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Daniele Giuliano

ODIO BIANCO

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Introduzione.

Quanto volte vi è capitato di non riuscire a leggere un libro che pare voglia
soffocarvi. Ben scritto e dalla storia interessante vi trasporta in un mondo plastificato
nelle architetture e negli abitanti, studiato nei minimi particolari; è pronto ad
accogliervi allo stesso modo ogni qual volta riprovate a sfogliarlo. Tutto è
predisposto ed il lettore è solo un osservatore dall'alto della scena descritta e non di
altro; non viene lasciato nulla di vago, tutto è documentato.

Molti , soprattutto i lettori con grande esperienza, hanno una capacità di


immaginazione più veloce delle parole di un libro; il personaggio viene da loro
rappresentato ancor prima che lo scrittore termini la sua particolareggiata
descrizione. Certo ci si discosta da ciò che l'autore immaginava al momento della
stesura; è di sicuro un male? Penso che in molti casi possa essere un vantaggio per
entrambi.

Il non spiegar troppo lascia la possibilità di varie sfumature interpretative,


costruzioni di luoghi, protagonisti, dialoghi, tempi. Ognuno può far propria la storia,
darne un senso, scegliere il volto del cattivo, catturare sensazioni in base al proprio
background. L'autore si può ritrovare con un'opera che mostra una profondità
estrema, moltiplicata per il numero dei lettori; e che probabilmente mostra quello che
era l'originario soggetto subcosciente.

Con questi presupposti nasce il soggetto di Odio bianco”: una ricetta


complessa per lettori “indisciplinati” preparata da chi ama cucinare. Vi sono delitti
efferati ma non è un horror; c'è un misterioso assassino ma non è un giallo; vi sono
ovviamente delle indagini ma non è un poliziesco. Sono ingredienti importanti ma la
portata principale è l'odio soggiacente. Eppure ciò che rende il sapore persistente è la
profondità del gusto , il condimento: l'intimità dei personaggi. E' tutta lì la verità;
senza quella interiorità il piatto è freddo, può solo sfamare.

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Capitolo uno.

Fiori d’arancio per la principessa triste.

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Venerdì 13 agosto.
Ore 22: 01.
Caro Boh! La vita è davvero di merda, e io sto sempre più
male.
La depressione è penetrata in me, si sta impadronendo del
mio corpo, del mio tempo, del mio mondo. Come un morbo
assassino cresce continuamente dentro di me, sempre alla
ricerca di nuovo cibo, nuovi organi da assaporare. Penso
che proprio adesso abbia finito di inghiottire il cuore,
ma l’ingordo virus non si ferma.
Sembrava essere scomparso, sconfitto, eppure è riaffiorato
così, inaspettato e apparentemente senza motivo,
spontaneo. Vorrei reagire, combattere tutta questa
oscurità come il sole all’alba con la notte; invece mi
ritrovo sempre di fronte al tramonto che sconfigge il
giorno, l’ultimo sospiro di luce.
Sto seriamente pensando al suicidio e non me ne vergogno;
suicidio, una parola che mi appare così dolce; quasi ogni
notte sogno la Luce con la falce e il mattino mi sento
sollevata nel sapere che presto arriverà a prendermi.
L’altra notte è stato diverso: una ragazza l’accompagnava;
non so chi fosse ma i suoi occhi, il suo sorriso erano
terrificanti; lei era bellissima ma quell'espressione mi
incuteva terrore. Si tenevano per mano e sullo sfondo si
notava qualcosa di strano, forse l’Infinito, forse il
Nulla. Un qualcosa di nuovo, di rilassante, di angoscioso;
buio e luce si presentavano come amici per la pelle,
difficile separarli, improbabile un tradimento; ma ciò che
mi attraeva era la ragazza: le ho sorriso e la sua
espressione è cambiata.
Che strano, sembrava felice ed alle sue spalle il buio
aveva ucciso la luce. “Troppo amore” pensavo mentre le
tendevo fiduciosa una mano. Prima che riuscissi a
toccarla, me l’aveva già tagliata di netto. Il sangue
sgorgava ma non sentivo alcun dolore; è stato lì che mi
sono resa conto che si trattava di un sogno, solo un

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sogno. Piangevo e, quando mi sono svegliata, ho continuato
a piangere.
Poi ho capito di aver sbagliato: non dovevo svegliarmi.
Sarei morta lì, nel sogno, e la mia mente non avrebbe più
riconosciuto il dolore.

Boh!, ho deciso di tornarci, voglio rivedere quella


ragazza; dovrà portarmi con sé.
Penso proprio che questo sia un addio, Boh!; ma sicuro non
ti dimenticherò, non dimenticherò il mio unico amore.

Tua Beth.

Sabato 14 agosto.
Ore 5:30.

Caro Boh, ora so tutto: non si trattava di un richiamo


della morte. La ragazza mi ha spiegato tutto, la sua vita,
il suo dolore ed il grande odio che prova per me e per gli
altri. Non ha tutti i torti, neanche io pensavo di essere
tanto crudele.
Lei era

L’ispettore Shock si trovava in quella che fino a poche ore


prima era una comune camera da letto di un anonimo appartamento
in Elisabeth St. Continuava a fissare quel diario; non trovava un
particolare significato in quelle parole dettate dal delirio ma l’idea di
evitare qualche antiemetico gli piaceva. Alla sua destra una testa
mozzata, con due uncini negli occhi e una spada che la trapassava
da un lato all’altro, affondata tra le tempia. Una spada! La bocca era
cucita, con semplice cotone, sembrava. Le orecchie erano invece sul
pavimento, di un rosso che ci stava bene con il blu delle pareti. Le
forbici, che probabilmente le avevano tagliate, erano infilzate nel
naso; strano che non cadessero. Sembravano provar piacere nel
rimanere lì, tra le narici impregnate di sangue.
Shock preferiva restare vicino alla scrivania, con al fianco il corpo
senza volto di quella che prima era Beth Wilson, 25 anni, continue
crisi depressive, mai un fidanzato, pochi amici.
Il sergente Cought lesse le pagine del diario:
Uno schiaffo dell’ispettore Shock lo tramortì. Per due giorni
avrebbe creduto di essere stato colpito col calcio di una pistola da un
complice dell’assassino in fuga!

Non ci volle molto per ottenere il risultato dell’autopsia; non che


si dovessero scoprire le cause del decesso, era la prassi e poi se si
dovessero aspettare morti meno violente e meno spiegabili, molti
necroscopici non lavorerebbero per un pezzo.

-Vede ispettore, attraverso lo studio accurato…


-No, no, no.

Il dottor Phyllis, faccia tipica da necroscopico, fu fermato


all’istante da Shock. L’ispettore sapeva che stava per addentrarsi in
uno di quei discorsi scientifici che ti fanno sentire d’improvviso una
merda, senza capirci comunque un cazzo.

-Fermati e dimmi solo se c’è qualcosa che non quadra. Domani


devo andare a cena fuori con Katinka e quindi non posso stare
per molto con te. Tra l’altro non penso che ci sia qualche dubbio
sulla morte. Anche tu in quelle condizioni non ce l’avresti fatta,
pensa un po’!
-Lei scherza sempre ispettore – disse senza raccogliere la
provocazione. - Ma questo non è un “semplice” omicidio del
“solito” pazzo fanatico. – Si soffermava sugli aggettivi con fare
da letterato. - E’ qualcosa di pauroso, che va oltre l’odio assoluto
per una persona. Già, è davvero qualcosa di tremendo, povera
donna! – Concluse con stonante banalità.
-Insomma Phyllis, cosa sono tutte queste lamentele? Quasi non ti
riconosco. Mi dici cosa c’è che non va?
-Certo ispettore. Ma vede, quando penso all’orrore che esiste in
questo mondo mi sovviene…
-Phyllis! – tuonò Shock spazientito.
-Ok, ok. Era viva.
-Che vuol dire “Era viva”? Certo che era viva, PRIMA.
-No, ispettore, era viva MENTRE.

L’ispettore capì al volo ma, rassicurandosi, d'istinto lanciò


uno sguardo di incredulità.

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-Non scherzare Phyllis o ti faccio sbattere in mezzo ad una strada
– disse Shock goffamente. – Sapeva che il dottore non
scherzava. Piuttosto, possibile che avesse una mente così malata
da immaginare in modo pressoché immediato una tale
nefandezza?
-Vede, - continuò Phyllis - esistono delle sostanze che iniettate
causano la paralisi di una persona, facendola però rimanere
cosciente di ciò che sta accadendo e dalle analisi delle
coagulazioni…

Ma l’ispettore, sentendosi ora pronto ad intuire, lo fermò.

-Vuoi forse dirmi che la signorina Wilson è stata paralizzata con


quella droga?
-Già, ispettore.
-No! –sobbalzò Shock- Ha subito violenze carnali...-Questo non
lo aveva certo immaginato.
-No ispettore – disse Phyllis con voce sommessa – Probabilmente
una volta paralizzata ha subito quel lavoretto alla bocca, le
hanno tagliato le orecchie, infilato quegli uncini negli occhi.
L’ordine può essere stato diverso, è probabile che la causa della
morte della ragazza sia stata la spada nel cervello. Una spada, ci
pensa?
-Cazzo se ci penso! – esclamò inorridito l’ispettore Bryan Shock.

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Capitolo due.

Agenti patogeni sotto una pioggia di lacrime illusorie.

