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Ipotesi Hong Kong o Armageddon?

Autori: Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio Prefazione. Capitolo Primo Cronaca di una bancarotta annunciata. Capitolo Secondo Gli undici pilastri della politica internazionale. Capitolo Terzo I rapporti di forza mondiali e il sorpasso della Cina parte prima. Capitolo Quarto I rapporti di forza mondiali e il sorpasso della Cina parte seconda. Capitolo Quinto Due nidi di virus maligni. Capitolo Sesto Il Titanic USA e la tempesta perfetta . Capitolo Settimo La Cina e la teoria del magnete parte prima. Capitolo Ottavo Cina e politica internazionale: la teoria del magnete -parte seconda. Capitolo Nono Falchi, colombe a masse popolari negli USA. Capitolo Decimo Lipotesi Hong Kong: identikit, critica/anticritica.

Ringraziamenti.
Innanzitutto a L. Gallino e A. Giannuli, le cui dettagliate e lucidissime elaborazioni storico-teoriche hanno permesso agli autori di questo scritto di trovare un importante filo di Arianna nel tentativo di analisi della crisi del capitalismo contemporaneo. Un grazie di cuore anche al compagno Xu He, per la sua ottima condensazione delle principali tesi marxiane rispetto al primo cerchio di tendenze autodistruttive del modo di produzione capitalistico: ovviamente gli errori contenuti nel presente scritto ricadono solo sugli autori di queste pagine.

Prefazione
Prefazione Il presupposto fondamentale, il nucleo delle previsioni da cui si sviluppa il nostro processo di analisi che al massimo entro il 2014 il deficit pubblico degli USA risulter insostenibile ed ingestibile, per la borghesia statunitense ed i suoi variegati mandatari politici. Vi sono tre possibili/principali soluzioni alternative al default USA: - Guerra mondiale scatenata dagli USA. - Guerra civile negli USA. - Ipotesi Hong Kong, un compromesso planetario in cui gli USA accettino forzatamente una nuova configurazione dei rapporti di forza mondiale. Una previsione (verificabile/falsificabile dalla futura pratica sociale) che, se corretta e veritiera, anticipa il dispiegarsi di conseguenze di portata planetaria e gigantesche per il genere umano. La natura e la tendenza principale di tale sconvolgimento epocale dipenderanno infatti in ultima analisi solo dalla praxis collettiva, in primo luogo politico-sociale. Fantapolitica, fantaeconomia? Forniamo innanzitutto alcuni dati, alcuni giudizi e alcune osservazioni in merito. Il debito pubblico americano un porto sicuro proprio come lo fu Pearl Harbor nel 1941 (N. Ferguson, storico anticomunista, Financial Times, 13/02/2010). Secondo S&P le societ avranno bisogno di 30 trilioni di dollari per rifinanziare i bond in scadenza e i prestiti erogati nel periodo pre-crisi (le societ europee contano per il 30%), cui si aggiungeranno altri 13-16 trilioni di nuovi capitali che serviranno a finanziare la crescita. Un conto da 46 trilioni di dollari che rischia di sbilanciare ulteriormente gli equilibri economici mondiali. Agli Stati Uniti, infatti, serviranno 8,6 trilioni di rifinanziamenti, mentre sulla crescita verranno investiti poco meno di tre trilioni, cos come in Europa dove per la crescita verranno spesi meno di 2,3 trilioni. Ancora peggio il Giappone: 5,5 trilioni per i debiti in scadenza e neppure uno per leconomia. (www.repubblica.it 10 maggio 2012). Gli USA dal luglio del 2011 a fine ottobre, in soli quattro mesi hanno aumentato il loro debito pubblico di 800 miliardi di dollari sfondando quota 15.000 miliardi. Di questo passo le previsioni di arrivare a 23.000 miliardi nel 2020 saranno abbondantemente superate. Obama si dice preoccupato per la situazione debitoria europea io gli consiglio di guardare in casa sua. Guardate il grafico: non serve un economista per capire che la situazione fuori controllo e che sta peggiorando a vista docchio. Debito americano, 17 novembre 2011, gasalasco.blogspot.com. Il 12 gennaio 2012, il governo statunitense chiedeva linnalzamento del tetto del debito pubblico da 15.194 a 16.394 miliardi di dollari, mentre al 12 gennaio il deficit USA era ormai arrivato a quota 15.090. In un editoriale denuncia sul Wall Street Journal del 29 marzo 2012, Lawrence Goodman, un ex funzionario del Tesoro che al momento presiede il Centro di Stabilit Finanziaria, riferisce che la banca entrale americana ha comprato sinora il 61% del debito degli Stati Uniti, avvertendo di tutti i pericoli di un tale comportamento. Lanno scorso la Fed ha comprato un impressionante somma, pari al 61% del debito emesso dal Tesoro, in rialzo anche rispetto ai livelli della crisi subprime nel 2008, si legge nellarticolo. La maggiore economia mondiale dei mercati rischiano di subire una correzione improvvisa e decisa se le cose non vengono riportate alla normalit. Questa situazione non fa che creare la falsa illusione di una domanda senza limiti per il debito

USA, ma soprattutto nasconde lurgenza di ridurre i deficit fiscali di dimensioni spropositate. (www.finanzaonline.com) N. Roubini, intervista del 19 agosto 2011 al Wall Street Journal: Karl Marx aveva ragione. Ad un certo punto, il capitalismo pu autodistruggersi. (Karl Marx, Il Capitale, libro terzo, cap. 15, par. terza: il vero limite della produzione capitalistica proprio il capitale.) Ron Paul, senatore repubblicano del Texas e candidato alla presidenza degli Stati Uniti, 19 luglio del 2011: quando una nazione indebitata al livello in cui noi (gli Stati Uniti) ci siamo indebitati, la nazione fa sempre bancarotta. Noi andremo in default perch il debito insostenibile. Il Manifesto, 13/9/2011: il Financial Times ha rivelato che il ministro Tremonti ha chiesto a Lu Eiji, amministratore della China Investment Corp, di acquistare BOT e CCT italiani. Allan Sinai, economista statunitense, 27 giugno del 2011: se entro la fine del 2012 il debito pubblico degli USA continuer a crescere a questo ritmo insostenibile, pu scatenarsi una nuova crisi finanziaria: ad un certo punto gli investitori smetteranno di comprare prima i titoli di Stato e poi le azioni USA. Bill Gross, marzo 2011: il debito complessivo degli USA (ivi compreso famiglie e aziende) pari a 75 trilioni di dollari, cinque volte il prodotto interno lordo americano. Barack Obama, 16 luglio 2011: intesa sul debito (statale degli USA) o sar lArmageddon. N. Roubini, 5/9/2010: gli USA hanno finito le munizioni per evitare un double-dip, una seconda recessione ravvicinata dopo quella del 2008/2009. N. Roubini, 5 agosto 2011: gli Stati Uniti hanno il 50% di probabilit di finire di nuovo in una recessione. D. Bianco, stratega azionario della Merrill Linch, agosto 2011: il rischio di unaltra recessione (dopo quella del 2008/2009) aumentata fino all80%. K. Rogoff, economista, 5 agosto 2011: la crisi? Chiamatela la Grande Contrazione Lespressione Grande Recessione da limpressione che leconomia (statunitense ed occidentale) stia assumendo il profilo di una tipica recessione, anche se un po pi severa qualcosa come un influenza molto brutta Tuttavia il vero problema che leconomia mondiale si eccessivamente indebitata, e non c alcuna via di scampo veloce senza un piano per trasferire ricchezza dai creditori ai debitori, tramite dei default (= bancarotte del debito statale, sovrano) o delle depressioni finanziare, o utilizzando linflazione. La prima Grande Contrazione naturalmente fu la Grande Depressione (degli anni Trenta) come rilevato da Anna Schwarz e dallultimo Milton Friedman. La contrazione si manifesta colpendo non solo la produzione e loccupazione, come in una normale recessione, ma anche debito e credito, e con il deleveraging (processo di riduzione della leva finanziaria, a partire dal deficit di bilancio statale) che tipicamente si completa in parecchi anni. Il presidente dellagenzia di rating cinese Dagong, Guan Jianzhong, il 6 agosto del 2011 a sua volta ha rilevato che gi dalla met del 2011 gli Stati Uniti sarebbero ormai assai vicini al default. Gli USA continuano a contare sul diritto di emettere dollari per mantenere una continuit nel rapporto fra debitore e creditore, ma alla fine immagina il presidente Guan Jianzhong il biglietto verde verr abbandonato ed allora gli Stati Uniti non potranno pi chiedere prestiti. E quel che peggio, le banconote in circolazione diventeranno cartastraccia. Uno scenario apocalittico: se le previsioni di questo signore fossero realistiche, la crisi del 1929 sarebbe Disneyland al confronto. Gli USA, infatti, sono un centro finanziario globale. Un crollo del sistema americano avverte ancora Guan si trasmetterebbe istantaneamente a tutto il mondo. (Liberazione, 07/08/2011). J. Stieglitz, 8 agosto 2011: a suo avviso, con laccordo teso ad evitare il default tecnico nellagosto del 2011, il presidente Barack Obama ha accettato una strategia squilibrata per la riduzione del debito, senza aumenti delle tasse, nemmeno per i milionari che tanto bene se la sono passata durante

gli ultimi ventanni, e nemmeno eliminando le regale fiscali alle compagnie petrolifere, che minano lefficienza economica e contribuiscono al degrado ambientale. Gli ottimisti affermano che limpatto macroeconomico dellaccordo per innalzare il tetto allindebitamento e impedire il default sar limitato sul breve termine, allincirca 25 miliardi di tagli alle spese per lanno entrante. Ma la riduzione dellimposta sul libro paga (che metteva oltre 100 miliardi di dollari nelle tasche dei cittadini americani) non stata rinnovata e sicuramente le imprese, in previsione degli effetti contrattivi del mancato rinnovo di questa misura, saranno ancora pi riluttanti a prestare. La stessa fine delle misure di stimolo produce effetti contrattivi. E con il prezzo delle case che continua a calare, la crescita che arranca e la disoccupazione che rimane ostinatamente alta (un americano in cerca di lavoro su sei non riesce a trovare un impiego a tempo pieno), quello che serve anche per riportare in ordine i conti pubblici sono altri stimoli di bilancio, non lausterity. Il fattore che pu concorrere a far lievitare il deficit il calo del gettito fiscale provocato dal cattivo andamento delleconomia: il rimedio migliore sarebbe tornare a far crescere loccupazione. Il recente accordo sul debito una mossa nella direzione sbagliata. N. Roubini, 25/09/2011: diventato ancor pi pessimista da quando tre settimane fa dava il 60% di probabilit per una nuova recessione degli USA entro il 2012. Business Day ha riportato che, nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Johannesburg il 20 di settembre, Roubini ora convinto che: gli Stati Uniti sono gi in recessione anche se non lammetteranno mai, e che il resto del mondo non sar isolato dagli effetti di un altro collasso globale. Ma c una ragione in pi che ha fatto guadagnare a Roubini il soprannome di Dr. Doom, quando ha fatto una previsione ancora pi clamorosa, affermando che ci saranno proteste anche nella pi grande economia planetaria. C una sempre maggiore disuguaglianza in tutto il mondo (). Se si dovesse entrare in unaltra recessione, ci saranno rivolte negli Stati Uniti. In unintervista rilasciata a CNBC, Soros crede che gli Stati Uniti sono gi in una seconda recessione e che alcune nazioni pi piccole della zona euro potranno fare default e lasciare la moneta unica. Intervista a R. Petrini, 14 novembre 2011 nel dicembre del 2009 il New York Times, citando un analista di Moodys, avvertiva che nel 2012 sarebbe venuta a scadenza una valanga di titoli e aggiungeva una sua previsione: ci travolger. Infatti oltre ai debiti pubblici ci saranno da rinnovare una montagna di bond che sono stati emessi prima della crisi del 2007 quando la liquidit scorreva abbondante: di solito hanno 5-7 anni di scadenza, dunque eccoci al capolinea, con il rischio che al loro rinnovo, quei bond si rivelino nientaltro che junk bond. Poi ci sono le obbligazioni bancarie e quelle delle aziende private emesse per far fronte ad acquisizioni ed operazioni di salvataggio. Il Financial Times, citando fonti di mercato, ha lanciato una stima del controvalore nominale del portafoglio dei titoli a rischio detenuti dallistituto. Se il calcolo risultasse esatto, JP Morgan avrebbe a bilancio titoli potenzialmente tossici per 100 miliardi di dollari. (Matteo Cavallitto, il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2012) Le alternative? Ipotesi default: modello Argentina? Islanda? O Grecia? Forse pu essere ipotizzabile quello che avvenuto in paesi disastrati come lArgentina o assai piccoli come lIslanda. Ma gi il fallimento selettivo della Grecia, che fa parte delleuro, sta presentando molti pi problemi di quanto si pensasse: non facile cancellarla con un tratto di penna. Basta sfogliare lultimo rapporto del CER (Centro Europeo Ricerche) per rendersene conto. Lunica ipotesi che resta quella di far comprare i titoli pubblici alle banche centrali. Non lo far mai nessuno.

Ed invece lo stanno gi facendo.

Capitolo primo
Capitolo primo Cronaca di una bancarotta annunciata Questo saggio ha come oggetto principale lipotesi Hong Kong: e cio un potenziale, futuro e pluridecennale compromesso storico su scala planetaria da costruirsi tra le forze soggettive di matrice socialista e collettivistica, a partire innanzitutto dalla Cina Popolare, e quelle invece contraddistinte da una ferrea scelta di campo capitalistica (di stato), a partire dalla maggioranza politico-sociale della borghesia, delle multinazionali e dellalta finanza statunitense, che traghetti senza guerre nucleari ed in alcuni decenni il nostro pianeta verso il socialismo, prima fase immatura del comunismo sviluppato (Marx, Critica al Programma di Gotha). Fantapolitica? Non proprio, dal 2008. Come aveva ricordato F. Mehring nella sua monumentale Storia della socialdemocrazia tedesca, esprimendo uno spunto poi ripreso da Lenin, in alcune occasioni Marx ed Engels espressero lopinione antidogmatica che il miglior modo per attuare una rivoluzione socialista mondiale fosse quella di comprarsi lintera banda capitalistica; e cio, grazie a rapporti di forza divenuti favorevoli, di controllare sul piano materiale la borghesia assicurandosi di conseguenza una transizione pacifica al socialismo su scala planetaria e garantendosi, come not Lenin per la Russia del 1918, la sottomissione volontaria al potere operaio con i metodi del compromesso o del riscatto dei capitalisti progrediti, che sono favorevoli al capitalismo di stato, dei capitalisti utili per il proletariato come intelligenti ed esperti organizzatori delle pi grandi imprese.[1] Ai tempi di Marx non erano presenti, neanche in embrione, i rapporti di forza favorevoli (reali, concreti e non solo potenziali) ed una reale (non solo potenziale) posizione di supremazia a favore del movimento anticapitalistico indispensabile per attuare, con forti probabilit di successo, tale operazione di acquisto/compromesso. Sempre la correlazione di potenza mondiale, anche se enormemente migliorata rispetto al 1865/83 grazie allOttobre Rosso, non risultava ancora matura a tal fine quando Lenin nel 1920, con geniale anticipazione, not che un processo rivoluzionario pacifico e indolore, ordinato e regolato (Lenin), indubbiamente il pi vantaggioso (Lenin) per le masse popolari, presupponeva proprio una situazione assolutamente disperata per i capitalisti, una necessit assoluta per i capitalisti di sottomettersi di buon grado.[2] Il rapporto di forza mondiale estremamente favorevole alle forze anticapitaliste, necessario ed indispensabile per comprarsi lintera banda, rappresentava solo un futuro lontano ed eventuale quando nel 1924 Stalin immagin, con lucidit visionaria, uno scenario in un avvenire lontano, nel quale se il proletariato vincer nei principali paesi capitalistici e se lattuale accerchiamento capitalistico sar sostituito da un accerchiamento socialista, una via pacifica di sviluppo sar del tutto possibile per alcuni paesi capitalistici, in cui i capitalisti, di fronte a una situazione internazionale sfavorevole, giudicheranno opportuno fare essi stessi volontariamente delle concessioni serie al proletariato. Ma questa supposizione (alias scenario ipotetico), riguarda solo un futuro lontano ed eventuale.[3] Analisi scolastiche ed ipotesi bizantine, si potrebbe forse rilevare a prima vista. Ma la profonda, reale e non scolastica trasformazione dei rapporti di forza planetari, verificatasi tra il 1992 ed il 2012, porta invece alla conclusione paradossale che il futuro lontano ed eventuale intravisto da Stalin nellaprile del 1924 sia diventato, seppur con modalit diverse da quelle previste dal leader georgiano, proprio il particolare attimo fuggente che stiamo vivendo attualmente ed a cui parteciperemo nel prossimo triennio. Con due sole alternative possibili, da parte della borghesia statunitense: una guerra atomica

mirata con un attacco nucleare a sorpresa contro Cina ed Iran, o la guerra civile nel suo paese. Ma procediamo con ordine. Cinque formidabili colpi di maglio, seppur pacifici e dilatati nel tempo, stanno ormai cambiando alla radice la dinamica della correlazione di potenza, sia internazionale che tra le due principali squadre operanti sul piano politico-sociale, e cio il campo socialista e quello imperialista. Primo e principale shock, il profondo e disastroso declino economico dellimperialismo statunitense via via delineatosi dopo il 1998, ormai trasformatosi dopo il 2008/2011 in una bancarotta finanziaria del debito pubblico, arginata e tamponata ormai a stento e con sempre maggiore fatica. Il TitanicUSA, in estrema sintesi, contraddistinto anche dalla crescente insostenibilit delle spese militari (700 miliardi di dollari nel 2011) rispetto a risorse globali interne sempre pi ridotte. Secondo J. Attali, i prestiti annuali rappresenteranno il 248% delle entrate fiscali; il Tesoro americano deve rifinanziare ogni anno pi della met del suo debito; lo fa per met con capitali venuti dallestero, di cui la met proveniente dal Giappone e dalla Cina. Nel 2009, gli interessi sui buoni del Tesoro americani rappresentavano gi il 34% dellonere del debito, con un tasso dinteresse medio del 3,3%.[4] Secondo evento epocale, lenorme sviluppo pacifico ottenuto dalla Cina (prevalentemente) socialista in tutti i campi durante gli ultimi tre decenni, specialmente (ma non solo) in campo economico e finanziario. Con lenorme saggio di accumulazione interna (pari nel 2010 al 45% del PNL cinese), il prodotto nazionale lordo del gigantesco paese asiatico potrebbe addirittura quadruplicare tra il 2011 ed il 2025, nel giro di soli quindici anni, per effetto del meccanismo magico della crescita composta/esponenziale (un chicco di grano, dopo soli sei raddoppi, si trasforma in 64 unit), in assenza di guerre e/o collassi politici interni. Terzo fenomeno di portata planetaria, derivato dai due precedenti, il sorpasso acquisito tra il 2009 ed il 2010 dalla Cina Popolare rispetto agli Stati Uniti in campo economico, tenendo conto del parametro della parit del potere dacquisto: come ha previsto persino larciborghese istituto danalisi Conference Board, nel novembre del 2010, gi nel 2012 a suo avviso la Cina avrebbe scavalcato limperialismo statunitense come prima potenza economica globale, sempre utilizzando il criterio della parit del potere dacquisto.[5] Come avvenne nel 1880/1890 per gli Stati Uniti, rispetto alla declinante potenza britannica, ormai siamo in presenza di un nuovo numero uno in campo economico e sempre su scala planetaria, che parla lingua cinese. Quarto shock, dal 2008 la Cina ormai diventata il principale paese creditore nellarena planetaria e risulta inoltre di gran lunga il maggior finanziatore estero dellindebitatissimo Titanic-USA: erano cinesi 1100 miliardi di titoli di Stato USA, nel luglio del 2011. Come gli Stati Uniti passarono dallo stato di paese debitore (1914) a quello di creditore dellintero pianeta, nel 1944-48, lo stesso processo epocale a favore della Cina (e contro gli stessi Stati Uniti) si verificato nel corso del periodo 1991/2012. Quinto elemento, la semistagnazione statunitense del 2000/2011, a dispetto del pauroso deficit statale e dei tassi dinteresse tenuti praticamente a zero dalla Federal Reserve, incremento del PNL assai bassi, alias 3% di aumento del PIL nel 2010 e solo il 2,1% nel 2011: i pi ridotti di sempre nel paese, dopo la fase depressiva. Questa la ripresa pi debole con una ricrescita del PIL nel primo anno e del 2,5% in media nel 2011: ben sotto il balzo del 6,8% tipico del primo anno in tutti i cicli precedenti quando, a partire dal sesto mese dalla fine della recessione, si creavano oltre 100 mila nuovi posti di lavoro ogni 30 giorni. Tutto cambiato con gli anni 90. Oggi siamo al 24 mese dalla fine ufficiale della recessione pi grave dalla Grande Depressione e la disoccupazione ancora al 9,1% poco sotto il 9,5% del giugno 2009.[6] Dal 27 giugno del 2011, la situazione USA non migliorata sostanzialmente: anzi.

La combinazione dialettica tra i cinque colpi di maglio, che in forma molecolare (Gramsci) e pacifica stanno ormai progressivamente scardinando il vecchio disordine mondiale a guida statunitense, sorto dalle ceneri dellUnione Sovietica e dopo il tragico triennio 1989/91, potrebbe aprire sei possibili scenari alternativi tra il 2012 ed 2015, gli ultimi quattro di grande portata. Essi sono unificati da un presupposto materiale fondamentale, e cio il disastroso stato delle finanze statali degli USA. Se il debito pubblico (al netto del deficit degli stati federali) risultava pari a solo 6.800 miliardi di dollari alla fine del 2000 e della presidenza Clinton, esso era decollato a 10.000 miliardi alla fine del 2008, con Bush junior, ed a 14.300 miliardi di dollari nel giugno del 2011: da esso andavano tolti (sempre nel giugno del 2011) 4.600 miliardi di dollari di contributi versati che eccedevano la spesa corrente per pensioni e sanit, accantonati presso il Tesoro USA, ma considerati debito pubblico, ed invece aggiunti circa 3.000 miliardi di debiti accumulati dai diversi stati federali, California in testa.[7] Ma non solo. Al deficit (reale) di bilancio pubblico centrale degli USA vanno aggiunti, come ricordava per lennesima volta Il Sole 24 Ore del 7 agosto del 2011, anche i circa 3.000 miliardi di passivi accumulati da Fannie Mae e Freddy Mac, due istituti finanziari di mutui che sono stati in sostanza nazionalizzati gi nellautunno del 2008. In estrema sintesi, a fine giugno 2011 il debito pubblico USA era pari a 14.300 mld meno 4.000 mld, pi 3.000 mld pi 3.000 mld: alias ad almeno 16.300 mld, circa il 110% del PNL americano. Secondo B. Gross, capo della Pinco, ben 10.000 miliardi di dollari in obbligazioni verranno a scadenza negli USA nel 2012/2014, mentre a sua volta il tasso di aumento del debito statale (escludendo gli stati federali, Fannie Mae/Freddy Mac), risultava nel 2011, pari a circa 1.300 miliardi di dollari annui, equivalenti a circa l8,5% del PNL USA.[8] Cosa riserva il prossimo triennio (2012-2014), alla disastrata azienda-USA? Partendo dallopzione a nostro avviso nettamente meno probabile, la prima ipotesi prevede un processo di riproduzione sostanzialmente neutra ed invariata (con qualche modifica non essenziale) della situazione finanziaria degli USA e della correlazione di potenza internazionale formatasi dopo il 1990/91 ed il crollo dellUnione Sovietica, senza radicali modifiche nella struttura dellodierno capitalismo finanziario e senza sue crisi catastrofiche. La dinamica concreta dei rapporti di forza globali, in primo luogo economico-finanziari, porta a ritenere assai improbabile il verificarsi di questo ottimistico scenario. Un osservatore acuto, ma alieno da qualsiasi tentazione rivoluzionaria o anticapitalistica, come J. Attali ha notato in un suo interessante saggio del 2011 (intitolato significativamente Come finir?) che ormai ci si pu dunque aspettare nel 2010 un deficit del bilancio federale americano di 1.600 miliardi dollari e di almeno 1.300 nel 2011. A questa data, il debito pubblico americano rappresenter il 400% delle entrate dello Stato (in altre parole, quattro anni di redditi fiscali) e l80% del PIL. Nel 2012, il governo americano dovr rimborsare 8500 miliardi di dollari di obbligazioni e finanziarie, in deficit di almeno 1.000 miliardi di dollari. E pi ancora negli anni successivi. Secondo le previsioni dellamministrazione attuale, il deficit di bilancio federale rester ogni anno superiore al 4% del PIL almeno fino al 2019. Secondo la BRI, il debito federale americano raggiunger il 150% del PIL nel 2020. Gli oneri dinteresse rappresenteranno, al livello attuale dei tassi, il 25% di entrate fiscali. Occorrer aggiungere le spese legate al nuovo programma della sanit, valutate intorno a 16.000 miliardi per il prossimo decennio. Inoltre se i tassi dinteresse salgono e anche se il dollaro resta la principale valuta di riserva mondiale, la situazione non sar tollerabile.[9] Troppi debiti pregressi: ormai si accumulato troppo materiale infiammabile e da troppo tempo per permettere una continuit sostanzialmente stabile sia nel processo di riproduzione dellaccumulazione capitalistica, che negli equilibri/squilibri di potenza esistenti su scala internazionale, a partire soprattutto dalla situazione disastrosa del Titanic-USA e dellascesa pacifica, ma rapida e continua della nuova superpotenza cinese?

