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Giancarlo Zizola

Dal sospetto alla politica dei media


In: Mlanges de l'Ecole franaise de Rome. Italie et Mditerrane T. 110, N2. 1998. pp. 643-680.

Riassunto Giancarlo Zizola, Dal sospetto alla politica dei media, p. 643-680. La ricerca indaga la politica dei media adottata dai segretari di Stato, dall'editto del 1825 del card. Zurla per una rigida censura della stampa alla svolta sotto Paolo VI con l'istituzione di una sala stampa moderna e il riconoscimento dell'opinione pubblica e del pluralismo. Nelle vicende mediatiche del papato si riflette la storia dei rapporti tra Chiesa e societ moderna. Ancora nella prima meta del XIX secolo Gregorio XVI affermava che la libert di stampa non sar mai abbastanza detestata. I mdia non sono in un primo tempo accettati che corne maie minore o in funzione apologetica. Ma gi la legge sulla stampa del 1847 poneva lo Stato pontificio all'avanguardia rispetto agli altri Stati italiani. Interessanti retroscena accompagnano la comunicazione circa la nascita di Civilt cattolica e dell'Osservatore rotnano, il difficile controllo della stampa cattolica sotto Leone XIII e specialmente durante la repressione antimodernistica sotto Pio X, il ruolo delle interviste del card. Gasparri sulla posizione della Santa Sede durante la Prima Guerra mondiale, quasi nel tentativo di sostituire la presenza mediatica della Chiesa agli strumenti temporali ormai esauriti con la fine degli Stati pontifici. Appoggiandosi a documenti in parte inediti, l'autore ricostruisce la politica mediale di Gasparri e di Pacelli di fronte al fascismo e al nazismo e il ruolo assunto da mons. Montini nell'apertura vaticana ai giomalisti, come testa di ponte per l'accettazione della democrazia e dell'opinione pubblica anche nella Chiesa sotto Pio XII, premessa per una liberalizzazione che conobbe con il concilio Vaticano II, con le conferenze stampa del card. Tardini e con le prime interviste concesse da Giovanni XXIII i suoi principali passaggi verso la istituzionalizzazione del diritto ad una informazione religiosa moderna.

Citer ce document / Cite this document : Zizola Giancarlo. Dal sospetto alla politica dei media. In: Mlanges de l'Ecole franaise de Rome. Italie et Mditerrane T. 110, N2. 1998. pp. 643-680. doi : 10.3406/mefr.1998.4585 http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_1123-9891_1998_num_110_2_4585

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Una ricerca sui rapporti tra i segretari di Stato e i media non potrebbe esimersi dall'interrogativo preliminare sul carattere drammatico della que stione della verit, principalmente per uomini di Chiesa adibiti alla direzio ne sua politica nel governo centrale, a disposizione immediata del della Sommo Pontefice. Si pu ritenere pertinente alla formulazione di tale do manda l'avviso di Hannah Arendt, secondo la quale : Considerata dal punto di vista della politica, la verit ha un carattere di spotico. Per questo essa odiata dai tiranni, che giustamente temono la con correnza di una forza coercitiva che non possono monopolizzare, e gode di uno status piuttosto precario agli occhi dei governi che si basano sul consenso e aborriscono la coercizione1. In questa comunicazione, proceder seguendo l'ordine cronologico della sequenza dei segretari di Stato nel periodo indicato dal tema generale e attenendomi all'indicazione sintetica delle fonti e dei metodi dell'esplora zione storiografica per quanto riguarda il loro rapporto con i mezzi della comunicazione sociale. Come sar chiaro fra breve, si pone un problema metodologico general e debba limitare la ricerca all'analisi delle attitudini personali e delle : se si politiche adottate dai segretari di Stato, in quanto titolari dell'Ufficio, op pure se sia conveniente allargarla alle attitudini e alle iniziative di rapporti fattuali intessuti in modo complesso e diversificato anche dai loro collabo ratori con gli attori della comunicazione sociale, spesso sotto il vincolo del riserbo. La Restaurazione I Francesi avevano lasciato a Roma una delle principali novit della Rivoluzione europea, cio la libert di stampa. Era dunque ineluttabile che lo zelo della Restaurazione si impegnasse a contrastarla con ogni mezzo di sponibile. Figura chiave di questo programma repressivo, il cardinale Con1 H. Arendt, Verit e potere, Torino, 1995, p. 47. MEFRIM - 110 - 1998 - 2, p. 643-680.

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salvi teneva tuttavia a distinguere le necessit della controrivoluzione poli tica dall'obiettivo di ricostruire lo spirito religioso negli Stati pontifici. Per questa fase la ricerca ha a disposizione il testo dell'editto del cardi nalevicario Placido Zurla emanato il 18 agosto 1825 per sottoporre qualsiasi pubblicazione ad un rigido controllo da parte della polizia dipendente dall'autorit ecclesiastica. L'editto prescriveva una triplice revisione per ogni scritto di qualunque materia : revisione scientifica (affidata dal Maes tro dei sacri palazzi ad una delle cinque classi del Consiglio di revisione, teologico, legale, medico, filosofico-matematico e filologico); revisione teo logica, per gli scritti sulla religione e la buona morale, affidata al collegio teologico; e revisione politica, gestita direttamente dal cardinale Vicario, ma in casi speciali ove ricorresse ad esempio un pericolo di lagnanze di governi esteri - anche dalla Segreteria di Stato. 1 revisori dovevano dichiarare inoltre se le opere esaminate, ancorch nulla contengano in contrasto con la retta credenza, la buona moral e e l'ordine pubblico, fossero no indegne di vedere la luce per difetto di ogni altro merito dal lato del buon senso e del gusto. Tutto ci valeva anche per la stampa periodica. Anche la stampa stra niera era severamente sorvegliata : occorreva uno speciale permesso per l'abbonamento a periodici esteri i quali venivano sottoposti a censura pr ima di venire consegnati. Qualche eccezione era riservata ai diplomatici e agli stranieri, purch essi si impegnassero a recare con s alla partenza tutt i numeri ricevuti durante il soggiorno a Roma. i Secondo il padre Giacomo Martina, si capisce che in questo ambiente il giornalismo romano fosse estremamente limitato e avesse un carattere impersonale2 Senza dubbio l'interesse maggiore della ricerca sar naturalmente att irato dalla genesi dell'enciclica Miravi vos di Gregorio XVI e dal ruolo as sunto nella sua elaborazione dai segretari di stato Tommaso Bernetti e Lui giLambruschini. L'enciclica considerata una delle tappe principali del processo restaurativo. Essa include una condanna esplicita della libert di opinione e di stampa, in relazione logica e cronologica con la pubblicazio ne del programma liberale del gruppo di Lamennais su L'avenir, il giornale impegnato a favore della democrazia e della necessit di accordo fra catto licesimo e princpi liberali. Il programma era apparso nel numero del 21 novembre 1831 del gior nale. La libert di stampa era riconosciuta al punto 2. Il testo non esitava ad affermare che essa 2 G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma, 1974, p. 123.

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non pu essere intralciata da alcuna misura preventiva, sotto qualunque fo rma in cui tale misura si produca. Accolto freddamente, Lamennais sal in Vaticano all'inizio del luglio del 1832. L'enciclica che ne condannava le tesi apparve il 12 agosto success ivo. libert di stampa vi era duramente condannata come la libert La pi funesta, libert esecrabile, per la quale non si avr mai abbastanza or rore. L'enciclica minacciava il rogo per le pubblicazioni suscettibili di nut rire anche una sola erba malefica. Sotto il governo del cardinale Luigi Lambruschini queste linee subiro no applicazione severa, con un generale inasprimento della censura e una della repressione sulla stampa a Roma. L'opposizione non pot che assu mere gli strumenti della resistenza clandestina, producendo una circolazio ne carbonari oppure le sentenze anonime delle pasquinate af di fogli fisse alla mitica statua di Pasquino presso piazza Navona, unica fonte di in formazione alternativa e di critica a Roma in quella fase di irrigidimento reazionario degli ultimi anni di papa Cappellari. // cardinale Gizzi L'opera di padre Giacomo Martina offre una eccellente base di infor mazioni sulla condotta dei segretari di Stato durante il lungo regno di Pio IX (1846 - 1878) a proposito della stampa. Apprendiamo che, dopo l'elezio ne IX, la stampa aveva acquistato un carattere pi vivace : i periodici di Pio avevano cominciato ad accennare con frequenza a questioni politiche, sot tola benevola tolleranza dei revisori, che allargavano le maglie della censur a. Persino il direttore generale di Polizia, mons. Marini, sugger un muta mento tattico in un promemoria dell'I 1 novembre 1846 al segretario di Sta tocardinale Pasquale Gizzi, proponendo di sostituire la politica di repressione con misure illuminate per orientare l'opinione pubblica, ad esempio un giornale ufficioso. Il Gizzi in un primo momento respinse il progetto, ma pochi giorni dopo ebbe un ripensamento, e consent alla pub blicazione del periodico // contemporaneo, su una linea di progressismo moderato, sia pure secondo un dirigismo di fondo che assumeva tattic amente la tolleranza in quanto inevitabile. Lo stesso pontefice, bench non considerasse la libert di stampa, per quanto limitata, che come un male minore, era favorevole ad una riforma, sia per togliere aria alla stampa clandestina, sia per far conoscere al popolo gli sforzi del governo, e dunque renderlo pi credibile con un'opportuna propaganda. Un ampio promemoria redatto il 16 gennaio 1847 dal nuovo governatore di Roma mons. Grassellini all'intenzione del papa formulava un primo abbozzo della nuova legge sottolineando la necessit di guidare e

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moderare la stampa in continuo progresso e l'opportunit di pubblicare un foglio filogovernativo. La bozza del Grassellini venne ripresa e ampliata da uno dei consiglieri ancora pi ascoltati di Pio IX, mons. Giovanni Corboli Bussi. Seguendo le indicazioni del papa, egli premise al nuovo schema una sintesi delle disposizioni precedenti. Le reali motivazioni del papa dinanzi a questa riforma risultano chiarissime dalla confidenza da lui fatta al car dinale Luigi Amat, legato a Bologna : La certa libert di stampa assai pericolosa, e quantunque disgraziat amente si supplisca a questa libert con una limacciosa innondazione di fo glietti e di libretti, pure il governo potr giungere, se non a prosciugarla, a d iminuirla assai (...)3. La nuova legge sulla stampa, emanata il 15 marzo 1847, poneva lo stato pontificio all'avanguardia rispetto agli altri stati italiani, secondo il Martin a. Essa rappresentava un reale progresso rispetto alla normativa prece dente, malgrado non fosse accolta senza riserve a Roma. L'editto consenti va la trattazione di ogni argomento non solo scientifico, letterario e artisti co, anche di storia contemporanea e di materie appartenenti alla ma pubblica amministrazione, con il divieto di quanto tornasse a disprezzo della religione e delle autorit, e di ogni discorso che potesse rendere odio so governo, direttamente indirettamente. il Restavano in vigore le disposizioni del 1825 sulla censura scientifica, morale e religiosa, mentre la censura politica era regolata in modo diver so posto del censore singolo, era istituito un consiglio di censura colle : al giale, con la possibilit di appello all'intero collegio al collegio di Roma. In tale consiglio di censura, i laici erano la maggioranza. Era dunque mant enuta la duplice censura, ecclesiastica e civile, ma si permetteva la tratta zione di temi politici e amministrativi e si fornivano maggiori garanzie agli autori. Le contestazioni romane si indirizzarono al cardinale segretario di Stato, indicato come responsabile dell'arretratezza e della severit anche della nuova legge : Abbasso Gizzi, abbasso il segretario di Stato gridava la folla il 25 marzo, mentre Pio IX si recava nella chiesa di Santa Maria so pra Minerva. Coraggio, santo Padre, il popolo con voi. La stampa clan destina non cess di proliferare, malgrado la larghezza effettiva della cen sura, che si rivelava del resto impotente a frenare gli eccessi. Secondo il Martina,

3 G. Maioli, Pio IX da vescovo a pontefice. Lettere al card. Luigi Amat, Modena, 1949, p. 111.

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la libert di stampa rivelava cos il suo dinamismo, e Pio IX, come scriveva il Mettermeli, assumeva le parti dell'apprendista stregone, incapace di dominar e gli spiriti da lui suscitati. In realt il cardinale Gizzi sembrava subire, pi che condividere, le mi sure del riformismo moderato consigliate da uomini come Massimo d'Azeglio. La fama di filoliberale che egli si era accaparrata non resistette lunga mente dopo i sequestri, ordinati alla fine di marzo 1846, di fogli clandestini diffusi nei caff pi frequentati e persino di giornali i quali avevano pubbli cato articoli di tono vivace con l'approvazione della censura. Le contraddi zioni in Curia a proposito delle riforme, sostenute da un'intensa propagan da sui giornali e su opuscoli, animata in particolare dal leader dei moderati Massimo d'Azeglio, si coagulavano intorno al segretario di Stato, il quale si trov a divergere dal Sovrano al punto di dover rassegnare le dimissioni nel luglio 1847. L'opinione pubblica assumeva una consistenza politica ormai irriduci bile, lo stesso D'Azeglio invocava il miglioramento delle leggi sulla stamp se a, accanto ad altre misure riformiste, e se lo stesso Padre Ventura predi cava dai pulpiti l'alleanza tra cristianesimo e libert, mettendo in crisi lo schema (e i margini) del dispotismo illuminato. Le misure del cardinale Antonelli Nel convulso biennio 1846-1848 si succedettero febbrilmente sei segretari di stato, finch alla fine del 1848 l'ufficio venne assunto in prima perso na freddo e realistico ex tesoriere generale cardinale Giacomo Antonell dal i, che collabor con Pio IX per 28 anni, fino alla morte del papa nel 1876, caso unico nella storia della Chiesa. Figura controversa, anche per la sua incontestabile brama di ricchezze, egli era disposto a qualche riforma, sulla scia del dispotismo illuminato, ma rimase tenacemente contrario ad una innovazione radicale del sistema polit ico-amministrativo dello Stato della Chiesa, che in realt si era mostrato fonte di abusi, e andava quindi rivisto, ma che, anche riformato a fondo nel clima generale del Risorgimento, non avrebbe risolto le aspirazioni unitarie della borghesia liberale italiana4 Questa valutazione sintetica trova una parafrasi assai illuminante nel lacondotta oscillante di Antonelli di fronte alla questione della libert di stampa nello Stato della Chiesa. Nel periodo del suo governo, infatti, la l ibert di stampa, che ha trovato un fragile, primo riconoscimento con lo Statuto del 14 marzo 1848, si vide pesantemente, ma anche illusoriamente 4 G. Martina, Pio IX cit., p. 40.