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Erano passati due giorni e l’ispettore Shock non aveva saputo e
scoperto nulla di nuovo. Alla soglia della pensione oramai gestiva i
casi, non lavorava più sul campo. Preferiva mandarci uomini fidati,
giovani e forti. Gli piaceva pensare che fosse una sua scelta, di
avere il ruolo del grande saggio da preservare. Il suo pensiero,
sempre aperto anche all’irrazionale, lo portava in questo caso a
spiegarsi l'assassinio perfino con la vendetta della ragazza di cui la
Wilson scriveva nel diario.
Ad alimentare l’idea di tale soluzione tuttavia non c’era alcun indizio
concreto, questo sembrava proprio un “banale” omicidio,
razionalmente crudele.
Non riusciva però a spiegarsi come qualcuno potesse provare un
odio tale da portare ad una simile pazzia. Sperimentando, aveva a
lungo pensato alle tante persone per le quali provava un forte senso
di repulsione ma per nessuna di esse era riuscito a desiderare una
morte così assurda, rabbiosa.
Eppure ne odiava di gente: dagli infami strozzini al pescivendolo di
fronte casa, dai meschini razzisti intolleranti ai diffusori di ciò che
riteneva una bassa e gretta morale borghese, dai giornalisti alla
spietata ricerca di uno scoop costruito come un castello di sabbia, ai
politici profittatori e disonesti. Spesso poi si chiedeva se non fosse
solo un demagogo e si criticava con altrettanta severità.
C’era tanto putridume al mondo ma nessuno sembrava meritare
quella fine. Anche se, a dire la verità, il pescivendolo se la cercava
proprio.

Aveva tutti gli ingredienti per diventare un “normale” giallo non


risolto ma l’ispettore Shock pareva avere il presentimento che non
sarebbe finita lì.
Assorto in quei pensieri, quasi non s’accorse dello squillo del
telefono; alzò la cornetta appena in tempo prima dell'ultimo squillo:
sa, sono sempre stato così, anche da bambino; appena venivo a
conoscenza di un qualcosa lo andavo a raccontare a dritta e a
manca e quelli che dovevano essere segreti in due ore
diventavano di dominio pubblico. Ricordo che mia madre-“
-Phyllis, ho mangiato da poco e ora sto digerendo. Quindi abbia
la pazienza di dirmi il motivo della chiamata”
-Certo ispettore Shock, mi dispiace, a volte divago ma non c'è
dubbio che viaggiare con i ricordi indietro nel tempo sia spesso
molto rilassante. Comunque è pur vero che uscire dal seminato
non fa bene alla comunicazione. Mi rendo conto di esagerare
quando parlo della mia vita anche perché solitamente
l’interlocutore è disinteressato. Non riesco a controllarmi anche
se mi riprometto spesso di farlo. Mia moglie dice che è per via
del mio lavoro: a furia di lavorare con i morti il silenzio mi è
penetrato dentro, è scomparso, ed io non riesco più a tirarlo
fuori. Io credo che invece-

Phyllis rabbrividì: una mano gli si era poggiata sulla spalla e per
quanto ne sapeva, era da solo in quella stanza col cadavere di
Beth Wilsos: uno zombi… un ceffone sulla guancia sinistra
proveniente dal di dietro lo riportò nella realtà; forse la fantasia
non l’avrebbe più nemmeno sfiorato.
Era l’ispettore Shock: non c’era voluto molto a scendere due
piani mentre il necroscopico oratore raccontava la sua vita da
balordo di periferia.

-Ora dimmi Phyllis, c’è qualcosa di nuovo forse?


-Può darsi – esclamò con voce offesa il becchino parlante; Shock
fece per allungargli un'altra sberla e...inspiegabilmente Phyllis
cambiò il suo atteggiamento volto a ricevere delle scuse in quello
di chi sa di essere vivo e vegeto e desidera ancora esserlo!
-Ok, ok. La ragazza aveva l’AIDS. Lo sapeva. Mi sono permesso
qualche telefonata. Conosco qualcuno che si fida e…rispetta me
ed il mio lavoro. Non è stato comunque semplice ottenere in via
ufficiosa l'informazione ma è confermato che aveva fatto gli
esami due mesi fa.

L’ispettore Shock restò in silenzio. Meditava sull’indubbia


disperazione provata da quella ragazza, capace di nascondere la

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malattia anche al suo diario, definendo poi morbo assassino la
depressione.
Sapeva che la Morte era dentro di lei; era contenta della sua
presenza ma ne odiava le sembianze.

-Ispettore, ha capito quello che ho detto?


-Certo Phyllis, ora puoi andare.
-Ma veramente è lei che deve andarsene. Questo è il mio ufficio.

Shock spalancò gli occhi: caratterialmente non aveva mai


sopportato subire imperativi e per questo più volte aveva pagato in
termini di carriera.

-Tu mi hai detto di andarmene? – tuonò.


-Beh, no, lei mi ha detto di andarmene ma io, realizzando di
essere già nel mio studio, le ho detto che semmai è lei quello che
se ne deve andare per tornare nel suo ufficio.
-Lo hai fatto ancora, mi hai detto di andarmene.
-No, no, no ispettore. Ehm...ho soltanto detto che poiché il
vostro ufficio è di sopra mentre il mio studio è di sotto, i nostri
posti sono rispettivamente sopra e sotto.
-Si, va beh! Non permetterti più di darmi degli ordini. E ringrazia
che non ho voglia di litigare. Lo chiama studio poi! Camposanto
forse, altro che studio.

Shock uscì dal cimitero sbattendo la porta; non sapeva se la nuova


notizia potesse cambiare qualcosa ma ora era sicuro di una cosa:
aveva trovato la persona che cercava. L’idea di cucirgli la bocca,
soprattutto, gli donava un senso di letizia, di assoluta estasi.

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Capitolo tre.

Elfi lagnosi attendono la luna purpurea.

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Bryan Shock era a letto; mentre sua moglie dormiva
tranquillamente, lui continuava a fissare il soffitto: l’immagine della
testa della Wilson gli si ripresentava davanti sconfiggendo il sonno
ogni qualvolta gli occhi proponevano una tregua. Il primordiale
presentimento di qualcosa di “forte”, dell’inizio di un ciclo tremendo
di omicidi, gli era rimasto dentro, sembrava esser stato assorbito dal
corpo.
Ciò gli incuteva un forte stato di disagio: se il suo sentore si fosse
rivelato fondato, era quasi certo di dover attendere l'omicidio di
qualcun altro per approdare a qualcosa di concreto, qualcosa da cui
cominciare. Quel desiderio inconsueto di morte, indispensabile per
superare lo stato di staticità in cui versava, lo faceva sentire come
quei giornalisti che sperano in qualcosa di “forte”, di impegnativo e
risonante. Li aveva sempre odiati, quei corvi, ed ora odiava se
stesso.

Passò l’intera notte sprofondato in tali pensieri ed ora che era


mattina, sentiva gli occhi come fossero portaborse vessati,
dileggiati. Per di più doveva compiere il solito percorso a piedi che
collegava la sua abitazione a Riketts Avenue con l'ufficio a Katherine
St. mentre il rancore verso se stesso e la bramosia di una novità
continuavano a lottare con foga nella sua testa.
Salì al terzo piano, entrò nel suo ufficio, tolse il cappello e lo lanciò
verso l’appendiabiti: volò a lungo prima di giungere a terra.
Aveva sempre pensato di spostare quel dannato aggeggio lontano
dalla finestra. Ogni mattina, d’estate, doveva scegliere se comprare
un nuovo cappello o scendere nuovamente giù alla disperata ricerca
di quello svolazzato chissà dove. D’inverno per fortuna le cose
miglioravano: bastava riprendere il cappello spiaccicato sul vetro
della finestra e lanciarlo da una distanza massima di dieci
centimetri.
Stavolta aveva pensato di andarlo a riprendere, in ufficio non
sembrava proprio resistere. Aprì la porta, si ritrovò davanti Phyllis e
ci rinunciò: qualunque cosa l’allegro beccamorto avesse da dire, nel
“breve” attimo da lui occupato il cappello sarebbe passato sulla testa
dell’intera generazione del primo fortunato che l’aveva trovato.

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-Ah…grazie Phyllis. Immagino tu l’abbia trovato di sotto.
-Già, mi è caduto davanti ai piedi. Mi dispiace di non potermi
fermare ma devo mettere a posto molti documenti stamattina.
-D’accordo. Ciao e …GRAZIE.

Quel “grazie” aveva il sapore amaro del disagio. Il pensare male di


una persona e un momento dopo riceverne un favore, faceva
provare un “sentirsi ingiusto” greve e difficile da rimuovere.
Era davvero cominciata male questa giornata: i sensi di colpa
sembravano dominarla.

-Meglio bere un caffè – pensò nell’assurdo e banale tentativo di


ignorare quei pensieri in qualche modo.

Prima di andare ebbe la grande idea di posare il cappello.

-Ops…chissà se Phyllis è nuovamente di sotto!

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Capitolo quattro.

Parata funebre di rose rosse tinteggianti.

