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LUNGA VITA A SANCHO PANZA IMMIGRATI CLANDESTINI.

. LE POLITICHE DEGLI ALTRI, LE POLITICHE NOSTRE, LE POLITICHE UMANE E LUNGIMIRANTI - ANNO X - N. 2-3 SETTEMBRE 2001

Luigi Perrone Universit di Lecce L'IMMIGRAZIONE SULLE COSTE DEL SUD

1. Fenomeno migratorio: politiche di stop e primi arrivi Non guasta ripeterlo: la storia di tutti i tempi, di tutte le civilt storia di migrazioni e di sistematiche contaminazioni culturali. Un fenomeno secolare, lento, che ha coinvolto miliardi di persone e che, nel tempo, ha modificato costantemente dinamiche e strategie. Diversamente da come si crede non facile fare riferimento ad uno o pi modelli migratori, dal momento che le migrazioni hanno cercato (e trovato) costantemente forme di adattamento empiriche, diverse nel tempo e per questo difficilmente codificabili. Con esse si sono modificati gli scenari internazionali, cos paesi che un tempo sono stati di attrazione, oggi sono di espulsione, con conseguenti diverse posizioni e strategie nello scacchiere internazionale. Un fenomeno che non si mai attenuato e che oggi continua con maggiore forza e frequenza di ieri, dal momento che coinvolge un numero di persone di gran lunga pi consistente (Caritas 2000), in conseguenza dellaccresciuta diffusione e sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa (Perrone 1998) e della globalizzazione dei mercati che fa lievitare bisogni ed aspettative (Bauman 1999). Un fenomeno complesso e totale, visto che coinvolge diversi aspetti sociali e si accompagna a trasformazioni irreversibili: l dove si innesta nulla pi come prima, sia nelle terre di partenza, sia in quelle di destinazione (Perrone 1995). Un fenomeno epocale, con cui fare i conti nella sua complessit, evitando operazioni riduzioniste, come si continua a fare, nellincapacit a fornire risposte adeguate. Prova ne siano le inadeguate leggi e normative dei paesi di destinazione che dovrebbero tenere in maggiore considerazione (anzitutto conoscendoli) i bisogni di queste masse itineranti crescenti, spesso ridotti, invece, nelle dimensioni e classificati in categorie solo occidentali. Requisiti richiesti ma non sempre (e non debitamente) riscontrabili, purtroppo, nelle politiche che governano questo grande evento e che si rivelano, a livello nazionale ed internazionale, incapaci a rispondere alla domanda politica e sociale posta ed a recepire i risultati della ricerca, i quali consiglierebbero ben altre scelte. Tutto ci testimonia una visione parziale e limitativa dellapproccio al fenomeno; un orientamento che impedisce di cogliere le cause dei moderni flussi migratori e che tenta di celare o rimuovere le responsabilit passate e presenti delle politiche innescate dallo sviluppo capitalistico. In questo nuovo contesto, lItalia si trova a giocare un ruolo inedito, divenuta, nel giro di un trentennio, paese importatore di forza-lavoro e porta dingresso, nei paesi della Comunit Europea, per popolazioni immigrate provenienti da paesi attualmente in difficolt. Un nuovo ruolo che gli studiosi fanno risalire al periodo del cosiddetto shock petrolifero (1973) ed alle ristrutturazioni industriali che seguirono. 2. Dal capitalismo estensivo a quello intensivo: lera della globalizzazione e delle politiche di stop Contemporaneamente a questo capovolgimento di ruolo del nostro paese, si assiste allultima grande rivoluzione tecnologica: si passa dalla fase estensiva (moderna) a quella intensiva (post-moderna, globalizzata) dello sviluppo capitalistico (Samir Amin 1997). Fase che risaputamente non abbisogna di masse proletarizzate, ma di quantit contenute di manodopera, a seconda delle esigenze produttive del nuovo mercato globalizzato. Perci, le migrazioni delle due diverse fasi divergono notevolmente. Diversit che si sarebbero facilmente colte, se non si fossero operati facili ed inopportuni paralleli ed omologazioni, che ci fanno perdere di vista quanto succede sotto i nostri occhi. Proviamo a porre, sotto forma interrogativa, lattenzione su una di queste diversit: quali sono gli elementi strutturali che tendono a far criminalizzare il migrante moderno? Perch sino agli anni Settanta si accostava letica del migrante a quella calvinista dello spirito del capitalismo, mentre oggi prevale una