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Francesco Lamendola

Ben pi importante del fatto di esistere lo sforzo di essere reali


Che esistere ed essere reale non siano sinonimi, la cultura moderna lo ha acquisito da tempo e ne ha fatto oggetto di appassionata riflessione. Luigi Pirandello ha posto una tale problematica al centro del suo percorso intellettuale: nei Sei personaggi in cerca d'autore si vede come il personaggio letterario sia, per certi aspetti, molto pi reale del suo autore o degli attori che lo interpretano, perch, pur non possedendo l'esistenza, possiede per l'essenza, ossia quella intrinseca unit, compattezza e coerenza che quelli non hanno, n possono avere. Ne Il fu Mattia Pascal un uomo, che si fatto credere morto, scopre che il suo personaggio, vale a dire quell'io inautentico che svolgeva il suo ruolo sociale, tanto pi reale di lui, da rendergli impossibile la vita anche dopo il suo ritorno al paese natio; tanto che si riduce a portare i fiori sulla sua stessa tomba, e a rifugiarsi in una vita puramente letteraria (virtuale), scrivendo le sue memorie. Nell'Enrico IV, poi, il personaggio si sovrappone per sempre alla persona, ossia all'individuo in carne e ossa, allorch una serie di drammatiche circostanze obbligano quest'ultimo ad assumere definitivamente e senza residui la maschera che aveva indossato, per gioco, nel corso di una festa in costume medioevale: quella dell'imperatore tedesco dell'XI secolo, protagonista del famoso episodio di Canossa. Tutto questo, ripetiamo, stato ormai acquisito dalla cultura moderna; la quale, del resto, vive la consapevolezza della disgregazione dell'io come uno degli aspetti centrali, sul quale la filosofia, la letteratura, il cinema e le arti visive continuano a confrontarsi e a interrogarsi. Non si tratta di una tematica nuova alle concezioni filosofiche dell'Oriente; nel buddhismo Theravada, come abbiamo pi volte avuto occasione di far notare, non esiste l'idea di un io unitario e coeso, bens quella di un gruppo di operazioni mentali continuamente mutevoli. nuova, invece, alla cultura occidentale, e invano se ne cercherebbero tracce consistenti e consapevolmente sviluppate prima che il cogito cartesiano la ponesse sul tappeto, sia pure per risolverla in senso razionalistico e ottimistico. Il tarlo del dubbio., per, era penetrato nei recessi pi oscuri della coscienza occidentale: e, a partire da quel momento - ossia a partire dalla Rivoluzione scientifica del XVII secolo - ha cominciato a lavorare con febbrile intensit, giungendo a minare le basi stesse della credenza in una coscienza unitaria ed autoconsapevole, fino agli esiti paradossali del teatro di Pirandello o della narrativa di Miguel de Unamuno. Fino a quando l'uomo conserva la fede in un progetto cosmico di cui parte essenziale, ma che lo trascende ed invera la sua esistenza, rendendola significativa, un tale dubbio non si affaccia se non in casi isolati e particolari. Ma quando egli smarrisce il senso del proprio essere nel mondo, viene a sgretolarsi anche la coscienza nella unitariet del proprio io e si fa strada, sempre pi incalzante, il dubbio radicale circa la propria stessa realt. Non aveva Caldern de la Barca (sempre nel XVII secolo) posto il dubbio che la vita umana non sia altro che un sogno? E non aveva Shakespeare, nel suo Amleto, posto la radicale domanda se sia meglio l'essere o il non essere, per l'ente chiamato uomo? E, nel Sogno di una notte di mezza estate , non aveva suggerito che anche la pi intensa esperienza affettiva dell'uomo - l'amore - altro non sia che un sogno illusorio, all'interno di quel breve sogno che chiamiamo vita? E il protagonista del Don Chisciotte di Cervantes non aveva finito per considerare i personaggi e le situazioni dei