Nuovi interventi da parte della FED? Non ce la fa pi, visto che ha gi dato 16.100 miliardi in aiuti dal 2007 al 2010 a Citigroup, Gran Bretagna, grandi istituti occidentali, ecc.[10] Aiuti agli USA da parte dellEuropa? Certo, una volta superati piccoli problemi di nome Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia! Forse dal Giappone? Gi dato, e del resto la potenza nipponica risulta in uno stato semicomatoso dopo il pauroso maremoto a Fukushima, oltre ad essere entrata in recessione allinizio del 2011 per lennesima volta dopo il 1990 e con linizio della cosiddetta decade perduta. Il risparmio americano? Solo il 6% del PNL, contro il 17% nellanno di riferimento del 2010 per la Germania. Ricorrere alle imprese, alle famiglie ed ai singoli cittadini statunitensi? Ancora alla met del 2011, questa trinit era gi paurosamente indebitata per una somma globale ufficialmente pari a circa 36.000 miliardi di dollari (36.300 pi 14.400 miliardi di debiti statali, uguale a 50.700 miliardi, circa 3,5 volte il PNL USA del 2011), ma in realt assai pi elevata (B. Gross, marzo 2011). Utilizzare una normale svalutazione del dollaro? Gi fatto: nel 2002 il dollaro valeva un euro, mentre nel 2011 1,43 dollari servivano per acquistare un euro. Secondo scenario, solo leggermente pi probabile: avvio di un autoriforma profonda, ma controllata e progettata dallalto, senza avere lacqua alla gola, da parte del principale anello di sostegno della rete capitalistica mondiale, e cio limperialismo statunitense attraverso i suoi mandatari politici al potere: una riedizione, riveduta e corretta, del New Deal e di quel particolare compromesso sociale di lunga durata che ha garantito a sua volta la genesi e la fioritura di quella lunga Estate di San Martino del capitalismo che si riprodotta quasi senza soluzione di continuit nelle metropoli imperialistiche tra il 1948 ed il 1973. In primo luogo, marcia contro tale ipotesi il durissimo fatto testardo, a cui accennava J. Attali nel passo sopracitato del suo libro, per cui proprio nel corso del 2012 il Tesoro USA sar costretto ad emettere titoli per oltre 2.000 miliardi di dollari per spegnere lincendio (D. Frenna), alias per rimborsare titoli di stato e junkbond in via di scadenza nel solo 2012.[11] Ma contro il verificarsi di tale scenario sta soprattutto il fatto eclatante per cui la principale controtendenza emersa dal 1929 contro i processi autodistruttivi del modo di produzione capitalistico, ivi compresa la tendenza alla caduta del saggio di profitto, e cio lintervento pubblico in campo economico attraverso lutilizzo del deficit statale per stimolare il processo di accumulazione privata, da essenziale strumento di salvezza e fondamentale rete di protezione per legemonia della borghesia si ormai trasformato da alcuni anni in una trappola, potenzialmente disastrosa, per la stessa riproduzione pacifica del sistema imperialistico. In estrema sintesi, siamo in presenza almeno dal 2008 di una crisi profonda del debito sovrano e dei conti pubblici, di grande portata. In estrema sintesi, un nuovo Roosevelt (del 1933/35) non potrebbe servirsi dellarma magica del deficit statale per arginare la recessione economica statunitense e mondiale, perch qualcuno ha gi utilizzato troppo, e da troppo tempo, tale ormai logoratissima bacchetta magica. Se nel 1929 i conti statali americani risultavano quasi in pareggio ed il rapporto deficit statale/PNL era pari solo al 16%, nel solo 2011 il bilancio statale degli USA (senza contare quello dei singoli stati federali, a partire dalla California) ha registrato un pauroso deficit pari a circa 1.300 miliardi di dollari ed all8,5% del prodotto nazionale lordo. E non solo: vista lenorme dilatazione del debito pubblico statunitense, anche lo strumento dappoggio dellinflazione (che ridurrebbe la morsa complessiva del deficit statale) ormai comporta una pesantissima e letale controindicazione, alias laumento esponenziale dei tassi dinteresse e delle somme destinate a pagare i proprietari dei titoli di stato americani. Linflazione unaltro strumento ormai inutilizzabile per affrontare la devastante bomba ad orologeria del debito pubblico interno. Secondo Attali, le autorit americane dovranno prima

invece decidersi infine ad aumentare le imposte per ridurre la spesa pubblica, facendo affondare le ultime illusioni di un ritorno alla crescita, come accadde gi nel 1936 quando Morgenthau impose a Roosevelt di rinunciare al lassismo di bilancio dei primi anni del suo mandato. Il presidente americano, qualunque esso sia, sceglier allora certamente la via dellinflazione per evitare la depressione un ricorso ricorrente nella storia americana: un inflazione del 6% su cinque anni pu ridurre il rapporto debito/PIL di venti punti. Accetter anche, con extrema ratio, lemissione e la distribuzione di somme in valuta dellFMI, i Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Di conseguenza verr fabbricata una nuova cartamoneta, emettendo unaltra valuta, che completer la planopia dei finanziamenti immaginari dei deficit pubblici, questi si, reali. Se non si rimette in sesto, come ha fatto cos spesso nella sua storia, lo Stato americano sar rovinato dallinflazione. Il dollaro terr soltanto con il beneplacito di Pechino. La crisi finanziaria apparir allora come una tappa importante nellaccelerazione della perdita di fiducia del mondo nei confronti dellOccidente e nello spostamento del centro del mondo verso lAsia.[12] Purtroppo per la borghesia statunitense ed i suoi variegati mandatari politici, pi inflazione significa anche necessariamente un rialzo dei tassi dinteresse e del servizio/saggio dinteresse sui titoli di stato americani, con il derivato incremento esponenziale dello stesso debito pubblico. Come ha notato lo stesso Attali, in caso di aumento di tassi dinteresse dei buoni del Tesoro, questaumento finir per pesare molto sulle finanze pubbliche americane. Un aumento di due punti dei tassi dinteresse far passare lonere del debito al 40% delle entrate fiscali. E questo lunico indicatore serio che annuncia ai creditori limminenza di una grave crisi del debito pubblico.[13] Non solo: gli enormi problemi di deficit si collegano alla nuova stagnazione del 2011/2012. Fin dallagosto 2011 negli USA nasceva una growth scare, la paura della mancata crescita, di una ricaduta nella recessione, che i dati sulla debolezza persistente delleconomia occidentale fanno temere. Dietro a questa fuga dalle borse, in altre parole dagli investimenti in imprese e nelleconomia reale c, secondo molti commentatori, la convinzione che lAmerica si stia avvitando in una nuova recessione. Puntano in questa direzione i dati pi recenti sullindustria manifatturiera, sulla fiducia dei consumatori, le previsioni (lultima, del Conference Board, di ieri) sul ritmo asfittico di assunzioni nel mercato del lavoro. Il recente accordo sul debito, con i suoi drastici tagli di spesa, avr un effetto depressivo, togliendo risorse alleconomia e, dunque, facendo rallentare le entrate fiscali, aggravando, cos, il problema del debito. Ma, fra i dati, fa capolino anche lo spettro di un male raro, ma devastante: la deflazione, ovvero la contrazione dei prezzi dovuta alla mancata crescita economica. I segnali ci sono. Le aziende americane sono floride, hanno pi soldi che debiti, ma non investono. La Bank of New York, una delle pi grandi negli Stati Uniti, ha cominciato ad applicare tassi negativi per i depositi sopra i 50 milioni di dollari: in altre parole, fa pagare per tenere i soldi in banca. Anche tassi cos bassi come lo 0,22% sui titoli pubblici a due anni, in realt, preoccupano. Fanno temere quella che gli economisti chiamano trappola della liquidit, cio una situazione in cui i tassi sono cos bassi che la banca centrale non ha pi margini per abbassarli ulteriormente e stimolare cos leconomia.[14] Le vie facili e normali, almeno dal 1929 in poi, di uscita dalla recessione economica, con laumento pi o meno combinato del deficit statale e/o dellinflazione, sono ormai precluse a priori per il sistema capitalistico statunitense e (per diverse ragioni) anche per i suoi partner/concorrenti, larea europea e quella nipponica. E a sua volta, tagliare il deficit statale attraverso un nuovo processo di distruzione del (residuo) stato sociale americano rappresenta, secondo il premio Nobel P. Krugman, solo un nuovo stimolo allaggravamento della crisi economica (e dello stesso debito statale USA), visto che il tentativo di giungere al pareggio di bilancio in tempi di crisi economica una ricetta per peggiorare la crisi. Tagli alle spese effettuati oggi non riporterebbero leconomia su basi pi solide: ridurrebbero la crescita e aumenterebbero la disoccupazione. Anche Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, parlando davanti alla Commissione economica del Congresso USA, ha affermato che tagli immediati alle spese rallenterebbero

leconomia. Anchegli si detto preoccupato per la disoccupazione, oggi oltre il 9 per cento nel luglio 2010.[15] La strada iperpacifica di tagliare drasticamente le spese militari statunitensi? Obama ed i democratici le hanno addirittura aumentate, almeno nel 2009/2011, in piena sintonia su questo punto con i repubblicani: senza un formidabile intervento allarme rosso finanziario, esterno (estero), tale (utilissima, fattibile) via di fuga autopreclusa al sistema imperialistico USA. A questo punto emerge una terza ipotesi, far saltare il tavolo da gioco attraverso lo scenario Gingrich dottor Stranamore. Progettualit il cui nucleo centrale una (possibile) praxis della borghesia statunitense, tesa sia ad ammettere e dirigere il default/bancarotta del debito statale americano che, allo stesso tempo, a lanciarsi in un rilancio in grande stile della guerra infinita di Bush. Ma questa volta su scala dintensit di gran lunga maggiore, mirando al cuore del suo nemico principale sul fronte internazionale, e cio la Cina e la sua (pacifica) rete di alleanze: attacco allIran, provocazioni aperte su Taiwan, dispiego delle armi stellari ai confini di Russia e Cina, alimentazione di scontri armati di ampie proporzioni al (gi caldo) confine tra le due Coree, potrebbero diventare alcuni dei tasselli della praxis di un nuovo e potenziale SuperBush, ancora in cerca di autore e di un leader politico che lo interpreti. Sotto laspetto della (possibile) strategia del far saltare il tavolo da gioco, finanziario-planetario e delle relazioni internazionali, alcuni suoi germi erano gi emersi nella calda estate del 2011. Come aveva lucidamente notato V. Giacch, il 30 giugno le agenzie hanno battuto la notizia dellennesima minaccia di Standard & Poors di abbassare il rating del debito di uno Stato addirittura a D: selective default, ossia insolvenza su alcune obbligazioni. Per, per una volta, non si trattava dellEuropa, ma degli Stati Uniti. Non era mai successo. Il motivo? La minaccia dei repubblicani di bloccare la legge per elevare il limite massimo di debito consentito oltre i 14,3 trilioni di dollari attuali. Siccome il debito USA presto superer quella soglia, in assenza della legge un obbligazione a breve termine in scadenza il 4 agosto, del valore di 30 miliardi, non potr essere ripagata. Il problema che i repubblicani, in cambio di un loro voto favorevole, chiedono che Obama, anzich alzare le tasse (in particolare ai ricchi), tagli pesantemente la spesa pubblica.[16] Anche se la crisi estiva del default tecnico del luglio-agosto 2011 stata (a fatica) messa sotto controllo, essa ha rappresentato una sorta di fulmine che ha illuminato il fosco scenario del debito sovrano statunitense e la possibilit di una sua drastica eliminazione, attraverso la dichiarazione unilaterale di bancarotta da parte statunitense: con il derivato annullamento del debito contratto in precedenza, lazzeramento del pagamento degli interessi sui titoli di stato USA e limpossibilit, pi o meno prolungata nel tempo, di spendere anche un solo dollaro per gli stipendi dei dipendenti pubblici e per i servizi statali. Fantapolitica? Non proprio visto che, almeno rispetto agli stati federali in grave dissesto finanziario, due autorevoli esponenti del partito repubblicano quali Newt Gingrich e Jeb Bush (si, il fratello di Bush junior), hanno auspicato il default controllato fin dal luglio del 2011, e hanno apertamente sostenuto una sorta di soluzione finale. Come ha notato D. Maceri, nel 1995 Newt Gingrich, presidente della Camera dei rappresentanti, chiuse le porte del governo per una settimana perch non voleva approvare una legge che aumentasse il tetto di spesa dellamministrazione. Adesso, Gingrich suggerisce qualcosa di pi drastico per risolvere i bilanci degli stati che si trovano in condizioni precarie. In un recente articolo scritto insieme a Jeb Bush ex governatore della Florida e fratello dellex presidente George, pubblicato sul Los Angeles Times, Gingrich sostiene che la soluzione la bancarotta. Dichiarando fallimento gli Stati si potrebbero proteggere dai creditori e non pagare i costi per tutti i servizi che devono offrire e ovviamente abrogare i contratti con gli impiegati statali, incluse le loro pensioni.

Lo stato di insolvenza lultima carta dei repubblicani per affamare la bestia, ossia il governo, togliendogli tutti i fondi e ricominciare daccapo offrendo servizi limitati e colpire naturalmente i sindacati visti come responsabili della crisi economica. Andare in bancarotta non facile per gli individui anche se offre un minimo di protezione temporanea ma con notevoli conseguenze negative. Per un azienda la bancarotta a volte possibile ma anche qui si tratta di serie situazioni. La bancarotta per una citt legale negli Stati Uniti e, anche se non tipica, pu avvenire. E successo nella Contea di Orange, California del Sud, non lontano dal noto parco di divertimenti di Disneyland. Ci sono voluti diciotto mesi per la ripresa della citt, ma il grande vantaggio secondo la destra che non si sono aumentate le tasse. La legge federale non permette agli Stati di dichiarare bancarotta, quindi non ci sono possibilit che ci avvenga. Si tratta solo di un idea radicale che spinge il concetto antigoverno ad un punto estremo. Sorprende che i proponenti di questidea siano Bush e Gingrich. Per il primo si tratta di un repubblicano di reputazione moderata il quale sarebbe dovuto diventare presidente invece del fratello. Ovviamente Jeb non ha perso le speranze e ci sono possibilit che fra non molto ritorni a galla come candidato alla Casa Bianca, non per il 2012 ma pi in la. Gingrich, da parte sua, ha gi fatto capire che sta facendo un pensierino per il 2012. In un suo intervento ha dichiarato che i leader alla nomination repubblicana al momento sono Mitt Romney, ex governatore del Massachussetts, Sarah Palin, ex governatore dellAlaska, e Mike Huckbee, ex governatore dellArkansas. Romney e Huckbee sono stati candidati alle primarie repubblicane del 2008 ma sono stati sconfitti da John McCaine. La Palin stata scelta da McCain come sua vice. [17] Gi nel luglio del 2011 F. Ghira avanzava lipotesi che, come fece Nixon nel lontano 15 agosto del 1971, la direzione politica statunitense volesse scaricare il crack USA sul resto del mondo, almeno dopo le elezioni presidenziali del novembre 2012. Fallire oggi (luglio del 2011) non si pu, nel 2012 ci sono le presidenziali, meglio farlo pi in l. In effetti il livello del debito altissimo. A fine marzo era pari a 14.260 miliardi di dollari, che pari al 97,3% del Prodotto interno lordo. Ma contando anche i debiti degli enti locali, il suo livello pari al 130% del Pil, cifra che fa impallidire lattuale 120% italiano. Se poi si tiene conto che anche la bilancia commerciale USA in profondo rosso (600 miliardi di dollari nellintero 2010 e 50 miliardi solo nel maggio scorso, il record degli ultimi tre anni) si ha una chiara idea del fatto che i cittadini degli Stati Uniti vivono ben al di sopra delle proprie possibilit, e che i costi del loro sostentamento sono scaricati sul resto del mondo. Questo possibile soltanto in virt del fatto che il dollaro, nonostante le debolezze del sistema economico che rappresenta (tra debito pubblico e commerciale e debito delle famiglie), resta la moneta per eccellenza negli scambi internazionali e soprattutto la moneta di riferimento nellacquisto delle materie prime, da quelle energetiche, petrolio e gas, fino a quelle alimentari, come il grano. Se si ponesse come forte e reale un alternativa al dollaro, rappresentata da unaltra moneta, sia essa leuro o lo yuan cinese, per il biglietto verde sarebbe notte fonda. Oggi per, e non ci stancheremo mai di ricordarlo, il dollaro continua ad imporre la sua supremazia in quanto rappresenta la prima potenza militare del globo che, avendo centinaia di migliaia di suoi cittadini sotto le armi, deve poter disporre di una moneta con la quale poter sancire il proprio ruolo di Paese occupante. E questo vale sia per i Paesi in cui sono in corso conflitti, sia per i tradizionali alleati degli Stati Uniti che gi hanno concesso lutilizzo di basi militari sul proprio territorio, dalle quali partire per una delle tante crociate che sono la caratteristica degli USA, a partire dalla guerra dei primi del Novecento contro la Spagna per il controllo di Cuba. E poich stiamo parlando di corsi e ricorsi storici c da ricordare che il 15 agosto del 1971, a Borse

chiuse, Richard Nixon decret la fine della convertibilit del dollaro in oro prendendo atto che era cos alta la quantit di banconote verdi in circolazione, derivanti dal commercio del greggio, i cosiddetti petrodollari, pompati dalla Casa Bianca e dal Tesoro per tenere bassi i prezzi praticati dai Paesi produttori, da rischiare di vedere prosciugate le riserve auree USA. Questanno Ferragosto cade di luned ed essendo gli uffici pubblici in molti Paesi chiusi per festa, alla Casa Bianca si offrirebbero tre giorni buoni per fare un annuncio eclatante e tentare di ammortizzare i contraccolpi.[18] E appena il caso di rilevare che una bancarotta statunitense sarebbe, e sarebbe vista/vissuta, come una sorta di dichiarazione di guerra finanziaria dagli stati creditori dellAmerica sparsi in tutto il mondo, Cina, Giappone, petrostati arabi e Gran Bretagna in testa. Non solo, una bancarotta del debito pubblico trascinerebbe inevitabilmente con se nel default totale anche la stessa banca centrale statunitense, la parastatale Federal Reserve, che risultava gi nel 2011 il principale creditore dellapparato statale americano, superando sensibilmente la stessa Cina Popolare.[19] Non solo: un possibile default del debito sovrano USA porterebbe con se nel gorgo della bancarotta anche numerosi stati federali, gi sullorlo del fallimento per conto loro, a partire dalla California. Gi nel corso del 2011 non solo lo stato centrale, ma anche la parte degli Stati federali, annunciano dei grandi buchi nei propri bilanci: 125 mila milioni di dollari per i bilanci del 2011-2012, mentre per lanno in corso la somma supera i 130 mila milioni. Se questi bilanci saranno approvati, la tassa sul deficit per il 2010-2011 in Nevada arriver al 45,2%; in Illinois al 44,9%; al piccolo New Jersey al 37,4%; in Texas al 31,5% e in California al 29,3%. Tutti gli Stati federati registrano, in media, un deficit del 20%. Pi crescer la crisi immobiliare e lavorativa su scala regionale, maggiore sar il deficit. La crisi pi grave dopo quella degli anni 30 ha ancora drammaticamente raggiunto le entrate fiscali, che sono attualmente di un 12-15% al di sotto del livello precedente alla crisi. Senza laiuto finanziario dellUnione circa 140 mila milioni di dollari dallinizio del 2009 , che ha coperto circa il 30-40% del deficit, molti stati sarebbero gi in bancarotta da molto tempo. Senza un nuovo indebitamento, senza un flusso monetario da Washington, il deficit degli stati federati non avrebbe mai potuto essere finanziato.[20] Non solo. Nel maelstrom devastante della (possibile) bancarotta statunitense verrebbero trascinati nella rovina buona parte dei giganteschi fondi-pensione statunitensi, che possiedono e gestiscono buona parte dei titoli di stato e federali. Le citt, i municipi e gli stati federali americani sono per ora indebitati per un importo di tre bilioni di dollari. Come si diceva, funzioneranno ancora un po grazie allaiuto finanziario federale. Col 2011 finito il programma Build American Bonds, con cui lUnione aveva assunto un terzo degli interessi. Il mercato irromper immediatamente perch, a differenza che in Europa, sia le citt che gli Stati sono senza capitali e hanno grosse difficolt ad emettere buoni del tesoro (il New Jersey ha appena fallito nelloperazione. Gli interessi, insieme ai costi per la permuta dinadempimento creditizio (credit default swaps) dei buoni municipali montano alle stelle. Le cose diventeranno davvero gravi quando i ciclopici deficit dei fondi di pensione entreranno nel campo visivo le perdite multimilionarie subite durante la crisi da questi depositi di professori e funzionari, non possono essere coperte dagli Stati federali, i quali non riescono nemmeno a farsi carico della ritardata riforma sanitaria. La verit che per gli Stati Uniti non si riesce a vedere allorizzonte la fine della crisi finanziaria.[21] Non solo: il dollaro statunitense diventerebbe subito mera carta straccia in tutto il mondo, privando limperialismo statunitense di quel diritto di signoraggio che, come notava Ghira, garantiva alla borghesia e a una parte dei lavoratori statunitensi di vivere ben al di sopra delle loro possibilit: fine immediata di questa costante ed iperbenefica fonte di reddito, per il sistema-USA. Non solo: in caso di bancarotta, lo scenario sociale USA assomiglierebbe a quello della California

del 2011, ma assai peggiorato ed esteso ovviamente su scala nazionale. Il rubinetto monetario ora si per chiuso, facendo scoppiare il panico finanziario, e tutti i governatori federali sono disperati. Jerry Brown, appena entrato in carica a gennaio, ha dichiarato la situazione demergenza finanziaria in California. E quindi i detenuti sono liberati in anticipo; le vacanze scolastiche prolungate; scuole, universit, biblioteche e musei chiusi (o privatizzati); salari fortemente ridotti; lofferta di posti pubblici paralizzata; e migliaia di funzionari inviati in vacanza o in pensione anticipata. In questo modo si sono aggiustati i conti e si smesso di pagare fatture multimilionarie accumulate nel corso degli anni, con prevedibili conseguenze disastrose per leconomia regionale, sostenuta dalla domanda pubblica. Tasse e aggravi fiscali sono fortemente aumentati in 30 stati federali, e bisogner aumentare ancora[22]. Con il default, cesserebbero di operare sia il Medicare che il Medicaid, i due piani statali che erogavano nel 2011 ben ottanta milioni di assegni mensili per lassistenza medica di base ad anziani, disabili e cittadini con i redditi pi bassi; gli stipendi dei dipendenti pubblici, ivi compresi i poliziotti, non verrebbero pi pagati; le scuole, le biblioteche, i musei pubblici non avrebbero fondi per luce e riscaldamento. In estrema sintesi, la guerra civile (di classe e/o razza) sarebbe subito dietro langolo negli Stati Uniti, come avvenne nella calda Detroit dellestate del 1967, in un paese in cui quasi tutti i cittadini, poveri o ricchi, bianchi o neri, sono ben armati e legittimamente armati, oltre che in media ben addestrati alluso delle armi da fuoco. Come potrebbero essere gestite, con qualche ragionevole possibilit di successo politico ed economica-finanziario, questo scenario da incubo dalla borghesia statunitense ed i suoi mandatari? Semplice, con i poteri straordinari derivanti dalla proclamazione dello stato di guerra da parte del presidente statunitense. Semplice, amplificando lincubo allennesima potenza, creando dal caos finanziario un supercaos bellico, occultando il caos-default con il supercaos-guerra, con un conflitto diretto contro Iran e (soprattutto, per forza di cose, perch Pechino ritenuta da Washington il principale nemico, oltre che realmente il principale creditore degli USA) contro Cina e, a cascata, Corea del Nord. Non contano, sotto questo profilo, i pretesti utilizzabili (e sono tanti), al fine di scatenare il supercaos planetario: un altro 11 settembre 2001, un altro incidente del Tonchino (Vietnam, agosto 1964) vicino a Taiwan, una presunta aggressione dei cattivi nordcoreani, oppure un presunto atto ostile attribuito ad altri paesi dellasse del male di Bush junior, un presunto atto di pirateria cibernetica attribuito alla Cina, ecc. I pretesti necessari si trovano sempre, la CIA ha una discreta esperienza pluridecennale in questo campo, mentre va sottolineato come (non casualmente) il 7 luglio del 2011 il Congresso statunitense abbia votato una legge che equipara gli attacchi via Internet agli USA ad atti di guerra contro la nazione, prendendo a pretesto dei presunti attacchi di hacker cinesi (guarda caso!) su target americani che si sarebbero verificati un mese prima. Invece conta il contenuto, lo scatenamento di una guerra di grandi proporzioni contro Cina ed Iran, che servirebbe contemporaneamente (in caso di successo, certo non garantito) a: tenere in stato di acquiescenza i lavoratori degli USA, visti gli interessi nazionali in gioco in presenza di una guerra su vasta scala; congelare gli effetti disastrosi sul piano economico del default del debito sovrano USA; far superare con rapidit le conseguenze disastrose dellazzeramento del valore di scambio/credibilit del dollaro come moneta unica di riferimento mondiale, grazie ed attraverso la liquidazione per via militare del principale nemico strategico degli Stati Uniti, la Cina Popolare; far implodere legemonia del partito comunista cinese sul gigantesco paese asiatico;

demolire in un sol colpo la nuova primatista mondiale in campo economico, la Cina Popolare, anche grazie al riesplodere dellattivit delle forze secessioniste in Tibet, Xinjiang, ecc.; far implodere il regime islamico iraniano e, a cascata, quello siriano; evitare uno scontro nucleare diretto con la Russia ed il suo ancora formidabile arsenale atomico, ma allo stesso tempo indebolire gravemente Mosca privandola del suo principale (e confinante) alleato geopolitico in campo internazionale, la Cina; legittimare a posteriori lannullamento unilaterale del debito statale americano in mano allo stato cinese, a quella potenza asiatica che diventerebbe in un solo istante (per unilaterale decisione di Washington) una potenza belligerante contro la superpotenza militare a stelle e strisce; legittimare a posteriori lannullamento del debito statale americano in mano ai petrostati arabi, Arabia Saudita in testa, grazie ed attraverso la liquidazione per via atomica del regime sciita di Teheran, super-odiato dai nuclei dirigenti sunniti del Golfo Persico; sviluppare enormemente il controllo statunitense sulla principale fonte/area energetica del pianeta, il Medioriente (e lIran americanizzato); quasi contemporaneamente allattacco di sorpresa al nemico principale, la Cina, poter stringere un pacifico blocco navale/aereo contro leroica isola cubana, rimasta senza alleati internazionali di grande peso; in seguito partire alla riconquista del vecchio giardino di casa, statunitense, lAmerica Latina. Grandi vantaggi, anzi immensi benefici potenziali deriverebbero alla borghesia statunitense da una vittoria nella nuova crociata contro Cina ed Iran. Si tratta di giganteschi dividendi politici, geopolitici ed economici, che tra laltro sarebbero ottenibili almeno a livello potenziale senza una guerra di sterminio rivolta contro le popolazioni cinesi ed iraniane, ma solo attraverso un attacco a sorpresa e mirato di tipo nucleare (con micro-bombe atomiche, a disposizione in grande quantit e gi da tempo negli arsenali statunitensi) contro i siti di lancio dei missili atomici intercontinentali dei cinesi e le loro principali basi aeree, contro i siti atomici della Corea del Nord e gli impianti di arricchimento nucleare iraniani, oltre che con umanitari assalti al sistema satellitare e cibernetico di Pechino. La superpotenza statunitense dispone dei necessari mezzi materiali, della massa critica militare indispensabile per portare a buon fine un simile attacco a sorpresa, il first strike nucleare contro i gangli vitali dellapparato bellico della Cina, Nord Corea e Iran? Purtroppo la risposta a tale domanda risulta positiva. Gli Stati Uniti dispongono attualmente di pi di quattromila testate nucleari, oltre che di migliaia di missili a lungo/medio raggio e di bombardieri che potrebbero raggiungere con estrema rapidit i target potenziali in Cina, Corea del Nord e Iran. Dispongono da molti anni dei piani dattacco e delle simulazioni del first strike contro i tre paesi in via desame. Dispongono di un bilancio militare gigantesco, spendono tuttora (inizio del 2012) somme gigantesche per il loro apparato bellico e complesso militar-industriale. Ancora nel luglio del 2011, A. Mazzeo ha notato che il nucleo dirigente guidato da Obama, che lamministrazione degli Stati Uniti dAmerica sfida lopposizione repubblicana e una parte del Partito democratico e annuncia per il 2012 una manovra finanziaria lacrime e sangue per ridurre lo spaventoso debito pubblico di oltre 14.000 miliardi di dollari. Allorizzonte si profilano nuove tasse sui consumi e tagli alla spesa sociale e sanitaria per 4.000 miliardi ma il complesso militare industriale e i signori del Pentagono potranno comunque dormire sonni tranquilli. Il Congresso, infatti, con 336 voti favorevoli e 87 contrari, ha varato per il prossimo anno un bilancio della difesa record: 649 miliardi di dollari in nuove armi e missioni di guerra, 8,9 miliardi in meno di quanto aveva richiesto il presidente Obama, ma 17 miliardi in pi di quanto previsto nel budget 2011. Restano fuori dalla difesa perch

computate sotto altre voci del bilancio federale, le spese per la cosiddetta sicurezza nazionale, quelle per la ricerca e la sperimentazione di nuovi strumenti bellici e quelle per la realizzazione dinstallazioni militari nazionali e doltremare, per le abitazioni da assegnare al personale o per la produzione degli ordigni nucleari destinati ai cacciabombardieri strategici o ai missili a medio e lungo raggio imbarcati nei sottomarini. Anche se il Congresso ha confermato in buona sostanza il piano finanziario approntato dal Dipartimento della Difesa, sono stati approvati una serie di emendamenti che comportano il trasferimento di risorse da un programma militare allaltro, la cancellazione di alcuni progetti chiave del Pentagono e lacquisizione di sistemi darma non richiesti dai militari ma offerti dalle generose e potenti lobby dei fabbricanti. Pienamente esaudite invece le richieste del Pentagono di finanziamento dei nuovi cacciabombardieri F-35, di una nuova classe di sottomarini nucleari dotati di missili balistici e dei velivoli per il pattugliamento marittimo P-8 (destinati in parte alla base siciliana di Sigonella). Un premio extra di 335 milioni di dollari stato concesso inoltre per lacquisto di due satelliti del Wideband Global System, il sistema di telecomunicazioni satellitari che il Dipartimento della difesa sta sviluppando in cooperazione con le forze armate australiane (complessivamente il sistema assorbir nel 2012 investimenti per 804 milioni di dollari).[23] Gli USA dispongono di una formidabile rete di basi militari sparsi per quasi tutto il pianeta, a partire dal Giappone/Corea del Sud e collocate in prossimit delle coste cinesi. Come ha sottolineato Hugh Gusterson, prima di leggere questo articolo, cercate di rispondere a questa domanda. Quante basi militari hanno gli Stati Uniti in altri paesi: a) 100 b) 300 c) 700 d) 1000? Secondo una lista dello stesso Pentagono (1) la risposta 865, ma se si comprendono le nuove basi in Iraq e in Afghanistan la cifra sale a pi di mille. Queste mille basi rappresentano il 95% di tutte le basi militari che gli altri paesi hanno in territorio straniero. In altre parole, gli Stati Uniti stanno alle basi militari come Heinz sta al ketchup. Il vecchio modo di fare colonialismo, praticato dagli europei, consiste nel farsi carico di tutto un paese e amministrarlo. Ma un metodo superato. Gli Stati Uniti sono stati i pionieri di una gestione pi agile dellimpero mondiale. Lo storico Chalmers Johnson afferma: La versione nordamericana della colonia la base militare: gli Stati Uniti, aggiunge, hanno un impero di basi militari. Queste basi non costano certo poco. Escludendo le loro basi in Afghanistan e Iraq, gli Stati Uniti spendono circa 102 milioni di dollari allanno nella gestione delle basi allestero, secondo Miriam Pemberton, dellIstituto for Policy Studies. E in molti casi, dobbiamo chiederci a cosa servono. Per esempio, gli Stati Uniti hanno 227 basi in Germania. Forse avevano un senso durante la Guerra Fredda, quando la Germania era divisa in due dalla cortina di ferro e i responsabili della politica statunitense cercavano di convincere i sovietici che il popolo statunitense considerava un attacco allEuropa alla stregua di un attacco agli Stati Uniti. Ma nella nuova era in cui la Germania riunificata e gli Stati Uniti sono preoccupati per altri focolai di conflitto in Asia, Africa e Medio Oriente, che senso ha per il Pentagono mantenere le sue 227 basi militari in Germania, se non quello che avrebbe conservare per il servizio postale una flotta di cavalli e carrozze? Affogata nella burocrazia, la Casa Bianca si trova di fronte alla necessit di tagliare i fondi non necessari del bilancio federale. Il congressista del Massachussets Barney Frank, democratico, ha suggerito una riduzione del 25% del bilancio del Pentagono. Che consideriamo o meno realistico il calcolo di Frank, le basi allestero sono senza dubbio un obiettivo appetitoso per le forbici dei tagliatori di bilancio. Nel 2004, Donald Rumsfeld aveva stimato che gli Stati Uniti avrebbero potuto risparmiare 12.000 milioni di dollari con la chiusura di circa 200 basi allestero. Il costo politico sarebbe quasi nullo dato che le persone economicamente dipendenti dalle basi sono cittadini stranieri e non possono votare nelle elezioni statunitensi.