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Caro diario, la storia con Andy va avanti in modo
appassionato; sicuramente c’è qualche problema perché mio
padre non vuole. Dice che una quindicenne non deve pensare
ai ragazzi, soprattutto a quelli più grandi di lei
(figurati, Andy ha diciassette anni!). Chissà se è l’unico
motivo! Per questo siamo costretti a vederci di nascosto
ma a me va bene anche così e tu sai il perché; sarebbe
però stupido negare il desiderio di tranquillità, della
mancanza di questa costrizione che ci limita ad una vita
da amanti. E’ strano però come un qualcosa che hai cercato
per molto tempo, anche se breve e labile, una volta
raggiunto ti spinga a superarne i limiti del finito, a
varcare la porta dell’Oltre, a immergerti nella profondità
dell’Assoluto.
Prima di fronte a un dipinto non vedevo alcuna immagine,
tutto era pulito, tutto così vuoto. Poi...qualcosa
cominciava ad apparire: prima i contorni, qualche
sfumatura, i colori, infine…
Il volto dell’Amore mi si mostrava in tutta la sua
bellezza nell’immenso splendore della luce che
l’accompagnava. Il vento sembrava soffiargli fra i
capelli, il sole gli irradiava il volto.
Fu in quel momento che, tentata di toccarlo, tesi una mano
verso il suo volto; era lì che l’Assoluto si trovava, ne
ero certa ma…fui presa da una tale senso di paura, di
terrore dal poter scoprire che aldilà ci fosse invece il
Nulla che di scatto tirai indietro il braccio; lo bloccai
poi con l’altro per fermare la furia con la quale tentava
di riavvicinarsi a Lui.
Ma oramai la troppa certezza mi aveva portato all’atroce
dubbio; mi allontanai di corsa da quella stravagante tela
e in quel momento non sapevo se avrei avuto il coraggio di
tornare.

Tua Alyson

Shock cominciava a odiare sul serio i diari e non perché


magari rappresentavano un sentimento di sfiducia nei confronti di
coloro che circondavano chi li scriveva. Quel “Solo tu puoi capirmi”
esclusività nel vivere gli eventi e l’incapacità degli altri di
assaporarne la più intima essenza. Il diario era perciò ciò che l’uomo
non poteva essere.
Ora l’odio di Shock fuoriusciva dall’estremo tentativo di difesa del
genere umano e delle sue capacità per giungere a un ardente
desiderio di evasione da quello che sembrava prerogativa di morte.
Il corpo di Alyson Preston straziato da ferite multiple, giaceva sul
pavimento della sua camera da letto. I genitori rientrati dopo circa
un’ora dal tragico evento, avevano fatto la straziante scoperta. Non
si riusciva a capire se in quella stanza ci fosse più sangue di Alyson o
più lacrime della madre; era chiaro però che stavolta il rosso non
stava affatto bene col rosa delle pareti.
Forse anche per questo Shock si ingozzò di antiemetici.

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Capitolo cinque.

Iridi vermigli danzanti nella reggia del nulla.

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Alyson Preston, 15 anni, nera, residente a Nathan Road,
ragazza normale, di famiglia normale, vita normale e normali flirt
adolescenziali, così belli nella loro purezza, nella loro semplicità.
Eppure su questi amori talvolta si deve dubitare; possono travalicare
il labile e sottile confine che li separa dall’odio; l’odio che può anche
portare ad un folle omicidio.
Per questo l’ispettore Shock ora si trovava di fronte all’abitazione di
Andy. Il giorno prima era già stato sentito dai suoi uomini ma lui era
pur sempre il grande saggio! Avrebbe potuto percepire qualcosa
sfuggito a chi aveva meno esperienza.
Ad aprirgli la porta d’ingresso fu proprio il ragazzo che
immediatamente si mostrò intimorito. La paura gli si leggeva negli
occhi, confusa ad un velo di rabbia, dolore e turbamento. Occhi che
dicevano tutto, che davano risposte a domande vigliacche, svuotate
d’essenza.

-Chi è lei? – disse allarmato il ragazzo.


-Oh scusa, ho sbagliato casa! Scusa del disturbo, scusa ancora –
rispose timidamente l’ispettore. Due volte vigliacco!

Del resto Bryan Shock era un romantico e davanti a sé aveva


visto l’innocenza allo stato puro; una purezza, un candore che non
potevano e non dovevano essere nemmeno sfiorati da una macchia
di scetticismo; così come un cielo azzurro e limpido di primavera
non può essere stuprato dal grigiore di una nuvola. O quantomeno
lui non lo avrebbe fatto; sarebbe spettato a qualcuno più scaltro e
cinico.
Così il buon vecchio ispettore si incamminò per la strada di casa
avvolto da un sottile strato di rumoroso silenzio, penetrato soltanto
dal soffiare discreto del vento d’autunno. Ed in quella atmosfera,
come rinchiuso in una palla di vetro, si estraniava dal mondo
circostante per attraversare gli oscuri labirinti della ragione,
cercando in essi una via d’uscita.
L’odiato desiderio di morte era stato esaudito, la fame di
novità saziata ma nulla di nuovo gli si presentava agli occhi e alla
mente.
Due omicidi: nessun punto di contatto, nessun modus operandi
omogeneo se non la ferocia con la quale erano stati messi a punto.
Bisognava cercare dappertutto un minimo indizio per un possibile
seconda vittima, fuori città per motivi di lavoro ma in arrivo quello
stesso giorno in seguito alla sconvolgente notizia della morte della
giovane Alyson.
Pensò bene di andarla a trovare immediatamente accompagnato da
un’odiosa sensazione di impertinenza a braccetto con una cieca
voglia di sapere.
Bussò alla porta dei Preston con fare mistico e si ritrovò dinanzi una
donna molto bella, distinta e gentile; ci volle qualche secondo per
capire che quella era la mamma della piccola vittima; una donna
totalmente diversa da quella incontrata qualche giorno prima in
seguito al fattaccio; l’arrivo di Molly l’aveva “costretta” ad
abbandonare la figura della donna debole e disperata per assumere
quella di una madre rassicurante e consolatrice. Tuttavia lo strazio
celato era espresso in quel pallore lunatico che solo chi ha ricevuto
la morte in casa può esibire.
La donna, senza che l’ispettore avesse avuto modo e coraggio di
annunciarle il motivo della visita, portò Shock nella stanza del
ripugnante delitto: dopo il passaggio della scientifica la scena era
indubbiamente più sopportabile ma il ricordo, l’angoscia, la morte
erano ancora lì. Molly stava riponendo una grossa scatola, tutto ciò
che ad Alyson era appartenuto; l’ispettore brillantemente buttò lì
una frase peculiare per un film.

-Non è così che potrà ricordare sua sorella!

Stolto, imbranato di uno sbirro da rottamare – pensò all’istante.

Lo sguardo di risposta della ragazza fu agghiacciante.

-Ah, il grande ispettore Shock immagino; mia madre mi aveva


avvertito di un vostro sicuro arrivo. Mi ha raccomandato di non
scaricare la mia rabbia su di lei ma certo non avete cominciato
col passo giusto. Fatemi capire, cosa dovrei ricordare della mia
cara sorellina. Eh?

Shock era rimasto turbato da quel comportamento; certamente lui


aveva avuto un approccio a dir poco fuori luogo ma se c’era un’altra
cosa che lo infastidiva, oltre a subire imperativi, era l’essere
rimproverato acidamente anche quando aveva torto marcio. E se
invece avesse percepito la sua incapacità di gestire il caso? Era

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stato forse lui a comunicargliela? Oppure la sua inadeguatezza era
tanto evidente? Perché si sentiva sempre impreparato nonostante i
tanti delitti risolti? Benché tramortito riuscì comunque a rispondere
seppure con una domanda che aveva il sapore di una densa
ingenuità mescolata ad una caduca durezza.

-Non eravate in buoni rapporti? Non ci sono stati momenti da


ricordare?

Non aveva di certo migliorato la sua posizione!

Stavolta lo sguardo della donna fu di rimprovero misto a fiotti di


autorità e saggezza. Il tono fortunatamente era pacato.

-Mio caro ispettore, il ricordo fa sempre soffrire, ci pensi. Io sto


male perché da oggi in poi dovrò pensare che lei non ci sia mai
stata, sto male perché ora non c’è, sto male perché so che non ci
sarà più. Passato, presente e futuro non rappresentano altro che
desolazione. Sono al centro del deserto, con dietro sabbia e
davanti ancora sabbia. Alcuni pensano che la vita sia come il
water: è sempre pieno di merda ma ogni volta basta scaricare.
Beh, non è vero, la merda si accumula fino a soffocarti. E’ per
questo che molti pensano di farla finita prima: non vogliono che
gli arrivi fino in bocca. Il dolore non viene mai rimosso del tutto;
è come un libro abbandonato su uno scaffale; prima o poi te lo
ritroverai tra le mani e allora la sola copertina te ne farà
ricordare l’intero contenuto. A questo punto è meglio che il libro
sia gettato subito dopo la prima lettura.
-Signorina Molly…le prometto che troveremo il colpevole. – Disse
ancora una volta goffamente.
-Lei non capisce. Finora ho parlato della morte di mia sorella e
non del suo omicidio. In questo momento non c’è posto nel mio
cuore e nella mia mente per l’odio e la rabbia. Che assurdità
vero? Un vuoto dove non c’è spazio. Ma in fondo più dei
controsensi cosa offre la vita? Nulla, assolutamente nulla. O
meglio, il Nulla.
-Qualcuno però dovrà pagare per tutto questo; il giorno in cui
acciufferemo quel bastardo voi e la vostra famiglia vi sentirete
meglio, più sollevati.

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-Acciufferemo quel bastardo? Allora voi poliziotti parlate davvero
così. Senta, fino a quel giorno sarò costretta a ricordare tutto. E
invece vorrei che tutto finisse adesso; domattina vorrei
risvegliarmi in una vita dove Alyson non fosse mai esistita.
Acciuffare! – Disse in modo sarcastico - Arrivederci ispettore.

