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Il Vizio

Parole giustapposte per dire qualcosa

Anno 1 N0

Hanno collaborato: Victor Attilio Campagna Michele Caponi - Lucia Di Giovanni - Michela Lillo - Ivan Malara - Natalia Marraffini Tommaso Meani - Davide Paone - Laura Piccina - Mattia Salvia - Luca SantAmbrogio - Bud & Breakfast Spencer - Federica Tosadori - Gloria Vanucci - Orlando Vuono Illustrazioni di: Matteo Mazzucchi - Helena Pinillos - Yuri Spooka Ludovica Svea Fondatori: Orlando Vuono - Victor Attilio Campagna - Tommaso Meani Responsabile del progetto: Tommaso Meani Contatti: vizio.redazione@gmail.com Stampa: Jona Srl Via Enrico De Nicola 2 A/B 20037 Paderno Dugnano (MI) Tiratura: 500 copie Tale pubblicazione stata stampata con il contributo dellUniversit derivante dai fondi per le attivit culturali e sociali.

Il Vizio

nasce con liperbolica ambizione di diventare il giornale letterario degli studenti della Statale: nessun anelito giornalistico o gossipparo, nessun editoriale sulla manovra economica o sulla riforma elettorale: solo letteratura, o, almeno, qualcosa che le assomigli. Diciamocelo onestamente: pubblicare una rivista cartacea nel 2012 costituisce un atto anacronistico. Sarebbe stato originale due o tre secoli fa, oggi certamente non lo . Tanti, troppi hanno pubblicato per il gusto di pubblicare, hanno scritto per il gusto di sentirsi scrittori, hanno versificato per il gusto di sentirsi poeti. Troppi. A noi non interessa provare lebbrezza di vedere le nostre parole impresse su della cellulosa. A noi interessa comunicare qualcosa: la letteratura larte che abbiamo deciso di usare per esprimerci; la rivista solo uno strumento per diffondere questarte, per condividere il nostro (presunto) talento. Se ci renderemo conto, dialogando con voi che impiegate un po del vostro tempo per leggerci, di non essere abbastanza interessanti, di non essere abbastanza maturi da riuscire a comunicare emozioni, idee, spunti capaci di stimolarvi, b, in quel caso non avr alcun senso sprecare risorse per pubblicare una rivista, in quel caso smetterete di vedere Il Vizio aggirarsi tra le mani di qualche studente. Ci sono varie congetture che provano a giustificare la scelta del nome. Il lettore potr sceglierne una (o anche pi di una) tra le seguenti: Larte non un bisogno naturale delluomo, il quale potrebbe flemmaticamente limitarsi a mangiare, bere, copulare, estromettere feci. Larte, per, d allesistenza un qualcosa in pi, proprio come un vizio riesce a rendere la vita meno grigia e pesante: la differenza che larte non risulta cancerogena come il fumo, avversa al fegato come lalcol, antieconomica come il gioco dazzardo ecc. ecc. Si spera che la lettura del Vizio diventi il nuovo, scabroso, inestirpabile vizio degli studenti: che venga letto nei tram, nelle chiese sconsacrate, nei treni (non dai macchinisti, anche se improbabile che ci siano studenti macchinisti), nei bagni pubblici e privati, negli aerei (non dagli eventuali piloti-studenti), nei McDonald, nei cimiteri abbandonati, nelle discoteche, nelle auto (non dagli autisti), nelle seggiovie. Vogliamo rifondare un concetto antico, quello di letteratura come otium. Nella Roma arcaica, che viveva subalterna culturalmente alla Grecia, la letteratura, intesa come otium, contrapposta e sottomessa al negotium, cio al commercio, alla vita pubblica, alla politica. Possiamo dire che Roma matur e divenne quella che conosciamo soltanto quando comprese che questo otium, questo vizio, era un modo per crearsi una propria, autentica identit: quando comprese, insomma, che non poteva bastare dedicarsi al negotium.

La gallina di Tortaieu
di Ivan Malara
Colombo! Colombo!, squill una voce da un posto confuso, lontano. Colombo si sentiva tutto intorpidito. La sua mente non sapeva se riprendere il controllo degli arti o continuare a dirigere la regia di fantasie avvincenti. Decise di fare entrambe le cose, e mentre il corpo si muoveva assumendo pose pugnaci e buffe allo stesso tempo, nella sua testa echeggiavano parole cariche di pathos guerriero. Ghe semo, truppe!, sognava Colombo, Gerusalemme sar liberata.... Ma non faceva in tempo a concludere lincitamento, che una voce, da chi sa dove, lo interrompeva. Colombo! Colombo!, e unespressione dangoscia si dipinse sul volto del sognatore molestato, ma era unespressione senza occhi, ancora rivolti al sogno. Privo di sguardo, quel viso affannato, che con slancio donchisciottiano combatteva contro lesilio forzato dalle proprie fantasie, risultava in realt abbastanza ridicolo. Colombo! Colombo!, insisteva la voce. Dimprovviso Colombo si arrest. Unidea gli balen per la testa. Oh, belin! Dio che me ciama!, pens svegliandosi di botto. Spalanc gli occhi, e avvolto da una abbacinante luce aurea gli apparve Tortaieu, il suo fido assistente e consigliere, insomma, una sorta di lacch viziato, un portaborse del Rinascimento. Pingue, rotondo, pelato e con una forte alitosi. Pareva un imbuto: gambe fini fini, talmente esili che non avresti mai detto fossero in grado di reggere un pancione cos grasso. Eppure era fatto cos. Egli era la prova vivente che anche le leggi della fisica in fondo in fondo non sono uguali per tutti. Ah!, fece Colombo balzando allindietro, stupito e schifato. Non ci mise molto a capire che quella figura opulenta non poteva certo corrispondere al suo glorioso e magnificente Dio, e che egli si trovava ancora a bordo della nave in rotta verso il Gran Khan. Colombo! Colombo! Tortaieu, belin! Che vuoi? Le uova..., disse Tortaieu senza aggiungere altro. Le uova?, chiese Colombo stranito. S, Colombo, i marinai minacciano lammutinamento delle uova Che...? S, dicono che non vogliono pi cucinarmi le uova Da quando abbiamo una gallina a bordo? Da sempre, Colombo disse Tortaieu come se si trattasse di qualcosa di noto e risaputo, ce lho portata io, non ti ricordi? Ci fu un minuto di silenzio. Colombo non riusciva a comprendere fino in fondo. Infine anche il suo spirito risoluto decise di svegliarsi, e gli occhi

dellammiraglio, rimasti finora appannati da una leggera bruma onirica, si accesero adesso di una luce forte, presuntuosa, sicura, tipica degli animi ottusi. Ecco Colombo in tutto il suo stolido splendore. Veramente non mi ricordo disse lammiraglio, ma lei come sta? Lei chi? chiese Tortaieu. Lei chi? gli fece eco Colombo, la gallina, belinun! Lei sta bene... cio, sta come deve stare una gallina E il suo culo? Il suo culo? ripet stavolta Tortaieu. S, dico, il suo culo ha ammutinato? No, perdio, il suo culo caca ancora uova a volont! disse entusiasta luomo imbuto, raggiante in viso. Forse perch ancora non ti ha visto in faccia si lasci sfuggire Colombo con un sorrisetto sarcastico sulle labbra. Come? si incurios limbuto, che non aveva sinceramente compreso. Se avesse u c comme a teu faccia, aviiva finn-a verghgna a cag! url Colombo ed esplose in una grassa risata. Tortaieu non cap quel linguaggio volgare, ma come sempre e ormai in modo istintivo accondiscese ridendo anche lui e scuotendo la testa come a dire di s, che era tutto vero. Rientrava nei suoi compiti anche la mansione di lecchino, molto in voga tra i subordinati e i fanatici di tutte le epoche. Luomo imbuto non disdegnava questa mansione, anzi, ci metteva tutto lo zelo che aveva nelladempierla. A lui in fondo bastava la sua quotidiana razione di cibo, e per ottenerla avrebbe fatto qualsiasi cosa. Tortaieu riprese a dire Colombo con tono solenne e allo stesso tempo eccitato, stai tranquillo, per lamor di Dio. Quando giungeremo alle Indie troverai pietanze pi buone con le quali saziarti, e vedrai che presto arriveremo. E poi in Cina il Gran Cane ci ringrazier per averlo convertito al vero Dio, vedrai! Non aspetta che questo, lho letto, lo scrive anche Marco Polo. Ci ringrazier e organizzer pranzi luculliani ai quali tu ed io ci abbufferemo. Ma queste sono solo misere ricompense temporali. Pensaci, Tortaieu, pensaci: noi siamo i nuovi apostoli di Dio, spargeremo il Verbo, e a gloria della Santissima Trinit e della santa religione cristiana noi evangelizzeremo quegli stupidi empi cinesi. Torneremo a casa e non ci saranno proci ad aspettarci, ma parate in nostro onore organizzate da Donna Isabella la cattolica, e tutti i cristiani si inchineranno di fronte a noi... E poi loro, Tortaieu, l loro