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limitata dalla restaurazione della censura ecclesiastica preventiva. Lo Sta tuto era accompagnato dalle norme applicative per una moderata libert di stampa erogate mediante la legge del 2 giugno dello stesso anno. Il debutto di Antonelli su questo terreno non era stato specialmente felice : nel dicem bre 1847, egli si era opposto drasticamente alla pubblicit delle decisio del ni Consulta di Stato, una apertura che la Consulta stessa, coperta dal della parere favorevole di Corboli Bussi, aveva votato infine a maggioranza : se gno, per gli intransigenti, di una piega laicizzatrice del governo, che avreb be esasperato le contraddizioni tra le richieste crescenti di un'evoluzione verso il sistema costituzionale e il mantenimento del regime assoluto sotto sovranit ecclesiastica, spingendo fatalmente il papa all'irrigidimento poli tico successivo, sullo sfondo dei fermenti risorgimentali ormai incontenibil i in Italia. La libert di stampa era considerata fra le materie miste nelle di scus ioni sul testo dello Statuto, approvato dai cardinali il 10 marzo 1848 e firmato il 14 marzo. Tuttavia, a conti fatti, tale libert si trovava ristretta nel testo dal mantenimento della previa censura ecclesiastica stabilita dal diritto canonico e riconosciuta dal governo, indice eloquente dell'ambiguit tra il regime costituzionale e quello assoluto. L'incertezza del non risolta papa, a questo riguardo, non pot che aggravarsi nel corso del 1848, con la crisi del progetto riformatore dell'abate Rosmini, il fallimento del tentativo costituzionale di Terenzio Mamiani, l'assassinio del liberale Pellegrino Rossi, la Rivoluzione romana del novembre e la fuga del papa a Gaeta. Qui Pio IX ritrov al proprio fianco il suo consigliere pi prudente, il cardinale Antonelli, da quel momento decisivo nell'orientamento generale della poli tica pontificia. L'involuzione del papa, dopo la fine della Repubblica romana per ope ra delle truppe francesi, era attestata dal ritorno a posizioni pessimiste sul lalibert di stampa, se in una lettera al cardinale Dupont, arcivescovo di Bourges, del 10 giugno 1849, egli scriveva : Aggiungasi che la libert della tribuna, quella della stampa, di associazio ne ecc. sono intronsecamente cattive, e sowertitrici della religione e del l'ordine pubblico. Gome pu dunque il papa ammetterla in coscienza? Ricuso di adottare una forma di governo che non pu a meno di concorrere alla de moraliz azione dei popoli5. Pio IX rimase fermo in questa visione negativa della societ moderna,

G. Martina, Pio IX cit., p. 365.

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considerando il sistema parlamentare e la libert di stampa due mali gra vissimi e giungendo alla condanna di Rosmini, Ventura e Gioberti, cio dei tre maggiori fautori dell'evoluzione costituzionale. Il ricorso alla stampa non era allora autorizzato se non in chiave strumentale, per far conoscere la posizione pontificia nei confronti della Repubblica romana. Interessante al riguardo la ricerca da parte dell'Antonelli dell'intervento controllato di riviste qualificate, per sostenere la tesi favorevoli al diritto pontificio, una volta riconosciuto che i dispacci diplomatici non erano pi sufficienti allo scopo. Una di queste riviste, La scienza e la fede, pubblicata dalla curia arcive scovile di Napoli, ebbe una funzione significativa nel periodo dell' esilio del papa a Gaeta. Probabilmente alimentata da Antonelli, la rivista mostr di disporre di materiali informativi di prima mano (elenchi di temi da trat tare, testi da pubblicare, atti ufficiali, resoconti, dati statistici, ecc.) Non poteva non derivare da contatti personali e diretti con il cardinale la dispon ibilit di statistiche circa membri ecclesiastici e laici dei vari dicasteri del la Curia romana per l'anno 1848. Si trattava di materiali che potevano esse re possesso unicamente della Segreteria papale, l'unico organismo della in Curia romana operativo nel territorio del regno di Napoli. probabile - e comunque meritevole di verifica ulteriore - che anche numerosi articoli pubblicati senza firma da tale rivista possano essere fatti risalire alla pater nit Antonelli. di La civilt cattolica Raffaele De Cesare, nella sua Roma e lo Stato del papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre (2 vol., Roma, 1907) attribuisce all'Antonelli la direttiva che i giornali dello Stato pontificio dovessero pubblicare esclusivamente le notizie delle cappelle papali e quelle della rivoluzione cinese. Il cardinale era tuttavia un fautore della funzione della stampa ufficiosa : a lui si attr ibuisce la mossa decisiva perch Pio IX in persona si appropriasse nel d icembre 1849 dell'idea di pubblicare una nuova rivista, La civilt cattolica, sostenendone la fondazione con un finanziamento di 7.500 franchi, mal grado le difficolt economiche dello Stato. Il cardinale Antonelli intu i vantaggi di un organo al servizio della Santa Sede nel campo della cultura e, a differenza di suoi colleghi, scettici perplessi, non appena il gesuita padre Carlo M. Curci gliene espose il pro getto, ne fece parola al papa, senza citare la fonte. Cos Pio IX pot esporre l'idea come farina del proprio sacco quando, pochi giorni dopo, ricevette in udienza Padre Curci. La tattica accuratamente studiata dal Curci era riu scita nell'intento di rendere il progetto inattaccabile, come proveniente dal-

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la suprema autorit, cos da imporsi anche alle titubanze del suo generale padre Giovanni Roothaan, timoroso che i gesuiti si lasciassero coinvolgere da controversie politiche. Il 6 aprile 1850 usciva il primo numero. Il succes soenorme : la tiratura pass rapidamente da 4.000 a 6.000 copie, e in fu soli quattro anni a 14.000. Fu Antonelli a consegnare al papa in viaggio per Roma il primo fascicolo, che gli era stato inviato in fretta : quel ritorno di Pio IX dall'auto-esilio era confortato anche dalla presenza del primo numer o della rivista. Fedele strumento al servizio del papato, essa si trov pi volte tra Scilla e Cariddi, a causa del temperamento degli ingegni riuniti a redigerla. Se i liberali le contestavano un'intransigenza chiusa e settaria, la Curia la vigi lava con cipiglio severo, criticandola ogni volta che qualche espressione non sembrasse conforme alla mente del papa. La situazione era complicata dall'ostilit poliziesca del governo di Ferdinando II che giunse a proibire la lettura della Civilt nel regno di Napoli, considerando ogni fermento cultu ralevirtualmente sovversivo, fino a minacciare l'espulsione dei gesuiti dal loStato se il periodico non fosse stato soppresso. Si ebbero misure repres sive contro laici e religiosi, rei di contrabbando fatto della Civilt cattolica, foglio lesivo della religiosissima co rona di Napoli, colpa compromessiva della comunit. ritenuto meritevole di approfondimento il legame organico stabilitos icardinale Antonelli e gli scrittori della Civilt cattolica, specialment tra il e nelle congiunture della convocazione del concilio Vaticano I, della pro clamazione dell'infallibilit pontificia e della pubblicazione del Syllabus. In questo documento, figurava la tesi circa la insussistenza del diritto della l ibert di espressione ove essa propaghi la peste dell'indifferentismo in materia di fede. A conferma degli stretti legami tra Antonelli e Civilt cattolica, si pu citare l'episodio delle due memorie inviate in Segreteria di Stato dal nunzio a Parigi mons. Flavio Chigi circa le reazioni francesi al Concilio. Antonelli pass i documenti alla rivista, che si affrett a tradurre e pubblicare un passo del primo, e integralmente il secondo, sotto il titolo Corrispondenza di Francia6. In questo articolo si insinuava, su suggerimento di Antonelli, che la definizione dogmatica dell'infallibilit era nei desideri dei cattolici propriamente detti. Una simile allusione venne ritenuta una gaffe, pe raltro comprensibile per il fatto che, pur cos abile in diplomazia, Antonelli non aveva molto il sen-

6 La civilt cattolica, 5, p. 345 s.

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so della stampa n percepiva a fondo l'incidenza che essa poteva avere nell' opinione pubblica7. Del resto, per lo meno discutibile ridurre quel giudizio ad una semp lice svista diplomatica. La situazione del cattolicesimo francese era da tempo fonte di inquietudini a Roma. Il caso scoppiato nel 1852 intorno alla rivista La correspondance de Rome sorta a Roma nel 1848 ad opera del pre lato francese Louis Chaillot era sintomatico della tensione. Il sacerdote giornalista frustava a fondo gran parte dei vescovi francesi, accusandoli di essere troppo tiepidi nella difesa dei diritti della Santa Sede, ed ergendosi a paladino della ortodossia e della causa papale. I vescovi francesi de Marguerye di Autun e Dupanloup di Orlans invocarono l'intervento di Roma contro attacchi aspri e ingiustificati. Un'apposita commissione fu riunita a Roma per esaminare il caso, concludendo per il mantenimento della rivi sta, purch fosse chiarito che essa non doveva presumere un'autorit diver sa dalla propria n di farsi portavoce della curia romana. Diverso il parere di Pio IX : un'ampia lettera di Antonelli al nunzio mons. Garibaldi, in data 24 giugno 1852, informava che il papa aveva deciso di sospendere il periodico a tempo indeterminato. Si deploravano per insieme alcuni atteggia menti della gerarchla francese, per certe tendenze autoritarie nei confronti di alcuni sacerdoti : un'accusa che poteva anche essere facilmente ritorta. L'Antonelli ebbe anche un ruolo nel tentativo romano di sedare il conf litto scoppiato nel 1853 intorno alle posizioni ultramontane dell' Univers di Louis Veuillot, che aveva provocato turbamenti e dissensi in alcuni vescovi francesi, tra i quali lo stesso arcivescovo di Parigi, mons. Sibour, autore di un'ordinanza (poi ritirata per le pressioni romane) che vietava la lettura della rivista. Pio IX non ritenne sufficiente in una circostanza cos delicata una lettera del segretario di Stato, e invi il 20 aprile una lettera personale all'arcivescovo di Parigi, facendo appello alla sua carit per comporre il dissidio. Non contento di ci, il papa eman l'enciclica Inter multiplices (21 marzo 1853) nella quale, oltre agli elogi per il clero francese e a varie racco mandazioni, figurava un accenno alla stampa anticattolica, cos diffusa, alla quale era opportuno contrapporre buona copia di libri e di giornali cattolici, che andavano incoraggiati e, ove necessario, ammoniti alla pru denza. La posizione del papa sull'affare riportata nel resoconto di un'u dienza del 10 luglio 1853 al P. de Ravignan : (...) D'ailleurs je n'adopte aucun journal et je ne dfends pas L'univers.

7 Cfr. K. Schutz, Pio IX, in Storia dei papi, Cinisello Balsamo, 1994, p. 6217.

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GIANCARLO ZIZOLA On voulait me le faire condamner; je n'approuve pas tout ce qu'il a crit, mais il n'y avait pas lieu de le condamner8.

In realt, i documenti pubblicati indicano che le simpatie di Pio IX an davano al Veuillot e alla sua corrente, senza che egli si mostrasse abbastan za avvertito - non almeno quanto il segretario di Stato - dei pericoli insiti in un eccesso di conformismo e in manifestazioni troppo marcate di osse quio al papa n degli effetti mediati della politica di repressione verso colo ro che nella Chiesa difendevano una autentica libert di opinione e di di scussione e una certa autonomia degli episcopati, troppo facilmente liqui dati sotto la nomea di gallicani.