Shock lasciò la casa dei Preston infastidito dalle parole di Molly e da


quelle della madre che alla sua stoica frase: “Davvero non capisco
vostra figlia” aveva risposto con estrema durezza: “Ispettore Shock,
è mai morta una persona a lei molto cara? Evidentemente no,
altrimenti invece di cercare di capire mia figlia farebbe il suo dovere.
Io voglio l’assassino di Alyson; e lo voglio subito”.
Fastidio non dovuto al modo in cui era stato trattato ma a come
quelle parole gli si incuneavano instancabilmente nell’animo alla
ricerca di un qualcosa da fracassare. Lo avevano colpito pur non
biasimandole: è in questi casi che l’esistenza sconfigge la ragione.
Ed era infastidito da se stesso: che gli aveva preso? Forse era
davvero il momento di andarsene in pensione, ora che anche il ruolo
del saggio poliziotto conferitosi svaniva nel peggiore dei modi: come
se non fosse mai esistito.

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Capitolo sei.

Veglia sulfurea di un dio blu.

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Il freddo era arrivato più che mai quell’anno; la città di
mattina si popolava solo in quei pochi attimi in cui la gente si recava
al posto di lavoro, poi nulla più. Le strade divenivano deserte,
abitate soltanto dal gelido vento e dai patimenti di coloro che non
avevano casa, se non nei vicoli lugubri, illuminati qua e là da
qualche esile fuoco.
Un senso di liberazione scortava le persone fortunate per avere un
lavoro da svolgere al caldo. Shock rappresentava l’eccezione:
avrebbe preferito subire il glaciale velo della città piuttosto che
ritrovarsi in un ambiente confortevole ma intorpidito nelle idee, nelle
sensazioni, nelle immagini che offriva. Le foto dei corpi straziati di
Beth Wilson e Alyson Preston erano poggiate ordinatamente, l’una di
fianco all’altra sulla scrivania; non suggerivano nulla se non orrore e
sangue. Più in là una busta da lettera, di quelle con la striscia nera
in segno di lutto; dai contorni decisamente non allineati con quelli
sulla scrivania, aveva come destinatario:

Cortese attenzione Isp. Bryan Shock


c/o Distretto di Polizia.
L’ispettore Shock ripensò subito alle parole della signora
Preston: timore e turbamento diedero luogo ad una miscela
angosciante; prese la busta con fare agitato, aprendola dal lato
superiore col suo tagliacarte africano in legno nero. Sul foglietto
all’interno queste parole:

Un dì una donna si portò da Dio per lamentarsi dei mali del mondo; Lui
la guardò negli occhi e le disse: “Tu non sai nulla e non vuoi sapere, non
hai la testa sulle spalle e non vuoi averla; vivi in questo mondo ma è come
se fossi già morta. Per assorbire l’energia dell’esistenza ti ho donato il
grigio, le finestre, il flauto e le becche. Tu rifiutando il tutto hai
dimostrato di non meritare il respiro vitale che Io ti ho offerto. Tutto ciò
che ti ho dato ti sarà tolto”.

Odio bianco 34
Nemmeno il tempo di rasserenarsi per il mancato lutto
famigliare che un freddo torpore lo colpì per intero. Pochi secondi di
torpore poi di scatto afferrò la cornetta per chiamare Patrick Aldiss
al corpo di guardia.

Aldiss, sono l'ispettore Shock. Qui ho una lettera funebre a me


indirizzata. Chi l'ha consegnata?
Bob, come sempre Ispettore; ed io stesso l'ho portata nel suo
ufficio prima del suo arrivo. C'è qualcosa che non va? E' successo
qualcosa in famiglia?
Ah, ehm... no grazie. Nulla di importante, grazie.

Ora sembrava chiaro che la morte di Beth Wilson fosse stata


premeditata anche nel rito, alquanto materialista, che l’aveva
investita. Shock lo aveva sempre sospettato perché un omicidio
istintivo disorganizzato difficilmente poteva essere accompagnato da
un entourage di cerimoniali così ben organizzato.
La lettera rappresentava una prova di questa idea; così come un
messaggio attinente la morte di Alyson Preston avrebbe dimostrato,
oltre alla mancata ingerenza di fanatici autolesionisti anche un
legame tra i due omicidi, oggi non provati ma sospettati. Nella sua
insipidezza quella lettera suscitava ansia perché collocava l’evento
nel mistico, anche se forzato; e per Shock tutto l’orrore legato
all'adulterante ascetismo nascondeva qualcosa di agghiacciante,
imponderabile e imperscrutabile.
Senza contare di dover accettare l’esistenza di folli individui che
programmano episodi di questo genere con una freddezza
insondabile; individui che sono accorti a non lasciare tracce; su
quella lettera non sarebbero state trovate tracce né impronte. La
cosa su cui ci si poteva soffermare è che quelle parole spiegavano il
delitto nei suoi particolari ma tralasciavano la causa: perché alla
giovane Beth doveva esser tolto tutto? Cosa di tanto grave aveva
fatto per non meritare di esistere?
Sarebbe stato troppo facile avere delle risposte ben preparate su di
un pezzo di carta; però sarebbe stato bello!

C’era un’altra domanda che viaggiava come una clandestina


in una nave su un mare in tempesta: perché quella lettera?
La risposta, almeno quella psicologicamente più valida, arrivò ben
presto, il giorno dopo, da una strizza cervelli contattata di gran

Odio bianco 35
fretta: la signora Clarissa Hodgson, tra le migliori collaboratrici della
polizia. Da quanto diceva la sfonda porte cerebrali, l’assassino con
quel messaggio spingeva a far intendere che Beth Wilson fosse
vittima del suo vivere, dei suoi comportamenti moralmente
riprovevoli.

-Una donna da punire perché la sua esistenza ha infangato


l’operato di Dio e lapidato il Suo volere. E per chi tradisce il
Signore non c’è più spazio su “questa” Terra. L’assassino crede
di essere l’angelo purificatore, colui che è stato mandato tra di
noi per punire i peccatori. Per questo era giusto che avvertisse
della sua presenza per una legittima causa. Non deve essere
fermato perché Dio lo vuole, non può essere fermato perché Dio
lo vuole.

A quel punto l’ispettore Shock era convinto di una sola cosa:


c’erano due pazzi pericolosi in giro per la città: il misterioso
assassino e la “fatta” Clarissa Hodgson, acido compreso.
In effetti la spiegazione della psicologa pareva senza originalità, da
film più che altro. Non c’era bisogno di lei per una simile teoria.
Perché cominciare da una ragazzina di una piccola città. Se un
angelo purificatore scendesse sulla Terra, dell’uomo rimarrebbe
traccia? Perché poi un angelo? Una catastrofe sarebbe stata più
sbrigativa e infallibile. Dio ci aveva creato e Dio ci avrebbe distrutto.
Per Shock la soluzione non poteva essere questa; tutto
troppo cervellotico per lui, fondamentalmente pragmatico e avvezzo
agli squilibri dell’uomo. Quella prefigurata era solo una strada più
semplice da seguire, più ampia, ben asfaltata, proprio quella che
spesso si rileva inutile perché approntata di gran fretta solo per la
disponibilità di fondi da spendere al più presto. Tra l'altro è dove vi
trovi una bolgia di giornalisti! L’esperienza tuttavia gli suggeriva che
spesso era più proficuo seguire uno dei tanti viottoli laterali; angusti
e scoscesi avrebbero messo a dura prova il viandante ma avevano
una loro concretezza.
Al diavolo allora la “simpatica” Clarissa e via alla ricerca di
una strada più equilibrata, ragionevole. Da dove cominciare? Nel
farsi questa domanda si sentì uno straccio perché l’unica risposta gli
procurava nuovamente lo stesso riprovevole sentimento provato
qualche giorno prima. C’era assolutamente bisogno di qualcosa che
collegasse i due omicidi.

Odio bianco 36
Capitolo sette.

Fiumi gravidi d’ansia abbattono la diga del sarcasmo.

Odio bianco 37
Il collegamento arrivò il giorno dopo; al solo vedere quella
nuova busta funerea sulla scrivania dell'ufficio l’ispettore Shock si
sentì paradossalmente sollevato. La sensazione non durò a lungo e
precisamente fino alla lettura di quelle sconvolgenti parole.

Il giorno successivo una donna in fiore si recò da Dio nella speranza che
potesse garantirle un futuro migliore del presente. Dio si accigliò e
duramente le disse: “Chi ti garantisce che avrai un futuro? La vita e la
morte ti restituiscono ciò che hai dato; le ferite che hai causato si
moltiplicheranno su di te”.

Ancora l’agghiacciante racconto di un omicidio già avvenuto


ed evidentemente già previsto nel suo manifestarsi. Le coltellate
multiple non erano dovute quindi alla furia del momento bensì ad un
disegno preciso su come punire la vittima. Già, “punire”; Shock non
poté non ripensare alle parole di Clarissa Hodgson. “La banalità non
è prerogativa degli uomini?” pensò un po’ confuso.
Ora una connessione tra i due omicidi c’era e nella speranza che le
lettere non fossero di uno squallido mitomane, l’ispettore decise di
recarsi da Molly Preston.
Fu proprio la ragazza ad aprirgli la porta di casa salutandolo in modo
piuttosto ironico.

-Ma guarda un po’ chi onora la nostra casa con la sua presenza.
C’è forse qualche novità?
-Forse…
-Ne dubito! – ribatté la ragazza interrompendo Shock.
-Senta signorina, che ci creda o no, mi sforzo di fare qualcosa
per risolvere questo caso; ho pressioni dall'alto affinché non si
diffonda il panico mentre i giornalisti si sono già avventurati nelle
più disparate teorie. Non aspetto comodamente in ufficio che
qualcosa cada dal cielo per far luce sull’episodio. La notte non
dormo, le mattine giro per la città alla ricerca di non so cosa, mi
angoscia l’idea che qualche squilibrato o una banda di fanatici
possa colpire da un momento all’altro nella mia città. Purtroppo

Odio bianco 38
non ho creato io questo mondo, non decido io se una persona
deve morire o merita di vivere; io posso soltanto agire
successivamente ai fatti. Non ho la capacità di scovare i probabili
assassini e arrestarli prima che colpiscano. Capisco che lei abbia
l’istinto di scaricare su qualcun altro il suo dolore e il suo odio ma
non può darmi anche questo peso; non riuscirei a reggerlo…

Con gli occhi sgranati la ragazza aveva ascoltato sorpresa


l’improvviso sfogo di Shock.