nasce! Troveremo le sorgenti doro e, belin!, saremo ricchi, ricchi! Potremo finanziare una nuova crociata per liberare finalmente il Santo Sepolcro e... e... pensaci, Tortaieu, pensaci! S disse limbuto abbastanza confuso e abbacchiato, ma chi ci pensa alla mia gallina? Alle mie uova? Che centra la gallina? rispose severo Colombo, adesso basta con questa storia. Io ti parlo di Dio nostro Signore, della Trinit, e tu insisti ancora con questa maledetta gallina? S, ma anche la gallina un dono di Dio, e la mia lo in modo particolare: fa delle uova sublimi, cos saporite da mandarti in estasi! Credimi Colombo, lo giuro su santa Teresa Ma belin! pur sempre una gallina, non poi cos essenziale... E se la via di ponente ci portasse da unaltra parte? lo interruppe Tortaieu. I marinai gi sospettano qualcosa. Credono che tu ti sia sbagliato e anche di tanto, che non arriveremo mai in Oriente passando da Occidente, e che presto lorizzonte finir e noi cascheremo gi. Allora sar la fine. Altri dicono che potremmo ritrovarci presso terre mai viste, mostruose, abitate da animali giganti, brutti, scuri e senza piume, che mangiano di tutto, e se hanno fame non esitano a mangiarsi anche fra di loro ... Favole! sentenzi Colombo terrorizzato. E se non si trattasse solo di favole? Io ho paura, Colombo, e tutta la ciurma nutre le mie stesse sensazioni. Sei solo tu quello che continua a sognare come se niente fosse. Forse non ti rendi conto della gravit della situazione. Lammutinamento delle uova solo il primo passo, presto non sarai pi tu a decidere che fare, dove andare, quale rotta seguire... E la mia gallina, la mia gallina? Poveretta! Forse i marinai la uccideranno, o l, dove capiteremo, quei mostri bipedi e implumi se la inghiottiranno in un solo boccone... E io, io? Povero me! Io cosa manger allora? Le provviste stanno finendo e tu lo sai che non vado matto per il pesce, soprattutto per quello che si pesca da queste parti... E poi noi, tutti noi, che fine faremo? Torniamo indietro! Torniamo indietro prima che sia troppo tardi! Se la gallina morisse sarebbe la fine, la fine! Colombo pareva titubante. Non aveva mai pensato a delle conseguenze tanto catastrofiche. E quella gallina, quella gallina aveva cominciato ad assillarlo. Sincup, cominci a sudare freddo pensando che ogni suo progetto si sarebbe sgretolato. Forse i suoi erano solo miseri castelli in aria? Forse... ma no, no, non poteva essere. Con violenza scacci questo pensiero

e finalmente si riebbe. Dio ci protegger disse lammiraglio riacquistando sicurezza. E poi sarei io il sognatore, Tortaieu? Rifletti e dimmi se quello di cui mi parli non il frutto di una stupida immaginazione, di quella tipica immaginazione che opprime il cuore dei pusillanimi. E tu vorresti farmi tornare indietro solo per una stupida gallina? Beh... riflett Tortaieu, e stava per rimettersi a parlare della sua gallina, della squisitezza di quelle uova, della fame, dellinedia, ecc., ecc... quando dimprovviso si sentirono urla di gioia e violenti schiamazzi sopraggiungere da fuori la stanza. Shh! ordin svelto Colombo. Sento qualcosa Era il 12 ottobre del 1492. La Nia, la Pinta e la Santa Maria stavano per attraccare sulle coste di quello che si sarebbe poi rivelato il Nuovo Mondo, e le urla che Colombo percep erano quelle dei marinai felici di rivedere finalmente la terra. Il resto della storia lo sapete gi: Colombo ci mise un po a capire che non si trovava nelle Indie, ma questo non lo scoraggi. In quelle terre inesplorate potevano nascondersi immense quantit doro e anche il progetto di evangelizzazione si sarebbe potuto tranquillamente estendere a suon di requerimiento a quegli animali divenuti uomini solo nel 1537 grazie a papa Paolo III. E dopo, che fine fece Colombo? Sinceramente non ricordo. So per certo che questo Don Chisciotte ante litteram non si liber delle proprie illusioni neanche sul letto di morte. Spir sognando crociate, convinto di aver compiuto il volere di Dio scoprendo lAmerica. Lultimo dei suoi pensieri, per, lo

rivolse a Tortaieu. Dovera finito? Di punto in bianco era come sparito, scomparso. Che fine aveva fatto quelluomo che lo assill tanto con la sua gallina? Ripens a quel giorno in cui Tortaieu lo svegli e tent di convincerlo a tornare indietro. Forse, si disse Colombo, quellimbuto era semplicemente lemissario di Belzeb. Se gli avessi dato ascolto, se fossi tornato indietro, continuava a pensare Colombo ormai in punto di morte, quelle bellissime terre sarebbero ancora occupate da barbari miscredenti e cannibali. Come i santi, pens infine lammiraglio, nemmeno io ho ceduto alle tentazioni. La storia avrebbe potuto veramente prendere un corso diverso, forse migliore. Ma questo Colombo non lo intu. Dopo tutto, cosa pu una gallina in confronto a Dio?

Linterrogatorio
di Italo Marotti
Eravamo noi due. Uno di fronte allaltra. Da ore. La stanza angusta. Una luce, troppo forte, la illuminava. Parla! sbraitai. Anche se forse non era il termine pi esatto: era muta. Parla, bastarda! Niente da fare. Non un suono, non un movimento. Prendeva tempo. Siamo tu ed io, ho tutto il tempo del mondo parlerai, stronza! La insultavo. Linsulto offende, loffesa umilia e lumiliazione piega anche le pi rigide volont. Ma lei come impietrita non reagiva. La colpii. Un pugno secco. Non fiat. Parlerai sbuffai stizzito. Mi ero fatto pi male io di quanto se ne fosse fatto lei. Mi girai, dandole le spalle. Cos che non potesse sapere quale strumento di tortura stavo scegliendo. Mi girai di nuovo, ma lentamente, con un taglia carte ben saldo nella mano destra, dietro la schiena, ancora celato al suo sguardo. Le camminai attorno. Le ero dietro, non mi vedeva, sentiva solo la mia voce. Sai cosa voglio Le passai il metallo sulla sua candida pelle, per farle capire chi che comandava: Qui non stiamo scherzando le sussurrai a breve distanza. Anche lei non scherzava. La lama strisciava contro la superficie ruvida producendo un rumore orribile. Confesserai bastarda! Anche il taglia carte non era servito a nulla. La pazienza ha un limite. Lolio di ricino sarebbe stato inutile. Il manganello una soluzione gi praticata senza successo. Era il momento delle maniere forti. Ultima possibilit: parla o ti faccio a pezzi, il tono freddo, glaciale. Se le maniere brute non lavevano convinta, non restava che una soluzione finale: o avrebbe parlato o avrebbe cessato di esistere. La presi per i lembi e iniziai a tirare. Un piccolo spasmo, come qualcosa che si rompe. Stava forse funzionando? TU RU DURU - TU RU DURU - TU TU RU DURU - TU RU DURU - TU Pronto? risposi al telefono. Ciao Marco Tra quanto? Va bene, grazie. Mi preparo e arrivo. Riattaccai. Accesi la luce della stanza. Presi le scarpe da sotto il letto e me le allacciai. Andai in bagno, una sciacquata ai denti, dopo di che tornai in camera. Feci un breve elenco mentale: cellulare, portafogli, cosa manca? Le chiavi! Cercai sulla scrivania. La pagina bianca ancora l, antica nemica. La fissai con disprezzo. Per questa volta ti andata bene sar per la prossima. Ho tutto il tempo del mondo, io. Ci rivedremo presto nel frattempo rifletti. Spensi le luci nella stanza e mi chiusi la porta alle spalle. Rimasta sola al buio la pagina bianca si mise a piangere.

