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Ma è contro natura veder morire il proprio figlio e sapere che è per causa
sua che scorrerà sangue giovane. Lo stesso sangue che un giorno aveva
immaginato a succedergli e renderlo eterno.
Giacomo è nascosto da qualche parte, nelle segrete del duca Visconti e il
sangue di Luigi bagnerà le corde dei cavalli che li porteranno alle forche.
Riempirà gli occhi e l’aria di chi verrà a vedere com’è fatto un signore
caduto, e come si recidono anzitempo i suoi polloni. Non biasima il duca
che lo ha infeudato e che lo ucciderà. Avrebbe preso, lo sa, uguale
decisione. Tuttavia, brucia sapere i suoi figli nelle stesse mani e nello stesso
destino. Si spartiranno le sue terre, ma hanno già fatto a pezzi il suo cuore.
**Uno**
**Due**
Per lungo tempo ho creduto che Luigi fosse, tra i figli, il preferito. Quando
l’ho udito strillare chiara e forte la sua venuta in questo mondo, quando ho
sentito le minuscole dita che serravano il mio indice mentre, chino su di lui,
ero intento a scostare la coperta e a rassicurarmi della sua buona salute, ho
pensato di essere di nuovo nato io stesso.
In quel momento, Giovannina era tenuta lontana e assistita da levatrici e
donne, chiamate in gran fretta per tirar fuori al mondo questo figlio che non
voleva più aspettare.
L’aria, intorno, profumava di caldo e di sangue. Un sangue buono, così
diverso da quello delle battaglie e delle morti.
“Chi è?”, ha chiesto Giacomo, aggrappato in punta di piedi alla cuna che da
non molti mesi aveva lui stesso abbandonato.
“Un fratello”, gli ho risposto, allontanando i suoi ricci scuri dalla fronte e
chiedendomi perché non avessi sentito per lui quel colpo profondo nelle
viscere che mi aveva preso davanti a Luigi.
“Chi è?”, ha chiesto ancora, e ho chiamato Mita, che venisse a prenderselo e
a portarlo nella sua stanza.
“È Luigi Ludovico”, ho risposto, mentre lo spingevo nelle braccia della
balia e pensavo a organizzare il battesimo e a come questa nascita avesse di
colpo spazzato via il ricordo fresco della morte di mio padre.
Mita è tornata subito, sola, mi ha fatto cenno alla porta e si è avvicinata alla
cuna.
“Cose per donne, non per uomini”, ha borbottato mentre si chinava sulle
fasce e sollevava il neonato, sicura che da lei avrei sopportato persino di
esser cacciato dalla stanza del mio secondogenito.
Ricordo di aver sceso piano le scale, cercando una delle sorelle: Toniola, o
anche Caterina. Erano ospiti da settimane, e si stavano occupando della
casa, dell’altra sorella, e anche di mia moglie, finché non avesse
abbandonato il letto. La mia dimora cominciava ad affollarsi e io cominciai
a intuire, allora, che cosa sarebbe successo dopo qualche anno. Sono entrato
nella sala grande e mi sono seduto a capotavola. Ho osservato i posti lasciati
vuoti quello stesso anno da mio padre Zilieto e da sua moglie Franceschina.
Ho immaginato mio fratello Antonino, cresciuto, al mio fianco, e dall’altro
lato Giacomo e il nuovo arrivato, e poi gli altri che sarebbero venuti dopo di
loro.
Avremmo festeggiato presto quella nascita, intorno a quel tavolo, con cosce
di cervo ben disposte sulle focacce, e altra carne arrosto, con salse di erbe
verdi e spezie, e salsa bianca agliata, mele e pere delle nostre terre e confetti
con nocciole e miele, cotti nel…
“Sei qui? –, mi ha chiamato Caterina, ferma sulla soglia, la mano che
stringeva la mano di nostra sorella, Margarita, poco più grande di Giacomo.
– Tua moglie può vederti, ora”.
Mi sono alzato e sono salito a ringraziare Giovannina e, insieme a lei, Dio.
E ora, chi posso ringraziare per ciò che mi è stato tolto?
**Tre**
Tuttavia, se oggi chiudo gli occhi e accosto le spalle alla parete disordinata,
che ancora sembra trattenere il calore delle spalle di Luigi; se poggio i
calzari alle tavole sconnesse e le mani sulle ginocchia, abbandonate; se
respiro piano nel silenzio di questo mattino appena nato, e tiro profondo il
fiato su dai polmoni, le domande inutili si allontanano.
Rivedo, con lo sguardo del ricordo, così ingannevole, così gentile, la casa
che ho lasciato pochi giorni orsono per correre a riprendermi Giacomo e a
salvarlo dalle mani del duca.
Entro nell’androne annerito dall’ombra, più scura a me che arrivo dal sole
caldo della strada; salgo le scale larghe e silenziose, e spingo il legno
pesante che cede e mi apre la sala grande.
Chi sarà, a quest’ora, nella sala grande? Certo non i miei nipoti, i miei nipoti
senza più un padre, che non amano vedere le luci dell’alba. Ci sarà Toniola,
la sorella fastidiosa che pure, di nuovo, ha abbandonato la sua dimora per
tenere in piedi ciò che rimane della mia famiglia e affiancare Giovannina nel
governo della casa. Manco da nove, dieci giorni? Sarà corsa anche
Margarita, che è ormai grande, sposata, forse suo marito Ottone l’ha
accompagnata e, mentre io buco le mura della prigione con i pensieri, mia
moglie e le mie due sorelle sono sedute al lungo tavolo, in un angolo, a
tenersi le mani strette e a chiedersi quando torneranno gli uomini di casa.
Venti gradini più su, nel solaratum, le mie figlie stanno vegliando. Francina
saprà rassicurare la giovane Taddea, e può darsi che persino Leonarda,
benché già sposata, abbia lasciato per qualche giorno la casa di messer
Malaspina e sia tornata a Lodi a confortare le sorelle, a ordinare di lavare
bene le camisie e di passeggiare per mille passi prima di andare a dormire.
La città si sveglia, a quest’ora, e posso figurarmi che ci sia mercato e che si
passi strusciando per le vie strette mentre gli artigiani tolgon le assi alle
porte e i venditori preparano i banchi nella piazza. Si mormora e si urla, e si
chiama all’acquisto, e sotto il palazzo sfilano insieme mendicanti e ladri,
truffatori e bottegai. Le donne, allora, si affacciano e spingono fuori i servi,
ché acquistino vino e carni e dolciumi per la tavola, ché anche nella
disgrazia e nel dolore il corpo chiede la sua paga, per sopravvivere.
E io sono qui, che mi perdo in strade ormai lontane, e mi figuro luoghi cari
e sento grida fissate nella memoria. Veloce, affiora tra i pensieri
l'implorazione di Giobbe. Vorrei sapere ugualmente rimproverare Dio e
invocare la maledizione sul giorno che mi ha visto nascere. Ma più forti del
vedere finire i miei giorni nell’infamia, più acuti del tormento di vedermi
strappato un figlio e di sapere prigioniero l’altro, salgono adesso, insieme
alla luce, i ricordi di quello che è stato.
**Quattro**