Dal momento che ci piaceva starcene tutti assieme in santa pace senza avere gli adulti fra i piedi, decidemmo di creare un Circolo. Passammo in rassegna un notevole numero di animali per trovare un nome che si confacesse allo spirito del nostro gruppo: il Circolo delle Aquile, delle Tigri, dei Canguri, delle Testuggini, delle Mantidi, dei Batteri, delle Blatte, delle Puzzole ecc. Alla fine fummo tutti d’accordo per Il Circolo dei Lombrichi. Tempo prima avevamo scoperto un rudere nell’estrema periferia della cittadina in cui abitavamo. Della casa che forse in passato era stata una grande villa non restava quasi più niente. In compenso attorno al rudere si estendeva un enorme giardino, perfettamente incolto, impenetrabile come una giungla. Veramente all’inizio non sapevamo né del rudere né del giardino perché sia l’uno che l’altro erano circondati da un muro altissimo. Si intravedevano a malapena le fronde degli alberi più grandi. Inutile dire che sul nostro gruppo quel muro esercitava un fascino irresistibile. Così decidemmo di aprire, con pazienza e tenacia, un piccolo varco nella pietra, sufficiente a sgattaiolarci dentro. Di notte, quando nelle nostre case tutti dormivano, noi ci alzavamo e ci davamo convegno nel lato più nascosto del muro proprio dove cresceva un fitto cespuglio e lì, cacciaviti e torce elettriche alla mano, scavavamo il nostro varco. Avevamo visto parecchi film dove dei carcerati facevano la stessa cosa. Forse anche noi volevamo fuggire dalle nostre prigioni. Come ho detto, quel giardino era veramente grande e pieno di vegetazione quasi impenetrabile. Inoltre vi si annidavano bisce, topi, barbagianni e altri uccelli notturni, pipistrelli, cicale, ragni e ora anche noi, i Lombrichi. Per prima cosa costruimmo una specie di baracca con delle vecchie assi recuperate dal rudere e rami più o meno secchi raccattati lì attorno. Su una tavola di legno scrivemmo con un ferro arroventato
IL CIRCOLO DEI LOMBRICHI
e vi incidemmo il nostro stemma, cioè un lombrico che si avvolgeva a spirale. Dopo di che facemmo il giuramento di Fedeltà e Segretezza. In un primo momento pensammo che i maschi dovessero giurare fra loro e le femmine pure. Ma poi decidemmo di giurare tutti assieme, anche perché i lombrichi non si capisce bene se sono maschi o femmine. Ci riunivamo ogni sabato notte. Avevamo scelto la notte fra il sabato e la domenica perché di domenica ci si alza tardi e noi in pratica stavamo fuori fino all’alba. I familiari per un lungo periodo restarono ignari, però da un certo punto in poi le cose cambiarono e tutto divenne più Evidente. I fatti andarono così. Nei primi tempi, come ho detto, quando ci si riuniva si era tutti presi dalle cose da fare: ricavare uno spiazzo fra la vegetazione, costruire la baracca, accatastare pietre per delimitare l’area dove accendevamo il fuoco e dove sedevamo in cerchio, esplorare il territorio cercando di individuare le specie di vegetali e di animali che vi albergavano, fare mappe particolareggiate, ideare le cantilene da sussurrare quando ci radunavamo attorno al fuoco, ecc. Una cantilena, la più significativa, diceva così: Lombrichi lombrichi- d’inventiva ricchi- nella terra sguazziamo- così ci divertiamo - Lombrichi Lombrichi - questo noi siamo. Lombrichi Lombrichi - così ci chiamiamo - Lombrichi Lombrichi niente temiamo - Lombrichi Lombrichi - la Terra rinnoviamo. In seguito ci riunivamo quasi esclusivamente per accendere un fuoco e starcene seduti attorno, le schiene appoggiate al muretto circolare di pietra, gli occhi puntati sulle fiamme e sussurrare tutti insieme le nostre cantilene. Una cosa veramente magica. Una notte una femmina, come se avesse avuto un’ispirazione, disse senza distogliere lo sguardo dal fuoco: -I lombrichi mangiano la Terra. Noi mangeremo la Terra!-. E così iniziammo a mangiare piccole quantità di terra. Raccoglievamo le zolle più ricche di humus, quelle più profumate, cedevoli al tatto. Sapevano di buono. Qualche tempo dopo un’altra femmina del gruppo portò con sé una piccola tanica piena d’ acqua e fece con della terra argillosa dei biscotti. Ne diventammo ghiotti. Mi accorsi che il solito cibo del pranzo e della cena non mi piaceva più. Ne parlai con gli altri. Confermarono le mie impressioni. Poi venne la stagione delle piogge. Scoprimmo che sguazzare nudi nelle pozzanghere formate dall’acqua piovana negli avallamenti del terreno era la cosa più divertente che si poteva immaginare. Quando non pioveva bagnavamo la terra e ci avvoltolavamo nel fango. Ormai ci sentivamo dei Veri Lombrichi. Di conseguenza dovevamo rincasare un po’ prima del solito per darci una ripulita prima di infilarci nel letto. Ciononostante qualche traccia di fango finiva col rimanere ugualmente sulle mattonelle o sul piatto della doccia, per non parlare delle lenzuola e delle federe. Questo strano fenomeno, sommato all’altro strano fatto che sempre più rifiutavamo il cibo, soprattutto di domenica, creò un clima di sospettosità nei nostri confronti. Non sto qui a riferire le innumerevoli solite lagnanze che ci toccò sopportare. Voi tutti conoscete bene questo genere di cose. Certo è che per qualche tempo tenemmo duro, inventando scuse sempre più o meno fantasiose o ostentando un’ostinata noncuranza. A dire il vero eravamo proprio cambiati. Era come se la Terra ci avesse trasmesso attraverso lo stomaco e i pori della pelle certe oscure conoscenze, Cose Che Solo Noi Sapevamo. Il mondo degli adulti ci sembrava di una stupidità totale, insipido come il loro cibo, le loro parole, le loro azioni. Noi sapevamo d’essere un’altra cosa, parte della Terra, immensi e forti come la Terra. Sprezzanti. A un certo punto, quando proprio non ne potemmo più, decidemmo di sbaraccare definitivamente. Era inverno, faceva freddo, eppure ci liberammo dei vestiti. Stavamo attorno al fuoco. Avevamo deciso unanimemente che mai più avremmo fatto ritorno alle nostre vecchie case. Gettammo gli indumenti fra le fiamme. Con argille e ocre facemmo degli impasti coi quali ci coprimmo interamente i corpi nudi. Affondammo le mani nelle zolle e ci riempimmo le bocche di terra. Masticavamo lentamente, gli occhi fissi sul fuoco, mentre il vento gelido della notte rapprendeva il fango variopinto incrostato sui nostri corpi. Ci sentivamo invincibili.
Segue: In compagnia dei Lupi Mannari
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