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Pyrgi fu uno dei porti di Caere, probabilmente dell'abitato Leucotea. Il santuario si articol nel tempo in una complessa serie di edifici. Era delimitato da un muro di temenos (il confine sacro), sul cui lato Nord si apriva, con un grande propileo a blocchi, la maestosa via di collegamento con Caere e realizzata probabilmente nella prima met del VI sec. a.C. L'area sacra fu collegata almeno dall'inizio del VI sec. con le funzioni commerciali ed emporiche dell'insediamento, di discreta estensione. Alla fine del VI sec. a.C., il re di Caere Thefarie Velinas avvia un grandioso programma edilizio, finalizzato a conferire al complesso una notevole monumentalit. il principale. si A Sud un antico svilupp
Area Sacra
L'area sacra si trova in aperta pianura, tra l'abitato antico e la spiaggia, delimitata da un Temenos (recinto sacro), del quale sono stati portati alla luce i lati di sud-est e nord-est; quest'ultimo presentava la porta d'ingresso principale al santuario. Il rinvenimento di alcune antefisse a testa femminile di stile ionico, la presenza di un edificio di culto, purtroppo non ancora identificato, ed una frequentazione a partire almeno dalla met del VI sec a.C., attestano che il santuario conobbe il momento di maggior splendore nel 510 a.C., anno che vide l'avvio di massicci interventi edilizi, tesi a trasformare un'area depressa nel pi imponente e prestigioso santuario dell'Etruria Meridionale. Inoltre, il sito fu uno dei tre porti delletrusca Caere (attuale Cerveteri). Il posto era rinomato il tutto il mondo mediterraneo per la presenza del santuario dedicato alla divinit femminile Leucotea-Ilizia, letrusca Uni. Gli scavi hanno rivelato la presenza di almeno due templi provvisti di una ricca decorazione architettonica denominati Tempio A, Tempio B, un'area sacra C, famosa per le lamine d'oro, nonch di un edificio rettangolare, suddiviso in cellette, addossato al muro di recinzione del santuario, con un propileo di accesso aperto sulla via Caere-Pyrgi, che gi nel VI sec. a.C. collegava il porto di Pyrgi all'antica Caere. Sappiamo che il santuario intorno al sec. IV-III a.C. ebbe una rinnovata fioritura.
Il Tempio A
Il Tempio A fu eretto circa nel 460 a.C., adiacente al gi esistente B, con analogo orientamento ma molto pi maestoso. Presentava una pianta con tre celle parallele disposte sul fondo e precedute da un colonnato compreso tra i prolungamenti delle pareti laterali, secondo uno schema tipico degli edifici sacri etruschi. Le colonne erano realizzate in tufo intonacato ed i capitelli erano in peperino. Entrambi i lati corti erano decorati da un frontone aperto con altorilievi, dei quali il pi sontuoso ed eccezionale fu senz'altro quello posteriore, sia per la composizione della scena che per la tecnica di lavorazione e montaggio delle lastre sulle testate del columen e dei mutuli (rispettivamente travi principale e laterali longitudinali del tetto). Gli episodi raffigurati sono riferibili alla saga dei Sette contro Tebe, scelta che rivela da parte dei committenti una profonda conoscenza del mito greco e un'intensa religiosit. Analoga cura fu riposta nell'esecuzione dell'apparato decorativo della facciata del tempio A, del quale ci sono pervenute solo quattro figure, quale sostituzione columen, del solo circa altorilievo 325 a.C. del a datate
dimostrazione che nell'operazione dello smontaggio dei due templi non tutto fu conservato all'interno dei due pozzi disposti davanti la facciata.
Il Tempio B
Il tempio denominato B, il primo realizzato, risale alla fine del sec. VI a. C.; di tipo greco con un'unica lunga cella circondata da quattro colonne sul lato frontale e sei sui lati laterali. Il portico posteriore, tra cella e colonnato, notevolmente pi stretto lateralmente rispetto alla larghezza del prospetto.
Il tetto, coperto da tegole piane e coppi semicilindrici secondo il sistema detto "siciliano", presentava una ricca decorazione policroma, attestata dai numerosi rinvenimenti nonch due frontoni aperti ornati da altorilievi con soggetti per lo pi inerenti al mito di Eracle.