cultura colpevolizzante e miserabilista del migrante? Cosa avvenuto di tanto importante, a partire dagli anni 70, da innescare questa disgiunzione storica che ha portato a queste abusive e distruttive associazioni culturali? Il migrante, a partire da quel periodo, non pi visto come il pioniere, il conquistatore, il soggetto candidato a dominio, la futura classe dirigente, come storia e letteratura - statunitense in primis insegnano; ora, anche semanticamente il disperato, il poveretto, quando non il trafficante, lo spacciatore, la prostituta, ecc. Una coincidenza di date, guarda caso, poich gli anni settanta sono quelli in cui compaiono e via via si affermano sempre pi le presenze altre nel nostro paese (Macioti, Pugliese 1991). E per questo che in Italia la dimensione mitica riservata al vecchio migrante italiano, mentre allimmigrato sono riservate considerazioni miserabiliste (poverino) e connotative (extracomunitario, vu cumpr, criminale, ecc.), (Dal Lago 1997; Perrone 1998). Mentre in una prima fase c stata una associazione in positivo tra il passato e il presente, tra il nostro migrante e il nuovo immigrato, in una seconda si creata una disgiunzione sempre pi profonda tra le due figure, sino a seppellire dietro una montagna di distinguo ogni associazione positiva tra vecchio e nuovo migrante. Se si pone la dovuta attenzione ai risultati della ricerca, emergono chiaramente cambio di fase e relative ricadute ideologiche. Uno degli elementi di disgiunzione operato dai nostri ex migranti, contrapposto allimmigrato odierno, il tipo di lavoro svolto ieri da loro ed oggi dagli altri. Noi lavoravamo in miniera, loro fanno lavori nelle case, diceva T., ex

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migrante salentino in Belgio negli anni Settanta (Perrone 1998). Cosa sottolinea il nostro interlocutore, se non la diversit di mansioni tra il suo e laltrui lavoro? Certo, il suo rimarcare ed approfondire le distanze sociali ha anche valore simbolico ed ideologico, ma i suoi distinguo ci tornano utili per capire la profonda diversit e distanza tra i due periodi. Come gi detto, con gli anni Settanta finisce la fase espansiva del capitale europeo e subentra quella intensiva; una delle linee che possiamo considerare di netta demarcazione, che caratterizza ed accelera il passaggio di fase, lo shock petrolifero (1973). questo il periodo che registra il declino delle societ industriali tradizionali, vede lItalia accelerare le sue trasformazioni economiche e sociali e divenire paese dimmigrazione. Le politiche di stop, praticate dai paesi tradizionalmente importatori di forza-lavoro, che conseguono a queste trasformazioni, sono un eloquente indicatore del passaggio di fase (Pugliese 1991; Harris 2000). I primi studi sulle immigrazioni in Italia, difatti, registrano gli arrivi come conseguenti alla chiusura delle frontiere dei paesi europei, verso cui tradizionalmente si dirigevano i flussi migratori, e perci possiamo definirle migrazioni di ripiego (Perrone 1998). In questa fase si afferma un nuovo modello di sviluppo e si crea una diversificazione storica tra le nuove societ dominanti e le precedenti societ industriali. Con lavvento di questa fase si affaccia unaltra pagina di storia del mondo e delle migrazioni: per la prima volta nella storia dellumanit, le migrazioni vengono ad avere un ruolo contraddittorio, antagonista rispetto al nuovo ordine economico, sociale e politico. 3. Centro e periferia della produzione; ruolo dei lavoratori inferiorizzati Cos sopravvenuto di cos rivoluzionario da capovolgere il vecchio assetto? Mentre il capitalismo estensivo si espandeva, allargando la base produttiva (capitale variabile, ossia forza-lavoro), quello intensivo fonda il suo dominio sul capitale costante (tecnologia, labour saving). Perci le attuali societ dominanti, diversamente dalle precedenti societ industriali, non richiedono pi grandi quantit di forza-lavoro dequalificata. Di cosa ha bisogno il nuovo modello economico-sociale? I settori produttivi non necessitano pi di masse di lavoratori manifatturieri, da impiegare nella produzione centrale delleconomia, ma di forza-lavoro - priva di capacit contrattuale, altamente flessibile - da assumere nei segmenti marginali della produzione, distribuzione e servizi (Paci 