Ogni papiro un corpo di latte


di Lucrezia Silenti
Il papirologo B.D. dellinsigne facolt di Egittologia di Chartre sur Seine era da qualche tempo caduto in disgrazia per via di una sua passione che stava rasentando lo stato patologico: il collezionismo sistematico e insaziabile di manoscritti e libri antichi. Si risolse pertanto a piegare il suo ingegno brillante allumile mestiere di insegnante privato di greco e latino per gli studenti liceali. Il professor B.D. era un uomo sulla trentina, di bellaspetto e, nonostante la sua giovane et, si era gi imposto nel mondo accademico con numerose e acute pubblicazioni. Sembrava che il presente lo disgustasse a tal punto da rifiutare ogni ritrovato della modernit. Il suo guardaroba, curato maniacalmente con lattenzione del collezionista, non contemplava abiti che andassero oltre gli anni 40. Elegante, nel suo metro e ottantacinque, slanciato. I capelli neri ricadevano morbidi sulle spalle, gli occhi penetranti si appuntavano sui suoi interlocutori, mal celando il disprezzo e una certa crudelt che costituivano a un tempo la sua aura. La barba sfatta conferiva una ieraticit indistinta alle sue parole e le frequenti pause che soleva prendere tradivano un tacito rimprovero. Alle 15 giunse Marina, studentessa della prima liceo classico. Si pales alla porta, i lunghi capelli castani le adornavano il viso niveo e i modi gentili denunciavano cure borghesi. Le labbra, soprattutto il superiore, si corrugavano in unespressione triste e allo stesso tempo impertinente. Era la prima volta che si presentava a casa del professore. Questi, vedendola sulla soglia, percep un fremito corrergli per la schiena e, non appena lebbe invitata con una mano allargata ad entrare e lebbe contemplata da dietro, sent il suo cazzo irrigidirsi teso nei pantaloni. Qual il futuro di oro? chiedeva gravemente B.D., una litania di aoristi rompeva il silenzio lanato dellappartamento ligneo. La timidezza di lei che appena accennava, forse con compiaciuta affettazione, ad articolare lidioma appiccicato alla saliva glielo manteneva drizzato. Sebbene si muovesse sulla sedia, avvert a un tratto che era sul punto di esplodere. Improvvisamente accarezz con la mano le dita affusolate di Marina. Ella voleva, non voleva, si schermiva... Ritrasse le dita, lusingata, simulando unindignazione che lo fece impazzire. Le guance arrossate diedero a B.D. lillusione che quel viso ancora acerbo fosse in preda al pudore e alla vergogna. Le si avvicin, consapevole delle conseguenze, e le baci il collo candido e azzurrato dalle vene che scorrevano veloci sotto la pelle. Marina lo respinse violentemente con uno schiaffo in pieno viso. Fu allora che il papirologo si sent mancare dalleccitazione e non seppe trattenersi. La sollev con violenza dalla sedia, ricambiando lo schiaffo; la spinse contro la scrivania, appoggiandole addosso il suo membro allestremo della tensione. Con una mano le afferr con disprezzo i lunghi capelli e le abbass la testa fino a farle aderire il busto al tavolo. Di sotto il quaderno si macchiava di lacrime e le lettere si dilatavano indistinte, perdendo ogni significanza semiotica. Il suo seno poggiava sulle penne lasciate sul libro. B.D continuava a premere sempre di pi sulla sua nuca mentre, con laltra mano, le sollev la gonna, scoprendo le sue gambe compatte che terminavano nelle due bande di pizzo delle autoreggenti, appena sotto la rotondit delineata dal suo corpo piegato. Solo un leggero lembo di stoffa triangolare le discriminava, tagliandole al centro, due convesse mezzelune di un pallore di fiaba. B.D. non si ingannava: lingerie da zoccola. Decise di strapparle anche quella floscia forma geometrica. Un clangore avvert Marina, gemente, che si era sfilato la pesante cintura di cuoio. Continuava a stingerle i capelli, mentre pieg in due il laccio coriaceo. La colp con violenza mentre Marina premeva, nellestrema difesa, il bacino contro il bordo del tavolo. La cintura disegnava ampi archi per poi abbattersi, inesorabile, sulla sua pelle che si tingeva di rosso e si copriva di lunghi segni violacei. Le soffoc le grida in gola, serrandole prontamente la bocca con la mano mentre senza piet continuava a frustarla. Marina sentiva incendiarsi la pelle e a ogni colpo aprirsi una lacerazione. B.D. era al

colmo delleccitazione al vedere i suoi segni diacritici, inchiostro sanguigno, sul corpo candido di quel papiro circolare. Gli era caduto locchio sul burro di cacao in latta rotonda che giaceva dimenticato nellastuccio di Marina. Lo afferr improvvisamente, con rabbia, e vi affond lindice e il medio, traendone una congrua quantit con cui, in un estremo gesto di piet residua, le premette con forza tra le natiche. Marina si contraeva, catafratta, ma infine ogni resistenza fu vana quando le immerse in parte le dita. Subito le sostitu con la punta rigonfia del membro. Era grosso il suo cazzo, percorso da nervature, per nulla elegante, una pesantezza barbarica lo terminava, aggettando. B.D. lo spinse in tutta la sua lunghezza, mentre Marina stringeva forte nello spasmo i suoi nervi e digrignava i denti serrati. Quando la vide ormai rassegnata, le lasci la presa dai capelli e le afferr entrambi i fianchi, modulando il suo corpo caldo ai suoi colpi violenti, sempre pi rapidi, con intervalli sempre pi brevi, fino allestasi. Lo ritrasse piano, trascinando con esso i rivoli biancastri e densi che gocciolavano gi. La sollev dal tavolo esangue e la condusse, mentre ancora tremava, nella camera da letto. Entrarono in una grande stanza buia in cui tutto era di legno scuro: al centro un letto massiccio e alto la cui testiera, intarsiata di creature mostruose che emergevano eburnee dalla materia, poggiava contro la parete. Libri correvano sparsi sui vecchi mobili. Incombevano, malgrado lampiezza dellambiente, soffocanti le pareti laccate di un indefinito colore purpureo. Cosa assai singolare nelleconomia dello spazio era lassenza assoluta di una finestra. Dietro la testiera del letto un arazzo copriva lintera parete. Vi figurava al centro un dioniso languido, avvolto in un mantello nero trapunto di stelle, a cavallo di una pantera che spalancava le fauci allo spazio prospettico. Dintorno satiri, menadi e sileni danzanti. Di sotto il tallone irrorato di una baccante un grappolo livido duva. Il resto era coperto dal vario spettacolo della vegetazione: edere falsificate, viti mentite, fogliame indistinto atto a conferire alla parete una nota verdastra. Larazzo presentava quattro tagli posti agli angoli di un quadrato immaginario, praticati per mettere a nudo i pesanti ganci di ferro della parete. B.D. iss Marina, poggiandole i piedi sulla battuta superiore della testiera. Le fiss prima saldamente le mani al ferro e poi i piedi, divaricandole le gambe, dolcemente. Alle 17, come ogni marted, buss alla porta Filippo, un giovane che veniva a prendersi qualche ora di piacere, strappata

ai suoi studi, qualche momento in cui il mondo si annullasse. B.D. lo aveva notato fin da quando se lo trov nello studio per chiedere di poter fare la tesi in papirologia. Quel che aveva colpito il professore era lassoluta mancanza di sussiego nei suoi riguardi, lindipendenza del pensiero che, logicamente rigoroso, passava in rassegna tutti i punti da trattare. Forse pi ancora per era il suo culo sodo a collocarlo subito tra le sue avare grazie. Era un ragazzo biondo, sano, di quelli che crescono a Blme-le-petit, su al nord, avvezzi a coricarsi presto e a svegliarsi con unabbondante colazione burrosa. Malgrado la sprezzatura dellistruzione, nondimeno non tutta leleganza selvatica era scomparsa. Lo accolse nel disimpegno caldo, laria dellalloggio era spessa per il molto fumo delle sostanze che vi ardevano e per le candele che ovunque si consungevano. Il professore prese, come sempre, Filippo tra le sue braccia, strisciando la sua barba ruvida, sulla guancia liscia del giovane. Premette la bocca sulle sue labbra fredde e vi cerc con la lingua, avido, la sua. Filippo con aria soddisfatta gett il cappello sullottomana, consapevole di essere il solo ammesso ai penetrali di cotanta dottrina, alla dimora stessa del professore pi stimato. Prese subito la via nota della stanza da letto dove aveva bruciato tanti pomeriggi a lasciarsi invadere di piacere, abbassare, svilire voluttuosamente in un abbraccio. Comebbe varcato la soglia si ferm e vide pendere la donna, saldamente ancorata alla parete. Paralizzato, ristette per un secondo, il tempo in cui B.D. giunse alle sue spalle, sussurandogli sul collo ti ho preparato una sorpresa. Pronunciate queste poche parole, lo accerchi con le braccia in una stretta inscindibile. Gli strapp la camicia, facendo saltare a uno a uno i bottoni che finivano la loro corsa impazzita sul parquet. Filippo si lasci cadere, pesante, sul letto, reclin il collo allindietro a cercare con lo sguardo Marina che guardava tutto con occhi sbarrati. Nondimeno la volutt del vizio laveva gi colta, non riusciva a deviare la vista dal corpo di Filippo, disvelato a poco a poco dalla svestizione cui era sottoposto. Lo vide infine, puro, bianco, geometricamente marmoreo, il cazzo dritto, morbidamente steso sul letto. B.D. gli accarezz le anche, testandone nei palmi stretti la consistenza e si lasci guidare dalla strada che quelle indicavano. Avvolse la sua lingua attorno alla scanalatura violacea sul punto di smagliarsi, circond con tutta la bocca il suo cazzo a suggerne avidamente. Filippo lo trasse a s, ansioso di occupare il ruolo a lui pi confacente: ricambi, riconoscente, il favore. Non riusciva a staccarsi dal succhiarlo, dal spingerselo in gola

e premerlo contro le labbra. B.D. lo afferr per un braccio (le sue braccia sotto cui scorrevano, saldi, grossi nervi agili) e se lo premette contro fino a schiacciarlo contro il suo bacino. Il professore si spogli velocemente ed entr dolcemente dentro di lui, ondeggiando in un incanto di altalena cigolante. Con le dita gli tormentava i denti, nella bocca vermiglia, e scostava le mani solo per dirigerle al cazzo di Filippo. Quello gemeva, nascondendo il viso nel lenzuolo scuro e, quando ormai era sul punto di venire, B.D. scivol fuori veloce. Gir Filippo e lo baci indicandogli Marina, sulla cui coscia scorreva un sottile rivolo latteo, della consistenza di una colla liquida. Aveva assistito, testimone insoddisfatta, ai loro corpi nudi avvinghiati. B.D. la sciolse dai legami e la stese sul letto. Come per una tacita intesa, senza bisogno di spendere parole, Filippo si diresse alla mansione cui laveva destinato il

papirologo. La stesero, come un papiro accartocciato per millenni, Filippo la teneva per le braccia mentre B.D. traeva dal cassetto di un com un pugnale turco, si avvicin a lei, le riemp la bocca con le sue mutande e si diede a tracciare un lungo solco verticale che partiva dallorecchio e scorreva gi fino al seno. Il sangue usciva caldo e dopo poco tempo, Marina, allestremo della vita, non fu pi in grado di articolare movimento o parola. Inginocchiati, di fronte uno allaltro, in mezzo quellaltare corporeo vermiglio e pallido, masturbarono i loro membri contrari, guardandosi nel buio degli occhi. Emisero quasi sincroni, una bianca schiuma, abbondante e densa. Col rappresa, depositandosi su quella vagina artefatta, su quel taglio lungo i cui lembi si aprivano sul baratro caldo del mistero. In quello stesso istante il cuore di Marina cess di battere.