MURLO
Le prime tracce d'insediamenti umani in quest'area risalgono all'epoca etrusca (VII e VI sec. a.C.) alla quale appartengono i numerosi reperti provenienti dal celebre complesso architettonico di Poggio Civitate, situato a sud-est di Murlo. In quest'area archeologica, varie campagne di scavi, hanno portato alla luce i resti di due importanti edifici, l'uno orientalizzante e l'altro arcaico.
del VI secolo a.C.), dove gli Etruschi pensavano si trovasse lAldil. La tomba, inserita in un tumulo, un unicum per la disposizione e la funzione degli ambienti. Di grande interesse sono le due camere laterali che si aprono ai fianchi del dromos a cielo aperto. Quella di destra presenta, in un angolo, una mensa dalle gambe concave, per probabili piccoli sacrifici di animali. Quella di sinistra presenta un arredamento inusuale: cinque piccole poltrone ad elementi lineari, con spalliera cruciforme, poggioli che scendono dallalto verso il basso e sgabelli poggiapiedi il tutto scavato nel tufo. Allangolo, tra la parete di fondo e quella di destra, modellato una sorta di cesto scanalato di forma cilindrica. In origine questa camera presentava anche altri arredi, ora andati perduti: due piccole mensae (mense) poste di fronte alle sedie, due troni con spalliera ricurva situati su una pedana rettangolare comune, un altarino con tre cavit circolari a coppella per libagioni, posto a destra dellingresso. Tutto il mobilio stato realizzato scolpendolo nella roccia tufacea. La cella, priva di banchine per deposizioni, costituisce leccezionale testimonianza di un piccolo ambiente del culto funerario annesso al monumento sepolcrale. Sulle cinque sedie, erano originariamente sedute altrettante statuette (alte 48 cm circa), in terracotta, a figura umana, in vesti cerimoniali del tardo periodo orientalizzante, in atto di compiere unofferta. Secondo la tesi pi accreditata, esse sono da identificare con le immagini degli antenati dellaristocratica coppia destinata ad essere sepolta nella tomba attigua, rappresentati, nel momento del banchetto funebre, in atto di compiere libagioni. In particolare queste statue rappresenterebbero le coppie dei genitori dei due proprietari della Tomba e il nonno capostipite dellaristocratica famiglia. Le cinque statuette degli avi costituirebbero una delle attestazioni pi significative del culto riservato agli antenati dalle grandi famiglie gentilizie dellepoca.
Questa camera, cos sontuosamente arredata, era evidentemente un ambiente di culto, dove aveva un gran peso il significato del banchetto funebre. La presenza dei due troni, riservati simbolicamente ai due probabili defunti, deposti nella tomba, pu essere interpretata come simbolo della potestas e del rango sociale del pater e mater familias. Le due probabili sepolture, si trovano in altrettante klinai situate nella camera principale che presenta una banchina lungo le pareti e un soffitto displuviato, sostenuto da un columen centrale e due travi laterali. Questa stanza, a sua volta, messa in comunicazione con gli ambienti di culto per mezzo di due piccole celle. La mancata separazione di questi ambienti starebbe a significare il collegamento simbolico con la continuazione della vita anche dopo la morte. E probabile, quindi, che la Tomba fosse riservata a due sole deposizioni e che i due troni dovessero accogliere le immagini dei due defunti che partecipavano, assieme ai loro antenati, seduti sui cinque seggi, ad un banchetto cerimoniale immaginato nelloltre tomba.
