Sei sulla pagina 1di 6

Nessuno ti ricorderà

uno

Era il tredici novembre dell'anno 2003.


Quando penso a quella mattina, mi sembra di indossare ancora i vestiti che avevo allora. Vedo
quel corridoio dalle pareti bianche, provo ancora la sensazione di vivere quella giornata.

Ci eravamo alzati presto, avevamo lasciato i bimbi a scuola ed eravamo usciti insieme.
Giorno di ferie, giorno di ecografia.
Pensavamo di sbrigarci in un paio d'ore; poi saremmo andati a comprare il letto a castello per la
cameretta dei bimbi.
Il letto a tre posti.
Avremmo preso Giova, pranzato insieme, poi tutti a scuola ad attendere Francesca.
E lei uscendo avrebbe chiesto se era in arrivo un fratellino o una sorellina.

La dottoressa ci fece accomodare, e sullo schermo apparve una testina.


Era una specializzanda, sembrava un po' impacciata.
Entrò un'altra dottoressa, e la prima disse qualcosa sottovoce. Io non capii.
Si rivolsero a noi.
"Per fare l'ecografia è meglio aspettare che arrivi il dottor Orsini, accomodatevi qui fuori."
Questo non era mai accaduto.
"Qualcosa non va?" Chiese mia moglie.
"Non riusciamo a prendere bene le misure pechè e girato."

Andammo al bar. La colazione faceva fatica ad andare giù.


Poi tornammo in sala di attesa. Cercavo di ostentare tranquillità, senza riuscirci.
Attendevamo il ginecologo come due lebbrosi attendono Gesù di Nazareth.
Un'ora era trascorsa, lo vedemmo arrivare lungo il corridoio.

Ci chiamarono, entrammo.
Eravamo in tanti dentro l'ambulatorio, io rimasi sulla porta.
Monica si mise sul lettino e disse "Fausto, vieni qui."
Mi avvicinai, le strinsi forte la mano e guardai in basso.
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo nè quello di Orsini, non riuscivo ad alzare gli occhi verso
lo schermo.
Fissai lo scaletto di acciaio per un tempo lunghissimo.
Poi Orsini girò il volto verso di noi e disse "ci sono dei problemi".
La spiegazione fu lunga, eravamo smarriti, ma sul significato delle parole non vi erano dubbi.
"Ci potrebbero essere gli estremi per un'interruzione di gravidanza." Concluse.
Monica si rivestì davanti a tutta quella gente, poi si sedette sul bordo del lettino. "Non voglio
che vada avanti." Disse.
E si mise a piangere.

Di Benedetta mi rimangono poche immagini.


Quando vidi sullo schermo le sue gambine e il suo sedere, pensai in un attimo che sarebbe stato
bello poterla coccolare, vezzeggiare, lavare.
Dare dei baci a quella piccola schiena.
Ma era troppo tardi.
Lei si muoveva, era ancora viva, ma già morta.
Avevamo deciso.

Era quasi mezzogiorno, eravamo in reparto per gli esami e le pratiche del ricovero.
Dovevo avvertire gli altri.
"Signora, sono io. Non ci aspetti per pranzo."
"Qualcosa non va?"
"Sì, la bambina ha dei problemi, e Monica sarà ricoverata. La gravidanza non deve andare
avanti."
Chiusi la comunicazione prima di sentire la risposta.
due

Quell'estate eravamo andati in vacanza nel Gargano.


Monica attendeva da qualche giorno le mestruazioni.
Una mattina a colazione disse: "Qualcuno sta cuocendo dei fagiolini."
Io non sentivo niente.
Lei rise.
In una farmacia a Peschici comprammo il test.
Che funzionò.
Quel giorno sorridevamo, un po' rassegnati ma felici.

I bambini lo seppero un mese dopo, e furono contenti.


L'unico che la prese male fu mio suocero: in casa sua era proibito parlarne.
Col tempo tutti finimmo col mettere la cosa in secondo piano, chi più chi meno.
E in giro l'annuncio venne dato con molto ritardo.
Alcuni lo seppero una settimana prima che tutto fosse finito.