-Mi scusi ispettore! – disse chinando la testa - Vede io… avevo


deciso di dimenticare mia sorella e tutta questa storia ma la
realtà è diversa; e il passato non si può cancellare; per questo so
che non scorderò mai i bei momenti con Alyson così come non
dimenticherò il modo in cui è morta. Allora… qual è questa
novità?
-Due lettere arrivate al commissariato potrebbero far pensare a
un collegamento tra gli omicidi di sua sorella e di Beth Wilson.
Lei ne sa qualcosa?
-Io conoscevo Beth Wilson! – rispose Molly.
-Davvero? E come mai non me lo ha fatto presente prima? E
perché lei non era al funerale della Wilson?
-Non pensavo ci fosse un legame tra i due casi e per il resto la
cosa è molto semplice. Io e Beth ci siamo frequentate per molto.
Quasi ogni sera uscivamo con il mio ragazzo e con Tim Reeves.
Tim ci aveva più volte provato con Beth ma lei lo aveva sempre
rifiutato anche se più che altro sembrava essere costretta a
farlo. E in effetti era così...
-Per la malattia?
-Si. Beth aveva saputo di avere l’AIDS, ignorava come lo aveva
contratto ma oramai che importanza aveva? La malattia la
allontanava da quello che sentiva come il suo primo vero amore
e questo la faceva stare ancora più male, se era possibile. Io non
le fui di grande aiuto, anzi. Nella mia ignoranza cominciai ad
aver paura e man mano mi allontanavo da lei. Qualche sera
dicevo che ero troppo stanca per uscire, qualche altra che non
stavo bene e scuse del genere.
-Una storia d’amicizia! – Incalzò cinico ma subito strizzò gli occhi
aspettandosi una sfuriata; Molly invece non reagì.

Odio bianco 39
-Beth capì l’antifona e si emarginò. Non la richiamai più, né andai
a trovarla. Saputo della morte ero violentata dai rimorsi, non ho
avuto il coraggio di darle l’ultimo saluto. Non sarebbe stato
giusto, non potevo infangare anche il suo funerale.
-E’ una storia molto dura…ma mi tolga una curiosità. Lei ha
parlato di primo amore e nello stesso tempo mi ha detto che non
sapeva come si fosse procurata la malattia. A quanto ci risulta
non era una tossicodipendente né aveva un’occupazione a
rischio.
-Già, ma Beth prima di conoscermi frequentava certi squallidi
locali dove l’avventura è una cosa quasi normale. Ho parlato di
amore non di sesso.

Una risposta che lasciò Shock senza parole; lo scenario


probabilmente cambiava condito da morbosità ma ciò che lo turbava
non era solo il torbido che spuntava dal nulla ma anche l’atroce
ricerca in se stesso del perché ultimamente rifletteva poco e
sfornava domande a ripetizione come un computer.

-Ehm…Come dicevo è una storia toccante ma che riguarda lei e


Beth, non sua sorella Alyson. A meno che le due si conoscessero.
-Qualche volta portavo Alyson con me per non farla restare a
casa da sola quando i miei erano fuori. Per questo Alyson e Beth
si conoscevano; ma non c’era niente di più – rispose Molly.
-Speriamo di non essere ancora al punto di partenza. Se saprò
qualcosa di nuovo la informerò e lo stesso dovrà fare lei.
-D’accordo ispettore Shock e… grazie.

Si congedò dalla ragazza consapevole di avere qualche informazione


in più; ora per lui era tempo di reagire al torpore che lo stava
accompagnando da giorni, doveva recuperare il suo ruolo.

Odio bianco 40
Capitolo otto.

Urlo primordiale della collina innocente.

Odio bianco 41
La città era congelata anche quella mattina e il freddo vestito
da morte cercava compagni tra tetri vicoli e case in rovina. Il vento
volava nel cielo ululando di piacere mentre grigie nuvole lo
accompagnavano come amiche fedeli, sostituite di tanto in tanto da
piccoli isolotti bianchi e candidi in un piccolo mare azzurro. A sprazzi
sfoggiavano un sole impacciato che nella sua timidezza mostrava il
rossore per poi spegnersi in una normale freddezza.
Gli alberi cercavano di aggrapparsi alle proprie radici per non
perdere il luogo da loro conquistato e che rappresentava tutto ciò
che avevano nella vita; ma per molti di loro il destino era crudele:
colpiti violentemente si ritrovavano distesi in terra, privi di sensi e,
in attesa che qualcuno li potesse rialzare, agonizzavano e perdevano
quel soffio vitale che inutilmente cercavano di trattenere in sé.
L’ispettore Shock li guardava dalla finestra del suo ufficio;
non poteva far altro che osservare quelle morti; quello stesso senso
di incapacità di intervento che provava quando ripensava ai due
omicidi che pur doveva risolvere.

Come promesso a se stesso, aveva cominciato a mettere in


ordine le idee, fatto riaffiorare i concetti di profiling che, seppur in
modo superficiale, aveva comunque studiato. Così in bella mostra
sulla scrivania ora c'erano dei fogli ben ordinati. Su di essi, scritti in
caratteri grandi, i punti fermi da studiare dal titolo “Omicidio di
matrice seriale”. Con lo sguardo schizzava da un punto annotato ad
un altro, da un foglio all'altro, in modo convulso, alla ricerca di ciò
che si presentava nel caso che stava vivendo e di ciò che invece
mancava. Ogni tanto cercava di riassumere su un altro foglio ciò
che sembrava assodato. Non essendoci stati nel passato casi simili
in città e nelle cittadine più vicine, l'assassino poteva essere ai primi
omicidi e ciò statisticamente gli dava tre indizi: uomo, bianco, tra i
23 ed i 35 anni; a questo andava aggiunta la tipica invisibilità
sociale. Su altri aspetti c'era poco da indagare essendo prettamente
aspetti psicologici; come la profonda svalutazione di se stesso o il
presentarsi delle prime fantasie omicide durante l'infanzia o
l'adolescenza. Già quest'ultimo aspetto però lo spostava su delitti a
sfondo sessuale, cosa ancora tutta da definire e che in realtà al
momento gli pareva poco probabile. Fu a questo punto che fu colto
dal panico: si sentì come quando a scuola, durante i compiti in
classe, era partito con grande entusiasmo con la convinzione di
conoscerne la risoluzione e poi, inaspettatamente, si presentava

Odio bianco 42
l'improvvisa intuizione, a mezz'ora dalla fine del tempo a
disposizione, di aver sbagliato tutto. Come ricominciare con così
poco tempo ancora? In effetti rifiutando l'ipotesi dell'intrinseca
soddisfazione sessuale dell'omicida nel perpetrare i delitti, doveva
depennare non solo i punti relativi all'eventualità dell'assassino di
essere un figlio illegittimo o di una prostituta o di essere stato
vittima di abusi e/o maltrattamenti; venivano meno anche la
maggior parte dei restanti punti. La lista dei sospettati era il
risultato delle connessioni dei tre elementi: autore del delitto,
movente, vittima. Inizialmente si era cullato sul fatto che nel caso
dei serial killer questa era una fase proibitiva; perché proprio lui
doveva cimentarsi in quest'ardua analisi? Ora però realizzava con
maggiore lucidità i motivi di tale difficoltà: in genere non sembrava
esistere una relazione significativa fra assassino e vittima, spesso
occasionale. Cosa ancora più importante era che questi atti di
matrice compulsiva avevano come fine la soddisfazione sessuale,
implicita od esplicita che fosse, di bisogni sviluppati ed alimentati
attraverso la fantasia; andavano quindi esclusi i moventi
“convenzionali” come il lucro, l'ira o la vendetta. Come poteva
conciliare questi concetti con la teoria della Hodgson? L'odio e la
vendetta non erano punti fermi del caso dell'angelo sterminatore?
La delusione era enorme, tanto lavoro, perché? Cosa restava
di non depennato su quegli inutili fogli? Periodo di “raffreddamento”,
modus operandi, nucleo centrale del rito esecutivo, firma. Nulla che
potesse servirgli: il modus operandi si diversificava più che
perfezionarsi mentre rituale esecutivo e firma erano riconducibili
unicamente ai messaggi che inviava. Infine sapeva che i serial killer
si fermavano solo quando venivano uccisi o arrestati: la loro sete
non si placava.

Il consiglio che aveva sempre ricevuto era quello di pensare


come l'assassino, di cercare di immedesimarsi in lui. Riassumendo,
da quest'ultima idea, dalle sue analisi e dalle sue sensazioni, la
situazione gli pareva atipica: non pareva esserci una spinta
sessuale; venivano lasciati dei messaggi per rivendicare e motivare
gli omicidi e probabilmente stendere un velo di giustificazione
sociale; il modus operandi era conseguente alla motivazione; il
disegno delittuoso pareva avere alle spalle un'attenta pianificazione
ed una scadenza. Ma senza un legame evidente tra le due vittime
come si poteva prevedere la possibile terza?

