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Daniele Giuliano
ODIO BIANCO
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Introduzione.
Quanto volte vi è capitato di non riuscire a leggere un libro che pare voglia
soffocarvi. Ben scritto e dalla storia interessante vi trasporta in un mondo plastificato
nelle architetture e negli abitanti, studiato nei minimi particolari; è pronto ad
accogliervi allo stesso modo ogni qual volta riprovate a sfogliarlo. Tutto è
predisposto ed il lettore è solo un osservatore dall'alto della scena descritta e non di
altro; non viene lasciato nulla di vago, tutto è documentato.
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Capitolo uno.
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Venerdì 13 agosto.
Ore 22: 01.
Caro Boh! La vita è davvero di merda, e io sto sempre più
male.
La depressione è penetrata in me, si sta impadronendo del
mio corpo, del mio tempo, del mio mondo. Come un morbo
assassino cresce continuamente dentro di me, sempre alla
ricerca di nuovo cibo, nuovi organi da assaporare. Penso
che proprio adesso abbia finito di inghiottire il cuore,
ma l’ingordo virus non si ferma.
Sembrava essere scomparso, sconfitto, eppure è riaffiorato
così, inaspettato e apparentemente senza motivo,
spontaneo. Vorrei reagire, combattere tutta questa
oscurità come il sole all’alba con la notte; invece mi
ritrovo sempre di fronte al tramonto che sconfigge il
giorno, l’ultimo sospiro di luce.
Sto seriamente pensando al suicidio e non me ne vergogno;
suicidio, una parola che mi appare così dolce; quasi ogni
notte sogno la Luce con la falce e il mattino mi sento
sollevata nel sapere che presto arriverà a prendermi.
L’altra notte è stato diverso: una ragazza l’accompagnava;
non so chi fosse ma i suoi occhi, il suo sorriso erano
terrificanti; lei era bellissima ma quell'espressione mi
incuteva terrore. Si tenevano per mano e sullo sfondo si
notava qualcosa di strano, forse l’Infinito, forse il
Nulla. Un qualcosa di nuovo, di rilassante, di angoscioso;
buio e luce si presentavano come amici per la pelle,
difficile separarli, improbabile un tradimento; ma ciò che
mi attraeva era la ragazza: le ho sorriso e la sua
espressione è cambiata.
Che strano, sembrava felice ed alle sue spalle il buio
aveva ucciso la luce. “Troppo amore” pensavo mentre le
tendevo fiduciosa una mano. Prima che riuscissi a
toccarla, me l’aveva già tagliata di netto. Il sangue
sgorgava ma non sentivo alcun dolore; è stato lì che mi
sono resa conto che si trattava di un sogno, solo un
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sogno. Piangevo e, quando mi sono svegliata, ho continuato
a piangere.
Poi ho capito di aver sbagliato: non dovevo svegliarmi.
Sarei morta lì, nel sogno, e la mia mente non avrebbe più
riconosciuto il dolore.
Tua Beth.
Sabato 14 agosto.
Ore 5:30.
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-Non scherzare Phyllis o ti faccio sbattere in mezzo ad una strada
– disse Shock goffamente. – Sapeva che il dottore non
scherzava. Piuttosto, possibile che avesse una mente così malata
da immaginare in modo pressoché immediato una tale
nefandezza?
-Vede, - continuò Phyllis - esistono delle sostanze che iniettate
causano la paralisi di una persona, facendola però rimanere
cosciente di ciò che sta accadendo e dalle analisi delle
coagulazioni…
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Capitolo due.
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Erano passati due giorni e l’ispettore Shock non aveva saputo e
scoperto nulla di nuovo. Alla soglia della pensione oramai gestiva i
casi, non lavorava più sul campo. Preferiva mandarci uomini fidati,
giovani e forti. Gli piaceva pensare che fosse una sua scelta, di
avere il ruolo del grande saggio da preservare. Il suo pensiero,
sempre aperto anche all’irrazionale, lo portava in questo caso a
spiegarsi l'assassinio perfino con la vendetta della ragazza di cui la
Wilson scriveva nel diario.
Ad alimentare l’idea di tale soluzione tuttavia non c’era alcun indizio
concreto, questo sembrava proprio un “banale” omicidio,
razionalmente crudele.