di Michela Lillo
Lo specchio gli restitu il viso pallido e le labbra sottili piegate allingi. Caric la smorfia, sorrise. Richiuse la porta con uno scatto secco e usc in strada. Quindi prese un vicolo qualunque, lasciandosi alle spalle la piazza principale. Le voci si affievolirono. Una via come quella sarebbe stata perfetta, nessuno ci avrebbe fatto caso. No, lo scopo era proprio quello, un atto pubblico, umanitario. Rise di gusto. Pens a Jeanne. Si divertiva a tormentarla, perch era pura. La faceva piangere e allora notava che era bella e la stringeva a s, disgustandosi. Del resto odiava tutta lumanit. Non gli riusciva di guardare la gente dallalto, sapeva di farne parte, con i suoi vezzi, il suo ridicolo pathos. Poteva rifugiarsi nellironia, o in un distacco simulato, ma tutto lo spirito si disperdeva davanti a due occhi belli, e il suo egoismo, elevato al di sopra degli altri, poteva fottersi. Piet, come un uomo buttato a terra che implora la carit. Aveva sopportato a lungo gli sbalzi del cuore capriccioso, ma con il tempo la sensazione era aumentata, colmandolo di un impulso cieco. Attravers pont Neuf, immaginando di sparare al signore che si dondolava appesantito nel cappotto nuovo. Incroci una donna mora, un colpo solo, passionale. Non bastava, voleva mirare a tutti. Non aveva che da recuperare la pistola e scegliere il posto. I raggi di sole penetravano attraverso le grandi arcate di metallo. Luce, ferro, luce, ferro, luce, Jeanne che gli mostrava i suoi libri, luce, il labbro che sanguinava mentre lo scopriva a letto con laltra. Ferro. Laria era fredda. Era deciso. Lo rap una calma euforia. Le mani presero a sudare. Imbocc Rue de Metz e poi Rue des Coteliers, davanti al portone, esit, poi prese rapidamente le scale. Jeanne dormiva nuda, un braccio storto piegato sopra la testa. Cerc nei cassetti, senza trovare nulla. Lei mormor nel sonno. Continu, svuotando larmadio senza guardarla. La pistola era sul fondo, insieme alla biancheria. Jeanne si mise a sedere sul letto. Cosa fai La guard e non disse nulla. Sei impazzito, vuoi portare quella? Taci Che cosa ti preso? Non ti amo pi Cosa? Non ti amo pi. Non puoi capire quello che per me necessario e quindi non ti amo pi Jeanne si butt contro di lui. La stratton via. Allora prese a graffiarlo, cercando di togliergli la pistola. Uno sparo secco. La vide cadere a terra, e si blocc a fissare il corpo pallido, quasi azzurrino. Un rumore di passi nelle scale lo riscosse, cerc la porta e corse gi dalle scale, la pistola stretta sotto la camicia. Fuori, gli sembr di vedere lucidamente, i movimenti divennero fluidi. Fino a che continuerai a sentire le stelle ancora come al di sopra di te, ti mancher lo sguardo delluomo che possiede la conoscenza. Ripet quelle parole. La strada era svuotata. Udiva un rumore di passi, e il tintinnio delle frasi lasciate a met. Oltrepass Marais, imboccando il grosso viale che portava al Museo Nazionale, oltrepass i giardini decorati e i portici ariosi. Super in fretta lingresso, la sala era affollata, il silenzio rendeva surreali i suoi propositi. Cerc di riafferrare il disprezzo, o la rabbia. Nulla. Ne butt a terra una ventina, la volont e la potenza precipitate nel petto. Si ferm davanti a Les Demoiselle dAvignon, i volti delle prostitute ammiccavano nella sua direzione. Aspett di morire.

Eros

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di Michele Caponi
Fagiolo sospir. Anche quel giorno, come sempre, la sua buccetta bollita se ne era stata premuta tutto il tempo contro la latta, nella speranza di cogliere un qualche rumore che provenisse da fuori. Ma anche quel giorno non lo aveva sentito. Che succede piccoletto, sei triste perch la latta non ti ha parlato nemmeno oggi? gli chiese uno degli altri fagioli, grosso grosso e palesemente troppo cotto, che scoppi a ridere un attimo dopo. Fagiolo non rispose. Ormai aveva imparato che arrabbiarsi serviva solo ad essere preso ancora pi in giro. Perci se ne rimase zitto, a puccia nellacquetta densa in cui erano immersi tutti assieme, e continu a sospirare pensando ai fatti suoi. Chiss perch gli altri fagioli non volevano credergli, si chiese. Cosa pensavano?, che fosse davvero cos stupido da sognare che la latta potesse parlare? Ah, ma se un giorno fosse riuscito a sentire un rumore dal mondo di fuori gliela avrebbe fatta vedere: allora sarebbero stati loro a fare la figura degli stupidi! Peccato solo che in tutto quel tempo non fosse mai successo. Fagiolo per non si scoraggiava. Perch Fagiolo sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere. Ne era certo, perch lui lo aveva visto, il mondo di fuori! Fu molto tempo prima, quando erano tutti pi giovani e avevano le bucce ancora secche e dure, al tempo del tuffo nella grande acqua. Fagiolo amava ricordare quellevento fantastico, non cera nulla che lo appassionasse allo stesso modo. Eppure gli altri fagioli non sembravano condividere con lui tutto quellinteresse. Certo il bagno nella grande acqua calda fu un momento importante per tutti quanti. Ora per erano dei fagioli adulti, non potevano pi passare il tempo a sognare come i ragazzini. Era questo che, secondo gli altri, Fagiolo si ostinava a non voler capire. Il punto , per, che per Fagiolo era stato diverso. Per lui non si era trattato solo dellacqua, dellammorbidimento della buccia e dellaver trovato il suo posto nella latta. No, Fagiolo aveva vissuto unesperienza ancora pi grandiosa: la caduta, la luce, il gigante. E poi quella stranissima creatura Strana, ma bellissima! Capitava spesso che Fagiolo pensasse a lei. Si tratt di poco pi che un istante, ma indimenticabile. Purtroppo per era anche incredibile. Nessuno degli altri fagioli, infatti, lo aveva mai preso sul serio sentendolo raccontare di questo assurdo legume piatto e rotondo. Sempre che si trattasse di un legume erano soliti ribattere prima di scoppiare a ridere, e non della tua fantasia!. Fagiolo fu improvvisamente distolto dai suoi pensieri da una risatina che gli rimbomb su tutta la buccia; per no, non si trattava dei suoi ricordi e nemmeno del mondo di fuori, ma di due fagiolacci l accanto, uno rotto e laltro butterato, che si divertivano a scimmiottare Fagiolo poggiando a turno alla latta le loro bucce sbrindellate. Non si trattava di una novit, perci fu facile ignorarli; i ricordi di Fagiolo tornarono a scorrere in un attimo. La grande acqua Fu allora che tutto cambi. Fino a quel momento Fagiolo era stato come tutti gli altri. Come loro