Odio bianco 43
Eh già, perché Shock sapeva che il piano non era terminato: colui
che credeva di avere una missione, una volta conclusa sarebbe
venuto alla scoperto. E se ancora non lo aveva fatto, significava che
l’opera doveva continuare.
Il trillo del telefono risuonò nella testa dell’ispettore come un
allarme. Era l’agente Dreyfuss.

-Ispettore Shock, è stato trovato il cadavere di un ragazzo,


almeno credo. Cioè…il cadavere è stato trovato ma non sono
sicuro sia di un ragazzo.
-Non sai più riconoscere il sesso di una persona, Dreyfuss?
-No, è che…Beh, forse è meglio che ci raggiungiate. Le posso
solo dire che il dottor Phyllis sarà contento, avrà da lavorare.
-No, ancora quel nome!

Shock rabbrividì: non era sicuro di riuscire a sostenere di nuovo un


dialogo con quella specie di Xipe Totec.

Quel giorno gli antiemetici erano presenti in abbondanza nel


corpo dell’ispettore; in effetti il cadavere era combinato proprio
male, anche perché il corpo era stato scaraventato giù da un
cavalcavia e investito da un autotreno passato dritto con le ruote di
sinistra all’altezza dello stomaco; ma il corpo prima non era
combinato tanto meglio giacché la testa, non investita
dall’autotreno, era comunque svuotata della materia cerebrale. In
quel momento due cose striglianti fra loro vennero in mente a
Shock: la prima era la convinzione che l’assassino non poteva che
essere lo stesso della Wilson e della piccola Preston; la seconda, una
frase sentita chissà quando in TV “…E’ davvero affascinante quello che
può accadere ad un corpo umano in certe circostanze”. - Perché mi vengono
in mente certe atrocità? - pensò Shock.

-Il ragazzo è Steve Stolker, anni 25 – informò Dreyfuss con in


mano una carta d’identità.

L’ispettore non disse nulla, strappò il documento dalle mani


dell’agente e corse verso la cabina telefonica lì di fronte. Il suo sesto
senso lo spinse a chiamare immediatamente Molly Preston. Fu
proprio lei a rispondere.

Odio bianco 44
-Signorina Molly, conosceva per caso un ragazzo di nome Steve
Stolker?

Nel rivolgere questa domanda l’ispettore Shock era come


sempre internamente combattuto; certo si trattava del dolore di una
persona; ma come non cedere al fascino della soddisfazione per
aver visto giusto?

-Perché, cosa è successo? – chiese Molly intuendo già qualcosa


da quel “conosceva”.
-…E’ stato ammazzato…e in modo brutale; ma allora lo
conosceva!

La ragazza non rispose più; dalla cornetta si udivano solo urla


di disperazione, poi un tonfo. Immediatamente lo stupido Shock si
precipitò verso l'abitazione della ragazza, una corsa folle, vuota,
senza pensieri, senza tempo.

Fu fermato sulla soglia dalla madre.

-Come sta Molly?


-Si è ripresa dallo svenimento ma è ancora molto turbata. Steve
era il suo ragazzo da più di cinque anni. Non si riprenderà più, lo
so. La sua vita è finita. Due tragedie in così poco tempo possono
stroncare chiunque, figuratevi Molly. Così dolce, così sensibile.
Lui doveva venirla a prendere per accompagnarla all’aeroporto:
aveva deciso finalmente di tornare al lavoro ma oramai…
-Mi...Mi dispiace davvero signora Preston ma…beh ora devo
proprio andare e….

Anche Shock ora parlava singhiozzando: è veramente difficile


credere che Dio possa permettere che certe cose accadano. E’
davvero difficile.
Shock tornò verso il commissariato, aveva preferito tornare a piedi.
La strada era fredda…deserta…silenziosa. Era un silenzio orribile; un
silenzio gelido, immenso, morto. Un silenzio di neve.

Odio bianco 45
Odio bianco 46
Capitolo nove.

Caciotte dorate alla corte del re Mida.

Odio bianco 47
Stavolta l’assassino era stato molto veloce: la solita lettera
“chiarificatrice” dell’omicidio era già lì, più cupa che mai. Spedita
qualche giorno prima, era l’ennesima prova, se ce ne fosse stato
ancora bisogno, di come tutto fosse organizzato: uccidere, chi
uccidere, come seviziare i corpi.

Dio chiamò a sé un uomo e gli disse: “Per certe azioni ci vuole


responsabilità; dove c’è responsabilità c’è cervello. Se non sei
responsabile non hai cervello. Questo è il tuo destino.

Shock aveva appena finito di leggere la lettera quando gli arrivò


una telefonata.

-Ispettore, sono Molly, Molly Preston – La voce era tremolante,


timida.
-Salve Molly, ehm…come va? – Sicuramente una domanda
intelligente in quella situazione.
-Ho paura ispettore…ho paura. Voglio dire, prima Beth, poi
Alyson, ora Steve. Io credo di essere la prossima. Ho paura…” –
La voce era bassa ma decisa, interrotta da interminabili attimi di
silenzio.
-Si calmi, potrebbe anche non essere così – rispose Shock
cercando banalmente di rassicurarla. In effetti lui aveva già
pensato a quell’ipotesi.
-Ma non capisce? Io sono il collegamento fra le vittime, l’unico
collegamento. Alyson era mia amica, Beth mia sorella e Steve il
mio ragazzo…ho paura. Anche se quel bastardo mi ha tolto tutto,
non voglio morire nelle sue mani. Devo morire solo dopo che voi
lo avrete catturato. E' possibile che non avete scoperto nulla? Ma
che razza di polizia siete!
-Per favore Molly, mi risparmi le solite critiche, non mi mortifichi;
stiamo facendo il possibile. Piuttosto, lei non ricorda qualcuna
delle vostre conoscenze che potrebbe essere in pericolo? O che
magari è il colpevole?
-No ispettore; e se permette questo è lavoro vostro!

Odio bianco 48
Un click forte e chiaro chiuse la comunicazione gelando un
incazzatissimo Shock, la cui giornata sembrava dover essere
definitivamente rovinata. Clarissa Hodgson, la strapazza-cervelli con
licenza di farsi era li, sull’uscio della porta dello studio-sgabuzzino di
Shock.

-Ehilà, Clarissa Hodgson, che piacere!


-Mi risparmi falsi cerimonie e stia a sentire. L’ultima volta avete
chiesto un mio parere, lo avete ascoltato e deriso.
-Un momento io…
-No – lo interruppe la psichiatra – Mi lasci finire. L’ho letta sul
suo volto quell’aria da <<Questo lo potevo dire anch’io>>. So
che avete pensato alla banalità delle mie parole. E ora vi dico:
volete ancora credere a chissà che di straordinario ci sia dietro
questa catena di delitti? La spiegazione è banale perché l’uomo
in genere è banale. Per quanto in taluni casi possa essere fuori di
sé, pazzo e geniale, è sempre prevedibile. C’è razionalità in ciò
che fa e seppur non socialmente individuabile ha comunque una
razionalità propria. Ora, appurato ciò, è coerente e normale che
l’assassino segua un criterio, un filo logico, una verità; ed è in
questa che dobbiamo penetrare.
-D’accordo, d’accordo, ora si calmi e mi dica cosa ha in mente.
-E’ chiaro che tutto gira attorno ad Alyson Preston: non può
essere un caso; tra l’altro Verlaine diceva: <<Ciò che chiamiamo
caso non è e non può essere altro che la causa ignota di un
effetto noto>>.
-Ehm…Cerchi di venire al dunque e lasci stare le citazioni.
-Beh, noi gli effetti li sappiamo molto bene ma molto
probabilmente potremo saperne la causa solo se lui vorrà; in
qualche modo i suoi messaggi servono a questo. Il motivo
potrebbe essere per noi insignificante, per lui una giusta causa.
Per questo dobbiamo intravedere il prossimo probabile effetto.
La Preston e le persone che le sono accanto devono essere
tenute d’occhio. Ognuna di loro potrebbe essere la prossima
vittima.
-Fin qui niente di nuovo signorina Hodgson. Tutto già
organizzato.
-Signora prego!
-E chi…

Odio bianco 49
L’ispettore si fermò in tempo. La Hodgson dopo
un’occhiataccia continuò mentre Shock continuava a pensare a quel
poveretto del marito

-Dobbiamo studiare a fondo gli omicidi già connessi, nei minimi


particolari. Qualcosa potrebbe venir fuori. Lei mi dia il permesso
di lavorare come so e magari le farò sapere.
-Come potrei dirle di no? - Disse ironico -
-Ispettore....
-Ok, ok, - La Hodgson si illuminò - spero solo che questa storia
finisca al più presto. Ho paura che...
-Già, - disse la donna con l'entusiasmo di chi finalmente si
riappropria del palcoscenico - e come disse Guy de Maupassant:
<<La paura è una decomposizione dell’anima, una convulsione
atroce del pensiero e del cuore, il cui solo ricordo provoca brividi
d’angoscia>>.

Lo sguardo di Shock si fece arcigno: possibile una simile


teatralità nella vita reale?

-E’ vero ispettore, in questo caso è più idoneo ciò che scrisse
Herbert George Wells: <<C’è qualcosa di peggio, molto peggio…
la peggiore fra tutte le cose che ossessionano i poveri mortali. E
cioè, in tutta la sua nudità, la Paura! La paura senza luce né
suono, che non intende ragione, che rende ciechi e sordi, la
paura che schiaccia>> - disse uscendo dall'ufficio.
-Si, va beh! Mi faccia sapere.