La nascita dell'Osservatore romano La stessa nascita dell'Osservatore romano, il 1 luglio 1861, costituisce da parte del cardinale Antonelli una reazione al declino del potere tempor ale papato, da un lato, e alla necessit, dall'altro lato, di assicurare alla del Santa Sede una voce propria nel panorama delle contrastanti opinioni che andavano opponendosi sia all'interno della stampa cattolica, sia tra questa e il fronte anticlericale. In tutta Europa si moltipllcavano i primi giornali nel senso moderno. Fine diplomatico, secondo Cavour, Antonelli non mancava occasione di sottolineare la necessit di contrastare il clamore sollevato dai giornali rivoluzionali9. Nella stessa Roma, dopo la fine del Diario di Roma nel 1848, si succedevano, ispirati alla linea ufficiale, la Gazz etta di Roma (1848-1849), il Monitore romano (1849), e il Giornale di Roma (1848-1870), ai quali si aggiungevano, su posizioni reazionarie e clericali, il Costituzionale romano (1848-1849) di propriet francese e un periodico, che diverr quotidiano, L'osservatore romano (1849-1852). Il suo omonimo nacque come organo ufficioso del governo pontificio. La gestione venne affidata, con il sostegno finanziario di Pio IX, ad una im presa privata, degli esuli delle legazioni pontificie di Bologna e Forl, Nicol a Zanchini e Giuseppe Bastia, che ne furono anche i primi direttori. Il re gime privato fu preferito in quanto ritenuto pi idoneo a celare l'intento di confutare le calunnie che si scagliano contro Roma e il pontificato romano. 8 Cfr. G. Martina, Pio IX cit., p. 178. 9 Cfr. . Lay, Finanze e finanzieri vaticani fra l"800 e il '900. Da Pio IX a Benedetto XV, Milano, 1979, p. 39.

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Nello stesso titolo figuravano, dal 1862, due citazioni che ne esprime vano l'obiettivo polemico e intransigente : Unicuique suum e Non praevalebunt, pubblicate tuttora. Da una relativa autonomia iniziale, specialmente nei primi anni della direzione del marchese Augusto Baviera, che ne era di venuto anche l'unico proprietario (1866-1884) stenografo e cronista del concilio Vaticano I, il giornale assunse una linea di pi stretta ufficialit dopo la presa di Roma. La svolta sotto Leone XIII La preoccupazione di rinnovare il dialogo della Chiesa con il mondo moderno indusse Leone XIII ad attenuare le condanne infiammate dei suoi predecessori contro le libert moderne, tra le quali la libert di stampa. Tal eattitudine apparve in modo progressivo. Nell'enciclica Quod apostolici muners (28 dicembre 1878), scritta contro le sette dei socialisti, il rifer imento alla stampa era gravato ancora da pregiudiziali di segno intransi gente : E queste mostruose opinioni pubblicano nei loro circoli, persuadono nei libercoli, spargono nel popolo con una quantit di gazzette. Per cui si accu mul tanto odio della torbida plebe contro la veneranda maest e l'impero dei Re (...). Nell'enciclica Etsi nos (15 febbraio 1882) divenne pi chiara la scelta : invece di discutere sulla libert di stampa, i cattolici ne usassero a profitto della Chiesa : Bisogna opporre gli scritti agli scritti, perch l'arte che pu moltissimo a danno, si volga a salvezza e a benefcio degli uomini, e si prendano i rimedi, donde si lamentano i cattivi veleni. Perci desiderabile che in ogni provincia si istituisca un ufficio per dimostrare pubblicamente quali e quanti siano i do veri dei singoli cristiani verso la Chiesa, con frequenti pubblicazioni e, per quanto possibile, con pubblicazioni quotidiane. Un progresso ulteriore venne raggiunto con l'enciclica Liberias (20 giu gno 1888). Dopo aver affermato che la libert di parola e di stampa, se non sia debitamente temperata, e trapassi i limiti e la misura, non pu essere un diritto [e che] data ad ognuno piena l ibert di parlare e di mandare a stampa, non vi cosa che possa rimanere in tatta ed inviolata, neanche quei supremi e verissimi dettati di natura che deb bono riverirsi qual nobilissimo e comune patrimonio del genere umano, l'enciclica riconosceva : Quando si tratti di cose opinabili lasciate da Dio alla discussione degli uomini, lecito allora, e ce ne da la natura stessa il diritto, di sentir come meg lio ne aggrada, ed esprimere liberamente il proprio avviso : poich libert sif-

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MANCARLO ZIZOLA fatta non torna mai di pregiudizio alla verit e giova sovente a farla trionfar e10.

Concepita anche come rivalutazione dell'opera di mons. Dupanloup, la Liberias costitu il motivo di un nuovo e pi acceso confronto tra gli or gani dell'opinione cattolica, divisi tra gli intransigenti, che respingevano in blocco la rivoluzione e il liberalismo, e quanti accettavano la conciliazione tra cattolicesimo e mondo moderno11. Il papa abbandonava la linea degli anatemi, applicandosi a discernere ci che era ammissibile nelle idee del tempo relative alla libert di coscienza, alla libert di culto di stampa. Senza sposare la linea dei cattolici liberali, egli proponeva di utilizzare i nuovi mezzi per restaurare nella mutata situazione il pieno esercizio della funzione di direzione e di guida che la Chiesa aveva svolto nei secoli passat i, quasi inseguendo il sogno di riattualizzare modernamente l'ideale di Innocenzo III al quale era intellettualmente attaccato. I titolari della Segreteria di Stato, indipentemente dal loro valore, non potevano non risentire in quel pontificato della monarchizzazione del l'autorit detenuta dal papa, con una preminenza inedita del governo per sonale su quello dell'apparato. Il papa amava codificare questo legame di subalternit persino con delle lettere programmatiche da lui inviate ai segretari di Stato all'inizio del loro mandato, a non contare i suoi interventi diretti che scavalcavano il segretario di Stato12. Di qui la necessit di valutare l'autorit dei molteplici interventi comp iuti dai segretari di Stato di Leone XIII - da Alessadro Franchi a Lorenzo Nina, da Lodovico Jacobini a Mariano Rampolla del Tindaro -, nel vivo della controversia accesa nell'opinione cattolica a proposito del presunto liberalismo di Leone XIII. Memorabile la lettera inviata nel 1882 dal car dinale Lodovico Jacobini (segretario di Stato dal 1880 al 1887) ai Vescovi lombardi con severi moniti nei riguardi & Osservatore cattolico del leader intransigente don Davide Albertario, particolarmente acceso non solo con trola libert in generale : (I liberali vogliono la libert del bruto, la libert di servire all'autorit senza limiti), ma anche contro la dignit della stam pa : Ma che stampa, che stampa, che in disparte non in disparte! Cos' la 10 Edizioni della Radio Vaticana, Documenti pontifici sulla stampa, Citt del Va 1964. 11 G. Martina, L'enciclica Liberias nei commenti della stampa contemporanea, in G. Rossini (dir.), Aspetti della cultura cattolica nell'et di Leone XIII. Atti del convegno di Bologna 27-29 dicembre 1960, Roma, 1961, p. 598. 12 C. Prudhomme, Lon XIII et la Curie romaine, in Rerum novarum, criture, contenu et rception d'une encyclique, Roma, 1997, p. 29-48. ticano,

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stampa di fronte a questa enciclica? Qualcosa di rimminchionito, di debellat o, di sconfitto, di smascherato nella sua incompetenza, di restituito alla sua inanit (3-4 luglio 1882). Il ruolo del card. Jacobini fu significativo anche nell'operazione cal deggiata dal finanziere francese Eugne Bontoux, ex funzionario dei Roths child, di mettere a disposizione i capitali dell'Union gnrale per le necess it della Santa Sede e, nello stesso pacchetto, di offrire il Journal de Rome, da lui controllato, al servizio degli interessi del papa. Leone XIII ader al progetto, convinto cornera che il giornale fosse necessario per trasmette re notizie sicure e orientare la stampa internazionale cattolica. all'estero La fondazione del quotidiano rappresentava l'inizio di un articolato piano elaborato da Bontoux per la conquista della stampa, basato sull'ac quisto di sensibili quote azionarie dei giornali italiani da mettere a disposi zione del Vaticano ed averne in cambio la gestione del patrimonio della Santa Sede. A Bontoux non interessavano i milioni del papa ma il grande prestigio che ne sarebbe derivato alla sua banca : un piano che, per quanto favorito dal segretario di Stato, fu neutralizzato dalla opposizione strenua di monsignor Folchi, responsabile del patrimonio vaticano, che valse indi rettamente a stornare l'intenzione clericale di mettere le mani su buona parte della stampa italiana13. Il caso Pitra nel 1885 fece esplodere in modo clamoroso le tensioni interne. Membro di una commissione cardinalizia incaricata di esaminare la situazione della stampa francese, il cardinale J.-B. Pitra attacc a fondo i cattolici liberali in una lettera all'organo degli intransigenti olandesi Amstelbode, ripresa dal Journal de Rome (4 maggio 1885). Egli deplorava che i campioni dell'intransigenza fossero stati colpiti ingiustamente dalla Santa Sede e contrapponeva i grandi momenti del pontificato di Pio IX alla politi ca leoniana, cos formulando all'aperto ci che molti a Roma trattenevano a fior di labbra. L'uscita del cardinale ebbe una enorme risonanza sulla stampa intransigente e provoc una indignata sconfessione sia da parte dell'Osservatore romano, sia da parte del papa, che intervenne personal mente una lettera al cardinale arcivescovo di Parigi mons. Guibert. Il con cardinale Pitra dovette fare pubblica ritrattazione. Non si pu trascurare l'importanza sotto questo pontificato delle rela zioni coltivate con gli ambienti giornalistici da monsignor Luigi Galimberti, intimo di Leone XIII e abile collaboratore sia del card. Franchi sia del card. Rampolla. A questo prelato, nominato segretario della Congregazione

13 . Lay, Finanze e finanzieri cit., p. 98-99.

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degli affari straordinari nel luglio 1885, sembra si possa assegnare una par te merito di aver favorito le prime interviste concesse da un papa, ad in del viati di giornali tedeschi e italiani, utili a gettare le basi per il riawicinamento alla Germania desiderato da Leone XIII e per ridurre l'aggressivit del conflitto con i liberali italiani. Quanto al cardinale Rampolla, che tenne la Segreteria di Stato dal 1 giugno 1887 alla morte di Leone XIII (20 luglio 1903), il suo destino di de voto esecutore non sub variazioni rispetto ai suoi predecessori. Tuttavia, egli seppe penetrare nella fortezza dell'intransigentismo, La civilt cattoli ca, orientarla sulla linea filofrancese a lui gradita. E anche sulla que per stione del tentativo, poi fallito, di un riawicinamento ecumenico con gli Anglicani, e del riconoscimento delle ordinazioni anglicane, il suo ruolo non manc di un rilievo autonomo : infatti, egli non esit ad esporsi nelle lotte per arginare l'influenza crescente degli intransigenti, e persino nell'assumere le difese della Revue anglo-romaine che era fumo negli occhi per Merry del Val e i suoi referenti. In generale, si pu formulare la conclusione che, per la prima volta, l'irradiazione mondiale dell'insegnamento del pontefice romano si avvalse, sotto Leone XIII, non solo dei canali di trasmissione domestici, come le en cicliche del papa e le lettere pastorali dei vescovi, ma anche di una rete cre scente di stampa cattolica, nella quale il normale gioco democratico nutri va senso del pluralismo dell'opinione non abituale nella prassi vivente un della comunit ecclesiale cattolica. A Roma, in Segreteria di Stato, si pren deva coscienza del carattere irreversibile dell'evoluzione e, senza esaspera re le tensioni i conflitti, si incoraggiava la Chiesa nel senso della concilia zione. Tuttavia non si pu escludere che la novit del fenomeno fosse tale per una Curia ancora lenta agli adattamenti da giustificare un certo imbarazz o, una vera e propria impotenza dei mezzi e dei quieti metodi con se non venzionali di controllo centralizzato sulle Chiese locali e sui movimenti cattolici sociali animati prevalentemente dai laici. Per la prima volta la Chiesa all'ora dei media si confrontava con l'opinabile : ferma su posizioni ultramontane con gli assunzionisti del Plerin e di La croix, aperta alle nuo ve correnti consacrate dalla Rerum novarum con La quinzaine di G. Fonsegrive e con Le sillon di Mare Sangnier in Francia, con le riviste Cultura so ciale e II domani d'Italia di Romolo Murri, animatore della Democrazia cr istiana in Italia, con L'avvenire d'Italia conciliarista del conte Giovanni Grosoli a Bologna e con la rivista del barone K. von Vogelsang Monats chrift fr christliche Sozialreform in Austria. Per non citare che alcuni fra i numerosi esempi possibili.