Non riusciva però a spiegarsi come qualcuno potesse provare un
odio tale da portare ad una simile pazzia. Sperimentando, aveva a
lungo pensato alle tante persone per le quali provava un forte senso
di repulsione ma per nessuna di esse era riuscito a desiderare una
morte così assurda, rabbiosa.
Eppure ne odiava di gente: dagli infami strozzini al pescivendolo di
fronte casa, dai meschini razzisti intolleranti ai diffusori di ciò che
riteneva una bassa e gretta morale borghese, dai giornalisti alla
spietata ricerca di uno scoop costruito come un castello di sabbia, ai
politici profittatori e disonesti. Spesso poi si chiedeva se non fosse
solo un demagogo e si criticava con altrettanta severità.
C’era tanto putridume al mondo ma nessuno sembrava meritare
quella fine. Anche se, a dire la verità, il pescivendolo se la cercava
proprio.
Phyllis rabbrividì: una mano gli si era poggiata sulla spalla e per
quanto ne sapeva, era da solo in quella stanza col cadavere di
Beth Wilsos: uno zombi… un ceffone sulla guancia sinistra
proveniente dal di dietro lo riportò nella realtà; forse la fantasia
non l’avrebbe più nemmeno sfiorato.
Era l’ispettore Shock: non c’era voluto molto a scendere due
piani mentre il necroscopico oratore raccontava la sua vita da
balordo di periferia.
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malattia anche al suo diario, definendo poi morbo assassino la
depressione.
Sapeva che la Morte era dentro di lei; era contenta della sua
presenza ma ne odiava le sembianze.
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Capitolo tre.
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Bryan Shock era a letto; mentre sua moglie dormiva
tranquillamente, lui continuava a fissare il soffitto: l’immagine della
testa della Wilson gli si ripresentava davanti sconfiggendo il sonno
ogni qualvolta gli occhi proponevano una tregua. Il primordiale
presentimento di qualcosa di “forte”, dell’inizio di un ciclo tremendo
di omicidi, gli era rimasto dentro, sembrava esser stato assorbito dal
corpo.
Ciò gli incuteva un forte stato di disagio: se il suo sentore si fosse
rivelato fondato, era quasi certo di dover attendere l'omicidio di
qualcun altro per approdare a qualcosa di concreto, qualcosa da cui
cominciare. Quel desiderio inconsueto di morte, indispensabile per
superare lo stato di staticità in cui versava, lo faceva sentire come
quei giornalisti che sperano in qualcosa di “forte”, di impegnativo e
risonante. Li aveva sempre odiati, quei corvi, ed ora odiava se
stesso.
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-Ah…grazie Phyllis. Immagino tu l’abbia trovato di sotto.
-Già, mi è caduto davanti ai piedi. Mi dispiace di non potermi
fermare ma devo mettere a posto molti documenti stamattina.
-D’accordo. Ciao e …GRAZIE.
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Capitolo quattro.
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Caro diario, la storia con Andy va avanti in modo
appassionato; sicuramente c’è qualche problema perché mio
padre non vuole. Dice che una quindicenne non deve pensare
ai ragazzi, soprattutto a quelli più grandi di lei
(figurati, Andy ha diciassette anni!). Chissà se è l’unico
motivo! Per questo siamo costretti a vederci di nascosto
ma a me va bene anche così e tu sai il perché; sarebbe
però stupido negare il desiderio di tranquillità, della
mancanza di questa costrizione che ci limita ad una vita
da amanti. E’ strano però come un qualcosa che hai cercato
per molto tempo, anche se breve e labile, una volta
raggiunto ti spinga a superarne i limiti del finito, a
varcare la porta dell’Oltre, a immergerti nella profondità
dell’Assoluto.
Prima di fronte a un dipinto non vedevo alcuna immagine,
tutto era pulito, tutto così vuoto. Poi...qualcosa
cominciava ad apparire: prima i contorni, qualche
sfumatura, i colori, infine…
Il volto dell’Amore mi si mostrava in tutta la sua
bellezza nell’immenso splendore della luce che
l’accompagnava. Il vento sembrava soffiargli fra i
capelli, il sole gli irradiava il volto.
