazio circumgalattico (Figura 2a).
Le galassie di tipo S0 sono invece caratterizzate dalla presenza di un
disco stellare spesso, e da un rigonfiamento centrale che viene detto
bulge. Quest'ultimo è molto simile ad una galassia Ellittica in miniatura
(Figura 2b). Anche le galassie a Spirale sono caratterizzate da una
forma a disco e dalla presenza di un bulge (la classificazione delle
galassie a spirale è approfondita nel pannello Le galassie a Spirale).
I moti interni delle stelle che compongono le galassie Ellittiche, S0 ed
Irregolari (Figura 2c) sono di tipo disordinato. Si può dire Figura 2c
qualitativamente che le stelle nelle galassie di tali tipi morfologici vanno
a costituire una nuvola di punti che si muovono in tutte le direzioni a
diverse velocità. Al contrario, i moti delle stelle nelle galassie a Spirale
sono ordinati e abbastanza ben descritti da orbite quasi circolari che
vanno a formare i dischi galattici.
Una delle questioni aperte più interessanti in Astronomia è comprendere come si formano le galassie.
In particolare, ancora non è chiaro se le galassie early type e late type nascono come popolazioni
diverse, oppure se nell'Universo si formi soltanto una popolazione e la seconda si origini per
evoluzione della prima. Nel primo scenario, in cui early type e late type sono popolazioni diverse sin
dall’inizio, ambedue si formerebbero dal raffreddamento e dalla frammentazione di immense nubi di
gas primordiale.
In questo scenario le galassie Ellittiche si sarebbero formate in seguito a un processo di frammentazione relativamente rapido, mentre le
galassie a disco nascerebbero in seguito di processi di frammentazione molto più lenti, durante i quali si avrebbe prima la formazione di un
disco e solo successivamente si formerebbe la maggioranza delle stelle. Nel secondo scenario, invece, si pensa che nell'Universo si
possano formare soltanto galassie di tipo late type le quali poi, fondendosi le une con le altre in seguito ad interazioni gravitazionali
(mergers), perderebbero la loro struttura a disco, dando origine alle galassie di tipo early type.

Per saperne di più:


•http://www.scienzagiovane.unibo.it/
•http://www.stsci.edu/resources/
•http://www.nrao.edu
Le galassie a Spirale
Le galassie a Spirale costituiscono la maggioranza delle galassie nell'Universo. Anche il nostro sistema
Solare si trova in una galassia a Spirale: la Via Lattea o Galassia. Le galassie a Spirale sono a forma di
disco, con un nucleo rotondeggiante detto bulge, di dimensioni che variano da galassia a galassia. Il
disco presenta strutture di densità superiore alla media, dette bracci di spirale. Essi hanno origine nel
nucleo e si avviluppano lungo il disco fino a distanze di diverse decine di kpc (1 kpc = 3260 anni luce).
Le galassie a Spirale contengono grandi quantità di polveri interstellari e di gas freddo e sono
generalmente di colore blu poiché sono costituite da una popolazione stellare relativamente giovane:
stelle massicce e molto calde, di colore blu, la cui vita è relativamente breve (vedi pannello Come vive
una stella).
Le galassie a Spirale vengono classificate come di tipo
morfologico Sa, Sb, ed Sc (vedi Figura 1 del pannello Cosa
sono le galassie), a seconda della prominenza relativa del
bulge rispetto al disco galattico. Le galassie di tipo Sa
hanno un bulge grande e bracci di spirale strettamente
avvolti e ben definiti; le galassie di tipo Sc, hanno invece un
bulge piccolo, e bracci di spirale molto aperti e più
irregolari.
Le immagini a lato mostrano una galassia di tipo Sa (NGC
4622, a sinistra) ed una galassia intermedia fra il tipo
morfologico Sb ed Sc (NGC 3310, a destra).
Esistono inoltre galassie a Spirale caratterizzate dalla
presenza di una struttura asimmetrica a forma di barra che
attraversa la regione nucleare. Esse sono dette Spirali
Barrate (un esempio è mostrato nell’immagine sotto) e,
come per le Spirali normali, esse vengono classificate come
di tipo morfologico SBa, SBb, ed SBc in base alla
prominenza del bulge rispetto al disco (vedinelle
Le stelle Figura 1 del a Spirale sono concentrate nel bulge, nei bracci a spirale e in un alone più tenue
galassie
pannello Cosa sono le galassie). che si dispone tutto attorno al bulge e al disco della galassia. Nell'alone le stelle tendono ad aggregarsi
gravitazionalmente in ammassi di forma rotondeggiante detti ammassi globulari che possono contenere
da un migliaio fino ad un milione di stelle.
Le stelle si distinguono in due popolazioni: una più giovane, detta popolazione I, ed una più vecchia
detta popolazione II. Le stelle giovani di popolazione I si trovano concentrate prevalentemente nel
disco ed hanno tipicamente colore blu. Le stelle vecchie di popolazione II, invece, abitano il bulge e
l'alone. Esse sono stelle longeve di piccola massa e fredde, tipicamente di colore rossastro (vedi
pannello Come vive una stella). E' stata ipotizzata anche una popolazione di tipo III di stelle, ovvero una
primissima generazione di stelle di grande massa che sarebbe stata la prima a formarsi e che avrebbe
arricchito di elementi chimici pesanti l'Universo quando esso aveva poco più di 100 milioni di anni.
Le galassie a Spirale non ruotano su se stesse come un corpo rigido (come ad esempio fa un disco su
un giradischi). Nelle galassie, come in un mulinello, la velocità di rotazione diminuisce all’aumentare a
distanze dal centro, cosicché le regioni più esterne del disco perdono terreno rispetto a quelle più
interne (moto di rotazione differenziale). Gli astrofisici pensano che sia proprio questo moto di rotazione
differenziale a dare origine ai bracci di spirale.
Quando la materia interstellare in rotazione sul disco galattico attraversa i bracci di spirale, viene
compressa e tende a contrarsi gravitazionalmente formando nuove stelle. L’ingrandimento nella figura
a sinistra in alto evidenzia proprio una porzione di uno dei bracci di spirale della galassia NGC 1365
dove si vedono regioni di formazione stellare (in colore più chiaro). Le stelle più massicce che si
formano nei bracci di spirale, hanno una vita relativamente breve (circa 10 milioni di anni) ed esplodono
come Supernovae (vedi pannello Come muore una stella) prima di allontanarsi dalla regione nella quale
sono nate (si veda l’esempio indicato dalla freccia nella figura a sinistra in basso).
Nella nostra Galassia, ogni anno, l’equivalente di 2-3 masse solari di materia vengono convertite in
nuove stelle. Vi sono però galassie relativamente giovani, che contengono grandi quantità di gas e
polvere interstellare, nelle quali il tasso di formazione stellare può essere molto più elevato (da 10 ad
oltre 100 masse solari all'anno). Tali galassie prendono il nome di Galassie di Starburst.