Ma le basi straniere sembrano invisibili a quelli che intendono tagliare il bilancio del Pentagono, che raggiunge i 664.000 milioni di dollari allanno. Prendiamo larticolo del New York Times The Pentagon Meets the Real Word (il Pentagono di fronte al mondo reale) (2). Leditorialista del Times chiede alla Casa Bianca di avere il coraggio politico di tagliare il bilancio della difesa. Suggerimenti? Sopprimere i programmi per lacquisizione del caccia F-22 e del distruttore DDG1000 e ridurre il Sistema di Combattimento futuro dellesercito di terra, allo scopo di risparmiare 10.000 milioni in pi allanno. Sono tutti suggerimenti accettabili, ma che succede con le basi allestero?.[24] Niente, e non a caso Lo scenario Gingrich-dottor Stranamore incontra tuttavia delle formidabili controtendenze, facilmente rilevabili (e rilevate da decenni, per fortuna) persino nei falchi pi accesi del complesso militar-industriale e della destra repubblicana. Il potenziale militare (e militar-nucleare, missilistico) cinese senzaltro nettamente inferiore a quello statunitense, ma di tutto rispetto e basterebbero solo tre-quattro ordigni atomici, sopravvissuti ad un eventuale first-strike nucleare degli Stati Uniti, per devastare per molti decenni economia, ecologia, e demografia del Titanic-USA, gi pericolante di per s Seconda controtendenza, la formidabile potenza nucleare della Russia: niente garantisce (anzi, tuttaltro) che Mosca rimanga immobile ed inattiva di fronte ad un eventuale attacco militare statunitense alla Cina, allIran, ecc. Terzo fattore, il complesso (ipergiustificato) del vaso di Pandora: una volta aperto coscientemente unilateralmente e in grande stile il vaso nucleare, con lutilizzo delle armi di sterminio di massa, ci si trova di fronte ad una situazione irreversibile e disastrosa. Chi la fa, laspetti: anche i pi accesi falchi statunitensi non potrebbero che mettere in conto il pericolo reale di continui attacchi terroristici con uranio impoverito, e/o micro-ordigni nucleari, armi batteriologiche sul suolo statunitense, in un incubo costante che durerebbe per decenni. Quarto elemento, linsurrezione dellopinione pubblica mondiale contro gli scoperchiatori del vaso di Pandora e gli utilizzatori di armi di sterminio per una seconda volta, dopo Hiroshima e Nagasaki. Quinta controtendenza, le multinazionali statunitensi (tantissime) che hanno investito (tantissimo) in Cina negli ultimi tre decenni. In caso di conflitto, verrebbero nazionalizzate subito le loro filiali in Cina, da Wal-Mart in gi, con tremende conseguenze finanziarie per le case-madri di Washington: esse sono una sorta di ostaggio americano nelle mani di Pechino. Siamo in presenza di controtendenze formidabili ed inevitabili, la cui presenza incombente prevale a nostro avviso nettamente sui potenziali (solo potenziali, anche se immensi) dividendi politici, geopolitici ed economici che deriverebbero da un eventuale (solo eventuale, assolutamente non sicuro, pieno di tremende controindicazioni) successo del primo colpo nucleare-limitato contro Cina, Iran e/o Corea del Nord. Solo se si sentisse realmente con le spalle al muro e minacciata concretamente nei suoi interessi vitali, nello specifico da unondata enorme ed incontrollabile di proteste di massa, scatenatesi da Los Angeles fino a New York, la maggioranza politica dellalta borghesia e dei centri nevralgici degli apparati statali (CIA e forze armate) potrebbero accettare i paurosi rischi insiti in tale scenario politico, in assenza di alternative meno terrificanti. Quarto possibile scenario, lipotesi Gingrich: senza utilizzo di attacchi militari preventivi contro Cina e Iran, dichiarare il fallimento del debito sovrano statunitense e lasciare spazio allazione purificatrice del libero mercato negli Stati Uniti. Nel luglio del 2011, lautorevole senatore repubblicano (e allora candidato della presidenza degli USA nel 2012) Ron Paul aveva rilevato senza mezzi termini che noi (gli Stati Uniti) andremo in default perch il debito insostenibile.[25] Non si tratta delle predizioni un po avventate di Gerard Celeste, o dello studioso russo Igor

Panarin, per cui nel 2010 gli Stati Uniti si sarebbero disintegrati in ben sei parti distinte: Ron Paul e Newt Gingrich non solo rappresentano due esponenti autorevoli della potente destra del partito repubblicano, ma si basano su fatti reali (il pauroso aumento del debito sovrano statunitense) ed espongono una loro particolare cura, collegando analisi con progettualit/praxis futura. Come aveva notato il giornalista D. Carcea, gi nella primavera del 2011 Ron Paul e la frangia oltranzista del partito repubblicano prevedevano ed invocavano il default, la bancarotta finanziaria dello stato americano: il giornalista (filocapitalista) italiano aveva sottolineato che nellaprile del 2011 lagenzia di rating Standard & Poors rompe il tab dei tab: portando da stabile a negativo il giudizio sul debito pubblico americano. Il rating del debito americano segna da sempre la tripla A, ma ora S.&P. (una delle tre sorelle, agenzie di rating) minaccia di abbassarlo se non verr approvato dal Congresso Americano un serio piano di rientro dal debito che veleggia verso il 100 per cento del Pil e di contenimento del deficit, che nel 2010 stato del 10 per cento. I repubblicani auspicano potenti tagli della spesa sociale: sanit, dipendenti pubblici, sistema pensionistico, mentre Barack Obama e i democratici puntano alla diminuzione delle spese militari e quindi lo scontro si presenta molto aspro. Il debito letteralmente esploso negli ultimi anni, nel 1980 segnava il 33,4 per cento del Pil, nel 2000 il 56 per cento, fino al 2007 si mantenuto su questi livelli, ma lo scoppio della crisi e la decisione di salvare tutto il sistema finanziario americano, socializzando le perdite sui mutui tossici, scaricandole quindi sullintera collettivit, ha portato ad una vera esplosione del debito pubblico. Per una corretta visione globale della situazione americana per necessario fare operazione di completezza: al debito Federale si devono sommare i debiti dei singoli Stati, cos come si fa ad esempio con il debito pubblico italiano, dove si somma il debito statale a quello di tutte le pubbliche amministrazioni. Il debito dei singoli Stati si aggira intorno ai 3.000 miliardi di dollari, pertanto se si somma il debito federale e i debiti statali si arriva ad un rapporto debito pubblico/pil del 120 per cento. Il debito USA uguale quindi a quello italiano in termini percentuali di rapporto debito/pil debito (118 per cento), e di gran lunga superiore al debito complessivo area euro, che attestato all84 per cento del pil e presenta un deficit medio del 6,35 per cento contro il 10 per cento degli Stati Uniti. Se poi il discorso viene allargato allintero indebitamento del sistema a stelle e strisce, allora ci troviamo di fronte ad una vera e propria bomba innescata: il totale dei debiti pubblici (stato federale e singoli stati), pi le famiglie, pi le imprese e infine le banche ammonta a 57.000 miliardi di dollari, per un rapporto indebitamento/Pil che si aggira intorno al 400 per cento, una cifra pazzesca, se si tiene conto che la stessa cifra a cui ammonta lintero pil mondiale 60.000 miliardi. E chiaro che in ballo c la tenuta di tutto il sistema economico-finanziario, ma per essere corretti di tutto il mondo occidentale, che da troppo tempo a causa delle politiche dellindebitamento vive al di sopra delle proprie possibilit; a maggio si raggiunger il tetto massimo di possibile indebitamento pubblico federale previsto dalla legge, lultima soglia massima autorizzata: 14.300 miliardi di dollari, occorrer, una nuova autorizzazione, altrimenti il giocattolo si blocca: perch il tesoro non ha pi il potere legale di vendere Bot. Sicuramente verr fatta lennesima legge, che consentir di sforare il 100 per cento, fissando il limite pi in alto, ma i repubblicani stanno alzando terribilmente il prezzo. Addirittura nelle file dei repubblicani i Tea party chiedono tagli della spesa di 4.000 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni, una cifra pazzesca e unaltra frangia quella pi oltranzista che fa capo a Ron Paul e al figlio Randy si auspica proprio che gli Stati Uniti dichiarino il fallimento e limpossibilit di pagare lenorme debito pubblico, in modo da smettere di continuare a drogare il sistema con la politica portata avanti dalla Fed da sempre, con la perenne emissione di moneta, senza alcun sottostante che faccia da controvalore e garantisca quella moneta. [26] Lidea-guida della destra repubblicana diretta ad ottenere la grande disintossicazione dalla droga del deficit statale-locale negli Usa, costi quel che costi in termini economici e sociali, come

avvenne nella contea californiana (liberista e fallita) di Orange County: essa era entrata in uno stato di bancarotta (per debiti) nel dicembre del 1994, uscendo da tale stato di default attraverso una durissima politica di austerit, rispetto alle spese e servizi sociali. Sempre il liberista D. Carcea, approvando tale progetto di default controllato antistatalista, ha notato che la Federal Reserve, la Banca Centrale americana, da due anni e mezzo a questa parte ha stampato una quantit enorme di dollari per salvare le grandi banche: troppo grandi per poter fallire e garantire leconomia americana dal cosiddetto rischio sistemico, cio il collasso. In realt le banche dovevano essere fatte fallire, e sarebbe dovuta essere sfruttata quella grande crisi per ripensare il sistema monetario mondiale. Invece, governi e soprattutto banche centrali se la sono ben vista dallinvertire una situazione di accumulo di debito pubblico e privato, ma anno continuato nella politica di pompaggio di liquidit nel sistema, cos come si fa con un drogato a cui si continua a dare leroina, anzich avviarlo ad un sistema di recupero e disintossicazione che deve inevitabilmente passare anche da crisi di astinenza. Sicch anzich affrontare le conseguenze di una recessione che avrebbe comportato grossi sacrifici nellimmediato, si scelta la politica della conversione in debito pubblico dei debiti privati, nello specifico quelli derivanti dai prodotti tossici presenti nei bilanci delle banche, nella classica ottica della privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, che caratterizza la negazione del libero mercato e la promozione del capitalismo di stato. La Fed ha prodotto liquidit per 2.000 miliardi di dollari, con due operazioni chiamate QE: quantitative easing, che hanno consentito di agguantare le banche, tenere bassi i tassi dinteresse Usa e soprattutto comprare i titoli del proprio debito pubblico, quelli emessi dal Tesoro americano. Sembra che la quantit dei titoli del debito pubblico americano che la Fed si auto comprata ammonti al 70 per cento del debito emesso negli ultimi anni, ha nel proprio portafoglio un totale di 1.400 miliardi di obbligazioni del tesoro, 600 in pi rispetto allanno scorso. Ora a giugno finir la somma a disposizione, stanziata con la seconda fase di quantitative easing (QE2), a quel punto per gli Stati Uniti i problemi saranno enormi: come faranno a piazzare i titoli del proprio debito, con la stampante che si blocca, la Cina che sta progressivamente diminuendo lacquisto di titoli del debito federale, perch da tempo consapevole della possibile insolvenza americana, e il Giappone in piena crisi da post tsunami-terremoto-nucleare, che dovr pensare a sovvenzionare la propria ricostruzione? Faranno una terza emissione di moneta? Allungheranno lagonia e aumenteranno ancora di pi linflazione mondiale dovuta allinflazione di dollari, rimandando ancora per un po di tempo il regolamento dei conti?.[27] Il regolamento dei conti rispetto al debito pubblico statunitense ormai inevitabile e prorogabile al massimo di un paio di anni: lunico problemino della ricetta liberista-bancarottiera che essa inevitabilmente conduce diritto sia alla guerra civile (di classe e razza), nei pacifici ed ordinati Stati Uniti dAmerica, che al loro collasso economico, in assenza della via duscita (iperpericolosa anchessa, anche se per molti motivi sopra elencati) della guerra preventiva contro Cina ed Iran. Lesperienza (recente) insegna. Il laisser-faire era stata proprio la strada battuta per pochi giorni dallo stesso Bush junior quando, nel settembre 2008, aveva lasciato fallire lo stato americano, ma il solo (anche se potentissimo) gruppo finanziario Lehman Brothers. Solo una multinazionale bancaria, anche se gigantesca, e non certo il supergigantesco apparato statale americano. Le conseguenze? Il panico totale su tutte le borse del mondo capitalistico. R. Patalano aveva osservato giustamente gi nel dicembre del 2008 che la crisi finanziaria che si trascina ormai da pi di un anno, ha avuto una netta accelerazione dopo il 14 settembre 2008, giorno in cui la Lehman Brothers ha ceduto alle pressioni che da qualche mese assediavano i suoi titoli a Wall Street, per annunciare lintenzione di avvalersi della protezione in caso di bancarotta prevista dal Chapter 11

dellU.S. Bankruptcy Code, gettando cos nel panico le borse di tutto il mondo. Dopo lannuncio del fallimento in un solo giorno tra le due sponde dellAtlantico sono andate in fumo 825 miliardi di dollari. Secondo i dati della Federazione Mondiale delle Borse nei primi dieci giorni di ottobre sono stati persi dai listini azionari mondiali 4.000 miliardi, portando a 25 miliardi di dollari la perdita complessiva rispetto allottobre 2007. Solo nei paesi Ocse dallinizio dellanno alla fine di ottobre le borse hanno bruciato 15.630 miliardi di dollari, circa il 30% del PIL mondiale. La scelta dellamministrazione americana di lasciar colare a picco il colosso Lehman stata considerata da alcuni commentatori una decisione inspiegabile di fronte al salvataggio del gigante assicurativo AIG effettuato proprio il giorno dopo, al sostegno dato lo stesso giorno dalla Bank of America alla Merril Lynch (pilotato dalle autorit monetarie federali), e ancor pi di fronte al doppio salvataggio di Fanni Mae e Freddie Mac, istituzioni specializzate nel campo dei mutui avvenuto una settimana prima, e alla scelta compiuta sei mesi prima in favore di unaltra grande banca daffari statunitense, la Bear Stearns, tenuta a galla dallapertura di garanzia da parte della Fed, pari a 30 miliardi di dollari. La scelta apparsa inspiegabile anche allo stesso Richard Fuld, amministratore delegato della Lehman Brothers, che il 6 ottobre scorso di fronte alla Commissione del Congresso Usa, ha ammesso candidamente: Avrei voluto essere salvato anchio. Certo ancora non mi spiego perch siamo stati gli unici a non essere salvati. E ci che mi colpisce che il venerd prima Lehman e Merryll Lynch erano nelle stesse condizioni.[28] Contagio strategico: risulta la definizione corretta per inquadrare il default della Lehman Brothers. Ma facile immaginare il megacontagio strategico, che determinerebbe la bancarotta del gigantesco debito sovrano americano. Come si gi accennato in precedenza, sul piano economicofinanziario esso determinerebbe subito: il collasso della stessa Federal Reserve, con circa 1.600 miliardi di dollari il principale possessore di titoli di stato americani (acquisti definiti come una relazione incestuosa); il collasso del bilancio di buona parte degli stati federali, a partire dalla California; il collasso di buona parte dei grandi fondi-pensione statunitensi, che hanno investito in parte proprio sulle obbligazioni statali e delle diverse citt/stati federali americane. Gi alla fine del 2010 la loro situazione generale risultava assai negativo, visto che gi allora era in corso un silenzioso attacco al cuore dei fondi pensione, provocato da un malanno non riconoscibile sino a quando il paziente non cade a terra. Cos stato definito la crescita del rosso dei cento maggiori fondi pensione delle corporation Usa. Per Kenneth Hackl presidente della societ di ricerca e consulenza Ct Capital Llc, non c una corretta percezione delle pesanti nubi che si addensano sul futuro dei pensionati statunitensi; tanto che il tema non trova spazio nel dibattito di politica economica sui media Usa. Il deficit dei principali fondi pensione statunitensi si impennato dai 108 miliardi di dollari in luglio ai 459,8 di agosto, come riferito dalla societ attuariale e di consulenza Miliman. Si tratta della differenza tra il monte rendite da erogare e il patrimonio a disposizione. A provocare il peggioramento della salute delle strutture previdenziali Usa la politica di bassi tassi operata dalla Federal Reserve: una politica tesa a prevenire un ulteriore recessione ma che ha come effetto lappiattimento dei rendimenti dei bond benchmark utilizzati a riserva delle rendite, gli AA rated ossia i bond con una valutazione S&P di doppia A. Questi titoli sono scesi ai minimi storici in termini di rendimento: il mese scorso questi bond offrivano un rendimento medio del 2,81%, dal 3,9% della fine del 2009, ben sotto il 5,8% del 2008, secondo gli analisti di Bank of America Merrill Lynch;[29] il sicuro collasso di Fannie Mae e Freddie Mac, i due fondi parastatali specializzati nellemissione di mutui immobiliari salvati a fatica dal fallimento gi nel 2008, attraverso lesborso di centinaia di miliardi di dollari provenienti dallo stato e la diversa garanzia prestata dal Tesoro USA e dalla stessa Federal Reserve sulla loro solvibilit futura. Ancora prima di un futuro default, essi sopravvivono solo grazie allaiuto pubblico: Fannie Mae aveva riportato nel solo trimestre

gennaio-marzo 2011 perdite pari a 8,7 miliardi di dollari, chiedendo subito aiuti statali pari a tale importo deficitario: facile immaginare la sorte dei due enti parastatali, in caso di una bancarotta a Washington; crollo verticale di Wall Street e, a catena, delle borse di tutto il pianeta; crollo della fiducia dei risparmiatori statunitensi nelle banche e nello stesso dollaro, file crescenti davanti agli istituti finanziari per ritirare i depositi bancari, ecc.; crollo del mondo parallelo finanziario dei derivati e dei credit default swaps (cds): un mondo parallelo che gi nel 2010 aveva un valore (di carta, ma sempre valore di scambio riconosciuto su piano internazionale) pari a ben dieci volte il prodotto nazionale lordo di tutto il pianeta e di dimensione galattico-apocalittiche. [30] Per ottenere unidea sulle possibili conseguenze sociopolitiche di un default, allinterno degli Stati Uniti, basta moltiplicare per 50 (in estensione quantitativa) e per 10 (in intensit, collera di massa, ecc.) le grandi agitazioni che hanno scosso lo stato del Winsconsin ancora nel febbraio del 2011: in caso di bancarotta federale, gli Stati Uniti si trasformerebbero in un Wisconsin allennesima potenza. Come a ben descritto M. A. Gandasegui, la crisi economica degli USA ha colpito i suoi stessi lavoratori, che sono rimasti disoccupati (il 10% della forza lavoro) e senza casa (3 milioni di famiglie hanno perduto le loro abitazioni). Le proteste e le manifestazioni popolari negli stati nordamericani del Wisconsin, del Minnesota e dellOhio stanno provocando preoccupazioni tra politici e analisti nordamericani. Si tratta di stati industriali che sono stati colpiti dalla crisi in forma particolare. La sovrapproduzione (o, in altre parole, il sub-consumo) delleconomia nordamericana sta creando seri dubbi sulla capacit del paese di uscire dalla recessione a medio termine, nel breve termine neanche se ne parla. In Wisconsin 80.000 persone si sono riunite davanti al Campidoglio della citt di Madison per difendere i diritti alla contrattazione collettiva dei lavoratori. Sabato hanno effettuato la quinta giornata di protesta contro un progetto di legge presentato dal governatore repubblicano Scott Walker, che stabilisce di cancellare i contratti collettivi, i diritti sindacali e aumentare i tagli salariali per assicurazione e fondi pensione (il Wisconsin uno stato del nord degli Stati Uniti). Il governatore Walker, eletto lanno scorso, vuole tagliare i salari ed eliminare i diritti alla contrattazione collettiva dei lavoratori del pubblico impiego. I senatori democratici dello stato che sono usciti dalle frontiere statali per paralizzare la votazione della legge hanno inviato venerd una lettera al governatore Walker dicendo che i lavoratori avrebbero accettato il taglio delle pensioni e laumento dei contributi per i piani di salute e di pensionamento se egli avesse accettato di trattare il tema della contrattazione collettiva. I tagli proposti da Walker lascerebbero senza aumenti salariali e senza capacit di contrattare migliaia di lavoratori del pubblico impiego come i maestri, i pompieri e i poliziotti. Le proteste sono iniziate marted scorso, il 15 febbraio, e sono continuate in crescendo, con la decisione di migliaia di lavoratori di non smettere di lottare contro quello che vedono come un piano dei repubblicani per indebolire i lavoratori. I senatori democratici, che si oppongono alla proposta, hanno ripetuto il loro rifiuto del progetto. Finora la risposta delle autorit stata di portare avanti il progetto affermando che le proteste non le faranno desistere. Secondo Walker, la legge antisindacale pretende di ridurre il deficit dello Stato attraverso tagli ai salari, alle pensioni, alle assicurazioni sanitarie e ai diritti di contrattazione collettiva. Nonostante le manovre del governatore repubblicano, i maestri statali hanno dichiarato lo sciopero fino al ritiro del progetto di legge. Le manifestazioni si sono estese a citt vicine come Milwaukee e ad altri stati con governatori repubblicani come lOhio, lIndiana e la Pennsylvania. Il professore di Linguistica del MIT, Noam Chomsky, ritiene che lattuale fermento in USA si debba al fatto che i lavoratori hanno preso coscienza che i posti di lavoro non torneranno. Questo si

deve al fatto che la politica consiste nellesportare i posti di lavoro in paesi dove la forza lavoro pi a basso costo. La ragione semplice, rende molto di pi investire nella speculazione finanziaria che nella produzione economica. Il mondo arabo ha qualcosa in comune con gli USA: le loro economie hanno collassato e le loro classi dominanti stanno andando in fallimento. Nel caso degli USA i rischi aumentano nella misura in cui i suoi governanti continuano a giocare alla roulette con leconomia. Le conseguenze sociali e politiche cominciano ad affacciarsi allorizzonte. La ribellione del Wisconsin un segnale.[31] In seguito ad un eventuale default, le decine di milioni di dipendenti pubblici statunitensi non percepirebbero pi i loro stipendi, i pensionati e i fondi pubblici loro destinati, ospedali e scuole si chiuderebbero inevitabilmente nel giro di pochi giorni, le forze armate del paese rimarrebbero a secco e in paesi a volte assai poco ospitanti, come lIraq e lAfghanistan. Se succede A (= il default), non si pu che verificare B (= collasso economico, sociale e politico degli USA): e A (il default) stato non solo previsto come inevitabile, ma addirittura invocato a gran voce dal solito senatore-candidato della presidenza Ron Paul gi il 22 luglio del 2011, con la chiara e testuale parola dordine: default ora, o si soffrir una crisi ancora pi dispendiosa in futuro.[32] E, ancora il 27 giugno del 2011, labile economista Allen Sinai ha dichiarato: Se entro la fine del 2012 il debito pubblico degli USA continuer a crescere a questo ritmo insostenibile, pu scatenarsi una nuova crisi finanziaria: ad un certo punto gli investitori smetteranno di comprare prima i titoli di Stato e poi le azioni Usa. Certo, nellopzione Gingrich son insiti alcuni vantaggi (potenziali) per la borghesia e la grande finanza statunitense, i quali spiegano le posizioni altrimenti assurde di Ron Paul e Gingrich. In primo luogo essi ritengono che gli Stati Uniti abbiano gi subto altri tre default statali nel corso della loro storia bisecolare, e cio nel 1779, nel 1862 (sui green back) e nel 1934 (default dei Liberty Bond), senza per questo veder arrestata la loro lunga ascesa in campo politico ed economico, interno ed internazionale. Pi concretamente il primo vantaggio del default sarebbe che il nemico principale dellimperialismo statunitense sullarena internazionale, e cio la Cina Popolare, subirebbe un duro colpo economico da un eventuale bancarotta del debito sovrano degli Usa perdendo, in questo scenario-limite, circa 1.200 miliardi di dollari: solo un terzo delle sue riserve pubbliche di denaro e titoli esteri, ma di sicuro una notevole botta arriverebbe a Pechino. Secondo dividendo dellopzione in via desame, lazzeramento degli interessi pagati annualmente dallapparato statale degli Usa ai possessori di bond e buoni del tesoro del paese, con un risparmio equivalente a circa 300 miliardi di dollari ogni anno. Un innegabile lato positivo, che si collegherebbe alle positive ricadute per leconomia e le esportazioni statunitensi create dallinevitabile e sicura svalutazione selvaggia del dollaro, che si determinerebbe in caso di default del debito sovrano degli Stati Uniti: lattuale rapporto di 1:1,30 tra dollaro ed euro si trasformerebbe in una relazione di scambio nella quale come minimo servirebbero due euro per ottenere un dollaro, senza assolutamente escludere dinamiche ancora pi sfavorevoli per la moneta statunitense (e pi proficue per la disastrosa bilancia commerciale di Washington). Unaltra ricaduta positiva, allo steso tempo politico-sociale e finanziaria, che deriverebbe alla borghesia statunitense dalla bancarotta del debito sarebbe la liquidazione quasi totale delle garanzie acquisite in passato, dagli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici civili, non impegnati nelle forze armate e nel mantenimento dellordine pubblico. I nuovi contratti collettivi tra stato/enti pubblici, e lavoratori riassunti dopo il default al loro interno, risulterebbero assai pi sfavorevoli di quelli operanti prima del grande crack, portando sia a processi su ampia scala di desindacalizzazione (in uno dei pochi settori lavorativi statunitensi ancora in larga parte coperti dalle

tutele sindacali-legislative) che a sensibili risparmi per il bilancio pubblico, beninteso pagati sulla pelle dei lavoratori statali. Certo, si tratterebbe di una serie combinata di vantaggi e dividendi assai significativa, sia sul piano politico-sociale che a livello economico, ma che tuttavia impallidisce e perde in gran parte di valore di fronte ai paurosi lati negativi (sicuri) ed al dark side of the moon del default, e cio: il collasso del sistema finanziario statunitense e mondiale, con la sola (e probabilissima) eccezione cinese; il collasso dellipergigantesco mercato dei derivati e dei credit default swaps, e cio dei derivati previsti proprio per assicurare i terzi in caso di fallimento (sarebbe proprio il loro momento di gloria); il collasso del potere dacquisto dei lavoratori statunitensi; il collasso dei potentissimi fondi-pensioni statunitensi e internazionali; fuga gigantesca ed iperaccellerata dal dollaro;

