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15 novembre 2002, Fisciano ore 23.

30 Dormo profondamente tra le braccia di Gina, le lancette della sveglia anche questa notte lho dovute posizionare molto in basso, alle 5 bisogna essere fuori i cancelli della Fiat di Pomigliano: domani i sindacati hanno indetto lo sciopero generale dei metalmeccanici contro i licenziamenti decretati dalla famiglia Agnelli e noi disobbedienti vogliamo essere allalba insieme agli operai della CGIL a picchettare gli ingressi dello stabilimento. In questi anni spesso mi capitato di leggere i resoconti storici delle lotte dei lavoratori, delle mobilitazioni della classe operaia negli anni sessanta e settanta: gli scioperi selvaggi, a macchia di leopardo, i blocchi alle merci e alla produzione, ma difficilmente avrei creduto di vivere in prima persona quelle esperienze, quelle forme di lotta forse troppo sbrigativamente liquidate come cimeli di un passato ormai remoto. E invece era gi la terza, quarta volta che questanno attendevamo i primi raggi di sole del mattino fuori le fabbriche a dissuadere i crumiri e a solidarizzare con gli operai in lotta. In verit, degli anni sessanta e settanta, spesso mi capitato di leggere anche del clima repressivo instauratosi soprattutto nella parte conclusiva di quel ciclo di mobilitazione, delle ondate di arresti indiscriminati, degli attivisti di sinistra che non dormivano mai nella stessa casa per paura del rumorio di sciabole, delle torture bianche messe in atto nei carceri di massima sicurezza, delle artificiose montature giudiziarie per inquisire un intera generazione in lotta. Anche questo credevo che apparteneva ad un passato che non sarebbe mai pi tornato: in questa Italia dinizio millennio viviamo una crisi della democrazia, una democrazia malata da trasformare dal basso, radicalmente e popopopopomente, ma viviamo pur sempre in una democrazia. Non siamo mica in Cile o in Arabia Saudita. Purtroppo, di l a poco, mi dovr ricredere anche su questo. Bussano violentemente alla porta, suonano ripetutamente al campanello, Gina si alza e apre la porta, nemmeno un secondo e mi trovo la stanza invasa di agenti di polizia, digos, che si piombano e si prendo immediatamente il computer portatile e il cellulare, poi due sbrigative frasi in piedi, devi seguirci in questura, non possibile mi dico: per un momento la mente scivola nei ricordi di chi ha scritto e subito sulla propria pelle linstaurarsi di regimi dittatoriali. Un golpe, un colpo di stato, la prima osservazione a voce alta che mi vien fuori. In verit, nulla di cos drammatico e preoccupante. Si tratta solo di una semplice ordinanza di custodia cautelare. Solo una semplice e fottutissima ordinanza di custodia cautelare. Non prendere nulla, non ti preoccupare un semplice controllo gridavano insistentemente gli agenti di polizia, malgrado continuavo a ripetere che ero ben consapevole che non si piomba in casa di qualcuno a notte fonda, con otto pattuglie che isolano il quartiere, per un semplice controllo. Nei giorni successivi continuer notte e giorno a bestemmiare contro quei poliziotti che per quattro giorni mi hanno costretto a vivere senza uno straccio di ricambio, con gli stessi indumenti, bestemmiavo e sognavo di avere nella cella in isolamento anche un solo libro, uno dei tanti che erano negli scaffali di quella stanza. Il mio impatto con luniverso carcerario avviene alle ore 5 del mattino del 16 novembre, lorario di arrivo al supercarcere di Trani, lorario di inizio dei picchetti a Pomigliano: gi in quel momento il mio pensiero vola oltre le sbarre per cercare di immaginare cosa stiano facendo i miei fratelli, se e come abbiamo saputo degli arresti, se e come si stanno organizzando. E in verit un modo come laltro, per aggirare le domande sul come e il perch del mio arresto, ma ancor pi per aggirare il contesto fisico, la dimensione spaziale nella quale mi hanno letteralmente scaraventato: una cella di sicurezza, terribile, spoglia, vuota, tre metri per tre senza nemmeno una panca, un tavolo, nulla. Mi siedo, penso che si tratta solo di qualche minuto, il tempo dei disbrighi burocratici e poi avr il piacere di una cella con tanto di cesso e materasso. Passeranno invece 8 interminabili ore dentro quel buco. Mi sdraio per terra, il pavimento sporchissimo ma non ho alternative, sono stanco e non ho nemmeno uno sigaretta, nessuno a cui chiederla; inizio a leggere linchiesta, gi la copertina, con la lista dei 23 indagati, per me qualcosa di sbalorditivo. Mi ero ormai convinto di trovare nella lista tutti i miei fratelli disobbedienti, Luca, Guido, Nicola, e invece leggo nomi sconosciuti, alcuni vecchi compagni che non vedo da anni, altri attivisti delle realt antagoniste meridionali con cui abbiamo condiviso parecchie esperienze ma mai avrei pensato di incrociare dietro le sbarre di una galera, infine qualcuno incrociato nelle riunioni di quel coordinamento meridionale, la Rete del Sud Ribelle, che delle tanti reti di comunicAzione messe in piedi in questi anni di movimento credevo la pi innocua e pacifica, visto che allattivo avevamo solo un paio di manifestazioni e di occupazioni simboliche. Poca roba insomma, anche dal punto di vista delle pratiche di disobbedienza sociale, ma probabilmente il Dott. Fiordalisi la pensava diversamente. Il tempo non passa facilmente, cerco di ambientarmi ma la cosa non facile come non facile rilassarsi e tentare di addormentarsi: la luce sempre accesa, ogni tanto si apre e si chiude lo spioncino ma tu non sai chi ti guarda, quanto e come ti guarda. Ormai fuori, quel fuori che mai pi vedr per settimane, dovrebbe essere sorto il sole, da qui non si percepisce ma passato ormai un mucchio di tempo da quando sono rinchiuso qui dentro. A un certo punto si apre la porta, entra Antonino, un abbraccio caloroso, si spezza il silenzio, da mesi non ci incrociavamo e quando avveniva era sempre per sfuggevoli saluti, ed ora invece qui insieme a vivere questo assurdo film. Lui ha lorologio, le sigarette, e bastano queste poche cose, ma soprattutto il suo calore umano, a far diventare quel buco di fogna un luogo ospitale. Vorrebbe discutere dellinchiesta, osservare insieme le assurdit delle accuse, ma io ho voglia di parlare di altro, ho voglia di ditrarmi, di scherzare. Per questo inizio a scrivere sui muri, i soliti graffiti, gli slogan di sempre, sulla parete che costeggia la porta in modo che nessuno possa scorgermi dallo spioncino. Mi racconta ancora allucinato dellirruzione a casa sua, con i carabinieri con il passamontagna e i mitra alla mano, eccitati come se stessero arrestando chiss quale criminale boss della mafia. La stessa eccitazione che trasudava dagli agenti della Digos di Benevento, una vita persa a raccogliere i nostri volantini, ad ascoltare le nostre assemblee, a spiare le nostre telefonate e ora finalmente un risultato: non riesco a nutrire odio nei loro confronti, mi fanno solo pena e tristezza se penso allinutilit della loro esistenza, della loro vita. Non voglio generalizzare, anche nelle forze dellordine ci sono tante e diverse esperienze di vita, dagli agenti della scorta di Falcone assassinati dalla mafia fino alle orde di nazisti in divisa che pestavano ripetutamente i manifestanti inermi a Napoli a Genova, nella caserma Raniero di Napoli e nella Bolzaneto di Genova. Ma gli agenti in questione, come anche le tante guardie carcerarie che incontrer in questo peregrinare da un penitenziario allaltro, sono solo dei tristi e vacui esecutori di ordini, una lavoro veramente schifoso, per portare a casa tra laltro una miseria. Aprono nuovamente la cella, entrano due ragazzi, Pierpaolo e Gianfranco, ci salutiamo affettuosamente malgrado non ci siamo mai vista prima dora e nessuno ci ha mai presentati, ma basta uno sguardo per intenderci, per capire che siamo tutti sulla stessa barca. Ormai sono le 7 del mattino, fuori dovrebbero gi esserci i primi bagliori dellalba, ma qui dentro la luce dei neon sempre terribilmente identica, immobile, ma ora la porta si riapre ancora una volta, entrano altri compagni, la cella in meno di mezzora si riempie, siamo oltre una decina, tutti i pericolosi sovversivi chiusi in una cella di pochissimi metri quadrati e chiaramente c un grande calore umano col quale cerchiamo di riscaldarci lun laltro dopo lincredibile nottata che ognuno di noi ha trascorso: da allora, ognuno di noi ha visto solo carabinieri, polizia, ha chiesto di parlare con un avvocato ma nella maggior parte dei casi, nemmeno questo, e poi ancora le foto segnaletiche, le impronte, i cancelli, il trasferimento, non una parola, non un conforto, il desiderio soffocato di telefonare ai tuoi cari, di parlare con i compagni fuori.