VEIO
Le Tombe Dipinte
Veio etrusca ha restituito due soli ipogei dipinti, ma lecito affermare che entrambi rappresentano un caso esemplare della storia della megalografia funeraria etrusca: l'una la Tomba delle Anatre - perch insieme alla tarquiniese Tomba delle Pantere si colloca agli albori della pittura tombale in Etruria, l'altra - la Tomba Campana - per la profusa ricchezza del suo apparato decorativo di ispirazione orientalizzante, tanto da essere considerato il pi notevole ciclo pittorico figurato di quella fase. La Tomba delle Anatre cos chiamata dal soggetto animalistico rappresentato e appartiene alla rarissima categoria delle tombe dipinte di epoca Orientalizzante (prima met del VII secolo a.C.), la cui origine coincide con la nascita stessa della tomba a camera in Etruria; il sepolcro ad ambiente unico con soffitto a quadruplice falda, anch'esso affrescato. Sulle pareti, al di sopra di uno zoccolo colorato, sono stilizzatamente rappresentati i cinque volatili in fila, secondo la tecnica della silhouette. La scelta iconografica appare strettamente collegata a quella della coeva ceramica etrusco-geometrica, peraltro molto diffusa anche nella stessa Veio (Pittore Castellani), nel quale le piccole figure di volatili animavano le superfici altrimenti campite con motivi prevalentemente lineari. I colori sono applicati direttamente sulle pareti rocciose, previa levigatura delle superfici ma senza che prima vi venga gamma stesa alcuna in preparazione.La cromatica
questo periodo cos antico ancora poco variegata e ruota sui toni del giallo, del rosso e del nero. Altrettanto particolare, benche di pi sontuosa ed eclettica ispirazione, il secondo complesso dipinto, la Tomba Campana: si tratta di un tumulo all'interno del quale furono ricavate due camere poste sullo stesso asse. Altri due ambienti affacciavano direttamente dal dromos, quest'ultimo tagliato nella roccia a cielo aperto. Sia all'ingresso del dromos che della prima camera funeraria erano stati collocati due leoni funerari in pietra a guardia del sepolcro. La decorazione originaria, oggi sfortunatamente perduta, ricostruibile: nella prima camera si concentra la maggior parte delle figurazioni dipinte. Ai lati della porta che sul fondo immette alla seconda camera, marginata da ornati geometrici a colori alternati, si sviluppano due quadri sovrapposti con fregi animali. Le scene ritraggono, nei due quadri di sinistra, rispettivamente una pantera dalla pelliccia maculata e un personaggio a cavallo fra elementi vegetali, nonche una pantera grande, una pi piccola e un cane.
Nei due quadri di destra figurano rispettivamente un altro personaggio maschile in perizoma che regge un'ascia bipenne, un secondo personaggio che trattiene per le redini un equino montato da un cavaliere e che porta sui quarti posteriori una pantera accovacciata, mentre nel campo sottostante compaiono una sfinge, un leone e un cerbiatto. Nella riproduzione del Canina i colori erano particolarmente accesi. Pi schematica l'ornamentazione della seconda stanza, caratteristica anche per lo zoccolo che corre alla base delle pareti, sul quale erano poggiate urne cinerarie e vasi del corredo: tre riproduzioni dipinte di scudi policromi si stagliavano sulla parete di fondo, ben visibili in traiettoria gi dalla prima camera: il pittore ha cos replicato l'usanza, ben conosciuta nei contesti funebri pi importanti di appendere veri scudi in lamina bronzea alle pareti. Sulla base dello stile pittorico la Tomba Campana databile intorno al 600 a.C. (Orientalizzante Recente.
Il Tempio di Portonaccio
Il santuario extramuraneo, titolato alla dea Minerva e probabilmente ad Apollo, era ubicato su un terrazzamento naturale. Il sacro luogo non distava molto dalla porta sudoccidentale della citt ed era collegato a un percorso che volgeva alle foci del Tevere. L'ingresso era invece possibile sul lato settentrionale. Edifici e strutture erano contenuti entro un recinto perimetrale (temenos) di sagoma grossomodo triangolare: sul lato occidentale vi erano il tempio e una piscina sacra. L'edificio templare fu preceduto da una pi antica costruzione, della quale rimangono alcune delle terrecotte architettoniche. A oriente erano invece due portici, addossati al muro, un altro piccolo sacello (oikos) e un altare. Il tempio principale, con la sua straordinaria decorazione acroteriale, costituisce un interessante esempio di tempio tuscanico. Esso si presentava con una pianta quadrata su un basso podio con muri di tufo. Il pronao doveva essere provvisto di almeno due colonne, per una questione di statica. Alle spalle del pronao lo spazio pi recesso del tempio si divideva nelle tre celle consuete dedicate a una triade divina. E tuttavia il fastoso programma decorativo che abbelliva il tetto a
illuminarci riguardo ai riferimenti cultuali di questo edificio: verso la fine del VI secolo a.C. vi furono montate alcune statue in terracotta a grandezza naturale le quali rappresentavano un episodio mitico che vedeva protagonisti Apollo (il celeberrimo cosiddetto " Apollo di Veio") ed Ercole impegnati nella contesa per la cerva cerinitide alla presenza di Mercurio e di una dea con un bambino in braccio (verosimilmente Latona col piccolo Apollo).