1982). In societ i nuovi arrivati sono chiamati a sopperire alla mancanza o carenza di servizi pubblici (asilo, assistenza agli anziani, ecc.), allaumentata domanda di servizi privati, grazie anche ai costi pi accessibili (colf), allaumentato reddito ed ai modificati costumi (espansione della ristorazione, consumi musicali, mercatini etnici, ecc.) (Perrone 1998: 23-65; Pugliese 2000). Le condizioni di accesso degli immigrati a queste attivit sono sempre travagliate, di estrema difficolt, tali che il termine che meglio risponde alla reale condizione di lavoratori inferiorizzati, cio resi inferiori da un sistema economico, sociale e politico (Palidda 2000). un infernale meccanismo di divisione e di indebolimento della forza-lavoro dipendente; il nuovo esercito industriale di riserva da asservire alle nuove forme desistenza delleconomia periferica (Marx 1970; Mottura, Pugliese 1975; Paci 1982; Perrone 1985) ed alle nuove attivit metropolitane e marginali. Da un lato gli inclusi e dallaltro una popolazione - disumanizzata, inferiorizzata, grazie a norme e meccanismi sociali che la delineano come pericolosa e la tengono sotto costante minaccia di espulsione - da impiegare in attivit di servizio dei cittadini inclusi. Alla luce di questa impostazione assumono altra dimensione le condizioni di vita di queste quote crescenti di popolazione. Si delinea chiaramente come caratteristica distintiva delle migrazioni - nellattuale fase intensiva del capitale - leterna condizione di subalternit, di inferiorit permanente. Non pi funzionali al sistema e in continua eccedenza, i migranti vengono assorbiti secondo quote e tempi (stagionali, occasionali, temporanei) fortuiti, secondo le congiunture del mercato o gli umori di piazza. Ma caratteristica disarmante di questo osannato post-moderno che essi sono sistematicamente esclusi, respinti, braccati nei paesi dorigine e in quelli darrivo (Bauman 1999). Le norme sono decise da altri, tagliate su modelli che nulla hanno a che fare con la loro reale condizione; a loro vengono assegnati ruoli e funzioni a cui devono sottostare o vivere nella condizione di clandestinit, perch non contemplati dal sistema. Si passati dalla legittimazione delle conquiste coloniali - allorigine del diritto dellet moderna e del pensiero illuminista - alla situazione degli stati contemporanei, nei quali il prevalere delle spinte protezioniste ha prodotto un irrigidimento dei sistemi giuridici che negano, di fatto, luniversalit e la reciprocit del diritto di migrare, configurando la cittadinanza come veicolo di esclusione anzich di inclusione (Pepino 1999: 15). I sempre pi numerosi accordi di cooperazione tra paesi demigrazione e dimmigrazione, tendenti a ridurre gli spazi degli irregolari, assumono una luce di carattere poliziesco tra i contraenti. Si ascrive chiaramente nella sfera della negazione del diritto alla libert di movimento, del diritto umano inteso come diritto allemancipazione (Palidda 2000). Difatti, anche nei trattati internazionali, il riconoscimento del diritto di emigrare resta del tutto virtuale. Una economia globale - bisognosa di forza-lavoro a basso costo e perci priva di capacit contrattuale - deve segmentare il mercato e imbrigliare la forza lavoro locale. Alla rigidit della domanda deve rispondere una estrema flessibilit dellofferta di lavoro. Il sistema produttivo deve poter delocalizzare gli impianti in ogni dove ed in ogni momento; deve avere a disposizione sempre una nuova periferia (Paci 1982; Mottura, Pugliese 1975). Condizioni che pu procurarsele solo rendendo estremamente flessibile il mercato del lavoro ed introducendo leggi protezioniste e di esclusione. Perci la mobilit deve essere controllata e le condizioni di lavoro di esclusivo dominio aziendale. Mantenere la popolazione immigrata in condizioni di eterna subalternit, sotto costante esame e priva di diritti fa parte del ruolo che stato definito dalle esigenze del copione della divisione internazionale del lavoro. Piangere sui morti annegati nel Mediterraneo o partecipare la sofferenza dei disperati serve a salvarsi lanima, ma non a salvare i prossimi candidati alla morte. Sono morti della migrazione clandestina, ma la migrazione resa clandestina dalle leggi, non dal fatto in s, che