Fagiolo

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non aveva mai pensato che esistesse un mondo di fuori e non aveva mai avuto tanti pensieri. Poi ci fu il grande tuffo. Lemozione, gli schiamazzi suoi e degli altri giovani fagioli, risuonavano ancora nella sua memoria come se fosse successo solo un attimo prima: chi si divertiva, chi era terrorizzato. Tutti per sapevano che stava succedendo qualcosa di grandioso. Fagiolo dal canto suo era il pi eccitato di tutti. Gridava e scalciava per arrivare a scoprire per primo cosa stesse succedendo. Finch allimprovviso, dopo aver superato lennesimo fagiolo, si ritrov da solo. E di colpo si accorse di star cadendo. Allora vide lacqua sotto di s: sulla sua superficie esplodevano bolle gigantesche con schianti assordanti. Era uno spettacolo meraviglioso, il pi bello che avesse mai visto in vita sua. Daccordo, non che Fagiolo di spettacoli ne avesse visti molti. Anzi, non ne aveva visto proprio nessuno: si era sempre e solo trovato in mezzo ad altri fagioli. Ma durante il grande tuffo fu tutto diverso. In quel momento Fagiolo era solo, libero. Poteva planare in ogni direzione, poteva vedere lontano, lontanissimo! Al punto che, ad un tratto, gli sembr di scorgere la fine di quella gigantesca acqua ribollente. Divorato dalla curiosit, Fagiolo cerc allora di deviare la sua caduta in quella direzione E ci riusc! Arriv tanto vicino al bordo dellacqua che pot guardare oltre di essa. Cos vide il mondo di fuori. Era bellissimo: Fagiolo intravide un mondo infinito che si estendeva chiss quanto pi lontano di quel che lui poteva vedere. In esso scorse una quantit indescrivibile di colori, di luci, di oggetti assurdi e giganteschi. Si sforz in ogni modo di avvicinarsi ancora di pi, ma lo sforzo fu tale che colp il bordo e rimbalz fuori. La caduta fu violentissima. Fagiolo si ritrov sbattuto a terra prima ancora di poter realizzare quel che era successo, e se non grid, fu soltanto perch il fiato gli si mozz in gola. Era nel mondo di fuori! Non poteva crederci: era tanto eccitato quanto atterrito. Poi, mentre ancora si voltava attonito in ogni direzione, la vide. Stupenda, piccola e sottilissima, con quella circonferenza cos perfetta! E poi il suo colore Un marrone cos aggraziato, acceso da quelle vivissime sfumature di rosso. Fagiolo la contemplava rapito. Poi il suo sguardo fu ricambiato. Fagiolo arross di colpo e

si accartocci su se stesso. Con la coda dellocchio per not che anche quella si era fatta di un rosso un poco pi intenso, ma soprattutto si accorse che sorrideva. Allora si fece coraggio. Pian piano le rotol pi vicino. Poi si tir in piedi e si gonfi tutto pi che poteva. Il sorriso di quella si allarg ancora di pi. Fagiolo allora, che non stava pi nella buccia, rotol un altro poco, arrivando quasi a sfiorarla. In quel momento per un mostro gigantesco li gett nellombra. Quelle che sarebbero potute essere le enormi mani di chiss quale orrenda creatura, si avventarono feroci su di loro. Gridando di terrore cercarono di rotolare in salvo, ma quel gigante era incredibilmente veloce. Poi dun tratto la mano si risollev da terra e lombra si dissolse. Fagiolo esult di gioia. Un attimo dopo per si guard attorno e si rese conto di essere solo. Il gigante laveva presa! Mostro maledetto! Fagiolo esplose in lacrime e grid tutta la rabbia che poteva, ma in un istante quelle mani si abbassarono di nuovo su di lui. I due fagiolacci smisero di ridere di colpo. In fondo non erano dei cattivi ragazzi; vero, si divertivano a prendere in giro quello strano fagiolo che stava sempre ad ascoltare la latta, ma non per questo erano contenti di vederlo piangere! E se anche non gli chiesero perch si era fatto triste cos di botto, certo si dispiacquero per lui. Fagiolo tir un po su col naso e decise che non aveva pi voglia di pensare per quel giorno. Non aveva pi voglia di porsi le solite domande: chi era quella splendida creatura, che ne era stato di lei E se come lui era stata ributtata dal mostro nella grande acqua. In lui era ancora troppo vivo il ricordo di quanto disperatamente la cerc in quellacqua bollente, prima di capire che non lavrebbe mai pi rivista. Arriv a perdere i sensi per la fatica prima di rinunciare. E quando si risvegli era gi l, dove stava ancora adesso, con la buccia premuta sulla latta. No, per quel giorno non avrebbe pi pensato a nulla. Era stanco, troppo stanco. Meglio riposare, per recuperare le forze. Perch chiss che il giorno dopo, magari ascoltando con un po pi dattenzione, non sarebbe finalmente riuscito a sentire un qualche rumore dal mondo di fuori. Cos, accoccolandosi stretto stretto nella sua buccia, Fagiolo si addorment. Lenticchia sospir.

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La macchina infernale
di Mattia Salvia
E quindi lui era l, punto di fuga dei nostri sguardi (che era poi il suo obiettivo), seduto al tavolino nella posa di chi del tutto estraneo a ci che gli succede intorno, a comunicare un distacco che non appartenenza a, diversit da, un po monarca assoluto dallaria fintamente annoiata, un po automa insensibile (in senso letterale), ostentando noncuranza mentre il tocco di hashish passava di mano in mano e di naso in naso perch tutti potessimo constatarne le dimensioni, saggiarne la consistenza al tatto, giocare fingendoci esperti a valutarne la qualit. Contrariamente a quanto si pensa, la famosa teoria secondo cui il termine hashish e la parola assassino deriverebbero entrambi dallarabo hashashin (letteralmente: mangiatore derba), che designava lappartenente alla setta ismailita dei Nizariti, e lipotesi ad essa collegata che tale derivazione fosse da ricondursi al fatto che i membri di tale setta avessero labitudine di assumere hashish per allontanare lansia prima di compiere i loro delitti non sono in realt verificate (per quanto sia decisamente meno suggestivo, sembra decisamente pi probabile che derivi dallarabo hasis, che significa semplicemente erba). Lui era l, segretamente compiaciuto, attento a non darlo a vedere, ad assistere al celebrarsi di quel rituale, una breve sequenza di atti di per s indifferenti il cui valore era la loro intenzionalit, a guardarci avvicinare al naso quel pezzetto di fumo, a osservare lentrata in vigore di quel tacito accordo in base al quale da quel momento in avanti non si sarebbero pronunciate che tautologie (in luogo di giudizi di qualit), ad ammirare la degradante cortigianeria dellaltruismo di facciata con cui ciascuno di noi si offriva di fare il filtro o di sacrificare una delle sue sigarette, sgomitando implicitamente per guadagnarsi il suo favore ed essere il primo a cui avrebbe passato la canna, dopo (analogia: negli scacchi si dice che, pi di minacciare, sia efficace minacciare di minacciare). Era l e godeva dellaccadere di tutto questo, ma di nascosto, rimanendo esteriormente impassibile, nellocchio del suo stesso ciclone, a mostrare che, per lui, tutto quello che gli stava avvenendo intorno era in fondo roba da poco, che tutti i singoli movimenti che stavano giungendo allesistenza come parti di singolo movimento pi grande, come passi di danza che trovano il loro senso nella totalit che formano, non erano che un fenomeno accidentale e trascurabile ed anche questo era un movimento, a dirla tutta. E quindi era l, al centro del tavolo (e noi tuttintorno) a considerarla una cosa terribilmente importante, quanto soltanto le personalit ossessive sono capaci di fare, ma senza darlo a vedere, tanto che nessuno di noi se ne era accorto in quel momento. E proprio il fatto che lui la considerasse una cosa cos importante costituiva la differenza sostanziale tra lui e noi, e il motivo per cui lui era l, al centro del tavolo (e noi tuttintorno).

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di Victor Attilio Campagna


Il fumo estraeva i corpi da una piaga, una vulva dEuropa; sfumava il grigio in questa stanza riccioluta; un uomo decrepito teneva una biro, pennuta, le mani ridipinte, il fiato sulla carta gli sguardi -demoniaci- scomparivano la via in brani di follia. Il tempo aveva tolto la maschera di bamb, lAfrica ci batteva in cuore, scostante, qualche mazzo di Parigi nellaria accanto attori stremati. Vita vera intorno, vita finta, volti emaciati dallesempio, dal testo, da cartomanti di Lete. Veniva il dubbio che la realt fosse una pellicola senza luce, un insetto zoppo lento; avere a che fare con le lacrime -tinte- austere, era come scoparsi la stanza, letto e divano sui campi, sulle rive, scomposti. Era un percorso di sottintesi, dove a giocare le sue carte era un desiderio pi impuro di vita.

In Itinere

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Ogni volta che dormo da te


di Luca SantAmbrogio
Siamo formiche azzurrissime corriamo in alto zampillando curiose su bolle di sapone. -Ricordi il sapore di spiluccare le nostre favole di notte nel latte caldo?Allartiglio del reale ricadremo nella nostra arruffata volpina malinconia, ma su davanzali nuovi brizzolati di parole.

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Al flusso della vita


di Davide Paone
Come possiamo noi ascoltare questo canto tra il mutismo delle urla che lanciamo, la distanza e lassenza di un vuoto in cui cadere, con la sorpresa che ci dipana la certezza e un nuovo mondo che si dispiega innanzi a noi? Alla distanza che colma il vuoto delle voglie uniride di perla umana evita che un mondo distrugga le belle aspettative il desiderio, fomenta la passione. La vita passa sotto i ponti che attraverso, negli interstizi scorre la tristezza che cammino. perch guardo il flusso delle cose seduto sulla panchina della sala dattesa. Lo sciabordare del vento sulle foglie, le loro cetre appese al soffio, le nostre speranze urlate alla tempesta, il nostro amore al flusso della vita.