Tempio di Portonaccio Apollo di Veio ed immagine di Antefix Merita di essere ricordato l'altare quadrato, di un tipo ben noto in area laziale, all'interno del quale sono state trovate rimanenze di offerte e sacrifici. Poco pi a nord un secondo e pi piccolo altare cilindrico, con canale verticale collegato al sottosuolo, documenta l'esistenza di azioni religiose volte a di ctonii. Quest'area del santuario seguit per ad essere devotamente frequentata ancora nel III secolo a.C.. Le divinit cui la devozione dei fedeli era rivolta, a giudicare anche dalla natura delle offerte praticate e dalle iscrizioni ritrovate, erano certarnente femminili (Menerva, Aritimi, Turan). Fasi complesso: Un momento pregnante sul piano architettonico va riconosciuto cronologiche e struttive di questo sacro
approssimativamente negli anni fra il 540 e il 500, in coincidenza con l'avvio della sua monumentalizzazione: essa si concret attraverso la costruzione del muro di terrazzamento su uno dei lati e dell' oikos rettangolare sul lato orientale, cui fu affiancato l'altare quadrato nella sua prima fase struttiva, il quale proprio per il condotto che, attraversandolo, lo pone in collegamento fisico con il
sottosuolo, appare funzionale a pratiche religiose di tipo ctonio o, in virt della somiglianza con l'altare l'analoga struttura di Punta della Vipera, poteva essere funzionale addirittura a un culto oracolare (a Punta della Vipera la divinit era infatti Menerva nella sua veste oracolare). Successivamente la zona interessata dai nuovi interventi edilizi fu quella occidentale, con la costruzione di un edificio del quale sopravvivono solo lacerti delle strutture muranee e che probabilmente precedette il tempio vero e proprio: di quello restano alcune terrecotte architettoniche figurate con i consueti temi in voga nel periodo arcaico (lastre policrome con assemblee divine, cortei di cavalieri, scene conviviali ecc.). Ma la stagione apogeica del santuario di Portonaccio si situ negli ultimi anni del VI secolo a.C., quando le manifestazioni dell'arte e dell'artigianato arcaici si impregnavano degli influssi provenienti dalla Ionia micrasiatica. In luogo dell'edificio ornato con le terrecotte prima ricordato fu eretto il tempio vero e proprio con la contigua piscina: l'aspetto pi caratterizzante e, nel contempo, eccezionale naturalmente rappresentato dalla plastica acroteriale che affollava il tetto, ben visibile anche per chi veniva da lontano. Delle basi sulle quali le statue in terracotta erano montate ne sono state rinvenute una ventina, ed verosimile che esse fossero raggruppate a formare nuclei narrativi diversificati da porsi in relazioni con episodi di uno o pi cicli mitologici ovviamente connessi alle divinit venerate nel santuario stesso. L'altissimo livello artistico che traspare dalla realizzazione di questi pezzi tradisce l'esistenza di un unico, grande maestro avvezzo ad affrontare le questioni tecniche e prospettiche della coroplastica figurata acroteriale. La statua collocata sulla parte somrnitale del tetto, perduta, era effigiata in posizione seduta con schienale alle sue spalle, forse a voler alludere a una sorta di trono. Si tratt dunque di un'impresa edilizia di amplissimo respiro, sorretta evidentemente da larghezza di mezzi economici dispendiosamente profusi. A fronte del ciclo figurativo nel quale Minerva di fatto non compare, resta tuttora da sciogliere il dubbio su quale o quali siano, di fatto, i divini destinataci di tanto fasto devozionale: le figure acroteriali sono infatti quelle di Ercole e Apollo, Apollo fanciullo nelle braccia della madre Latona, Hermes. L'ispirazione al ciclo divino evocato anche nel pi famoso santuario greco, quello di Delfi, lascerebbe intendere che anche la piscina possedesse, nel quadro di queste vicende, una valenza oracolare, connesso dunque a pratiche mantiche e di divinazione.
In seguito altre vicende modificarono le sorti dell'area del santuario durante il V secolo a.C.: il sacello fu demolito, i gruppi fittili furono pietosamente seppelliti a ridosso dei muri settentrionale e occidentale. Recentemente stato portato alla conoscenza del pubblico uno splendido gruppo che raffigura Eracle accompagnato dalla dea Minerva, nell'ambito dell'episodio che vede la dea a fianco dell'eroe e in procinto di introdurlo nell'Olimpo. Questa composizione assai simile a quella, assai celebre, che fungeva da nel tempio di Sant'Omobono a Roma. Eracle nudo, coperto solo dal perizoma e dalla pelle del leone Nemeo, vittima di una delle sue dodici fatiche, con chioma ricciuta in origine tinta di biondo; Minerva, in tenuta oplitica, sorride. Il gruppo doveva avere una destinazione votiva e, benche di notevole profilo artistico, qualitativamente si colloca a un livello inferiore rispetto a quello del " Maestro dell'Apollo". Sepolto nei pressi del sacello dedicato alla dea, il donario di poco pi recente dei gruppi acroteriali, rispetto ai quali palesa una pi accentuata e spinta ricerca anatomica nei corpi.