Fu in quel momento che, tentata di toccarlo, tesi una mano
verso il suo volto; era lì che l’Assoluto si trovava, ne
ero certa ma…fui presa da una tale senso di paura, di
terrore dal poter scoprire che aldilà ci fosse invece il
Nulla che di scatto tirai indietro il braccio; lo bloccai
poi con l’altro per fermare la furia con la quale tentava
di riavvicinarsi a Lui.
Ma oramai la troppa certezza mi aveva portato all’atroce
dubbio; mi allontanai di corsa da quella stravagante tela
e in quel momento non sapevo se avrei avuto il coraggio di
tornare.
Tua Alyson
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Capitolo cinque.
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Alyson Preston, 15 anni, nera, residente a Nathan Road,
ragazza normale, di famiglia normale, vita normale e normali flirt
adolescenziali, così belli nella loro purezza, nella loro semplicità.
Eppure su questi amori talvolta si deve dubitare; possono travalicare
il labile e sottile confine che li separa dall’odio; l’odio che può anche
portare ad un folle omicidio.
Per questo l’ispettore Shock ora si trovava di fronte all’abitazione di
Andy. Il giorno prima era già stato sentito dai suoi uomini ma lui era
pur sempre il grande saggio! Avrebbe potuto percepire qualcosa
sfuggito a chi aveva meno esperienza.
Ad aprirgli la porta d’ingresso fu proprio il ragazzo che
immediatamente si mostrò intimorito. La paura gli si leggeva negli
occhi, confusa ad un velo di rabbia, dolore e turbamento. Occhi che
dicevano tutto, che davano risposte a domande vigliacche, svuotate
d’essenza.
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stato forse lui a comunicargliela? Oppure la sua inadeguatezza era
tanto evidente? Perché si sentiva sempre impreparato nonostante i
tanti delitti risolti? Benché tramortito riuscì comunque a rispondere
seppure con una domanda che aveva il sapore di una densa
ingenuità mescolata ad una caduca durezza.
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-Acciufferemo quel bastardo? Allora voi poliziotti parlate davvero
così. Senta, fino a quel giorno sarò costretta a ricordare tutto. E
invece vorrei che tutto finisse adesso; domattina vorrei
risvegliarmi in una vita dove Alyson non fosse mai esistita.
Acciuffare! – Disse in modo sarcastico - Arrivederci ispettore.
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Capitolo sei.
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Il freddo era arrivato più che mai quell’anno; la città di
mattina si popolava solo in quei pochi attimi in cui la gente si recava
al posto di lavoro, poi nulla più. Le strade divenivano deserte,
abitate soltanto dal gelido vento e dai patimenti di coloro che non
avevano casa, se non nei vicoli lugubri, illuminati qua e là da
qualche esile fuoco.
Un senso di liberazione scortava le persone fortunate per avere un
lavoro da svolgere al caldo. Shock rappresentava l’eccezione:
avrebbe preferito subire il glaciale velo della città piuttosto che
ritrovarsi in un ambiente confortevole ma intorpidito nelle idee, nelle
sensazioni, nelle immagini che offriva. Le foto dei corpi straziati di
Beth Wilson e Alyson Preston erano poggiate ordinatamente, l’una di
fianco all’altra sulla scrivania; non suggerivano nulla se non orrore e
sangue. Più in là una busta da lettera, di quelle con la striscia nera
in segno di lutto; dai contorni decisamente non allineati con quelli
sulla scrivania, aveva come destinatario:
Un dì una donna si portò da Dio per lamentarsi dei mali del mondo; Lui
la guardò negli occhi e le disse: “Tu non sai nulla e non vuoi sapere, non
hai la testa sulle spalle e non vuoi averla; vivi in questo mondo ma è come
se fossi già morta. Per assorbire l’energia dell’esistenza ti ho donato il
grigio, le finestre, il flauto e le becche. Tu rifiutando il tutto hai
dimostrato di non meritare il respiro vitale che Io ti ho offerto. Tutto ciò
che ti ho dato ti sarà tolto”.
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Nemmeno il tempo di rasserenarsi per il mancato lutto
famigliare che un freddo torpore lo colpì per intero. Pochi secondi di
torpore poi di scatto afferrò la cornetta per chiamare Patrick Aldiss
al corpo di guardia.
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fretta: la signora Clarissa Hodgson, tra le migliori collaboratrici della
polizia. Da quanto diceva la sfonda porte cerebrali, l’assassino con
quel messaggio spingeva a far intendere che Beth Wilson fosse
vittima del suo vivere, dei suoi comportamenti moralmente
riprovevoli.