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Borges il clown
di Orlando Vuono
Leternit, il labirinto, gli specchi, lo sdoppiamento: alcuni dei classici temi che bisogna affrontare parlando di Borges. Mi cascano le palle solo a pensarci e, per evitare che caschino anche al lettore, parler del maestro argentino senza sfiorare tanto sommi argomenti. Prima di scrivere questo brillante saggio, ho scandagliato il web alla ricerca di osservazioni profonde da rubare e attribuire loscamente al sottoscritto. Furbo, vero? Purtroppo, per, ho trovato solo astruserie che hanno reso intellettualmente drammatico anche un banale copia-e-incolla. Ho dunque desistito dallappropriazione indebita. Quello che segue, quindi, frutto unicamente delle mie riflessioni: prendetelo con la pinzetta che usate per amputarvi le sopracciglia eccedenti1. Tutti esaltano lerudizione, la fantasia, la razionalit di Borges: vedono, insomma, un mago della prosa. Io vedo soprattutto un clown. Ecco, magari sprovvisto di naso rosso, ma con una parrucca riccioluta e verde2. S, e vestito in frac. Il fatto che su internet non abbia trovato alcun cenno alla comicit borgesiana mi ha inizialmente indispettito, successivamente indubbiosito, conclusivamente inorgoglito per loriginalit dellintuizione. Come state per leggere, Borges affronta molti dei generi relazionabili al mondo comico: parodia, satira, burla, umorismo. E lo fa padroneggiando luso delle cianfrusaglie che ogni clown che si rispetti deve possedere, e che nel caso della letteratura non sono i palloncini o le trombette, ma lironia, il paradosso, lassurdo, liperbole. Calvino scrisse che lartificio metaletterario3 serve a Borges per superare il blocco che gli impediva, fin verso i 40 anni, di passare dalla prosa saggistica alla prosa narrativa4. Ma non solo questo. anche una parodia dei saggisti/recensori e, in pi, una vera e propria burla del lettore. Prendiamo i ricordi del nostro clown sul racconto La ricerca di Almotasm: La ricerca di Almotasm, scritto nel 1935, era al tempo stesso una burla e uno pseudosaggio. Si presentava come la recensione di un libro apparso a Bombay tre anni prima, libro del quale attribuivo una immaginaria 2 edizione a un vero editore, Victor Gollancz, e la prefazione a una scrittrice realmente esistita, Dorothy L. Sayers. Ma lautore e il libro sono pura invenzione da parte mia [] Quelli che lessero il pezzo lo presero sul serio, e uno dei miei amici ordin perfino un esemplare del libro a Londra.5 Ora leggiamo insieme Pierre Menard, autore del Chisciotte. Esso ci serve come ulteriore prova dellintento parodico-burlesco della metaletterariet borgesiana e, in pi, ci consente di mostrare come lassurdo crei un effetto comico. Nel racconto il critico ricorda Menard (scrittore mai esistito) passandone in rassegna lopera visibile. Lenumerazione gi di per s comica: parte dalla lettera a e giunge addirittura alla s. Ma leggiamo alcuni punti: a) un sonetto simbolista pubblicato due volte (con varianti) dalla rivista La conque (numeri di marzo e di ottobre del 1899); [] i) un esame delle leggi metriche essenziali della prosa francese, illustrato con esempi di Saint-Simon (Review de langues romanes, Montpellier, ottobre 1909); j) una replica a Luc Durtain (che aveva negato lesistenza di tali leggi) illustrata con esempi di Luc Dur-

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tain (Review de langues romanes, Montpellier, dicembre 1909); o) una trasposizione in alessandrini del Cimetire marin di Paul Valry (NRF, gennaio 1928); p) uninvettiva contro Paul Valry, nelle Feuilles pour la suppression de la ralit di Jacques Reboul. (Questinvettiva sia detto tra parentesi giusto il contrario di ci che Menard pensava di Valry. Questultimo lintese appunto in tal modo, e lantica amicizia tra i due non corse pericolo); [] s) una lista manoscritta di versi che debbono la loro efficacia alla punteggiatura. Cosa ci diverte? Allora: la compresenza di punti seri (a, o) e di punti palesemente ridicoli (i,j,p,s); la compresenza di autori e di opere reali (Valry) e di autori, opere e riviste inesistenti; lironia satirica e burlesca di j: Luc Durtain (che non esiste) sembra un idiota, anche se, in realt, riflettendoci, lidiota Menard: non possono esistere leggi metriche della prosa (i); il paradossale contrasto tra o e p concernente lopinione su Valry; la demenziale ironia di p: Valry intese che linvettiva era il contrario di quello che Menard intendeva. Menard, quindi, non doveva essere troppo sveglio...; liperbole di s: va bene, la punteggiatura nella letteratura importante, ma da qui a determinare lefficacia delle poesie ce ne passa parecchio... Proseguiamo con la lettura. Il recensore, dopo aver passato in rassegna lopera visibile, parla anche dellopera sotterranea, linfinitamente eroica, limpareggiabile (introduzione iperbolica) di Menard, la riscrittura del Don Chisciotte: Non volle comporre un altro Chisciotte ci che facile ma il Chisciotte. Inutile specificare che non pens mai a una trascrizione meccanica delloriginale; il suo proposito non era di copiarlo. La sua ambizione mirabile era di produrre alcune pagine che coincidessero parola per parola e riga per riga con quelle di Miguel de Cervantes. Cosa ha portato Menard a voler riscrivere unopera? []quel frammento filologico di Novalis nume-

ro 2005 delledizione di Dresda che abbozza il tema dellidentificazione totale con un determinato autore. Possiamo notare che lintento di Menard sia s assurdo, ma che lo sia in un modo cos sublime da poter anche risultare un tentativo nobile e filosoficamente meritorio. importante sottolineare che la deformazione borgesiana del reale non sia finalizzata a brutalizzare o a mortificare lordinariet, ma a nobilitarla e a cerebralizzarla: rispetto alla norma, quindi, un procedimento inverso: per questo coglierne la comicit diventa pi arduo. Il critico, pilotato dalla penna di Borges, cita, come farebbe qualsiasi buon recensore, anche le (inesistenti) lettere dell(inesistente)autore: In sostanza la mia impresa non difficile. Mi basterebbe essere immortale per condurla a termine Paradossale, vero? Aspettate, perch le conclusioni tratte dal critico lo sono ancora di pi: il frammentario Chisciotte di Menard pi sottile di quello di Cervantes. Questultimo, semplicisticamente, oppone alle finzioni cavalleresche la povera realt provinciale del suo paese; Menard sceglie come realt la terra di Carmen durante il secolo di Lepanto e di Lope. Che spagnolate non avrebbe consigliato una scelta simile a Maurice Barrs o al dottor Rodriguez Larreta! Menard, con tutta naturalezza, le elude. La sua pagina non simpaccia di gitanerie, n di conquistadores, n di mistici, n di Filippo II. Neglige o proscrive il colore locale. Questo sprezzo testimonia dun senso nuovo del romanzo storico. Portando allestremo la logica, Menard diviene, paradossalmente, migliore di Cervantes. Perch? Beh, perch Menard ha scritto le stesse cose di Cervantes, ma tre secoli dopo, dimenticando, quindi, con un notevole sforzo fantasioso, tutto quello che avvenuto e tutto quello che stato scoperto in quei tre secoli; Cervantes, invece, si limitato a descrivere la realt che stava vivendo. Ora assistiamo a unaltra gag del nostro clown: lumorismo6. La casa di Asterione ripercorre il mito greco del Minotauro rinchiuso nel labirinto di Cnosso, ma dal punto di vista del

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mostro stesso, che inizia cos il suo monologo: So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (che punir al momento giusto) sono ridicole. vero che non esco di casa, ma anche vero che le porte (il cui numero infinito)1 restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non trover qui lussi donneschi n la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. 1 Loriginale dice quattordici, ma non mancano motivi per inferire che, in bocca di Asterione, questo aggettivo numerale vale infiniti. Ci sono due meccanismi comici, qui. Il primo consiste nellaffermare una cosa che subito viene smentita dalle intenzioni: Asterione si difende dallaccusa di essere superbo, misantropo o pazzo, ma si propone di punire, dimostrando di essere superbo e misantropo, chi lo accusa. lo stesso meccanismo della barzelletta: Io non impreco, non fumo, non bevo. Porca puttana!, mi caduta la sigaretta nel rum!, solo che qui laffermazione smentita da unazione, non da unintenzione. Il secondo consiste nella assurdit della spiegazione della nota: lo stesso meccanismo che ho utilizzato io, allinizio, nella nota 2. Bene, procediamo. Asterione descrive i suoi passatempi: [] ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finch resto insanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare laddormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte maddormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno cambiato). Ma, fra tanti giochi, preferisco quello di un altro Asterione. Immagino chegli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: Adesso torniamo allangolo di prima, o: Adesso sbocchiamo in un altro cortile, o: Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dellacqua, oppure: Ora ti faccio vedere una cisterna che s riempita di sabbia, o anche: Vedrai come si biforca la cantina. A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi. Ecco che aspetto comico e tragico cominciano a intrecciarsi, generando lumorismo. La comicit creata giustapponendo due opposte qualit:

mostruosit e ingenuit. Al mostro vengono associate, infatti, azioni candide, fanciullesche, infantili. Lamico invisibile, inoltre, lui stesso e ci rievoca la superbia e la pazzia respinte allinizio. La tragicit data dalla terribile solitudine patita da Asterione, che rende meno ridicoli i suoi giochi solipsistici. Il lettore, con essa, comincia a compatire il protagonista e continua a farlo mentre questi parla di chi entra nel labirinto: Cadono uno dopo laltro, senza che io macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizz, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perch so che il mio redentore vive e un giorno sorger dalla polvere. Il racconto termina con luccisione di Asterione da parte di Teseo e la seguente frase: Lo crederesti, Arianna? disse Teseo. Il Minotauro non s quasi difeso. Il lettore, qui, pu sorridere, perch conosce il motivo del mistero che sbigottisce Teseo; pu sorridere anche perch quella che gli stata raccontata, a scuola, come unimpresa incredibile si rivelata, invece, assolutamente ordinaria. Pu sorridere, ma