GRAVISCA
Sulla costa era situato uno dei porti dell' antica Tarquinia, che sembra sia sorto intorno al 600 a.C. Sulle rovine dell'abitato etrusco fu dedotta, nel 181 a.C., la colonia maritimacivium Romanorum di Gravisca. La colonia romana si estendeva con una struttura urbanistica regolare perfettamente orientata secondo punti cardinali. Questa era costituita per tre strade parallele con direzione E-O (decumani). L'insediamento relativo al porto etrusco si sviluppava parallelo alla costa al disotto della colonia romana e a Sud di essa in direzione delle saline. Gli scavi hanno evidenziato come, in et arcaica, lo scalo tarquiniese fosse frequentato da mercanti stranieri. Al margine meridionale del centro etrusco venuto infatti in luce il cosiddetto "santuario greco di Gravisca", un insieme di edifici sacri sede di culti e riti greci. Il santuario si connota come emporion, cio un luogo di commercio nel quale la comunit locale, attraverso la concessione di uno spazio sacro ai mercanti stranieri che frequentavano lo scalo tarquiniese, ne garantiva l'immunit personale, la certezza dello scambio ed il diritto all'esercizio delle proprie pratiche religiose. Nel corso del VI secolo la compagine sociale cittadina, ormai organizzata in gruppi gentilizi, respinge e marginalizza i gruppi esterni. Nel santuario, poco dopo il 600 a.C., fu edificato un sacello consistente in un piccolo edificio rettangolare costruito con muretti a secco, sacro ad Afrodite, divinit fra l'altro protettrice della navigazione. Dopo la met del VI secolo, come documentano le dediche votive, ad Afrodite si affiancano altre due divinit femminili: Hera e Demetra. Lo scavo ha restituito una quantit straordinaria di oggetti votivi dedicati
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Fra 480-470 a.C., l'antico sacello viene sostituito da un grande edificio a pianta rettangolare fiancheggiato da una piazza lastricata in cui era inserita una cassetta di lastre di nenfro, legata al culto di Adone, il giovane dio di origine orientale oggetto di contesa tra Afrodite e Persefone. Allo scorcio del V sec. a.C., in concomitanza con la ripresa economica e politica di Tarquinia, l'intero santuario viene ristrutturato e il culto riprende in maniera consistente ma tende ora a soddisfare la devozione della popolazione locale. Lungo una grande strada con direzione NO-SE, parallela alla costa viene ristrutturato, ad est, il sacello di Afrodite, dedicato ora a Turan, mentre ad ovest sorgono il sacello di Vei (divinit etrusca corrispondente alla greca Demetra) con due altari e quello di Uni (corrispondente ad Hera) con cortili annessi sulla fronte e sui lati.
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Al centro della parete di fondo, sotto il frontone decorato con un leone ed una pantera che aggrediscono uno stambecco, dipinta una porta (la porta dell' Ade) fiancheggiata da due personaggi con le braccia atteggiate in gesto di saluto e di cordoglio, interpretati al momento della scoperta come auguri e a cui si deve il nome del sepolcro. Designati da due iscrizioni, di incerto significato, possibile invece che si tratti di personaggi incaricati della cerimonia funebre
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e del compianto. Le altre pareti mostrano giochi funebri in onore del defunto. A destra, dopo due piccoli servitori, uno accucciato e l'altro con sulle spalle uno sgabello pieghevole, e dopo due personaggi di cui uno, con bastone ricurvo, forse il giudice di gara, sono dipinti due possenti lottatori ai cui piedi sono impilati tre grossi bacini metallici, premio per il vincitore.
Segue il crudele gioco del phersu, pi volte rappresentato nelle tombe tarquiniesi (tombe "del Pulcinella" e "delle Olimpiadi") che ha come protagonisti un uomo mascherato e con berretto appuntito (il phersu) che tiene al guinzaglio un cane e lo aizza contro un individua incappucciato e armato di una grossa clava nodosa.