Per saperne di più:


•http://www.scienzagiovane.unibo.it/
•http://www.stsci.edu/resources/
•http://www.galassiere.it/galassie.htm
Emissione radio da galassie a Spirale
L'emissione in banda radio da parte delle galassie a Spirale è principalmente di due tipi : a) radiazione
di sincrotrone dovuta alla presenza di elettroni relativistici che si propagano nel campo magnetico della
galassia e b) emissione da idrogeno neutro (HI), dovuta all’inversione di spin dell’elettrone (vedi
pannello I meccanismi di emissione). Nel primo caso si ha emissione su una banda di frequenze delle
spettro elettromagnetico molto ampia (emissione nel continuo), mentre nel secondo caso l'emissione
avviene solo a una lunghezza d'onda ben definita, e cioè a 21 cm (emissione in riga).

La riga a 21 cm da Idrogeno neutro (HI) in condizioni di bassa densità


Stato di alta energia: elettrone e
Sia il protone che l'elettrone dell'idrogeno hanno uno spin (o momento angolare) e la protone con spin paralleli (ossia
configurazione con gli spin allineati risulta energeticamente meno vantaggiosa di quella a elettrone e protone ruotano su se
stessi nello stesso senso)
spin opposti (vedi schema a lato). Nella transizione dallo stato di alta energia a quello di più
Differenza di energia tra i
bassa energia, viene emesso un fotone alla lunghezza d'onda di 21 cm (vedi pannello I 2 stati emessa sotto forma
di fotone (riga a 21 cm).
meccanismi di emissione). L'insieme di questi fotoni emessi dagli atomi dell'idrogeno neutro
che si trovano nelle galassie a Spirale costituisce una emissione in riga piuttosto intensa che
puo' essere rivelata dai radiotelescopi.
Si è scoperto che tale emissione proviene da regioni molto più estese di quelle popolate
Stato di bassa energia: elettrone e
dalle stelle nelle galassie. L’immagine a destra mostra l’emissione radio a 21 cm (in blu) protone hanno con spin anti-paralleli
(ossia elettrone e protone ruotano su
sovrapposta a quella in banda ottica delle stelle (in giallo) nel caso della galassia NGC 6946. se stessi in senso opposto)
Si vede come I bracci di spirale tracciati dall'Idrogeno neutro (in blu) si estendano sino a
regioni essai più esterne della galassia rispetto a quelli tracciati dalle stelle. Lo studio
dell’emissione a 21 cm ci permette di capire la distribuzione della componente gassosa (e in
particolare dell'HI) su grande scala nelle galassie. Inoltre ci consente anche di misurare la
velocità di rotazione delle galassie a spirale (vedi pannello L’effetto Doppler e il Redshift) fino
a grandi distanze dal centro e quindi di studiare la dinamica interna delle galassie (vedi
poster La Materia Oscura nell’Universo).
Grazie al fatto che l'emissione dell'HI può essere
rivelata fino a grandi distanze dal centro delle
galassie, l’osservazioni della riga a 21 cm
permette anche di studiare gli effetti dinamici
provocati dall'interazione fra diverse galassie.
Durante uno scontro fra galassie esse perdono
parte del gas e delle stelle che vengono lasciati
indietro nello spazio intergalattico, in una sorta di
scia.
L’immagine a sinistra mostra
l'effetto di una collisione fra due
galassie (in blu è riportata
l'emissione radio da HI, in verde
l'immagine ottica).

Immagini
Cortesia di NRAO/AUI e J. Hibbard

Il disco delle galassie a spirale contiene campi magnetici e particelle relativistiche. Il campo magnetico nelle galassie a spirale viene
amplificato nei bracci a spirale dove la materia viene compressa (vedi pannello Le Galassie a Spirale): in tali regioni l'intensità del campo è
pari ad alcuni microGauss (circa 1 milione di volte minore di quello al quale è sensibile una comune bussola). L'origine delle particelle
relativistiche è molto probabilmente legata ai processi di accelerazione di particelle che si attivano durante l'esplosione delle supernovae.
Quando gli elettroni relativistici orbitano nei campi magnetici emettono radiazione di sincrotrone. Tale emissione è molto intensa e può
essere rivelata dai radiotelescopi per studiare sia la distribuzione spaziale degli elettroni relativistici, sia i campi magnetici nelle galassie.
Le immagini sopra a destra rappresentano l'emissione radio della galassia a Spirale M 51 (pannello di sinistra) e la direzione delle linee di
campo magnetico nei bracci di spirale (pannello di destra).