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romanzi cavallereschi pi reali, e infinitamente pi affascinanti, della cosiddetta vita vera, fino al punto di perdere completamente il contatto con quest'ultima, per inseguire il sogno di identificarsi con quell'altra? Si faccia caso alle date: tutto ci avviene nell'epoca della Rivoluzione scientifica, quando si afferma il nuovo paradigma culturale della modernit, basato su una concezione della natura materialistica, meccanicistica, riduzionistica e sulla pretesa, da parte del soggetto, di poterne penetrare l'essenza per via esclusivamente razionale; pi precisamente, per via logico-matematica, implicitamente svalutando e declassando ogni altra forma di conoscenza. La cultura post-moderna ha cercato di convivere con questa crisi del fondamento coscienziale; e, dopo averla introiettata e averne fatto uno dei propri pilastri filosofici (e sia pure di tipo nichilista), ha voltato pagina ed andata avanti per la sua strada - o forse indietro, dipende dai punti di vista senza pi darsene troppo pensiero. Strana pretesa! come se lo scettico radicale pretendesse di continuare a vivere la vita di tutti i giorni, come nulla fosse, dopo aver revocato in dubbio ogni pi elementare certezza, contraddicendo tutte le sue affermazioni intorno alle aspettative ingiustificate sul principio di causa ed effetto, a cominciare da quella che domani sorger il sole; anzi, che vi sar un domani., Perfino lo scettico Hume era arretrato davanti a una simile pretesa, e l'aveva dichiarata inconciliabile con le esigenze primarie della vita (anche se non confutabile sul terreno della logica). E cos, il cancro del dubbio radicale, non curato e non affrontato, continua a lavorare nascostamente nelle profondit della coscienza contemporanea, intorbidendo e avvelenando le sorgenti stesse della vita. Nel precedente articolo L'essere umano cerca nell'Altro il fondamento e il possesso di se stesso (sul sito di Arianna Editrice) avevamo delineato un ritratto dell'io che cerca di realizzarsi, possedendosi pienamente, attraverso la scoperta della propria estraneit interiore - il termine di Armando Rigobello - e la tensione al di l del proprio limite ontologico. Da un punto di vista esistenziale, questa ricerca di inveramento si potrebbe considerare come il tentativo, da parte dell'io, di divenire pi reale a se medesimo, non con un semplice (semplice, si fa per dire) atto di autoconoscenza, come quello auspicato e predicato da Socrate; bens come una trasformazione profonda e radicale di se stesso, alla luce della ritrovata unit con l'Essere dal quale esso trae il senso della propria esistenza. Proprio quel senso, cio, che era andato perduto nella coscienza occidentale a partire dalla cosiddetta Rivoluzione scientifica. Questo, in una prospettiva di tipo spiritualistico e trascendentale. Ci sono anche altri modi concepire la cosa, ossia il movimento dell'io che cerca di conquistarsi un maggiore grado di realt. Fra coloro che vi si sono cimentati, ricordiamo il filosofo americano Robert Nozick - insegnante di filosofia all'Universit di Harvard e gi noto al pubblico italiano per libri come Anarchia, Stato e Utopia (Firenze, 1981) e Spiegazioni filosofiche (Milano, 1987) -, col suo ultimo saggio La vita pensata. Scrive, dunque, Robert Nozick in un capitolo de La vita pensata (titolo originale: The Examined Life, 1989; traduzione italiana di Giulia Boringhieri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1990, pp. 138-143), significativamente intitolato Essere pi reali: Noi non siamo semplici sacchi vuoti da riempire di felicit o di piacere; noi anche la natura e il carattere del s sono importanti, anzi, ancora pi importanti. facile attribuire al s uno stadio finale, una particolare condizione che esso dovrebbe raggiungere e mantenere. Altrettanto importanti dei costituenti e della natura del s sono, tuttavia, i modi in cui esso si trasforma. E non solo perch importante raggiungere quel risultato finale. Come una nazione formata in parte dai suoi processi di cambiamento costituzionale, compresa la possibilit di emendare la