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Capitolo sette.
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Il collegamento arrivò il giorno dopo; al solo vedere quella
nuova busta funerea sulla scrivania dell'ufficio l’ispettore Shock si
sentì paradossalmente sollevato. La sensazione non durò a lungo e
precisamente fino alla lettura di quelle sconvolgenti parole.
Il giorno successivo una donna in fiore si recò da Dio nella speranza che
potesse garantirle un futuro migliore del presente. Dio si accigliò e
duramente le disse: “Chi ti garantisce che avrai un futuro? La vita e la
morte ti restituiscono ciò che hai dato; le ferite che hai causato si
moltiplicheranno su di te”.
-Ma guarda un po’ chi onora la nostra casa con la sua presenza.
C’è forse qualche novità?
-Forse…
-Ne dubito! – ribatté la ragazza interrompendo Shock.
-Senta signorina, che ci creda o no, mi sforzo di fare qualcosa
per risolvere questo caso; ho pressioni dall'alto affinché non si
diffonda il panico mentre i giornalisti si sono già avventurati nelle
più disparate teorie. Non aspetto comodamente in ufficio che
qualcosa cada dal cielo per far luce sull’episodio. La notte non
dormo, le mattine giro per la città alla ricerca di non so cosa, mi
angoscia l’idea che qualche squilibrato o una banda di fanatici
possa colpire da un momento all’altro nella mia città. Purtroppo
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non ho creato io questo mondo, non decido io se una persona
deve morire o merita di vivere; io posso soltanto agire
successivamente ai fatti. Non ho la capacità di scovare i probabili
assassini e arrestarli prima che colpiscano. Capisco che lei abbia
l’istinto di scaricare su qualcun altro il suo dolore e il suo odio ma
non può darmi anche questo peso; non riuscirei a reggerlo…
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-Beth capì l’antifona e si emarginò. Non la richiamai più, né andai
a trovarla. Saputo della morte ero violentata dai rimorsi, non ho
avuto il coraggio di darle l’ultimo saluto. Non sarebbe stato
giusto, non potevo infangare anche il suo funerale.
-E’ una storia molto dura…ma mi tolga una curiosità. Lei ha
parlato di primo amore e nello stesso tempo mi ha detto che non
sapeva come si fosse procurata la malattia. A quanto ci risulta
non era una tossicodipendente né aveva un’occupazione a
rischio.
-Già, ma Beth prima di conoscermi frequentava certi squallidi
locali dove l’avventura è una cosa quasi normale. Ho parlato di
amore non di sesso.
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Capitolo otto.
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La città era congelata anche quella mattina e il freddo vestito
da morte cercava compagni tra tetri vicoli e case in rovina. Il vento
volava nel cielo ululando di piacere mentre grigie nuvole lo
accompagnavano come amiche fedeli, sostituite di tanto in tanto da
piccoli isolotti bianchi e candidi in un piccolo mare azzurro. A sprazzi
sfoggiavano un sole impacciato che nella sua timidezza mostrava il
rossore per poi spegnersi in una normale freddezza.
Gli alberi cercavano di aggrapparsi alle proprie radici per non
perdere il luogo da loro conquistato e che rappresentava tutto ciò
che avevano nella vita; ma per molti di loro il destino era crudele:
colpiti violentemente si ritrovavano distesi in terra, privi di sensi e,
in attesa che qualcuno li potesse rialzare, agonizzavano e perdevano
quel soffio vitale che inutilmente cercavano di trattenere in sé.
L’ispettore Shock li guardava dalla finestra del suo ufficio;
non poteva far altro che osservare quelle morti; quello stesso senso
di incapacità di intervento che provava quando ripensava ai due
omicidi che pur doveva risolvere.