Anche i personaggi della parete destra sono contraddistinti da iscrizioni che ne indicano il nome o la funzione. Il gioco del phersu, il cui nome stato messo in relazione con il latino persona=maschera, testimonia l'origine etrusca dei cruenti giochi di tipo gladiatorio che avranno molta fortuna nel mondo romano e campano. Sulla parete sinistra della tomba, molto rovinata, si intravedono un danzatore, un flautista, due pugili e, meglio conservato, ancora il phersu in fuga o in atteggiamento di danza. Ai lati della porta di ingresso due personaggi intenti al tiro della fune (?). Anche questo ipogeo, databile al 530-520 a.C., stato dipinto da un artista greco-orientale, pi precisamente della Ionia settentrionale, irnrnigratoin Etruria.
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VULCI
La tomba Francois
La tomba presenta un impianto architettonico monumentale, con una successione di ambienti disposti a suggerire la gerarchia sociale degli occupanti. Il profondo dromos (il corridoio d'ingresso agli ipogei) introduce ad un vasto ambiente centrale (c.d. atrio). Su questo spazio si aprono ben sette camere: tre sul lato sinistro, tre sul lato destro e una sul fondo. Quest'ultima camera rappresenta il cuore di tutto l'impianto funerario. Sulla parete di fondo, infatti, vi si apriva l'edicola destinata ad ospitare le spoglie del fondatore del sepolcro, il capostipite della famiglia Saties, proprietaria dell'ipogeo. Il ritrovamento nella tomba di una grande anfora a figure rosse daterebbe la realizzazione del complesso intorno al 400 a.C. Scavata nella necropoli del Ponte Rotto, questa tomba presenta anzitutto una pianta molto complessa, dal momento che consta di ben undici camere rotanti attorno a un grande ambiente centrale a sagome di "T", che prefigura la suddivisione in atrio e tablino della casa romana e che risale, nella sua prima formulazione, alla met del v secolo a.C.; su questo vano
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centrale si aprono sei degli ambienti, mentre altri tre si originano dal lunghissimo dromos, che si inoltrava per ventisette metri. La parte posteriore del vano (chiamata tablinum, mentre quella anteriore detta atrium) era decorata da un soffitto a cassettoni con volto del demone Charun in rilievo. Alla notevolissima articolazione planimetrica si accompagna la straordinariet delle raffigurazioni, desunte dalla mitologia greca. Proprietaria e titolare del sepolcro, ricco di iscrizioni che fungono da didascalia ai vari personaggi, era la famiglia Saties. Lo stesso fondatore della tomba o capostipite Vel Saties riserva per se uno spazio ove farsi effigiare a tutta altezza, sulla parete destra dell'atrio, vestito di una sontuosa toga dai colori scuri e orlata di figure ricamate (togapicta) e accompagnato dal giovane Arnza ('piccolo Arnth') che regge fra le mani un volatile trattenuto da una cordicella. Egli si appresta dunque a osservare il volo dell'uccello a scopo mantico. Sulla stessa parete destra compariva in origine una figura femminile, cio la moglie del Saties, Thanchvil Verati; la scritta hels arrs '(e) il familiare della propria (casa)' indicava che anche la parentela della donna (es. i genitori, le sorelle ecc.) avrebbero avuto il diritto di farsi seppellire nel sepolcro dei Saties. Alle figure di Vel Saties e della moglie si opponevano, sulla parte di fronte, rispettivamente, Nestore (etr. Nestur) e Fenice (etr. Phuinis): da ci si pu dedurre verosimilmente che i Saries vantav.an.o ascendenze genealogiche greche (ateniesi?) e pretendevano di risalire a Nestore; allo stesso modo i nobili etruschi Verate avranno posto all'origine della loro stirpe (gi cartaginese?) il re Fenice. Abbiamo vari esempi di nobili greci trasferitisi e integratisi stabilmente in Etruria e all'origine di celebri prosapie: basti citare Demarato di Corinto (che come Bacchiade riteneva di discendere da Ercole), da cui discesero i Tarch(u)nas/Tarquinii poi re di Roma e il celebre indovino Polles, da cui discesero i tarquiniesi Pulenas (lat. Pollenii). Un rimarchevole esempio