Ora finalmente, malgrado lo spazio fisico angusto e inumano, la possibilit di parlare, di raccontare, finanche di sorridere, ma quasi sempre quel che ci rimbalziamo vicendevolmente sono le tante, troppe domande che ci assillano da ore, gli interrogativi, i tanti come e perch di questa assurda vicenda. Sono letteralmente distrutto ma provo un gran piacere a vivere questo dramma in compagnia, la d, a condividere questo buco di cella, queste sigarette, queste chiacchiere, insieme con gli altri, con tutti gli altri, oramai tutti miei fratelli: la cella di sicurezza, sudicia, spoglia, inumana, stomachevole, diventa unambiente accogliente e viene quasi la voglia di chiedergli di lasciarci l, tutti insieme. Ma era un desiderio perverso, dettato anche dalla paura di entrare, come di l a poco dovr necessariamente fare, nel girone infernale del carcere e nemmeno del carcere normale, ma in questo penitenziario di massima sicurezza e in regime di isolamento. Purtroppo solo durante le poche ore dellalba del 16 novembre ci ritroveremo tutti i pericolosi Cospiratori della rete del sud ribelle. Da quel momento in poi, in giro per le carceri, nel tribunale di Catanzaro, non ci rivedremo mai pi tutti insieme. Ma gi a questo punto la macchina giudiziaria, il sistema penitenziario si mostrato, come si mostrer ulteriormente in ogni suo perverso ganglo, la sua spiccata imbecillit, demenza, deficienza: ci aspettano avanti a noi, come prassi giudiziaria, alcuni giorni di rigoroso regime di isolamento prima che il GIP si degni di ascoltarci, per impedire il contatto tra i vari sovversivi prima degli interrogatori. Ma ora siamo tutti qui, in pochissimi metri quadrati, non possiamo certamente far finta di ignorarci a vicenda. Qualcuno diligentemente evidenzia questo paradosso, questincongruenza, ma a seguire sono parole ingiuriose e riscaldanti risate, ormai lo spirito di gruppo prevale sulle tensioni e le preoccupazioni, forse un comportamento inconscio che ognuno adotta per tranquillizzare laltro, pur tuttavia io non riesco a togliermi dalla testa un pensiero strampalato, che in quella stanza non siamo finiti casualmente tutti insieme, che l dentro ci hanno messo apposta i magistrati di Cosenza, nella speranza di poter estrapolare dai nostri discorsi un qualche elemento che desse sostanza a quelle accuse cos labili e pretestuose, per formalizzare e rinvenire lesistenza di unassociazione sovversiva basta poco, lho scoperto proprio da alcune ore sulla mia pelle, non mi meraviglierei della possibilit del rinvenimento postumo degli elementi di accusa. Parliamo sempre del codice Rocco, pensato e promulgato nel bel mezzo del regime fascista, tra le leggi razziali e persecuzioni di ogni risma. fatt che questa benedetta associazione sovversiva e cospiratrice si qui in cella, anche su questo non tardano a venire, anche su questo punto La porta si apre ripetutamente, a scadenza regolare, ogni trenta minuti, un agente apre e dice il cognome, la cella si svuota unaltra volta, lentamente, uno alla volta, e pi restiamo soli e pi cresce il senso di sconforto, la tristezza frammista a stanchezza, Caruso grida ad alta voce la guardia, quando ormai in cella eravamo rimasti in tre. Inizia la perquisizione, spogliati completamente, fai le flessioni, rivestiti, mostra la tua roba, come non hai niente?, no, non ho niente sottovoce bestemmio contro gli agenti della polizia che mi hanno arrestato. Ecco il pacco del carcerato, lenzuola, coperta, due piatti e un bicchiere, e via, vai con Dio, anzi vai con due secondini che ti accompagnano in quel groviglio di cancelli che si aprono e chiudono a ogni angolo di corridoio. Siamo al reparto, ancora un cancello, ancora una volta il tuo nome e la guardia ti apre il cancello con delle chiavi giganti, e poi te la sbatte per richiudertela appena passi. Ci sono una ventina di celle ai lati di questo grande corridoio, lo percorriamo tutto fino in fondo, dalle celle ti sbirciano, non so onestamente che fare, se bisogna salutare, guardare avanti e far finta di niente, abbozzo un sorriso qua e l, in fin dei conti sono eccitatissimo dallidea che di l a poco avr un letto, una brandina, una qualsiasi cosa orizzontale dove potermi finalmente sdraiare e riposarmi. Siamo in fondo al corridoio, ma le ultime due celle sono separate dal resto del reparto da un altro cancello e chiaramente noi andiamo a finire esattamente in quelle. Mi apre la cella, mi butta dentro e richiude la cella. Finalmente a casa! Non una battuta, non una cosa straordinaria, ma il pensiero pi logico che ti possa venire, dopo una giornata sbattuta tra volanti, questure, celle di sicurezza, ecc Metto a posto il letto, il materasso vecchio e puzzolente, ma abbiamo addirittura un coprimaterasso, oltre alle lenzuola, metto le coperte e vvvvaaii, veramente il mondo cambia. Mi rilasso molto, inizio a mettere a posto i miei pensieri, il mio stato danimo, ma non riesco a dormire. Nella perquisizione mi hanno levato anche le due sigarette che avevo, laccendino, mentre in questo momento, sdraiato comodamente nella mia cella, una sigaretta proprio quello che ci vuole. Odio la guardia che si presa le sigarette. Un sentimento inevitabile, ma non per questo io mi arrendo. La mia cella in fondo a tutto, non nel senso psicologico ma nel senso fisico, per cui non che passa qualcuno per caso a cui puoi chiedere una sigaretta, e poi non siamo mica in mezzo a una strada. Mi avvicino alle porta con le sbarre e scruto prima la cella: tre metri per uno, una branda, uno sgabello, un lavandino e il water proprio al centro della stanza! Poi c la finestra ma troppo piccola e troppo in alto per poter scrutare qualcosa e devo rinunciare a questo mio umano desiderio di guardare fuori, guardare il cielo, la terra. Mi giro e guardo di nuovo verso il reparto, mi metto in perfetta posa da carcerato, appoggiato alla porta di sbarre, con le braccia fuori, la testa inclinata per cercare di sbirciare oltre il normale campo visivo. Ma guardo dinanzi e trovo una bellissima sorpresa: le due celle dirimpetto alla mia sono occupate da Michele e Rollo! Bella storia, ci salutiamo, ci mettiamo a parlare, siamo distanti allincirca 4 metri luno dallaltro per cui possiamo tranquillamente parlare con un tono di voce non particolarmente alto, mi dicono che il mio vicino di cella Claudio, non possiamo vederci ma ci parliamo perfettamente, ci salutiamo, lui a poco pi di due metri da me. Le sigarette, nessuno di noi ha una sigaretta, e non ho minimamente idea di come si faccia in questo contesto a procurarsele. Mentre mi assillo per questa cosa, arriva Pierpaolo e una guardia chiede a Michele se vuole averlo in cella con lui. Sembra che Pierpaolo abbia avuto una crisi, ma io lo vedo perfettamente dalla mia cella e mi sembra quantomai tranquillo; limportante, per lui come per tutti, non rimanere solo, poi basta una crisi di pianto, un momento di panico e le guardie e gli infermieri sono pronte con la loro cura irremovibile: calmanti e psicofarmaci, psicofarmaci e calmanti e per finire calmanti e psicofarmaci. Ti imbottiscono di queste schifezze e ti riducono a una larva umana, cos non dai fastidio. Fortunatamente a Trani, siamo scampati tutti alla cura terapeutica delle carceri, ma purtroppo Pierpaolo a Viterbo trascorrer diversi giorni in queste assurde condizioni. Arriva la cena e chiaramente non posso rifiutarmi di mangiare, per quanto faccia schifo in modo sconvolgente, da troppo tempo non metto nello stomaco qualcosa e per senso di responsabilit mi mangio della brodaglia e la verdura e una mela. Mentre lavo il piatto, guardo dinanzi a me Michele che fuma.dove hai preso le sigarette? Urlo in modo sconsiderato, lui mi fa il segno di tacere e mi lancia una sigaretta. Mi metto nel letto e mi fumo la sigaretta, in fin dei conti mi sono gi abituato al regime carcerario, lunica cosa che vorrei sapere che si dice fuori, con gli altri abbiamo parlato e continuiamo a discutere proprio di questo, di cosa succeder fuori, se la notizia veicolata e le mobilitazioni sono in moto. Proprio mentre parliamo di questo, ecco che alcuni agenti arrivano nella cella di Michele e gli portano un televisore! Un televisore! Non so come abbia fatto, ma io a quel punto protesto perch ne vorrei uno pure nella mia cella. Errore grossolano, istintivo ma fkfkfkfkfkf, non si recrimina mai in carcere quello che un altro detenuto ha e la cosa mi sembra pi che giusta, ma in quel momento ho scoperto di amare, desiderare ardentemente quel tubo catodico che fuori, in giro, a casa mia, non vedo quasi mai e anzi ne rifuggo con una certa repulsione a fronte della deficienza e la vacuit di cui troppo spesso portatrice. Invece ora la desidero ardentemente, una finestra sul mondo, lunica possibile, per scrutare fuori, oltre il muro di cinta, oltre quelle sbarre che incarcerano pure il cielo. dalla mia cella non riesco a vedere la televisione, ma riesco a percepirne i rumori, i rumori domestici degli spot pubblicitari, dei giochi a quiz, della sigla del telegiornale, poi subito dopo lo shock: la notizia dapertura di tutti i telegiornali larresto dei 20 noglobal, ma soprattutto lo sdegno e la mobilitazione spontanea che investe le piazze di tuttItalia solo poche ore dopo il nostro arrivo in carcere. Non sono solo. Non siamo soli. Da quel momento un impercettibile calore umano mi investir e riscalder, ma soprattutto si inizia ad affievolire le previsioni catastrofiche sulla nostra permanenza prolungata nelle carceri italiane: i fratelli e le sorelle ci tireranno fuori presto da questo casino. E il pensiero che mi martella mentre mi scivolano il fiume di parole di giornalistici, politici, commentatori che discutono della presunta associazione sovversiva, della nostra pericolosit sociale; ci tireranno fuori, continua a ripetermi e mi rassereno, mi sento meno solo, anzi in quella

