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10. Inefficacia dei trattati nei confronti degli Stati terzi. Lincompatibilit tra norme convenzionali.

Perch un trattato abbia ripercussioni giuridiche anche su uno Stato terzo, come gi abbiamo detto, occorre sempre da parte di questultimo una forma di accettazione. E chiaro che le parti di un trattato possono sempre impegnarsi a tenere comportamenti vantaggiosi per i terzi (es. possibilit di navigare un fiume concessa a tutti gli Stati). La Convenzione di Vienna in proposito disciplina che un trattato non crea obblighi o diritti per un terzo senza il suo consenso (art. 34) e che un eventuale obbligo pu derivare dalla disposizione di un trattato solo se lo Stato terzo accetta espressamente per iscritto tale obbligo. Vediamo ora il problema della incompatibilit fra norme convenzionali. Cosa accade cio se uno Stato si impegna con un certo accordo e poi, con Stati diversi, ne adotta un altro con norme sostanzialmente incompatibili a quelle del primo? Oppure se in un accordo multilaterale due o pi parti di tale accordo ne modifichino le norme con estensione anche agli altri Stati? Per arrivare alla soluzione dobbiamo combinare due principi: quello della successione dei trattati nel tempo e quello dellinefficacia dei trattati per i terzi: fra gli Stati contraenti entrambi i trattati , vale quello successivo; nei confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei due trattati, restano invece integri, nonostante lincompatibilit, tutti gli obblighi che da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di entrambi i trattati dovr scegliere a quale tener fede e sar quindi internazionalmente responsabile verso gli Stati contraenti del secondo oppure del primo accordo. Tale soluzione accolta anche dalla Convenzione di Vienna (artt. 30 e segg.). Comunque non il caso di drammatizzare pi del dovuto su questo problema in quanto gli Stati sono di regola molto attenti ad evitare situazioni del genere. Frequenti sono le cosiddette dichiarazioni di compatibilit o di subordinazione contenute in un trattato nei confronti di un altro o di una serie di altri trattati preesistenti che vincolino una delle parti. In casi del genere il problema risolto alla radice. Un esempio importante di clausola di compatibilit quella prevista dallart. 234 del Trattato istitutivo della CEE. 11. Le riserve nei trattati. La riserva indica la volont dello Stato di non accettare certe clausole del Trattato o di accettarle con talune modifiche oppure secondo una determinata interpretazione; cosicch tra lo Stato autore della riserva e gli altri Stati contraenti, laccordo si forma solo per la parte non investita dalla riserva, laddove il Trattato resta integralmente applicabile agli Stati. La disciplina della riserva ha chiaramente senso solo quando riguarda trattati multilaterali. La sua funzione principale quella di facilitare la pi larga partecipazione a tali trattati. Secondo il Diritto Internazionale classico la possibilit di apporre riserve da parte degli Stati contraenti doveva risultare espressamente dal testo del trattato. Non era quindi ammissibile la ratifica di un trattato accompagnata da riserve non previste. In seguito allindirizzo segnato dalla Corte Internazionale di Giustizia e recepita dalla Convenzione di Vienna possiamo sintetizzare lodierna disciplina nei seguenti punti: a) Le riserve sono ammissibili se non sono espressamente vietate dal trattato o incompatibili con loggetto e lo scopo di questultimo. b) Laccettazione di una riserva in qualsiasi modo manifestata, da parte di un altro Stato contraente, elimina ogni questione nei rapporti tra lo Stato autore della riserva e lo Stato accettante. c) Lobiezione avanzata contro una riserva impedisce il formarsi del vincolo contrattuale tra Stato autore e Stato obbiettante solo se allobiezione si accompagna una chiara volont in tal senso d) Le riserve inammissibili comportano la non partecipazione del loro autore al trattato, salvo che lo stesso autore abbia manifestato una volont contraria. Per quanto riguarda la competenza a formulare le riserve sorge un problema quando alla formazione della volont di uno Stato sono chiamati a partecipare pi organi (es.