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I margini di tolleranza per questo vivace movimento di ricerche, di d iscus ione e di opinione furono bruscamente e pesantemente ristretti sotto il regno di Pio X. Agli interventi repressivi sui libri, sui seminari, persino sui vescovi, con la ripresa di visite apostoliche ordinate da Roma nelle diocesi, si accompagn un sistematico imbavagliamento dei giornali e delle riviste cattoliche, anche se si deve riconoscere che sia il segretario di Stato cardinale Rafael Merry del Val sia lo stesso Pio X intervennero pi volte presso i vescovi a moderare le intemperanze degli scrittori e della stampa integralista. Non v' dubbio che Merry del Val appartenesse alla Triade cardinaliz ia, insieme a Gaetano De Lai e a Calasanzio Vives y Tuto, nelle cui mani risiedeva la responsabilit organizzativa della repressione antimodernista. All'ombra della Triade agiva una associazione occulta di spionaggio, il Sodalitium pianum, fondato da mons. Umberto Benigni sottosegretario della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, dunque alle di rette dipendenze di Merry del Val, e dotata di un proprio organo La corr espondance de Rome. stata abbondantemente documentata la copertura assicurata dallo stesso pontefice alle attivit spionistiche di questa polizia dell'opinione cat tolica, le cui operazioni coincisero con un periodo di autentico terrorismo intellettuale nella Chiesa romana. Ne furono vittime tra gli altri i moviment i democratici e conciliaristi di Milano, che ruotavano intorno alla rivista // rinnovamento di Tommaso Gallarati Scotti, i giornali cattolici del trust di Grosoli, tra i quali L'unione di Milano e L'avvenire d'Italia di Bologna, scon fessati perch non conformi alle direttive pontificie, il Sillon in Francia, etc. Culmine della repressione, l'enciclica Pascendi dominici gregis (8 se ttembre 1907) che istituiva, tra l'altro, in ogni diocesi un consiglio di vigilan za contro il modernismo, un censore ad ogni giornale periodico e il divie to pubblicazione e di lettura di opere articoli infetti di modernismo. di La proibizione delle cattive letture fu istituzionalizzata dal Codice di di ritto canonico, elaborato per ordine di Pio X. Prosperarono dopo l'enciclica gli articoli contenenti critiche anonime firmate con pseudonimi (come la Risposta all'enciclica di Pio X, il cui autore era il maggiore dei modernisti italiani, Ernesto Buonaiuti). Sorsero nuove riviste antimodernistiche, ment re organi dell'intransigentismo, Unit cattolica e La riscossa dei fratelli gli sacerdoti Scotton, di Vicenza, si trovarono incoraggiati dal vento reazionar io che soffiava dal Vaticano, fino a ottenere la condanna del Santo di An tonio Fogazzaro. Il risultato fu una polarizzazione nella Chiesa e un arreMEFRIM 1998, 2 44

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sto dello sviluppo professionale del giornalismo cattolico, la cui dipenden za finalit apologetiche e confessionali stabilite dalla gerarchla dalle ecclesiastica rendeva scarsamente praticabili le ambizioni di conseguire nuovi strati di lettori in una societ servita dai giornali neutrali, portatori di informazioni pi numerose e apparentemente aliene da preoccupazioni morali. La vittima pi illustre della persecuzione, che prese di mira anche de gli innocenti, fu l'arcivescovo di Milano cardinale Andrea Carlo Ferrari, rimproverato dal papa e da Merry del Val per l'appoggio dato alla stampa moderata, in contrasto con l'indirizzo esplicito di Sarto. Secondo la test imonianza di don Giovanni Rossi, segretario del Ferrari, il cardinale fu ob bligato a stendere le condanne del Rinnovamento e di altre riviste sospette di modernismo a Milano14. Del resto, Merry del Val disponeva a Milano di un informatore e allea to, quell'Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Ambrosiana, a cui Ferrari aveva affidato nel 1910 con speranza forse eccessiva una mediazione per r iportare charezza nei rapporti col papa, una mediazione destinata a non avere esito alcuno, data la congiuntura negativa. Purtroppo l'ampio e deli cato epistolario del card. Ferrari (tra cui 70 lettere con Pio X, con le con gregazioni vaticane e con monsignor Ratti ) venne alla sua morte abbandon ato riserva alcuna dal suo segretario all'archivio della Curia arcive senza scovile di Milano, dove se ne perdettero le tracce all'epoca dell'episcopato milanese di Ratti. Sar appunto a Ratti, divenuto nel 1914 prefetto della Bi blioteca apostolica in Vaticano, che verr affidato, alla morte di Ferrari nel 1921, il peso della successione. Sul fronte della stampa cattolica romana, Merry del Val intraprese un tentativo, solo in parte riuscito, di ristrutturazione organizzativa, commis sionandone il progetto al conte Ernesto Pacelli, un finanziere, nonno del futuro Pio XII. Dopo la scomparsa de La voce della verit e i prolungati pe riodi di sospensione del settimanale La vera Roma, gli interessi del papato erano rappresentati a Roma unicamente dall'Osservatore romano, la cui propriet era stata interamente recuperata da Leone XIII alla Santa Sede, ma che costituiva un onere gravoso per le sue finanze. Fu costituita cos nel 1907 la Societ tipografica ditrice romana, la cui funzione era di agevolare i giornali cattolici e di stampare un nuovo quotidiano, // corriere d'Italia, gi gravato da debiti. Tuttavia la parte pi ambiziosa del disegno, che i ncludeva la gestione e la stampa dell'Osservatore romano, del Corriere d'Italia

14 Cfr. G. Zizola, Don Giovanni Rossi, Assisi, 1997, p. 50.

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e di altre pubblicazioni, per conseguire una riduzione complessiva dei cos ti, oltre che la creazione di una impresa per la raccolta della pubblicit, non ottenne l'approvazione di Pio X, impressionato dalla quantit di dena ro richiesto dal piano Pacelli15. Infine confermato il tentativo della corrente conservatrice della Cur ia romana, nel 1914, di ottenere anche una condanna del sindacalismo cri stiano. L'operazione, che non and in porto a causa della morte del papa, fu preparata da alcuni articoli della Civilt cattolica dei padri Monetti e Chiudano, scritti su commissione di Merry del Val16. Le interviste del cara. Gasparri Con il pontificato di Benedetto XV la Segreteria di Stato, retta dal car dinale Pietro Gasparri, seppe misurarsi per la prima volta in termini mod erni con l'obiettiva funzione politica della stampa nella societ internazion ale, rendendo meno incondizionata la stretta visione confessionale. Era un ritorno, anche in questo campo, allo spirito di Leone XIII, era una presa di distanza nei riguardi dell'integrismo. Bisognava fare i conti con ben altre preoccupazioni. L'estensione mondiale della guerra obbligava la Santa Se de a misurarsi con problemi morali, giuridici e diplomatici, e anzi con una ridefinizione delle priorit senza comparazione possibile con la natura dei conflitti dottrinali e degli obiettivi istituzionali interni che avevano spossat o la Chiesa sotto Sarto. Le preoccupazioni per indurre le potenze in guerra a intese risolutrici erano cos forti da attenuare, a favore di un pi sollecito avvento della pace internazionale, qualsiasi nuova emergenza del dissidio tra il papato e l'Italia. L'autorit morale della Santa Sede doveva essere innazitutto posta al servizio del ristabilimento della pace. E a tale scopo anche il giornalismo come tale, neutro confessionale che fosse, doveva cooperare : Si devono esortare caldamente e pregare i giornalisti e scrittori cattolici, scriveva Benedetto XV a guerra conclusa, nell'enciclica Pacem Dei munus (23 magg io1920), perch vogliano rivestirsi di viscere di misericordia e benignit esprimen dola nei loro scritti, coll'astenersi non solo dalle false e vane accuse, ma anco ra ogni intemperanza e asprezza di linguaggio, la quale, mentre contraria da

15 B. Lay, Finanze e finanzieri cit., p. 248 s. 16 Cfr. G. Martina, La Chiesa nell'et dell'assolutismo, del liberalismo, del totalita rismo, Brescia, 1970, p. 697.

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GIANCARLO ZIZOLA alla legge cristiana, non farebbe altro che riaprire piaghe non ancor risanate, molto pi che gli animi gi inaspriti da recenti ferite mal soffrono ogni pi lie ve ingiuria.

Durante i quattro anni di guerra, 11 Osservatore romano si fece notare per la sua imparzialit, testimoniando la linea della neutralit adottata dal papa. Interprete principale ne fu lo stesso Gasparri, autore diretto ispira tore una settantina di articoli pubblicati dal giornale vaticano sulla s di ituazione internazionale. Come lo precisava lo stesso giornale, la linea che ispirava la selezione dei dispacci dell'agenzia Stefani sulla guerra si attene va un ad programma di stretta imparzialit [...] a semplice titolo di informazione per i propri lettori e senza assumere la minima responsabilit delle notizie che (i dispacci) contengono n farli propri in alcuna maniera. Era lo stesso Benedetto XV a esercitare sul giornale un severo controll o. Secondo la testimonianza del conte Giuseppe Dalla Torre, che ne assun se direzione nel 1920, mantenendola per un quarantennio, la gli articoli, e del resto tutto quanto scrivevamo, erano immancabilmente se guiti, annotati, corretti, approvati da Benedetto XV. Mi giungeva alla fine del mese una piccola pagella con i punti per me e i miei collaboratori, e ne ero sempre lusingato, per la piena approvazione che ne risultava. Le correzioni invece giungevano subito. Una volta il giornale aveva segnalato presente a una cerimonia a Bologna la signora Augusta Nanni-Costa, aveva assegnato all'America una certa isolet ta asiatica, aveva visto a un'altra cerimonia una nota personalit. E il Santo Padre : La signora Nanni-Costa non era in quel giorno a Bologna; l'isola ap partiene all'Asia; la personalit morta. Dunque L'osservatore romano dona l'ubiquit; trasporta da un continente all'altro le terre; risuscita i morti17. Il cardinale Gasparri non limitava i suoi interventi alla stampa di casa. Egli anzi ricorse non di rado ai giornali neutri per produrre dei chiar imenti sulle iniziative e i disegni reali della Santa Sede cercare di rompere il cerchio dell'isolamento politico con un ricorso immediato all'opinione pubblica anche per lanciare messaggi alle potenze politiche. Il cardinale accett di incontrare il giovane giornalista italiano, di ispirazione laica, Giovanni Spadolini nel 1921 e nel 1923, per colloqui confidenziali. Inoltre accett contatti e collaborazioni con il Corriere d'Italia, tramite monsignor Enrico Pucci, un minutante della Congregazione degli affari ecclesiastici 17 G. Dalla Torre, Memorie, Milano, 1965, p. 74.

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straordinari che curava in quel giornale i rapporti col Vaticano : il prelato andava da Gasparri quattro cinque volte all'anno, per qualche rarissima comunicazione che conveniva pubblicare nel Corriere piuttosto che nell'Os servatore. Nelle Memorie inedite pubblicate da Spadolini, Gasparri respin ge il rimprovero rivoltogli dal cardinale De Lai in conclave, di aver favorito Pucci e il Corriere : Ero favorevole al Corriere per la semplice ragione che, posto il fatto de plorevole s, ma certo, che l'Osservatore non era letto se non da preti e frati (ed anche fra essi molti preferivano altri giornali) l'unico giornale che tuta conscientia poteva esser letto dal pubblico ed entrare nelle famiglie, era il Corrier e. i giornali anticlericali e nemici della Chiesa combattessero il Corriere, Che era facile comprenderlo, ma io non riuscivo a comprendere l'avversione di a lcuni cattolici e molto meno di alcuni Cardinali18. Il caso pi significativo, per la fiducia accordata ad un giornalista, ol tre che per le ripercussioni politiche, fu l'intervista concessa da Benedetto XV al giornalista francese Louis Latapie, pubblicata da La libert di Parigi il 20 giugno 1915 e ripresa due giorni dopo dal Corriere della sera di Milano. L'intervista fu promossa, studiata e assecondata da Gasparri. La condizio ne concordata col giornalista era che il testo che ne avrebbe tratto da lui fosse portato al suo esame prima di essere pubblicato. Latapie ebbe l' udienza del papa il 15 giugno, breve, di non pi di venti minuti, e in forma di conversazione sciolta, non di questionario. II giornalista si affrett a far uscire l'intervista senza mantenere il patto. Essa comprendeva delle l amentele del papa nei riguardi del governo italiano per le restrizioni della l ibert, anche di corrispondenza, alle quali la Santa Sede doveva sottostare. Alcuni passi del testo suonavano come uno sbilanciamento politico del pa pa verso la Francia. Il rumore fu tale che Gasparri ritenne di porvi rimedio con una propria intervista di rettifica pubblicata dall'Osservatore romano del 29 giugno : un testo il cui manoscritto, reperto in Archivio Vaticano, ricopre 14 pagine, con 5 interventi di pugno di Benedetto XV e per un quarto di pugno di mons. Eugenio Pacelli. Aveva reagito con pena profonda l'arcivescovo di Parigi card. Amette. Lo stesso governo italiano, per il tramite del suo inca ricato d'affari barone Carlo Monti, aveva fatto ventilare la opportunit di una smentita. Il papa torn diffusamente sul caso nei colloqui confidenziali con Monti : Io non posso smentire. Ma far distinguere tra il peso che si deve dare a 18 G. Spadolini (dir.), // cardinale Gasparri e la Questione romana, Firenze, 1972, p. 266-267.