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costituzione, cos il s formato in parte dai suoi processi di cambiamento. Il s non si limita a subire questi processi, bens li foggia e li sceglie, li avvia e li governa. Una parte del valore del s risiede nella sua capacit di trasformarsi e quindi (in misura considerevole) di crearsi; una parte risiede anche nella speciale struttura dei suoi processi. Il s fa bene, penso, ad autoconcepirsi parzialmente come l'agente non-statico del proprio cambiamento, come la sede di determinati processi di trasformazione, processi che in seguito potranno essere sostituiti da altri ancora. Forse, al livello pi alto, ci saranno alcuni costanti processi di cambiamento, tuttavia anche questi un giorno potrebbero essere applicati a loro stessi e cos subire un auto-cambiamento. Poich la nostra vita si snoda nel tempo, abbiamo la possibilit di sperimentare e mettere alla prova varie scelte, oppure di modificarle. Possiamo anche coltivare pi intensamente alcuni tratti della nostra personalit senza dover rinunciare per sempre agli altri; questi aspetteranno il loro momento. Possiamo quindi proporci di avere un s che si sviluppi, che con l'andare del tempo includa e integri i suoi tratti pi importanti. Questo pu spiegare in che senso alcuni compiti e tratti particolari siano pi adatti a determinate et e fasi della vita che ad altre. Essendocene molti che devono trovare posto, forse alcuni sono soddisfatti pi pienamente e pi facilmente se vengono prima (o dopo) altri; forse alcune sequenze si svolgono pi facilmente di altre. Certe volte una persona sente di essere pi reale. Voi lettori smettete per un momento di fare domande, e rispondete invece a questa: quando vi sentite pi reali? (E ora smettete di pensarci, invece di rispondere. Qual la vostra risposta?). Qualcuno potrebbe pensare che la domanda confusa. In tutti i momenti in cui la persona esiste, esiste, e quindi deve essere reale. Nondimeno, anche se forse non possiamo ancora dire qual la nozione di realt a cui facciamo riferimento, possiamo per distinguere vari gradi di realt. Consideriamo, innanzitutto, i personaggi letterari. Alcuni sono pi reali di altri. Pensiamo ad Amleto, Sherlock Holmes, Lear, Antigone, Don Chisciotte, Raskolnikov. Nessuno di loro esiste, eppure sembrano addirittura pi reali di certe persone che conosciamo e che esistono. Il punto non che questi personaggi letterari sono reali perch sono verosimili, perch sono individui che potremmo incontrare sul serio. La loro realt consiste nella loro vivacit e incisivit, nella coerenza con cui sono mossi o afflitti da un determinato fine. Anche quando non hanno ben chiaro il loro obiettivo, lo stanno comunque mettendo a fuoco o sono presentati (come Flaubert presenta Madame Bovary) con estrema chiarezza. Questi personaggi sono pi reali della vita, sono scolpiti pi nettamente, con meno particolari estranei, incongruenti. Le caratteristiche che esibiscono ne fanno nuclei pi concentrati di organizzazione psicologica. Simili personaggi letterari diventano simboli, paradigmi, modelli, epitomi. Sono fette estremamente concentrate di realt. Gli stessi aspetti che rendono alcuni personaggi letterari pi concentrati di altri, fissandoli in un'immagine paradigmatica, si trovano anche al di fuori della letteratura. Opere d'arte, dipinti, pezzi musicali o poesie spesso sembrano fortemente reali; la nettezza con cui sono scolpite le loro caratteristiche li fa emergere dallo sfondo degli oggetti indistinti e vaghi a cui siamo abituati. Con la loro organizzazione pi serrata e coerente, o per lo meno pi evidente e pi interessante, essi costituiscono totalit pi integrate. La bellezza delle opere d'arte o degli spettacoli naturali, l'equilibrio dinamico della loro forma, li rende pi vividi, pi reali del solito guazzabuglio che conosciamo. Forse che le cose sembrano essere esattamente come dovrebbero, hanno una perfezione tutta loro. O forse che esse, proprio per le loro qualit, trattengono e ripagano pi durevolmente l'attenzione che dedichiamo loro. In ogni caso le percepiamo pi equilibrate e pi nitide; le percepiamo pi vividamente. Anche caratteristiche diverse dalla bellezza, come l'intensit, la potenza, e la profondit, danno luogo a questa vivezza di percezione. Gli artisti cercano, penso, di creare oggetti che siano, in un modo o nell'altro, pi reali. Anche i matematici delineano oggetti e strutture in cui propriet molto nette si intrecciano in una rete fittamente stratificata di possibilit, relazioni,, implicazioni combinatorie. Chiedere: Le entit matematiche esistono? - la domanda che fanno i filosofi della matematica - non coglie il senso della loro vivida realt. I Greci non poterono mancare di essere affascinati da questi oggetti e