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non lo fa. La tragedia della condizione esistenziale di Asterione ha ormai preso il sopravvento sul lato comico. Veniamo, infine, alla satira. Il racconto LAleph paradigmatico. Esso non pu essere minimamente compreso senza considerare che rappresenta una feroce satira di Pablo Neruda. Fu scritto nel 1945 e pubblicato nel 1949, un anno prima del Canto General del poeta cileno. Citiamo Harold Bloom, perch fa molto cool citare altri critici, e perch speriamo che poi loro citino noi: [Canto General] consiste di circa 300 poesie separate, raccolte in 15 gruppi e composte tra il 1938 e il 1950. Il libro venne ampiamente pubblicizzato in anticipo da Neruda e dal Partito comunista cileno, e Borges ne era senza dubbio informato. NellAleph, Neruda viene satireggiato come rivale di Borges, il fatuo Carlos Argentino Daneri, un poeta di incredibile mediocrit e un ovvio imitatore di Whitman. Ha luogo una demolizione totale ed elegante dellopera di Neruda; Canto General mira a cantare tutta lAmerica Latina: topografia, alberi e fiori, uccelli e animali terrestri, antieroi indigeni e stranieri...7 Godetevi lelegante violenza del racconto: [Carlos Argentino] si proponeva di mettere in versi tutta la rotondit del pianeta; nel 1941 gi aveva sbrigato alcuni ettari dello stato di Queensland, pi di un chilometro nel corso dellOb, un gassometro a nord di Veracruz, le principali ditte commerciali della parrocchia della Concezione, la villa di Mariana Cambaceres del Alvear in via Undici Settembre, in Belgrano, e uno stabilimento di bagni turchi posto non ben lungi dal bel noto acquario di Brighton. Mi lesse certi laboriosi passi della zona australiana del suo poema; i lunghi e informi alessandrini mancavano del relativo movimento dellintroduzione. Ne copio una strofa: Si sappia. A man diritta del cippo consueto (venendo, naturale, da nord, anzi nordovest) un ossame sannoia Tinta? Biancoceleste mentre presta allovile apparenza dossario. Ed ecco che lo stesso poeta, Carlos Argentino, loda se stesso e la sua presunta genialit:

Due audacie []. Una lepiteto consueto, che abilmente denuncia, en passant, linevitabile tedio inerente alle fatiche pastorali e agricole []. Laltra, lenergico prosaismo un ossame sannoia, che lo schizzinoso vorr scomunicare con orrore, ma che il critico di gusto virile apprezzer pi della sua vita. Tutto il verso, daltronde, dalta qualit. Il secondo emistichio intavola unanimatissima conversazione col lettore; precede la sua viva curiosit, gli mette in bocca una domanda e la soddisfa... allistante. E che mi dici di quella trovata, biancoceleste? Il pittoresco neologismo suggerisce il cielo, che un fattore importantissimo del paesaggio australiano. Senza quellevocazione, le tinte del bozzetto risulterebbero troppo cupe e il lettore sarebbe costretto a chiudere il libro, lanima ferita nel pi intimo da incurabile e nera malinconia. Borges, poeta, scrittore, saggista, ma soprattutto clown, ironizza anche sulla poesia: Compresi che il lavoro del poeta non consisteva nella poesia, ma nellinvenzione di ragioni perch la poesia fosse ammirevole; naturalmente, questo lavoro successivo modificava lopera per lui, ma non per gli altri. Vi sfido a non ridere!
NOTE 1) Se non lavete, vi consiglio caldamente: a) di procurarvela, dato che lammasso rigoglioso di mustacchi sopra ai vostri occhi poco si conf alla nostra civilt; b) di rubarla a vostra madre/sorella/gatta; c) di utilizzare, nel caso in cui a e b fossero impraticabili, un tipo alternativo di pinze: suggerisco quelle per il ghiaccio o quelle per il carboncino del narghil. 2) Potrebbe anche essere rosa. Il suo uso della punteggiatura, tuttavia, ci spinge ad azzardare lipotesi del verde. 3) Per approfondire le modalit metaletterarie nella storia della letteratura consiglio il saggio: O. Vuono, Forme della Metaletterariet. Esso gratuitamente consultabile sul mio pc3b, insieme agli altri 5397 saggi, seguendo il percorso: C:\Utenti\Orlando\Documenti\Saggi Mirabolanti. 3b)La password per accedere al pc : ********3c. 3c) Gli otto asterischi non sono un codice cifrato, ma sono realmente otto asterischi. 4) I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2000 5) J.L. Borges, Abbozzo di autobiografia, in Elogio dellombra, Torino, Einaudi, 2007 6) Lumorismo viene qui inteso in senso pirandelliano perch fa molto fico rifarsi al maestro siculo. 7) H. Bloom, Il Canone occidentale, Milano, Bur, 2008

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Leggevano un libro
di Lucia Di Giovanni
Leggevano un libro. Seduti vicini, non facevano caso al brusio pacifico dellattesa che ondeggiava nellaula intorno a loro, e non sembravano neanche essersi accorti luno della presenza dellaltro. Non ho potuto fare a meno di notarli - avevano gli occhi incollati ai libri - quando avvenuta una strana metamorfosi: mentre li guardavo, i due ragazzi, immobili lettori, si trasformavano - gli occhi incollati alle pagine - e diventavano il libro che stavano leggendo - gli occhi incollati alle parole. Si era realizzata fisicamente quella identificazione intellettuale che avviene tra libro e lettore, il quale vive con tale empatia le pagine che sta leggendo da dimenticarsi, anche solo per pochissimo tempo, del mondo al di fuori di queste. Per quanto strano mi potesse sembrare, era avvenuto realmente. La buffa mutazione aveva avuto luogo per i due ragazzi in contemporanea, anche se lentamente, tanto che nessuno sembrava essersi accorto di niente. Quello pi vicino alla finestra era diventato un uomo tra i trentacinque e i quanrantanni; indossava, sopra una camicia chiara, un cardigan beige, che si piegava con eleganza sui gomiti e sulla pancia; i pantaloni erano ben stirati e i mocassini eleganti non lasciavano dubbi circa la sua provenienza alto borghese. Aveva i capelli castani, ben curati, e il viso incorniciato da delle basette troppo perfette per non essere state ripassate la mattina stessa, con mano precisa. Il suo viso disteso, ma dai lineamenti severi, rivelava una vita trascorsa fra gli agi, ma infelice. Era Un cuore cos bianco di Javier Maras, la storia di un segreto rivelato. Era collezionista darte, era padre e custodiva un segreto che aveva deciso, pi di una volta, di rivelare. Ma era anche il figlio, la voce narrante, che senza volerlo aveva ascoltato la parola che carica di responsabilit, la parola che costringe con violenza a sapere. Non ho voluto sapere, ma ho saputo che una delle bambine, quando non era pi bambina ed era appena tornata dal viaggio di nozze, and in bagno, si mise davanti allo specchio, si sbotton la camicetta, si sfil il reggiseno e si cerc il cuore con la canna della pistola di suo padre, il quale si trovava in sala da pranzo in compagnia di parte della famiglia e di tre ospiti. lincipit del romanzo, della ricerca di senso di un figlio in una famiglia cambiata dalla morte e dal segreto espiato con la parola che ne la causa, che solo alla fine verr rivelato anche al lettore. Cos in conclusione, quando ormai le pagine che rimangono da leggere saranno poche e il ragazzo seduto in aula torner pian piano ad essere un ventenne qualunque, lui stesso verr caricato della responsabilit di sapere, avendo ascoltato la voce delle parole stampate, e sar costretto a ripensare allintero romanzo e a rivederlo alla luce della parola rivelata. Ero certa avesse acquisito, insieme alla fisicit del libro che leggeva, anche il suo stile: una narrazione colma di divagazioni e caratterizzata da una scrittura capace di fare proprio lo spazio e il tempo, con la quale sono rese tangibili sensazioni e impressioni che non durano pi di pochi