cella per la prima volta percepisco che in cella non ci sono io come individuo, come persona, ma le mie idee, la mia personalit ribelle, la mia voglia di cambiare il mondo che la stessa voglia che accomuna migliaia e migliaia di giovani e meno giovani. Per questo sono scesi in piazza in cos poco tempo e in cos tante persone, perch lassurdit evidente di questa inchiesta il voler incarcerare delle idee, un movimento, i suoi valori: adesso mi sento pi tranquillo, pi forte. In galera non siamo in venti, siamo in centinaia di migliaia, e non bastano tutte le carceri del mondo per rinchiudere la nostra forza. Arriva il secondino con due televisioni, che lusso! Il problema che siamo in tre senza Tv e anche le guardie hanno un momento di sbandamento, non sanno dove installarle. Claudio non le lo fa ripetere due volte, no, se qualcuno deve farne a meno, mi offro io, un mito. Claudio uno dei tanti fratelli che ho conosciuto direttamente dietro le sbarre, in quella cella di sicurezza che diventata lanticamera della nostra disavventura: troppo mite, troppo simpatico, dopo la televisione, il giorno seguente mi regala una tuta, a me povero cristo che non avevo uno straccio di ricambio. La generosit una virt esemplare, ma in carcere diventa qualcosa di estremamente incantevole. Con la televisione, la cella diventa pi confortevole, una sensazione che dura poco, ma i primi minuti che ti sdrai sulla branda e lasci scorrere le immagini davanti a te, puoi per un momento anche dimenticare, astrarti dal luogo fisico in cui sei. Cerco linformazione, le immagini delle manifestazioni che invocano la tua scarcerazione ti rafforzano nella consapevolezza di essere in carcere, ma di non essere nel torto, rompono quel regime di isolamento che ti vogliono imporre con la violenza delle sbarre, dei cancelli, delle mura, del silenzio. E invece voli oltre le sbarre, attraverso le riprese televisive atterri a Napoli, nel salotto buono della citt, in quella via Roma da decenni off-limits per qualsiasi genere di manifestazione e che invece ora i compagni attraversano scandendo slogan per la nostra liberazione; poi un salto a Roma dove unaltra zona rossa, la centralissima via del Corso attorniata dai palazzi del potere, viene violata da decine di migliaia di persone in corteo; e poi mi ritrovo con i miei fratelli di Bologna, formidabili e pazzi al tempo stesso, che fanno irruzione nella procura di Bologna con striscioni e slogan contro i nostri arresti. Eccezionali nella tempistica, il giorno stesso delle manette a nostri polsi e con la conferenza stampa del capo della Polizia De Gennaro al piano superiore!!! Poi il rumore delle chiavi mi rigetta nella discarica sociale in cui mi trovo. Chiudono con delle grosse chiavi le grosse porte, mi rimane uno spioncino dal quale posso augurare la buona notte ai miei vicini di cella, a stento passa il braccio per un saluto e vedo dinanzi le braccia credo di Pierpaolo che si muovono e fanno lo stesso gesto, in quel corridoio deserto e tetro. Per la prima volta mi ritrovo al buio, nella cella di sicurezza non si poteva spegnere la luce, quindi la mia prima vera notte in carcere, il vento fuori soffia fortissimo e non sono pochi gli spifferi che gelano lambiente. Senza riscaldamento e con una coperta molto leggera difficile non ammalarsi, ma avere la febbre in carcere non solo un inconveniente, come pu esserlo a casa tua, una tragedia che non voglio assolutamente sperimentare. Mi raggomitolo sotto le coperte e mi addormento, inconsapevole di compiere un grave errore. A notte fonda bussano alla porta della cella, accendono la luce, sbattono qualcosa di metallico contro le sbarre, ancora inconsapevole se sia sogno o realt tiro fuori la testa da sotto le coperte, quando le guardie chiudono la luce, la cella e se ne vanno. Il mattino dopo passa un detenuto che distribuisce la colazione, un caff o un bicchiere di latte, niente pi, gli racconto dellepisodio della notte, lui ride e mi chiede se la prima volta che vado in carcere. E semplicemente la conta, ogni notte a una determinata ora la guardia controlla che tu sia nella cella; e dove devo andare? Noi siamo ospiti nel reparto di Alta Sorveglianza, per cui la conta non una come i detenuti comuni, ma anche due o tre a notte, a Trani per mi spiega che da questo punto di vista sono molto umani, nel senso che accendono solo la luce e tu basta che fai un gesto, un cenno, mentre in altre carceri per la conta bisogna scattare sullattenti. Questo forse l esempio pi avanzato del sistema di rieducazione sociale che le carceri italiane adottano, sembra quasi una sorta di tortura bianca tesa ad avvelenarti il sonno, i sogni, la notte, per farti rivivere ripetutamente lo shock dellarresto, dellimprovviso risveglio, dellabbandono forzato. Purtroppo non sar lunico trauma della giornata. Il passeggio, la fantomatica ora daria un'altra botta pesantissima allo stomaco. La risposta al bisogno di parlare, chiacchierare e passeggiare con qualcuno, fossanche il peggior criminale della terra, perch la socialit un bene prezioso, inestimabile, che ti accorgi quanto sia prezioso solo nel momento in cui te lo impediscono e te lo negano con la forza, ebbene la risposta a questo bisogno uno spettacolo terribile: una gabbia per leoni, uno spiazzo di poche decine di metri quadrati con le sbarre tutte intorno ma addirittura anche sopra la testa. Questa la chicca di questo carcere, la peculiarit del carcere di Trani, queste orrende sbarre sopra la tua testa che ingabbiano anche il cielo: fortunatamente scoprir che questa ulteriore vessazione non molto diffusa in Italia, ma a Trani dopo la rivolta dei primi anni ottanta fu una delle misure adottate per rendere pi invivibile la permanenza in questo supercarcere. Sono tre o quattro gli spiazzi, divisi lun laltro da mura alte circa dieci metri, percorro il corridoio dal quale osservo i detenuti in quel curioso andare avanti e indietro, sono una trentina ogni spiazzo, non ho minimamente idea di come ci si comporta, se mi dovr presentare, se meglio restarsene in disparte o se questo pu provocare diffidenze, malumori o anche altro. Tuttavia sono curioso e anche felice di trascorrere due ore fuori da quel buco di cella, lontano da quella solitudine e quel silenzio che il gracchiare della televisione non riesce a rompere. Ma unagghiacciante sensazione di vuoto mi sovviene quando la guardia mi apre il cancello: nel mio spiazzo non c nessuno, sono solo, una gabbia di leoni vuota e tutta per me. Non capisco, lo sbandamento forte, se gli spazi angusti della cella dimostrano che la solitudine anche una necessit logistica, qui invece il senso di spaesamento di solitudine forte, evidente, quando ti piazzi al centro della gabbia, quando approcci il tentativo di fare un giro per sgranchirti le ossa, il silenzio troppo rimbombante. Sono in regime di isolamento, in un carcere di massima sicurezza, nel reparto di Alta Sorveglianza: questa squallida situazione rappresenta sulla carta il momento di svago e di socialit. Bestemmio ad alta voce, una bestemmia spontanea, senza precisi destinatari, mi assale la tristezza e langoscia, mi sento prigioniero, forse per la prima volta mi sento prigioniero nel senso letterale del temine, perch desidero ardentemente andarmene via da questo posto infame, si va bene abbiamo fatto due giorni di carcere, esperienza importante, adesso basta, voglio andare via, tornare a casa. Ma, evidente, non posso farlo. Allora mi metto a cantare, una canzone mi sovviene alla mente, disimpegnata perch in questi momenti di crollo psicologico la miglior risposta ignorare il contesto, il come e dove sei, i tanti perch che assalgono la mente: liberi, liberi siamo noi, Non sono canti rivoluzionari, una canzone di Vasco Rosi che ascoltavo quando ero giovane, che mi affiora alla mente in modo spontaneo e a un certo punto diventa quasi martellante. Allora canto, a bassa voce, quasi tra me e me, c sempre una guardia in alto che ti osserva e non vorrei sembrare rimbecillito; ma poi a un certo punto sento un fragore, mi avvicino alla parte pi esterna dello spiazzo, un altro fragore, non ci posso credere, sono onde, sono onde del mare, siamo vicini, vicinissimi al mare! Stupendo, che bello, anche se in verit mi viene un groppo alla gola: non riesco nemmeno a percepire lesatta collocazione del mare, ma mi sforzo di immaginarlo, nella sua immensa spazialit, nei suoi orizzonti infiniti, in quella sua dimensione aperta che fa a pugni con il carcere, le alte mura, le sbarre ovunque. Altra, ulteriore tristezza, non ce la faccia pi, voglio tornare in cella, in quel buco sporco e angusto, ma la cui spazialit mi ormai familiare, meglio rincretinirsi davanti alla televisione, a guardare tutto il pomeriggio i programmi demenziali che intontiscono giovani e meno giovani che scelgono deliberatamente di incarcerarsi davanti al televisore. Arriva il rancio, la solita brodaglia, due uova sode. Poi la sera passa la guardia, preparate tutta la roba che domani andate via, trasferiti, destinazione carcere di Viterbo. La domanda sorge spontanea: Ma perch Viterbo? La guardia non risponde, e anzi mai nessuno mi risponder a questa domanda in modo compiuto. Ancora una volta resto allibito dal mio approccio conservatore : nessun interesse, nessuna curiosit per la nuova situazione in cui mi ci porteranno con la forza, anzi timori, paure e quindi attaccamento allo schifo in cui ti hanno gettato, pensi ai piccoli privilegi che rischi di perdere, la televisione, il caff la mattina, la possibilit di scambiare qualche parola con i vicini di cella. Sono le cinque del mattino quando ti svegliano, mi dicono di sbrigarmi, ho gi preparato tutto, lavo i denti e la faccia, mi vesto, cinque minuti e sono pronto, passa unora non capisco, chiamo una guardia mi dice di aspettare, dovr aspettare altre tre ore prima che le guardie di prendono in consegna, per iniziare quellinferno che tecnicamente chiamano traduzioni.

Spesso sullautostrada, sulle strade di Napoli e non solo, si vedono sfrecciare i furgoni della polizia penitenziaria, ma non arrivi mai ad immaginare il dramma che si consuma al loro interno, certo non sar la prima classe di un eurostar pensavo quando incrociavo questi cellulari, ma quando entri dentro e soprattutto quando ci stai anche per sole poche ore, ti accorgi della tortura, della barbarie che si nasconde dietro quei vetri neri. Trani-Viterbo, sono 9 ore di inferno, chiuso in uno sgabuzzino di poco pi di un metro quadro, alto altrettanto, con una sedia sulla quale sei costretto immobile a passare queste interminabili ore, al buio, sballottato dalla guida, dalle sterzate, con quelle manette ai polsi che si stringono ogni volta che provi a muovere le mani, ti rifilano alla partenza una busta con un panino e una bottiglia dacqua e non devi mai dimenticare di ringraziarli, grazie per non farmi morire di fame, grazie per esservi fermati a mangiare al ristorante dellautogrill e averci lasciato per altre due ore nei nostri sgabuzzini, grazie per averci allentato le manette quando oramai si bloccava la circolazione del sangue tanto che si erano strette, grazie lo stesso pure se non mi avete fatto andare in bagno malgrado ve labbia implorato a pi riprese, grazie per avermi sequestrato alla partenza la penna e i fogli che avevo in tasca e con i quali pensavo di poter scrivere qualcosa durante il viaggio. Grazie, grazie di tutto, a voi servitori di queste istituzioni cos buone, democratiche e civili che noi cattivi sovversivi e cospiratori vogliamo cambiare. Grazie di cuore. Larrivo a Viterbo per noi una sorta di liberazione; appena scendo dal cellulare mi tolgono le manette e ci lasciano per qualche ore nella cella di sicurezza, ancora pi piccola di quella di Trani, ma che per noi un albergo a cinque stelle se confrontato con il buco nel quale abbiamo dovuto trascorrere lintera giornata. Siamo meno della met degli arrestati, non sappiamo se gli altri sono gi arrivati o arriveranno a Viterbo, se sono stati trasferiti in altre carceri, se sono rimasti a Trani. Un'altra volta, la stessa trafila di Trani, le impronte - ma non le avete gi prese a Trani? -, un'altra perquisizione personale ma non lavete gi fatta a Trani prima di partire? -, un altro modulo con le stesse domande, con le stesse risposte, mi dispiace il regolamento rispondono con un disco fisso alle tue osservazioni sul dispendio di tempo e di energie. La sensazione di essere una sorta di pacco postale diventa evidente quando ci rimettono nella cella di sicurezza, passano ore e ore, senza una finestra, senza una sigaretta, un piccolo spioncino il nostro collegamento con il resto del mondo o meglio con il resto del carcere, ma ormai quello il nostro mondo, il nostro nuovo mondo, cos simile a quel carcere di prima, cos diverso, cos infame e patetico, il patetico delle perquisizioni, delle impronte, i tuoi panni buttati allaria, e poi le flessioni, i sissignore, lo sguardo eternamente basso, la sporcizia, le sbarre, i cancelli; in questa cella abbiamo il lusso di una sedia, messa chiss per piet da qualche secondino da qualche anno, fracida e sporca in questo buco una sorta di trono, altrimenti ti devi buttare per