indignazione collettiva dei dipendenti pubblici, dei pensionati rimasti senza fondi pensione, ecc.; decollo immediato di disoccupati, senza casa, ecc.; disordini di massa e prolungati in tutti gli Stati Uniti, quasi sicura necessit di ricorrere alla; violenza statale (guardia nazionale/esercito) per sedarli, spirale di repressione/nuovi disordini/nuova repressione, ecc.; sarebbe una via senza ritorno, anzi un punto di non ritorno parafascista che potrebbe sfociare, in caso di successo, in una versione post-moderna ed ipertecnologica del tallone di ferro dittatoriale descritto dal geniale Jack London nella sua famosa disutopia, scritta ancora nel 1908. Fra laltro il default non risolverebbe assolutamente, preso di per s e senza altri provvedimentishock, i problemi strutturali delleconomia statunitense, visto che innanzitutto il deficit statale rimarrebbe attorno almeno al 6% del PNL statunitense e a circa 900 miliardi di dollari di disavanzo annuale. Con uneconomia ed entrate fiscali tra laltro in caduta libera, proprio per linevitabile effetto del default, rimarrebbe in ogni caso un grande buco nero ed una voragine da colmare per il neo-bancarottiere stato americano: non potendo poi contare in alcun modo su flussi finanziari dallestero per lacquisto di nuovi ed eventuali titoli di stato made in USA (farsi fregare una volta umano, ripeter lesperienza sarebbe diabolico), oppure dal comune risparmiatore-lavoratore indigeno (farsi fregare una volta), o da ipotetici extraterrestri in visita sul nostro pianeta (perch farsi subito fregare dagli statunitensi?). Per alcuni anni, il bilancio statale americano dovrebbe restare come minimo in assoluto e rigido pareggio, creando fin da subito la necessit di abbattere la spesa pubblica e/o aumentare le entrate per un importo pari ad almeno 900 miliardi di dollari ed al 6% del PNL, nel caso migliore e nellipotesi ottimale. Sarebbe pertanto indispensabile un immediato e nuovo bagno di sangue ai danni dei lavoratori e dello stesso processo di riproduzione economica dellazienda-USA, determinando cos a catena sia nuova disoccupazione e un nuovo calo dei consumi, che un nuovo e derivato processo di diminuzione delle entrate fiscali, un nuovo bisogno di ridurre le spese pubbliche e/o aumentare le tasse e cos via, in una spirale negativa senza rapida fine e in un circolo vizioso devastante. Inoltre il default del debito sovrano non farebbe certo sparire, ma al massimo attenuare, il peso di altri talloni dAchille (pluridecennali) degli Stati Uniti, quali lindebitamento pauroso di imprese/famiglie, la crisi imminente del sistema pensionistico per londata di baby-boomer ed il costante deficit commerciale con lestero: in ultima analisi tremendi svantaggi (sicuri) dellopzione Gingrich supererebbero in modo schiacciante i reali, ma non straordinari benefici che deriverebbero da essa, a favore della borghesia e del processo generale di accumulazione del

capitalismo statunitense. Come uscire dal tunnel del disastro, allora, per le classi dirigenti americane? Si gi notato come il primo scenario, quello della riproduzione normale dei vecchi e collaudati meccanismi che hanno sostenuto il capitalismo dopo il 1929/32 (a partire proprio dallaumento del deficit statale) sia ormai improponibile: troppi debiti accumulati, e da troppo tempo. La seconda opzione, un nuovo New Deal fondato sulliniezione di quella particolare adrenalina costituita dallaumento su vasta scala delle spese statali (welfare/warfare state), risulta assolutamente impraticabile, per la semplice ragione che proprio la medicina-adrenalina si ormai trasformata da tempo in un veleno mortale per il paziente: il problema ormai il deficit statale-default, non certo lassenza di stimoli esterni e pubblici a favore del processo complessivo di riproduzione del pericolante Titanic-USA. Il terzo scenario ha per oggetto nientemeno che una guerra nucleare, anche se mirata ed intelligente: un opzione utilizzabile solo se (ma un solo se terrificante, reale) la borghesia statunitense si sentisse ormai con le spalle al muro e minacciata da una marea di massa antisistema scaturita allinterno delle viscere (ora dominanti) della nazione statunitense. La quarta opzione porta diritto sia al collasso economico a breve termine che a una situazione interna pre-rivoluzionaria, con una guerra civile pi o meno strisciante e scarse probabilit di ripresa (economica, finanziaria, nel caso di controllo/egemonia sui lavoratori statunitensi, ecc.) in tempi rapidi per il Titanic-Usa. Le ultime due opzioni rientrano nelle alternative del diavolo, e cio scenari in cui si rischia di perdere molto/quasi tutto, qualunque delle ipotesi si voglia selezionare e praticare; le prime due ormai appartengono al libro dei sogni ed alle utopie irrealizzabili delllite politica statunitense e dei loro mandatari sociali (alta finanza, multinazionali, complesso militar-industriale, ecc.). Pensiamo a questo punto alle opzioni preferibili dai comunisti. Quinta opzione, la rivoluzione socialista ed operaia negli Stati Uniti, prima/dopo il default. Prima del default, purtroppo appartiene al libro dei sogni, questa volta dei marxisti di tutto il mondo. Dopo il default, essa potrebbe avere solo un minimo di probabilit di avvio, valutabile in modo ottimistico (vista la paurosa estensione dellanticomunismo, anche ora e allinizio del 2012) allincirca al 10%, grazie ad una (possibile) azione dei proletari e sottoproletari afroamericani e latinoamericani. Ma anche in questo scenario, purtroppo assai improbabile anche nellipotesi migliore, sorgerebbero dei problemi enormi: ipotizzando infatti linizio di una sollevazione in massa degli afroamericani e di settori consistenti dei lavoratori bianchi, chichanos, ecc., essi dovrebbero infatti subito incontrare problemi enormi e quasi irrisolvibili. Non solamente perch, come tutti i marxisti sanno (o dovrebbero sapere), non esiste mai una situazione assolutamente senza via duscita per la borghesia, come sottoline giustamente Lenin ancora nel 1920: e proprio lesperienza storica ha insegnato che la grande depressione capitalistica del 1929/32 non ha certo sicuramente portato alla rivoluzione socialista in Germania e negli Stati Uniti, due delle nazioni pi colpite dal tremendo ciclo recessivo di quegli anni, ma rispettivamente a Hitler e Roosevelt. Alla dittatura aperta e terroristica della frazione pi reazionaria della borghesia tedesca, con un fortissimo sostegno di massa tra la piccola borghesia ed i giovani disoccupati, e al New Deal, nellaltro scenario, una forma intelligente di sostegno statale al capitalismo americano, aperta in parte a soddisfare alcuni bisogni collettivi di natura economicocorporativa della classe operaia statunitense. In altri termini dalla crisi si pu uscire anche a destra, anzi allestrema destra: una lezione storica che vale sia per il 2012/2016 come per il 1929/32. Ma il vero problema risulta un altro, in questa ipotetica quinta opzione: e cio nel fatto innegabile

che, a partire dal luglio del 1945 e da Los Alamos, dellagosto del 1945 e da Hiroshima/Nagasaki, la borghesia statunitense ha improvvisamente acquisito e sviluppato via via enormemente, sia in senso qualitativo che quantitativo la magica-demoniaca arma nucleare, oltre alle tremende armi di sterminio di tipo chimico-betteriologico. Strumenti (migliaia, decine di migliaia) di distruzione di massa utilizzabili in pochi secondi e solo premendo la famosa valigetta atomica in mano al presidente di turno degli Stati Uniti. Mezzi orrendi di sterminio non certo sotto il controllo di Francesco dAssisi o di M. L. King, ma di una classe dominante di regola cinica e spietata, quando vengono posti in gioco anche solo alcuni suoi interessi collettivi: Cile 11 settembre del 1973, golpe in Honduras nellestate del 2010, bombardamento della Libia (marzo/settembre) del 2011, rappresentano solo alcuni degli esempi utilizzati per dimostrare tale tesi, oltre ai massacri di Hiroshima e Nagasaki. Una classe sociale che, in una sua frazione consistente e forse maggioritaria, ancora nel 2012 farebbe proprio con convinzione il vecchio slogan della guerra fredda meglio morti che rossi. Una classe sociale che, nella sua grande maggioranza politica e qui si ritrova il fulcro del ragionamento che ci interessa, come comunisti se messa con le spalle al muro dal default e minacciata da grandi movimenti di massa, non pu che adottare lopzione Gingrich-Stranamore. Molti, anzi troppi, nelllite statunitense, potrebbero infatti pensare che prima, anche pochissimo prima dello scoppio di una rivolta popolare che ci sommerga, o rischi seriamente di affossarci nei nostri Stati Uniti, diventa obbligatorio passare allattacco e tentare lavventura nucleare-mirata. Tanto, cosa abbiamo da perdere? Niente, a questo punto, se non diventate proletari. Cosa potremmo guadagnare/riguadagnare? Tutto, e cio un intero mondo da dominare per almeno qualche decennio, in caso eventuale di successo del first-strike nucleare contro Iran, Corea del Nord e Cina. Una tentazione che potrebbe diventare irresistibile anche per quella frazione di borghesia statunitense non convinta a sufficienza della direttiva apocalittica basata sul meglio morti che rossi, in assenza di un alternativa praticabile ed almeno in parte accettabile, in mancanza di una via di fuga che non comporti la perdita totale oppure la seria probabilit di perdere ricchezze, privilegi e poteri: concezioni che sicuramente valgono per lasse socioproduttiva centrale del capitalismo statunitense, lalta finanza, che verrebbero subito alla luce in presenza di una seria minaccia interna, di una rivoluzione anticapitalista in divenire in terra americana: per stroncare sul nascere (o quasi) tale pericolo, le classi dominanti statunitensi inizierebbero in anticipo i preparativi di guerra, con lopzione Stranamore.. Certo, si tratta di analisi inaccettabile per il tradizionale riformismo socialdemocratico, anche se di sinistra e combattivo, perch essa considera la borghesia statunitense proprio per quella che realmente sul piano storico-generale: e cio una tigre di carta (debiti-carta straccia) sul piano strategico, ma una tigre dacciaio con denti atomici a livello tattico, operativo e concreto, almeno nella decisiva fase del default-bancarotta. Ma soprattutto si tratta di un analisi realistica ed obiettiva, anche se angosciante e tenebrosa per le sue ovvie implicazioni, che riguardano le sorti dei sette miliardi di esseri umani che abitano il nostro pianeta. Per dircela con chiarezza, in caso di (probabile) guerra atomica generalizzata e su vasta scala, sicura conseguenza dellopzione Gingrich-Stranamore, al posto della rivoluzione popolare negli Stati Uniti (e nel resto del pianeta in mano alla borghesia) avremmo alcuni miliardi di morti e le rovine terrificanti create da un conflitto nucleare, con il sottoprodotto dellinverno nucleare: labbassamento devastante della temperatura del pianeta, per effetto degli immani incendi e della derivate emissioni di materia carbonizzata e polveri radioattive create dallolocausto termonucleare, in grado di causare lestinzione della vita sul nostro pianeta. Il vaso di Pandora, per lappunto: da studi recenti, sembra pi verosimile che persino guerre atomiche locali possano provocare una catastrofe globale, come hanno rivelato nel 2010 i

ricercatori A. Robock e O. B. Toon.[33] Sempre ammettendo come valida la premessa fondamentale di questo saggio, e cio il futuro default del debito sovrano statunitense nel giro al massimo di tre anni, in assenza di misure pi che drastiche, si pu trovare e risulta potenzialmente disponibile unalternativa migliore sia per la borghesia statunitense che, soprattutto, per il genere umano e le sorti del movimento anticapitalistico mondiale? Il movimento comunista pu proporre unalternativa capace, come auspic Togliatti gi al convegno di Como nel maggio 1924, di costruire tutta una catena storica attraverso i suoi successivi anelli, lanciando parole dordine adeguate ai rapporti di forza reali?[34] A nostro avviso, una proposta adeguata consiste nellipotesi Hong Kong, in un compromesso planetario con vantaggi reciproci (win-win) tra gli stati principali , Stati Uniti e Cina in testa, dettato da rapporti di forza divenuti favorevoli a questultima: un accordo pluridecennale nel quale le principali potenze capitalistiche prendano atto di essersi messe (principalmente da sole, con le loro stesse mani) in un vicolo ceco e adottino forzatamente la regola opportunistico-capitalistica se non puoi batterli (i cinesi ed i rossi), alleati con loro, accettando una graduale transizione al socialismo su scala mondiale. Un accordo che, in una prima fase, sarebbe centrato sul disarmo mondiale e la parallela destinazione delle risorse risparmiate a favore del Terzo Mondo, oltre che verso unevoluzione ecologista e riformista del capitalismo occidentale. Limitandoci per il momento alla borghesia statunitense, attraverso lipotesi futuribile in via desposizione le classi dominanti americane otterrebbero sul piano dellavere: lappoggio finanziario su larga scala e di medio periodo della Cina, al fine di agevolare larduo processo graduale di risanamento delle disastrate finanze pubbliche degli Usa; la possibilit reale di mantenere la propria egemonia politico-sociale interna per alcuni anni rispetto alle masse popolari americane, e le sue propriet per alcuni decenni; la sicurezza di poter evitare guerre nucleari (pi o meno limitate) con gli inevitabili e tremendi rinculi sul suolo statunitense, ineliminabili anche nel caso migliore creato dallipotesi Gingrich-Stranamore; non essere accusati di essere dei nuovi Hitler-atomici; un alto livello di probabilit di evitare il default del debito sovrano degli Usa;

la possibilit reale, garantita in primo luogo dallex nemico strategico cinese, di conservare un ruolo assai importante per alcuni anni in campo internazionale, anche in seguito alla drastica riduzione delle spese militari statunitensi; la drastica riduzione del deficit statale interno, consentita dalla drastica riduzione delle spese belliche destinate alle forze armate ed al complesso militar-industriale statunitense ( la sopracitata proposta del deputato Barney Franck, solo ampliata sul piano quantitativo); la disponibilit, come arma di garanzia, di un gran numero (seppur progressivamente decrescente) di armi nucleari intercontinentali; la messa sotto controllo del meccanismo abnorme e ipergigantesco, gi ora quasi del tutto fuori controllo, del mondo parallelo ormai impazzito dei derivati e dei credit swaps default; la trasformazione del disfunzionale sistema sanitario Usa (che ha portato la spesa per la sanit per gli Usa al 14% del PNL, contro circa l8% delle altre nazioni capitalistiche avanzate), con un grande risparmio complessivo per lazienda-Usa; la progressiva costruzione di un capitalismo di stato sul modello scandinavo, che abbia tra le sue priorit anche la riproduzione di uno stato sociale adeguato, lo sviluppo accelerato della

scienza/tecnologia civile, leconomia verde ed il controllo almeno parziale sulle periodiche crisi di sovrapproduzione capitalistiche; la garanzia per il nucleo principale Usa, lalta finanza, di poter fare profitti/affari consistenti senza gli impazzimenti del 1979/2011, seppur con controlli crescenti del potere pubblico; il mantenimento temporaneo, in una fase di transizione di due/tre anni, del ruolo del dollaro su scala monetaria internazionale; poter rivendicare un ruolo positivo-propositivo nel drastico rapido processo di riduzione delle armi nucleari, chimico-batteriologiche, ecc.; la garanzia di una pace onorevole e duratura per il principale alleato internazionale degli Stati Uniti, e cio Israele e la potente lobby sionista mondiale; la garanzia di forniture energetiche future da parte dei paesi arabi del Golfo Persico, dopo la creazione di una pace stabile nellarea meridionale, assieme alla riduzione progressiva (grazie al nuovo quadro geopolitico) della vendita petrolifera globale, del prezzo delle fonti energetiche basate su idrocarburi e della bolletta energetica pagata annualmente dai paesi occidentali (e da Cina/India); riapertura di relazioni economiche-commerciali e proficue con vecchi stati canaglia quali Cuba (e i suoi enormi giacimenti petroliferi, ancora non sfruttati), Iran (come sopra), Sudan (come sopra), ecc.; la concentrazione delle enormi risorse scientifico-tecnologiche statunitensi dal settore militare a quello civile, aumentandone di colpo produttivit media, creativit, innovazione; la progressiva riformazione di posti di lavoro nel suolo americano, eliminando rapidamente lesportazione di capitali/aziende in Messico, India, Cina, ecc., ottenendo il consenso dei lavoratori statunitensi. Sul piano del dare, la borghesia e gli apparati statali degli Usa dovrebbero parallelamente concedere: la drastica ed immediata riduzione delle spese militari interne; la drastica ed immediata riduzione delle basi militari allestero, la drastica e rapida riduzione delle armi nucleari, dei missili intercontinentali, ecc.;

la fine quasi immediata sia delle occupazioni da parte statunitense di nazioni sovrane, a partire dallAfghanistan, che dei progetti di guerre stellari; la fine delle sanzioni tecnologiche verso la Cina e la Russia; la messa sotto controllo immediata, e la progressiva eliminazione dei profitti derivanti dal mondo parallelo ed ormai impazzito dei derivati, dei credit default swaps e degli hedge found; la progressiva trasformazione dei rapporti internazionali e di scambio con il Terzo Mondo, a favore di questultimo; un programma internazionale serio, basato proprio sui risparmi derivanti dalla riduzione delle spese militari, per ridurre finalmente a zero nel giro di pochi anni le atroci morti per fame, mancanza di acqua potabile, malattie facilmente curabili (morbillo, malaria, ecc.) nel gigantesco Terzo Mondo del globo: meno armi, zero morti per fame; un controllo parziale, di natura capitalistica ma assai stringente, sullattivit della finanza statunitense e sui suoi livelli di profitto; la fine quasi immediata dei paradisi fiscali, a partire da quelli caraibici e svizzeri; un forte controllo ed una dura tassazione (una super-Tobin tax) delle attivit speculative e della rendita finanziaria interna;

un alto livello di tassazione dei profitti non reinvestiti (nel 2011 pari a circa il 13% del PNL Usa) e dei redditi pi elevati, ricreando il sistema fiscale che del resto gi operava proprio nei borghesi Usa, tra il 1940 ed il 1970; rientro rapido negli Usa, con una tassazione adeguata (almeno il 30% di aliquota) dei pi di 1.900 miliardi di dollari che le multinazionali Usa fino al 2011 hanno accumulato come profitti allestero, e lasciati in loco non dovendo pagare tasse;[35] la ristrutturazione progressiva delleconomia statunitense in funzione delle energie rinnovabili, sostituendo progressivamente la sua dipendenza patologica dal petrolio; la rapida fine dellesportazione delle aziende (e posti di lavoro) statunitensi in Messico, India, Cina, ecc.; la riconversione delle ancora enormi risorse scientifiche-tecnologiche interne dal settore bellico alle supertecnologie: fusione termonucleare, fusione fredda, energia solare a basso costo, robotica, nanotecnologie, computer quantistici, ecc.; la progressiva nazionalizzazione del sistema sanitario privato americano, assieme ad uno stretto controllo sui profitti del Big Pharma, la potente e monopolistica lobby farmaceutica statunitense con i suoi attuali superdividendi; precise contropartite materiali alla Cina, in cambio dellaiuto fornito da questultimo alle finanze statunitensi. Fermo restando che lopzione potenziale in via desame risulta fin dora in gran parte accettabile per lala sinistra, relativamente influente, del partito democratico (Kucinich ed il liberal Congress Progressive Caucus), a questo punto sorgono numerose domande, dubbi ed interrogativi. Anche in caso di una situazione di estrema emergenza per il capitalismo Usa, praticabile concretamente lipotesi Hong Kong ed attraverso quali lotte interne essa si potrebbe affermare nella (ex) superpotenza americana? Quale sarebbe latteggiamento rispetto ad essa del nucleo decisivo del capitalismo Usa, e cio lalta finanza? Quali garanzie reali rimarrebbero alla borghesia statunitense, per la riproduzione a breve termine della sua egemonia interna? La Cina potrebbe accettare lipotesi Hong Kong? E la Russia? Quali sarebbero i grandi sconfitti allinterno degli Stati Uniti, nel caso essa si affermasse? Tra di essi vi sarebbero la lobby sionista americana? Che rapporto sussiste tra lipotesi Hong Kong e il sorpasso effettuato dalla Cina sugli Stati Uniti, in campo economico? Che ruolo avrebbero, in tale scenario, i comunisti/anticapitalisti occidentali e gli afroamericani, assieme ai latino-americani ed alla sinistra statunitense? Quale rapporto sussiste tra lopzione Hong Kong e la teoria delleffetto di sdoppiamento, che prevede la possibilit concreta di una coesistenza/lotta tra una linea rossa collettivistica ed una linea nera classista, (capitalistica, dopo il 1770 e la rivoluzione industriale), partendo dal neolitico (la rossa Gerico dell8500 a.C.) fino ad arrivare ai nostri giorni ed allinizio del terzo millennio, ivi compresa larena e la politica interstatale? Su questi ed altri interrogativi ci dilungheremo nei prossimi capitoli. Ma prima e proprio a tale scopo, risulta necessario sviluppare una sintetica panoramica della struttura, e delle leggi fondamentali di funzionamento/sviluppo della politica internazionale scoprendo le tendenze e regole fondamentali al suo interno, in buona parte quasi misconosciute e dimenticate sul piano teorico, a differenza invece di quello che avviene sul piano pratico delle relazioni internazionali

(diplomatiche, commerciali, finanziarie, militari, ecc.). Gli undici pilastri dellarena interstatale risultano essere: la centralit dei rapporti di forza (e della loro dinamica) nelle relazioni internazionali; lesistenza di una scala elastica nei bisogni materiali e politici proiettati dalle classi dominanti e dai loro mandatari politici nelle relazioni internazionali, partendo da un bisogno alfa (minimale) o quello omega (utopistico-massimale); la tendenza della massimizzazione del possibile, in base al calcolo (corretto/errato) dei rapporti di forza e della loro dinamica, vera e propria stella polare (misconosciuta sul piano teorico) della praxis politica (politico-economica, politico-militare, ecc.) allinterno dellarena internazionale; una derivata importante della tendenza alla massimizzazione del possibile, e cio la tendenza alla minimizzazione delle perdite in presenza di rapporti di forza ritenuti (a ragione o a torto) sfavorevoli dai diversi attori della politica internazionale; la divisione plurimillenaria del pianeta in zone-vampiro (= nazioni che sfruttano altri stati/aree geopolitiche) e zone-vampirizzate (= gli stati/aree geopolitiche sfruttate), assieme alla presenza di zone neutre (stati non sfruttati n sfruttatori); la presenza costante di sei principali campi di forza della politica internazionale: forza economica, militare, del consenso (interno e allestero), della cognizione-informazione, potenziale demografico e capacit direzionale. tali fattori di potenza a loro volta rimandano agli strumenti di produzione della forza in campo internazionale (livelli di sviluppo delle forze produttive, del complesso militar-industriale, ecc.) ed alle forze potenziali nelle relazioni interstatali (ideologie e religioni eventualmente in grado di attrarre simpatie e consensi in altre nazioni, corruzione/infiltrazioni nelllite politica di altri stati,ecc.); i criteri per selezionare, volta per volta, il campo di forza principale nelle relazioni internazionali; la categoria del nemico principale quella dellalleato temporaneo (il nemico del mio nemico principale); il processo di accumulazione di potenza (e le sue dinamiche interne) allinterno dei sei campi di forza; lo squilibrio relativo nei ritmi di accumulazione di potenza via via raggiunti dalle diverse formazioni statali; la ricerca dellanello debole/punto debole negli avversari (anche potenziali), che opera assai spesso nelle relazioni tra stati oltre che nella politica interna delle societ classiste.

[1] F. Merhing, Storia della socialdemocrazia tedesca, p. 721, Editori Riuniti; V. I. Lenin, Sullinfantilismo di sinistra, cap. quinto [2] V. I. Lenin, Note di un pubblicista, 1920 [3] J. D. Stalin, Principi del leninismo, cap. quarto , aprile del 1924 [4] J. Attali, Come finir, p. 89, ed. Fazi [5] R. Sidoli, M. Leoni, Cina, Stati Uniti: il sorpasso, in Autori Vari, Il ruggito del dragone, pp. 169-170, ed. Aurora [6] J. Attali, op. cit., pp. 66-67 [7] A. Penati, USA e UE: i default non sono uguali, 30/7/2011, Repubblica [8] Una manovra da repubblica delle banane, M. Caprotti, 4/8/2011, in www.morningstar.it [9] J. Attali, op. cit., p. 116 [10] S. Webster, 21/07/2011, Audit: Fed, grave 13 trilioni di dollari in emergency loans, in www.patriotactonnetwork.com [11] E. Frenna, 7/8/2011, Il default mondiale, in www.ilfattoquotidiano.it [12] Attali, op. cit., pp. 122-123

[13] Op. cit., p. 122 [14] M. Ricci, Se si paralizza il motore del mondo, 9/08/2011, Repubblica [15] V. Giacch, Il vero rischio debito quello di Obama, 24/7/2011, in www.marx21.it [16] V. Giacch, Il vero rischio debito quello di Obama, 24/7/2011, in www.marx21.it [17] D. Maceri, Gingrich propone che gli Stati dichiarino fallimento. La soluzione finale. 02/07/2011, in www.americaoggi.info [18] F. Ghira, Obama vuole scatenare il crack USA sul resto del mondo, 17 luglio 2011, in fantapolitik.blogspot.com [19] M. R. Kratke, Lepoca di ci che sembrava impossibile, 17/03/2011, in www.comedonchisciotte.net [20] M. R. Kratke, op. cit. [21] Op. cit. [22] F. Troglia, Intanto in America, 18 marzo 2011, in www.lamiaeconomia.com [23] A. Mazzeo, Le folli spese di guerra dellamministrazione Obama, 17/7/2011, in www.lernesto.it [24] H. Gusterson, Limpero delle basi militari; 15/7/2011, in www.lernesto.it; R. Sidoli, I rapporti di forza, cap. 13, in www.robertosidoli.net [25] P. Kasperowicz, Ron Paul says default on debt unavailable, 19/7/2011, in The Hill-Floor action blog [26] D. Carcea, Rischio bancarotta per gli Stati Uniti, 27/4/2011 [27] D. Carcea, op. cit. [28] R. Patalano, Lehman Brothers, contagio strategico, 22/12/2008, in www.economiaepolitica.it [29] M. Loconte, I fondi pensione USA sempre pi in crisi, 15/9/2010, in marcoloconte.blog.ilsole24ore.com [30] L. Gallino, Finanzcapitalismo, p. 17, ed. Einaudi [31] M. A. Gandasegui, La ribellione del Wisconsin, 24/02/2011, in alainet.org [32] Ron Paul, Default now, or suffer a more expensive crisis later, 22/07/2011, in www.zerohedge.com [33] A. Robock e O. B. Toon, Guerra nucleare locale, catastrofe globale, febbraio 2010, in Le scienze [34] P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, vol. primo, p. 359, Editori Riuniti. [35] M. Valsania, Corporate Usa con mille miliardi di cash, 2 agosto 2011, Il Sole24 ore