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dalle complesse combinazioni che essi esibivano con tanta precisione e nettezza, anche quando si trattava di numeri irrazionali, che erano incommensurabili. Stando alla tradizione, Platone riteneva che le Forme - che secondo le sue teorie erano le entit pi reali - fossero (come) numeri. La sfera della matematica, con la sua chiarezza, attira la nostra attenzione per questa sua realt. Cos come alcuni personaggi letterari sono pi reali, lo sono anche alcune persone. Socrate, Buddha, Mos, Gandhi, Ges queste figure catturano la nostra immaginazione e attenzione in virt della loro maggiore realt. Sono pi vivide, concentrate, focalizzate, delineate, integrate, internamente belle. In confronto a noi, sono pi reali. Anche noi, per, siamo pi reali in certi momenti che in altro, pi quando siamo in un certo modo piuttosto che in un altro. Sovente le persone dicono di sentirsi pi reali quando stanno lavorando con molta concentrazione e attenzione, quando le loro attitudini e capacit sono impegnate con successo; si sentono pi reali quando si sentono pi creative. Alcune dicono durante l'eccitazione sessuale, altre quando sono lucide e imparano cose nuove. Siamo pi reali quando tutte le nostre energie sono focalizzate, la nostra attenzione concentrata, quando siamo attenti, nel pieno dell'efficienza, e usiamo i nostri (positivi) poteri. Concentrandoci intensamente mettiamo pi a fuoco anche noi stessi. Consideriamo una seconda domanda: quando vi sentite pi voi stessi? ( diverso dal chiedere quando vi sentite pi un s, e anche dal chiedere quando vi sentite pi vivi). La risposta non sar esattamente la stessa di quando vi sentite pi reali. Le persone si sentono pi se stesse quando sono in contatto con alcuni aspetti di loro stesse che di solito non sono significativamente presenti alla loro coscienza, quando si lasciano prendere da emozioni inusuali e li integrano con le parti di s che conoscono meglio. Camminando pensierosi per un bosco, contemplando il mare, meditando, o durante una conversazione intima con un amico, le parti pi profonde di noi sino portate alla consapevolezza e integrate con il resto, e quel che ne risulta una maggiore serenit del s, la percezione di un s pi sostanziale. Questo aumento di (consapevolezza dell') integrazione di parti precedentemente isolate del s permette di agire con pi vigore e con una intensa coincentrazine su una banda piampia, e quindi di sentirsi pi reali. La sfera del reale. Di ci che possiede pi di un certo grado di realt, non coincide con ci che esiste. I personaggi letterari possono essere reali pur non esistendo; le cose esistenti possono avere solo il grado minimo di realt richiesto per esistere. possibile situare il limite inferiore della realt al livello dell'esistenza; niente di ci che meno vivido e nitido di ci che esiste potr essere definito reale.. Ma la realt ha diversi gradi, e la realt che qui ci interessa particolarmente sta al di sopra di questo limite inferiore minimo. Secondo questa concezione, la realt ha molti aspetti; esistono varie dimensioni che possono conferire un pi alto grado di realt. Avere una posizione o un punteggio superiore in una di tali dimensioni (ferma restando la posizione sulle altre dimensioni in questione) significa avere un pi alto gradi di realt. Queste altre dimensioni possono avere a che fare con la chiarezza della messa a fuoco e la vivacit