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appartiene ai diritti e alle aspettative delluomo. E la violazione dei diritti fondamentali delluomo che innesca la migrazione clandestina e rischi connessi. 4. Due mondi oppressi dallo stesso sistema. Una prospettiva possibile Norme e diritto non contemplano il nuovo migrante nelle sue reali condizioni sociali ed esistenziali. Per la societ lui non ci che , ci che la societ lo ha definito; come lo vorrebbe non come . Il migrante non esiste nelle suo essere, ma nella dimensione pretesa ed immaginata. Per questo il solco tra i due mondi tende ad approfondirsi. Si vivono due mondi che n dialogano n comunicano. Rende proprio bene se si dice: si parlano lingue diverse. Nelle societ che li ospita si parla, si legifera, ma non li si coinvolge. Gran parte di quanto li circonda tende a confinarli, ad emarginarli. Gli spazi per la comunicazione sono quasi inesistenti, spesso mediati da loro rappresentanti, con sempre meno potere dascolto presso le comunit, impossibilitati a rispondere alla domanda politica del quotidiano. Le prove che il migrante ha dovuto sopportare prima di arrivare sono state dure e selettive. Regolare o irregolare per lui non conta: volontariamente o involontariamente ha lasciato la sua terra, i suoi affetti, e vuole lasciarsi alle spalle anche la sua condizione. Quando egli arriva nel paese di destinazione una persona determinata e pronta a tutto; non esistono reali dissuasori che possano convincerlo a ritornare, nella prospettiva di un improbabile visto dingresso regolare; la criminalizzazione che media e societ fanno di lui approfondiscono il solco con lambiente di accoglienza e lo radicano nella convinzione dellincomunicabilit e perci a mantenere la sua invisibilit, la sua clandestinit. Spesso linteressato conosce il solo aeroporto di partenza e quello darrivo, o unicamente gli intermediari che hanno provveduto dalla partenza allarrivo; con loro ha impegnato tutto (presente e futuro, quello che ha e quello che dovr avere) e difficilmente potr far fronte ad impegni ed esposizione finanziaria, senza lagognato reddito che gli deve venire dal nuovo eden. Il ritorno in s impossibile, inoltre, in mancanza di status da esibire (auto, vestiti, regali, ecc.) significa rassegnarsi al fallimento o a morte sicura, spesso non solo sociale. La vera violenza non la partenza, ma la condizione di vita che si lascia alle spalle e che incombe sul suo quotidiano, sulla sua esistenza e sulle sue prospettive. Non si tratta della mancanza delle risorse di un giorno, di una settimana o di un anno, ma della mancanza di un futuro (Bauman 1999). Partire lunico sbocco alla vita, questo deve leggersi nella sua azione, nella sua scelta. E lo diventa ancor di pi per chi ha maggiori strumenti per leggere e capire la societ che lo circonda, per scolarizzati, soggetti pi dinamici, ecc. Sfugge al legislatore - come alla societ - che lazione umana sempre produttrice di senso. Che magari non quello di chi legge i fenomeni sociali, avendo una coscienza immersa in un altro essere. Saranno anche giovanissimi molti di questi immigrati, ma sono ben consapevoli di cosa lasciano. Per quanto riguarda ci che trovano, non hanno informazioni dirette o istituzionali, sono mediate e spesso false, ma loro convinzione che difficile trovare un inferno pari a quello che lasciano. Per i paesi di partenza e di arrivo, in quanto potenziale migranti, rientrano tra gli indesiderati, se non sono unit in quote stabilite. Essi sono numeri, unit che servono o non servono, indipendentemente dai loro interessi: i loro bisogni non entrano nel conto. 5. LItalia di fronte al nuovo fenomeno immigratorio La convinzione che il nostro fosse solo un paese demigrazione lascia lItalia priva di una legge organica sullimmigrazione fino al 1986; prima dallora il fenomeno era regolato solo da alcune norme risalenti al periodo fascista. Bisogna aspettare i primi anni 80 per vedere la ricerca ri-orientare i suoi interessi e trovare traccia del nuovo ruolo del nostro paese nello scacchiere internazionale. Il costante aumento di cittadini provenienti dai paesi extra-Ue fece velocemente divenire visibile il fenomeno e port le forze sociali e politiche a considerare la carente legislazione esistente che, a fronte di un fenomeno in veloce espansione, indusse gli organi