Per saperne di più:


•http://www.scienzagiovane.unibo.it/
•http://www.stsci.edu/resources/
•http://www.galassiere.it/galassie.htm
I Nuclei Galattici Attivi
La radiazione emessa dalle galassie normali è, almeno in prima approssimazione, la somma
dell’energia emessa dalle stelle che le compongono. Per le galassie attive (o Nuclei Galattici Attivi,
AGN), questo non è vero. Gli AGN emettono su tutto lo spettro elettromagnetico, dalla banda radio ai
raggi gamma, e l’energia osservata risulta molto superiore alla energia “stellare”. Le teorie più
accreditate associano gli AGN alla presenza di un buco nero massiccio (da un milione a un miliardo di
masse solari) al centro della galassia ospite.
A fianco è mostrata un’immagine globale della radiogalassia NGC 4261
(pannello a sinistra). Nell’immagine sono visibili i cosiddetti lobi di Cortesia HST

emissione radio (in arancione), dovuti alla radiazione emessa da getti di


particelle cariche espulse dal nucleo centrale, che si propagano in
direzioni diametralmente opposte. In grigio-azzurro è visibile l’emissione in
banda ottica della galassia ellittica che ospita al suo centro il nucleo attivo.
Nel pannello a destra è mostrato un ingrandimento della regione nucleare,
ottenuto con il telescopio ottico Hubble Space Telescope. Questa
immagine mostra chiaramente la presenza di gas e polveri in forma di
disco o toro (diametro di circa 400 anni luce), al centro del quale si ipotizza
esserci il buco nero massiccio (vedi pannello I Buchi Neri). Il disco di
polveri è probabilmente ciò che rimane dell’incontro con un’altra galassia
avvenuto centinaia di milioni di anni fa.
A lato sono illustrati in via schematica gli elementi che si pensa costituiscano un
nucleo galattico attivo. Il getto radio e il toro di polvere sono le componenti più
Getto importanti. Il toro è circondato da nubi di gas che ruotano più o meno rapidamente
attorno al buco nero centrale; tale velocità dipende dalla distanza del gas dal buco
Nubi di alta
velocità nero, così come la velocità dei pianeti nel nostro sistema solare dipende dalla
distanza dal Sole. La velocità di rotazione di queste nubi di gas viene dedotta dalla
larghezza delle loro righe di emissione. Righe strette indicano moti lenti, righe
larghe moti rapidi. È opinione comune che parte di questo gas confluisca in un
Buco Nero Toro disco, detto di accrescimento, che circonda il buco nero centrale e dal quale la
materia pian piano viene risucchiata dal buco nero. Generalmente si assume che
Disco di tutti i nuclei galattici attivi siano caratterizzati da queste componenti. Tuttavia gli
accrescimento AGN appaiono diversi tra loro quando li osserviamo. Ciò sarebbe l’effetto della
diversa angolazione sotto cui li vediamo. Le sorgenti il cui getto punta direttamente
verso di noi, dette Blazar (linea di vista indicata dalla freccia rossa), appaiono
estremamente brillanti e puntiformi in banda radio; inoltre non mostrano righe di
emissione, poiché la radiazione del getto domina ogni altra componente. Quando
invece l’angolo di vista è perpendicolare ai getti (vedi freccia gialla), il toro di polvere
Nubi di bassa
velocità oscura sia il buco nero centrale sia la regione occupata dalle nubi veloci, e quindi
vediamo soltanto le righe di emissione strette (nubi lente). L’emissione radio in
questo caso presenta la tipica morfologia estesa delle Radiogalassie (si veda la
radiogalassia NGC 4261 in alto a sinistra e il pannello Le radiogalassie – Morfologia
Cortesia NASA
su larga scala). Le sorgenti dette Quasar, rappresentano infine un caso intermedio
(vedi freccia verde) e mostrano righe di emissione sia larghe (nubi veloci) sia strette
Cortesia J. Foster (nubi lente). La morfologia radio può essere estesa o puntiforme a seconda
Idell’angolo di vista. attivi emettono radiazione
nuclei galattici in tutte le bande dello spettro
elettromagnetico. La figura a lato mostra il getto della radiogalassia M87 in una
sovvraposizione artificiale di tre bande diverse, radio, ottico e X. A sinistra in basso si
vede il nucleo galattico brillante che dovrebbe contenere il buco nero. Tramite un
meccanismo non ancora completamente compreso, la materia nei pressi del buco
nero viene accelerata da forze elettromagnetiche e viene creato il getto che si
propaga dalla zona centrale del nucleo galattico attivo verso l’esterno.

Per saperne di più:


•http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html
Le radiogalassie – morfologia su larga scala
Quando una galassia è più luminosa in banda radio che in banda ottica viene definita radiogalassia.
Circa il 10% delle galassie ellittiche appartengono a questa categoria. La morfologia delle
radiogalassie ha una struttura intrinsecamente simmetrica, il cui centro coincide con la galassia ottica
ospitante. Due getti radio ben collimati, a volte invisibili, trasportano il materiale radioemittente fino a
grandi distanze, che spesso superano l'estensione
della galassia ottica. Le caratteristiche osservative di una radiogalassia dipendono dall’angolo di vista
sotto cui le osserviamo. Solo recentemente si è capito che oggetti con morfologie molto diverse tra loro
appartengono in realtà alla stessa categoria (vedi pannello I Nuclei Galattici Attivi).

La sorgente Cigno A, raffigurata nell’immagine a sinistra, con la sua


struttura radio doppia, simmetrica rispetto alla galassia ottica
centrale, è considerata il prototipo di radiogalassia. L'estensione
totale della struttura doppia è pari a 650 milioni di anni luce, ovvero
più di 6000 volte la dimensione della nostra Via Lattea. La parte
terminale dei lobi radio è costituita da piccole regioni di emissione
radio molto intensa (indicate in bianco nella figura), chiamate hot
spots (macchie calde). Queste definiscono il punto in cui la materia
espulsa dal nucleo centrale esaurisce la sua spinta e viene fermata
dal gas intergalattico circostante. Il trasporto della materia avviene
lungo i getti che collegano il nucleo con le regioni hot spots. La
luminosità radio totale di Cigno A è circa 1038 Watt. Questo significa
Cortesia NRAO che ogni secondo Cigno A emette 200 milioni di miliardi di volte
l’energia consumata sulla Terra nell’anno 2000.