terra, e quindi facciamo a turno, una mezzoretta ciascuno. Perch siamo in questa cella? Ormai inizio a capire i meccanismi perversi del sistema carcerario: siamo dei pacchi postali fermi allo smistamento, in attesa che passi qualche secondino che va nel nostro reparto e che quindi ci pu accompagnare nelle nostre celle; una cella di una galera, quante vole nella vita avr pensato con orrore a un posto simile, chiss cosa avrei dato pur di non trascorrere un solo minuto dentro un posto del genere. E invece ora il mio sogno, il mio desiderio pi ardente finire al pi presto in una cella, per me in questo momento il lusso, una branda, una coperta, un lavandino, qualsiasi cella, anche la pi infima, purch questennesima giornata infinita, dove il tempo non passa mai, possa concludersi. Qualcuno apre la porta, ci guarda con aria sospetta, richiude. Cos avverr per una mezza dozzina di volte, forse qualche collega ha raccontato dellarrivo dei noglobal e i secondini sono curiosi di osservare da vicino questi strani personaggi. Ebben s, abbiamo due occhi, respiriamo, due gambe, ma forse a differenza di altri non ci lamentiamo, non vi esaltiamo con le nostre implorazioni, con le nostre preghiere, rimango immobile, attendo impaziente un cenno, una parola, nulla, richiudono quella porta dacciaio spessa venti centimetri, ed il forte rumore che accompagna la chiusura lennesimo pugno allo stomaco. Non abbiamo un orologio, non si possono avere in carcere, o meglio lo puoi avere ma soltanto acquistandolo dentro, il costo chiaramente triplicato, gli orologi sono gli scarti, ma intanto meglio di niente. Altrimenti si fa la fine che abbiamo fatto noi; ormai abbiamo perso ogni cognizione di tempo, quando siamo arrivati a Viterbo cera ancora il sole, ma ormai fuori forse gi calata loscurit. Poco importa in verit. Il tempo qui dentro una variabile assassina, perch di tempo ne hai troppo e poi non passa mai, lesatto contrario del normale, cio quando sei un uomo libero, quando la frenesia della quotidianit inghiotte la tua giornata, il tuo tempo, la tua vita. Qui hai tutto il tempo, e la voglia, di ragionare a fondo, e da questo bassofondo, dalla discarica sociale in cui ti hanno gettato, hai modo di vedere, toccare, verificare, lassurdo funzionamento di questa macchina sociale che noi chiamiamo contemporaneit. Smarcato dalla funzione pratico-inerte che ti guida e ti accompagna ad inserirti nella societ, ad abbandonare la frivolezza della giovinezza e delladolescenza, qui dentro, attraverso questo rumoroso silenzio che ti rimbomba nel cervello, riscopri il senso e i tanti perch di una vita ribelle che ti ha segnato nel crescere e ti ha portato fin dentro il sistema pi cruento di repressione e controllo sociale. Il carcere, o meglio i reparti di Alta Sorveglianza di un carcere di massima sicurezza. Sono qui dentro perch non condivido, rifiuto, contesto questa societ, che produce e moltiplica in modo esponenziale drammi ed emarginazione sociale e poi costruisce apposite discariche per gettarne dentro questi suoi frutti marci. Un carcere che colpisce, punisce, reprime, un carcere che soffoca, strangola toglie il respiro: non c rieducazione, reinserimento sociale, questo st solo scritto sui libri, sulle carte e scartoffie di quel mastodontico apparato di stato che vive per xxxxxxx il controllo sociale, per perpetrare questassurdo sistema di controllo e oppressione sociale. Basta la minaccia e lesperienza della reclusione come meccanismo deterrente rispetto alla reiterazione dei reati? No, non basta, c bisogno di ben altro. Quando entri in carcere non puoi non uscirne ancor pi incattivito, incarognito, allora bisogna adottare e generalizzare la pena di morte, anche per i reati minori. Oppure, se proprio si vuol essere democratici, cambiare radicalmente il sistema penale, superare la logica tutta ottocentesca del carcere, del sistema punitivo come perno centrale dellazione penale. Sogni e divagazioni tipiche da cella di sicurezza, direbbe qualche dotto esperto di giurisprudenza. Anche a lui, come per tutti i magistrati, soprattutto quelli dei tribunali di Sorveglianza, basterebbe inserire un tirocinio di una settimana, una settimana in carcere da recluso, perch cambiare lo stato di cose presenti e forse oggi il problema del sovraffollamento delle carceri nemmeno esisterebbe. Aprono la porta dacciaio, in piedi, finalmente, prendete la roba, manca poco ormai, c solo linterminabile passeggiata in questo labirinto di corridoi, cancelli che si aprono al tuo passaggio, lennesima guardia ti chiede il cognome e ti chiude il cancello alle tue spalle, una, due, tre volte, il tuo cognome su quei registri particolarmente inutili, fino allultime sbarre, quelle che delimitano la tua nuova casa, uno spazio orrendo, drammaticamente piccolo e infimo, ma che in questo momento paragonabile a una suite imperiale. La branda, solo pochi minuti per metterci su un lenzuolo e una branda, scrutare le luci del tramonto che dalle sbarre si intravedono, e finalmente mi immergo nel mondo dei sogni, che qui dentro sono quasi sempre incubi, ma almeno liberi di volare e attraversare limpossibile. Il risveglio traumatico, sono tre guardie che entrano in cella e iniziano a battere una spranga di metallo contro le sbarre della finestra. E la battitura della sbarre, unaltra tradizione che segna il tempo dentro le carceri; ma non possono farla di giorno, non possono farla quando facciamo lora daria, perch devono farla alle sei del mattino? Domanda inutile, come inutile attendersi una risposta dalla guardia di turno che sa risponderti, questa volta anche un po sconsolato, mi dispiace il regolamento. Il lavandino un piccolissimo cilindro, dove a stento entrano due mani, a Trani era un lavandino normale ma non sapevo ancora che quello era un lusso e non un diritto. Non ho uno spazzolino, a Trani me lavevano consegnato in dotazione con le coperte, anche questo scoprir che era un lusso e non un diritto e per quasi una settimana scoprir il piacere di poterne fare a meno. In verit c un lusso qui rispetto a Trani, il bagno un ambiente separato rispetto al resto della cella, ma aprendo quella porticina di ferro ti assale un senso di repulsione per un fetore indescrivibile che riempie quel minuscolo spazio di cinquanta centimetri per un metro di lunghezza, e ti fa rimpiangere quel cesso nel bel mezzo della cella di Trani.

Non c nessuno di fronte alla tua cella, non c nessuno con cui parlare, scambiarsi due battute, o anche semplicemente uno sguardo, non c nessuno se non dei lamenti, delle urla di dolore che provengono da non molto lontano, sar allincirca una dozzina di celle pi lontano, ma non sai e non puoi sapere nulla, perch il tuo campo visivo sono i dieci metri attorno al cancello della tua cella e in questi metri non c niente e nessuno. Regime di isolamento. Sezione Punitiva, se sbagli e ti arrabbi con qualcuno finisci qua sotto, anche per due o tre mesi. E linferno. Linferno della solitudine, del silenzio assordante, della televisione che c ma non funziona, della finestra che si affaccia dinanzi ad un bel muro immenso di cemento, linferno di una penna che hai chiesto e mai ti consegneranno, linferno dei passi che senti arrivare da lontano ma si fermano sempre prima della tua cella, non sai chi , pu essere anche il peggior aguzzino ma speri che giunga da te per rompere la piattezza, limmobilismo di una giornata che non trascorre mai. E infine, linferno del tuo stomaco che rumoreggia e devi necessariamente mangiare, e allora mangi quella sottospecie di brodaglia che chiamano pranzo, poi riscaldano e chiamano cena, quelle carote andate a male che infilano da tutte le parti e non riesci a scartare, quella pagnotta di pane duro, quella pasta lessa che solo a guardare ti viene il vomito, quelle mele marce, con quel piatto che puzza ogni giorno di pi ma che puoi solo sciacquare e asciugare con il tuo unico rotolo di carta igienica in dotazione. E cos, la notte, prima di addormentarmi, faccio i miei soliti sogni perversi, la pasta al forno di mia madre, le salcicce calabresi, gli gnocchi alla sorrentina, la pizza, uffa. Dopo tante, troppe ore che non passano mai, a bestemmiare contro il mondo e fissare la parete, cala la notte e la tristezza prende piede, basterebbe poco per non cadere nello sconforto, ma non c nulla e nessuno, puoi gridare come il tizio di stamani, ma nessuno ti verr incontro, anzi lo devi sperare perch se viene qualcuno non sicuramente per far del bene. Non mi sono mai capacitato di come e perch una persona possa avere il coraggio o sentire la necessit di togliersi la vita, ma da questa prospettiva forse si pu comprendere, non certo giustificare, il lenzuolo attorno al collo, il lasciarsi deperire, morire. Sono troppo convinto che la mia solo una situazione temporanea, che una questione di pochi giorni e poi sar di nuovo fuori, ho letto a lungo, ora per repulsione non pi, lordinanza di custodia cautelare e sembra pi una barzelletta che un atto giudiziario. Ma come si pu sopportare la prospettiva di restare per mesi, anni, decenni, rinchiusi, sepolti vivi in queste celle? Credo che non sia umanamente accettabile, eppure ce ne sono tanti, ora vogliono anche render permanente il 41 bis: potranno pur essere i peggior mafiosi, ma la tortura, perch di questo si tratta, la tortura stata abolita nel nostro paese e se la vogliono ripristinare abbiano il coraggio di dirlo, perch dietro questo numero a caso, il 41, c questo e nullaltro. Non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, di vivere in isolamento per pi di 24 ore, pian piano impazzisci, diventi isterico, ti si fonde il cervello. Anzi, forse uno o due giorni in carcere, anche non in regime di isolamento, a qualcuno glielo augurerei, non per cattiveria ma perch gli farebbe bene, a lui e alla societ, sarebbe sicuramente un esperienza angosciante ma al servizio della collettivit: un tirocinio di 48 ore per tutti i giovani aspiranti magistrati, soprattutto coloro che lavoreranno nei tribunali di Sorveglianza, per capire cosa significa quello che loro hanno studiato e conosciuto sulla carta. Avrebbero sicuramente una percezione pi approfondita e consistente dei termini che loro adottano, delle misure che emettono, e probabilmente il problema del sovraffollamento delle carceri verrebbe meno. Ma intanto le carceri si riempiono di poveri disgraziati, e speriamo che noi non apriamo la stagione anche degli oppositori politici: questo il terrore reale che gironzola nella mia testa e credo in quella di tantissimi altri compagni che sono fuori. Il terrore che passi il teorema di Cosenza, che il nostro arresto diventi lesempio da seguire per criminalizzare e incarcerare uninterna generazione in movimento, la generazione di Seattle, di Genova. Questa la partita che si gioca sulla nostra pelle, una partita in cui il mio disagio per il regime carcerario veramente un banale dettaglio a fronte della complessa partita politico-giudiziaria in campo. Resistere, resistere, resistere. Le ore, i giorni, passano in un modo o nellaltro, arrivano anche le visite, gli avvocati, mio fratello, i parlamentari pi disparati, il cappellano, visite sempre fugaci ma che in qualche modo riempiono la giornata. Perch in verit io potrei anche trascorrere ben 4 ore fuori la cella, in quella che comunemente viene chiamata ora daria, ma lo spettacolo a cui ho dovuto assistere la prima volta che chiesi di beneficiare di questo diritto, mi sono rinchiuso in cella e ripromesso che non lavrei mai pi chiesto: siccome