pubblici ad affiancare alle poche disposizioni in vigore una serie di circolari, emanate soprattutto dai Ministeri dellInterno e del Lavoro. Sino ad allora leffettiva esigua presenza dimmigrati e la falsa immagine che il paese aveva di s non avevano posto molti problemi; inoltre la materia fu vista esclusivamente allinterno dellordine pubblico, cui rispondeva la normativa dettata dal T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza. Con lemanazione della prima legge organica in materia dimmigrazione - 943/86 - lItalia colm anche dei ritardi storici ed istituzionali, ma lasciava totalmente inevasa la normativa sui rifugiati, che si affacci, per la prima volta quattro anni dopo, con la legge 39/90, la quale, superando la riserva geografica (Art. 1), a cui sino ad allora il nostro paese aveva fatto ricorso, introduce lo status di rifugiato. Le carenze tuttavia presenti nella 39/90 non vengono superate nemmeno dalla successiva legge 40/98 che introduce la politica delle quote e vede la luce in un momento in cui levoluzione dellUnificazione europea con lintroduzione della libera circolazione allinterno della Comunit - pone allattenzione del legislatore la necessit dellomogeneit delle politiche migratorie europee e dei controlli delle frontiere che si spostano da quelle nazionali a quelle esterne alla Comunit europea (Pastore 1998; Collinson 1994: capp. IV e VII). Purtroppo dalla legge si stralciato tutta la parte inerente il diritto dasilo, con limpegno di farne una successiva legge organica. Ci comporta confusione tra la situazione di un richiedente asilo e quella di un immigrato regolare, il cosiddetto clandestino (Caritas 1999, Dossier inserto rifugiati: 2). Una commistione tra immigrati, rifugiati e richiedenti asilo che, unita alla tendenza ad interpretare in modo restrittivo la Convenzione di Ginevra (..) rischia di non garantire a tutti coloro che ne hanno diritto unadeguata protezione (idem: II). Cos, ancora oggi i programmi che regolano laccoglienza dei rifugiati, in mancanza della legge quadro, sono quelli della legge 39/90 e lart. 10, comma 3 della Costituzione italiana. Carenze che fanno sentire pesantemente le ricadute negative sugli interessati e che creano indicibili disagi a tutte le genti che si presentano alle nostre frontiere, dove trovano operatori e polizia di frontiera, armati di impunit, discrezionalit e

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privi delle dovute competenze - ed anche per questo destinati a calpestare i diritti internazionali e a consumare ingiustizie di ogni genere. C da aggiungere che la commissione italiana addetta alla concessione del riconoscimento dello status di rifugiato ha sempre avuto un comportamento fortemente restrittivo (Delle Donne 1995). Cos, coloro i quali non ottengono tale status finiscono nel grande calderone degli irregolari, sia per le ben note difficolt delleffettivo allontanamento dallItalia sia per la Convenzione di Ginevra che non permette il rimpatrio nel paese di provenienza dei perseguitati, dove rischierebbero la vita (idem). Abbiamo cos altre quote aggiuntive di irregolari sul territorio: degli irregolari per legge, possiamo definirli; che vanno ad aggiungersi a tutti coloro i quali non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno o per qualche motivo ne hanno perduto il diritto, pur svolgendo un onesto e regolare lavoro. 6. La Puglia porta dOriente La Puglia, come tutto il Sud dItalia, stata per lungo tempo, sin dallarrivo dei primi immigrati, terra di passaggio, ed ha assistito al fenomeno di re-immigrazione verso il centro-nord, dove i cittadini non italiani trova(va)no lavoro nelle piccole industrie o in settori maggiormente garantiti, meglio remunerati e con maggiori prospettive di vita. Un fenomeno che ha vissuto una pi alta frequenza a cavallo delle diverse leggi (accompagnate da opportune regolarizzazioni) che hanno permesso a queste quote di lavoratori (irregolari per legge) di emergere dai lavori in nero e fuori contratto ed iniziare il lungo itinerario della cittadinanza. Solo una parte esigua della popolazione qui arrivata si stabilizzata in attivit agricole, marginali e del settore dei servizi privati (Calvanese, Pugliese 1991; Mottura, Pinto 1996; Pugliese 1997; Perrone 1998). La dinamica dei flussi ci