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La nuova emigrazione 2.

Stefano Ventura

Il rapporto Migrantes - Italiani nel mondo, presentato a Avellino lo scorso 17 dicembre, nel focus
che tratta i dati migratori in Irpinia a 30 anni dal terremoto, conferma il dato che la nostra resta una
provincia fortemente interessata da processi migratori in uscita, con proporzioni numeriche simili ai
periodi di maggiore emigrazione (la fine dell‘Ottocento e degli anni ’50 e ’60 del Novecento).
Solo per citare alcuni dati, alcuni comuni dell’Alta Irpinia perdono più della metà dei propri abitanti
rispetto al censimento del 1981 (Cairano, - 56,2%), o comunque percentuali molto significative
( Morra, -43%, Teora, -38,9%, Guardia dei Lombardi, -38,3%).
Tuttavia, nel calo di residenti è presumibile anche una quota di persone che hanno cambiato
residenza scegliendo altre città e regioni italiane, in particolare del Nord; per integrare i dati del
Rapporto Migrantes, si possono citare le statistiche del Piano Sociale di Zona AV6, che parlano di
circa 3000 abitanti in meno in 9 anni (tra il 2001 e il 2009) nei 23 comuni della zona. Altri ancora
sono i residenti “fittizi”, cioè coloro che pur mantenendo la residenza vivono e lavorano altrove
(studenti fuorisede, lavoratori, pendolari).
Di certo l’emigrazione odierna è totalmente diversa da quella dei decenni passati. Anche la
definizione di “emigrato” sembra da ridefinire; Gianfranco Viesti, noto economista e studioso della
realtà meridionale, parla infatti di “trasferiti” più che di emigrati.
Una buona fetta di chi cambia il luogo in cui vive appartiene alla fascia di età tra i 20 e il 35 anni;
tra il 2000 e il 2005 sono stati 80mila i laureati che hanno lasciato il Sud. Difficilmente, però, le
condizioni lavorative sono quelle di un tempo e spesso si devono fare i conti con la precarietà e con
un mondo del lavoro instabile, tanto che per far fronte alle spese ordinarie non è irrealistico
chiedere aiuto alle famiglie; si tratta quindi di “rimesse al contrario”, e sono i risparmi dei genitori e
dei nonni a supportare i nuovi emigrati.
Non sono mancati i tentativi istituzionali di creare degli spiragli per il ritorno di chi si è trasferito; la
Basilicata già da molti anni aveva lanciato un progetto che prevedeva corsie preferenziali per i
concorsi pubblici per gli under 30 e anche incentivi per giovani coppie per l’acquisto della casa. La
Puglia, col progetto “Bollenti spiriti”, ha finanziato progetti di alta formazione (master, dottorati),
da seguire fuori regione per poi mettere le competenze acquisite a disposizione della Regione
d’origine; qualcosa di analogo ha fatto la Sardegna. Tuttavia, non esistono risultati valutabili di
questi progetti.
Se, un tempo, chi rimaneva poteva far ricorso alla Pubblica Amministrazione e anche alla scuola
come sbocco occupazionale, oggi anche questi settori sono di fatto preclusi alle nuove generazioni,
poiché il turn over è di fatto bloccato. Mancano, quindi, le prospettive strutturali, ma manca
soprattutto il clima sociale e culturale per un’inversione di tendenza che possa aprire al ritorno da
protagonista di chi sente il legame con le proprie radici. Prima di immaginare percorsi di futuro
sviluppo del Sud, bisogna tenere in seria considerazione le potenzialità dei nuovi emigrati.

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