La radiogalassia più vicina a noi è Centauro A. Essa si trova ad una


Cortesia NRAO
distanza di 16 milioni di anni luce. Nell’immagine a destra si vede
una sovvraposizione artificiale dell’emissione ottica e dell'emissione
radio. Nella banda ottica si vede una galassia ellittica gigante (in
bianco) che è circondata da una fascia di polveri (in nero)
perpendicolare all’asse di emissione radio (in falsi colori).
L’emissione radio è simmetrica, ha una forma leggermente piegata a
S e si estende ben oltre i limiti della galassia ottica.

Cortesia CSIRO

Nella maggior parte delle radiogalassie il processo di espulsione della materia e il suo
trasporto lungo i getti fino ai lobi radio può considerarsi continuo. Si osservano però
anche radiogalassie nelle quali questo processo sembra subire interruzioni, come se il
buco nero centrale si ‘spegnesse’ e venisse a mancare energia per accelerare le
particelle verso l’esterno. L’immagine a sinistra mostra un esempio. La radiogalassia
J0116-473 ha la classica morfologia doppia con due lobi giganti e un nucleo centrale. Tra
i due lobi però si osserva una struttura doppia più piccola (indicata dalle frecce), che si
ritiene sia stata prodotta da una fase attiva più recente seguita alla riaccensione del buco
nero centrale. Queste galassie in cui si osservano contemporaneamente fasi diverse e
successive della loro attività vengono studiate in dettaglio per capire come evolvono le
radiogalassie.

Per saperne di più:


http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html

Le radiogalassie ad alta risoluzione
Ottenere osservazioni ad alta risoluzione con un radiotelescopio è assai più difficile che con un
telescopio ottico. Ciò è dovuto al fatto che la capacità di vedere i dettagli di un telescopio dipende oltre
che dalle dimensioni del suo specchio, anche dalla lunghezza d’onda di osservazione. Poiché le onde
radio possono essere anche un milione di volte più lunghe di quelle ottiche, le dimensioni di un
radiotelescopio devono essere un milione di volte maggiori di quelle di un telescopio ottico per vedere
la stessa scala di dettaglio. Si pensi che alla lunghezza d’onda di 20 cm un radiotelescopio dovrebbe
avere un diametro di circa 700 metri per vedere gli stessi dettagli che noi vediamo coi nostri occhi.
Questa difficoltà è stata superata con lo sviluppo dell’interferometria radio, cioè con l’uso
contemporaneo di più radiotelescopi lontanti fra loro (vedi pannello I Radiointerferometri). Usando reti
di radiotelescopi sparsi in tutto il mondo si possono addirittura raggiungere risoluzioni molto più alte che
in ogni altra banda elettromagnetica (vedi pannello Interferometria a lunghissima base).

A destra è mostrato un collage di immagini radio, ottenute a diverse frequenze, della


radiogalassia Virgo A (M87), che si trova al centro dell’ammasso della Vergine. Virgo
A è una delle radio sorgenti più brillanti del cielo. La sua distanza dalla Terra è circa
50 milioni di anni luce. La sua struttura radio è stata osservata su scale via via più
dettagliate: da scale corrispondenti a 200,000 anni luce a scale di 0.3 anni luce.
Queste immagini sono ottenute con il Very Large Array (VLA), un interferometro in
New Mexico (USA) e con la rete interferometrica mondiale detta VLBI (vedi pannello
Interferometria a lunghissima base).
I getti radio spesso non si propagano in linea retta, ma mostrano deviazioni più o
meno grandi rispetto alla loro direzione originale. L’immagine in basso della galassia
3C31 ne è un esempio. Queste deviazioni possono essere causate dalla presenza di
grandi quantità di materia attorno al getto. Per esempio nubi di gas ad alta densità in
grado di deviare il getto. Spesso però le deviazioni osservate nei getti sono dovute a
processi interni, come variazioni del campo magnetico che collima e guida i getti.
Osservazioni sempre più dettagliate dei getti rivelano anche piccole irregolarità che ci
aiutano a comprendere l’evoluzione delle radiogalassie.

Immagini:
Cortesia NRAO

Nell’immagine a destra (ottenuta a 22 GHz) viene mostrata l’evoluzione nel corso


degli anni (dal novembre 1997 al marzo 1999) della radiogalassia 3C120. In quasar e
radiogalassie i radioastronomi hanno individuato componenti del getto che si
propagano verso l’esterno con velocità a volte apparentemente superiori alla velocità
della luce (moto superluminale). Il moto superluminale si spiega con considerazioni
geometriche, assumendo che il getto si muova ad una velocità quasi pari (ma
comunque inferiore) a quella della luce puntando verso di noi, formando cioè un
angolo molto piccolo con la nostra linea di vista.

Per saperne di più:


•http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html
I Buchi Neri

I buchi neri sono oggetti compatti nei quali tutta la materia è concentrata in un singolo punto entro cui
la massa non ha più volume ed il tempo si ferma. Attorno al buco nero si accumula materia formata da
polveri e/o stelle che, cadendo in esso, bruciano ed emettono raggi X e Gamma. Essendo però i raggi
X assorbiti dall’atmosfera della terra, è necessario l’utilizzo di satelliti per studiarne le proprietà.

Lo sapevate ?

Che i buchi neri distorcono lo spazio circostante come


illustrato nella figura a lato (pannello a sinistra).

Che i buchi neri si possono vedere per via della luce emessa
dalla materia che viene inghiottita attraverso il cosiddetto disco
di accrescimento (accretion disk nella figura a lato, pannello a
destra) e dalla materia che viene espulsa sotto forma di getto
(jets).