Shock si soffermò sulle parole della Hodgson ponendosi un


interrogativo inquietante: come era possibile prevenire le mosse di
un soggetto che si muove rispetto a motivazioni personali che tutti
gli altri potrebbero ritenere insignificanti?

Odio bianco 50
Capitolo dieci.

Termiti adolescenti fagocitano un cielo stellato.

Odio bianco 51
Era lì sul tavolo grigio, racchiudeva un orrore, l’orrore della
vita e l’orrore della morte. Il ciclo ricominciava. Dalla seconda lettera
in poi gli atti erano stati preordinati: ricevuta la lettera al corpo di
guardia, si faceva qualche domanda al postino e all'ufficio postale;
intanto la busta passava alla scientifica, il nulla di fatto portava
all'incazzatura di tutti ed infine la missiva giungeva nelle mani di
Shock. Bryan guardava quella lettera con la tradizionale fascetta
nera come un gatto affamato guarda il cibo offertogli da uno
sconosciuto. Non si fidava, aveva paura e studiava la situazione; poi
il momento di coraggio e la sua mano si allungò sulla busta. Fu in
quel momento che il trillo del telefono spezzò quella tensione che
aleggiava nell’ufficio.
Come salvato da chissà che, l’ispettore con gran fretta si avventò
con la mano sinistra sulla cornetta mentre con la destra teneva
ancora la lettera.

-Salve ispettore, sono Clarissa Hodgson. La volevo informare che


ho letto il rapporto dell’autopsia. E’ una cosa agghiacciante,
sembra che l’assassino abbia utilizzato una sorta di apparecchio
stereotassico per…
-Un che?
-Un apparecchio stereotassico. E’ uno di quei cosi che vengono
utilizzati ogni giorno nella vivisezione. Gli animali, soprattutto
scimmie, vengono totalmente immobilizzati e, pienamente
coscienti, vengono sottoposti al prelevamento del cervello.
-Cosa? Non è possibile!
-Certo che è possibile. E’ uno dei tanti “esperimenti” cruenti. Il
cervello viene isolato e se ne studiano le reazioni rispetto a degli
stimoli, magari al gracchiare di una rana.
-Che schifo! E noi permettiamo tutto questo? E’ inconcepibile.
Basta, non me ne parli più. Piuttosto mi dica se secondo lei
questo può essere un indizio.
-Potrebbe, non ne ho la certezza. In realtà in giro ci sono tanti
libri che descrivono nei particolari gli apparecchi e le tecniche
utilizzate in vivisezione. Sono distribuiti dagli antivivisezionisti
per mostrare gli orrori a cui può portare il binomio scienza-
denaro, affiancato a fini di carriera o di sollazzo personale. Dal
punto di vista della psichiatria, non penso che ciò debba spostare
la nostra attenzione da una vendetta verso alcune persone ad
una verso il mondo intero e le sue ingiustizie. L’assassino ha

Odio bianco 52
mostrato di sapere bene chi colpire e come punire, ricercando il
modo più cruento e giusto dal suo punto di vista. Magari volendo
farcire i suoi omicidi di un senso di giustizia sociale così da farsi
coraggio e convincersi della legittimità dei suoi atti delittuosi.
-Tutto chiaro. Quasi mi sta simpatico!
-E lei ispettore, ha qualche novità?
-Beh, ho una lettera simile nell’aspetto a quelle già arrivate. Mi
raggiunga in ufficio, intanto la leggo.

Era arrivato il momento, era tornata la tensione, la paura. L’unico


modo per superarla era affrontarla. L’ispettore di scatto aprì la
busta. All’interno un foglio denso di parole.

COS’E’ QUEL BLU CHE S’AVVICINA, CHE MI CIRCONDA, CHE M’AVVOLGE E


M’AFFOGA?
HA SUPERATO LA BARRIERA DEL NERO, HA VINTO LA LOTTA CON IL CANDIDO
BIANCO, HA ASSORBITO IL VERDE FINO ALL’ULTIMA PENNELLATA. SOLO IL
ROSSO TENDE A RESISTERGLI MA NON SO PER QUANTO ANCORA.
TENTA INSTANCABILMENTE DI FAR AFFIORARE UN PO’ DELLA SUA TONALITA’
MA SA CHE IL BLU E’ PIU’ FORTE; IL CUORE GLI DARA’ TEMPO MA A SALVARLO
SARA’ L’EVENTO.
I COLORI DELL’ESISTENZA: IL BLU DELLA SOLITUDINE, IL NERO DEL VUOTO, IL
BIANCO DELLA MORTE, IL VERDE DELLA VITA. E INFINE IL ROSSO, QUEL
DESIDERIO DI LEI CONTINUO, CONTINUO, FINO AL CUORE.
I TONI DELL’ESISTENZA. QUALCUNO HA FATTO CADERE LA TAVOLOZZA, I
COLORI SONO TUTTI DISTESI SUL PAVIMENTO; LI’ IN TERRA C’E’ IL SUNTO
DELL’ESISTENZA, SU QUELLA PIASTRELLA C’E’ L’ASSURDO. DIETRO DI ME IL
BUIO, DAVANTI UN PICCOLO SENTIERO VERSO IL PRECIPIZIO; VORREI VOLARE
VERSO QUELLA LUCE, LASCIARMI IL VUOTO ALLE SPALLE, PER SEMPRE. MA HO
LE ALI SPEZZATE E IL FORTE VENTO CHE MI SPINGE ALLE SPALLE NON MI
AIUTEREBBE, COMUNQUE.
NEL BUIO HO PERSO LE ALI ED ORA, IN QUESTO STATO, ASPETTERO’ SUL
SENTIERO LA GUARIGIONE E POI VOLERO’.
LASCERO’ CHI VIVE NELL’OSCURITA’, PIANGERO’ PER QUESTO E FORSE
QUALCUNO PIANGERA’. MA NON CE LA FAREI A TORNARE DENTRO. IL NERO HA
DIVORATO TUTTO, NON C’E’ CIBO LAGGIU’ E CREDO NON CE NE SARA’ PER M
OLTO TEMPO. ED IO SONO STANCO DI ASPETTARE; PERCHE’ POI ATTENDERE LO
SPUNTARE DI QUALCHE FOGLIOLINA GIOVANE SE POI, CONSUMATA QUESTA, IL
VERDE SARA’ ANCORA ASSENTE? CI VORREBBERO DEI PRATI IMMENSI, PIENI DI
PAPAVERI IRRADIATI DALLA STESSA LUCE CHE ORA VORREI RAGGIUNGERE.
UNA LUCE CHE SI MOSTRA SICURA, CAPACE DI SPIEGARE, DI FAR INTENDERE E

Odio bianco 53
DI FARSI ASSORBIRE. E INVECE NO. LA LUCE E’ SOLO LA’ E LA’ LA
RAGGIUNGERO’; LA’ FUGGIRO’.
TI RAGGIUNGERO’, LUCE DEI MIEI OCCHI, NON APPENA MI LASCERA’ CIO’ CHE MI
TRATTIENE. NON SO CHI SIA, NON SO COSA SIA, NE’ PERCHE’ LO FA; SO SOLO
CHE IL MIO ODIO ORA E’ TUTTO PER LUI (LEI?). QUESTA VITA MI RIFIUTA E MI
ATTRAE ED IO L’AMO E LA ODIO. VOGLIO FRANTUMARE QUESTE CATENE PER POI
GIUNGERE A TE. CATENE SI, PERCHE’ QUESTA VITA E’ UNA PRIGIONE E FUORI,
SOLO FUORI C’E’ LA LIBERTA’. UNA PRIGIONE DALLA QUALE SEMBREREBBE
FACILE EVADERE MENTRE PER ORA E’ PRATICAMENTE IMPOSSIBILE. ED IO SONO
QUI, SEDUTO NELL’ANGOLO A PENSARE AL DOMANI E QUINDI A CIO’ CHE E’
STATO OGGI O MEGLIO A CIO’ CHE E’ STATO IERI.
I GIORNI SEMBRANO DIVERSI E INVECE SONO UGUALI; IDENTICI NELLE
SENSAZIONI, IDENTICI NELLE SOFFERENZE, NELLE ANGOSCIE. MA IO
SCONFIGGERO’ CIO’ CHE MI TRATTIENE, SPEZZERO’ QUESTE SBARRE PER UN
LUNGO VIAGGIO. SI, VOGLIO PROPRIO TE BUIO, LUCE DEI MIEI OCCHI.

Shock lesse più volte la lettera, di continuo, come ipnotizzato. Le


parole... da quelle parole traspariva una sofferenza viva,
sanguinante.

-Salve ispettore. Allora, quella è la lettera? Mi faccia dare uno


sguardo.

Era l’aquila Clarissa e ci mise 40 secondi per leggere quel


foglio, giusto uno sguardo.

-Povero ragazzo! – esclamò Shock istintivamente.


-Povero ragazzo? Questo è uno stronzo che ha trucidato tre
persone e chissà se ha smesso e lei cosa sa dire? Povero
ragazzo! - Ripeté la Hodgson con tono sarcastico.

I ruoli si erano invertiti ma Shock era di un'altra epoca, più


romantica ed ingenua.

-Ha ragione ma spesso mi viene da pensare che questi sono i


drammi dei nostri figli. A volte sono portato a credere che siano
il frutto delle nostre colpe.
-Discorsi vecchi, ispettore. Potrei scendere al livello
melodrammatico dove ora si trova e chiederle se il discorso
sarebbe identico qualora una delle vittime fosse sua figlia ma
dà alcun indizio. Si tratta di una persona sola, colpita da chissà
quale evento. E che ora vuole vendicarsi, chissà ancora con chi,
per poi farla finita e ammazzarsi. Non c’è di che stare allegri,
ispettore. Su questo foglio non c’è nulla.