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GIANCARLO ZIZOLA un documento ufficiale della Santa Sede e quello che meritava una conversa zione privata riprodotta pi meno fedelmente. [E ancora] Ho ricevuto e r icevo giornalisti italiani (per esempio, Filippo Crispolti). Ma non ho mai avuto a lamentare da parte loro indiscrezione alcuna. Ma quei benedetti giornalisti francesi, anche cattolici, sono sempre giornalisti!

A Monti, che lamentava come cosa poco papale l'intervista e consi gliava che fosse meglio non darne, il papa rispose pensieroso : Ne convengo. E (...) cos far, almeno durante il periodo della guerra. D'altronde per, come pu fare il padre della cattolicit ad escludere dalla sua presenza dei cattolici solo per il fatto che sono giornalisti? La cosa non mi sembra conforme allo spirito cristiano di carit (...)19. Il papa mantenne il suo riserbo. Il suo segretario di Stato prefer, in se guito a quell'incidente, seguire canali discreti e confidenziali per far circo larenei giornali qualche orientamento, oppure, in casi pi rari, concedere interviste direttamente, sotto garanzie per l'autenticit della riproduzione. Lo testimonia l'intervista concessa da Gasparri al Corriere d'Italia (28 giu gno 1918). Dichiarandosi interprete del pensiero del papa, il segretario di stato afferm che la Santa Sede attendeva la sistemazione conveniente alla sua situazione non dalle armi straniere ma dal trionfo di quei sentimenti di giustizia che augura si diffondano sempre pi nel popolo italiano in conformit del verace suo interesse. L'impressione di tali dichiarazioni fu tanto pi forte in quanto pochi giorni prima il papa aveva saputo da un prete spagnolo delle intenzioni di ristabilire il principato civile della Santa Sede, se gli Imperi Centrali aves sero vinto. Al che Benedetto XV aveva reagito, sdegnato : E voi credete che un papa speculerebbe sul sangue dei suoi figli anche nel proprio inte resse; anche nell'interesse della Chiesa?20 Il giornalismo amplificava in tutta Europa l'eco degli atti pontifici sul lapace, rimisurandoli il pi delle volte con i paradigmi degli interessi na zionalistici che se ne sentivano contestati. Un documento che non era de stinato al pubblico, la Nota ai capi delle nazioni belligeranti del 1 agosto 1917, considerato da molti autori come l'atto pi importante del pontificato di Benedetto XV, fu reso pubblica anzitutto dai giornali inglesi, poi da quelli di altri Paesi, con l'accordo delle differenti censure. Dalla Torre ha precisato : La Santa Sede l'avrebbe tenuta riservata se non fosse stata pubblicata da 19 A. Scotta (dir.), La conciliazione ufficiosa, diario del barone Carlo Monti in caricato di affari del Governo Italiano presso la Santa Sede 1914-1922, t. 2, Citt del Vaticano, 1997, p. 235-240. 20 G. Dalla Torre, Memorie cit., p. 51.

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altri, con alterazioni che ne modificavano il senso nel peggiore dei modi. Ecco perch, inviata il 1 agosto 1917, fu resa di pubblica ragione il 1621. Tutto fu compiuto allora da Gasparri per respingere interpretazioni non veritiere del tutto malevole, per negare soprattutto che nella genesi del documento vi fosse l'ispirazione degli Imperi Centrali e ribadire che l'appello del papa non significava che egli entrasse in politica. Gli intervent i molteplici dell'Osservatore romano, diretto allora da Giuseppe Angelini, furono rafforzati dall'intervista del cardinale Gasparri sul disarmo e sull' abolizione della leva obbligatoria, come garanzia del disarmo stesso e condi zione della futura pace, pubblicata il 22 settembre 1917 dall'Italia, giornale cattolico di Milano, come riferita a un prelato romano, ma ben presto r ivelata dal Journal di Parigi come proveniente da Gasparri e infine ufficia lizzata dall'Osservatore romano quando, il 4 ottobre, riprese pari pari quelle stesse proposte22. L'impressione di uno scarto tra le aspettative della Santa Sede e le rap presentazioni che ne dava la stampa europea non era che l'eco di un'impo tenza politica di fondo della Santa Sede, che doveva fronteggiare anche l'incomprensione, i pregiudizi e persino l'ostilit dell'opinione pubblica cattolica in diversi paesi per un pacifismo che veniva malinteso come in compatibile con gli interessi nazionali. Questa difficolt apparve anche sul fronte della rivoluzione bolscevica in Russia. I passi compiuti da Gasparri a favore del clero russo furono resi noti senza indugi sulla Pravda del 15 marzo 1919, in coerenza con l'idea di Lenin della doppia diplomazia, ovvero nella convinzione dei nuovi diri genti rivoluzionali che ogni atto diplomatico e di governo aveva una doppia valenza - quella per cui l'atto era compiuto per se stesso ai fini delle relazioni tra Stati e quella pro pagandistica verso l'opinione pubblica23. Di qui la decisione di Gasparri di rendere di pubblica ragione sull'Os servatore romano del 2 aprile 1919 i testi integrali dei documenti, incluso il telegramma di risposta piuttosto irritante indirizzato dal Commissario bol21 Ibid., p. 59. 22 E. Bressan, L'Osservatore romano e le relazioni internazionali della Santa Sede (1917-1922), in G. Rumi (dir.), Benedetto XV e la pace. 1918, Brescia, 1990, p. 233-253. Cfr. altres D. Veneruso, / rapporti fra Stato e Chiesa durante la guerra nei giudizi dei maggiori organi della stampa italiana, in G. Rossini (dir.), Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale. Atti del convegno di studio tenuto a Spoleto 7-9 settembre 1962, Roma, 1963, p. 679-737. 23 Cfr. R. Morozzo della Rocca, Le nazioni non muoiono, Russia rivoluzionaria, Polonia indipendente e Santa Sede, Bologna, 1992, p. 199.

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scevico per gli affari esteri Cicerin al segretario di Stato. I testi venivano corredati da una nota anonima, redatta per da Gasparri, sobria nell'indicare le pi ampie riserve della Santa Sede ma anche attenta a non chiu dere le porte al dialogo : Non nostra intenzione di aprire una polemica col signor Tchicherine, volendo soltanto portare a conoscenza del pubblico questi documenti, dei quali era stata fatta menzione in parecchi giornali24 Infine, merita rilievo il caso dell'intervista di Gasparri a Ernesto Buonaiuti sugli orientamenti vaticani circa la soluzione della Questione Roman a. Nell'intervista, il cardinale non era nominato, ma non era difficile rico noscerlo. La pubblicazione dell'intervista il 29 settembre 1921 sul Messagger o Secolo dovette essere giudicata inopportuna e scorretta dal e sul cardinale, che non l'aveva autorizzata, e cost al Buonaiuti un grave dete rioramento nei suoi rapporti con Gasparri25. Resta tuttavia inoppugnabile l'autenticit del testo nel quale ricorrono tesi circa il legame tra l'indipendenza della Santa Sede e un possesso terri toriale, di qualsiasi proporzione, la necessit di scindere le scelte politi che Partito popolare di don Sturzo dalla Chiesa, in nome dell'aconfesdel sionalit e autonomia dello stesso partito, la libert dei cattolici di scegliers i, certe esigenze pregiudiziali, il partito e il candidato che vogliono, il salvo favore almeno la non antipatia pregiudiziale della Santa Sede verso il movimento sionista, che miri esclusivamente a creare un luogo di rifugio per le povere vittime del l'antisemitismo, [poich] i rappresentanti del Sionismo non hanno mai trova tonon troveranno mai chiuso il portone di bronzo, [anche se si avvertiva e che] i seguaci di Sir Samuel, con le loro larvate forme di proselitismo confes sionale, non debbono aspirare a creare in Palestina un monopolio che offen derebbe in maniera troppo grave i sentimenti pi radicati nelle masse cristia-

// papato e i media dinanzi ai totalitarismi I segretari di Stato di Pio XI, Gasparri fino al 1930, Eugenio Pacelli f ino al 1939, subirono nella loro visione dei media l'influenza di due fattori : da un lato, la centralizzazione del progetto di nuova cristianit elaborato dal nuovo papa, che traduceva la decisione di opporre alla pressione dei to24 Ibid., p. 199. 25 P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo, Bari, 1971, p. 33. Si veda anche : E. Buon aiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Bari, 1964, p. 194, con le memor ie dell'autore sulla sua disgrazia con Gasparri.

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talitarismi laici moderni una sorta di totalitarismo religioso, servito dal pu gno di ferro con cui il sovrano instaurava nella Chiesa il conformismo gre gario e la partecipazione al culto del capo; dall'altro lato, il confronto tra la Santa Sede e i regimi totalitari in Europa, in un quadro concordatario. I rapporti tra Chiesa e fascismo in Italia sacrificavano le virtualit critiche residue dell'Azione cattolica e comprimevano l'autonomia politica e reli giosa dei cattolici. Pio XI sembrava sperare cos di assicurarsi l'esclusivit e il controllo della critica del fascismo in nome della sufficienza della Chiesa come so ciet perfetta. Egli concentrava la sua fiducia sull'Osservatore romano, il cui prestigio e la cui diffusione erano avvantaggiate dalla restrizione della libert di stampa in Italia. Grazie alla qualit del suo direttore conte Dalla Torre e a redattori di tradizione democratica popolare, come Guido Gonella, autore della rubrica Acta diurna, il giornale mostrava di disporre di informazioni di politica internazionale di prima mano e di un'indipenden za e capacit critica che ne facevano il giornale pi inquietante per il regi medi Mussolini, ma anche quello pi cercato dal pubblico : le sue tirature raggiunsero la media di 60.000 copie in quel periodo, con punte oltre le 100.000. A causa della sua indipendenza, il giornale dovette affrontare delle difficolt da parte del regime fascista, che lo costrinse a ridurre significat ivamente tiratura e, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, ad astenersi dal la pubblicare informazioni sul conflitto. Come lo indica il conte Dalla Torre in una confidenza raccolta dal va ticanista del Corriere della sera Fabrizio De Santis, Pio XI controllava per sonalmente, e senza intermediari, il giornale vaticano. Pio XI, lo vedevo quasi tutti i giorni fece notare il Direttore ed era lui stesso, a volte, che mi dettava gli spunti degli articoli26. Il canale tra il papa e il giornale era talmente diretto che la copia, fresca di stampa, arrivava al direttore con un autografo di Pio XI a matita rossa : Dieci con lode. Il papa chiamava Dall a Torre per dettargli le risposte a confusioni, a sbagli, ad insinuazioni av versarie, che si accumulavano nei giornali fascisti : non v'erano evidente mente margini per mediazioni istituzionali come quelle che Gasparri era abituato a svolgere con il predecessore. Il papa stesso scriveva di proprio pugno degli articoli per il giornale, che doveva essere la sua tribuna. Il gior nale vaticano dipendeva formalmente dal sostituto della Segreteria di Stat o,che fino al dicembre 1935 era monsignor Alfredo Ottaviani, solido punt ello per Dalla Torre, e pi tardi monsignor Domenico Tardini. Quest'ulti-

26 F. De Santis, Diario vaticano, manoscritto inedito, presso Archivio Giancarlo Zizola.

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mo prefer opporre alle proteste del governo fascista per gli apprezzamenti irriguardosi riservati dall'Osservatore romano a Mussolini una risposta pi soffice, di non avere neppure letto l'articolo in discorso, il quale non stato per nulla ispirato27. Mare Agostino ha ritenuto di poter notare un'evoluzione delle conce zionidi Pio XI sui media. Nella prima parte del pontificato, fino al 1929, il papa rest legato a un insegnamento tradizionale, che diffidava dei media moderni e incoraggiava quelli cattolici a usarne per controbatterli. L'evolu zione politica degli anni Venti sarebbe stata all'origine di una modificazio ne di tale atteggiamento. La legislazione fascista sulla stampa, sempre pi pesante, avrebbe indotto il papa a prospettare una stampa cattolica pi orientata sull'informazione, in modo da esprimere i punti di vista della Chiesa in modo libero. Non si trattava pi soltanto di appoggiare una stam pa edificante confessionale, ma di rappresentare il pensiero della Chiesa sul complesso degli avvenimenti. La fedelt al papa e alle sue direttive divenne perci un fattore qualifi cantedell'identit del giornalismo cattolico. Quando Charles Maurras os contestare L'Osservatore romano, la reazione di Pio XI fu sdegnata : coloro che si dichiaravano cattolici non potevano mettere in questione il giornale del papa. La condanna dell' Action franaise, il cui giornale era classificato tra gli organi vicini al cattolicesimo, sarebbe scaturita anche da questa esigenza tipicamente identitaria di serrare le fila nell'organismo cattolico. Il giornalismo cattolico diventava funzionale all'obiettivo apostolico del l'Azione cattolica, per impregnare la societ mediante la regalit sovrana del Cristo re, fondamento teorico del programma del pontificato. In questo quadro, Ratti istitu nel 1931 la Radio Vaticana, opera di Gu glielmo Marconi, e dedic al cinema un'enciclica, la Vigilanti cura (1936). Egli ammise il ruolo e l'immenso valore dell'opinione pubblica nella struttura e nel funzionamento dell'universo. Di pi, egli riconobbe alla stampa un ruolo specifico nella formazione di un'opinione internazional e e manifest un vivo interesse agli echi ottenuti dai fatti della vita della Chiesa nella stampa non strettamente cattolica28. Un rapporto di un noto informatore Vaticano a Mussolini, datato 19 ottobre 1925, indicava l'esistenza di un orientamento in Vaticano inteso a istituire un ufficio stampa per la diffusione delle notizie per la unicit del tono politico da dare, quando occorra, ai giornali amici e direttamente controllati dal Vaticano stesso. Secondo l'informatore - individuato in un 27 ASMAE, Affari politici, Santa Sede, 1936, b. 30. 28 M. Agostino, Pio XI et les mdias, in Achille Ratti Pape Pie XI, Roma, 1996, p. 826 s.