Capitolo Secondo
Capitolo Secondo Gli undici pilastri della politica internazionale Tra le basi teorico-storiche della dinamica interstatale, emergono innanzitutto alcuni presupposti di base della struttura della politica internazionale, su cui concordano di regola gli studiosi delle relazioni interstatali. Innanzitutto viene dato come assioma di base lesistenza di una pluralit di stati su scala mondiale ed il carattere anarchico delle loro interconnessioni, visto che finora non sussiste un superstato arbitro/legislatore tra di essi: in altri termini il sistema internazionale da molti millenni, dal 3700 a.C. e dalle prime citt-stato teocratiche dei sumeri nellodierno Iraq, costituito da stati indipendenti al di sopra dei quali non c autorit centrale. La sovranit in altre parole, insieme agli stati perch nel sistema internazionale non esiste un organismo superiore di governo. Non c governo sui governi.[1] La seconda precondizione della dinamica della politica internazionale registra il fatto banale che tutti gli stati, a partire ovviamente dalle superpotenze di turno, almeno possiedono per definizione una qualche capacit militare offensiva, che conferisce loro gli strumenti per danneggiarsi ed eventualmente distruggersi a vicenda. Gli stati sono potenzialmente pericolosi gli uni agli altri; alcuni di essi hanno maggior forza militare di altri e sono quindi pericolosi. La potenza militare di uno stato si identifica di norma con il particolare armamento bellico di cui esso dispone, ma anche se non vi fossero armi gli individui di quegli stati non potrebbero comunque usare mani e piedi per aggredire la popolazione di un altro stato. Dopotutto, per ogni gola ci sono due mani che possono stringerla.[2] Molte mani, anche nel caso di microstati Terzo assunto, linsicurezza relativa (a volte minimale, ma sempre reale) di ogni nazione sulle strategie e volont collettive degli altri stati, rispetto alla dinamica dellarena internazionale: il presupposto in questione, in altri termini, che uno stato non pu mai essere sicuro di conoscere pienamente le intenzioni di un altro stato. Specificamente, nessuno stato pu essere certo che un altro stato non user le proprie capacit militari offensive per attaccarlo. Ci non vuol dire che gli stati abbiano necessariamente intenzioni ostili. Anzi, tutti gli stati del sistema (internazionale) potrebbero essere ben disposti, ma impossibile essere certi della giustezza di questa valutazione perch le intenzioni altrui non si possono mai prevedere con una certezza del cento per cento. Le possibili cause di aggressione sono molte, e nessuno stato pu dirsi certo che un altro stato non sia motivato da una di esse. Inoltre, le intenzioni possono mutare in fretta, per cui le intenzioni di uno stato possono essere benevole un giorno e ostili il giorno dopo. Lincertezza sulle intenzioni inevitabile, il che significa che uno stato non pu mai essere sicuro che le capacit militari di un altro stato non si accompagnino a intenzioni ostili.[3] Un grado minimale (variabile, mutevole) di diffidenza reciproca accompagna sempre le relazioni internazionali, anche nelle migliori alleanze. Quarto assioma basilare: un certo livello di razionalit, seppur variabile a seconda dei casi, risulta insito in quasi tutta la politica internazionale, intesa come calcolo (a volte ipererrato, scorrettissimo) delle proprie forze e di quelle altrui, valutazione (a volte errata) dei costi/ricavi potenziali delle diverse mosse nella strategia/tattica proiettata nellarena internazionale, calcolo delle probabilit di vittoria/sconfitta, ecc. Per citare un solo esempio, attaccando lURSS nel giugno del 1941, Hitler non si comport da pazzo maniaco, ma come un cattivo stratega perch contava, di comune accordo con lo stato maggiore tedesco, di poter piegare ed annientare il colosso dargilla sovietico al massimo nel giro

di pochi mesi.[4] Mearsheimer ha rilevato che le grandi potenze sono attori razionali. Sono consapevoli dellambiente circostante e pensano strategicamente a come meglio sopravvivervi. In particolare, studiano le preferenze degli altri stati e come il proprio comportamento pu influire sulla loro strategia di sopravvivenza. Inoltre gli stati prestano attenzione al lungo termine oltre che alle immediate conseguenze delle loro azioni.[5] A volte sbagliando completamente i loro razionali, ma errati conti e calcoli, ma questo un altro discorso Ulteriore assunto elementare: la politica internazionale delle societ classiste viene effettuato principalmente sulla base delle strategie/tattiche e decisioni concrete via via adottate dai nuclei dirigenti politici al potere nelle diverse nazioni, a loro volta mandatari politici (con gradi di autonomia variabili, a seconda dei casi) di particolari gruppi e classi sociali che egemonizzano i rapporti sociali, di produzione/distribuzione allinterno del loro paese. Il presidente Bush junior e le multinazionali petrolifere e degli armamenti nel 2001/2008, per fare un solo ed evidente esempio concreto tra i tanti possibili Per costruire lossatura della politica internazionale, servono inoltre, in via preliminare, due definizioni di base ed elementari. In campo internazionale potere significa grado (variabile) di controllo ed influenza sulle altre nazioni, a partire dal loro processo decisionale, nel caso-limite riducendo un altro stato nella qualit di mero burattino, di vassallo senza alcun potere reale di decisione: potere di costringere, oppure a volte di convincere (con lesempio e le buone maniere) un altro stato a fare qualcosa ed a decidere qualcosaltro, nellinteresse dello stato che costringe/convince. Secondo alcuni studiosi anglosassoni, il potere riguardo il controllo o linfluenza su altri stati: equivale alla capacit che ha uno stato di costringere un altro a fare qualcosa. Robert Dahl, autorevole esponente di questo punto di vista, afferma che: A ha potere su B nella misura in cui in grado di indurre B a fare qualcosa che diversamente non farebbe.[6] Per potenza e forza, invece, si deve intendere niente di pi che le specifiche risorse materiali di cui uno stato dispone, oltre alle sue risorse di direzione e di influenza culturale, in una parola di softpower.[7] Grado di potenza che molto spesso coincide con il grado di potere che uno stato esercita (non esercita) su scala internazionale, ma non sempre, come invece ritiene erroneamente John Mearsheimer nella sua interessante opera La logica di potenza, iperrealista e iperborghese allo stesso tempo. Definito labc ed i concetti basilari delluniverso variegato della politica internazionale, si pu passare ad un livello superiore nel suo processo di analisi teorico-concreta. La centralit dei rapporti di forza e delle correlazioni di potenza, del loro calcolo e della loro dinamica, ossia il primato del cosiddetto equilibrio di potenza (molto spesso, invece, squilibrio ed asimmetria di potenza tra le diverse nazioni ed aree geopolitiche) costituisce il principale cardine della politica internazionale. Tale centralit v intesa innanzitutto come primato dei rapporti di forza, ivi compresi quelli nonmateriali (capacit di direzione strategico-tattica, raccolta di informazioni e segreti), nel determinare via via lesito dei diversi conflitti bellici ed economici tra stati e la stessa gerarchia interstatale, ma anche come priorit del loro calcolo razionale (a volte sbagliato, in qualche caso clamorosamente errato) allinterno del processo di sviluppo dei processi decisionali dei nuclei politici al potere nelle diverse nazioni. Sotto questultimo aspetto il lucido Mearsheimer ha notato subito tale concreto primato, anche se confondendo per potere latente la potenza economica, invece campo di forza reale ed a pieno

titolo nellarena internazionale. Di regola, ha sottolineato correttamente lo studioso americano, nellesaminare lambiente che lo circonda per determinare quali stati costituiscano una minaccia alla sua sopravvivenza, uno stato si sofferma soprattutto sulle capacit offensive dei potenziali rivali, e non sulle intenzioni dei propri rivali. Le capacit, per, non solo possono essere misurate, ma determinano anche se uno stato rivale rappresenti o meno una seria minaccia. In breve, le grandi potenze ricorrono al bilanciamento in relazione alle capacit, non alle intenzioni. Le grandi potenze ovviamente bilanciano rispetto a stati con formidabili forze militari, perch la loro capacit militare offensiva costituisce minaccia tangibile alla loro sopravvivenza. Ma prestano anche grande attenzione a quanto potere latente gli stati rivali controllano, perch stati ricchi e popolosi possono organizzare, e di solito organizzano, potenti eserciti. Cos, le grandi potenze tendono a temere stati con popolazioni numerose ed economie in rapida espansione, anche se questi non hanno ancora tradotto in potenza militare la loro ricchezza.[8] Sotto il primo aspetto, invece, Mearsheimer ha giustamente sottolineato come il processo di formazione/sviluppo della gerarchia di potere tra stati dipenda dalla concreta correlazione di potenza formatasi volta per volta, a partire dalla particolare figura dello stato egemone potenziale su scala mondiale (si legga Stati Uniti, dal 1945 al 1949 ed al 1991 al 2007) e regionale. Per essere un egemone potenziale, non basta diventare il pi potente stato del sistema. Potenziale egemone la grande potenza dotata di capacit militari effettiva e di potere potenziale tali da avere una buona probabilit di dominare e controllare tutte le altre grandi potenze presenti nella sua parte di mondo. Un potenziale egemone pu non disporre dei mezzi per combattere simultaneamente tutti i suoi rivali, ma deve avere eccellenti prospettive di sconfiggere ogni avversario in un confronto uno contro uno, e buone prospettive di sconfiggere alcuni di essi in tandem. La relazione chiave, per, il gap di potenza esistente tra il potenziale egemone e il secondo stato del sistema in ordine di potenza: ci deve essere un forte divario tra i due per parlare di potenziale egemonia. Per qualificarsi come potenziale egemone uno stato deve avere con margine ragionevolmente ampio lesercito pi formidabile oltre al pi consistente potere latente su tutti gli stati situati nella sua regione.[9] In terzo luogo, va sottolineato come anche molte delle proteiformi strategie/tattiche adottate dai diversi nellarena internazionale risultino profondamente condizionate sia dai rapporti di forza che dal loro processo di calcolo, a volte errato, da parte dei loro nuclei politici di potere. Di regola chi scatena una guerra, ad esempio, pensa di vincerla, o di avere almeno come minimo qualche possibilit di successo, oppure sceglie di non aspettare che le sue potenzialit di affermazione diminuiscano rapidamente nel tempo, per linevitabile ascesa di potere di uno statorivale o nemico: in altri termini, pensa di poter usufruire di una correlazione di potenza sufficientemente vantaggiosa, partendo dal punto estremo dellassoluta sicurezza di affermazione (si vedano gli USA e linvasione della piccola isola di Grenada, nel 1983) allaspettativa di avere almeno discrete chance di vittoria. Non risulta inoltre casuale che anche i concreti esiti dei conflitti bellici, oltre che delle crisi internazionali contraddistinte dalla minaccia di guerra (ad esempio la crisi di Cuba, nel settembre/ottobre del 1962), siano determinati essenzialmente dalla potenza globale accumulata ed utilizzata dai diversi contendenti, sebbene il complesso e la globalit delle rispettive forze in campo dipendano sempre in parte variabile da fattori non materiali, come ricorda giustamente Mearsheimer. V rifiutata una concezione delle correlazioni di potenza (= lequilibrio di potenza, nella terminologia utilizzata da Mearsheimer) puramente materiale e quantitativa (numero di soldati ed armi, ecc.), che deve essere invece sostituita con la concezione omnilaterale dei campi di forza operanti nellarena internazionale, ivi compresi quelli non materiali (capacit di direzione e di accumulare informazioni come si vedr tra poche pagine). Alcuni studiosi di politica internazionale sembrano ritenere che a vincere una guerra sarebbe quasi sempre lo stato dotato di maggiori risorse e che, quindi, lequilibrio del potere sarebbe un eccellente strumento con cui prevedere a chi andr la vittoria in caso di conflitto armato. Esistono numerosi

studi quantitativi, per esempio, in cui vengono adottate differenti misure di potere per cercare di spiegare lesito dei conflitti tra stati. Questa convinzione alla base anche del famoso argomento di Geoffrey Blainey, secondo il quale le guerre di buona parte scoppiano perch gli stati non riescono a trovare un accordo sullequilibrio di potenza, mentre poi il conseguente conflitto stabilisce una ordinata gerarchia di potere tra vincitori e vinti. Se gli stati rivali avessero riconosciuto a priori il vero equilibrio, afferma Blainey, non ci sarebbe stata alcuna guerra. Le due parti avrebbero previsto il risultato finale e questo le avrebbe indotte a negoziare una risoluzione pacifica basata sulla realt di potere esistente, piuttosto che combattere una guerra cruenta che avrebbe comunque portato allo stesso esito. Ma impossibile combinare tra loro queste definizioni del potere, perch lequilibrio di potenza non un indicatore affidabile per pronosticare il successo militare. La ragione che talvolta sono fattori non materiali a dare a un combattente un vantaggio decisivo sullaltro. Tali fattori comprendono tra gli altri la strategia, lo spionaggio, la determinazione, il clima, le malattie. Anche se risorse materiali da sole non decidono lesito di una guerra, indiscutibile che le probabilit di successo sono condizionate in maniera sostanziale dallequilibrio delle risorse, soprattutto nelle guerre di logoramento in cui le parti cercano di sfiancarsi a vicenda e di prevalere grazie alla superiorit materiale. Gli stati evidentemente aspirano a possedere una quantit di potere maggiore, non minore, rispetto ai rivali, perch pi risorse uno stato ha a disposizione, maggiori saranno le sue probabilit di vittoria in guerra. Ovviamente per questo che gli stati tendono a massimizzare la loro quota di potere mondiale. Ciononostante, aumentare la probabilit di successo non vuol dire che il successo sia praticamente certo. Anzi, ci sono state numerose guerre in cui il vincitore, pur essendo meno potente o quasi altrettanto potente del vinto, riuscito a prevalere grazie a fattori non materiali. Consideriamo per esempio la strategia, che il modo in cui uno stato impiega le proprie forze contro quelle dellavversario, e che costituisce probabilmente il pi importante dei fattori non materiali. Unaccorta strategia permette di conseguire la vittoria a stati meno potenti degli avversari sul campo di battaglia. I tedeschi, per esempio, impiegarono una strategia di blitzkrieg nella primavera del 1940 per battere gli eserciti britannico e francese, che avevano pi o meno la stessa dimensione e potenza della Wehrmacht. Il famoso Piano Schlieffen, per, non era riuscito a produrre una vittoria tedesca contro gli stessi avversari nel 1914, anche se si potrebbe sostenere che la sua versione originale, pi audace di quella poi decisa, forn il modello per sconfiggere la Francia e il Regno Unito. Talvolta la strategia conta moltissimo.[10] Mearsheimer non altro che uno degli ultimi e pi brillanti continuatori della scuola del realismo in politica internazionale, formata fin dal suo inizio da geniali pensatori. Non certo un caso che il geniale teorico cinese Sun Tzu, nella sua splendida opera Larte della guerra, avesse notato circa 2.400 anni fa che nel determinare le condizioni dellazione militare, bisognava usare come punti di riferimenti il calcolo del consenso popolare nei diversi stati (= larmonia del Tao), le capacit direzionali (= quale dei due generali ha maggiore abilit), la forza militare (quale esercito pi forte, e da quale parte si trovano gli ufficiali e gli uomini meglio addestrati), oltre alle condizioni geoclimatiche: in sintesi, il calcolo dei rapporti di forza. [11] Oppure che il geniale Lenin avesse criticato, fin dal marzo del 1918, i comunisti che non sanno pensare al rapporto di forze, calcolare il rapporto di forze. In questi invece il nucleo del marxismo e della tattica (= strategia/tattica) marxista.[12] Per Lenin il nucleo e lelemento fondamentale del marxismo, nella sfera politico-sociale, si ritrova proprio nel processo di valutazione dei rapporti di forza, vero e proprio arcano segreto e precondizione di qualsiasi impostazione corretta della strategia/tattica/progettualit politica. La pratica concreta delle relazioni internazionali sviluppatesi nel corso degli ultimi sei millenni, dal 3.700 a.C. e dalla formazione dei primi stati (apparato militare permanente, distinto dalla massa

della popolazione, e burocrazia statale permanente), conferma attraverso una miriade di esempi la centralit multilaterale via via assunta dai rapporti di forza e dal loro processo di calcolo (a volte errato) nellarena interstatale: ma attesta in mille modi anche limportanza della dinamica reale della correlazione di potenza tra stati/aree geopolitiche, e del loro parallelo processo di valutazione (a volte scorretto) da parte dei nuclei dirigenti al potere. Sbagliare e calcolare in modo errato il processo di sviluppo della correlazione di potenza internazionale, su scala globale o regionale, pu portare a gravi conseguenze per una formazione statale: segno inequivocabile dellenorme posta in gioco, sottesa alla valutazione della dinamica delle forze su scala interstatale. Un tale peccato mortale venne commesso ad esempio dal regime fascista (grandi industriali, esercito e corte reale) guidato da Mussolini quando, nel giugno del 1940, esso decise lentrata in guerra a fianco della Germania nazista, saltando sul carro del (presunto) vincitore e ritenendo che il secondo conflitto mondiale sarebbe finito in poco tempo con la sconfitta delle potenze alleate anglofrancesi: in base a tale valutazione della dinamica di potenza, il nucleo dirigente fascista ritenne con stupido cinismo di aver bisogno solo di poche migliaia di morti italiani da gettare sul tavolo delle future trattative di pace, come avido sciacallo e socio minore dellimperialismo tedesco in una futura nuova spartizione delle aree dinfluenza su tutto il pianeta, ivi compresi Balcani e Mediterraneo. Un processo di calcolo apparentemente realistico, e che invece, in seguito alla dinamica (imprevista e contraria ai disegni ed appetiti dellimperialismo fascista italiano) poi assunta dalla correlazione di potenza internazionale, si trasform nella precondizione fondamentale per il collasso proprio del regime di Mussolini, nel giro di soli tre anni. [13] Un errore abbastanza simile quello commesso invece verso la Cina da uno dei principali e pi abili teorici dellimperialismo statunitense durante lamministrazione Clinton, e cio Z. Brzezinski, nel suo libro del 1998 La grande scacchiera. Nel suo disegno globale, teso a consolidare e riaffermare nel medio-lungo periodo allora ancora innegabile supremazia planetaria degli stati Uniti, il teorico-politico americano valut in termini errati la potenza crescente della Cina Popolare ed il suo imperioso processo di sviluppo economico, manifestando in proposito un cauto scetticismo, visto che a suo avviso il pronostico sullinevitabile resurrezione del Regno di Mezzo come potenza mondiale rischia di essere fallace se si basa soltanto su proiezioni statistiche. Lo stesso errore gi stato commesso, non molto tempo fa, da quanti profetizzavano che il Giappone avrebbe presto soppiantato gli Stati Uniti come prima potenza economica mondiale, destinata prima o poi a guidare anche il mondo. Questa previsione non teneva conto infatti della vulnerabilit economica del Giappone n del problema della discontinuit politica, cos come non ne tengono conto coloro che oggi preannunciano e temono linevitabile ascesa della Cina al rango di potenza mondiale. Innanzitutto, non affatto certo che nei prossimi ventanni la Cina riuscir a mantenere questo eccezionale ritmo di crescita. E un suo rallentamento gi basterebbe a screditare questo pronostico. Tassi di sviluppo cos elevati, per un lungo periodo di tempo, richiederebbero infatti uninsolita e felice combinazione di fattori positivi la cui durata problematica: efficace leadership nazionale, tranquillit politica e sociale, alti tassi di risparmio, afflusso cospicuo e interrotto di capitali stranieri e stabilit regionale. Il rapido sviluppo della Cina potrebbe inoltre produrre effetti politici collaterali suscettibili di limitarne la capacit dazione. Il consumo di energia sta gi crescendo a un ritmo che supera di molto la produzione interna: un divario che, pur se destinato in ogni caso ad aumentare, tanto pi si amplier se il tasso di crescita della Cina continuer a essere cos elevato. Lo stesso discorso vale per i consumi alimentari. Anche se si prevede un rallentamento della crescita demografica, la popolazione cinese sta ancora aumentando sensibilmente in valori assoluti, per cui le importazioni di prodotti alimentari saranno sempre pi essenziali per il mantenimento dei livelli di vita e della

stabilit politica. E questo non solo rappresenter un costo pesante a causa dei prezzi pi elevati delle importazioni, ma render il paese pi vulnerabile di fronte alle pressioni esterne[14]. Lerrore di valutazione sulla Cina di una delle eminenze grigie dellamministrazione Clinton, e di quella Obama in seguito, venne scontato e pagato ad un prezzo non insignificante dallintera progettualit/praxis statunitense, la quale per alcuni anni non riusc infatti a ben individuare il suo vero e reale (anche se iperpacifico), avversario strategico, non sapendo decidersi tra Russia, fondamentalismo islamico e la vera (seppur pacifica) concorrente, la Cina Popolare. Ancora nel 2000, Mearsheimer previde assai pi esattamente la dinamica dei rapporti di forza economici (e non solo) su scala planetaria, sottolineando invece che nonostante il rapido sviluppo che lha trasformata nellultimo ventennio, la Cina ancora uno stato semindustriale. Circa il 18 per cento della sua ricchezza continua a provenire dallagricoltura. Giappone e Stati Uniti invece, sono stati altamente industrializzati: solo il 2 per cento della loro ricchezza deriva dallagricoltura. La Cina, per, ha una popolazione che quasi cinque volte quella degli Stati Uniti e circa dieci volte quella del Giappone. Quindi, se si prende come indicatore il Pnl, lequilibrio di potere latente tra questi tre stati pender a favore della Cina.[15] Lo stesso Brzezinski ammise in seguito implicitamente il suo grave errore di previsione rispetto alla dinamica di potenza della Cina, arrivando fino al punto nel gennaio del 2011 di riconoscere limportanza speciale del rapporto tra Stati Uniti e Cina affermando che si dovrebbe giungere ad una definizione delle relazioni tra i due paesi che renda giustizia alla promessa globale di una cooperazione costruttiva tra loro. Egli riconobbe (con onest) anche in precedenza che la Cina era diventata ormai una grande potenza mondiale, seconda solo agli Stati Uniti, prevedendo gi nel 2005 che mentre la sfera dinfluenza cinese si espande, il potere statunitense potrebbe recedere gradualmente nei prossimi anni.[16] Gli errori di calcolo/previsione nella strategia e previsione politico-internazionale si pagano duramente, specie se toccano lasse centrale dei rapporti di forza e della loro dinamica concreta. Il secondo pilastro della politica internazionale costituito dal continuo processo di riproduzione in campo internazionale di una scala elastica e plasmabile di bisogni materiali e politici, partendo dal livello minimale alfa (teso alla mera e stentata sopravvivenza, anche con gravi perdite di sovranit e di territori interni in caso di estremo bisogno) fino a quello omega (teso alla completa egemonia politico-materiale, su scala regionale o planetaria), con una serie di gradi tra i due estremi. Quasi tutti i diversi gradini della scala elastica rimangono latenti, e solo uno di essi diventa centrale volta per volta, in base al calcolo (pi o meno corretto) dei rapporti di forza eseguito via via dai diversi nuclei politici al potere, mentre ogni nazione otterr volta per volta un particolare e ben determinato livello di soddisfazione/insoddisfazione dei suoi elastici bisogni politico-materiali, sempre in base alla correlazione di potenza globale formatasi in ogni momento ed agli esiti dei conflitti internazionali: guerre (anche solo minaccia di guerra), guerre economico-commerciale, guerre per procura avviate da alleati/nemici, ecc. Esistono realmente i bisogni alfa, nellarena internazionale? La risposta positiva, dato che unesperienza storica plurimillenaria indica e prova concretamente come una delle stelle polari della pratica espressa dai diversi nuclei dirigenti politici e dei loro referenti sociali, in presenza di rapporti di forza internazionali da essi ritenuti sfavorevoli, a torto o a ragione, abbia per oggetto lautoconservazione di almeno una parte della massa dei mezzi di produzione e del surplus in mano ai gruppi sociali dominanti nelle loro rispettive formazioni statali, e la difesa parallela di almeno un minimo di autonomia politica internazionale, intesa come la condizione materiale indispensabile proprio per una tutela efficace delle propriet dei gruppi privilegiati autoctoni. In campo interstatale, il bisogno materiale alfa esprime la tendenza comune a tutti i nuclei dirigenti politici ed ai loro mandanti sociali, tesa a salvaguardare almeno una parte del surplus e dei mezzi di

produzione a disposizione in precedenza delle classi socialmente egemoni, contro i pericoli e le minacce reali/potenziali provenienti da altri stati ed attori politici internazionali, in presenza e sotto il peso di particolari correlazioni di potenza ritenute a torto o a ragione molto sfavorevoli: accettando a tale scopo anche delle perdite dei sacrifici politici e/o materiali, pi o meno onerosi e per periodi di tempo pi o meno prolungati. Sul piano politico-internazionale, il bisogno alfa si traduce nella tendenza generale dei nuclei dirigenti delle formazioni statali classiste finalizzata a preservare almeno parzialmente lautonomia politica e lintegrit territoriale dei propri rispettivi stati anche nelle situazioni concrete pi difficili e svantaggiose, anche dovendo accettare a tale fine delle perdite e dei sacrifici considerevoli in termini di spazi di indipendenza e di prestigio internazionale, di de-accumulazione di forze produttive e tecnologico-militari, a vantaggio degli stati avversari loro nemici usciti vittoriosi dagli scontri interstatali; si tratta di unautonomia minimale considerata a ragione come una base materiale fondamentale per la stessa riproduzione delle posizioni economiche e dei ruoli socioproduttivi delle classi egemoni in campo statale, dal 3700 a.C. fino ai nostri giorni, con unevidente ricaduta a cascata anche in campo economico e nelle relazioni produttive di classe nazionali, interne, endogene. Proprio lesperienza storica internazionale degli ultimi millenni dimostra, con una miriade di esempi, la riproduzione in forma latente del bisogno alfa e la sua emersione in un ruolo dominante proprio durante gli scenari da allarme rosso, contraddistinti da minacce molto gravi o reputate tali provenienti dal campo internazionale allautonomia di determinate formazioni statali. Infatti nel processo storico degli ultimi millenni sono emersi molti casi di guerre difensive, combattute da lite politiche e stati molto diversi tra loro, contro le invasioni predatorie attuate dai loro rispettivi nemici internazionali, e di scontri bellici effettuati dalla parte pi debole essenzialmente a tutela dei propri interessi minimali di sopravvivenza; inoltre sono stati stipulati via via numerose paci disonorevoli e trattati internazionali svantaggiosi da parte delle nazioni risultate soccombenti negli scontri internazionali, al solo scopo di non farsi spazzare via completamente dagli stati vittoriosi e di guadagnare in tal modo un periodo di tregua per riaccumulare le forze e lunit nella direzione politica. In questo campo di esperienze storiche una delle pi famose epifanie rappresentata dal trattato di Tilsit, brillantemente citato da Lenin nel marzo del 1918 al fine di giustificare e legittimare a sua volta unaltra pace disonorevole, il trattato di Brest-Litovsk. Dopo che le armate prussiane furono sconfitte completamente dalle truppe napoleoniche nelle battaglie di Jena e di Auerstedt (1806), laristocrazia feudale prussiana ed i suoi mandatari politici furono infatti costretti ad accettare il diktat politico-militare ed economico imposto loro dalla trionfante borghesia francese: la pace di Tilsit (1807) priv la Prussia di circa met del suo territorio e la rese praticamente un vassallo dellimperialismo napoleonico, ma lapparato statale prussiano non venne annientato e pertanto pot iniziare a preparare la propria rivincita. Labolizione della servit della gleba, la creazione di un esercito di massa composto da tutti gli uomini validi e lavvio di una selezione efficiente di un nuovo corpo di ufficiali furono alcune delle abili mosse politico-sociali effettuate dallaristocrazia fondiaria prussiana, che nel 1807-12 crearono le basi indispensabili per la partecipazione del paese alla coalizione europea antinapoleonica, capeggiata dalla Gran Bretagna ed alla fine risultata vincitrice rispetto allimperialismo francese nel triennio 1812-1815.[17] Come gi stato notato nel libro I rapporti di forza, la plateale e ingombrante presenza del bisogno alfa in campo internazionale ha costretto anche lapproccio realistico-difensivo alla politica internazionale, di chiara matrice liberalborghese, ad accettare come un dato di fatto indiscutibile lesistenza pi o meno latente di questo livello minimale della sfera dei bisogni materiali e politici nelle relazioni internazionali (anarchiche), oltre alla sua rapida riemersione in caso di gravi pericoli o sconfitte politico-militari, anche se viene spesso definita sotto il termine ricerca della sicurezza e senza capire che a volte in presenza di rapporti di forza estremamente sfavorevoli per i vinti, essa si pu tradurre nella ricerca/accettazione di serie violazioni allintegrit territoriale e politica.