Shock si sentì incompreso: lui in quella lettera ci aveva visto


tanto, in sofferenza, in amore, in odio.

-Non faccia quella faccia…e scusi il gioco di parole…D'altronde so


che non si può essere sempre d’accordo. Anzi, Oscar Wilde ha
scritto: “Ogni volta che la gente è d’accordo con me provo
sempre la sensazione di avere torto”.
-Non vorrà ricominciare. Ok, in quel foglio non c’è nulla di nuovo,
lei però è una strizzacervelli, non può attenersi a ciò che è di
tutti, deve leggere fra le righe. Che senso ha mandare questo
messaggio? E' scritto con caratteri diversi e gli altri davano
notizia di eventi concreti. E che concretezza!
-Credo che sia soltanto una sottolineatura di un qualcosa che
abbiamo già appurato. Una sorta di giustificazione e di ricerca di
una personale legittimità. Magari spinta dalla consapevolezza di
essere giunto allo scopo prefissato.
-Che cosa vuole dire?
-Ciò che ho detto e cioè: o questo bastardo ha sedato la propria
vendetta o c’è qualcuno in pericolo in questo momento.
-Molly, Molly Preston.

Shock afferrò di gran fretta il telefono cercando di convincersi


che non fosse tardi.

-Salve ispettore, ha qualche novità?


-Eh, come? Signorina Molly?
-Si sono io. Avete qualche novità?
-Ehm…no. No, niente, ancora niente.
-Figuriamoci! Cosa vuole allora?
-Nulla di particolare, solo sapere se va tutto bene.
-Potrebbe andar meglio. Magari se sapessi che avete arrestato
l’assassino.
-Starà meglio Molly, starà meglio.

In quel momento entrò nella stanza l’agente Dreyfuss.

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-Ispettore, c’è un uomo, parla in modo strano, di lettere funeree
e di omicidi, mi pare.

Shock si alzò di scatto e si scaraventò fuori.


Tra due agenti un ragazzo di circa ventisei anni, alto, capelli
corti e neri, carnagione scura, distinto negli abiti.

-Finalmente, ispettore; non siete organizzati molto bene, come


potevate pensare di prendermi?
-Tu…
-Si, io. L’angelo vendicatore. E’ questo quello che avete pensato
di me, non è vero?
-Tu, bastardo!

Shock si scaraventò verso il ragazzo prendendolo poi per il


collo. - Perché? – urlò l’ispettore cancellando del tutto la
compassione avuta in precedenza per quel tipo.

Equità. – rispose il ragazzo con un sorriso. Shock lo colpì con un


pugno al naso.

-Perché? – richiese al ragazzo sanguinante.


-La verità ha un prezzo. Mi chiami Molly Preston.
-Stronzo, non sei nella posizione di chiedere.
-Anche appagare la ragazza ha un prezzo.
....

-Dreyfuss, chiama la ragazza e dille di venire subito qui.

L’ispettore lasciò il ragazzo nelle mani degli agenti, si girò e si


allontanò, rincuorandosi di essere giunti alla fine di un incubo,
quando meno se lo aspettava, senza inseguimenti né operazioni
speciali.

Odio bianco 56
Capitolo undici.

Acido lattico sulla volta celeste.

Odio bianco 57
Molly arrivò di corsa, circondata ma a stento controllata nel suo
passo frenetico da Dreyfuss ed altri tre agenti. Uno sputo improvviso
colpì in piena faccia l’uomo che per tanto tempo non aveva avuto un
volto e che ora, identificato come Robert White, era seduto
ammanettato in un ufficio al primo piano del Commissariato.

-Bastardo, era questo che volevi da me?

Il ragazzo sorrise.

-No, solo vederti in faccia! Non ho nulla da dirti. Mi verrai a


trovare, ne sono certo; solo allora ti dirò la verità. Questo è solo
un appuntamento!

In un attimo il ragazzo con la mano destra premette con forza sul


polsino sinistro della camicia, si senti un bip; di scatto all'altezza
della spalla sinistra fuoriuscì un foglietto sospinto da una lama
rivolta verso il collo e, in men che non si dica, con foga abbassò la
testa verso la spalla passandosi da parte a parte la gola.
Intorno, panico totale…e urla d’ogni genere.
L’ispettore scioccato.

-Cosa ha fatto? Perché? Perché ha ucciso? Perché si è


consegnato? Perché si è ammazzato? Perché in quel modo?
Maledizione!

Il foglio di carta che l’uomo aveva in mano…una lettera…la penna…


ancora morte da leggere per Bryan Shock.

Dio si chiese: Cosa può meritare chi ha mandato in mille pezzi tutti i
sogni, tutta la vita di un suo simile?

Nell’aria, esclamazioni.

-Si è autopunito!
-Senza dirci il perché!
-Ci ha fregato!
-No, si è salvato!
-Codardo!
-Figlio di…

Odio bianco 58
-Vada a casa Molly, presto, che qui si scatena un casino! – disse
Shock.

La ragazza, con gli occhi spalancati su un mondo di odio, orrore,


pensieri, entrò in macchina come un automa.

-Non capisco – rifletteva Shock. Che senso ha? Consegnarsi,


chiedere di Molly, ammazzarsi. Solo un modo spettacolare per
chiudere la storia? Può essere! No, no, ragiona…ragiona….
-Ispettore, il ragazzo ha un chip addosso! - Urlò allarmato Dreyfuss.
-Ragiona…ragiona….-Si ripeteva ancor di più Shock - ...il
messaggio...non è come al solito. Non descrive una morte di quel
tipo…Oh, no! Molly, ferma!

L’auto di Molly scoppiò facendosi in mille pezzi mentre un vorticoso


“no” d’intuito ululava nel vento.

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-Perché? Perché? Perché? Perché?

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Confessione fantasma.

Un anno fa, in una notte di novembre...


Faceva freddo, Dio che freddo...Ero con Polly in auto,
eravamo contenti...Avevamo appena festeggiato la sua
gravidanza, dopo un anno di tentativi. Una notizia del
pomeriggio. Appena il dottore l’aveva informata c’eravamo
abbracciati così forte da farci male.
Un film al Fairy, mano nella mano; poi decidemmo di
tornare a casa, la nostra casa, finalmente la casa di una
famiglia...
Cominciò a piovere. Quella pioggia...ogni secondo sembrava
aumentare, incessante.
Mi chiese di fermarmi, aveva paura. Le diedi ascolto, come
sempre. Facevo sempre ciò che mi chiedeva. Aspettammo che
la pioggia si calmasse, non avevamo fretta...no, non
avevamo mai fretta quando stavamo insieme…anzi, era così
bello stare da soli chiusi in auto a parlare del futuro
mentre il maltempo imperversava. Quella situazione ci
parve una metafora della nostra vita. Noi chiusi nel
nostro mondo e tutto il resto fuori, un mondo a parte i
cui mali c’erano estranei.
Eppure l’esterno ci trafisse. Aveva smesso di piovere,
potevamo ripartire. Fottuta pioggia, ne era caduta tanta
ed ora l’auto non ripartiva.
Dio, non è stata colpa mia! Fui costretto a scendere
dall’auto, ad affrontare l’esterno. Volevo chiedere
soccorso. Dissi a Polly di aspettare in macchina e...non
feci nemmeno dieci metri che sentii un rumore pauroso. Mi
voltai e...Dio, Dio mio! Un camion che sopraggiungeva era
sbandato e si era scontrato col retro della mia auto, sul
lato sinistro, facendole compiere un giro completo su se
stessa; il camion aveva continuato la sua corsa cadendo
nel vuoto, giù in una scarpata.
Un impatto terribile...ero paralizzato, non riuscivo a
muovere un passo. Poi reagii, corsi verso l’auto. Polly
aveva battuto con la testa sia nel parabrezza sia nel
finestrino laterale. C’era sangue, sangue dappertutto
e...Dio mi perdoni, non sapevo che fare.
Fu in quel momento che stava per passare un auto. Mi
buttai in mezzo alla strada chiedendo aiuto, urlando come
un ossesso. Mi pareva un miracolo: quella strada in

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inverno non era molto frequentata. Ma non si fermava, chi
la guidava suonava il clacson per farmi scostare ma non si
fermava! Passò a mezzo metro da me, veloce, ma...per me
andava molto piano...Li ho visti tutti, tre ragazze e due
ragazzi in una Ford rossa. Uno di loro dormiva con la
testa poggiata sul finestrino.
Passò del tempo prima che Polly potesse essere soccorsa…
troppo tempo.
Il dottore lo disse chiaramente. Sarebbe bastato qualche
minuto in più e forse l’avrebbero salvata…e con lei mio
figlio.
Fu allora che Dio decise di inviare un angelo per punire i
colpevoli. Da allora il mio compito è stato quello di
identificarli e condannarli.
Per Polly.
Per il mondo.

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Indice

Introduzione 4

Fiori d’arancio per la principessa triste 6

Agenti patogeni sotto una pioggia di lacrime illusorie 12

Elfi lagnosi attendono la luna purpurea 16

Parata funebre di rose rosse tinteggianti 20

Iridi vermigli danzanti nella reggia del nulla. 24

Veglia sulfurea di un dio blu 30

Fiumi gravidi d’ansia abbattono la diga del sarcasmo 34

Urlo primordiale della collina innocente 38

Caciotte dorate alla corte del re Mida 44

Termiti adolescenti fagocitano un cielo stellato 48

Acido lattico sulla volta celeste 54

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ODIO BIANCO
di Daniele Giuliano

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