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prelato legato al gruppo ormai disciolto di monsignor Benigni, assai ostile a Gasparri l'iniziativa sarebbe partita da Mons. Pizzardo; ma l'attuazione non ancora decisa perch il cardinale Gasparri non ancora persuaso della sua utilit29. risultato che, all'indomani della Marcia su Roma, il Benigni mise la sua rete spionistica a disposizione dell'ufficio stampa del ministero degli Affari interni italiano. Queste righe aprono uno spiraglio sulla discussione esistente nella Segreteria di Stato circa la politica da adottare verso i med ia. Al vertice il papa restava, come fu osservato, il pontefice inaccessibil e. apprezzava l'idea di concedere delle interviste e si riteneva Egli non forse appagato di far scendere con la sicurezza sacrale necessaria le sue pa role sui destini umani attraverso il giornale vaticano. Ma i suoi collaborator i della Segreteria di Stato dovevano misurarsi con le domande di un'info rmazione che non poteva essere esaudita dall'Osservatore. Si trattava, almen o, disporre dei testi dei discorsi del papa, che Pio XI normalmente non di rilasciava e che occorreva ricostituire dal vivo. Per questo, e per rispondere ad una domanda dei giornali, specialmente italiani e francesi, si era format o in Vaticano un gruppo, capeggiato da mons. Enrico Pucci il quale era stato ingaggiato come informatore della polizia fascista e veniva usato dal laSanta Sede per i suoi collegamenti con il ministero degli Interni, secon donotizie rinvenute nell'Elenco nominativo dei confidenti dell'OVRA. le L'iniziativa di un embrionale ufficio stampa vaticano era stata suscita ta da Eugne Guichard, responsabile dell'agenzia Havas. Il gruppo curava la pubblicazione di un bollettino quotidiano, sotto forma di velina, con tenente informazioni non ufficiali e non commentate, la cui autorit scatu riva dal credito personale e dalle coperture altolocate attribuite al Pucci. Egli infatti poteva contare, gi prima del 1930, su mons. Pizzardo, segreta rio Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, e su mons. della Ottaviani, sostituto della Segreteria di Stato, prima che Tardini ne assu messe la carica. Il punto di raccordo tra l'agenzia Havas e il clan Pucci era rappresentato dal giornalista francese Max Bergerre, noto per le sue so lidariet con gli esponenti curiali delle tendenze ultramontane30. Il gruppo poteva accedere ad un locale che dava sul cortile di San Damaso, nel cuore del Vaticano, dove i giornalisti ammessi potevano disporre di alcuni telefoni. Ad essi era interdetto di muoversi liberamente nel piccol o Stato, e l'unico vantaggio che avevano era di poter controllare dalle fes sure il viavai dei cardinali e dei personaggi che salivano al palazzo apostoli29 P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo cit., p. 151. 30 M. Bergerre, Six papes, un journaliste, Parigi, 1979.

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co per le udienze papali. Chiusi dentro la piccola stanza, prigionieri di un mondo che li temeva, ma che contava di poterli usare secondo i propri inte ressi, essi si sentivano iniziati al privilegio di partecipare ai riti e ai misteri di una corte della quale costituivano l'emanazione. Lo statuto di tolleranza loro assegnato imponeva di fatto un difficile equilibrio tra la pura e semplice assimilazione e l'esercizio del diritto di cronaca. Ma la visione prevalente nella Segreteria di Stato, in accordo con quella del papa, era ancora quella apologetica e difensiva, che assegnava al sistema dei media compiti del tutto subalterni e strumentali al servizio de gli obiettivi del papato, fino a realizzare forme alternative di presenza med iale per neutralizzare gli effetti negativi dei media. Il papa voleva raggiungere le masse con i mezzi moderni della comunicazione, ma era estremamente severo a proposito del comportamento dei media che da lui dipendevano ha concluso Mare Agostino31. Era evidente che, in questo quadro, l'ammissione di uno spazio sia pu re controllato per l'informazione come tale all'interno del Vaticano costi tuiva un'anomalia, al di l dei limiti ideologici e operativi dei suoi attori. Era semplicemente l'inizio assai embrionale di un processo che avrebbe trascinato il Vaticano ad una comprensione meno inadeguata della natura democratica del diritto dell'informazione nella societ pluralista e ad un a t eg iamento costruttivo nei riguardi dei giornalisti. // ruolo di Montini Nella Segreteria di Stato dell'epoca, non v'era che monsignor Giovanni Battista Montini a rappresentare questa visione moderna. Figlio di un gior nalista, membro del Partito popolare e antifascista, Montini praticava pro pri canali con il mondo giornalistico italiano, in particolare con Silvio Ne gro, primo vaticanista del Corriere della sera, e coltivava le sue affinit fa miliari e intellettuali con il mondo antifascista e cattolico-democratico che ruotava intorno a De Gasperi, rifugiato all'epoca in Vaticano con un incari co Biblioteca apostolica. Il direttore delle ville pontificie, dottor Emilio alla Bonomelli, si prestava volentieri ad offrire spazi discreti per gli incontri tra i prelati democratici e i giornalisti amici, all'ombra delle querce di Castelgandolfo. La Segreteria di Stato si serviva altres di portavoce informali, gi sotto Pio XI : uno di questi era un redattore dell' Osservatore romano Federico 31 M. Agostino, Pio XI et les mdias cit., p. 837.

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Alessandrini, forse la persona pi vicina a Montini, per il comune impegno nella FUCI, e allo stesso mons. Tardini. A partire dal 1931 Alessandrini cur per la Segreteria di Stato dei bollettini quotidiani di rassegna stampa inter nazionale, raccolta e selezionata attraverso un apposito Ufficio giornali, di slocato negli ambienti della Tipografia poliglotta Vaticana. Sotto il pontifi cato Pio XI l'orizzonte in esame attraverso la stampa fu internazionale; di con Pio XII, esclusivamente italiano. Per qualche tempo, con l'aiuto di un traduttore russo, furono seguite anche pubblicazioni sovietiche, generali e antireligiose. Lo stesso Alessandrini ritenne utile sfruttare l'enorme giacimento di informazioni attinte da riviste, giornali e documenti provenienti da tutto il mondo improvvisandosi, senza spostarsi tsicamente, inviato speciale per i giornali cattolici italiani, con articoli pubblicati tra il 1933 e il 1939 sotto pseudonimi cangianti, secondo i paesi considerati (da Berlino si firmava Renano, da Vienna Danubiano...) : Alessandrini sottoponeva gli arti coli a mons. Pizzardo in Segreteria di Stato, li correggeva eventualmente secondo i suggerimenti ottenuti, quindi, sicuro dell'approvazione, inviava i suoi pezzi alla redazione dell'Avvenire d'Italia di Bologna, che provvedeva a distribuirli agli altri quotidiani cattolici per telefono. Pur restando opera di un giovane addetto a un lavoro nascosto di lettu radi divulgazione di notizie provenienti dall'estero, quegli articoli dedicat e i Germania hitleriana alla guerra civile spagnola, quelle critiche al alla Fronte popolare francese alla politica antireligiosa che si sviluppava nel l'Unione Sovietica, senza rappresentare una linea politica ufficiale della Santa Sede, erano tuttavia avallati da quell'autorit che li voleva controlla re della pubblicazione. prima Secondo il direttore dell'Avvenire d'Italia dell'epoca, Raimondo Manzini, quelle corrispondenze, nelle quali erano denunciate le vessazioni ideologiche e politiche del nazismo contro la Chiesa, ebbero un'eco profonda e furono forse l'unica fonte di diffusione di notizie che il Terzo Reich teneva coperte dalla censura. L'efficacia di queste corr ispondenze fu tale che dalle autorit tedesche si promossero indagini per sape re fossero i misteriosi corrispondenti che da Vienna e da Berlino inviava chi no in Italia quelle relazioni32. Che il clan Pucci non avesse il monopolio dell'informazione, n della

32 Cfr. M. Guasco, L'Ufficio giornali, in La figura e l'opera di Federico Alessandrin i. Convegno di Recanati 29-30 ottobre 1989, Ancona, 1991, p. 28-38. Atti del

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fiducia della Segreteria di Stato, basterebbe a provarlo l'episodio raccontat o da mons. Tardini il 6 dicembre 1960 ad un convegno della stampa catto lica italiana, e riportato dal Diano inedito di De Santis : Pio XI aveva scritto contro il nazismo la Mit brennender Sorge. Aveva ap posto all'enciclica la data del 14 marzo 1937. Bisognava evitare che i nazisti ne bloccassero la pubblicazione nelle chiese cattoliche tedesche. Si pens di in viarla segretamente in Germania e di farla leggere nelle chiese il 21 marzo, im pedendo accuratamente qualsiasi indiscrezione. Il gruppo Pucci ne seppe qualcosa non dal Vaticano ma dalla Germania, ad operazione avvenuta. Il monsignore si affrett a telefonare a Tardini per avere conferma della notizia e possibilmente il testo dell'enciclica. E Tardini fu lieto di avere a sua volta la sicurezza che la cosa era andava felicemente in porto : la stampa venne info rmata soltanto il 22 marzo. Nel febbraio 1939, alla morte di Pio XI, mons. Montini prese l'iniziati va di offrire al giornalismo uno spazio meno inadeguato in Vaticano. I giornalisti chiedevano informazioni sul conclave. Era necessario che il rap porto tra il Vaticano e l'informazione moderna uscisse dalla clandestinit e dall'assolutismo. Montini istitu un luogo di incontro con gli informatori all'interno della redazione dell'Osservatore romano. Quell'abitudine sopravv isse guerra e per il concistoro del 1946 i giornalisti furono ammessi in alla una tribuna speciale nella basilica vaticana. Ma le vedute democratiche, filo-maritainiane, di Montini non avevano per questo vita facile nella Curia, e nemmeno nell'opinione cattolica. Silvio Negro, come pi tardi Carlo Fal coni, potevano contare sul sostituto di Pio XII come interlocutore di una l inea riformatrice che doveva riservarsi per il futuro, facendosi largo tra gli ostacoli immanenti. Lo stesso Osservatore romano era invitato alla prudenza : il cardinale Luigi Maglione, accettato come segretario di Stato da Pio XII dopo non po che tergiversazioni, anche per l'insistenza dei vescovi francesi, dovette d ifendere il giornale a viso aperto da chi se ne andava lagnando continuamente nella speranza di ottenere restri zioni ed interventi positivi, ha scritto Dalla Torre. Invano. Mi raccomandava prudenza finch fosse possibile e nulla pi. Finalmente dovette rispondere ad una Nota verbale contro l'opera mia. La risposta fu schietta e fiera. L'Osservatore era un giornale indipendente; nes suno poteva impedire ch'esso parlasse quando il bisogno lo richiedeva; era ne cessario d'altronde che nessuno potesse intromettersi d'autorit, non essendov i alcuna che lo permettesse. Se il giornale pot scrivere ci che pensava legge nei momenti nei quali tacere sarebbe stato tradire la verit, lo dovette a un uo mo che non cess mai di difenderlo, e, in verit, sapendo di poterlo fare senza che Pio XII gli imponesse diversamente33. 33 G. Dalla Torre, Memorie cit., p. 141-142.