contrario quello del tirreno (di Lemno) Mnesa:rco che, con i figli (tra cui il filosofo Pitagora), si trasfer a Samo. Di recente il Maggiani ha mostrato come Racvi Satlnei, titolare di una stele etrusca di Bologna (V secolo a.C.), vantasse la propria discendenza da Aiace Telamonio, esplicitandola con la parola aivastelmunsl'(stirpe) di Aiace Telamonio', incisa su detta stele, proprio sopra una raffigurazione del suicvidio di detto eroe, che funzionava quasi come insegna araldica deiSatlna. Sulla parete destra della tomba dei Saties compariva anche una scena di lotta, con Marce Camitlnas colto mentre cerca di trafiggere Cneve Tarchunies Rumach (ossia Gneo Tarquinio di Roma). Sulla parete di fondo era raffigurato un cruento episodio dalla Saga dei Sette contro Tebe, nota anche attraverso la tragedia greca classica, ossia la lotta all'ultimo sangue dei due fratelli Eteocle (etr. Ethucle) e Polinice (etr. Pulunice). All'ingresso, ancora ispirato al ciclo omerico della guerra di Troia, Aiace (etr. Aivas) minacciava infine con la spada Cassandra (etr. Casntra), rifugiatasi nelle vicinanze di un altare presso il quale cercava protezione e inviolabilit. Medesima ispirazione guidava l'affresco del tablinum, con il sacrificio dei prigionieri troiani: Agamennone (etr. Achmemrun); Achille (etr. Achle) che immola con la spada un prigioniero troiano per celebrare Patroclo in occasione della sua cerimonia funebre, il quale assiste sotto forma di ombra (il suo stato evanescente opportunamente segnalato dalla didascalia dipinta in etrusco, hinmal Patrucles, ossia 'ombra di Patroclo'), e i due Aiace
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(Telamonio [etr. Tlamunus] e Oileo [etr.Vilatas]) che procedono all'uccisione di altra vittima sacrificata in memoria dell'eroe greco caduto.
Sulla parete di fondo, sconfinando sulla destra, la scena forse pi interessante sul piano della storia nazionale etrusca: Celio Vibenna ( Caile Vpinas) liberato da Mastarna (Macstrna, ovvero il re di Roma Servio Tullio, secondo il discorso dell'imperatore Claudio conservato sulle tavole bronzee di Lione), entrambi ignudi, il prigioniero con i polsi legati. Larth Ulthes, in chitone corto, infligge un corpo di spada a Laris Papathnas Velznach (cio di Volsinii), mentre Pesna Arcmsnas Sveamach (cio forse 'di Sovana', ma la lettura dubbia) cade sotto l'attacco di Rasce. Venthi Cau[] [E]plsach subisce la medesima sorte ad opera di Aulo Vibenna (Avle Vpinas). I colti riferimenti scelti dal fondatore dell'ipogeo, Vel Saties, esaltano dunque la saga dei fratelli Vibenna, originari con ogni verosimiglianza di Vulci, che contribuiscono a debellare la minaccia di altre citt a quanto pare coalizzate (simboleggiata dai vari eroi da Volsinii, Sovana, Falerii, Roma). La storicit dell'avvenimento, cbmi'; anche delle figure dei fratelli Vibenna, indiscussa e riporta alla met del VI secolo a.C. L'allusione metaforica esemplata dall'episodio della liberazione del Vibenna trova forse una giustificazione nel cruciale frangente cronologico durante il quale la tomba Francois fu affrescata, ossia il periodo dei contrasti con Roma, cui la metropoli costiera sarebbe stata destinata a soccombere nel 280 a.C. Nel complesso il livello artistico delle pitture appare piuttosto elevato con l'uso di chiaroscuri e mobilit prospettica dei personaggi, frutto delle conquiste spaziali e cromatiche degli artisti di questo periodo. Del corredo rinvenuto sono da segnalere i sarcofagi e le urnette funerarie, vasellame e oreficene, databili entro un arco di tempo che dalla met del V giunge al principio del II secolo a.C. Alla met del V secolo dovrebbe risalire anche l'impianto originario della tomba, che si data al primo periodo Ellenistico (seconda met del IV secolo a.C.) nella sua veste definitiva con gli ambienti affrescati. Lo dimostrano anche gli animali e le teste femminili tra cespi vegetali dipinti sullo zoccolo, che si ispirano al patrimonio artistico dell'ltalia meridionale grecizzata (area apula, Taranto).
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