Innanzitutto, per la teoria realistica il fatto che gli Stati riconoscano che la forza potrebbe essere usata contro di loro li rende particolarmente attenti al problema della sicurezza, che rappresenta dunque il loro interesse principale. Waltz osserva, per esempio, che nellanarchia la sicurezza il fine pi alto. Solo se la sopravvivenza assicurata, gli stati possono cercare in modo sicuro di raggiungere altri obiettivi come la tranquillit, il profitto e il potere (Waltz, 1979; trad.it.1987, p. 238 e 183). Sulla stessa scia, Stephen Krasner osserva che tutti gli Stati condividono i medesimi obiettivi minimi di preservare lintegrit territoriale e politica (Krasner, 1985, p. 28).[18] Anche se attraverso lutilizzo di altre categorie teoriche, lesistenza e limportanza storica del bisogno minimale di sicurezza in campo internazionale viene data per scontata anche dalla scuola del realismo offensivo capeggiata da Morghentau/Carr/Mearsheimer, nonostante che secondo questultima lesigenza fondamentale di autoconservazione vada interpretata come la forza motrice primaria proprio delle tendenze egemoniche espresse su scala internazionale: secondo la versione teorica pi audace del realismo politico, elaborata nei paesi anglosassoni, una piena sicurezza sul piano internazionale viene infatti raggiunta solo attraverso il dominio di altri stati. Dal fondo della piramide bisogna ora salire verso lalto, constatando come sia stata sempre lesperienza storica generale a far scoprire come sussista e si riproduca costantemente (molto spesso in forme latenti) un livello omega della scala elastica dei bisogni materiali espressi e a volte soddisfatti dalle classi privilegiate e dai loro mandatari politici in campo internazionale. Infatti il livello omega-economico nello scenario internazionale si traduce nella tendenza espressa in questo campo dai gruppi sociali privilegiati delle diverse formazioni economico-sociali classiste, tesa allappropriazione di tutto il surplus e dellintero complesso dei mezzi di produzione esistente nelle aree geopolitiche da loro egemonizzate attraverso gli apparati statali nazionali, creando un imperialismo politico-economico portato fino alle estreme conseguenze, attraverso un processo di espropriazione totale sia delle classi privilegiate che delle masse popolari delle aree sottomesse, concretamente attuabile solo in presenza di rapporti di forza estremamente favorevoli allo statovampiro e alla zona centrale superpotente. Un caso limite della costante di Sargon, in sostanza, che si analizzer tra poco. Sul piano politico, il livello omega si concretizza invece nella tendenza iperegemonica espressa dai gruppi sociali privilegiati e dai loro apparati statali/mandatari politici, finalizzata ad inglobare completamente nella propria sfera di influenza politico-economica tutte le zone geopolitiche da loro conosciute e per loro accessibili sul piano materiale-militare (zone che nellultimo secolo sono arrivate a coprire lintero pianeta), eliminando da queste ultime qualunque traccia di contropotere politico (e politico militare) ed autonomia sia degli antagonisti statali sconfitti che delle loro vecchie classi dominanti. In presenza di rapporti di forza politici (e politico-militari) internazionali ritenuti molto favorevoli, il bisogno omega pu uscire dal suo stato di latenza, e proprio nella realt storica si sono verificati alcuni importanti casi di imperi di portata continentale, o semicontinentale, che sono andati abbastanza vicini ad una piena soddisfazione economica e politica del livello superiore dei bisogni politico-economici internazionali, espresso da determinate classi sfruttatrici attraverso la progettualit-pratica dei loro diretti mandatari politici. Tra di essi si possono ricordare: limpero schiavistico fondato dal re sumero Sargon, che si estese dallodierno Iraq fino alle coste del Libano ed alla Siria nel corso del XIV secolo a.C., introducendo delle forme feroci di sfruttamento dei popoli sottomessi; la dominazione mongola della Cina del nord, nel periodo compreso tra il 1215 e linizio del XIV secolo. Mentre una parte delle terre demaniali venne requisita con la forza dallaristocrazia nomade mongola, una sezione consistente della popolazione cinese venne allo stesso tempo ridotta in schiavit/semischiavit, come nel caso degli operai delle saline, mentre lappropriazione delle imposte agrarie, delle corve e dei tributi (kechai, yangma, etc.) venne destinata a totale vantaggio

dellapparato statale e dei feudatari mongoli, completamente esentati dal pagamento delle imposte; [19] la dominazione spagnola dellAmerica Latina, tra il 1535 e la fine del XVII secolo. La vecchia oligarchia centrale degli Incas ed i notabili locali vennero quasi totalmente eliminati dallo spietato colonialismo spagnolo, che si appropri completamente del surplus alimentare e dei metalli preziosi estratti dalla forza-lavoro indigena, riducendo in uno stato di miseria assoluta gli indios e gli schiavi africani importati nel nuovo continente;[20] il dominio/saccheggio iperaccelerato compiuto dal Terzo Reich nei territori occupati dellEuropa orientale e dellUnione Sovietica, nel periodo compreso tra il 1938 ed il 1945: rispetto ai popoli slavi, i nazisti pianificarono ed attuarono uno sfruttamento economico illimitato, teso in ultima analisi a distruggere ogni tipo di resistenza ed a sterminare fisicamente buona parte delle popolazioni conquistate per soddisfare il livello pi ambizioso di bisogni materiali della borghesia tedesca. Gli hitleriani avevano elaborato un programma dettagliato, in conformit della loro geopolitica, della struttura dellEuropa tedesca futura. Essa aveva carattere pronunciatamente antislavo. La maggior parte di cechi, polacchi ed altre nazionalit slave si prevedeva sarebbero state trasferite in Siberia. Cechia e Moravia dovevano entrare a far parte del nucleo del Terzo Reich, circondato dagli stati-vassalli: Polonia, Ucraina, regione del Volga ed altri, che sarebbero stati popolati da popoli secondari, come li defin Hitler, il numero dei quali avrebbe dovuto essere ridotto ad ogni costo; [21] il dominio/saccheggio economico iperaccelerato compiuto dallimperialismo giapponese in Cina, tra il 1931 ed il 1945. Gi nel 1927 il piano Tanaka, elaborato dallallora primo ministro giapponese, auspicava apertamente la conquista della Manciuria e della Mongolia come preludio alla dominazione giapponese su tutta la Cina, e alle parole seguirono i fatti: nonostante leroica resistenza del popolo cinese, la borghesia nipponica ed i suoi apparati statali riuscirono ad impadronirsi di buona parte della Cina per quasi un decennio, e della Manciuria per 14 anni. In questultima regione, i monopoli giapponesi si appropriarono completamente delle enormi risorse materiali del luogo (carbone e ferro, in primo luogo) ed esercitarono contemporaneamente uno sfruttamento quasi senza limiti della manodopera cinese, privata di qualunque diritto in tutto il periodo preso in esame; nelle zone rurali ed urbane occupate dallimperialismo giapponese nel resto della Cina, dopo il 1937, il carico fiscale imposto dagli invasori, le requisizioni forzate su larga scala, le stragi e le distruzioni effettuate nei villaggi in funzione intimidatoria contro la guerriglia comunista ridussero allo stremo i contadini cinesi, garantendo allo stesso tempo unenorme processo di estrazione coercitiva di surplus agricolo a vantaggio del capitalismo di stato nipponico e dei suoi apparati militari.[22] Sempre nel libro I rapporti di forza stato sottolineato che un altro importante sostegno empirico allesistenza economica e politica del bisogno omega fornito dalla storia degli Stati Uniti nel corso del Diciannovesimo secolo: proprio il processo di sviluppo bisecolare della principale potenza planetaria, dal 1783 fino allinizio del III millennio, dimostra infatti non solo lesistenza e lo sviluppo di tutta una serie di piani/azioni di Washington tese a realizzare una piena egemonia, prima continentale e poi planetaria, ma anche come i bisogni economico-politici proiettati dalla borghesia statunitense in campo internazionale abbiano a volte raggiunto dei livelli nichilistici, rivolti in particolare contro il Messico e le popolazioni native americane. Poco dopo la formazione degli stessi Stati Uniti, tra il 1795 ed il 1848 emerse scopertamente una prima ed ambiziosa linea direttrice dellimperialismo nordamericano, tesa ad impossessarsi delle enormi zone geopolitiche del continente nordamericano ancora in possesso della Francia, della Spagna e del Messico. Dopo aver acquistato pacificamente la Louisiana dalla Francia napoleonica, troppo impegnata nella guerra contro la Gran Bretagna per poter conservare stabilmente il suo possedimento coloniale nel Nuovo Mondo, il Congresso di Washington nel 1811 approfitt della presenza delle truppe francesi in Spagna per votare una chiara e cinica risoluzione, in cui si

dichiarava che gli USA avevano lintenzione di occupare la Florida, allora territorio spagnolo, per rimanervi a tempo indefinito. Nel testo si affermava, senza quasi i consueti veli diplomatici, che gli USA, nelle speciali circostanze della crisi attuale, vedono con grande preoccupazione che una parte di quei territori (alias la Florida) possa passare in mano a una potenza straniera. La loro stessa sicurezza li costringe a procedere a unoccupazione temporanea di quei territori, che rimarranno nelle nostre mani in vista di future trattative.[23] La conquista della Florida non fu certo temporanea, visto che nel 1818 il generale A. Jackson occup definitivamente la regione, poi forzatamente venduta dalla Spagna lanno dopo al neoimperialismo statunitense. Oltre alla Florida, la prima linea direttrice ebbe come obiettivi anche la zona caraibica (Cuba in testa) e limmensa area geopolitica che andava dallOceano Atlantico fino al Pacifico ed alla California, passando per il Texas. Con notevole lungimiranza Louis de Onis, ambasciatore spagnolo a Washington, mise in guardia fin dal 1812 il suo governo rispetto alle chiare e deliranti (de Onis) mire egemoniche gi allora espresse dai nuclei dirigenti statunitensi di quel tempo. Questo governo si proposto, n pi n meno, di fissare i suoi confini a partire dalla foce del Rio Bravo in linea retta verso il Pacifico, includendo quindi le province del Texas, Nuevo Santander, Coahuila, e una parte di Nueva Vizcaya e Sonora. Pu sembrare delirante, ma un fatto che il progetto esiste e che hanno tracciato una carta che include Cuba come parte integrante di questa repubblica.[24] Non si trattava certo di un errore clamoroso di de Onis, visto che proprio lex presidente Jefferson confess apertamente al nuovo presidente Monroe i piani deliranti di una classe dominante ormai in ascesa scrivendo nel 1822: Dobbiamo porci la seguente domanda: desideriamo acquisire alla nostra Unione alcune province ispano-americane? Confesso sinceramente di essere stato sempre dellopinione che Cuba laggiunta pi interessante che potremmo fare al nostro sistema di stato. Il dominio su questisola e sulla Florida ci darebbe il controllo del Golfo del Messico e degli stati dellistmo.[25] Ai piani ed ai progetti seguirono rapidamente le azioni imperialistiche deliranti di Washington, visto che la Florida cadde in mani statunitensi nel 1819, Cuba (come protettorato americano) nel 1898-1901, mentre gi nel 1835-48 gli USA strapparono con la forza militare al Messico il Texas, il Nuovo Messico e la California, in modo tale che tutte le enormi ricchezze ed aree agricole dellarea caddero nelle mani del nascente capitalismo, dei piccoli agricoltori e degli schiavisti statunitensi: Louis de Onis aveva visto bene e molto lontano La seconda linea direttrice dellegemonismo statunitense del XIX secolo e del suo livello omega di bisogni materiali e politici venne invece apertamente diretta contro le trib dei nativi americani, stanziati da millenni nellenorme regione compresa tra lAtlantico e lOceano Pacifico. Fin dal 1610-1620, fin dalla comparsa sul suolo americano dei primi stanziamenti dei coloni europei, emerse chiaramente la volont egemonica di questi ultimi, decisi ad appropriarsi completamente delle terre occupate da secoli dai clan di nativi americani liquidandone ogni resistenza: nel Connecticut la trib dei Pequot venne sterminata completamente dalla ferocia dei puritani inglesi fin dal 1637, mentre secondo un censimento del 1669 in Virginia sopravvivevano solo duemila dei trentamila indiani ivi stanziati solo cinque decenni prima.[26] Non era che linizio di un processo amplificatosi a dismisura subito dopo la conquista dellindipendenza da parte delle ex-colonie britanniche, nel 1783, portato avanti di comune accordo dalla borghesia manifatturiera/industriale del paese e dai contadini immigrati. Come ha scritto lucidamente lo storico statunitense F. Jennings, nel suo libro La creazione dellAmerica, il primo obiettivo dellimpero americano fu il dominio delle popolazioni indiane e delle loro terre Gli indiani avevano un altro genere di propriet che faceva gola agli europei: la terra. I coloni erano

decisi a ottenerla con qualsiasi mezzo, a volte con la violenza, altre con il commercio. Non si accontentarono di trasformare le terre indiane in una propriet coloniale generalizzata. Ciascun colono e ciascun governo coloniale entrarono in competizione con gli altri per accaparrarsi le terre delle trib, e a volte la competizione sfociava nella violenza tra coloni o addirittura, come nella ribellione di Nathaniel Bacon in Virginia, nella violenza allinterno della colonia. I territori indiani divennero il pomo della discordia anche tra coloni e impero britannico. Tutti concordavano sul fatto che la terra fosse fondamentale per il benessere, restava per da capire a chi spettasse quel benessere. I coloni volevano le terre per s, ma essendo troppo lontani dalla corte di Inghilterra venivano scavalcati dai potenti aristocratici che gareggiavano per ottenere vaste propriet in concessione. La questione non si esaur mai. Allepoca della Rivoluzione americana le lobby londinesi seguitavano a contendersi i territori distribuiti dai governi coloniali.[27] Quando la Gran Bretagna dovette cedere al nuovo ed indipendente stato americano la sovranit sui territori posti tra i monti Appalachi ed il Mississippi, le autorit statunitensi via via costrinsero manu militari le sconfitte trib di nativi americani a cedere tutti i loro territori in quellarea, nel periodo compreso tra il 1784 ed il 1800: le terre conquistate, con unordinanza del Congresso degli Stati Uniti del 13 luglio 1787, vennero apertamente annessi al nuovo stato per poi andare successivamente a formare degli stati federati allinterno dellUnione nordamericana, una volta raggiunta la massa critica di 60.000 uomini liberi ormai residenti nel nuovo stato-membro. Lo storico F. Jennings not che in tal modo i 13 stati originari dellUnione proiettarono il loro impero, condividendolo, su tutto il continente nordamericano fino alla costa del Pacifico e oltre le isole Hawaii. Gli stati sono ormai 50, ma potrebbero ancora aumentare. Un esperimento del genere non era stato pi tentato dai tempi dellimpero romano.[28] Lesperimento si concluse con il quasi totale sterminio dei nativi americani e la quasi totale espropriazione delle terre prima in loro possesso, con un successo che quasi sicuramente avrebbe causato linvidia di Gengiz Khan.[29] Questi processi storici, oltre a molti altri fatti testardi non inseribili nel presente libro per evidenti ragioni di spazio, costituiscono una parte delle proteiformi prove dellesistenza del processo di riproduzione, spesso allo stato latente e potenziale (quando non sussistono rapporti di forza adeguati/ritenuti adeguati alla loro emersione nel mondo reale) , dei livelli alfa ed omega, inseriti organicamente nelle diverse scale di bisogni politico-materiali allinterno dellarena internazionale. Sar poi il calcolo (corretto/errato) dei rapporti di forza a indicare la priorit numero uno ai diversi stati in un determinato momento storico, e cio se il bisogno numero uno del momento sia ad esempio lautoconservazione affannosa di un minimo di sovranit di fronte allattacco di un nemico superpotente o, viceversa, il bisogno omega di una nazione dotata di eccezionale asimmetria di potenza rispetto a nemici quasi inermi (= Stati Uniti e trib dei nativo-americani, i cosiddetti pellerossa). La terza e quarta colonna della politica internazionale, alias la tendenza alla massimizzazione del possibile (tmp) e la sua sorella, tesa invece alla massima minimizzazione delle perdite in situazioni sfavorevoli, risultano essere i sottoprodotti inevitabili della combinazione dialettica tra rapporti di forza e scala elastica dei bisogni. Correlazione di potenza iperfavorevole? Facciamo man bassa di tutto/quasi tutto il bottino possibile, del potere e il surplus materiale disponibile su scala internazionale. E viceversa, abbiamo subito delle batoste durissime? cerchiamo almeno di sopravvivere e di ridurre al massimo possibile, realisticamente raggiungibile, le perdite che subiremo a causa della nostra sconfitta Sotto laspetto della tendenza alla massimizzazione del possibile, essa venne in larga parte gi compresa (seppur attribuendola ad un eterna ed avida natura umana) dalla sopracitata scuola anglosassone del realismo, che ha segnato costantemente allinterno del mondo occidentale lo

studio delle relazioni internazionali almeno dalla fine degli anni Quaranta dello scorso secolo, secondo il corretto giudizio di Mearsheimer, e cio da quando gli scritti di Morgenthau cominciarono a richiamare lattenzione di un vasto pubblico, fino ai primi anni Settanta. Esso si fonda sul semplice presupposto che gli stati sono guidati da esseri umani che hanno una innata volont di potenza. Ossia, gli stati hanno uninsaziabile sete di potere (o, per usare le parole di Morgenthau, unillimitata brama di potere), il che significa che sono alla costante ricerca di occasioni per assumere loffensiva e dominare altri stati. Poich tutti gli stati sono dotati di un animus dominandi, non c senso a discriminare tra stati pi o meno aggressivi, e tanto meno dovrebbe esserci spazio nella teoria per potenze dedite allo status quo. i realisti della natura umana riconoscono che lanarchia internazionale lassenza di un autorit che governi sulle grandi potenze fa s che gli stati si preoccupino dellequilibrio di potenza. Ma questo vincolo strutturale trattato come determinante di secondordine del comportamento degli stati. La principale forza trainante nella politica internazionale la volont di potenza insita in ogni stato del sistema, che spinge ciascuno di essi a lottare per la supremazia. Il realismo difensivo, che va anche sotto il nome di realismo strutturale entrato in scena nei tardi anni Settanta con la pubblicazione di Theory of International Politics di Waltz. A differenza di Morgenthau, Waltz non presuppone che le grandi potenze siano intrinsecamente aggressive in quanto assetate di volont di potenza, ma parte dallassunto che gli stati puntino semplicemente a sopravvivere. Pi di ogni altra cosa cercano la sicurezza. Ciononostante, sostiene che la struttura del sistema internazionale obbliga le grandi potenze a prestare la massima attenzione allequilibrio del potere. In particolare lanarchia costringe gli stati che perseguono la sicurezza a contendersi il potere, perch il potere il miglior mezzo per sopravvivere. Mentre nella teoria di Morgenthau la natura umana la causa profonda della competizione per la sicurezza, in quella di Waltz questo ruolo attribuito allanarchia. Waltz per non sottolinea la circostanza che il sistema internazionale fornisce alle grandi potenze ottimi motivi per agire aggressivamente allo scopo di guadagnare potere. Egli sembra piuttosto sostenere il contrario: che lanarchia incoraggi gli stati a comportarsi in modo difensivo e a mantenere anzich alterare lequilibrio di potenza. Prima preoccupazione degli stati, scrive, conservare la propria posizione nel sistema. Si direbbe, come rileva il teorico delle relazioni internazionali Randall Schweller, che nella teoria di Waltz sia presente un pregiudizio a favore dello status quo. Waltz riconosce che gli stati hanno incentivo a guadagnare potere a spese dei loro rivali e che cosa strategicamente sensata agire a tempo opportuno in base a questa motivazione. Ma non approfondisce i dettagli di questa linea di ragionamento.[30] Il processo di approfondimento invece venne sviluppato proprio da Mearsheimer, che rilev non solo la tendenza generale alla massimizzazione (seppur non collegandola sul piano teorico al possibile ed al calcolo dei rapporti di forza, convitato di pietra formidabile e che a volte impone invece la minimizzazione delle perdite al massimo grado possibile), ma elabor anche uninteressante analisi delle diverse strategie/tattiche che assume via via il trend generale in oggetto allinterno dellarena internazionale, a partire dalla triade principale costituita da guerra/bilanciamento/scaricabarile. E il momento di considerare come operano le grandi potenze per massimizzare la loro quota di potere mondiale. La prima cosa da fare esporre gli obiettivi specifici che gli stati perseguono nella loro competizione per il potere Il passo successivo consiste nellanalizzare le varie strategie che gli stati usano per modificare lequilibrio di potenza a proprio vantaggio o per impedire ad altri stati di alterarlo a loro danno. La guerra la principale strategia che gli stati adottano per acquisire potere relativo. Il ricatto unalternativa pi attraente per raggiungere determinati risultati, perch si basa sulla minaccia di ricorrere alla forza, e non sul suo uso effettivo. Il ricatto per di norma difficile da realizzare, perch probabile che una grande potenza preferisca combattere prima di sottostare alle minacce di unaltra grande potenza. Unaltra strategia per acquistare potere quella

dei bait and bleed, falli scannare tra loro, con cui uno stato cerca di indebolire i suoi rivali provocando una guerra lunga e costosa fra loro. Ma anche questo schema di difficile attuazione. Una variante pi promettente di questa strategia quella del dissanguamento, in cui uno stato opera per far si che la guerra in cui impegnato un avversario sia protratta e mortifera. Bilanciamento e scaricabile sono le principali strategie cui ricorrono le grandi potenze per evitare che un aggressore alteri lequilibrio delle forze. Con il bilanciamento, gli stati minacciati si impegnano seriamente a contenere in prima persona lavversario pericoloso. In altre parole, sono pronti ad accollarsi lonere di scoraggiare, e in caso di bisogno di combattere laggressore. Con lo scaricabarile, gli stati cercano di indurre unaltra grande potenza a bloccare laggressore mentre essi rimangono in posizione defilata. Gli stati minacciati di norma preferiscono lo scaricabile al bilanciamento, soprattutto perch nel primo caso evitano il costo di combattere laggressore nellevenienza di una guerra. Le strategie di appeasement e di bandwagoning sono particolarmente inefficaci nei confronti di un aggressore. Entrambe prevedono la concessione di potere a uno stato rivale, cosa che in un sistema anarchico una ricetta sicura per provocarsi i danni. Con il bandwagoning, vale a dire saltare sul carro del vincitore, lo stato minacciato abbandona la speranza di impedire allaggressore di guadagnare potere a sue spese e unisce le sue forze a quelle del suo pericoloso nemico, per ottenere almeno una piccola parte del bottino di guerra. Lappeasement una strategia pi ambigua. Chi la pratica mira a modificare il comportamento dellaggressore, facendogli blandizie e concessioni nella speranza che il gesto, rendendolo pi sicuro, riduca o elimini lincentivo dellaggressione. Pur essendo queste due strategie inefficaci e pericolose, perch potrebbero far pendere lequilibrio di potere a favore dello stato minacciato che le mette in atto, esporr alcune circostanze speciali in cui potrebbe essere sensato per uno stato concedere potere a un altro. E luogo comune nella lettura sulle relazioni internazionali considerare che il bilanciamento e saltare sul carro siano le strategie chiave a disposizione di una grande potenza minacciata, e che la grande potenza opti inevitabilmente per bilanciare contro un avversario pericoloso. Non credo ci sia esatto. Saltare sul carro del vincitore potenziale, come ho detto, non unopzione produttiva in un mondo realista, perch anche se lo stato che vi ricorre pu ottenere maggiore potere assoluto, laggressore ne guadagna di pi. La vera scelta in un mondo realista tra il bilanciamento e lo scaricabarile, e gli stati minacciati preferiscono, ogni volta che sia possibile, la seconda opzione alla prima.[31] Anche se Mearsheimer ha reso eterno ed assoluto il principio della ricerca dellegemonia regionale (alias la massimizzazione dei vantaggi nellarena internazionale), non tenendo conto dellabile ed efficace eccezione cinese dal 1978/2012, che invece rifiuta il concetto di egemonia planetaria concretamente perseguito dallimperialismo statunitense dal 1945 fino al 2012, il brillante studioso americano ha colto nel segno in un punto centrale: anche se a volte come semplice tentativo di rosicchiare, micro posizioni di potere/potenza detenute dagli altri stati, la mega tendenza alla massimizzazione del possibile costituisce una vera e propria stella polare della progettualit/praxis dei nuclei dirigenti politici su scala internazionale, trasformandosi in presenza di rapporti di forza sfavorevoli nella sub-tendenza alla minimizzazione delle perdite, come nei casi sopra citati (e moltiplicabili a piacere) dei durissimi trattati di pace stipulati a Tilsit ed a BrestLitorsk, rispettivamente nel 1807 e nel 1918.[32] Un altro corollario della tendenza alla massimizzazione del possibile consiste nel derivato impulso, costante seppur graduato a seconda del calcolo (corretto/errato) dei rapporti di forza concreti, di ciascuna potenza a danneggiare la potenza dagli stati nemici al massimo grado possibile. Ad esempio il presidente statunitense R. Nixon, ancora nel 1970 ed allinizio della distensione con lavversario strategico sovietico, in riferimento al conflitto israeliano espresse e diede quasi per scontata la massima secondo cui gli Stati Uniti dovessero sempre perseguire il loro interesse principale, cio fare ci che danneggia maggiormente i sovietici [] (ed) evitare che il conflitto arabo-israeliano offuschi questo interesse. E in questo contesto che debbono essere valutate le

polemiche che , durante tutta la primavera del 1970, accompagnarono il rifiuto di Nixon ed in particolare di aerei, per rimpiazzare le perdite subite e attrezzature atte a ridurre lefficacia della contraerea sovietica. Se gli israeliani erano preoccupati soprattutto di mantenere comunque la superiorit militare, Nixon ed in minor misura Kissinger, che mostrava impazienze filoisraeliane era interessato soprattutto a logorare le posizioni sovietiche in Egitto, ritardando la ripresa dei territori perduti.[33] La costante di Sargon costituisce a sua volta unaltra colonna del processo di sviluppo della politica internazionale, avendo per oggetto la divisione delle nazioni/aree geopolitiche mondiali tra stati-sfruttatori e stati-aree geopolitiche sfruttate: faglia di divisione fondamentale, che lascia tuttavia (in alcuni casi, consentiti principalmente dalla solita correlazione di potenza concreta) la possibilit di esistenza di una zona intermedia di stati allo stesso tempo non-sfruttati e nonsfruttatori, come nei casi del Giappone dal 1610 al 1870 e della Cina Popolare, dal 1949 fino ad oggi. Nel libro I rapporti di forza si era gi sottolineato che se Lenin nel luglio 1920 affermava correttamente che la divisione tra popoli oppressi e popoli oppressori risultava della massima importanza per la politica internazionale nellepoca del moderno imperialismo, tutta una lunga sequenza di dinamiche concrete fornisce innumerevoli conferme sulla riproduzione plurimillenaria del dominio armato di stati vampiri e sfruttatori, fin dal 3700 a.C.: in sostanza da pi di cinque millenni, allinterno delle formazioni economico-sociali classiste e su scala mondiale, si formata via via una decisiva e strategica suddivisione tra le zone geopolitiche e gli stati dominanti, che si appropriano del surplus e dei mezzi di produzione prodotti in altre aree geoeconomiche (e formazioni statali) utilizzando principalmente la coercizione e gli strumenti politico-militari al fine di attuare un processo di trasferimento forzato di ricchezza, e le zone-formazioni statali sfruttate, che subiscono invece lestorsione coercitiva di surplus e di mezzi di produzione da parte degli stati-vampiro. [34] Infatti uno dei cardini che hanno contraddistinto le relazioni internazionali negli ultimi sei millenni e fino ai nostri giorni rappresentato dalla costante di Sargon, alias dalle tendenze egemoniche di carattere economico e politico espresse dagli stati classisti negli ultimi millenni. Da questi ultimi si infatti generato e riprodotto un importante trend generale, finalizzato a conservare ed estendere al massimo grado possibile i propri rispettivi territori economici (Lenin), lo sfruttamento della forza-lavoro di altre nazioni e lappropriazione di surplus nel campo delle relazioni interstatali, in presenza e con laiuto indispensabile di rapporti di forza politici e politicomilitare ritenuti favorevoli a tale scopo: e tale tendenza allo sfruttamento di altre aree geopolitiche/formazioni statali ed allimperialismo economico, i cui particolari target materiali sono variati a seconda dei diversi modi di produzione classisti interessanti, si collegata organicamente ad una parallela spinta egemonica esercitata dai nuclei dirigenti statali e dai loro mandanti sociali nel campo delle relazioni politiche internazionali, finalizzata a conservare e/o ad estendere al massimo grado possibile le zone e le sfere di influenza da essi controllate in modo diretto (attraverso loccupazione/conquista) o indiretto (con minacce credibili e/o apparati politici esteri eterodiretti), sempre in presenza e con laiuto indispensabile di rapporti di forza politici favorevoli agli stati-vampiro egemoni/aspiranti tali. In altri termini, i mandatari politici di ogni formazione statale fondata su rapporti di produzione classisti hanno manifestato nello scacchiere internazionale un impulso costante a conservare/allargare le proprie rispettive aree geopolitiche-geoeconomiche dinfluenza, pi o meno limitrofe, sottoposte a processi di appropriazione di surplus/plusprodotto/mezzi di produzione/oggetti di lavoro a vantaggio degli stati egemoni, a patto di ritenere a torto o a ragione di possedere una superiorit globale di forze, tale da consentire loro il raggiungimento effettivo di queste finalit predatorie nel campo delle relazioni interstatali. Unesperienza storica plurimillenaria, che ha mostrato i suoi prodromi ancora con le invasioni protoclassiste dei Kurgan, dimostra come la costante principale endogena e la struttura