Parlamento e Governo in Italia). La prassi ha dato luogo a vivaci scontri dottrinali fra chi sostiene che il Governo possa e chi non possa formulare riserve non previste dalla legge di autorizzazione. 12. Linterpretazione dei trattati. La tendenza oggi prevalente nel senso dellabbandono del metodo subbiettivistico (ovvero la ricerca della volont affettiva delle parti come avviene nella disciplina di diritto interno dei contratti) a favore di quello obbiettivistico cio linterpretazione dei trattati si deve desumere direttamente dal testo, dai rapporti di connessione logica intercorrenti tra le varie parti del testo. Anche la Convenzione di Vienna appoggia tale tesi (artt. 31-33). Nellinterpretazione obbiettivistica valgono quelle regole che la teoria generale ha elaborato nei confronti dellinterpretazione delle norme giuridiche in genere: interpretazione estensiva, analogica, restrittiva. E da abbandonare la vecchia convinzione che le norme di Diritto Internazionale fossero sempre da interpretare restrittivamente in quanto comportano una limitazione della sovranit e libert degli Stati. Oltre ai normali mezzi di interpretazione vale anche per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali la cosiddetta teoria dei poteri impliciti. Secondo tale teoria ogni organo di una tale organizzazione disporrebbe non solo dei poteri espressamente attribuitigli dalle norme costituzionali ma anche di tutti i poteri necessari per lesercizio dei poteri espressi. Essa appare per eccessiva, lesatto contrario alla concezione restrittiva. Per quanto riguarda le interpretazioni unilateralistiche, sembra che debbano essere escluse. Mal si conciliano con lidea stessa di Trattato, in quanto punto di incontro e di fusione della volont degli Stati contraenti e muovono coscientemente o incoscientemente dalla presunzione che la volont di ciascuno Stato sia nel senso di obbligarsi in modo conforme al proprio diritto, ovvero da una interpretazione di tipo subbiettivistico spinta alleccesso. 13. Cause di invalidit e di estinzione dei trattati. Fra le cause di invalidit e di estinzione degli accordi internazionali ne troviamo molte analoghe a quelle proprie dei contratti, e pi in generale dei negozi giuridici del diritto interno. Tanto per fare qualche esempio: lerrore essenziale, il dolo, la violenza per quanto riguarda linvalidit; la condizione risolutiva, il termine finale, la denuncia, il recesso, linadempimento, la sopravvenuta impossibilit dellesecuzione, labrogazione per quanto riguarda lestinzione. Tra le cause destinzione troviamo la violenza esercitata sullo Stato al fine di costringerlo allaccordo. La violenza intesa come minaccia alluso di forza armata e la prassi non sembra ricomprendere in tale categoria pressioni di altro genere (politiche, economiche ecc.). Altra forma particolare di estinzione dei trattati il principio rebus sic stantibus secondo il quale un trattato si estingue quando le circostanze di fatto esistenti al momento della stipulazione siano radicalmente mutate. La guerra non determina lestinzione dei trattati come invece sembrava secondo il Diritto Internazionale classico. Oggi si deve applicare il principio rebus sic stantibus per determinare quali trattati devono estinguersi. Quali sono i mezzi per far valere una causa di invalidit o di estinzione? Operano in automatico o occorre un atto formale? La dottrina divisa. Sembra da accettare lipotesi secondo la quale tale rilevazione automatica e spetterebbe ai giudici interni (soprattutto) di applicare o no un accordo critico. In questo caso per la decisione vale per ogni singolo caso concreto e non vincola altri giudici o lo stesso giudice in unaltra fattispecie. Una denuncia formale invece, a meno che non sia espressamente prevista dallaccordo medesimo, non indispensabile e tende solo a manifestare una volta per tutte la volont dello Stato di sciogliersi. [la Convenzione di Vienna prevede una disciplina particolare].

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