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l'improvvisa intuizione, a mezz'ora dalla fine del tempo a
disposizione, di aver sbagliato tutto. Come ricominciare con così
poco tempo ancora? In effetti rifiutando l'ipotesi dell'intrinseca
soddisfazione sessuale dell'omicida nel perpetrare i delitti, doveva
depennare non solo i punti relativi all'eventualità dell'assassino di
essere un figlio illegittimo o di una prostituta o di essere stato
vittima di abusi e/o maltrattamenti; venivano meno anche la
maggior parte dei restanti punti. La lista dei sospettati era il
risultato delle connessioni dei tre elementi: autore del delitto,
movente, vittima. Inizialmente si era cullato sul fatto che nel caso
dei serial killer questa era una fase proibitiva; perché proprio lui
doveva cimentarsi in quest'ardua analisi? Ora però realizzava con
maggiore lucidità i motivi di tale difficoltà: in genere non sembrava
esistere una relazione significativa fra assassino e vittima, spesso
occasionale. Cosa ancora più importante era che questi atti di
matrice compulsiva avevano come fine la soddisfazione sessuale,
implicita od esplicita che fosse, di bisogni sviluppati ed alimentati
attraverso la fantasia; andavano quindi esclusi i moventi
“convenzionali” come il lucro, l'ira o la vendetta. Come poteva
conciliare questi concetti con la teoria della Hodgson? L'odio e la
vendetta non erano punti fermi del caso dell'angelo sterminatore?
La delusione era enorme, tanto lavoro, perché? Cosa restava
di non depennato su quegli inutili fogli? Periodo di “raffreddamento”,
modus operandi, nucleo centrale del rito esecutivo, firma. Nulla che
potesse servirgli: il modus operandi si diversificava più che
perfezionarsi mentre rituale esecutivo e firma erano riconducibili
unicamente ai messaggi che inviava. Infine sapeva che i serial killer
si fermavano solo quando venivano uccisi o arrestati: la loro sete
non si placava.
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Eh già, perché Shock sapeva che il piano non era terminato: colui
che credeva di avere una missione, una volta conclusa sarebbe
venuto alla scoperto. E se ancora non lo aveva fatto, significava che
l’opera doveva continuare.
Il trillo del telefono risuonò nella testa dell’ispettore come un
allarme. Era l’agente Dreyfuss.
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-Signorina Molly, conosceva per caso un ragazzo di nome Steve
Stolker?
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Capitolo nove.
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Stavolta l’assassino era stato molto veloce: la solita lettera
“chiarificatrice” dell’omicidio era già lì, più cupa che mai. Spedita
qualche giorno prima, era l’ennesima prova, se ce ne fosse stato
ancora bisogno, di come tutto fosse organizzato: uccidere, chi
uccidere, come seviziare i corpi.
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Un click forte e chiaro chiuse la comunicazione gelando un
incazzatissimo Shock, la cui giornata sembrava dover essere
definitivamente rovinata. Clarissa Hodgson, la strapazza-cervelli con
licenza di farsi era li, sull’uscio della porta dello studio-sgabuzzino di
Shock.
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L’ispettore si fermò in tempo. La Hodgson dopo
un’occhiataccia continuò mentre Shock continuava a pensare a quel
poveretto del marito
-E’ vero ispettore, in questo caso è più idoneo ciò che scrisse
Herbert George Wells: <<C’è qualcosa di peggio, molto peggio…
la peggiore fra tutte le cose che ossessionano i poveri mortali. E
cioè, in tutta la sua nudità, la Paura! La paura senza luce né
suono, che non intende ragione, che rende ciechi e sordi, la
paura che schiaccia>> - disse uscendo dall'ufficio.
-Si, va beh! Mi faccia sapere.
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Capitolo dieci.
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Era lì sul tavolo grigio, racchiudeva un orrore, l’orrore della
vita e l’orrore della morte. Il ciclo ricominciava. Dalla seconda lettera
in poi gli atti erano stati preordinati: ricevuta la lettera al corpo di
guardia, si faceva qualche domanda al postino e all'ufficio postale;
intanto la busta passava alla scientifica, il nulla di fatto portava
all'incazzatura di tutti ed infine la missiva giungeva nelle mani di
Shock. Bryan guardava quella lettera con la tradizionale fascetta
nera come un gatto affamato guarda il cibo offertogli da uno
sconosciuto. Non si fidava, aveva paura e studiava la situazione; poi
il momento di coraggio e la sua mano si allungò sulla busta. Fu in
quel momento che il trillo del telefono spezzò quella tensione che
aleggiava nell’ufficio.
Come salvato da chissà che, l’ispettore con gran fretta si avventò
con la mano sinistra sulla cornetta mentre con la destra teneva
ancora la lettera.