fondamentale interna delle formazioni economico-sociali classiste, individuabile nella ricerca costante dellappropriazione del massimo grado possibile di surplus, plusprodotto e mezzi di produzione da parte di una minoranza della popolazione, si trasformi inevitabilmente in campo internazionale nella tendenza espressa dai nuclei dirigenti statali (e dai loro mandanti sociali) tesa ad egemonizzare e sfruttare gli altri stati e le altre aree geopolitiche, sempre in presenza e con laiuto indispensabile di rapporti di forza ritenuti favorevoli: lo sfruttamento endogeno in campo nazionale, in altri termini, marcia di pari passo e produce inevitabilmente un parallelo processo di sfruttamento materiale tradotto su scala internazionale, laddove sussistano le indispensabili premesse materiali, politiche, militari e tecnologico-militari. La tendenza ad esportare lo sfruttamento di forza-lavoro ed il dominio politico su scala internazionale controllando aree geopolitiche e sfere di influenza allestero, comune a tutte le formazioni statali classiste sviluppatesi negli ultimi sei millenni, pu essere denominata come la costante di Sargon, dal nome del leader del primo impero conosciuto nella storia e formatosi nellarea mediorientale quasi 2400 anni prima della nascita di Ges di Nazareth. Quando la correlazione di potenza politica (politico-militare) esistente tra stati e/o aree geopolitiche lo consente concretamente, si crea pertanto un rapporto asimmetrico tra le zone centrali (in cui generalmente domina unetnia caratterizzata da una precisa identit razziale, linguistica e/o culturale-religioso) e le aree periferiche da esse controllate, relazione dialettica in cui queste ultime erogano gratuitamente verso gli stati-vampiro delle masse pi o meno consistenti di surplus, pluslavoro e materie prime, mentre parallelamente le zone centrali si appropriano di quantit variabili a seconda del periodo e delle situazioni storiche dei mezzi di produzione, della forza-lavoro e delle condizioni della produzione creati nelle aree periferiche: in sostanza si forma e si riproduce una relazione economica squilibrata tra imperi e colonie/semicolonie, tra zona centrale e zona periferica, tra stati-vampiro ed aree vampirizzate, sempre rapporti di forza politici (e politico-militari) permettendo.[35] Va subito notato che anche se la costante di Sargon rappresenta uno dei cardini della politica internazionale, la tendenza alla conservazione-espansione su scala internazionale delle sfere di influenza politiche ed economiche, coloniali e non coloniali, si scontra quasi sempre con delle potenti controtendenze che pesano in modo variabile sulla progettualit-praxis dei nuclei dirigenti classisti e dei loro mandanti sociali rispetto alla sfera interstatale. Tra queste controtendenze emerge in modo particolare la contro-forza durto rappresentata dal potenziale direzionale, economico e militare via via accumulato dalle possibili prede dellespansione degli stati-vampiri presenti nelle diverse aree geopolitiche o nellintero scacchiere mondiale, dopo il 1820-1850, visto che proprio dalla contropotenza reale detenuta dai potenziali antagonisti dipendono le concrete possibilit di successo delle diverse operazioni di espansione egemonica, i rischi prevedibili ad esse collegati e i costi politici, economici e militari che queste ultime comportano, sempre secondo le stime soggettive corrette/errate degli aspiranti statiegemoni. Tanto maggiore risulta lequilibrio di potenza in campo, secondo la valutazione soggettiva (corretta-errata) del rapporto di forza effettuata dal potenziale predatore, tanto minori saranno le probabilit che le aspirazioni egemoniche e le tendenze espansionistiche politico-economiche si trasformino realmente in pratica concreta su scala internazionale attraverso guerre, diktat e minacce di guerra, rimanendo invece in uno stato latente. Altri fattori secondari che spesso contrastano la costante di Sargon sono rappresentati dalle distanze spaziali e dalle barriere geonaturali, dalla fama di combattivit dei possibili target dellespansione, dalle contraddizioni interne che attanagliano la potenza tentata a procedere verso lespansione politico-economica, oppure dallintervento di terzi stati a fianco delle potenziali prede: in estrema sintesi, la controforza accumulata dalle altre formazioni statali e leventuale ruolo giocato dalle controtendenze secondarie possono rendere latente ed inerte, per periodi di tempo pi o meno prolungati, la tendenza allespansione dei propri spazi ed aree dinfluenza economiche e politiche in molti stati-vampiro, in tutta una serie di loro nuclei dirigenti politici

diventati egemoni in diversi stati ed epoche storiche diverse. Ma non solo: il gioco crudele creato in campo internazionale dalla costante di Sargon ha due sensi di marcia potenziali dato che la vittima potenziale/reale si pu trasformare in uno stato-vampiro, o viceversa. Infatti quando certe formazioni statali classiste o aree geopolitiche non possiedono una sufficiente massa critica in campo politico, economico, tecnologico e militare, esse non soltanto devono autocongelare e rendere latenti le proprie tendenze allespansione economica-politica, ma possono anche diventare facilmente delle prede di tendenze egemoniche altrui, trovandosi nella scomoda posizione di squali piccoli minacciati da squali pi grandi superiori per il potenziale accumulato in precedenza in campo politico, organizzativo, militare, tecnologico, economico e direzionale. Il cacciatore di oggi, limpero di oggi, pu sempre trasformarsi nella preda e nellarea periferica sfruttata di domani; uno stato indipendente, con una propria sfera di influenza politico-economica, pu essere travolto da formazioni statali ancora pi potenti, ridimensionato o addirittura ridotto nella posizione di colonia-semicolonia, come dimostra tra tanti casi la sorte dellimpero Incas, distrutto in poco tempo dal colonialismo spagnolo. In ogni caso il ruolo giocato dai rapporti di forza politici e politico-militari risulta cos importante e rilevante da far s che la pura e semplice conservazione di imperi e/o di proprie sfere dinfluenza politico-economica costituisca una forma particolare della tendenza generale imperialista connaturata ai diversi stati ed ai diversi modi di produzione classisti, che si esprime quando si in presenza di rapporti di forza non pi favorevoli agli stati dominanti, quando cio le circostanze impongono ormai agli stati-vampiro la creazione di processi di difesa e stabilizzazione dellimpero gi esistente, secondo lespressione usata da H. Morgenthau.[36] Sussistono sia elementi di continuit che di discontinuit, nelle varie tipologie di egemonismo politico-economico interstatale comparse dopo il 3700 a.C. Ciascuno dei modi di produzione classista riprodottosi negli ultimi sei millenni possiede delle proprie importanti specificit imperialistiche, legate strettamente sia ai rispettivi rapporti di produzione endogeni che ai diversi livelli di sviluppo delle forze produttive. Infatti il rapporto concreto tra sfruttatori e sfruttati a livello interstatale, pur mantenendo negli ultimi sei millenni degli importanti elementi materiali di continuit, cambia anche notevolmente a seconda che esso si sviluppi allinterno del modo di produzione asiatico, schiavistico, feudale o capitalistico, mentre tra laltro ciascuna delle sopramenzionate formazioni economico-sociali si trasforma via via nel corso del proprio particolare processo di sviluppo/decadenza, in modo tale che ogni fase storica della loro riproduzione materiale manifesta delle diversit socioproduttive rispetto a quello precedente. Pertanto sono risultate molto diversificate tra loro sia le prede economiche via via selezionate e ricercate, su scala internazionale, dagli involucri politici dei diversi modi di produzione classisti, sia le relazioni materiali createsi tra centro e periferia volta per volta, seppur allinterno di una cornice comune costantemente caratterizzata dal processo di trasferimento di lavoro non pagato, di surplus e mezzi di produzione dalla periferia-colonia allimpero centrale/zona dominante, grazie alla creazione di territori economici (Lenin) e politici sottoposte al controllo di questi ultimi. Loggetto economico principale delle tendenze egemoniche espresse dagli stati e societ che rientrano nel m.p. asiatico stato costituito dalla conservazione/allargamento delle imposte e rendite fondiarie (in lavoro o prodotti) erogate gratuitamente dalle comunit contadine delle zone conquistate agli apparati statali dellarea centrale, al nucleo politico dirigente e ai suoi strumenti di dominio: burocrazia civile, apparati repressivi militari e fiduciari politici operanti nelle zone periferiche sottomesse. I processi vittoriosi di conquista di nuovi territori economici permisero di estendere la propriet fondiaria statale via via accumulata e controllata dalllite politico-sociali dominanti, aumentando la massa di tasse di cui queste ultime si poterono appropriare gratuitamente sotto forma di rendita di lavoro o prodotti, oltre a consentire lacquisizione parallela di fonti esogene di materie prime e metalli preziosi: Marx scrisse che se ai produttori diretti, se a questi lavoratori non si contrappongono come proprietari delle terre e allo stesso tempo come sovrani i

proprietari terrieri privati, ma, come avviene in Asia, lo Stato stesso, rendita e imposte coincidono, o piuttosto non vi imposta che si allontani da questa forma della rendita fondiaria.[37] Il modo di produzione schiavistico a sua volta, si fondato essenzialmente sulla costante riduzione di servit della forza-lavoro sfruttate mediante la guerra e lazione mercantile dei mercanti di schiavi, sostenuti sempre dai propri rispettivi apparati statali: pertanto nel modo di produzione schiavistico i principali oggetti oscuri del desiderio, su scala internazionale, vennero rappresentati dallacquisizione di tributi sotto forma di prelievi fiscali, alimentari e monetari forniti gratuitamente dalle zone dominate e dai processi di appropriazione di schiavi innescati con la forza nelle zone periferiche conquistate, mentre altri dividendi materiali secondari provenienti dalle sfere di influenza via via annesse furono il flusso di materie prime e di metalli preziosi, assorbiti senza contropartite dalle zone centrali degli imperi, assieme al controllo sulle grandi propriet fondiarie espropriate ai precedenti possessori autoctoni. Ad esempio quando il primo impero sovranazionale della storia, creato dalle forze armate di Sargon, estese il suo dominio sul Medioriente, la zona centrale ottenne dalla periferia consistenti prelievi fiscali, la materia prima strategica dello stagno essenziale per la produzione delle armi in bronzo e manodopera servile in abbondanza; quando a sua volta la repubblica schiavistica romana distrusse lo stato macedone, nel 171-168 a.C., la met delle tasse che i cittadini macedoni pagavano ai loro precedenti sovrani venne acquisita da Roma ed ai nuovi sudditi fu proibito sia di lavorare i metalli doro e dargento, che di esportare il legno da costruzione; dal canto suo lEpiro, alleato della Macedonia nella lotta contro limperialismo romano, venne completamente saccheggiato e ben 150.000 abitanti furono ridotti in schiavit, tanto che il bottino portato a Roma permise che le imposte dirette di cui erano gravati i cittadini romani fossero abolite per molto tempo.[38] Nel processo secolare che trasform, tra il 202 ed il 31 a.C., tutto il bacino del Mediterraneo in una fonte globale di tributi, di terre e di schiavi per il nucleo centrale romano ed i suoi gruppi sociali dominanti, un ruolo secondario ma importante nelle conquiste effettuate dallimpero romano in Spagna, in Egitto ed in Sudan venne giocato anche dalla sete di metalli preziosi: le aree sopra citate erano infatti famose per i loro eccezionali giacimenti auriferi, subito sfruttati dallavido egemonismo di Roma.[39] Passando al modo di produzione feudale, il principale obiettivo economico della costante di Sargon al suo interno venne rappresentato dallappropriazione diretta di possedimenti fondiari e di forza-lavoro servile (servi della gleba e contadini semiliberi) nelle aree periferiche sottomesse, anche se per laristocrazia fondiaria acquis una certa importanza anche la razzia sistematica allestero di metalli preziosi e di oggetti ad alto valore di scambio quali spezie, tessuti e schiavi. Uno dei modelli sociopolitici pi puri e cristallini di conquista feudale venne rappresentato dagli stati creati dai crociati europei nellarea siro-palestinese, dopo la temporanea conquista di Gerusalemme nel 1099 d.C., visto che in essi la natura delle prerogative reali e dei rapporti di servit venne indicata con molta chiarezza da documenti storici quali il Libro dei Re e le Assise di Gerusalemme. Laristocrazia feudale europea espropri con la forza i possedimenti fondiari precedentemente in possesso delle classi dominanti musulmane in unarea che arriv a comprendere circa 9.000 km2, incassando direttamente le rendite fondiarie e le imposte pubbliche del precedente regime islamico, la decima (zakat) e le imposte doganali, mentre tutti i villaggi della zona si trasformarono in feudi (casaux) dei conquistatori europei.[40] La lunga fase manifatturiera del m.p. capitalistico, durata circa dal 1100 al 1770 d.C., vide impegnate le principali potenze europee in un processo di espansione coloniale ininterrotta, a partire dallesperienza pilota veneziana: la creazione di imperi e di aree di influenza strettamente controllate dalle zone centrali ha accompagnato la societ borghese quasi fin dal suo sorgere, partendo dal feroce dominio coloniale creato dalla repubblica veneziana in alcune zone ed isole del Mediterraneo orientale, dopo il 1204.

La politica egemonica attuata dalle borghesie manifatturiere europee stata finalizzata principalmente allacquisizione con la forza di mercati protetti, gestiti in modo monopolistico per favorire al massimo grado possibile la vendita delle loro merci, ottenendo aree geopolitiche allo stesso tempo in grado di fornire sia materie prime a basso costo (con lutilizzo di schiavi/servi della gleba) che flussi monetari costanti verso il centro, sotto forma di tasse, dazi e mantenimento di superpagati funzionari civili-militari dellimpero a spese delle colonie: anche il controllo del traffico internazionale degli schiavi costitu un obiettivo secondario, ma rilevante, delle tendenze espansionistiche della borghesia manifatturiera, tanto che un filo rosso di sangue e sofferenze collettive colleg la storia dellaccumulazione originaria di capitali da parte dei mercanti di carne umana veneziani, olandesi ed inglesi. Il processo di colonizzazione e di occupazione dei mercati ed aree geopolitiche allestero continu anche durante la fase industriale del m.p. capitalistico, venendo gestito principalmente dalla superpotenza britannica con il suo gigantesco impero planetario (1770-1880). La Gran Bretagna aveva utilizzato il mercato estero coloniale, ed in particolar modo quello indiano, come uno dei pilastri del suo processo di accumulazione industriale, visto che la periferia forniva materie prime a buon mercato e dazi doganali al centro e allo stesso tempo acquistava esclusivamente le merci prodotte dallindustria britannica, la quale grazie ai nuovi mercati protetti pot sviluppare a sua volta enormemente la variet delle sfere produttive, il grado di specializzazione tecnica ed il progressivo aumento di dimensioni delle sue aziende. La Gran Bretagna ha sfruttato le sue colonie in molti modi differenti. Come al solito, le colonie portarono benefici al paese dominante e lo aiutarono a migliorare il suo tenore di vita. Nei territori coloniali la Gran Bretagna incoraggiava la politica del libero scambio, ma imponeva dazi sui prodotti finiti importati. In questo modo le colonie fornivano a basso costo le materie prime destinate alle produzioni britanniche protette, nelle quali lInghilterra primeggiava grazie alla sua rivoluzione industriale. Al contrario il paese scoraggiava limportazione di manufatti dalle colonie, imponendo su di essi dazi doganali, mentre le materie prime ne erano esenti. Naturalmente alle colonie non veniva permesso di imporre dazi sullimportazione di prodotti finiti. In questo modo le colonie fornivano materie prime competitive in mercati protetti allindustria britannica, che grazie a questi vantaggi pot progredire in molti campi. Settore tessile, metalmeccanico, navale crebbero rapidamente, mentre le industrie delle colonie vennero messe in ginocchio dai beni di produzione di massa provenienti dalla Gran Bretagna. Le colonie spendevano il surplus della bilancia commerciale per pagare i servizi importati dalla Gran Bretagna a prezzi artificialmente gonfiati. I funzionari pubblici, il personale civile e gli ufficiali britannici lavoravano nelle colonie facendosi pagare profumatamente, con denaro proveniente dagli eccessi di riserva in valuta pregiata ottenuti dal surplus commerciale con lInghilterra. In questo modo la politica economica britannica era concepita a esclusivo vantaggio degli inglesi, e a tutto danno delle colonie. Diversamente da Roma, la Gran Bretagna non ridusse in schiavit gli abitanti delle colonie, ma riusc comunque ad ottenere lavoro a basso costo in un altro modo. I territori doltremare venivano utilizzati anche come fonte di reclutamento dei soldati che, in cambio di salari di mera sussistenza, combatterono per la Gran Bretagna in difesa delle sue colonie nelle due guerre mondiali. Quindi anche lesercito britannico trasse vantaggio dallutilizzo di lavoro a basso costo e ci contribu a liberare le risorse necessarie allo sviluppo economico del paese.[41] Dopo il 1870-73, il modo di produzione capitalistico entr progressivamente nella sua fase di sviluppo monopolistica, caratterizzata allinterno delle potenze imperialistiche da un crescente processo di concentrazione del capitale in giganteschi oligopoli e dalla progressiva, ma costante fusione del capitale bancario e industriale in quello finanziario: Lenin not in modo penetrante che lepoca imperialistica del m.p. capitalistico era anche contraddistinta sul piano economicointernazionale dallesportazione di capitali sotto forma di prestiti internazionali, dalla presenza di multinazionali installatesi in paesi stranieri e dallappropriazione di fonti di energia e di materie

prime collocate in altre aree geopolitiche o stati esteri, da parte dei diversi centri imperialistici. Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica lesportazione delle merci; per il pi recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, diventato caratteristica lesportazione di capitali.[42] Tra il 1870 ed il 2008, il principale obiettivo economico perseguito in campo internazionale dai diversi nuclei dirigenti statali delle potenze imperialistiche stata la conservazione/allargamento al massimo grado possibile delle sfere di influenza geoeconomiche e geopolitiche controllate in tutto o in parte dalle proprie formazioni statali e mandanti sociali, per assicurare e garantire al massimo grado possibile il costante processo di riproduzione ed espansione: della massa complessiva e del livello dei profitti ottenuti dalle multinazionali delle proprie nazioni dei paesi esteri; della massa complessiva delle rendite e degli interessi percepiti dal sistema finanziario interno e dagli apparati statali nazionali, grazie ai capitali prestati allestero a privati e/o stati stranieri; dellappropriazione esclusiva-egemonica delle fonti di energia e delle materie prime internazionali, situate in altre aree geoeconomiche/stati; dellappropriazione esclusiva-egemonica delle condizioni materiali della moderna produzione capitalistica (terra, risorse idriche, ecc.), posizionate in altre nazioni; della massa complessiva di affari e di commesse internazionali civili o militari di cui si appropriano concretamente le proprie multinazionali sul mercato mondiale. Ai numerosi vecchi moventi della politica coloniale, il capitalismo finanziario aggiunse ancora la lotta per le sorgenti di materie prime, quella per le esportazioni di capitali, quella per le sfere di influenza, cio per le regioni che offrono vantaggiosi affari, concessioni, profitti monopolistici, ecc., ed infine la lotta per il territorio economico in generale.[43] La tendenza ad espandere le proprie sfere di influenza geopolitiche territori geoeconomici non era/ limitata alle aree agricole del globo, ma anzi in presenza di rapporti di forza politico-militari divenuti favorevoli poteva e pu tuttora rivolgersi al territorio economico controllato da altre potenze industriali ed imperialistiche: la Germania, tra il 1919 ed il 1924, venne ad esempio ridotta al grado di semicolonia tributaria dellimperialismo anglo-francese, il Terzo Reich nazifascista si appropri direttamente di una parte delle risorse di Francia, Olanda e Belgio nel 1940-44, gli Stati Uniti nel 1945-60 posero una parte dellEuropa occidentale sotto la loro stretta tutela, politica ed economica, poi indebolita principalmente dalla necessita di mantenere un fronte unito contro il blocco sovietico. In ultimo, ma non per importanza, lallargamento delle sfere di influenza via via controllate dalle diverse formazioni imperialistiche permetteva e permette tuttora non solamente lespansione della massa complessiva e del livello di profitto mondiale di cui si appropriano i diversi capitalismi nazionali, ma consente allo stesso tempo anche di indebolire le aziende, le multinazionali e gli stati imperialistici concorrenti riducendo la quota del plusvalore complessivo mondiale che questi ultimi controllano e diminuendo, sul piano politico, il grado di influenza esercitato dalle potenze rivali in campo internazionale: Lenin scrisse giustamente che in secondo luogo, per limperialismo caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per legemonia, cio per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto ad indebolire lavversario e a minare la sua egemonia[44] In ultima analisi lesperienza storica complessiva degli ultimi cinque-sei millenni insegna che le forme principali (differenziate tra loro) di imperialismo politico ed economico che contraddistinguono le formazioni economico-sociali classiste sono sei, e che le modalit storiche attraverso le quali si concretizzata la costante di Sargon sono:

limperialismo di tipo asiatico; limperialismo schiavistico; limperialismo feudale; il colonialismo manifatturiero; il colonialismo espresso dal capitalismo industriale; limperialismo moderno creatosi nellepoca del capitalismo monopolistico-finanziario.

Tutte queste tipologie di imperialismo risultano parzialmente unificate da un tratto economicomateriale comune, e cio dal trasferimento di surplus dalle aree periferiche sottomesse al centro delle zone dominanti attraverso territori economici e politici controllati strettamente da questultime, ma esse si differenziano tra loro sia per i rapporti di produzione egemoni (e per le loro fasi di sviluppo) sia per i principali oggetti materiali e produttivi delle tendenze espansionistiche in campo politico ed economico. Come not Lenin, politica coloniale e imperialismo esistevano anche prima del pi recente stadio del capitalismo, anzi prima del capitalismo stesso. Roma, fondata sulla schiavit, condusse una politica coloniale ed attu limperialismo. Ma le considerazioni generali sullimperialismo, che dimentichino le fondamentali differenze tra le formazioni economico-sociali o le releghino nel retroscena, degenera in vuote banalit o in rodomontate sul tipo del confronto tra la grande Roma e la grande Bretagna. Persino la politica coloniale dei precedenti stadi del capitalismo si differenzia essenzialmente dalla politica coloniale del capitalismo finanziario.[45] In ogni caso imperialismo significa soprattutto sfruttamento di certe nazioni/aree geopolitiche da parte di altri stati, anche se il prelievo reale di surplus-pluslavoro da parte delle zone centrali e nelle loro rispettive aree di influenza non esclude a priori che, in situazioni storiche particolari, i costi finanziari e militari della presenza egemone di determinati imperialismi in certi loro esclusivi territori economici in certe loro colonie o aree dinfluenza possano risultare nei fatti superiori ai vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento di queste ultime: ad esempio un rapporto sfavorevole tra benefici e costi economici globali si cre concretamente nelle colonie italiane del Corno dAfrica e della Libia, a carico dellimperialismo statunitense nel Vietnam ed in Indocina nel periodo compreso tra il 1965 ed il 1974.[46] La tesi esposta non costituisce una vuota astrazione: infatti risulta molto agevole dimostrare che la costante di Sargon e le tendenze egemoniche, di carattere politico ed economico, si siano realmente riprodotte ed abbiano realmente influenzato in modo assai significativo le relazioni internazionali degli ultimi sei millenni di storia del genere umano. Sul piano politico numerosi e ben conosciuti fatti testardi, combinati tra loro, attestano in primo luogo la creazione reale e la riproduzione nel tempo di numerosi imperi nella storia della societ di classe, caratterizzate dal controllo costante da loro esercitate, in forma diretta (occupazione coloniale) o indiretta (utilizzo di forme di pressione credibili e/o di personale politico di propria fiducia nella sfera di influenza), dalle zone centrali sulle loro aree periferiche, sfruttate economicamente ed abitate in molti casi da etnie diverse da quelle dominanti.[47] Per evidenti ragioni di spazio, rimandiamo proprio al libro I rapporti di forza per lesame delle molte prove e dei numerosi fatti testardi che indicano la presenza della costante di Sargon nellarena internazionale, assieme alla sopracitata riproduzione di imperi (a volte imperi neocoloniali, come nel caso della rete imperialistica planetaria via via costituita dagli Stati Uniti, tra il 1898 ed il 2012) e microimperi. Assai pi importante, per il momento, diventa un rapido e succinto esame sui campi di forza costanti e fondamentali che operano su scala internazionale, distinti dalle forze potenziali e dagli strumenti di produzione di potenza esistenti nelle relazioni internazionali: e cio sul sesto pilastro del processo di sviluppo delle relazioni interstatali.

Primo campo di forza, quello militare: alias linsieme della potenza durto detenuta dai diversi stati in campo bellico, linsieme combinato dei loro soldati (marinai, aviatori, ecc.) e del loro grado medio di abilit/combattivit, oltre alla massa di mezzi di distruzione a loro disposizione e al livello di tecnologia militare da essi accumulata, sia di carattere offensivo (dalle lance ai missili intercontinentali con pi testate atomiche) che difensivo (dagli scudi in legno fino agli scudi stellari, di reaganiana memoria). Secondo Mearsheimer il potere militare si basa sostanzialmente sulle dimensioni e la forza dellesercito di uno stato e delle forze aeree e navali che a quellesercito fungono da appoggio. Perfino in un mondo nucleare, gli eserciti sono il nocciolo della potenza militare. Una forza navale indipendente o una forza aerea strategica non sono idonee alla conquista di un territorio, n sono da sole molto efficaci a imporre concessioni territoriali ad altri stati. Certamente possono contribuire al successo di una campagna militare, ma le guerre delle grandi potenze si vincono soprattutto sul terreno. Gli stati pi potenti sono quindi quelli che possiedono le pi formidabili forze di terra.[48] Come si vedr meglio anche nel processo di confronto del potenziale accumulato dalla Cina Popolare e dagli Stati Uniti nel 2011, non sempre la potenza militare costituisce il campo di forza numero uno, specie quando le forze belliche si bilanciano e si annullano, come avvenuto su scala mondiale dopo il 1945/57 in conseguenza dellacquisita capacit delle potenze nucleari di distruggersi reciprocamente; a differenza di Mearsheimer, riteniamo inoltre che proprio tale fenomeno epocale abbia dimostrato come, dopo il 1945/57, le armi atomiche ed i vettori nucleari (bombardieri e missili strategici) siano ormai diventati lelemento principale dellinterno della fonte di potenza militare. Ma che questultima rimanga in ogni caso uno dei campi di forza principali allinterno delle relazioni internazionali, rappresenta una verit elementare e difficile da essere dimenticata. Il potenziale economico (ivi compreso quello finanziario, la disponibilit di fonti di materie prime ed energia, di tecnologia, ecc.) rappresenta a sua volta unaltro campo di potenza reale su scala interstatale. Non costituisce una forza latente, come ritiene invece erroneamente Mearsheimer, ma concretissima perch lutilizzo su larga scala di flussi monetari permette di influenzare/tentare di influenzare i comportamenti e la progettualit/praxis degli altri attori statali attraverso meccanismi ben conosciuti, quali la corruzione dei leader esteri, la concessione dei prestiti-usurai ed il derivato indebitamento (che produce soggezione e sudditanza) di altre nazioni, laiuto finanziario pi o meno disinteressato che determina lattrazione (pi o meno ampia) di un altro stato nella sfera dinfluenza del Babbo Natale di turno, ecc. Denaro potere reale anche in campo internazionale ma, come ha notato giustamente Mearsheimer, la potenza economica e lesistenza di concrete risorse finanziarie/surplus costituiscono la precondizione indispensabile per il processo di costruzione di serie e ben munite forze armate. G. P. Motta ha notato che il vecchio detto latino di Vegezio, pecunia nerbus belli, (il denaro il nerbo della guerra), la cui origine da ascriversi, probabilmente, a Tucidide (Rothemberg 1986) divenne sempre pi attuale nel XVII secolo. In generale, la dottrina mercantilistica dellepoca finalizz la ricchezza ottenuta tramite lavanzo della bilancia commerciale allaumento del peso politico e strategico degli Stati che si realizzava con lacquisizione e limpiego di strumenti militari come i sistemi fortificati e le forze oceaniche Ad esempio, il mercantilista inglese Thomas Mun, nel suo Englands Treasury by Foraign Trade del 1664, espresse la convinzione che la ricchezza dello Stato dovesse essere destinata al conseguimento di una maggior importanza strategica dellInghilterra, ottenibile con il potenziamento della flotta in funzione anti olandese o francese (Hinton 1955; Schumpeter 1959; Silberner 1957). Mun fu anche favorevole alla creazione di un tesoro di Stato dedicato esclusivamente al finanziamento delle spese belliche ed alimentato con lavanzo della bilancia commerciale.[49] Secondo Mearsheimer gli stati prestano grande attenzione anche al potere latente, e cio al campo