sei in isolamento, la mente perversa che ha progettato questo carcere di massima sicurezza ha pensato bene di creare un cortiletto per ogni cella; le mura sono alte quattro cinque metri, il cortile, tanto per usare un eufemismo, lungo tre metri e largo uno. Allinterno: nulla. Non credo che i numeri e la descrizione possano rendere lidea di che mostruosit stiamo parlando, ma se questa laria, preferisco morire asfissiato nella mia cella Arriva il giorno dellinterrogatorio con il GIP, la dott. Nadia Plastina, ho una voglia recondita di raccontargli tutto, di spiegarle che linchiesta sbagliata sul nascere, che le accuse che mi rivolge il PM sono false, inventate e fantasiose, che la mia associazione sovversiva non si chiama Rete Sud Ribelle, ma movimento dei movimenti, che quindi da incarcerare siamo alcune centinaia di migliaia di persone e forze le carceri di tutto il mondo non possono bastare per infilarci tutti dentro. Ma inutile articolare una difesa tecnica giuridica o fare chiss quale discorso politico, nella stanza siamo soli, lei lo sguardo un po scocciato, mi chiede se voglio rispondere alle sue domande, con un po di soddisfazione le rispondo no, mi dispiace ma ho una piccola dichiarazione spontanea che vorrei rendere, prego, prego, e gi due righe di accuse pesanti, ma con linguaggio molto garbato: A lei, che ha trasformato il tribunale in uninquisizione, a lei che antepone il pregiudizio al giudizio, a lei che mi accusa per le mie idde, io non intendo rispondere. Mi alzo convinto di essermi tolto un peso, un sassolino dalla scarpa e torno a testa alta nella mia cella, brutta, fredda, sporca, ma intanto quello che oggi ho, poco, ma sono convinto che la dottoressa che mi ha interrogato se fosse sua prerogativa, mi avrebbe tolto anche questa. Per questo mi sento felice e appagato, ma le sorprese non finiranno qui. Infatti la dottoressa di cui sopra, dopo gli interrogatori, dovr revocare il regime di isolamento, che viene emesso per non permettere ai coimputati di incontrarsi e confrontarsi prima dellinterrogatorio con il magistrato: ma la perfetta macchina da guerra della Procura di Cosenza anche in questo ha fatto un po cilecca, ammassandoci nelle prime ore di detenzione tutti i venti incarcerati nella stessa cella di sicurezza, poi trasferendoci in gruppi di tre, insomma lisolamento molto probabilmente potevano anche risparmiarcelo, Ma tant, almeno questincubo nellincubo ormai volge al termine. Mi addormento sereno, forse per la prima notte faccio sogni tranquilli, tant che quando mi sveglio per un momento non riesco a mettere a fuoco la situazione, non ricordo dove mi trovo. Ma sono pochissimi secondi, poi la testa torna sul cuscino e lennesimo giorno di detenzione comincia. Ma lincubo dellisolamento si tronca a met mattinata, dopo che per la seconda volta (la prima involontariamente) bevo quella sottospecie di brodo che distribuiscono al mattino e hanno il coraggio di chiamare caff: ho problemi intestinali e spero che quella cosa mi aiuti, ma nulla mi vien solo un conato di vomito. Poi, finalmente la grande svolta. Una guardia mi chiama, Caruso prendi tutta la tua roba, devi cambiare sezione. Ancora una volta, emerge quellassurdo principio conservatore acquisito in carcere, mentre percorro quel labirinto di corridoi e cancelli, arrivo a rimpiangere il regime di isolamento e a incutermi terrore per la mia nuova destinazione: per la prima volta avr a che fare con altri detenuti, e la cosa mi preoccupa, mi lascia perplesso. Forse era meglio lisolamento, pungente, terribile, ma con la garanzia fondamentale per la quale nessuno ti poteva rompere, importunare, disturbare, se non alcune, poche per la verit, guardie a cui ormai avevo fatto labitudine per cui non gli davo troppo peso ed importanza. Che imbecille! Dopo nemmeno unora dallarrivo nella sezione transito, pensavo a quante ingenue e cretine erano queste osservazioni che facevo nel mentre mi trasferivano. Sono venuti due lavoranti, detenuti che lavorano in sezione e quindi hanno le celle quasi sempre aperte a salutarmi, a chiedere se

avevo bisogno di qualcosa, uno addirittura mi ha preparato il caffe che caff!! Il caff normale, quello fatto con la moka, quella che ha proprio il sapore di caff. La cella il solito strazio, ma qui ho i vicini di cella, dinanzi a me ci sono altre celle, altri detenuti, poi arriva una guardia, mi chiama e mi manda in infermeria, il dottore di turno ha la faccia perplessa, mi chiede se mi sento bene, se ho qualche problema di salute, lo liquido in poche battute, lo gelo con uno sguardo e uno sbuffo che dice chiaramente di lasciarmi in pace, al che il medico arriva al dunque, mi dice che in cella sar in compagnia di un altro mio collega, tale Pierpaolo Solito, non lo conosco, forse ci siamo intravisti in quella cella di sicurezza del carcere di Trani dove siamo passati, il dottore si fa serio, prende alcune carte e mi spiega che il Solito non stato affatto bene in questi giorni, mi raccomanda di tenerlo docchio, Pierpaolo ha avuto una crisi depressiva, per due giorni non uscito dallinfermeria. Quando lo vedo davanti alla cella, con il suo sacco nero dellimmondizia pieno dei suoi indumenti e delle sue cose, stringo i denti per la rabbia e il dolore: bastardi, che cosa gli avete fatto, mormoro nella mia testa. Poi fingo un blando sorriso, dai Pierp ti accompagno alla nuova cella: ha gli occhi scavati, mi sembra un tossicodipendente allultimo stadio, lo sguardo fisso nel vuoto, ha il fisico debilitato, avr perso diversi chili da quando ci siamo visti meno di una settimana fa a Trani, si trascina con la sua busta per il corridoio, non parla, io mi sento sbandato, confuso, non so che dire, che fare. E il silenzio inizia a pesarmi sulle spalle come un macigno. Il grigio del corridoio lo specchio del grigiore che ci attornia, tutt intorno, ma anche dentro lanima; la guardia che ci segna il cammino Poi fortunatamente larrivo e la sistemazione nella nuova camera dalbergo a cinque stelle, come il ministro Castelli definisce le celle delle carceri italiane (venga, venga ministro, una settimana di lusso in questa suite gliela cedo volentieri): basta una persona con te, anche lemerito sconosciuto, e la cella diventa piena, non solo fisicamente perch letteralmente non hai dove mettere le poche cose che hai, non hai lo spazio nemmeno per muoverti, ma anche metafisicamente: si riempie di umanit, di socialit, di calore umano, quei beni umani che il girone infernale dell isolamento ti strappa e mortifica insieme allazzeramento dellaltro bene affogato nelle sbarre, la libert, la sacrosanta e insopprimibile libert che qui diventa un accessorio, unaspirazione che si perde nel ricordo. Scherziamo, ridiamo, i nostri volti si rilassano, abbiamo finalmente qualcuno a cui raccontare reciprocamente il dramma di questi giorni, ma la mia solitudine e la mia angoscia sono dettagli a confronto delle vicissitudini di cui stato protagonista Pierpaolo. Se ti viene la depressione in carcere sei finito dice con un certo distacco, tentando di allantonare i fantasmi del passato attraverso una sorta di storicizzazione di eventi che in realt hanno il loro epilogo solo poche ore fa: sei fottuto perch la loro cura micidiale, un mix di psicofarmaci e valium, ha per te leffetto moltiplicatore della crisi depressiva, di quella che i medici chiamano sindrome da carcere, ma ha una precisa utilit in quanto serve loro per non essere disturbati, ti intontiscono mattina, pomeriggio e sera, in modo che non hai alcuna pretesa, domanda, ansia, non hai voglia di nulla, diventi un vegetale. Erano giorni che non mangiava e ha avuto anche il coraggio di rinunciare al primo rancio che ci portano in cella, un piatto di pasta e due uova soda, che sono il lusso qui, lo esorto, lo imploro, alla fine cerco di costringerlo, ma in fondo non posso dargli torto, il cibo puzza e fa schifo, anche le uova soda hanno un sapore strano, credevo che erano tutte uguali invece qui hanno anche il modo di fare le uova sode stomachevoli.. Abbiamo la televisione, altra conquista sociale, e il tempo riusciamo a passarlo, le ore sono sempre infinite, ma non sono quei macigni inesorabili dellisolamento, abbiamo finanche due ore di socialit. La prima volta che usciamo un altro momento indimenticabile, lincontro con Gianfranco e Claudio, labbraccio, il ritrovarsi in questo luogo poco ameno ma pur sempre il rincontrarsi, sapere che siamo vicini, solo una decina di celle ci separano, sono preoccupati, gli sembra assurda tutta questa storia, come del resto lo , per rincuorarli gli faccio leggere la montagna di telegrammi, una decina al giorno che mi sono arrivati, servono a riscaldarti, soprattutto in isolamento, a passare quei pochi minuti che ci impieghi per leggerli come se fossi libero, per la strada, a stringere le mani, ad abbracciare ognuno di questi compagni, di questi fratelli, di questi sconosciuti che sentono il bisogno di esprimerti la loro vicinanza. in questo modo, lunico che gli concesso, almeno che non sei un parlamentare, allora ti puoi anche materializzare, come hanno fatto in tanti in questi giorni, che solo elencarli mi sarebbe difficile. Sono visite parlamentari, ma in alcuni casi parliamo di veri e propri fratelli, compagni con i quali c qualcosa che va oltre i rapporti politici, come con Giovanni o Graziella. Poi loro escono, inevitabile, non gli auguro certo di restare con me tutto il tempo, n loro potrebbero, ma in quel distacco comprendi la lontananza tra te e il mondo esterno, i compagni che si muovo, si sbattono in questi giorni per la tua liberazione, in televisione vedi la manifestazione di Cosenza una cosa bellissima, ma oramai non pi come il primo giorno, il calore umano, la solidariet diventa quasi impercettibile, impersonale, una bellissima manifestazione, centomila persone e lintera citt in piazza a solidarizzare, per la prima volta il movimento scende nel profondo sud, ci voleva uninchiesta e gli arresti mi dico, ma tutto questo, le trasmissioni televisive sui nostri arresti, le prese di posizione di tutte le forze politiche contro loperazione giudiziaria, ogni giorno che passa non mi sembra che ci possa interessare in prima persona, che parlano e riguardano noi. Il nostro mondo non pi quello, il nostro mondo quel bagno lurido da pulire, gli indumenti puliti che grazie al cielo mio fratello riesce a portarmi ma non so dove sistemarli, sono le sigarette che dobbiamo ogni giorno recuperare, le guardie, la conta notturna, il rancio mattutino, il caff profumato della cella a fianco, le discussioni per rendere vivibile la nostra cella. Cerco di mantenere aperta lattenzione politica sulla vicenda, scrivo una lunga lettera al movimento in generale, ma ci metto quasi una settimana, credevo che una volta in cella avrei scritto non dico i quaderni dal carcere, ma sicuramente molto, fossanche perch non avrei avuto il mio cronico problema del tempo che ogni volta che devo scrivere incombe sulla mia testa. Mi sbagliavo, ti tempo non ne ho, o almeno non lo voglio avere per scrivere. Ormai ho la carta, la penna, non ho scuse, ma non riesco a scrivere, preferisco addirittura guardare la televisione, fare il devastante nulla, ma a scrivere e uno sforzo, significa riflettere su doce e come sono finito qui, prevale invece il senso e il tentativo di ambientarci, di sentirsi assurdamente a casa propria, per cui il mondo esterno, o meglio il mondo intero, solo un dettaglio, un ricordo da rimuovere per vivere meglio la propria giornata, cos simile