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mostrato di sapere bene chi colpire e come punire, ricercando il
modo più cruento e giusto dal suo punto di vista. Magari volendo
farcire i suoi omicidi di un senso di giustizia sociale così da farsi
coraggio e convincersi della legittimità dei suoi atti delittuosi.
-Tutto chiaro. Quasi mi sta simpatico!
-E lei ispettore, ha qualche novità?
-Beh, ho una lettera simile nell’aspetto a quelle già arrivate. Mi
raggiunga in ufficio, intanto la leggo.
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DI FARSI ASSORBIRE. E INVECE NO. LA LUCE E’ SOLO LA’ E LA’ LA
RAGGIUNGERO’; LA’ FUGGIRO’.
TI RAGGIUNGERO’, LUCE DEI MIEI OCCHI, NON APPENA MI LASCERA’ CIO’ CHE MI
TRATTIENE. NON SO CHI SIA, NON SO COSA SIA, NE’ PERCHE’ LO FA; SO SOLO
CHE IL MIO ODIO ORA E’ TUTTO PER LUI (LEI?). QUESTA VITA MI RIFIUTA E MI
ATTRAE ED IO L’AMO E LA ODIO. VOGLIO FRANTUMARE QUESTE CATENE PER POI
GIUNGERE A TE. CATENE SI, PERCHE’ QUESTA VITA E’ UNA PRIGIONE E FUORI,
SOLO FUORI C’E’ LA LIBERTA’. UNA PRIGIONE DALLA QUALE SEMBREREBBE
FACILE EVADERE MENTRE PER ORA E’ PRATICAMENTE IMPOSSIBILE. ED IO SONO
QUI, SEDUTO NELL’ANGOLO A PENSARE AL DOMANI E QUINDI A CIO’ CHE E’
STATO OGGI O MEGLIO A CIO’ CHE E’ STATO IERI.
I GIORNI SEMBRANO DIVERSI E INVECE SONO UGUALI; IDENTICI NELLE
SENSAZIONI, IDENTICI NELLE SOFFERENZE, NELLE ANGOSCIE. MA IO
SCONFIGGERO’ CIO’ CHE MI TRATTIENE, SPEZZERO’ QUESTE SBARRE PER UN
LUNGO VIAGGIO. SI, VOGLIO PROPRIO TE BUIO, LUCE DEI MIEI OCCHI.
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-Ispettore, c’è un uomo, parla in modo strano, di lettere funeree
e di omicidi, mi pare.
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Capitolo undici.
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Molly arrivò di corsa, circondata ma a stento controllata nel suo
passo frenetico da Dreyfuss ed altri tre agenti. Uno sputo improvviso
colpì in piena faccia l’uomo che per tanto tempo non aveva avuto un
volto e che ora, identificato come Robert White, era seduto
ammanettato in un ufficio al primo piano del Commissariato.
Il ragazzo sorrise.
Dio si chiese: Cosa può meritare chi ha mandato in mille pezzi tutti i
sogni, tutta la vita di un suo simile?
Nell’aria, esclamazioni.
-Si è autopunito!
-Senza dirci il perché!
-Ci ha fregato!
-No, si è salvato!
-Codardo!
-Figlio di…
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-Vada a casa Molly, presto, che qui si scatena un casino! – disse
Shock.
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-Perché? Perché? Perché? Perché?
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Confessione fantasma.
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inverno non era molto frequentata. Ma non si fermava, chi
la guidava suonava il clacson per farmi scostare ma non si
fermava! Passò a mezzo metro da me, veloce, ma...per me
andava molto piano...Li ho visti tutti, tre ragazze e due
ragazzi in una Ford rossa. Uno di loro dormiva con la
testa poggiata sul finestrino.
Passò del tempo prima che Polly potesse essere soccorsa…
troppo tempo.
Il dottore lo disse chiaramente. Sarebbe bastato qualche
minuto in più e forse l’avrebbero salvata…e con lei mio
figlio.
Fu allora che Dio decise di inviare un angelo per punire i
colpevoli. Da allora il mio compito è stato quello di
identificarli e condannarli.
Per Polly.
Per il mondo.
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Indice
Introduzione 4
Odio bianco 66
ODIO BIANCO
di Daniele Giuliano
Odio bianco 67
Odio bianco 68