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Nel 1953 la Segreteria di Stato accett di aprire un servizio stampa, co me appendice relativamente autosufficiente dell'Osservatore romano. Era un successo per monsignor Montini, in un anno segnato dalle avanzate deg li integralisti in ogni campo, teologico e politico, con l'epurazione del l'Azione cattolica italiana e delle Acli, la condanna vaticana dei preti oper ai, la liquidazione della Nouvelle thologie. Il prosegretario di stato di Pio XII, che si astenne dal dare un successore a Maglione, appoggiava ci ononostante le iniziative pi avanzate adottate dai cattolici nel campo della comunicazione sociale. Egli approv la proposta del fondatore della Pro civitate christiana di Assisi di ammettere fra gli autori delle riviste del l'associazione La rocca e // regno anche non credenti non cattolici espo nenti notori della cultura laica marxista, superando la direttiva vaticana vigente basata sulla discriminante anticomunista34. Anche questo probabil mente contribu a ridurre i margini della compatibilita della sua funzione, dalla quale fu esonerato con la nomina il 3 novembre 1954 ad arcivescovo di Milano. Pio XII non era ostile, per la sua parte, a considerare esaurita la visio ne antimodernistica che aveva ispirato le preclusioni canoniche della par tecipazione del clero e dei religiosi alla collaborazione ai giornali non conf essionali. Nel 1947 egli approv il programma del gesuita padre Riccardo Lombardi di utilizzare sistematicamente la radio per le sue catechesi popol ari (dalle quali venne al predicatore il nome di microfono di Dio) e di collaborare con i giornali : In giornali che non siano dei nostri, che non sono letti, precis il papa, il quale anzi formul una prospettiva non con fessionale dello stesso giornalismo cattolico. Al Lombardi che proponeva l'organizzazione di un grande giornale cattolico, ma non di notizie cattoliche, Pio XII rispose : S, che non sia scritto giornale cattolico. Ma meglio cominciare da quelli che sono i giornali, se no quello chiss quando verr35. L'atteggiamento costruttivo di Pacelli si tradusse in innovazioni istitu zionali : nel 1948 fu creato un Ufficio per il cinema, allargato nel 1954 alla radio e alla televisione. Nella Pasqua 1949 il papa rivolse il suo primo mes saggio televisivo. Quanto alle linee teoriche, esse conobbero una significati va evoluzione. Nel discorso alle agenzie di stampa d'Europa, nel 1956, egli esortava i giornalisti all'oggettivit pi franca, senza mai perdere il con34 G. Zizola, Don Giovanni Rossi, Assisi, 1997, p. 261. 35 Cfr. G. Zizola, // microfono di Dio. Padre Lombardi, Pio XII e i cattolici italiani, Milano, 1990, p. 82.

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tatto col pubblico e in ogni caso a non sacrificare mai la verit, il precet to divino e il bene comune per soddisfare i padroni del giorno il gusto dei lettori e degli ascoltatori. Egli riconosceva finalmente che l'opinione pubblica lo stato del giornalista e, in un altro discorso fondamentale, il 18 febbraio 1950, per il III Congresso internazionale della stampa cattolica, egli fece un passo ulte riore ammettendo che la Chiesa un corpo vivente e mancherebbe qualcosa alla sua vita se l'opinio ne pubblica le facesse difetto, difetto il cui biasimo ricadrebbe sui pastori e sui fedeli. Con l'enciclica Miranda prorsus (8 settembre 1957) il papa sollecit i cattolici ad uscire dallo spirito di parte per misurarsi pi liberamente con la sfida centrale di associare la cultura alle preoccupazioni dell'educazione morale, salutando come un apporto positivo le evoluzioni tecnologiche del lacomunicazione36. Lo scarto tra l'ideale e il carnale per cos dire l'ineluttabile del cattol icesimo. Il Vaticano era un mondo troppo separato per accettare di assog gettarsi alle norme comuni. La Segreteria di Stato var un regolamento che imponeva ai vaticanisti di non accedere ai vari uffici e luoghi della Citt del Vaticano, senza previo permesso della stessa Segreteria di Stato, e proi biva loro di avvicinare e consultare persone residenti, impiegate i visita tori nella Citt del Vaticano. All'ora in cui si ammettevano i giornalisti al l'Ufficio del servzio stampa, si vietava loro l'accesso ad altre fonti di info rmazione che non fossero quella ufficiale. Qualcuno viol un giorno quella regola e la Segreteria di Stato lo invit a prendersi un paio di settimane di vacanza. Avvenne che il vaticanista punito continuasse il suo lavoro stando nel bar a pochi passi dai cancelli vaticani. Gli amici, prelati e laici, lo anda vano a trovare e lo informavano costantemente di ogni piccola grande notizia. Ecco, nel racconto di Benni Lay, come quella storia and a finire : P. prese a scrivere di cose vaticane con maggiore libert : non era pi un ospite. Quando in Segreteria videro i frutti della loro decisione, fecero press'a poco questo ragionamento : se lo facciamo entrare in Vaticano potremo sem pre contare sulla sua discrezione, lasciandolo fuori non otterremo nulla. Cos, per mandarlo in vacanza alla prima imprudenza, il giornalista fu invitato a i nter ompere quella che stava trascorrendo37. La morte di Pio XII, il 9 ottobre 1958, fu la prima morte mediatizzata di un papa : morte solitria, crudelmente monarchica, e nello stesso tempo 36 Edizioni della Radio Vaticana, Documenti pontifici sulla stampa cit., p. 217. 37 . Lay, Vaticano sottovoce, Milano, 1961, p. 172.

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morte seguita minuto per minuto dalla Radio Vaticana e dalle prime camer e delle televisioni di tutto il mondo, accampate dinanzi al portone della villa di Castelgandolfo : la morte di massa dell'ultimo papa-re, sotto i riflet toriaccesi dalla nuova sovranit dei media. Fine di un'epoca assolutista, nascita dell'epoca di un nuovo assolutismo tecnologico, che imponeva lo stile della secolarizzazione sull'era del sacro al tramonto? La Segreteria di Stato, priva di un responsabile che il sovrano non ave va voluto, fu travolta dalla violenza dei fatti : l'et dei media irrompeva sul letto di morte di un papa violando non solo la sacralit della funzione ma la stessa sacralit naturale della morte. Il medico personale di Pacelli prof itt della carica per scattare le foto dell'agonia e venderle sul mercato dei grandi settimanali mondiali. Di pi, un giornale romano che si voleva fedel e Curia papale, // Tempo, non esit a lanciare un'edizione straordinar alla ia con il titolo // papa morto, alcune ore prima della sua morte. Il tempo del mercato rompeva ogni possibile compromesso con l'eterno nel tempo. Nel clima del concilio Non sar troppo azzardato ammettere che il clima di apertura instau rato Giovanni XXIII suscit assai pi consensi nell'opinione pubblica e da fra le masse popolari di quanto riuscisse a incidere sul cambiamento istit uzionale della Curia nei confronti dei media. La Segreteria di Stato, alla cui direzione Roncalli aveva chiamato Tardini, non pot minimizzare il pro prio imbarazzo, dinanzi all'esplosione dell'entusiasmo mediatico per il papa buono, che mandava in pezzi la pretesa dirigista della Curia antica. Se in Segreteria di Stato operavano altre correnti, come quella facente ca po al sostituto mons. Angelo Dell'Acqua, in diretto contatto con Montini (ben presto tuttavia isolato dal Corriere della sera a causa della controversia sull'apertura dei cattolici ai socialisti), l'egemonia restava pur sempre nelle solide mani del gruppo ierocratico della Curia, lungo l'asse Tardini-Samor-Ottaviani. Questo gruppo non era disposto a tradurre i successi popolari mediatic i di Roncalli in una proporzionale azione di democratizzazione nel gover no della Chiesa. Nemmeno l'annuncio del concilio Vaticano II, nel gennaio 1959, con la crescente ondata di interesse della stampa e degli altri media di massa verso il papato, indussero la Segreteria di Stato ad assumere mi sure strutturali nuove : anzi, dopo le prime settimane, apparve chiaro che era molto difficile andare al di l di un livello di informazioni generiche di ipotesi, pi meno avventate. In questo clima di incertezza, il cardinale Tardini tenne alla fine di ot tobre 1959 una conferenza stampa, la prima nella storia della Santa Sede, MEFR1M 1998, 2 45

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annunciando la prossima costituzione di un Ufficio stampa per garantire un flusso organico di informazioni sulle varie fasi del Concilio. Ciononos tante, durante tutto il primo semestre del 1960, sull' attivit antepreparat oria non venne diffusa alcuna informazione. Rari erano i servizi dedicati al concilio ecumenico sulla stampa cattolica italiana. La discrezione della Segreteria di Stato al riguardo era bilanciata dall'impegno con cui il segre tario personale di papa Giovanni, mons. Loris Francesco Capovilla, inco raggiava alcuni giornalisti cattolici a dedicarsi con ogni energia al compito di divulgare nell'opinione pubblica e nella Chiesa i punti principali di una cultura del Concilio, al fine di creare le condizioni oggettive di una coscientizzazione conciliare la pi estesa possibile38. La spontanea comunicativit di Giovanni XXIII e la tempestiva conferen za del card. Tardini dell'ottobre 1959 avevano lasciato sperare in un stampa atteggiamento nuovo, ha scritto Jos Oscar Beozzo. Quando il papa aveva par lato di riserbo e di amor silentii, mai di segreto aveva inteso introdurre un criterio pi elastico? Se anche era cos, non molti se ne erano avveduti e non pochi preferivano un clima di radicale diffidenza verso la stampa. Co munque durante tutto il 1960 e il 1961 la preparazione conciliare si svolge in totale apnea, interrotta solo in pochissime occasioni39. Del tutto occasionali, e insoddisfacenti, le iniziative della conferenza del segretario Pericle Felici all'inizio del dicembre 1960, sul concilio e la stampa e l'intervista di Tardini alla TV inglese due settimane pi tardi. Per una prima misura strutturale, fu necessario attendere l'ottobre 1961 quan do annunciata la nomina di un prelato valdostano, mons. Fausto Valfu lainc, a responsabile dell'Ufficio stampa della segreteria della Commissione centrale preparatoria. Ma gli sviluppi erano cos carenti dal punto di vista della produzione di informazioni degne del nome che l'inquietudine non tard a riemergere per una gestione dell'informazione conciliare che si an nunciava talmente circospetta e reticente. Del resto, il legame dell'Ufficio stampa con l'Osservatore romano, alla cui direzione papa Giovanni aveva nominato Raimondo Manzini, indicava bene i limiti dell'autonomia del servizio, per rapporto alla sua dipendenza con la Segreteria di Stato, da un lato, e con la Segreteria del Concilio dall'altro. La situazione non miglior sensibilmente con la successione del cardi naleAmieto Cicognani, che pure aveva una lunga esperienza del cattolice38 Cos fu suscitata la prima inchiesta sul concilio da me realizzata in 8 puntate sull'Avvenire d'Italia di Bologna e sugli altri quotidiani cattolici italiani nel marzo 1962, la prima del genere sulla stampa italiana. 39 J. O. Beozzo, // clima esterno, in G. Alberigo (dir.), Storia del concilio Vaticano II, I, Bologna, 1995 p. 383.

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simo democratico americano come delegato a Washington, dopo la morte di Tardini nel 1961. Il papa si vedeva limitato dalle visioni restrittive che si trovarono formulate nella dichiarazione del cardinale Giuseppe Siri di Ge nova : Noi non dovremmo essere ostacolati da libri ed articoli che parlano trop po quello che il Concilio dovrebbe fare dire. Se quel genere di scritti varr di a creare aspettative, e queste aspettative non saranno soddisfatte, la gente po tr pensare che il Concilio non ha avuto successo non ha compiuto bene il proprio lavoro40. In effetti l'ideologia del segreto prevaleva sulla accettazione del diritto di cittadinanza dell'informazione nella Chiesa. Nel giugno 1962, un episo dio rivel il grado di resistenza di queste paure narcisistiche. Enrico Zuppi, direttore dell'Osservatore romano della domenica, chiese di sapere alcuni dati tecnici sull'addobbo di piazza San Pietro per la festa del Corpus Domin i : quante lampade illumineranno il colonnato, quanti chilometri di tran senne metalliche, ecc. Telefon al Governatorato, agli Uffici tecnici, alla Fabbrica di San Pietro : niente, nessuno glielo voleva dire. Il settimanale era gi impaginato e la didascalia d'una foto della piazza era ancora in bianco. Allora Zuppi ebbe la trovata della professionalit disperata : inven t i numeri che gli occorrevano e aggiunse : I lavori di allestimento della piazza sono stati diretti dall'ingegner Arcano Mistero. Malgrado gli sforzi del papa, il segreto fu imposto alla prima sessione del Concilio. Ma nello stesso tempo alcune forze nella stessa Segreteria di Stato - monsignor Dell'Acqua, ad esempio, che agiva in alleanza con monsignor Capovilla - operavano discretamente per favorire l'informazione. Fu a causa di tale dinamica interna che io stesso potei costituire un'informaz ione alternativa a quella ufficiale nelle cronache che dedicato alle sedute conciliari della prima sessione per la rete dei giornali cattolici italiani e per // messaggero di Roma. Ogni giorno io avevo un appuntamento con il vescovo di Verona mons. Giuseppe Carraro, nelle prime ore del pomeriggio, il quale si sapeva auto rizzato, grazie alle sue relazioni personali con il cardinale Montini e con mons. Dell'Acqua, a rilasciarmi ogni informazione utile alla ricostruzione fedele delle sedute per servirne la stampa cattolica e, se possibile, anche la stampa non confessionale. Le mie cronache costituirono in molti casi la fonte primaria per i giornalisti di molti paesi affluiti a Roma per i lavori della prima sessione del Concilio41. 40 Intervista del card. G. Siri a W. Abbott per America, ripresa da // quotidiano di Roma il 27 marzo 1963. 41 Cfr. X. Rynne [ps. di padre Francis X. Murphy], Letters from Vatican City,