a quella precedente e quella successiva, ma se ti applichi sulle piccole cose, sulle piccole conquiste materiali, da uno spazzolino a un caff, da un francobollo a una sigaretta, allora la tua giornata, la tua vita torna nelle tue mani, ti hanno tolto la libert, e il gioco ora diventa strappare quei piccolissimi, impercettibili spazi di agibilit, di movimento, di libert, dove per libert si intende anche laver accesso a un accendino, ce lha il tuo vicino di cella, ogni volta te lo deve lanciare e tu devi rilanciarglielo, ma ora sei libero di fumare quando vuoi tu. Abbiamo una saletta, oltre a quei cunicoli squallidi nei quali possibile passare le due ore allaria, allaperto semplicemente perch sopra c il cielo, ma sono lunghi dieci metri e larghi due metri, ti senti come un topo, meglio la saletta, ci sediamo intorno a un tavolo noi quattro, ma anche i detenuti di questo reparto reparto transito, dovrebbero esserci i detenuti in movimento, chi appena arriva o chi in trasferimento presso altra destinazione, invece c gente che li da otto, dieci anni. Non capisco, ma sono tante le cose che non capisco e che non sono tenuto a sapere, anche perch non ce nessuno che mi spiega, la vita di detenuto si apprende attraverso lautoformazione, mi dico, mentre scopro di aver ormai compreso alcuni dei meccanismi perversi della vita carceraria. La cosa pi importante, ad esempio, ho scoperto essere la spesa. Infatti non mi avrei mai immaginato che in carcere c la possibilit di acquistare tantissime cose, c il listino con i prodotti, i prezzi esageratamente gonfiati, e lo spesino che gira a ritirare gli ordini: lunico problema che devi ricordarti a tempo di quello che serve, per cui luned fai la spesa ma ti arriva la roba il sabato, quindi devi programmare, pianificare i tuoi acquisiti, i tuoi bisogni. Mi addormento guardando la televisione, un bellissimo film demente, bellissimo perch mi fa ridere, arrivi a distrarti a tal punto che nel buio della cella puoi anche dimenticarti del dove sei finito. Potrebbe essere la mia camera, potrei essere sdraiato sul mio letto, sul mio comodo materasso, ma non solo il mal di schiena, ma sono soprattutto le urla che provengono di tanto in tanto da una cella del reparto, urla che invocano ripetutamente per ore e ore aiuto e assistenza, che mi riportano in quella amara realt in cui mi hanno scaraventato due valorosi magistrati. Queste urla, in questo come in ogni altro carcere, non sono altro che i rumori consueti della notte, come in una baita di montagna pu essere il fruscio del vento, mi devo solo fare labitudine, la prima volta ti angosciano, vai in apprensione, ti metti anche tu ad urlare per richiamare lattenzione di una guardia, di un infermiere. Crisi dastinenza, attacco di panico, crisi depressive, epilettiche, per qualsiasi cosa dopo la snervante attesa arriva in reparto il solito infermiere con la sua medicina universale che non cura nulla, ma almeno la finisci di infastidirlo: calmanti e

sedativi, sedativi e calmanti, che poi sono la stessa medicina, dal nome impronunciabile, che ti abbatte in un istante, il dolore apparentemente scompare, pronto a riprendere con la fine delleffetto del sedativo. E allora altre urla, altre grida di dolore, lattesa, linfermiere, la medicina. In questo reparto sono almeno tre o quattro che conducono questa vita assurda tutti i giorni, mattina e sera, non li vedi mai. le celle sono chiuse e al buoi anche di giorno, non fanno socialit, non parlano, non si alzano dal letto, veri e propri vegetali. Ma anche il clima generale di questo reparto, che altro non che il sottoscala del carcere, molto strano. Hai la possibilit di trascorrere quattro ore fuori la cella, nella saletta o nei cunicoli per il passeggio, eppure sono nemmeno una dozzina quelli che approfittano di questa nobile concessione. Eppure nel reparto siamo almeno una cinquantina di persone. Che fanno tutti gli altri perennemente chiusi in quelle celle chiuse, senza luce, eternamente al buio? Mi incutono un po di paura ogni tanto quando incrocio i loro sguardi, durante la distribuzione del rancio, quando attraversi il corridoio e cerchi di scrutare un movimento, un segno di vita da quelle celle buie. Al mattino entrano gli agenti in cella, sbattono una spranga contro le sbarre della finestra, ormai mi sono convinto che costoro non controllano se abbiamo segato le sbarre ma piuttosto si divertono a svegliarci il quel modo, con quel rumore assordante che ti lascia irritato per tutto il giorno. La televisione ancora accesa, e il telegiornale parla della scarcerazione dei noglobal arrestati a Cosenza. Panico totale, apprensione, sudo freddo, non riesco a metter a fuoco, sono, siamo liberi vien voglia di gridare, mi inizia a scorrere nellanimo un senso di ansia ed euforia, ma dura tutto pochi secondi, il giornalista spiega che sono solo due gli scarcerati, mentre il resto rimane in carcere per ordine del GIP. Mi rassegno, chiaro che io sono tra quelli che restano in carcere, non ho parlato con il magistrato, non gli ho potuto fornire alcun pretesto per farmi scarcerare e in quel momento quasi mi pento di essermi avvalso della facolt di non rispondere, di non essermi fidato della dottoressa che ero convinto non sarebbe retrocessa di un millimetro. E invece lha fatto, pi avanti scopriremo che altro non era che un maldestro e squallido tentativo teso a dividere, a spaccare, ma in quel momento poco o nulla ti importa delle vicende politiche, giudiziarie, senti da vicino il profumo della libert, come a un affamato che lo portano al ristorante, apparecchiano e bandiscono la tavola, ti avvicinano deliziose cibi, afferi la forchetta e in quel preciso istante scompare tutto. Pierpaolo sveglio, ha il viso pallido mentre ascoltiamo in silenzio i nomi dei compagni scarcerati, di chi ha ottenuto gli arresti domiciliari, noi siamo gli altri, quelli che restano in carcere, altri giorni, altre settimane, altri mesi. Abbozzo un sorriso, una battuta, cerco di rimuovere lagghiacciante silenzio che avvolge la cella, un silenzio glaciale che sovrasta il gracchiare del telegiornale, ormai impegnato a disquisire sullultima sfilata di moda e sulle amanti del principe dInghilterra. Gtianfranco, Antonino, Pierpaolo, maledizione, poteva finire cos nemmeno una settimana di carcere, in fin dei conti storicizzandola era pure un esperienza importante, ricca dal punto di vista umano. Invece quel gigante punto interrogativo sovrasta ancora sul nostro futuro prossimo. Tutto in questo momento ci sovrasta, le sbarre, i cancelli, il soffitto, il freddo, il silenzio, un macigno sulle spalle gracili di chi ormai stanco di parlare, di scrivere, di lottare. Ci vogliono annientare, e ci stanno riuscendomi dico tra me e me, e il fendente pi duro dovevano ancora sfoderarcelo. Lo far di l a poco lagente di guardia, si avvicina e apre la cella, preparatevi che ve ne andate, uscite, gli rispondo a freddo, speranzoso che mi contraddica non ci prenda in giro, abbiamo appena ascoltato la televisione noi restiamo in carcere, ma lui insiste, dice che loro sanno la verit dei fatti non certo la televisione, si allontana, non ci resta che ammassare i panni e le poche cose che abbiamo dentro la busta nera dellimmondizia e attendere spazientiti il suo ritorno, lattesa snervante, anche se leuforia trapela dalle nostre parole, dai nostri gesti, la speranza la disinformazione televisiva, avranno sbagliato i giornalisti o le guardie, questo il quesito che ci martella lanima per quasi unora. Poi viene una guardia, confessa molto imbarazzato ci siamo sbagliati, non uscite semplicemente un cambio di reparto. Crollo in silenzio sul mio letto, era troppo bello, era troppo facile, ora la cella, la privazione della libert diventa soffocante, manca laria, i nervi sono a fior di pelle. Langoscia prende il sopravvento, vorrei piangere per sfogare langoscia ma devo soprassedere, distrarmi e distrarre Pierpaolo, non possiamo farci nulla, inutile dilaniarci dentro, era prevedibile, era messo in conto, sarebbe stato un regalo troppo inaspettato, dobbiamo resistere, non dobbiamo far altro, fuori i compagni si staranno sbattendo come i pazzi, lavorando notte e giorno per tirarci fuori, per denunciare il carattere politico e repressivo dei nostri arresti, noi invece non dobbiamo far altro che stare tranquilli, non perdere la calma. Bisogna rilassarsi, ma non facile in questo contesto. Claudio e Gainfranco escono, salutano da lontano gridando, non li possiamo vedere ma sentiamo le loro voci, trasudano di gioia, sono due miei fratelli che riconquistano la libert, non c invidia n risentimento ma anzi gratitudine e affetto, quellaffetto che rester indelebile, non li avevo mai visti prima, ma abbiamo condiviso questinferno, siamo stati vicini luno con laltro e seppur fisicamente siamo stati insieme solo poche ore daria, qui dentro in termini di amicizia e calore umano valgono uneternit. Pi tardi la televisione ci spiegher che loro due, con Antonino e altri compagni, hanno semplicemente abiurato, si sono dissociati dai nostri percorsi di sovversione sociale. Nel tribunale di Cosenza pensavano di spaccare il movimento, di innescare nei fratelli ancora in carcere, ma soprattutto nel movimento che allesterno cresceva di giorno in giorno, i meccanismi perversi della desolidarizzazione, di rompere lunit e la compattezza del movimento. Non ci sono riusciti, linfame operazione si sciolta come vene al sole, anzi si rivoltata contro le stesse menti diaboliche che lavevano studiata a tavolino. In carcere siamo finiti per le nostre idee, e le scarcerazioni per la presunta abiura non facevano altro che confermare questa tesi e nullaltro. Intanto a noi ci tocca subire lennesimo trasferimento, non sappiamo ancora che questo avverr allinterno stesso del carcere, quindi un semplice cambio di sezione, in me predomina il terrore delle manette, dei gabbiotti dei cellulari, predomina il solito sentimento conservatore tra le sbarre, il rimpiangere il vecchio che si abbandona per paura del nuovo che ci aspetta, infatti si stava cos bene, la televisione, le ore di socialit, il caff della cella a fianco, la cella condivisa con Pierpaolo, e ora ? Chiss che fine faremo, mi domando percorrendo credo quasi un chilometro tra sbarre, cancelli, corridoi, e scale. Arriviamo finalmente, cella n.15 reparto II B. Questa la mia casa. La cella schifosa come tutte le altre che abbiamo frequentato, il solito letto a castello, il cesso ancor pi sporco di quello di prima, la finestra ha le doppie grate, per cui non ci passa nemmeno un dito fuori, ma almeno di qui si vede il cielo, si vedono dei cortili interni e anche alcune colline in lontananza. Serve molto, la visuale della cella a mio avviso determina molto lo stato di oppressione, il grado di reclusione, se solo si potesse rimuovere una grata ma perch no, anche tutte due, mi sentirei quasi un uomo libero. Mi dico zero a zero, anzi forse qui anche meglio del sottoscala dove eravamo fino a stamani, ma ancora dovevo scoprire il segreto, lasso vincente, lelemento qualificante che mi avrebbe cambiato totalmente la vita nelle giornate e nelle settimane successive, una cosa stupenda che credevo scarseggiasse nelle carceri ma che invece ho ritrovato tra le sbarre in maniera eccezionalmente maggiore rispetto alla vita quotidiana allesterno: lamicizia, la solidariet, lumanit. Quando sei piccolo, ma anche quando diventi pi grandicello, si inculca in te la convinzione del carcere come recittacolo di delinquenza, di barbarie, di violenza e sopraffazione, un meccanismo perverso di costruzione collettiva di panico e di terrore, serve come forma di deterrenza rispetto a comportamenti illegali, il carcere un luogo terribile perch ti privano della libert, ti rinchiudono tra mura e sbarre, ma anche perch convivi con i bruti della societ, con terribili criminali. Questo pregiudizio progressivamente era andato svanendo in questi giorni di detenzione, ma arrivato finalmente in un reparto di detenuti comuni, ora il ragionamento si andava esattamente capovolgendo: ti negano tutto, ti opprimono e cancellano i diritti anche pi elementari, il bene fondamentale della libert, ebbene, in un contesto simile, il calore umano e la solidariet reciproca diventa larma migliore e pi diffusa per resistere alla barbarie di questo sistema. Siamo da poche ore in cella, ma c molto movimento nel corridoio, sono tornati i detenuti dallaria, non sono una decina, sono una banda di almeno cinquanta di loro, alcuni si fermano per salutare i nuovi arrivati, passa Gaetano il lavorante che ci riconosce, ah i noglobal, passa la voce in giro, lui il mezzo di comunicazione continuo tra i detenuti, raccoglie limmondizia, lava per terra il corridoio, distribuisce il rancio, ma passa anche informazioni, messaggi, piaceri, bicchieri, posate, biscotti, di tutto. Qualcuno si ferma, chiede se abbiamo fame, beh naturale gli rispondo, alle sette passa il rancio, Gaetano per dice che non dobbiamo prendere da mangiare che ci stanno pensando loro, non capisco, veramente stento a capire. Ripassa una seconda volta, ora ha dei piatti di carta, che ci porge