di forza (reale, non latente) economico, perch una forte ricchezza e una popolazione numerosa sono i prerequisiti per la costruzione di formidabili forze militari. Durante la guerra fredda, per esempio, i leader americani erano talmente preoccupati per lo sviluppo economico sovietico e allarmati dai traguardi scientifici raggiunti dai sovietici (come il lancio dello Sputnik nel 1957), che li vedevano come indicazione del fatto che le capacit latenti dellUnione Sovietica potessero un giorno sorpassare quelle americane. Oggi gli Stati Uniti sono sempre pi preoccupati per la Cina , non tanto per la sua macchina militare, ancora relativamente debole, ma perch la Cina ha una popolazione di oltre 1,2 miliardi di abitanti e uneconomia in rapida modernizzazione. Qualora dovesse diventare particolarmente ricca, la Cina potrebbe trasformarsi in una superpotenza militare e sfidare gli Stati Uniti. Questi esempi mostrano che gli stati prestano grande attenzione allequilibrio del potere latente oltre che allequilibrio del potere militare.[50] Non a caso, ha indicato sempre Mearsheimer, le grandi potenze mirano a massimizzare la quantit di ricchezza mondiale che controllano. Gli stati sono interessati alla ricchezza relativa, perch la potenza economica sta alla base della potenza militare. In termini pratici, ci vuol dire che le grandi potenze danno grande importanza alla prospettiva di avere uneconomia potente e dinamica, non solo perch ci migliora il benessere collettivo, ma anche perch un modo affidabile per guadagnare vantaggio militare sui rivali. Autoconservazione nazionale e crescita economica, afferma Max Weber, sono due facce della stessa medaglia. La situazione ideale per uno stato consiste nel godere di forte economia, mentre le economie dei rivali crescono lentamente o quasi per nulla. Per inciso, le grandi potenze tendono a vedere gli stati particolarmente prosperi, o che si muovono verso quella condizione, come serie minacce, indipendentemente dal fatto che possiedano o meno una formidabile capacit militare. Dopotutto, la ricchezza pu essere sempre convertita abbastanza agevolmente in potenza bellica. Un esempio calzante quello della Germania guglielmina tra la fine del XIX e linizio del XX. Il semplice fatto che la Germania avesse una grande popolazione e un economia dinamica bast a spaventare le altre grandi potenze europee, anche se il comportamento della Germania ci mise del suo per alimentare quei timori.[51] Sempre in questo campo, diventa inoltre quasi impossibile negare limportanza (variabile) via via assunta dalle fonti di materie prime, di energia e di metalli preziosi in campo internazionale, specie dopo il 1770. Il potere cognitivo alias laccumulazione/utilizzo (pi o meno efficace e tempestivo) delle informazioni, intese sia come conoscenze (proteiformi, diversificate) che come segreti (delle altre nazioni, alleate o nemiche), rappresenta il terzo campo di forza che opera costantemente nel processo di sviluppo delle relazioni internazionali. Il potere delle informazioni, con la derivata capacit di prevedere le masse altrui e di acquisire conoscenze non accessibili (in campo militare tecnologico, economico), costituisce una forte e reale costante di potenza su scala internazionale ben conosciuta in Cina, anche a livello teorico, ben 2400 anni orsono, come dimostra lopera geniale di Sun Tzu. Nel suo celebre libro Larte della guerra, egli rilev che la raccolta sistematica di informazioni, che consente una previsione al di fuori della portata della gente comune, permette al sovrano e al generale di combattere e vincere. Questa previsione non pu essere ricavata dagli spiriti, non pu essere dedotta dallesperienza n attraverso il solo ragionamento deduttivo. La conoscenza delle intenzioni (e delle condizioni) del nemico pu essere ottenuta solo da altri uomini. Da questa deriva lutilizzo delle spie di cui esistono cinque specie: spie locali, spie interne, spie convertite (= che hanno disertato), spie condannate (ad essere sacrificate per il bene dello stato), spie sopravvissute. Quando tutte queste cinque specie di spie sono allopera, e nessuna al corrente del sistema con cui

agiscono, formano ci che si pu definire sublime manipolazione della trama e costituiscono il bene pi prezioso dello stato. Avere spie locali, significa utilizzare i servizi degli abitanti del posto (= paese nemico). Avere spie interne, significa fare uso dei funzionari del nemico.[52] Sempre Sun Tzu indic almeno in parte, pi di due millenni orsono, quale fosse il quarto campo di potenza operante costantemente allinterno dellarena internazionale, e cio il consenso goduto/non goduto dei nuclei dirigenti politici sia allinterno del proprio paese, che nelle altre nazioni: il softpower della seduzione, in altri termini, il saper attrarre simpatie alla propria nazione dalle lite e/o masse popolari di altri stati. Sun Tzu infatti rilev che, nel processo di valutazione dei rapporti di forza tra stati, si dovesse considerare il Tao, fattore morale (Sun Tzu): esso implica che il popolo sia in completa armonia con il sovrano, cos da seguirlo senza riguardo per la vita e senza perdersi danimo di fronte al pericolo.[53] Come ha notato A. Corneli, per Sun Tzu il Tao costituisce nel caso specifico armonia tra i governanti ed il popolo in una materia (guerra/politica estera) che li tocca entrambi. E una decisione-azione che li riguarda entrambi. Per il pensiero cinese la giustizia, la legge, la ragione stanno sempre dalla parte del popolo, che ad esse si rivolge istintivamente. Quando il popolo si ribella al sovrano, vuol dire che il sovrano ha sbagliato e ha compiuto infamie e ingiustizie. E se il re sbaglia, viene privato del mandato del Cielo, si colloca fuori del Tao, abbandonato a se stesso e inevitabilmente travolto. Poich, invece, il Tao rimane sempre nel popolo e il popolo lo interpreta infallibilmente, il rapporto armonioso sovrano-popolo pu essere rotto solo dal potere politico che viola il Tao. Allora la guerra decisa dal re contro la volont del Cielo e non potr andare a buon fine. Per questo anche il generale deve sapere se la guerra stata decisa in armonia con il Tao o se questo dalla parte del suo avversario. Un re che agisca contro il Tao far inutilmente ricorso ad un generale astuto.[54] Altro campo di potenza (non-materiale, di matrice spirituale-intellettuale) operante costantemente nellarena internazionale, la capacit direzionale via via espressa sia in campo strategico (la guerra, linsieme delle battaglie) che tattico (la singola battaglia) dai diversi nuclei dirigenti politici (e politico-militari) nelle relazioni internazionali, in altri termini la loro intelligenza, astuzia e capacit di previsione; al suo interno va ovviamente compresa la capacit/incapacit dei diversi stati, attraverso i mandatari politici al potere di autodirigersi e di avere/mantenere almeno un margine di autonomia dalle altre nazioni nelle loro rispettive progettualit/praxis allinterno dellarena internazionale. Il solito Sun Tzu aveva gi notato a questo proposito come perci vale il detto: se conosci il nemico e conosci te stesso, non devi temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta potrai subire anche una sconfitta. Se non conosci n il nemico n te stesso soccomberai in ogni battaglia.[55] La guerra e la politica internazionale costituivano per Sun Tzu anche, se non soprattutto, una battaglia tra intelligenze contrapposte, ancor pi che uno scontro puramente materiale. In tali complesse partite a scacchi mentali, secondo Sun Tzu i principi fondamentali che conducono alla vittoria sono cinque: a) vince chi sa quando il momento di combattere e quando il momento di non combattere; b) vince chi sa come guidare tanto un esercito immenso (pi forte) quanto un piccolo esercito (pi debole); c) d) e) vince chi ha un esercito che animato dallo stesso spirito in tutte le sue parti; vince chi, essendo sempre pronto (alla battaglia), sa cogliere il nemico impreparato; vince chi dispone di generali competenti al riparo delle ingerenze del sovrano.

La vittoria riposa sulla conoscenza di questi cinque principi.[56] Pi di due millenni orsono, limportanza della capacit strategico-tattica era gi ben conosciuta, anche a livello teorico. Sesto campo di potenza, la demografia ed il numero di abitanti espresso volta per volta dalle diverse nazioni. Mearsheimer ha indicato correttamente che lampiezza della popolazione di uno stato e la sua asimmetria tra le nazioni generano inevitabilmente, anche se in base a proporzioni mutevoli e molto diverse a seconda dei singoli casi, quantit diverse tra paese e paese in termini di forza-lavoro e scienziati/tecnici disponibili, di soldati e burocrati, di spie e di informatori, ecc. La demografia conta e molto, perch grandi potenze richiedono grandi eserciti, che possono essere costituiti solo in paesi con ampie popolazioni. Stati con popolazioni esigue non potranno mai essere grandi potenze. Per esempio, n Israele, con i suoi 6 milioni di abitanti, n la Svezia, con le sue 9 milioni di persone, sono in grado di conseguire la status di grande potenza in un mondo in cui Russia, Stati Uniti e Cina hanno rispettivamente 147 milioni, 281 milioni e 1,24 miliardi di abitanti. Lampiezza della popolazione ha anche importanti conseguenze economiche, perch solo grandi popolazioni possono produrre grandi ricchezze, altro mattone indispensabile alla costruzione della potenza militare.[57] Va subito sottolineato come non sussistano delle muraglie cinesi tra i sei campi di forza in via desame, mentre anzi essi si trasformano a determinate condizioni luno nellaltro. Infatti il denaro diventa facilmente arma, militare, il consenso interno permette di produrre armi e denaro da utilizzare su scala internazionale, la demografia produce forza-lavoro produttiva e soldati disponibili, linformazione pu esaltare il potere militare ed economico con la conoscenza di segreti di alleati ed avversari, come del resto la capacit direzionale, se abile e ben focalizzata ( a sua volta capace di facilitare anche il processo di accumulazione di informazioni su scala internazionale). Rinviamo invece al processo di valutazione di rapporti di forza (e della loro dinamica futura) esistente tra Cina ed USA per meglio cogliere limportanza sia degli strumenti di produzione di potenza in campo internazionale (livello tecnologico civile-militare; complesso militar-produttivo; apparato di spionaggio; burocrazia civile; mass-media operanti su scala interna e/o internazionale; apparati di produzione del consenso interno, a partire da quelli ecclesiastici, ecc, che delle forze latenti e potenziali in campo internazionale. Esse sono le ideologie/religioni di uno stato, capaci eventualmente di influenzare altre nazioni a livello dlite e/o di masse popolari, il controllo eventualmente esercitato su materie prime e fonti denergia di altri stati sovrani e la corruzione/controllo eventualmente esercitata sui traditori, su quadri dirigenti politici/militari/burocratici eterodiretti di altre nazioni, elementi che diventano in grado a volte di trasformarsi, a determinate condizioni, in reali segmenti dei sei campi di potenza operanti concretamente allinterno dellarena internazionale. Unulteriore architrave della politica internazionale costituita invece dal criterio generale necessario per individuare il particolare campo di potenza risultato, volta per volta, numero uno e principale allinterno del sopra esaminato sestetto di fonti di forza: esso viene semplicemente derivato dallessenza profonda, dalla natura del confronto/scontro che si genera, volta per volta, su scala interstatale. Se tale confronto/scontro risulta essere di matrice bellica, e comportante principalmente lutilizzo e/o la minaccia di utilizzo della forza fisica, il campo di potenza principale diventer inevitabilmente quello militare: in questa (ma solo in questa) diffusissima tipologia di situazione/conflitto internazionale ha pertanto ragione Mearsheimer, quando ha sottolineato che nelle relazioni interstatali il potere effettivo di uno stato in ultima analisi una funzione delle sue forze militari e della loro consistenza in relazione alle forze militari degli stati rivali. Durante la guerra fredda gli Stati Uniti e lUnione Sovietica erano gli stati pi potenti del mondo perch a confronto delle loro strutture militari quelle degli altri stati scomparivano quasi. Il Giappone non

oggi una grande potenza, bench disponga di una grande e ricca economia, perch ha forze armate ridotte e relativamente deboli, e per la sua sicurezza dipende fortemente dagli Stati Uniti. Quindi, lequilibrio di potenza in larga misura sinonimo di equilibri del potere militare.[58] Ma proprio il realismo, giustamente caro a Mearsheimer, porta a concludere che quando il confronto/scontro tra stati non risulta essere di carattere bellico, per i motivi pi svariati (alleanza pacifica o neutralit tra nazioni al cui interno nascono tensioni non ancora antagoniste, e soprattutto impossibilit oggettiva di utilizzare lo strumento militare, come nel caso della mutua distruzione reciproca di matrice nucleare, affermatasi dopo il 1945/57 su scala planetaria), cambia e si trasforma parallelamente anche il campo di potenza numero uno. Ed almeno nel mondo atomico-iperdistruttivo creatosi dopo il 1945/57, tale fonte di forza principale risulta ormai essere quella economico-tecnologica, visto che lesperienza di questi ultimi cinque decenni insegna, almeno su scala planetaria e nella correlazione di potenza tra le grandi potenze, che proprio nella superiorit ed asimmetria delle risorse finanziarie rispettivamente disponibili, nel prodotto nazionale lordo e nei saggi reali di accumulazione, nello sviluppo della tecnologia (civile e militare) e nel potere dacquisto dei lavoratori, nei deficit/attivi di bilancio si trovano gli elementi che hanno determinato lascesa o il declino (a volte il crollo, come nelleclatante caso dellUnione Sovietica) delle principali potenze mondiali nel corso deli ultimi sette decenni. Visto lenorme, terrificante processo di accumulazioni di armi di sterminio avviatosi su scala mondiale dopo il luglio/agosto 1945 (bombe atomiche USA di Los Alamos e Hiroshima), e considerato il pluralismo atomico che si via via diffuso nel globo (gi nellagosto del 1949 lUnione Sovietica di Stalin spezzava il precedente monopolio nucleare degli USA), tale cambio di numero uno tra i sei campi di potenza operanti nella scena internazionale non sorprende pi di tanto Unaltra categoria-chiave della politica internazionale risulta essere quella del nemico principale, derivata e riprodotta dalla combinazione dialettica tra il carattere anarchico delle relazioni internazionali, la reale/potenziale conflittualit insita nelle relazioni tra una pluralit di stati (da tre in su) e alla presenza ingombrante dei rapporti di forza. Visto che ciascuna formazione statale ha di fronte a s una pleiade di stati, con cui tra laltro non acquisisce mai rapporti generalizzati ed universali di cooperazione, essa deve individuare selezionare un particolare avversario principale tra le diverse nazioni con cui, volta per volta, non si trova in rapporti di alleanza o, come minimo, di benevola e (relativamente) salda neutralit. Processo di valutazione assai utile sia per non disperdere le proprie forze contro una pluralit indistinta di potenziali avversari, considerati di uguale pericolosit (fu il grave errore commesso dallimperialismo statunitense tra il 1997 ed il 2008, quando Russia, Cina, fondamentalismo islamico e vecchia Europa franco-tedesca concorrevano quasi a pari merito per la carica di nemico numero uno degli USA) che per un processo proficuo di costruzione di un proprio sistema di alleanza contro il nemico principale di fare, a volte utilizzando strane cooperazioni sul piano ideologico contro natura: si pensi allalleanza formatosi tra Gran Bretagna/Stati Uniti e Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale, di fronte alla comune minaccia nazifascista. A livello analitico i due criteri generali, utilizzabili volta per volta solo attraverso lanalisi concreta della situazione concreta, e necessari per individuare il nemico principale di fase, sono stati scoperti da Marx ed Engels (quasi di sfuggita), fin dal 1846/48, nella loro valutazione del ruolo e delle relazioni dei comunisti durante la rivoluzione democratica ed antifeudale che si stava allora avvicinando nellEuropa continentale, e soprattutto in Germania: in particolar modo analizzando i rapporti diversi che gli operai dovevano creare da un lato con la classe semifeudale ed il loro potere statale (nemico principale) e dallaltro con la borghesia, in una prima fase di lotta invece considerata come il nemico secondario. In tal modo, come sottoprodotto delle analisi di Marx ed Engels, emersero i due parametri teoricostorici combinati i quali possibile individuare, volta per volta, il nemico principale del momento

per i comunisti (e, mutatis mutandis, per ogni forza politica): a giudizio dei due rivoluzionari tedeschi, il principale criterio consiste nel grado di pericolosit e di potenza concreta detenuta dai diversi attori politici ostili operanti in ogni data formazione statale, mentre la seconda coordinata viene rappresentata dal potenziale di trasformazione della situazione concreta che verrebbe indotto e provocato dalleventuale sconfitta di un attore politico, sempre paragonato a quella di altri avversari di cui dover tener conto. In altre parole, nemico principale per Marx volta per volta: lattore politico-sociale che ostacola e minaccia con maggiore forza durto complessiva, con maggior potenza la lotta della classe operaia e dei comunisti; il soggetto politico la cui sconfitta pu meglio favorire ed aiutare lazione del movimento rivoluzionario, i successi parziali e la vittoria finale di questultimo. La categoria del nemico principale rappresent per quasi quattro decenni una costante importante nellanalisi (e pratica) politica del grande rivoluzionario tedesco: sufficiente in questa sede ricordare il totale rifiuto di Marx (Critica al programma di Gotha) rispetto alla teoria della massa unica reazionaria avanzata da Lassalle, che escludeva lesistenza di differenziazioni politiche e sociali significative tra borghesia tedesca ed aristocrazia terriera, oltre allindividuazione dello stato zarista e della sua politica estera come il nemico principale su scala internazionale della lotta di classe rivoluzionaria, con una scelta precisa che spiega tra laltro la quasi ossessiva russofobia di Marx.[59] Come la stessa categoria di nemico principale, si tratta di criteri teorici certamente non riservati al monopolio intellettuale dei comunisti, ma (almeno nella pratica concreta) utilizzati invece gi da molti secoli da molti nuclei dirigenti politici delle societ classiste: a partire da quelli britannici, interessati fin dal Cinquecento a mantenere (a proprio vantaggio) lequilibrio di potenza nellEuropa continentale contro ogni aspirante potenza egemonica, che diventava subito il nemico principale di fase (pi o meno lunga) dellInghilterra. Da tale (proteiforme e differenziata) pratica politica, sono derivati assiomi tradizionali della politica internazionale quale la massima il nemico del mio nemico (principale) il mio amico, oppure la cosiddetta legge del beduino secondo la quale lamico del mio nemico (principale) il mio nemico. Gli ultimi due cardini della politica internazionale risultano invece quelli dellaccumulazione di potenza e dello squilibrio relativo nei ritmi assunti dai diversi processi di acquisizione di forza da parte dei diversi stati, in periodi storici pi o meno ravvicinati su scala temporale: processi e dinamiche anche intese come azioni dirette a favorire/agevolare, al massimo grado possibile, la diminuzione (assoluta e/o relativa) della potenza degli avversari e la loro de-accumulazione di potenza. Vista limportanza assunta nelle relazioni internazionali sia dai rapporti di forza che dalla tendenza alla massimizzazione del possibile, non sorprende che il processo di accumulazione di potenza sia stato allo stesso tempo perfettamente conosciuto e assai apprezzato da molti millenni da gran parte dei nostri politici dirigenti giunti via via al potere nelle societ classisti: assumendo ad esempio in campo militare le forme inconfondibili della (plurimillenaria) ricerca della superiorit tecnologicomilitare sugli avversari, fin dallintroduzione delle armi in bronzo, a volte legittimata dallipocrita detto romano se vuoi la pace prepara la guerra. Non solo: come aveva compreso Sun Tzu fin da 2400 anni orsono, e tanti altri leader politici prima e dopo di lui sul piano pratico e della loro praxis politica, un aspetto importante del processo di accumulazione di potenza era quello di tenere le forze concentrate e di obbligare il nemico a dividere le sue, principio ripreso apertamente da Lenin nel suo geniale manuale di scienza politico intitolato Estremismo, malattia infantile del comunismo.[60] Rimandando alla sezione successiva del libro dedicata al rapporto Cina/Usa per una concreta

dimostrazione dellimportanza assunta dalle diverse dinamiche di potenza nel mondo contemporaneo, va subito sottolineato come unesperienza storica ormai plurimillenaria dimostri anche lesistenza concreta del fratello gemello del processo di accumulazione di forza (nei suoi sei campi principali), e cio limportante fenomeno dello squilibrio e dellasimmetria relativa nelle concrete dinamiche di acquisizione di potenza via via espresse dai diversi stati, in fasi storiche pi o meno ravvicinate. La pratica generale del sistema internazionale mostra infatti, con una pleiade proteiforme di casi concreti, come il nano di un certo periodo storico si trasformi, grazie ad una superaccumulazione (relativa) di forze, pi o meno rapidamente nel gigante e nella superpotenza regionale/planeta-ria di una successiva fase storica: lesempio degli Stati Uniti e del suo ruolo crescente in campo internazionale, tra il 1776 ed il 2007, costituisce in questo senso solo uno dei casi pi eclatanti, come del resto lascesa pacifica e cooperativa della Cina nei decenni compresi tra il 1997 ed il 2011. E viceversa, unaltra sezione proteiforme di esempi concreti indica come il gigante di una certa fase storica si possa trasformare, principalmente per uno sfavorevole ritmo di accumulazione di potenza, in un nano geopolitico. Basti pensare alla Spagna aurea del Cinquecento rispetto a quella miserabile di due secoli dopo, alla Gran Bretagna del 1713/1913 ed a quella uscita dalla seconda guerra mondiale, oppure alla sorte della superpotenza cinese del 1390/1790, trasformatasi nel giro di pochi decenni, dopo il 1840 e la vergognosa guerra delloppio scatenata contro di lei dalla superpotenza navale britannica, in una debole semicolonia dellimperialismo occidentale, almeno fino al 1949 ed alla vittoria dei comunisti guidati dal geniale leader comunista Mao Zedong. Nel suo splendido saggio sullimperialismo, fin dal 1916 Lenin aveva individuato per lepoca contemporanea una costante della politica internazionale proprio nella tendenza allo sviluppo diseguale dai diversi sistemi capitalistici nazionali, collegando dialetticamente tale processo sia alla trasformazione della gerarchia di potenza al loro interno che alla guerra imperialista, forma principale di risoluzione delle controversie nate dalla ricerca di una spartizione mondiale delle sfere dinfluenza. In uno dei tanti passi citabili, Lenin not infatti che in regime capitalista non si pu pensare a nessunaltra base per la ripartizione delle sfere dinteresse e dinfluenza delle colonie, ecc. che non sia la valutazione della potenza dei partecipanti alla spartizione, della loro generale potenza economica, finanziaria, militare, ecc. Ma i rapporti di potenza si modificano, nei partecipanti alla spartizione. Mezzo secolo fa la Germania avrebbe fatto piet se si fosse confrontata la sua potenza rispetto alla Russia. Si pu immaginare che nel corso di 10-20 anni i rapporti di forza tra le potenze imperialiste rimangano immutati? Assolutamente no.[61] Non sorprende che la (corretta e valida) tesi di Lenin sullo sviluppo diseguale su scala internazionale possa essere applicata, almeno in parte, anche ad altri contesti storici e ai pi remoti periodi della storia plurimillenaria delle societ di classe, nelle loro reciproche relazioni internazionali. Il grande storico greco Tucidide, ad esempio, sottoline allinizio della sua monumentale Guerra del Peloponneso, che la causa principale del pluridecennale scontro per legemonia nel mondo ellenico tra le potenze schiavistiche di Atene e Sparta, e la vera ragione della guerra, ci che la rese inevitabile, fu il crescere della potenza di Atene (alias la grande ed accelerata acquisizione di potenza delle citt-stato antica) e la paura che ne nacque a Sparta, rispetto allasimmetria di forza/potere via via acquisita dal suo nemico principale tra il 460 ed il 430 a.C.[62] Gli esempi di scontri bellici tra la vecchia (ma declinante) potenza economica e la nuova potenza emergente possono essere facilmente moltiplicati, a partire da quello pluridecennale verificatosi tra Roma e Cartagine per il controllo del Mediterraneo orientale Ultima rete (Lenin, Quaderni Filosofici) di interpretazione della dinamica reale della politica internazionale, la categoria dellanello debole. Come aveva ben compreso Lenin, e molto prima di

lui Sun Tzu, non solo ogni stato (e partito, classe) ha dei propri particolari punti deboli, che possono essere colpiti e utilizzati dagli avversari, ma lo stesso vale anche per qualunque sistema di alleanze tra paesi diversi: per il grande leader rivoluzionario russo, ad esempio, la Russia del 1900/1917 costituiva proprio lanello debole della catena imperialistica mondiale, e su di essa poteva far leva il movimento ed il partito rivoluzionario dellimpero zarista. Sotto un aspetto pi generale, il geniale Sun Tzu pi di due millenni orsono aveva spiegato che per ottenere grandi successi su scala internazionale, come un sasso che colpisce un uovo, si deve acquisire in modo preventivo una conoscenza adeguata e realistica dei punti deboli e dei punti forti dellavversario (oltre che di se stessi ), per conseguire la vittoria.[63] Si tratta di una verit basilare della politica internazionale che, almeno a livello empirico, ben conosciuta da millenni dai leader dei diversi stati e, a maggior ragione e con il supporto dei processi di analisi teorica assai sofisticati, dai nuclei dirigenti dellepoca atomica. Finito questo rapido processo di analisi delle dinamiche pi generali e delle strutture fondamentali della politica internazionale, dallantipasto possiamo passare al men principale, e cio al processo di sviluppo delle relazioni allinizio del Ventunesimo secolo.

[1] J. Mearsheimer, La logica di Potenza, ed. Universit Bocconi, p.28 [2] Op. cit., p. 28 [3] Op. cit., pp. 28-29 [4] J. Kershaw, Hitler. 1936/1945, p. 537, ed. Bompiani [5] J. Mearsheimer, op. cit., p. 20 [6] Op. cit., p. 53 [7] Op. cit., p. 53 [8] Mearsheimer, op. cit., p. 42 [9] Op. cit., p. 41 [10] Op. cit., pp. 53-54 [11] Sun Tzu, Larte della guerra, p. 68, cap. terzo, ed. Guida

[12] V. I. Lenin, Sullinfantilismo di sinistra, cap. I, maggio 1918 [13] P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, vol. terzo, p. 336, Editori Riuniti [14] Z. Brzezinski, La grande scacchiera, pp. 213-214, ed. Longanesi [15] Mearsheimer, op. cit., p. 61 [16] Z. Brzezinski, Make money, not war, febbraio 2005, in mearsheimer.uchicago.edu [17] R. Poidevin e S. Schirmann, Storia della Germania, p. 60, ed. Laterza; R. Sidoli, I rapporti di forza, cap. 18, in www.robertosidoli.net [18] G. J. Ikenverri e V. E. Parsi, Teorie e metodi delle relazioni internazionali, p. 32, ed. Laterza: R. Sidoli, I rapporti di forza, cap. 18, in www.robertosidoli.net [19] M. Sabbatini e P. Santangelo, Storia della Cina, pp. 458-464, ed. Laterza [20] J. Hammings, Gli incassi, p. 386, ed. Rizzoli [21] A. Vank, Il nazismo tedesco: politica e ideologia, p. 49, ed. Novosti [22] C. Andrew, Larchivio Mitrokhin, pp. 64-65, ed. Rizzoli; P. Corradini, Cina, pp. 355-359, ed. Giunti; G. Samarani, La Cina del Novecento, pp. 171-172, ed. Einaudi [23] Autori vari, Il libro nero del capitalismo, op. cit., p. 323 [24] Op. cit., p. 324 [25] Op. cit., p. 325 [26] G. V. Pindall e D. E. Shi, La grande storia dellAmerica, p. 79, ed. Mondadori [27] F. Jennings, La creazione dellAmerica, pp. 14-15, ed. Einaudi [28] Op. cit., pp. 292-293 e 298 [29] R. Sidoli, I rapporti di forza, op. cit. [30] Mearsheimer, op. cit., pp 17-18 [31] Op. cit. pp., 126-127 [32] R. Sidoli, I rapporti di forza, cap. 18 [33] C. Pinzani, Da Roosevelt a Gorbaciov, pp. 226-227, ed. Ponte alle Grazie [34] R. Sidoli, op. cit., cap. Dodicesimo, in www.robertosidoli.net [35] C. Palloix, Leconomia mondiale capitalista e le multinazionali, p. 338, vol. II, ed. Jaka Book [36] H. J. Morgenthau, Politica delle nazioni, pp. 86-87, ed. Il Mulino [37] K. Marx, Il Capitale, Libro III, cap. 47, par. II [38] S. I. Kovaliov, op. cit., vol. I, pp. 286-483 e M. Rostovcev, Storia economica e sociale dellimpero di Roma, pp. 30-44, ed. La Nuova Italia [39] T. L. Bernstein, Oro, pp. 22-23, ed. Longanesi [40] R. Fosier, Il risveglio dellEuropa. 950/1250, pp. 495-496, ed. Einaudi [41] R. Ravi Batra, Il crack finanziario del 1998-99, pp.5-6, ed. Sperling e Kupfler [42] V. I. Lenin, Limperialismo, fase suprema del capitalismo, cap. IV, ed. Editori Riuniti [43] [44] [45] V. I. Lenin, op. cit., cap. IV

[46] L. Lablanca, Oltremare. Storia dellespansione coloniale italiana, pp. 286-294, ed. Il Mulino [47] R. Sidoli, op. cit., cap. Dodicesimo [48] Mearsheimer, op. cit., p. 52 [49] G. B. Motta, Pecunia nerbus belli: una nota di contributo di Raimondo Montecuccoli al pensiero economico del XVII secolo, in www.dse.unifi.it [50] Op. cit., p. 52 [51] Op. cit., p. 132 [52] Sun Tzu, op. cit., pp. 135-136, cap. 13 [53] Sun Tzu, op. cit., cap. primo, p. 67 [54] Op. cit., p. 72 [55] Op. cit., cap. terzo, p. 83 [56] Sun Tzu, op. cit., p. 82 [57] Mearsheimer, op. cit., pag. 56 [58] Op. cit. pag. 51 [59] R. Sidoli, I rapporti di forza, cap. quarto [60] Sun Tzu, op. cit., p. 96 [61] V. I. Lenin, Limperialismo, fase suprema del capitalismo, cap. nono [62] Tucidide, La guerra del Peloponneso, 1,23,6 [63] Sun Tzu, op. cit., cap. terzo, p. 91

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