induce a parlare di due ondate migratorie: una degli anni 80 e laltra dei primi anni 90. I primi ad arrivare sono i marocchini, per ultima la comunit dei somali, che arriva nel 1992 (data della crisi politica in quel paese) per re-immigrare, seguendo la classica logica della catena migratoria, ed andare a dislocarsi l dove cera una presenza pi consistente della comunit. Il periodo di svolta il 91, con larrivo degli albanesi e con il ruolo centrale che lAlbania va ad assumere nello scenario del Mediterraneo. LAlbania diviene, da quel momento e in crescendo, il punto di riferimento per ogni genere di traffico legale o illegale che si viene a creare sia per mancanza o carenze di leggi nazionali e/o internazionali sia per la situazione politica interna al paese delle aquile (Perrone 1996; Barjaba 1997). Da allora i flussi in entrata sono continuati ininterrottamente, seguendo la dinamica del ri-allocamento sul territorio, secondo le esigenze del mercato del lavoro, del grado di accoglienza e dellofferta di servizi del territorio. Attualmente i flussi pi consistenti sinsediano dal canale dOtranto, provenienti principalmente dallAlbania, dalla Turchia (kurdi) e dalla ex Jugoslavia. Quindi, il punto di passaggio lAlbania; i paesi di provenienza sono tanti, ma il punto di riferimento, da cui partono o ripartono, sono i porti di Valona e Durazzo, secondo dinamiche - affinatesi nel tempo - e in conseguenza di situazioni congiunturali diverse (Perrone 1996). Ad arrivare, quindi, non solo popolazione spinta da motivi economici, ma anche (o principalmente) da motivi politici o daltra natura, come la commercializzazione di armi e/o droga o altri traffici illeciti. Ci troviamo di fronte ad una situazione complessa e che facilmente si presta a strumentalizzazioni. Come quelle che si sono succedute e che hanno disegnato una realt in tinte fosche, spesso ben distante dal reale. Da un lato la predetta carenza legislativa permette lambiguit tra migrazione volontaria ed involontaria (o economica e politica) e dallaltro la commistione dei traffici permette ambigui, inopportuni ed abusivi binomi tra migrazione e quantaltro si consuma tra le due sponde. La conclusione che aumentato il grado dintolleranza sul territorio nei confronti del fenomeno immigratorio; a farne le spese principalmente il popolo albanese - sistematicamente criminalizzato con il solito metodo della generalizzazione - e, attraverso esso, tutti gli immigrati. 7. Emergenza (reale o immaginata) e ruolo dei media I mezzi dinformazione, in questo quadro, hanno assunto un ruolo di tutto rispetto. Enfatizzano ogni episodio, lo sbattono in prima pagina e lo presentano come emergenza, mentre lo abbinano sistematicamente ai mali del secolo (criminalit, devianza, droga). Cos il fenomeno migratorio, da evento strutturale, diventato emergenza nazionale. Levocata emergenza suscita apprensione, crea allarme sociale e il binomio clandestino-invasione inferisce con la storica paura delle invasioni barbariche, con i mali oscuri, con i pericoli dellincognito, dellincontrollabile. La risposta repressiva dello stato sembra arrivare a protezione del cittadino minacciato, una logica conseguenza. Ci, purtroppo, ha innescato - in un preoccupante crescendo - lacerazioni ed allarmi sociali. E un copione recitato un po ovunque, ma in Puglia un vero e proprio tormentone a cui si quotidianamente sottoposti; le punte massime arrivano in estate, sia a causa dellaumento degli arrivi - agevolati dalle favorevoli condizioni climatiche - sia della chiusura del parlamento che sottrae la materia prima dellinformazione italiana. Lo scenario completato dai toni allarmistici, tesi a catturare lattenzione e a sorprendere; cos il quotidiano mediatico arricchisce quotidianamente il lessico marinaro: flussi, ondate, maree. In Italia, ormai, le realt sono due: una mass-mediale e laltra della comunit scientifica. La prima, con puntate episodiche, con un linguaggio stereotipato, etnocentrico e connotativo (extracomunitari, clandestino, ecc.) ha costruito (o contribuito a costruire) il pregiudizio anti-immigrati e ha portato a far declinare limmagine dellimmigrato come figura positiva; la seconda, tutta riversa su se stessa e incapace a permeare la societ, assiste impotente a quanto va sedimentandosi nel paese.