Che ci sono 2 grandi famiglie di buchi neri.


A) I buchi neri stellari, con masse di 1-100 volte la massa del Sole,
sono il risultato finale dell’evoluzione di stelle massicce. Quando
muoiono, la parte esterna di queste stelle viene espulsa
esplosivamente (dando luogo ad una Supernova) mentre la parte
interna implode in un buco nero (vedi pannello Come muore una
stella). A destra è mostrata un’illustrazione di come, in sistemi binari,
un buco nero può risucchiare materia dalla stella compagna. Il disco di
colore marrone nel disegno rappresenta il disco di accrescimento e si
trova attorno al buco nero stellare.

Cortesia CFA

B) I buchi neri super-massicci, ossia giganti (con masse di milioni di volte la


massa del sole), potrebbero essere presenti in tutte le galassie inclusa la nostra!
L’origine di questi buchi neri super-massicci non è ancora chiara. La teoria più
accreditata al momento prevede una crescita graduale di buchi neri più piccoli
fino a raggiungere le masse dei buchi super-massici. Poiché questo processo di
crescita impiega miliardi di anni, i buchi neri super-massici devono essere molto
vecchi.
A sinistra è mostrata una recentissima immagine a raggi X del centro della nostra
galassia, ottenuta col satellite americano Chandra.
Il puntino bianco più luminoso al centro dell’immagine corrisponderebbe al buco
nero gigante al centro della nostra galassia (la Via Lattea). Esso si troverebbe a
una distanza dalla Terra di quasi 25000 anni luce. La temperatura del gas
misurata da Chandra è 20 milioni gradi.

Per saperne di più:


•http://heasarc.gsfc.nasa.gov/docs/blackhole.html
•http://www.intpthecosmos.com/blackholes
La genesi dell'Universo

La nascita dell'Universo è spiegata dal modello del Big Bang, secondo il quale diversi miliardi di anni fa
l'Universo che vediamo al giorno d'oggi era contenuto in una piccolissima regione di spazio, ed era
caratterizzato da temperatura e densità elevatissime. Grazie ad un processo di espansione, è passato
da quello stato compatto, caldo e denso, alla sua estensione attuale, e ad una temperatura e ad una
densità assai inferiori. Il Big Bang ha lasciato una traccia, che è arrivata fino ai nostri giorni. E' la
radiazione cosmica di fondo, o radiazione fossile, una emissione a bassissima temperatura, circa -270
gradi centigradi (cioè 2.73 Kelvin), che permea tutto il cielo in modo uniforme. La sua origine risale ad
un'epoca in cui l'Universo aveva solo mezzo milione di anni.

La radiazione fossile, la cui esistenza era stata postulata negli anni


40, fu scoperta per caso solo nel 1964. Per questa scoperta Penzias
e Wilson vinsero il Premio Nobel per la fisica nel 1978. Da allora le
nostre conoscenze sulle sue caratteristiche sono molto cambiate.
La radiazione fossile pervade tutto l'Universo, ma a causa della sua
bassissima temperatura non è facilmente rivelabile. Grazie alle
missioni spaziali dell'ultimo decennio si è visto che la radiazione
fossile non è così uniforme come inizialmente osservato e ipotizzato,
ma presenta delle disomogeneità.
Nel pannello a sinistra è riportata una immagine della radiazione
cosmica di fondo ottenuta con ill satellite spaziale WMAP (Wilkinson
Microwave Anisotropy Probe). Qui si può notare che la distribuzione
della temperatura non è omogenea, ma sono presenti delle zone più
calde (in rosso) e altre più fredde (in blu). E’ interessante notare che
Cortesia di NASA WMAP team le differenze di temperatura di cui si parla sono solo di pochi
milionesimi di grado!
Cortesia di HST
L‘esistenza delle fluttuazioni di temperatura della radiazione
fossile è un tassello fondamentale per comprendere come si
è arrivati all'Universo dei nostri giorni.
Le piccolissime variazioni di temperatura scoperte
recentemente, corrispondono a piccolissime fluttuazioni di
densità della materia primordiale, e si pensa che gli
agglomerati di materia dell'Universo, sotto forma di stelle,
galassie e ammassi di galassie, siano nati proprio da queste
fluttuazioni primordiali di densità, che si sarebbero
accresciute nel tempo in seguito all'azione della forza di
attrazione gravitazionale.
La figura a destra riporta tre diversi momenti della vita
dell'Universo: la prima immagine in alto rappresenta lo stato
primordiale di fluttuazioni di densità della materia; nel
pannello centrale si può notare che la materia è concentrata
in filamenti (regioni chiare), la cui densità è molto maggiore
rispetto a quella delle fluttuazioni. Nelle regioni di
intersezione tra i filamenti si creano le condizioni di densità
per la formazione galassie e ammassi di galassie, visibili nel
pannello in basso.

Per saperne di più:


•http:/l www.stcsi.edu
•http://lambda.gsfc.nasa.gov/product/cobe
•Pannello La Materia Oscura nell’Universo
Galassie nel tempo

Poiché la luce viaggia ad una velocità finita, pari a 300.000 km/s, quando gli astronomi osservano
oggetti lontani, stanno guardando indietro nel tempo. La luce emessa dal Sole impiega otto minuti per
raggiungere la Terra, dunque guardando il Sole noi lo vediamo come era otto minuti fa. La maggior
parte delle stelle visibili ad occhio nudo dista dai 10 ai 100 anni luce da noi, quindi noi le vediamo
com'erano 10 – 100 anni fa. Si ritiene che l'Universo abbia circa 14 miliardi di anni, e per questo,
osservando oggetti posti a distanze via via maggiori, vediamo come essi erano milioni o miliardi di anni
fa. Così possiamo studiare come le stelle e le galassie sono cambiate durante l'espansione e
l’evoluzione dell'Universo. Le galassie più lontane che gli astronomi hanno osservato finora ci appaiono
com'erano una decina di miliardi di anni fa, cioè quando lUniverso aveva solo un terzo dell’età attuale.