dell'organizzazione, ma non si limitano a questo. Abbiamo gi citato la bellezza a proposito delle opere d'arte, pi una cosa bella, pi ha realt. Un'altra dimensione della realt , penso, il (maggior) valore. Pi grande il valore intrinseco di una cosa, pi questa ha realt. Anche una maggiore profondit conferisce pi realt, come una maggiore perfezione e una maggiore espressivit. Avremo modo di indagare queste e altre dimensioni, e la struttura secondo cui si combinano, in seguito. Quel che vorrei dire che voi siete la vostra realt. La nostra identit consiste in quelle caratteristiche, in quegli aspetti e in quelle attivit che non solo esistono, ma sono anche (pi) reali. Quanto pi una caratteristica reale, tanto pi ha peso nella nostra identit. In parte la nostra realt consiste nei valori che perseguiamo e a cui ci atteniamo, nella vivacit, intensit e integrazione con cui li incarniamo. Ma i nostri valori da soli, perfino il nostro stesso valore, non sono tutta la nostra realt; la nozione di realt in generale include anche dimensioni diverse dal valore. Quando dico che noi siamo la nostra realt, voglio dire che la sostanza del s la realt
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che esso riesce ad acquisire. L'immortalit potrebbe consistere in questo: che ci che sopravvive alla morte la nostra realt, qualsivoglia realt siamo riusciti a realizzare. Al termine di questa citazione (chi voglia farsi un'idea completa del pensiero di questo Autore, tuttavia, deve proseguire nella lettura integrale del suo volume), non possiamo fare a meno di notare che la problematica dell'essere pi reali sembra impostata dal Nozick pi su un terreno di tipo psicologico, che propriamente filosofico. Sembra - cio - che, per lui, la tensione verso un maggiore grado realt da parte degli esseri umani si debba intendere come la conquista di un maggiore grado di coerenza, incisivit, efficacia: ossia le caratteristiche di un personaggio letterario ben riuscito (ancora Pirandello!); il quale, se davvero ben riuscito, risulta pi reale di una semplice persona, che ha il torto di essere fatta anche di contraddizioni e debolezze. A noi sembra, invece, che lo sforzo di divenire pi reali, che dovrebbe far parte del nostro sforzo complessivo di essere pi noi stessi, non vada inteso tanto in senso psicologico, quanto in senso ontologico. O meglio, il maggior grado di realt psicologica passa attraverso un maggior grado di autoconoscenza e autorealizzazione dell'io: ma questo solo il primo gradino. La fase successiva consiste nello sforzo di dare maggiore realt alla nostra natura di esseri umani in quanto tale; ossia nell'essere fedeli al compito che ci stato dato, di realizzare in noi stessi il principio della nostra umanit: ovvero nel cercare una risposta radicale a una radicale domanda di senso, che costitutiva del nostro essere. E noi, in quanto esseri umani, siamo questa radicale domanda; e tanto pi siamo uomini, quanto pi siamo in grado di porcela con chiarezza, e quanto pi siamo disposti a metterci in giuoco per dare ad essa una risposta. L'ultimo gradino del processo ascendente (l'ultimo per modo di dire: non c' un ultimo gradino nella scalata dell'evoluzione spirituale) consiste nella scoperta, gioiosa e sconvolgente - e che pu solo essere oggetto di un sofferto percorso personale e solitario, non gi di una semplice applicazione di ricette preconfezionate - che noi siamo sia la domanda, che la risposta ; e che la risposta, quindi, gi in noi, anzi, era in noi ab initio, ma non riconosciuta e non espressa. Noi, infatti, siamo gi nell'Essere: questa la nostra gloria, la nostra bellezza; questo il senso ultimo del nostro esistere - e anche del nostro soffrire, inciampare, cadere e rialzarci. Noi siamo gi nell'Essere, perch il nostro essere ne una scintilla e, al tempo stesso, una viva testimonianza. A noi sta solo la scelta se vogliamo fare in modo che esso sia una testimonianza di luce, oppure di opacit e di tenebra.

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