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Un esercizio che viene pi facile con leggi inadeguate o di chiusura e con arrivi quotidiani di profughi che per i media sono solo e sempre clandestini. Sembra uno scenario da guerra; gli arrivi, in queste condizioni, altro non potranno che creare allarme sociale, in assenza di politiche adeguate e con un copione recitato sino allossessione. Il Sud-Est unarea geopolitica in profondo mutamento e i flussi in arrivo sono la realt del Mediterraneo allo specchio; oggi i flussi migratori provengono dallAlbania, dal Kossovo e dal Kurdistan, aree sconvolte dalle politiche internazionali, ieri dalla Bosnia e domani chiss da quali altre zone. Bisogna prendere atto che la Puglia unarea naturale eletta a ponte verso il ricco Occidente. E invece di adeguare leggi (nazionali ed europee) e servizi, si preferisce parlare di emergenza e in suo nome giustificare iniziative-tampone che nulla spostano. Il flusso, ormai strutturale, dal 97 ad oggi, ha coinvolto mediamente 15mila persone ogni anno (La Repubblica 23.01.01); per nessuna ragione pu afferire alla sfera dellemergenza, sia perch non ha nulla dimprevedibile, demergenziale (Censis, 1999) sia perch di questa popolazione si conoscono cause despulsione e dattrazione, oltre a progetti ed itinerari migratori. Questi flussi, nella loro dinamica e composizione, ci costringono invece a chiederci: chi sono questi nuovi dannati del Mediterraneo? Non sono i kurdi senza stato? Non sono i cittadini afro-asiatici da secoli depredati dal civile Occidente? Non giungono dallEst? Da quellimpero del male dove - dopo la caduta del Muro - stato imposto un capitalismo selvaggio che ha messo sul lastrico milioni di persone? Quale altro destino possono avere quelle migliaia di donne che non hanno altro da scambiare se non il loro corpo e che con troppa superficialit sono ridotte unicamente alla sfera morale? Come si spiega limprovvisa scoperta di questa nuova tendenza emergenziale delle nuove schiavit? Ancora una volta unaltra emergenza, ancora una volta divergenze tra emergenzialisti e studiosi del fenomeno. Gli studi in materia ci dicono di una realt molto diversificata, tuttaltro che omologata e riducibile alla sola sfera della nuova schiavit (pur ipotizzabile in piccole dimensioni) (Carchedi, Picciolini, Mottura, Campani 2000). Nasce una domanda: come si crede di far fronte a questa situazione, continuando a parlare di una inesistente emergenza e inventandosene sempre di nuove? E del tutto evidente che finch lEuropa non avr una politica sul Mediterraneo a questi paesi non resta che mandare i suoi dannati in Europa. Queste verit storiche tuttal pi ci invitano a vedere criticamente gli accordi di Shengen e di Maastricht. Il governo ha varato una legge (40/98) che lo impegna (di fatto) a chiudere le frontiere, al di l di un modesto numero di manodopera (dequalificata) richiesta dal mercato. Questa chiusura per conto terzi, chiestoci dagli accordi di Shengen, configge con la vocazione naturale, geografica e politica del nostro paese nel Mediterraneo. LItalia un ponte verso il nord Europa, gli Usa o il Canada, ma gli accordi internazionali le disconoscono questo ruolo; la vogliono proiettata verso il nord, non verso il Sud del mondo. Si affacciano due concezioni dEuropa, una immersa nel Mediterraneo ed una verso il Nord (Cassano 1996; Latouche 2000). Nella disputa politica, la parola chiave sembra essere legalit, tutti la evocano. Se effettivamente si vuole perseguire una politica della legalit, come da pi parti si afferma, si dichiari la Puglia zona di frontiera e la si attrezzi adeguatamente. La legge approvata e vigente (40/98) non era lunica possibile, n sul piano di principio n su quello dei vincoli internazionali. La richiesta omogeneit a livello internazionale pone dei vincoli politici e non giuridici e come tali devono essere oggetto di negoziazione. La politica europea non immodificabile, ma una realt dinamica, con il concorso di tutti gli stati. Bisogna leggere questa legge in tutte le sue caratteristiche: positiva per gli aspetti inclusi, di coloro che sono inclusi, dentro la fortezza Europa, ma restrittiva