da dietro le sbarre, la cosa mi entusiasma anche per il sol fatto che per la prima volta potr mangiare in un piatto pulito e non in quella ciotola che da oltre una settimana sono costretto a passare e sgrassare con le sole mani sotto lacqua. Poi vedo dentro e non mi raccapezzo: orecchiette al rag e bistecche di vitello! Dopo aver innondato di ringraziamenti Gaetano, mi affogo quasi nel mangiare quel bendiddio, Pierpaolo ha sempre fatto una sorta di sciopero della fame, nei giorni scorsi non si mangiato quasi nulla, un insalata la sera, un uovo, al massimo una mela, e io a pregarlo continuamente, a spiegargli della necessit di mangiare anche se il cibo faceva schifo. In due minuti si era sbranato tutto!! Come mai possibile, chiedo a Sergio che passa per chiederci se era buono il cibo che ci aveva spedito. E chiaro, la famiglia porta il pacco, lui con i fornelli cucina in cella, e il gioco fatto, quando passa il carrello si prende al massimo la mela o larancia di turno. Formidabile, fenomenale. Da quel momento in un certo senso siamo adottati dalla sezione intera, ci spiegano come e quando spedire lettere e telegrammi, come comportarci con le guardie, come e cosa fare in ogni momento, ci portano di tutto, piatti prelibati, birre, giornali, asciugamani, tovaglioli, shampoo, sapone, limpossibile. Non un trattamento speciale, come allinizio credevo visto che tutti ci avevano conosciuto in televisione: laccoglienza ai nuovi arrivati, per cercare di metterli a loro agio, per superare i problemi e le carenze di chi appena arriva. Chiaramente per noi cera unattenzione particolare, ma ho potuto vedere con i miei occhi la stessa solidariet e la stessa attenzione nei confronti di un giovane immigrato giunto in sezione pochi giorni dopo. Con loro, con i ragazzi (non proprio tutti giovanissimi, ma let media era sui 30-35 anni) del secondo B, trascorro 7 ore, dico sette ore di socialit, 2 ore la mattina nel cortile a passeggiare, due ore il pomeriggio e infine 3 ore nella saletta a giocare a carte, a ping-pong e a chiacchierare. Siamo in tanti, ma subito ci si presenta, si chiacchiera apertamente, in pochi giorni sono tutti miei fratelli, chi pi e chi meno sono loro, il loro calore umano, a stravolgere lumore, a tirarti su anche nei momenti difficili, noi intanto siamo un bel gruppo di fuoco, io, Pierpaolo e Michele, che non vedevo da Trani, anche lui ha trascorso le infinite giornate dellisolamento e ora pi rilassato. Andiamo avanti e indietro in questo cortile molto piccolo, ma che a confronto dei cunicoli dove pretendevano di farci prendere laria nei giorni precedenti, un lusso indescrivibile, finanche un pallone per tirare due calci, fare due passaggi. Mi spiegano, come intuivo, che in carcere sono finiti quasi tutti per piccoli reati, se reato si pu chiamare il semplice masterizzare e vendere CD falsi, rubare qualche mozzarella in un supermercato, arrangiarsi tutti i giorni per sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia, in questa societ che non ti garantisce un a lavoro, un tetto, un reddito, ma la galera se sbagli quella te la garantisce di sicuro. Nella maggior parte dei casi avrebbero avuto accesso alle misure alternative, ci sarebbero modi legali per uscire dal carcere, ma gli avvocati per i poveri disgraziati non si sbattono pi di tanto, se non c una mucca da mungere loro non si muovono sentenzia Oscar. Le giornate trascorrono una dopo laltra, ci sono le visite dei parlamentari, tante visite che rompono la monotonia e segnalano che sui nostri arresti c ancora unattenzione, malgrado la televizione: Giovanni Russo Spena e Paolo Cento, Niki Vendola, poi c Salvatore Bonadonna, un consigliere regionale di Rifondazione che conosco direttamente in carcere, la prima volta che viene non presto particolare attenzione alle sue parole, sar credo il trentesimo deputato che mi viene a trovare e quel giorno era particolarmente acido, poi viene una seconda volta e la cosa mi incuriosisce, mi da un senso di conforto rivedere la stessa persona e scambiare due parole, mi aggiorna sulla situazione fuori, poi alla terza volta diventa il mio idolo, quasi come Graziella, anche lei non si accontenta di venire una volta sola a trovarmi, sempre in giro tra un carcere e un altro, non perde loccasione per prendere due piccioni con una fava e quindi visita e ispeziona prima tutto il carcere, poi viene nella mia sezione. Nello spiegarmi la vita di questo carcere moderno, dove modernit purtroppo solo una questione cronologica e non per nulla sinonimo di umanit, finalmente mi spiegano il come e il perch degli angoli oscuri del reparto transito : in pratica, oltre ai detenuti in transito, quel reparto funge anche da reparto di confino per quei detenuti che non possono, per loro incolumit, stare con gli altri detenuti comuni nei reparti: sono gli stupratori e i delatori, due categorie che in tutte le carceri sono bandite con forza e necessariamente confinate in reparti-ghetto come quello in cui siamo stati io e Pierpaolo. Mi vengono in mente alcuni degli sguardi incrociati nelle celle buie e rabbrividisco; qui invece nel cortile c il sole e la partita di pallone st ormai finendo quando mi arriva la palla al piede; ho voglia di giocare a pallone, non la partita per carit che altrimenti faccio perdere chi gioca con me, ma due passaggi volentieri, eccomi in campo, ci metto molto poco a diventare lo zimbello del pallone, tutti a ridere della mia goffaggine, ma ci divertiamo e questo clima mi rasserena molto. Dopo la prestante prova di pallone, il pomeriggio son pronti a schierarmi in questo tragi-comico doppio di ping-pong dove dar ulteriore spettacolo della mia totale incompetenza sportiva. Ma sono risate, serve molto per distrarsi e passare il tempo, mi viene nostalgia solo quando penso, e la notte stessa sogno, al mio sport preferito, lo sci da fondo in solitario su tracciati inventati al momento. In pratica la completa libert di movimento nellimmensa spazialit selvaggia della montagna: lesatto contrario della condizione in cui riverso in questo momento. Sono ormai quasi tre inverni che non riesco mai ad andarmi a disperdere in qualche montagna, la frenesie dellattivismo politico possibile coglierlo da questa prospettiva in tutta la sua crudelt e disumanit: da pazzi esaurirsi tutti i giorni dietro a riunioni, controriunioni, assemblee, conferenze, cortei, sit-in, il rischio della professionalizzazione anche il rischio della perdita dei piaceri della vita, di una passeggiata in riva al mare sempre negata al tuo amore per soffocare invece il tuo tempo negli equilibrismi politici, nelle beghe infinite di un ceto politico che grazie al cielo non guida ma guidato dalle movenze sociali di questo movimento. Se e quando uscir, cambier registro, non posso continuare a fare quella vita, mi dico tra me e me, consapevole per che in fondo mi st prendendo in giro. Dicono i miei colleghi internati pi anziani che qui a Viterbo a dicembre nevica sempre, ogni inverno, nevica nel cortile del passeggio, sulle sbarre delle finestre, la neve si posa ma noi incarcerati possiamo vederla ma non possiamo toccarla. Una tortura, lennesima, ulteriore tortura. Si muore di freddo, saranno i pensieri sullinverno alle porte, sar molto pi probabilmente il termosifone che non funziona, non ha mai funzionato, e probabilmente mai funzioner. La coperta abbastanza pesante, ma gli spifferi della finestra sono gelidi e costanti. Mi addormento, ancora una volta dimprovviso; quando dopo poche ore riapro gli occhi sento di aver assaporato, per qualche ora, il piacere della libert, che sia il bucolico correre tra i campi o lestenuante scorazzare in macchina per la citt, comunque ero in movimento, libero di muovermi, qui ora buio, non posso fare molto, accendermi una sigaretta ma le ho finite, dovrebbero arrivare tra due giorni, non posso chiederle a nessuno, non c nemmeno la guardia nel corridoio. Si sento delle urla, sono molto lontane, sar il reparto sopra, almeno credo, mi muovo frenetico in quella cella di due metri per tre, avanti e indietro, quattro passi avanti e quattro indietro, non uno in pi, il ricordo del sogno svanisce man mano, ricordo solo una strada di campagna lunga e infinita e le implorazioni e le bestemmie contro i pochi automobilisti che non mi caricavano in macchina, poi finalmente su un camion a tutta velocit, sul rimorchio scoperchiato a lottare contro il vento che mi impediva di guardare avanti; quattro passi avanti e quattro passi indietro, ritorno con la mente nella mia cella, le urla si fanno sempre pi stridenti, sono urla di dolore, urla che implorano aiuto, ma nessuno sente, o meglio, tutti sentono ma nessuno pu intervenire, solo dopo venti minuti inizia il tam-tam assordante delle scodelle contro le sbarre, di chi ormai non pu e non riesce a dormire e quindi urla anchegli perch lo strazio abbia fine, con quel mix assassino di sedativi e calmanti che usano i dottori per ogni occasione. Mi rimetto al letto, sono le quattro del mattino, mi agito nel letto, non riesco a prender sonno, niente autostop, nessun camion, nessun viaggio pi questa notte, solo le crepe del soffitto che si scorgono nel buio restano a farmi compagni, le conto, sono tante, probabilmente sono anche troppe; forse quando uscir fuori da questo incubo, da questo carcere, sogner per un po di tempo proprio questo posto, la mia cella, le sue crepe e i suoi spifferi, le urla e i silenzi della notte. I passi si fanno sempre pi vicini, sono a questora per forza di cosa guardie e non ho la minima idea di cosa vogliono, per spero che si fermino alla mia cella, pur di rompere la monotonia e la piattezza deprimente: in piedi, prepara la tua roba che devi andare via, in un altro carcere. Lo sapevo, mio fratello in un telegramma mi ha scritto che mancavano pochi giorni al Riesame e quindi mi avrebbero portato al carcere di Catanzaro per permettermi di assistere alludienza.