Il telescopio spaziale Hubble ha aperto una finestra speciale sull'Universo


lontano. Osservando la stessa regione di cielo per tempi molto lunghi
(diversi giorni) è possibile vedere oggetti debolissimi e distantissimi, la cui
origine risale al momento in cui si pensa si siano formate le prime galassie.
L’immagine a destra, ottenuta con il telescopio Hubble, presenta un
dettaglio dell’immagine ottica più profonda attualmente esistente (Hubble
Ultra Deep Field). Questa immagine raffigura una regione piccolissima di
cielo (non più grande di quello che vedremmo se osservassimo il cielo con
una cannuccia da bibite) ma ci permette di fare un viaggio nel tempo
cosmico. Le galassie più grandi sono molto vicine a noi, mentre gli oggetti
più piccoli sono galassie lontanissime, che noi vediamo com'erano una
decina di miliardi di anni fa. In corrispondenza della galassia rossastra al
centro di questa immagine c'è un oggetto molto particolare: un arco bianco-
azzurro. Questa forma ad arco è in realtà un’illusione ottica. L'arco è
l’immagine distorta di una galassia lontanissima, la cui forma ci appare
modificata a causa della presenza di un oggetto molto massiccio che si
trova lungo la nostra linea di vista. Questo fenomeno è chiamato lente
gravitazionale (vedi pannello La Materia Oscura nell'Universo).
L'attrazione gravitazionale tra corpi celesti è uno dei
Le immagini profondissime ottenute grazie al telescopio spaziale Hubble
fenomeni più importanti dell'Universo. Sia le galassie che gli
mostrano che le galassie lontane hanno forme irregolari, che si discostano
ammassi di galassie (vedi pannello Ammassi di Galassie) si
dalla classificazione usuale (vedi pannello Cosa sono le Galassie); esse
muovono a velocità elevatissime, dell'ordine di migliaia di
sono circondate da materiale luminoso diffuso, e spesso hanno delle
chilometri al secondo, e questo causa continui scontri e
galassie compagne, con cui sono in interazione gravitazionale.
incontri ravvicinati tra loro. Grazie a questo fenomeno, le
galassie e gli ammassi di galassie cambiano il proprio
aspetto nel tempo. Ad esempio, il risultato dello scontro
gravitazionale tra due galassie può essere una unica
galassia gigante. Le due figure a fianco sono due esempi di
sistemi di galassie in interazione. In entrambi i casi gli
oggetti raffigurati sono fisicamente vicini nel cielo (e non
soltanto per proiezioni prospettiche), sono in interazione
gravitazionale tra loro, ed il loro destino sarà quello di
fondersi in un unico oggetto massiccio.
L'Universo dunque non è rimasto immutato. Durante la
propria espansione, cambiamenti di densità e di
temperatura portano ad una continua evoluzione e
trasformazione di tutti gli oggetti che lo popolano, e noi oggi
siamo in grado di ricostruire, attraverso I nostri studi, il
Immagini: percorso evolutivo che ha portato fino ai nostri giorni.
Cortesia di NASA ed ESA

Per saperne di più:


•http:/l www.stcsi.edu
•http://lambda.gsfc.nasa.gov/product/cobe
•Pannello La Materia Oscura nell’Universo
•Pannello Zoom Cosmico
Ammassi di galassie

Gli ammassi di galassie sono le strutture più grandi dell'Universo. Contengono migliaia di galassie,
legate tra loro grazie alla forza gravitazionale. Le galassie che li costituiscono presentano una grande
varietà di morfologie, dimensioni, luminosità, e contengono popolazioni di stelle che possono essere
molto diverse tra loro (vedi pannello Cosa sono le Galassie). Oggi si pensa che gli ammassi si formino
per accrescimento di strutture più piccole, come gruppi di galassie o anche galassie singole, grazie
all’attrazione gravitazionale reciproca.
Galassie ed ammassi di galassie hanno mutato il
loro aspetto al trascorrere del tempo cosmico in
seguito ai continui scontri e incontri reciproci, che
hanno luogo sotto l’effetto della forza di attrazione
gravitazionale.
Gli ammassi di galassie più giovani del nostro
Universo, ovvero quelli che si sono formati più
presto e quindi in un epoca più prossima al Big
Bang, hanno un aspetto molto filamentare e le
galassie sono ancora lontane le une dalle altre. Un
esempio è riportato a lato nel pannello di sinistra, in
cui è visibile un ammasso di galassie in via di
formazione. Le galassie all'interno dei cerchietti
azzurri sono parte dello stesso proto-ammasso, la
cui galassia principale è l'oggetto verde al centro
dell'immagine. Nel pannello a destra è mostrato un
ammasso di galassie più evoluto. Le due galassie
rosse vicine, nel centro gravitazionale
dell'ammasso, sono probabilmente in interazione e
col tempo diventeranno una unica galassia Cortesia di NASA, ESA STScI
massiccia. Rispetto al proto-ammasso mostrato a
sinistra, si nota una maggiore densità di oggetti
attorno alle due galassie centrali. Gli ammassi di galassie più vecchi sono caratterizzati dalla presenza di galassie
molto massicce situate nel loro centro gravitazionale. Un esempio è l'ammasso di
galassie di Perseo, rappresentato nella figura a sinistra.
Gli ammassi di galassie sono costituiti da diverse componenti fondamentali, quali
materia luminosa, gas intergalattico, campi magnetici, e infine materia oscura.
E’ interessante notare che la materia oscura è la componente più abbondante negli
ammassi, costituendo una frazione di circa l'80% (vedi pannello La Materia Oscura
nell'Universo).
La materia luminosa, solo ~5% di tutta la massa negli ammassi, è quella che
vediamo sotto forma di luce visibile, e ci dice come sono distribuite le stelle e le
galassie. Queste ultime, grazie alla loro forma, colore, distribuzione, ci danno
importanti informazioni sulla storia della formazione dell'ammasso in cui si trovano.