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secondi, estese quanto basta perch il lettore vi si riconosca nella propria quotidianit; in questo modo, lo sguardo di un padre che, alla vista della figlia riversa in bagno coperta di sangue, per un secondo pensa solo a coprirle il seno rimasto nudo, diventa un respiro leggero, niente pi che un sospiro raccontato con molte parole. Seduto di fianco a lui, un signore che aveva da molto superato i cinquanta, leggeva senza entusiasmo ma con attenzione il quinto e ultimo dialogo del romanzo di Abram B. Yehoshua, Il Signor Mani. Il ragazzo che leggendo era diventato il signore, aveva laria stanca e il suo sguardo si posava con pesante lentezza su una parola e poi sulla successiva, e talvolta dal libro si spostava sul polso, sullorologio, poi risaliva la mano nodosa per ritornare ancora al libro; non alzava lo sguardo, ma, come metallo influenzato dalla calamita, non desideravo altro che vedere il pozzo misterioso dei suoi occhi. Era scuro, i capelli neri, era magro, i vestiti forse troppo larghi erano semplici e indossati con noncuranza, la barba era rasata per abitudine pi che per cura e se non fosse stato per i suoi occhi sarebbe stato anonimo. Giaceva nel suo corpo, nascosto anche a lui stesso, un segreto, che trovava espressione, inconsapevolmente, solo attraverso lo sguardo. Il signor Mani era ebreo e rappresentava il grande corpo sensuale dellebraismo, profumato di spezie e di disperazione (Pietro Citati). Era ciascuno dei cinque signori Mani che vivono nei

dialoghi attraverso le parole di persone che, colpite inconsapevolmente dalla forza del segreto che li raggiunge attraverso lo sguardo, sono costrette a mettersi in discussione, a cercare con la parola di indagarsi. Dal primo dialogo, ambientato nel 1982, fino allultimo, in cui sentiamo parlare il patriarca Mani, che ha luogo nellAtene del 1848, le vicende riavvolgono lentamente il tempo, fino a scoprire il mistero che questa famiglia cela nel proprio sangue. Il segreto scorreva nelle sue vene, da tempo dimenticato perch non espiato con la parola, e aveva perso la sua connotazione temporale per diventare il corpo stesso del signor Mani, la fonte del suo mistero e lessenza sconosciuta della sua vita. Pensai tutto questo in un secondo, il tempo di un passo, il tempo in cui una porta si apre e il professore entra. I due uomini alzarono lo sguardo contemporaneamente, si guardarono e non seppero pronunciare nessuna parola, perch percepirono, gli occhi negli occhi, lesistenza di due terribili verit: una taciuta, una raccontata. Fu un attimo. Riabbassarono lo sguardo. Il professore si era seduto e testava il microfono della grande aula con un buongiorno biascicato, mentre il brusio pacifico dellattesa si affievoliva lentamente. Mentre mi sedevo lanciai unultima occhiata ai due uomini: non cerano pi. I due ragazzi chiusero i libri.

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Riportiamo, cos come stato rinvenuto, il volantino trovato sul tavolino di un bar da Federica Tosadori.

Oggi hO trOvatO un pezzO di carta su cui scrivere, finalmente . gli altri giOrni mi accOntentavO deg giOrnali gratuiti che distribu li spazi vuOti sui iscOnO alluscita del met r. ma nOn mi mai piac iutO scrivere l, l dOve la banalmente allOrOscOpO, mia vOce si mischia al meteO, alle prOgrammaz iOni tv. e cOs, vicine all a quOtidianit, le mie parO niente di diversO, insOmma le sembranO vOlgari, , dalle previsiOni del tempO. che cOs a stupida il meteO. ma que spaziO a ci che mi interes stO nOn centra. nOn dOv sa davverO raccOntare, Ogg rei rubare i che hO un fOgliO biancO tuttO interO. il retrO vOlantinO che prOmuOve la di un vOlantinO. un nascita di un nuOvO gruppO teatrale davanguardia. g nascOsti, di attOri sOlitar li artisti dispersi. siamO alla ricerca di talenti i, desiderOsi di apprezzame ntO. mi ritOrna in men te quella vOlta in cui, nel teatrO unOpera meravigliOs la mia scOrsa vita, vidi a a. la luce dellOcchiO di bue mi aveva trOvatO tra il pubblicO e mi aveva illu della messa in scena. n minatO ad un certO puntO On ricOrdO perch. fOrse era stata sOltantO una mia suggestiOne; mi erO sen prOtagOnista. ma anche titO cOinvOltO, stranamen questO nOn centra. lO te spaziO si restringe e iO vOg liO raccOntare altrO, Ogg pi dei margini di una rivis i che finalmente meritO di ta, O delle cartacce sud ice, raggrinzite sui marciap iedi. le penne? beh, que nOn avete idea di quante penne ven lle si trOvanO dappertutt gOnO perdute Ogni giOrnO O. , nella citt di milanO. cascanO dal prOprietarie cercanO ansiOse le bOrsette mentre le tra il bigliettO del trenO che felate stannO per perdere, vengOn terminanO il lOrO sOlitar O abbandOnate sulle pan iO cruciverba pOmeridianO, chine dagli anziani che scivOlanO dalle lucide val igette di pelle degli uOmini sulle strade, a milanO, daffari. una penna dunque la si trOva sempre. Ora , per devO prOpriO parlarvi di quellO che mi succes la mia secOnda vita. p sO. iO sOnO gustavO. e rima erO prima erO un questa uOmO qualunque. vivevO in un appartamentO qualun la mia era una vita qualunque. mi que. avevO un lavOrO qua alzavO la mattina, andavO lunque. in ufficiO, tOrnavO a casa prima che prOgrammi ci sar in tram, guardavO la tv ebberO stati. Oggi cOnOsc senza mai sapere O tutte le prOgrammaziOni di tutti i canali del digital tv, nOn hO pi un lavOrO e terrestre. ma nOn hO , e nOn hO pi nemmenO una casa. pi una mangiO quandO riescO a pagarmi un davverO quandO riescO a paninO al bar della staziOn crearmi un giacigliO un pO e, dOrmO riparatO sOttO un pOrticO. destate spettacOlO. bOllente, dOrmO da diO. la nOtte ma piacevOle sentire il a milanO dagOstO unO calOre quandO sai cOsa si prOva ad avere il ghiacciO erO un tipO davverO calOrO nelle Ossa. nella mia scO sO. Ora questO mi fa sOr rsa vita ridere. mi fannO sOrridere un saccO di cOse, adessO persOne che sfiOravO cam . prima nOn era cOs. tutte le minandO velOce, mi davanO ai nervi. Oggi scivOlO tra gli abitanti della citt, immaginO la lOrO vita, perc li OsservO per tempi mOltO episcO i lOrO pensieri. e lunghi, finOra nOn hO ancOra incO ntratO una persOna che a guardarla, che nOn mi nOn mi lasciasse la vOglia facesse sOrridere. ma anc di cOntinuare he questO nOn centra. iO vOgliO parlarvi di altrO. la verit di avere cOs tantO spaziO per parlare. quandO nOn che nOn mi sembra verO rivOlgi la parOla a quasi nessunO, quandO nOn hai minima OppOrtunit, tuttO mai vOce per farti sentire diventa fOndamentale, tut , alla prima tO vuOle essere raccOntat O, perch lO si crede ess a milanO in fOndO di spaziO ce n enziale. e di nuOvO stO sempre pOcO. eppure tuttO perdendO spaziO. quellO che mi rimastO nascOsti che questa citt Ora, in questa mia nuOva mi Offre. milanO mia. secOnda vita, sOnO gli ang il miO luOgO, la mia casa, il miO Oli abbandOnati, dimenticati, fOgliO di carta, la mia vOc spettanO a me. penne, mag e. e a fine giOrnata, gli liOni, giOcattOli. e quandO Oggetti sOnO fOrtunatO, sigarett di sigarette le vie di milan e. gi, sigarette. beh, O sOnO piene, ed meravig di mOzzicOni liOsO quandO tra tutte que lle fumate, finite, buttat intera, intatta, bianca. quandO davverO la giOrnata buOna e, schiacciate, sfaldate, ne trOvi una , riescO anche ad assistere al mOm precisa cOnfeziOne, scivOla entO esattO in cui prOpriO per terra, silenziOsa, sen quella sigaretta, di quella za che il fumatOre distrat tO se ne accOrga. una vOl interessatO e gli hO pOrt O la sigaretta caduta. l ta, sOlO una vOlta, hO ui mi ha guardatO, dapprim rincOrsO il direttO a cOn unO sguardO spaven senza parlare: tienitel tatO, pOi stupitO e infine a tu quella, tra quelle disgustatO. mi ha dettO dita luride. da quel giOr nO, quandO vedO cadere si allOntani, e invisibile, le sigarette, aspettO che le raccOlgO, e le accett il viziatO prOprietariO O cOme dOni unici della mia citt. ma quellO che vOg sigaretta fumata sOltantO liO davverO raccOntare a met; allestremit era di quandO trOvai una macchiata di rOssettO rOs sO. era appOggiata sul bOr giOrnO dOpO ritOrnai, all dO di un cestinO, in staziOn O stessO cestinO, nOn sO bene perch. sO sOltantO e. la raccOlsi. e il che l, nellO stessO pun stessa marca, cOn la ste tO del giOrnO prima, cera ssa macchia di rOssettO rOs unaltra sigaretta, della sO. quantO avrei vOlutO incOntrare quella fumatr spaziO qui! mi tOcca asp ice a met. e allOra dec ettare il retrO del prOssimO isi di ma nOn c pi vOlantinO!

L'ozio il padre di tutti i vizi, ma il vizio il padre di tutte le arti.


Paul Morand (1888 - 1976)

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