A lungo ho discusso anche con i miei compagni ancora in galera degli aspetti positivi del presenziare in aula, ma anche dello strazio che ci sarebbe aspettato per una traduzione di quasi 1000 chilometri. Su questultimo punto, infatti, non ci sbagliavamo: svuota la cella, gi in matricola, perquisizione, stanza di sicurezza, unora, due ore, lo stress, lodio, arriva finalmente la squadretta e inizia il secondo tempo dellincubo: le manette, il cellulare, il gabbiotto chiuso da tutti i lati, la scomparsa del diritto anche pi elementare, anche il semplice grattarsi la schiena, nulla, sono le ore pi terribili, interminabili, poi finalmente dopo nemmeno due ore si ferma, quando aprono il gabbiotto una bellissima sorpresa, siamo in un aeroporto! Significa che lincubo non infinitamente lungo, ma anzi tra poche ore avr fine, quasi quasi mi vien da dire come sono democratiche le nostre istituzioni, anche le traduzioni in aereo per noi sventurati carcerati. E invece la gioia dura solo tre minuti, il tempo di andare in bagno e tornare: ci richiudono nei gabbiotti, vanno via tutte le guardie tranne una, non so dove, ma intanto noi stiamo l, di nuovo chiusi come sardine, una, due, tre infinite ore, poi finalmente in moto poche centinaia di metri, usciamo con le manette ai polsi per salire su Un aereo di linea, i passeggeri ci guardano terrorizzati mentre attraversano il corridoio, noi ci fermano nellultima fila, quattro gorilla giganti in borghese per ognuno di noi, le hostess accennano un sorriso ai gorilla, siamo innocui signora, mi verrebbe da dire, per con quelle manette ai polsi potremmo essere anche i peggior criminali. Laereo in fase di atterraggio, dal finestrino scruto lo stretto di Messina, sempre pi vicino, non capisco, il comandante dice di prepararci allatterraggio tra dieci minuti saremo a Reggio Calabria. Reggio Calabria? Chiedo al gorilla di fianco perch Reggio Calabria, non dovevamo andare a Lamezia Terme? Adesso ci impiegheremo il triplo del tempo per arrivare a Catanzaro. Nulla, non mi risponde, non possono informarci del tragitto, perch altrimenti non ho capito bene noi cosa possiamo fare, chiamare con la telepatia i nostri fratelli, che fanno un blocco stradale, assaltano il cellulare e ci liberano? Boh, intanto siamo di nuovo in strada, si fa per dire, noi siamo come sempre chiusi dentro le nostre tombe, ma dura tutto veramente poco, nemmeno unora. Impossibile, mi dico, sono troppo sicuro che Catanzaro-Reggio Calabria molto distante, non ricordo bene quanto ma non certo meno di unora. Limportante ora scendere da questo cellulare, il momento pi bello e quando ti levano le manette, libero, basta cos poco per sentirsi libero in queste circostanze. Altra cella di sicurezza, altre ore di interminabile attesa, poi la matricola, perquisizione, foto segnaletiche, impronte digitali, insomma non vi potete scambiare il materiale, ognuno deve ripetere la stessa trafila, quasi scusandosi la guardia dice che la procedura. Mentre metto la firma allennesimo foglio che neppure leggo, scorgo sopra il foglio la dicitura: Carcere di Palmi. No, non pu essere vero. Sono a Palmi, nel carcere di Palmi, non a Catanzaro! Chiedo ingenuamente conferma, la guardia ride come per dirmi dove credevi di essere, eppure anche questo paradossalmente ha la sua linearit: noi sovversivi non possiamo mica stare in un carcere normale, per noi solo carceri di massima sicurezza. Palmi, non ero mai stato in vita mia e credo che mai ci torner. Restiamo fino a sera nella cella di sicurezza, non ci sono guardie disponibili per portarci nelle nostre tanto agognate celle, ancora una volta il desiderio perverso finire una volta per tutte dentro la cella, copra un letto, avere una sedia, uno sgabello perch qui devi restare in piedi, non puoi nemmeno sederti. Con il cambio di turno finalmente ci portano sopra, la mia cella una singola, tutto il mio reparto fatto di celle singole, qualcuno dalle sbarre fa un cenno di saluto, sono tutti ultrassessantenni, neppure un giovane, la differenza con il carcere di Viterbo palpabile, qui siamo in terra di criminalit organizzata per cui ci sono pochissimi detenuti comuni, ora capisco anche il senso di quelle domande assurde rivoltemi nellufficio accoglienza: appartieni a qualche organizzazione, io ho risposto sud ribelle credendo che si riferisse allinchiesta, hai problemi con altri detenuti, con ingenuit gli ho risposto che no, non credo. La mia cella non niente male, anche il vitto quasi commestibile, lunico problema la socialit, lora daria, in un simile ambiente non giochi a pallone e scherzi con i tuoi compagni di reparto, ma solo un continuo buongiorno, buongiorno, prego, prego, grazie, grazie, alla fine preferisco restare in cella, dalla finestra si vede anche il mare e resto per ore a fissare lorizzonte, a Viterbo Gaetano il lavorante ogni volta che passava per la cella e mi vedeva assorto vicino alle sbarre mi sgridava allegramente finiscila di atteggiarti a fare il detenuto malinconico e io a ridere come un cretino. Qui almeno c molta, come dire, discrezione, anche le guardie sono di poche parole, lunico che ha molta voglia di parlare il cappellano, don Silvio che mi chiama durante il passeggio, per raccontarmi dei suoi 30 anni trascorsi dentro il carcere, tra brigatisti rossi, mafiosi eccellenti, qui le brigate rosse avevano una sorta di comitato centrale del fronte carceri, mentre la mafia negli anni ottanta decideva il bello e il cattivo tempo. Si, ma io in tutto questo che centro, ripeto ossessionatamene a Don Silvio che dallalto della sua esperienza mi rassicura tra pochi giorni sar tutto finito. La mattina del processo cerco di nascondere a me stesso lemozione, faccio la colazione vado anche in cortile, ma si capisce bene che la mente ormai tutta proiettata verso Catanzaro: alle quattro del pomeriggio ancora nulla, eppure tra un ora inizia il processo, non capisco, alla fine la scorta arriva ma siamo in estremo ritardo per cui il viaggio un incubo allennesima potenza perch non solo le manette, il gabbiotto, la mancanza di luce e di visuale, ma il tutto anche a velocit assurda, tutto a sirene spiegate, un continuo sbattere a destra e sinistra, alla fine imploro di rallentare, sto veramente molto male, ma una guardia apre il gabbiotto, mi lascia tra le mani ammanettate una busta di plastica e richiude il gabbiotto. A un certo punto un boato, sono i compagni che urlano alla vista dei cellulari, sono in presidio fuori il tribunale, dal fragore possono anche essere migliaia, sono una botta di salute, per un attimo mi ricompongo politicamente, non sono solo, non siamo soli, mi ricordo finalmente che non sono un detenuto comune, dopo giorni e settimane durante le quali mi sono sforzato di essere simile agli altri detenuti, di non atteggiarmi al martire e al superiore, ora la situazione mi impone un certo contegno. Cammino a testa alta per i corridoi del tribunale, le guardie sono tante ma sono particolarmente nervose, ho ancora i postumi dello sballottamento nel gabbiotto, ma resto inflessibile, si apre la gabbia nellaula del tribunale, con le mani ancora ammanettate saluto gli avvocati e i pochi compagni presenti in aula, poi grande festa l dentro, finalmente libero di riabbracciare gli altri compagni che non vedevo da Trani, non ho pi saputo nulla di loro e loro di noi, ma sappiamo bene che ognuno di noi ha vissuto lo stesso incubo, cos diverso, cos simile lun laltro. Ascoltiamo attoniti il Pm fiordalisi e le sue fissazioni, quelle elucubrazioni mentali per le quali siamo ora dietro le sbarre, ma non ha nulla da dire se non ripetere quelle 359 pagine di santa inquisizione. Gli avvocati invece sono il nostro forte, le loro parole ci danno forza e coraggio, come gli slogan che invocano la nostra libert che provengono dal piazzale antistante il tribunale. Sono solo alcune centinaia, gli irriducibili che dopo settimane di mobilitazione non hanno disdegnato finanche di scendere nel profondo sud: Catanzaro. Non ci sono mai sto in vita mia e mai credo che ci torner. Il giudice mi chiama, mi siedo davanti al microfono e inizio a parlare, a spiegargli che le iniziative che facciamo noi sono pubbliche e di massa, che a volte compiamo anche azioni di disobbedienza ma sono azioni illegali che servono a svelare e denunciare i veri crimini del nostro tempo, come la guerra, la miseria, il razzismo. Non esiste e non pu esistere una cupola segreta del movimento, per cui se nei nostri comportamenti ravvisabile il reato di associazione sovversiva, allora sono le trecentomila persone che hanno dato vita alle giornate di Genova contro il G8 che devono essere inquisite e incarcerate. Ma non possono mettere in carcere un intera generazione in movimento, per il sol fatto che chiede e rivendica un una trasformazione radicale dellesistente, che chiede e rivendica un altro mondo possibile. Prima i manganeli e i proiettili a Genova, ora linchiesta, gli arresti e le manette, ma questo movimento non si far incastare nella logica della repressione, della marginalizzazione e della criminalizzazione. Le centinaia di migliaia di persone scese in piazza a Cosenza e in questi giorni in tutte le citt italiane sono la dimostrazione della maturit e della forza del movimento, delle sue istanze di giustizia sociale. Nessuno mi interrompe, eppure un vero e proprio intervento politico, ma del resto linchiesta si occupa di perseguitare appunto le idee e le istanze politiche di questo movimento per cui non si potrebbe parlare di altro. Concludo con voce tremante siete liberi di scegliere cosa fare, di noi, dei nostri corpi, della nostra libert, ma tenete presente una cosa: le idee non potete incarcarle, perch volano attraverso le sbarre. Due giorni dopo, alle nove del mattino, una guardia entra nella cella e dice: prendete la vostra roba, siete liberi.

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