Cortesia di California Institute Cortesia di NASA, CXC, ESO, VLT, P. Rosati


of Technology, STScI

Gli ammassi di galassie sono permeati da un gas molto caldo, che si estende
approssimativamente sull’intera regione occupata dalle galassie dell’ammasso, e la cui
massa ammonta a circa il 15% della massa totale dell’ammasso. Questo gas
intergalattico ha temperature elevatissime, dell'ordine di decine di milioni di gradi, e per
questo motivo si trova in uno stato completamente ionizzato. Esso è rivelabile grazie
alla propria emissione termica chiamata Bremsstrahlung, che lo rende visibile nella
regione dei raggi X dello spettro elettromagnetico (vedi pannello I meccanismi di
emissione). La figura a destra è una impressionante immagine della distribuzione del
gas caldo (in viola) sovrapposta ad un’immagine a colori delle galassie dell’ammasso.
Come si vede, il gas permea la maggior parte dell'ammasso. Allontanandosi dal centro
dell'ammasso (regione centrale in viola chiaro) la densità del gas intergalattico
diminuisce e anche l'emissione cala (regione in viola scuro).

Per saperne di più:


•http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html
•http://oposite.stsci.edu
Emissione radio in ammassi di galassie
Una caratteristica importante degli ammassi di galassie è la loro emissione radio, che può provenire sia
da singole galassie, che dalla regione di spazio nella quale si trova anche il gas intergalattico (vedi
pannello Ammassi di Galassie). Il meccanismo che produce questa emissione radio è chiamato
sincrotrone (vedi pannello I Meccanismi di emissione), e richiede la presenza di elettroni che si
muovono all'interno di un campo magnetico a velocità prossime alla velocità della luce (300.000 km/s).

Cortesia di NRAO

Getto
Coda
Getti
Getti

Lobi

Lobi Getti
ripiegati

Il fenomeno radiogalassia è generato dalla presenza di un buco nero massiccio, situato nel centro della galassia ottica (vedi pannelli I Buchi
Neri e Le radiogalassie), Alle frequenze radio, una delle conseguenze principali del buco nero centrale è la presenza di getti radio, che
possiamo visualizzare come dei canali simmetrici rispetto alla galassia, che trasportano plasma relativistico fino a distanze che possono
essere molto più grandi rispetto all'estensione della galassia stessa. L'aspetto di una radiogalassia dipende dall'ambiente nel quale si trova.
Le galassie che si trovano in un ambiente denso, come ad esempio un ammasso di galassie, di solito si muovono al suo interno ad alta
velocità (da qualche centinaio a oltre un migliaio di km/s); e questo moto causa delle deformazioni rispetto alla struttura radio simmetrica. Le
tre figure in alto raffigurano tre radiogalassie, il cui aspetto dipende dall'ambiente esterno. In tutti i pannelli le galassie ottiche sono
raffigurate in blu e l’emissione radio è rappresentata in rosso. La figura a sinistra riporta una radiogalassia classica, con getti simmetrici che
a grande distanza confluiscono in emissione diffusa formando strutture chiamate lobi. La figura al centro rappresenta una radiogalassia che
si muove a bassa velocità rispetto all'ambiente in cui si trova. Si nota che la radiogalassia ha perso la propria struttura simmetrica: i getti
sono piegati ed i lobi sembrano avvolgersi su se stessi. Il caso più estremo di questa sequenza è raffigurato nella figura a destra. Questa
galassia si muove ad elevata velocità rispetto all'ambiente circostante, e la radioemissione è completamente ripiegata indietro, formando
una lunga scia, che i radioastronomi chiamano coda. La direzione delle code ci dice qual'è la direzione del moto delle galassie, e questo è
importantissimo per ricorstruire l'evoluzione dinamica degli ammassi.
Cortesia di L. Feretti
Cortesia di California Institute of Technology, STScI

Le osservazioni in banda radio e quelle in banda ottica forniscono


due visioni complementari degli ammassi di galassie. Le due
immagini a fianco raffigurano la stessa regione di cielo per un noto
ammasso di galassie (Perseo) in banda ottica (a sinistra) e in
banda radio (a destra). Il centro dell'ammasso è occupato dalla
galassia ellittica NGC1275, che è una radiosorgente circondata da
emissione radio molto estesa. Le due galassie NGC1265 ed
IC310 si muovono ad alta velocità verso il centro dell'ammasso,
come suggerito dalla direzione delle loro code di radioemissione.

Dalla metà degli anni '90, osservazioni radio effettuate con i più moderni radio interferometri hanno rivelato
che gli ammassi di galassie sono permeati da emissione radio diffusa non associabile a singole
radiogalassie. Queste sorgenti estese sono chiamate aloni radio e testimoniano l’esistenza di campi
magnetici ed elettroni relativistici, distribuiti su scale molto grandi, confrontabili con le dimensioni
dell’ammasso. L'esistenza degli aloni radio è spiegabile attraverso il meccanismo di formazione degli
ammassi stessi, chiamato cluster merger. L'enorme quantità di energia gravitazionale liberata durante la
formazione degli ammassi di galassie è in grado di amplificare l'intensità dei campi magnetici esistenti
nello spazio intergalattico e di accelerare popolazioni di elettroni alle elevatissime velocità richieste per
poter dare luogo all’emissione di sincrotrone. Nella figura a sinistra è mostrata l'immagine ottica in falsi
colori dell'ammasso di galassie Abell 1914, a cui sono sovrapposti i contorni di emissione radio (in nero).
Cortesia di F. Govoni

Per saperne di più:


•http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html(immagini in banda X)
•http://oposite.stsci.edu/pubinfo/pictures.html (immagini Telescopio Spaziale Hubble)
• http://www.nrao.edu/imagegallery/php/level1.php
La materia oscura nell'Universo