Questo accadeva nella mia vita precedente, quando i progressi di Giovanni facevano un curioso
contrasto con l'idea di un nuovo ciclo di notti insonni e pannolini.
Quando una tazza di caffè, una foglia di insalata o una fetta di prosciutto avevano un altro
sapore per mia moglie e per me.
Quando sembrava che tutto fosse null'altro che una normale attesa, un film già visto, dove
l'unica variante nel finale era il colore dei vestitini.
Era la vita di un'altro uomo, con un futuro diverso che non mi appartiene.
Ci sarebbero state delle serate passate in cinque sul divano a vedere cartoni animati, pranzi e
cene a cinque attorno ad una tavola un po' stretta, vacanze per cinque, un'altro primo giorno di
asilo, e tante altre cose ancora.
Cose che non mi spettano più.
Posso immaginare un mondo parallelo, con un altro me stesso che per un semplice differente
esito statistico sta vivendo nella famiglia che prima immaginavo, nel futuro che prima mi
attendeva.
Tempo fa la pubblicità di una nuova compagnia telefonica recitava questa frase: "Il futuro che
non c'era."
Il senso era un'altro, ovviamente.
Ma la frase va bene anche per me, anche per noi.
tre

Credevo di morire dal dolore, ma non è accaduto.


Stava venendo sera, e Francesca usciva da scuola sorridendo.
"E' un fratellino o una sorellina?" Fu la prima cosa che chiese.
La presi in disparte e le dissi che era una sorellina, ma nella pancia si era molto ammalata ed
era andata in cielo.
Giovanni era con me, ma non capiva una virgola.
Monica era rimasta in casa da sola.
Francesca cominciò a piangere forte, due sue compagne si avvicinarono per chiederle qualcosa.
"La mia sorellina!"
Qualcuno guardava, io non sapevo cosa fare.
Salimmo in auto. Lei continuò a gridare fino a casa.
Credevo di morire di dolore, ma non è accaduto.
Sono ancora vivo.
quattro

Benedetta è venuta alla luce alle tre del mattino di sabato.


Pesava due etti e mezzo.
Negli ultimi minuti del parto le ostetriche mi hanno fatto uscire.
Monica ha detto che era tutta scura e sembrava un gattino.
Mi chiedo se è morta durante gli sforzi del travaglio, oppure se ha tenuto duro fino a quando
hanno tagliato il cordone.
Mi chiedo quanto può avere sofferto, e in che maniera.
Monica venne portata in sala operatoria.
In reparto l'infermiera mi chiese di lei.
"E' tutto finito." risposi.
Poi andai fuori ad aspettare mia moglie.
cinque

Nella Certosa c'è un chiostro dove le tombe sono adorne di girandole e giochi per bambini,
Un curioso contrasto col resto del cimitero.
Metà del chiostro è riservato ai bimbi nati morti, l'altra metà agli aborti.
Da una parte per terra trovi oggetti, decorazioni, giochi.
Dall'altra una serie di piccoli cartelli numerati.
Nessun nome, alcuni fiori.
Lì stanno i dimenticati, gli indesiderati, i malati.
Lì verrà sepolta Benedetta.
Ci faranno sapere sotto quale numero, così potremo andare a trovarla, se ci teniamo.
Nel giro di qualche anno la toglieranno, per fare posto ad altri.

Era il mercoledì delle ceneri.


Erano le due del pomeriggio, faceva freddo.
Mi sono fermato a comperare una rosa, e mi sono avviato tra le tombe, in cerca di Benedetta.
Sono arrivato al campo comune, e mi sono guardato intorno cercando tra i filari di cartellini
quello con la scritta giusta: U176.
Ho alzato lo sguardo e l'occhio mi è caduto su una trincea di terra smossa.
Mi sono avvicinato, ho messo la rosa e sono rimasto per qualche minuto di fronte alla tomba di
mia figlia.
Non c'era nessuno, così ho potuto piangere in pace.
U 176.
Non hai avuto diritto nemmeno ad una tomba.
Riposa in pace, bambina mia.
Il tempo spazzerà via tutto, anche queste poche righe.
Nessuno ti ricorderà.

Potrebbero piacerti anche