sul piano dellinclusione (Pepino 1999). Come abbiamo avuto modo di sperimentare (Quarta 2000) i vincoli internazionali rischiano di divenire un alibi alle politiche restrittive dellEuropa nel suo complesso, con la copertura reciproca dei diversi stati. Se si vuole effettivamente ridurre larea dirregolarit bisogna tener presente la fase che il fenomeno vive in Italia e porre maggiore attenzione ai risultati della ricerca. Insistere sulle presunte invasioni serve certamente a creare allarme sociale (da sfruttare ideologicamente), ma non ha basi scientifiche. Diversamente i flussi, col tempo, tendono a auto-regolarizzarsi, come dimostra anche lultimo rapporto Caritas. Ci significa che bisogna governare il fenomeno, a partire da una conoscenza pi approfondita e da ideologie che lo soffocano. Con lintroduzione delle quote (legge 40/98) si insinuata, di fatto, una separazione: da una parte gli immigrati regolari (i buoni) e dallaltro gli irregolare (i cattivi). Una dicotomia che regge bene la retorica e la scena, ma non la realt. Separare nettamente, come fa la legge, regolari da irregolari, pura finzione. Molti settori della nostra economia e della societ sono retti da irregolari, solo perch la legge ha deciso che tali debbano essere, non consentendo loro di regolarizzarsi. Chi dovesse entrare in Italia, con permesso di soggiorno turistico, e trovasse lavoro, non gli sarebbe consentito di regolarizzarsi, nemmeno su richiesta del datore di lavoro, come succede (Pepino 2000: 130). O regolare o irregolare, fin dallentrata in Italia. Pretendere che il soggetto ritorni nel suo paese per poi rientrare da regolare in Italia con le quote programmate - come prevede la legge 40 - significa davvero disconoscere leffettiva situazione sociale ed esistenziale degli immigrati; con tutta la buona volont che si voglia presupporre, il migrante pressappoco impossibilitato ad una simile azione. Divengono perci illegali per legge e consegnati ad un circuito invisibile, incontrollabile, e come tale in balia del gioco ideologico che intorno alla illegalit si scatena. In Italia le posizioni esistenti in materia di regolarizzazione sono molto distanti tra loro. Oscillano da quelle liberiste (Eurispes 1999) e solidaristiche (Briguglio 1998), a quelle di matrice xenofoba (lega e dintorni), a quelle revisioniste fautori e difensori della 40/98 in versione inclusiva - formate da coloro i quali assumono a punto di riferimento la legge e ne auspicano un possibile miglioramento (Ferrarotti 1987; Perrone 1990; Calvanese, Pugliese 1991; Macioti, Pugliese 1991; Pepino 1999). Linvito di queste posizioni revisioniste di diffidare dagli atteggiamenti agiografici (di burocrati e governativi) e di tenere in maggior conto il rapporto tra domanda effettiva del mercato del lavoro e quote programmate. Se nella determinazione delle quote da immettere annualmente sul mercato si gioca al ribasso - magari

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LUNGA VITA A SANCHO PANZA IMMIGRATI CLANDESTINI. LE POLITICHE DEGLI ALTRI, LE POLITICHE NOSTRE, LE POLITICHE UMANE E LUNGIMIRANTI - ANNO X - N. 2-3 SETTEMBRE 2001

prigionieri del dissenso piazzaiolo e xenofobo -, facilmente prevedibile che la differenza tra domanda del mercato e quote immesse sia colmata dal mercato clandestino (Pepino 1999: 18-21). Si tratta quindi di avere confronti aperti e privi di pregiudizi, che assumano a metro di riferimento la condizione degli interessati, cos com e non come la si vorrebbe. Bisogna perci - oltre che ottimizzare la previsione delle quote - rendere applicabile la nuova normativa, rimovendo la serie di ostacoli che si sono disseminati sul terreno. Creare le liste di attesa e far finta di non sapere che in molti paesi resteranno solo virtuali oppure (in altri) ostaggio di vari gruppi di interesse e/o malavitosi, significa spingere i potenziali aventi diritto allillegalit e al finanziamento della criminalit organizzata (dai traghettatori ai vari funzionari). Cos dicasi dei visti di ingresso, preda di gruppi organizzati, in ogni paese in cui siano richiesti. Riferimenti bibliografici
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