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Ci rendeva fragile dall'interno la barriera ufficiale del segreto e rap present un motivo di contraddizione positiva nel sistema vaticano, anche se ero informato che le indiscrezioni mandavano su tutte le furie il cardinal eInfatti il suo giornale a Genova, // nuovo cittadino, pur collegato alla Siri. rete dei quotidiani cattolici, si astenne sistematicamente dal riprendere le mie cronache, e anzi si affrett a inviare a Roma un proprio redattore per seguire il Concilio in modo pi omogeneo alle vedute dell'arcivescovo, che presiedeva la Conferenza episcopale italiana. Un'altra fonte preziosa per me in quel periodo fu il vescovo di Vittorio Veneto mons. Albino Luciani, che mi riceveva nella sua stanza in un istituto di suore sulla Via Aurelia, confidandomi la fatica di un processo di rinnovamento teologico cui il Concilio lo obbligava, malgrado le ingiunzioni conservatrici del cardinale Siri. Seppi pi tardi che, nella decisione di violare coscientemente il segreto per rendere un servizio alla Chiesa, non mi trovavo in cattiva compagnia. Anche La croix di Parigi mostrava di disporre di informazioni sicure e ben presto apparve chiaro che il giornale cattolico, un tempo associato alle trincee ultramontane, aveva un informatore dentro il Concilio. Egli non era altri che uno dei sottosegretari del Concilio stesso, monsignor Jean Villot. Con lo stesso metodo seguito con me da mons. Carraro, il futuro segretario di Stato di Paolo VI aveva ogni pomeriggio un incontro con i redattori del giornale, Antoine Wenger e Jean Plissier, ai quali leggeva le sue note. Per semplificare il lavoro, egli scrisse direttamente le sue note su fogli separati che consegnava senz'altro ai redattori e che venivano pubblicate sotto altra firma, evidentemente42. Infine, con l'avallo esplicito di papa Giovanni, un'informazione spesso diretta sugli sviluppi conciliari, anche del lavoro delle commissioni, fu ass icurata da padre Giovanni Caprile alla Civilt cattolica. Quanto al governo ordinario, Giovanni XXIII conobbe l'amarezza di essere informato che a lcune fonti che alimentavano la polemica di settimanali e giornali della de stra occidentale contro di lui si collocavano non lontano dal suo trono. Era Londra, 1963 : II segreto conciliare resta pura teoria, afferma il teologo salvatoriano, e leggendo II messaggero, Le monde e La croix ci si poteva tenere abbastanza per fettamente al corrente di tutti gli incidenti interni e di molti interventi dei Padri nell'aula. Secondo J. Nobcourt, II messaggero, quotidiano romano, fu il primo a rompere sistematicamente la censura pubblicando specialmente la lista delle commissioni conciliari preparate dalla Curia e facilitando cos il primo movimento di conquista della loro autonomia da parte dei Padri del concilio. Cfr. J. Nobcourt, Sala stampa du Saint-Sige, in P. Levillain, Dictionnaire historique de la papaut, Par igi, 1994, p. 1544. 42 A. Wenger, Le cardinal Villot (1905-1979), Parigi, 1989, p. 36.

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curiale - ammetter lo stesso giornalista - l'informatore che aveva ispirato gli attacchi rivolti nel novembre 1962 dal Corriere della sera a firma di Indro Montanelli al papa, accusato di aver avuto simpatie cedimenti verso le correnti del modernismo. Si cibavano di veline romane gli articoli critici firmati da Lo Svizzero nel settimanale // borghese. L'enciclica Pacem in terris fu accusata di filo-comunismo e la politica di dialogo intrapresa verso Mosca fu ritenuta responsabile di compromettere le resistenze dell'Occi dente. Dopo l'udienza concessa dal papa al direttore delle Izvestia Alexei Adjubei, fu cos palese la tensione tra il papa e la Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, il cui responsabile era mons. Antonio Samor, che Giovanni XXIII dovette fissare in un appunto i chiarimenti del pro prio punto di vista, ma anche il suo rammarico per la difficolt di quella Sezione ad adeguarsi alle sue direttive : Ho detto e ripetuto a Dell'Acqua e Samor che si pubblichi la nota redatt a padre Koulic, l'unico testimone dell'udienza concessa a Rada e Alexei da Adjubei. La Prima Sezione non ci sente da questo verso e me ne dispiace. Un desiderio del papa... quand'ero nunzio patriarca... Quando si sapr cosa ho detto io, cosa ha detto lui, credo che si benedir il nome di papa Giovanni. Tutto devesi con diligenza annotare. Deploro e compiango quanti si prestano in questi giorni a giochi innominabili. Ignosco et dimitto43. L'agonia di papa Giovanni, il 3 giugno 1963, fu seguita dai media mond iali in modo da riscattare il degrado del 1958. Moriva un padre universale, non un sovrano, e l'evento spirituale si impose sulla furia mediatica. La svolta della politica dei media sotto Paolo VI Con il pontificato di Paolo VI la politica dei media della Segreteria di Stato conobbe una autentica svolta. Risultato di una ferma decisione di un papa, considerato incerto piuttosto che opportunamente problematico, l'ufficio stampa del Concilio venne trasformato alla vigilia della seconda sessione, equilibrando il potere direttivo tradizionale della Curia con il controllo degli episcopati nazionali. Per la prima volta l'ideologia del segre to venne ridimensionata. L'informazione si vide riconosciuta cittadina della Chiesa nel suo prin cipale sforzo di assumere i valori della modernit e della democrazia. Il se gretario di Stato cardinale Amieto Cicognani rilasci un'intervista al Corr iere della sera a proposito della libert religiosa e lo stesso Paolo VI ammis e l'autore dell'inchiesta sul Vaticano che cambia, Alberto Cavallari, ad un 43 G. Zizola, L'utopia di papa Giovanni, Assisi, 1973, p. 222-223.

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dialogo libero sui temi della riforma e del futuro della Chiesa cattolica, de stinato alla pubblicazione nello stesso giornale, il 5 ottobre 1965. Vincendo le ultime resistenze, Montini istitu il 16 ottobre 1966 la Sala stampa della Santa Sede, la cui direzione venne affidata a mons. Vallarne. Lo scopo della misura era cos indicato : Promuovere quelle iniziative che rispondono alle esigenze dell'informa zione moderna [e come] primo passo verso la graduale realizzazione del pr ogramma annunciato dal Santo Padre il 26 novembre 1965, nel suo incontro con i giornalisti che avevano seguito il Concilio. Non si poteva immaginare che le tensioni istituzionali svanissero per forza del decreto dell'autorit. Il pi delle volte Vallarne dovette convincersi che la tenaglia tra i diktat della Segreteria di Stato e le necessit formulate dal giornalismo, con le sue esigenze di rapidit, verit e concretezza, non gli avrebbe lasciato scampo e che avrebbe fatto meglio a sollecitare i suoi superiori ancora una volta ad accogliere le sue dimissioni. Paolo VI accett infine di inviarlo vescovo in Italia, e nel 1970 chiam un laico, un profession ista, amico, il professor Federico Alessandrini, a quell'ufficio, senza e un per questo che le soluzioni sperate fossero sensibilmente avvicinate. In Segreteria di Stato, una nuova generazione di prelati garantiva tut tavia, con la loro apertura e fiducia agli attori della comunicazione, che in dietro non si sarebbe tornati. Anzi, fu ad alcuni di loro che il papa affid il compito di presentare alcune delle sue grandi encicliche : avvenne ad esempio con il responsabile della sezione francese della Segreteria di stato, mons. Paul Poupard, chiamato nella Sala stampa della Santa Sede a ill ustrare dinanzi ad una platea di giornalisti l'enciclica del 1967 Populorum progressio. Si devono registrare dunque le dinamiche di uno sviluppo di relazioni confidenziali e culturali che cominciarono a gettare dei solidi ponti tra gli attori dei media e alcuni responsabili intermedi della Segreteria di Stato, ad integrazione della politica ufficiale. Ci veniva incontro alle crescenti esigenze culturali di un giornalismo che si sforzava di qualificarsi come una branca specializzata in questioni religiose della professione, e che si trovava confrontato con la crescente complessit della Chiesa nelle sue multiformi funzioni evangelizzatrici, ecumeniche, intereligiose, etiche e politiche nella societ moderna. Disponibilit del genere furono apprezzate da alcuni giornalisti presso i monsignori Casaroli, Poupard, Benelli e Silvestrini. Nel 1969, con l'avvento alla direzione della Segreteria di Stato del car dinale Jean Villot, questa apertura fu confermata. Primo pastore nella prin cipale carica politica del Vaticano, Villot non tardava a suonare sia la ta-

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stiera delle relazioni private con i giornalisti di fiducia, sia quella dello sv iluppo del sistema pubblico delle comunicazioni sociali della Chiesa. La Commissione pontificia per le comunicazioni sociali si vide incoraggiata a preferire un raggio d'azione nelle Chiese locali in tutto il mondo ad un me ro compito burocratico a Roma44. Il libro di padre Wenger fa prova del carattere sistematico delle sue re lazioni con il cardinale e nei miei Diari di quegli anni ricorre non di rado il resoconto dei colloqui che Villot mi concedeva nella sua casa, nelle ore ve spertine, sui principali problemi critici sul tappeto, dalla riforma della Cu ria al caso Lefebvre, dalla Conferenza di Helsinki al conflitto sui refere ndum Italia. Come era gi accaduto a qualche suo predecessore, anche in Villot dovette misurarsi, sul caso dell'udienza di Paolo VI a Lefebvre, con una gestione aggressiva e speculativa di un conflitto ecclesiale da parte dei media che il cardinale aveva cercato di avviare senza tergiversazioni diplo matiche sulla strada sua propria, quella della verit e della fedelt alle ac quisizioni maggiori del Concilio. Tuttavia si avvertiva gi, verso la fine del pontificato di Paolo VI, che i livelli raggiunti dalle riforme strutturali della Curia, anche nel campo delle comunicazioni sociali, esigevano degli ulte riori passi. Si trattava di introdurre alcuni istituti professionali fondament ali per l'esercizio del diritto dell'informazione, come l'embargo, le confe renze stampa, i briefing45. Una domanda restava ancora evasa, malgrado le evoluzioni tecnologi che introdotte nel sistema mediatico del Vaticano : non solo la domanda di pi informazione, ma anche di documentazione e di cultura religiosa; non solo la domanda di un'informazione sul centro della Chiesa, ma anche sul lacomplessit della Chiesa universale. Prima di essere inviato cardinale a Firenze, monsignor Benelli tornava volentieri su questi problemi negli incontri di cui egli non di rado prendeva l'iniziativa, e che si svolgevano talora nel suo ufficio in Segreteria di Stato, ma pi volentieri nella mia casa. Nel 1970 egli suscit l'idea di un progetto di riforma della Sala stampa della Santa Sede. Furono avviate consultazio ni sistematiche con un gruppo di vaticanisti, che parteciparono ad una serie di riunioni. Fu redatto un documento all'intenzione del sostituto. Forse quella voce dei soggetti, alle prese con l'informazione su un mondo che non cessava di tutelare il proprio mistero, e i propri misteri, eb be una piccola parte, accanto ad apporti di altre fonti, nel disegnare una r isposta pi adeguata della Santa Sede ai problemi dell'informazione con-

44 A. Wenger, Le cardinal Villot cit., p. 192. 45 G. Zizola, La Chiesa nei media, Torino, 1996, p. 30-79.

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temporanea e dell'opinione pubblica nella Chiesa. Una risposta che non poteva essere cercata nella prospettiva di un raffinamento del potere mediatico della Chiesa, in una prospettiva mondana e ultimamente politica, bens in un radicale ripensamento dell'annuncio evangelico e del carattere obbligante dell'impegno preso dalla Chiesa in concilio di servirlo con mezzi non mondani, cio essi stessi ricondotti alla sobriet e alla trasparenza del Vangelo46. Giancarlo Zizola

46Cfr. Concilio Vaticano II, costituzione pastorale Gaudium et Spes, n. 75 : Tutti quelli che si dedicano al ministero della Parola di Dio bisogna che utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, che in molti punti differiscono dai mezzi propri della citt terrestre.

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