In astronomia è possibile rivelare un corpo celeste attraverso l'osservazione diretta, oppure misurando
gli effetti che la sua presenza esercita su di un altro corpo. Si è così scoperta la cosiddetta materia
oscura, cioè materia invisibile che può essere rivelata solo grazie agli effetti gravitazionali che essa
esercita sugli altri corpi celesti. Di fatto la maggior parte (almeno l'85%) della materia contenuta nel
nostro Universo è materia oscura. Essendo così abbondante, essa è anche la principale sorgente di
forza gravitazionale del nostro Universo e pertanto ha giocato e gioca un ruolo importante nella sua
formazione ed evoluzione.
Gli ammassi di galassie sono uno dei principali indicatori di materia oscura. Dal
Cortesia di NASA (A. Fruchter), STScI (S. Baggett, Z. Levay)1930, infatti, sappiamo che le velocità delle galassie in ammasso sono molto
elevate, e che per non lasciare l’ammasso e disperdersi nello spazio, devono
essere trattenute da una forza gravitazionale maggiore di quella deducibile
dalla massa visibile nell’ammasso.
Un’evidenza più recente di materia oscura deriva dalle osservazioni con il
telescopio spaziale Hubble. Esse hanno portato alla scoperta dei cosiddetti
archi gravitazionali, fenomeno previsto dalla relatività generale di Einstein. Un
esempio spettacolare è riportato nella figura a sinistra. L’ammasso Abell 2218
agisce come una potente lente gravitazionale, che amplifica e distorce
l’immagine di galassie poste molto più lontano, le quali assumono una forma
Abell 2218 ad arco attorno alle galassie più massicce dell’ammasso. La quantità di massa
necessaria per produrre questo effetto di lente è molto maggiore della massa
visibile sotto forma di galassie e gas.
L'importanza di questo fenomeno è duplice. Oltre a rivelarci la presenza di massa oscura, permette anche di studiare galassie deboli e
lontane che, senza questo effetto di amplificazione, non sarebbero visibili con la strumentazione attuale.
Cortesia di MACHO Collaboration
Un'altra prova importante della presenza di massa oscura deriva dall’analisi della
rotazione delle galassie a spirale. Questo studio, iniziato attorno al 1970, si basa sul fatto
noto che queste galassie ruotano attorno al loro centro di massa, così come i pianeti
ruotano attorno al Sole, seguendo le leggi di Keplero: le diverse regioni delle singole
galassie ruotano con velocità che dipendono dalla loro distanza dal centro galattico
(rotazione differenziale, vedi pannello Le galassie a spirale) e dalla massa contenuta
all’interno dell’orbita che percorrono.Con grande sorpresa si è scoperto che le velocità di
rotazione misurate nelle zone più esterne delle galassie sono molto maggiori di quanto ci si
aspetta sommando la massa delle stelle e del gas. Un esempio è riportato nella figura a
destra in alto, che mostra la velocità di rotazione misurata a diverse distanze dal centro
(punti) e quella prevista (linea denominata disk) per la galassia a spirale NGC 3198. Per
spiegare le alte velocità nelle regioni più esterne si ipotizza l'esistenza di un alone di
materia oscura, il cui contributo segue la linea denominata halo. R
La materia oscura rappresenta un vero e proprio problema per gli astronomi. Non potendo
osservarla direttamente, non si sa da che cosa sia formata e si stanno formulando alcune T
ipotesi. Al momento si sono individuate due grandi famiglie di possibili costituenti: materia
oscura di tipo barionico e materia oscura non barionica. A sua volta la materia oscura non R
barionica può essere divisa in due famiglie: materia oscura fredda (Cold Dark Matter) e
materia oscura calda (Hot Dark Matter). La materia oscura barionica sarebbe materia T
ordinaria come la conosciamo, ma raccolta sotto forma di oggetti compatti molto massicci
la cui osservazione diretta è al momento impossibile o molto difficile. Esempi di questa R
famiglia sono stelle molto piccole, e oggetti compatti collassati quali le nane bianche, le
stelle di neutroni e i buchi neri (vedi pannello Come muore una stella). Purtroppo però non T
c'è prova che questi oggetti siano così abbondanti nell'universo da fornire tutta la massa
Cortesia di N. Wright
necessaria.
La materia oscura non barionica calda sarebbe costituita da particelle massive che viaggiano a velocità prossime a quella della luce (ad
esempio neutrini). Il problema principale che presenta tale ipotesi è che tale materia sembra aver bisogno di troppo tempo per aggregarsi a
formare le galassie. La materia oscura non barionica fredda rappresenta allo stato attuale l'ipotesi più accreditata. Tale materia potrebbe
essere costituita da particelle sub-atomiche massive che viaggiano ad una velocità molto minore di quella della luce (ad esempio il fotino o il
neutralino). Però nessuna di queste particelle è mai stata osservata fino ad oggi.
La presenza di materia oscura nell'Universo influenza profondamente sia la geometria che l'evoluzione dell'Universo stesso. Nella figura a
destra in basso sono riportate l'evoluzione del raggio dell'Universo (R) in funzione del tempo (T) e una rappresentazione grafica della
geometria dell'Universo nel caso chiuso, piatto ed aperto (dal basso verso l'alto, rispettivamente). Il nostro Universo continuerà ad
espandersi indefinitamente (caso aperto e piatto) o ricollasserà su se stesso dopo un certo tempo (caso chiuso) a seconda della quantità di
materia oscura presente nell'Universo stesso.

Per saperne di più:


•http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html(immagini in banda X)
•http://oposite.stsci.edu/pubinfo/pictures.html (immagini Telescopio Spaziale Hubble)
• http://www.nrao.edu/imagegallery/php/level1.php
•Pannello La genesi dell’Universo

Potrebbero piacerti anche